HANDBOUND
AT THE
UNIVERSITY OF
TORONTO PRESS
ORLANDO FURIOSO di
LUDOVICO ARIOSTO
SECONDO L'EDIZIONE DEL ir)32 CON
COMMENTO DI PIETRO PAPI NI.
EDIZIONE INTEGRA ^ NUOVA RISTAMPA RIVE-
DUTA E CORRETTA.
vfi
'^
MICRC.-OSMED BY
Sp'S^ 1991
DATE.
«^ «t» «$» «t» «$» «$» «t» «t» «t» «^ «^ *t»
«>-» «>» »>-» J-» «>> s>-» «>-» »>^ >>-» sJ^ J^ >J^
In Firenze, G. C. Sansoni, Editore - mcmxvi.
PROPRIETÀ LETTERARIA
Firenze — Tip. G. Carnesecchi e figli — Piazza Mentana 1
PREFAZIONE
U Orlando Furioso non è uno di quei classici, dei quali
si possa esclamare: ancora un'edizione! ancora un com-
mento!; perché pur troppo non ne esiste paranco né un'edi-
zione né un commento, che possano dirsi definitivi, seb-
bene in ogni secolo, dal Cinquecento in qua, molti si
siano affaticati intorno a questo grande lavoro. Mentre
oggi egregi studiosi curano il testo di tanti poeti minu-
scoli, l'Italia non ha ancora un'edizione critica dell'Or-
lando Furioso. E pure son pochi i classici nostri, che ab-
bian fatto essi stessi tanta fatica per assicurare presso i
posteri l'intelligenza delle loro opere, quanta ne ha fatta
l'Ariosto. E son pochi i classici, che più a torto e più
largamente siano stati dai posteri vituperati.
Almeno gli editori si compiacessero di giovarsi di quanto
è già stato fatto da insigni letterati, e si attenessero ai
lavori del Morali e del Panizzi! Ma come se l'essenza di
questo poema stesse tutta in una fitta di corbellerie da
divertire nelle lunghe serate d'inverno gli scolaretti di
quinta ginnasiale, si prende a caso qualunque testo raffaz-
zonato e si ammannisce in una nuova abborracciata edi-
zione, che, 0 pel modico prezzo o per il nome di qualche
editore più in voga, corre tosto le nostre scuole. Già, an-
che nell'insegnamento che cosa è l'Ariosto ormai se non
un fecondo novellatore? Lo studio del Furioso general-
VI PREFAZIONE
mente si fa assegnando la lettura di più canti a ciascuno
scolaro, che se arriva a^ farne un affrettato riassunto ha
già mostrato un eccesso di diligenza. Cosi non la pensava
il Galilei, che dal Furioso toglieva le eleganze per ren-
derne amabile la severità della scienza. Ma habent sua
fata libelli!
Io ho pensato da lungo tempo di preparare per le scuole
italiane un'edizione di questo poema, la quale mostrasse
di accorgersi che c'è anche per il Furioso una questione
del testo, e che occorre pure per il Furioso uno studio ac-
curato della lingua e dello stile. Il generoso disinteresse
dell'Editore mi ha permesso di fare due edizioni; una per
le scuole, ed una integra; il che mi ha procurato il van-
taggio di poter dare uno studio, per le mie forze completo,
di tutto il poema, con largo indice delle particolarità gram-
maticali e stilistiche, del quale può giovarsi un diligente
lettore.
E cominciando a parlare del testo, è noto che dell' 0/'-
la7ido Furioso non abbiamo oggi nessun manoscritto: ri-
mangono solo dei frammenti, che comprendono in tutto
463 stanze e che probabilmente non rappresentano nep-
pure l'ultima volontà dell'Autore. Questi frammenti si con-
servano, prezioso cimelio, nella biblioteca di Ferrara. Ma
è altrettanto noto che l'Ariosto curò da sé la prima edi-
zione cominciata nel 1515 e finita nel 1516, della quale
si ha una riproduzione stampata dal Taddei di Ferrara nel
1875 per cura del prof. Crescentino Giannini. Eretto il
monumento, parve che l'Ariosto non avesse ormai nella
vita altra mira principale che di ridurlo a perfezione, guar-
dandolo da ogni lato, limandolo e rifacendolo con diligenza
assidua e minuta. Cosi nel 1521 egli ne curava un'altra
edizione, che alcuni considerano a torto come un leggero
ritocco. Sopra 32,944 versi, quanti sono nell'edizione del
1516, ne furono aggiunti di nuovo 128; e corretti, o in
qualche guisa modificati, 2912. Queste cifre dicono chia-
ramente che non fu quello del '21 un leggero ritocco, ma
PREFAZIONE VII
una larga e minuta correzione, che, se non si estese alla
tela del poema, penetrò nelle più intime pieghe della lin-
gua e dello stile. E veramente chi osservi l'ediz. del '21,
di cui ci dette le varianti lo stesso prof. Giannini (Fer-
rara, Taddei, 1876), vede agevolmente che una buona metà
dei miglioramenti introdotti nel Poema si deve già a que-
sto primo .lavoro di lima.
Certo fu più larga la correzione, che il Poeta fece in
appresso e che si vede nell'ultima edizione da lui stesso
curata nel 1532. Qui, oltre alla parola, alla frase, all'imma-
gine, fu toccata anche la tela del Poema con aggiunte co-
piose. Dice il Giraldi nelle giunte a'suoi Discorsi intorno ai
Romanzi (Barottj, Memorie, storiche Leit. Ferr. I, pag. 248,
annot. 24) : « Prima egli (l'Ariosto) vide e rivide il Poema
suo per lo spazio di sedici anni dopo la jjrima edizione;
né passò mai di, per tutto quel tempo, ch'egli non vi
fosse intorno e con la penna e col pensiero: poscia ridot-
tolo al termine e dell'accrescimento e della correzione, che
a lui parve convenevole, lo portò a molti belli ed eccel-
lenti ingegni d'Italia per averne il loro giudizio, come fu
a Monsignore il Bembo, al Molza, al Navagero ed altri
molti, de' quali egli fa menzione nell'ultimo canto; ed avu-
tone il loro parere, se ne ritornò a casa, E come solea
fare A pelle delle sue dipinture, cosi fece dell'opera sua:
perocché egli, due anni innanzi che desse l'opera alla
stampa, la pose nella sala della sua casa e la lasciò da
esser giudicata da ciascuno. E finalmente, avuti tanti pa-
reri nella città e fuori, a quelli si appigliò che migliori
gli parvero ». Anche se in queste parole del Giraldi vi è
dell'esagerazione e della leggenda, servono pur sempre a
dimostrare l'importanza, che già gli amici stessi dell'Au-
tore davano a questa correzione finale e definitiva. Cosi,
un anno prima che l'Ariosto morisse, legava alla patria
il frutto più bello del suo genio, dopo averci amorosa-
mente lavorato per circa ventisette anni. E noi abbiamo
nell'edizione del 1532 l'ultima sua volontà. Asserisce il
TIII PREFAZIONE
Ruscelli d'aver visto un di questi esemplari ancora postil-
lato e corretto in più luoghi dal Poeta; ma, quantunque
il fatto fosse per sé stesso possibile, dall'esame d'alcune
correzioni riportate dal Ruscelli apparisce la falsità della
notizia e l' impostura di quel guastatore. Dobbiamo quindi
ritenere senz'altro che V Orlando Furioso^ quale il Poeta lo
volle, consiste tutto e solo nell'edizione del 1532. Né giova
opporre che lo stesso Ariosto si mostrò scontento di quella
edizione, ^ poiché ciò non potè riferirsi « che alla defor-
mità della carta e dei caratteri e ad altri materiali difetti
dell'edizione medesima, la qual certo, estrinsecamente, non
ha cosa alcuna, che si possa dir bella ». ^
A quell'ultima edizione originale doveva dunque far
capo la critica: invece gli antichi editori fecero all'Ario-
sto quel che altri faceva ad altri scrittori; sostituirono
spesso la loro ignoranza, o le loro sviste, alla lezione ge-
nuina; quindi, copiandosi successivamente, ingrossarono
la mole delle false lezioni fino al punto da far sentire ur-
gente la necessità di porre un rimedio a tanto sconcio. E
nel 1818 Ottavio Morali tagliava il nodo gordiano, e, po-
stergata francamente l'autorità di quanti mai fìno allora
avessero posto mano a ricorreggere il Furioso, prese per
solo ed unico testo quello del 1532, dandoci una splendida
edizione in 4°, che ormai è divenuta assai rara e costosa.
Di qui si doveva muovere da quanti poi han pubblicato
il Furioso] poiché, sebbene non sia lavoro definitivo, è pur
sempre capitale e importantissimo. E dico che si doveva
muover di qui, non già per modificare l'opera del Morali
con proprie congetture, ma per completarla con opportuni
riscontri dell'ediz. originale e con critica rigorosa. Questo,
a mio credere, è il lavoro che resta ancora da fare da chi
voglia occuparsi seriamente e principalmente del testo. Il
Morali fece opera d'una diligenza ammirabile e procede
' Lettera di Galasso Ariosto al Bembo, voi. I delle lettere al Bembo.
* Morali, Prefazione alla sua edizione, pag. 5, n. d.
PREFAZIONE IX
con scrupolo rigorosissimo, ma in due cose mancò: e dav-
vero che non son molte, se pensiamo un momento alla
novità e alla difficoltà del lavoro. Prima di tutto alcune
volte fu poco attento lettore dell'esemplare antico, che gli
stava dinanzi; come apparisce dai rilievi, che ne fece di
poi il Panizzi; e come è apparso a me nei pochi riscontri
che ho potuto fare per mezzo di persona competente e cor-
tese. In secondo luogo, delle correzioni che il Morali ha
fatto al testo del 1532, alcune non han buon fondamento
di ragione, e perciò debbono assolutamente respingersi
Ma di questo inconveniente è pochissimo il danno, perché
il Morali, con scrupolo lodevole, ha riportato in fine del
l'opera la lista quasi completa di quelle varianti da lu
introdotte nell'originale antico, e il lettore può, da sé
stesso, riscontrare e giudicare l'opera del critico.
Nel 1834 Antonio Panizzi, insigne letterato italiano,
bibliotecario al Museo Britannico in Londra, pubblicava,
dopo V Orlando Innamorato del Boiardo, V Orlando Furioso^
prendendo per fondamento l'ediz. del Morali e riscontran-
dola su quella del 1532. Ma anche questo fu lavoro man-
chevole, perché, mentre procede qua e là con incertezza
nell'ammettere e nell'escludere le varianti del Morali, ac-
cetta pure alcune correzioni Ruscelliaue. Tal che, se que-
sta edizione è di non poco giovamento allo studioso per
i riscontri, che vi si trovano, non è guida sempre sicura
per il testo del Furioso.
E dopo questi due letterati il meglio, che siasi fatto,
è stato di attenersi più o meno fedelmente all'una o all'al-
tra edizione, ma non si è fatto un passo di più. Né a me
sarebbe mancato il desiderio di portare in questo campo
il piccolo contributo delle mie forze, se non me ne fosse
mancato il tempo e il modo.
Dell'ediz. del 1532 si conoscono oggi solamente pochi
esemplari, che non sono neppure fra loro perfettamente
eguali; perché è noto che l'Ariosto apportava, nel corso
della stampa, nuove modificazioni, che per ciò si trovano
PREFAZIONE
solo in alcuni esemplari, in altri no. Occorreva dunque
esaminare diversi di questi esemplari, che sono in luo-
ghi diversi e lontani: esame che io non ho potuto fare.
Quindi non mi rimaneva che scegliere fra il Morali e il
Panizzi, e dare, se non un testo critico nel vero signifi-
cato della parola, almeno un testo corretto, che, tolti pic-
coli, e per la scuola insignificanti particolari, riproducesse
il Furioso, quale usci, perfezionato, dalla mente dell'Ario-
sto. Io mi sono attenuto al Morali, perché le sue mende
mi sono sembrate più lievi di quelle del Panizzi. Altri po-
trà, se gli talenta, credere il contrario. Qualche volta, in
dubbio se il Morali leggesse esattamente, ho fatto riscon°
tràre l'originale, che si trova nella Bertoliana di Vicenza.
Delle correzioni fatte dal Morali al testo del 1532 solo
alcune ho accolto, che riporto in fondo al volume : altre
no, perché mi sono parse arbitrarie, non essendo confer-
mate né da luoghi paralleli, né dalle edizioni precedenti.
Vede dunque il lettore che, almeno per quanto è necessa-
rio alla retta interpretazione del Poema, non è stata da
me trascurata neppure la correttezza scrupolosa del testo.
Giacché si vuol ricordare che io ho inteso di fare princi-
palmente un libro scolastico e ho dato le principali cure
al commento.
Commenti deìY Orlando Furioso ne abbiamo quasi tanti,
quante sono state le diverse edizioni, senza contare le il-
lustrazioni speciali. Noi non passeremo in particolare ras-
segna tutti questi lavori; che, se sarebbe fatica erudita e
curiosa, non sarebbe forse in questo luogo altrettanto pro-
ficua; e noteremo solamente che il maggior contributo al-
l'interpretazione del Furioso fu dato da Simone Fornari
nel cinquecento, dal Barotti nel settecento e dal Bolza
nell'ottocento. Quanto alle fonti, il Lavezuola, il Rajna e
il Romizi si può dire che abbiano esaurito l'argomento,
al quale han pure lavorato in qualche parte il Panizzi,
il Bolza e alcun altro. Il Fornari è il più importante, per
l'antichità e per la cura speciale che pose nell' interpreta-
PREFAZIONE xi
zione del Poema. La sua Esposizione dell'Orlando Furioso,
oltre un sufficiente corredo di erudizione, ha anche molte
felici interpretazioni di luoghi non facili. Del Fornari non
può fare a meno nessuno, che voglia affaticarsi intorno
al grande poema. In una seconda parte espone il senso
allegorico, che si contiene in alcuni luoghi del Furioso;
e anche in ciò egli ha quasi sempre veduto più giu-
sto di tutti gli altri commentatori. Noi abbiamo avuto
presente tutto il lavoro del Fornari e ce ne siamo giovati
ogni volta che ci è parso opportuno, spesso citando le pa-
role stesse del commentatore. Nel cinquecento contribui-
rono alla intelligenza dell' Qrlando Furioso il Pigna, il Gi-
raldi, il Porcacchi, il Dolce, ma, più che un vero com-
mento, ci dettero notizie storiche e mitologiche o poche e
slegate osservazioni grammaticali e stilistiche. Il Ruscelli
promise molto e poco attenne; e di questo poco non sem-
pre possiamo giovarci con sicurezza. Non molte osserva-
zioni di vario valore lasciò il Galilei, uno dei pochi, che
nel seicento gustasse e apprezzasse degnamente la gran-
dezza dell'Ariosto qual maestro di lingua e di stile. Cosi
arriviamo al Barotti, che nell'edizione di Venezia (Pit-
teri 176G), non solo emendò parte di quegli errori, che da
tempo deturpavano il Furioso, ma vi aggiuuse delle note,
che, dopo il Fornari, furono la miglior cosa fatta a di-
chiarazione del grande lavoro ; e sono anc' oggi prege-
volissime. Al principio e in fine della sua bellissima edi-
zione anche il Morali pose alcune osservazioni cosi impor-
tanti, da farci desiderare quel glossario di più che otto-
mila articoli, che G. B. Zannoni assicura fosse stato da
lui compilato, ma che noi oggi non conosciamo. Sulla
scorta del Barotti e dello Zotti (ediz. di Londra 1814) è
fatta la maggior parte del commento, che l'Ab. Renzi pose
nella buona edizione del 1821, la cosi detta edizione del
Molini; e poco di nuovo e di originale vi si trova. Più
ricco di nuove osservazioni fu il Panizzi nella sua bella
edizione del 1834. Nel commento, che vi appose, ha Tee-
XII PREFAZIONE
celiente pregio, che di rado si slancia ad avventatezze ed
errori : poco ma sicuro. Fa un^ diligente ricerca dei luo-
ghi che l'Ariosto imitò àsdì'Inìì amorato, e frequenti cita-
zioni di altre fonti cavalleresche e classiche, per le quali
si giova specialmente del Lavezaola. Parco d'erudizione,
dice quanto è necessario a lettore colto; scarso e deficiente
nello studio della lingua, raramente vede le vere difficoltà,
qualche volta ne sogna delle immaginarie. Studio più mi-
nuto e più profìcuo fece il Bolza, non tanto nelle sue edi-
zioni (Vienna 1853, Firenze 1863), le quali hanno appena
poche righe di commento alla fine dei canti; quanto piut-
tosto nel Manuale, dove ha raccolto, in una disordinata
introduzione, ricca varietà di notizie e di osservazioni, e
nel glossario, acute e importanti interpretazioni. Peccato
che è mole indigesta, poco utile, al mio parere, per gl'in-
segnanti, inutile affatto per gli scolari, pesante per qua-
lunque studioso. Io ho esaminato attentamente questo la-
voro del Bolza, ne ho preso quanto ho creduto migliore,
citandolo ogni volta che giustizia imponeva. Giacinto Ca-
sella nel 1877 pubblicò il Furioso col testo del Morali e
con un commento, che non manca certamente di pregio.
Il commento del Casella, a mio vedere, è pregevole spe-
cialmente per l'erudizione geografica, e talvolta anche per
la storica, ma è deficiente per la interpretazione dei luo-
ghi difficili, e nullo, o quasi, per ciò che si riferisce alla
lingua e allo stile. Il Camerini nella collezione del Son-
zoc^no, che corre copiosamente per le nostre scuole in virtù
del modico prezzo, fece, nel commento, lavoro quasi di
pura compilazione e, come tale, non è certo da dispre-
giare : anzi mostra spesso l' ingegno e la cultura del com-
pilatore. Questa nostra edizione era già alla metà della
stampa, quando apparve V Orlando Furioso ridotto per la
scuola e commentato dal prof. Augusto Eomizi (Milano
1900). Chi conosce la cultura e la solerzia del Romizi può
immaginare che anche questo lavoro non dev'essere senza
importanza; e importanza veramente ne ha. Il Romizi in
PREFAZIONE XIII
un lavoro precedente aveva studiato più largamente del
Lavezuola e del Rajna le fonti latine del Furioso] era
quindi un conoscitore profondo del suo Autore. Ed egli
per il primo porta una minuta diligenza su la parola e
sulla frase, egli per il primo si dà cura di rilevare i luoghi
simili 0 paralleli, che confermano o dichiarano le inter-
pretazioni difficili. Eppure il commento del Romizi non
entrerà mai, io credo, nella scuola, e poco anche gioverà
agli insegnanti. Forse il difetto principale è la troppa di-
ligenza e la troppa cultura del commentatore. Troppo di-
ligente, spreca tempo e spazio a dare spiegazioni inutili,
a citare brani errati di antichi commentatori, a ricordare,
spesso senza vero profitto, le varianti della Principe; troppo
colto accumula raffronti in gran copia, ricerca fonti mol-
teplici e disparate. E poiché riferire estesamente tutto ciò
non sarebbe stato possibile, ha erapito le note di numeri,
che, se dicono qualcosa a chi ha presenti i luoghi ci-
tati, non dicono proprio nulla alla massima parte dei let-
tori. Tutte quelle citazioni andranno bene in uno studio
di fonti o di raffronti, in un commento son mole indige-
sta o segni senza significato. Ma io reputo possa questo
lavoro essere utilissimo a chi voglia studiare bene a fondo
l'Ariosto, perciò me ne sono giovato non di rado. Né sarò
io certamente per rimproverare al Romizi di avere più
volte sbagliato l'interpretazione di luoghi difficili, perché
so per prova quanto arduo lavoro sia questo, e per prova
sapranno i lettori quanto alla mia volta avrò omesso ed
errato o in qualunque modo mal fatto. Dopo questi e tanti
altri commenti viene alla luce il mio, per il quale ho te-
nuto presente tutto il lavoro già fatto, giovandomene ogni
volta che ho creduto opportuno. Ma ho avuto in questa fa-
tica un intendimento speciale, a cui ho dato la maggior
parte delle cure e delle ricerche: rilevare le molte e tal-
volta gravi difficoltà, che vengono dalla lingua, dallo stile,
dalle immagini, cercando di fermare il seuso vero o il più
accettabile col confronto di usi simili, e coll'autorità di
XIV PREFAZIONE
altri scrittori. L'Ariosto è tale poeta che a una lettura fug-
gevole apparisce facile e cliiaro tanto, da non far sentire
il bisogno del commento. Ma se voi, invece di conten-
tarvi del senso generale, del pensiero nelle sue linee prin-
cipali, scendete ai particolari, alle sfumature; quante volte
dovrete dire credo, mi pare, sembra voglia dire questo: e
solo quando avrete osservato che in altri luoghi la frase
o la parola ha più chiaramente quel dato senso, solo quando
l'esempio di altri scrittori vi determini meglio l'uso e il
significato di certe espressioni, soltanto allora potrete,
nella maggior parte dei casi, con sicurezza interpretare.
Altrimenti si capisce a orecchio, all'ingrosso, pascendo più
0 meno la fantasia, ma con pochissimo vantaggio dell'edu-
cazione letteraria. E quanto tesoro di lingua, quante fi-
nezze di stile in tanta^ chiarezza e semplicità! L'Ariosto è
un prodigio letterario, di cui non abbiamo che una pal-
lida somiglianza nel Manzoni. Nato a Reggio, figlio di una
Reggiana e di un Ferrarese; pur avendo trascorsa quasi
intera la vita a Reggio e a Ferrara riusci tal modello di
lingua e di stile da vincere i più eleganti Toscani del
cinquecento. E la sua è la lingua più ricca, più varia e
nello stesso tempo più fresca, più viva e più signorile del
gran secolo. L'Accademia della Crusca lo proclamò grande
maestro, il vocabolario si alimentò per gran parte delle
opere sue. In esse voi ve lete il conoscitore profondo della
precedente letteratura dal dugento al cinquecento, da Bru-
netto Latini al Sannazzaro. E come il suo periodo s'in-
fiora di ricordi danteschi e petrarcheschi, delle grazie del
Boccaccio e del Poliziano, cosi parole ed espressioni già
coperte di ruggine sono ivi rimesse a nuovo e richiamate
a vita e splendore. Sembra che in questo lavoro di esu-
mazione egli ponga amore speciale: e ne acquistò, a mio
credere, un merito singolare. Con questa profonda cono-
scenza della lingua scritta, anche antica, l'Ariosto unisce
tal pratica del linguaggio vivo, specialmente in Toscana,
che talvolta perfino i solecismi e gli idiotismi ne sono ado-
PEEFAZIONE XV
prati. È vero che fu più volte in Toscana e che a Firenze
ed a Siena diede opera a l'eleganzia]^ è vero che mentre
limava il Poema era già innamorato corrisposto di Ales-
sandra Benucci, fiorentina d'origine; ma tutto ciò è ancor
poco a comprendere quel magnifico lavoro di assimila-
zione, che si spiega soltanto con le maravigliose attitudini
del suo genio. Io vorrei dire che accadde a lui per la lin-
gua e per lo stile quello che accadde per la materia. Essa
è un mirabile impasto di infiniti ricordi. Scrittori greci
e latini, i più vari e disparati italiani, i poemi cavalle-
reschi popolari e letterari, la storia del tempo, la vita della
società contemporanea, le arti belle e le scienze sommi-
nistrano all'Ariosto il materiale grezzo che egli lavora a
suo modo, e assimila e riduce in un tutto omogeneo nella
sua fantasia; cosicché spesso i ricercatori di fonti son co-
stretti a fare un penoso lavoro di decomposizione per sta-
bilire donde e come fu tratta tanta materia. Si comprende
per ciò che l'Ariosto ebbe una prodigiosa attitudine a com-
porre ed impastare i più diversi particolari, che la sua
fortissima memoria riteneva dalle tante letture e dalla con-
tinua osservazione. Questa medesima attitudine dovette
avere per la lingua. La memoria riteneva e voci e modi
letti nei più disparati scrittori o sentiti dal popolo di To-
scana; il genio speciale, guidato da un gusto finissimo, ri-
chiamando al bisogno tutti questi ricordi, creava una lin-
gua fresca e spontanea, uno stile tutto nuovo e tutto in-
dividuale, dove soltanto un'analisi minuta e attenta fa
riconoscere i primitivi elementi. Vi sono persone, donne e
fanciulli specialmente, che riescono in poco tempo ad ap-
prendere e a parlare un dialetto, che altri non imparerebbe
in lunghi anni. Allargate quest'attitudine, confortatela con
studi lunghi e geniali, con ampia cultura, con un gusto
squisito del bello, e forse potrete comprendere il prodigio
della lingua neìVOrlaìido Furioso.
Negromante. Prologo.
XVI PREFAZIONE
Non sarebbe dunque un vero commento dell'Ariosto,
quello che trascurasse o poco curasse la lingua e lo stile:
ed io a questo specialmente ho atteso. Dire che sia riu-
scito nell' intento sarebbe tal presunzione da potersi chia-
mare ridicola, ma ho la coscienza d'averlo tentato con tutta
la possa. Forse 1' amor della brevità ha nociuto talvolta
alla chiarezza; ma nei commenti è meglio esser troppo
brevi che troppo copiosi, per non esser troppo noiosi.
Modena, 1 Maggio 1916.
Pietro Papini.
N. B. Da qnesta edizione è stata derivata l'edizione ridotta per le
scuole, che contemporaneamente si pubblica.
SOMMARIO DEI QUARANTASEI CANTI
DELL'ORLANDO FURIOSO* ■
I. Proposizione e dedica, st. 1-4. Augelica, data da Carlo Magno al
Duca di Baviera, dopo la rotta de' Cristiani fugge. Incontra Rinaldo,
poi Ferrali. Duello tra Ferrau e Rinaldo, 5-23. Ferraù e 1' Argalla
23-dL Angelica e Sacripante, 32-59. Duello tra Sacripante e Brada-
niante, 60-71. Baiardo preso da Sacripante. Sopraggiunge Rinaldo.
Sgomento d'Angelica, 72-81.
II. Duello tra Sacripante e Einaldo. Angelica fugge. Incontra un
Eremita, che con un messo svia i combattenti. Intelligenza di Ba-
iardo. Rinaldo torna a Parigi, 1-24. E mandato da Carlo Magno in
Inghilterra per aiuti. Tempesta, 24-30. Bradamante incontra Pina-
bello, che le racconta le sue sventure. Essa si avvia verso il ca-
stello del Mago Atlante, ma è tradita da Pinabello e precipitata in
una caverna, 31-76.
III. Bradamanle incontra, nella caverna, Melissa, che la conduce
alla tomba di Merlino, dal quale sente predirsi tutta la discendenza,
che procederà da lei e da Ruggero, 1-62. Va con Melissa verso il
castello d'Atlante, 03-75. Incontra Brunello, 76-77.
IV. Bradamante vede Atlante volare sull'Ippogrifo, 1-10. Si avvia
con Brunello al castello del Mago, 11-13. Toglie a Brunello l'anello
incantato, 14-15. Combatte con Atlante, lo vince, distrugge il castello
e libera Ruggero, che vi stava rinchiuso con altri cavalieri, 16-41.
Ruggero è rapito sull' Ippogrifo e Bradamante sconsolata ne parte
con Frontino, 42-50. Einaldo approda in Scozia : sa di Ginevra che
dovrà essere uccisa se qualche cavaliere non toglie a provare la sua
innocenza: si avvia per difenderla, 51-69. Incontra Dallnda, 70-72.
* Sono rilevati in carattere diverso i nomi, che più spiccano in ciascun canto,
afifìnché il giovane possa ritrovarli più facilmente e seguire, volendo, la storia
(lei princijjali personaggi del poema.
XVlil SOMMARIO DEI QUARANTASEI CANTI
V. Daliiula cameriera di Ginevra racconta a Rinaldo la trista
storia di questa principessa, e glie ne dimostra l'innocenza, 1-75. Ri-
naldo va alla corte del Re, padre di Ginevra, e svela che Polinesso
ha calunniato sua figlia, 76-88. Combatte con Polinesso e 1' uccide,
89-90. Vien riconosciuto Arìodante, il fido amante di Ginevra, 91-£^.
VI. Vicende d' Arìodante. Sposa Ginevra, 1-16. Ruggero è portato
suir Ippogrifo all'isola d'Alcina, 17-25. Ode da Astolfo, mutato in
mirto, la mala indole di questa fata ; ma si lascia prendere dalle in-
sidie ch'essa gli tende, 26-78. Combatte con un mostro, 79-81.
VII. Ruggero nel palazzo incantato d'Alcina, 1-44. Bradaniante,
per aver novelle di Ruggero, ricorre a Melissa, la quale, fattasi
prestare da lei l' anello magico, si reca all' isola d' Alcìna e libera
Ruggero, 45-76. Ruggero, presa la spada Balisarda e il cavallo Ra-
bicano, fugge a Logìstilla, 76-80.
VIII. Ruggero, superati varii pericoli, arriva a Logistilla, 1-21.
Rinaldo ottiene dalla Scozia e dall'Inghilterra gì' implorati sussidi,
22-28. Angelica cade nell'insidie dell'Eremita. E presa dai corsari
di Ebuda ed esposta all'Orca, 29-67. Orlando si mette in cerca di
Angelica. Brandiniarte lo segue, 68-91.
IX. Orlando sente della legge di Ebuda, 1-13. Vuole andare in
Ebuda, ma una tempesta lo caccia alla foce della Schelda, 14-17.
Storia d' Olimpia e dì Bireno, 18-58. Orlando uccide Ciniosco e libei-a
Direno, 59-87. Getta l' archibugio in mare e s' avvia ad Ebuda, 88-
93. Olimpia e Bireno fan nozze solenni, 94.
X. Bireno abbandona Olimpia, 1-34. Ruggero fugge da Alcina a
Logistilla, 35-68. Ruggero si parte sull' Ippogrifo, arriva sul Tamigi
e vede la rassegna dell' esercito, che deve portare aiuto a Carlo
Magno: quindi seguita il cammino e arriva in Ebuda, 69-91. Libera
Angelica dall'Orca, 92-115.
XI. Angelica si invola a Buggero, 1-15. Ruggero credendo di
veder Bradamante rapita da un gigante, la segue e capita nel palazzo
d'Atlante, 16-21. Orlando uccide l'Orca e libera Olimpia, 22-45. Si di-
fende contro le ire degli isolani, 46-53. Olimpia racconta i propri
guai; poi sposa il re d'Ibernia 54-79. Orlando parte, 80-83.
XIL Orlando, in cerca d'Angelica, incappa nell'insidie d'Atlante,
1-22. V incappa anche Angelica e ne libera Sacripante, Orlando,
Ferraù, 28-33. Angelica sparisce. Duello tra Orlando e Ferrali, 34-
5G. Ferraù trova 1' elmo d' Orlando e lo prende, 57-62. Angelica in-
contra un giovinetto ferito, 63-65. Orlando fa strage di due schiere
nemiche, 66-85. Trova in una spelonca Isabella e Ga1)rina, 86-94.
XIII. Storia d' Isabella. Orlando uccide i ladroni e porta seco
Isabella. Gabrina fugge, 1-44. Bradamante va al palazzo d'Atlante
per liberar Ruggero, ma cade anch'essa nelle insidie del Mago, 45-
79. Agramante vuol passare in rassegna il suo campo, 80-83.
DELL' ORLANDO FURIOSO XIX
XIV. Una vittoria del duca Alfonso. 1-10. Rassegna delle schiere
di Marsilio e d'Agramante, 11-28. Orlaiid» fa strage delle schiere di
Alzirdo e Manilardo. Maudrlcai'do si mette in cerca d'Orlando; in-
contra Doralìce e la fa sua, 29-64. Preparativi di Carlo Magno.
L'Angelo Michele in cerca del Silenzio e della Discordia, 6S-97. As-
salto e difesa di Parigi. Valore e crudeltà di Rodomonte, 98-134.
XV. Continua la difesa e 1' assalto di Parigi, 1-9. Astolfo ha da
Logistilla il libretto e il corno magico. Suo viaggio per mare e per
terra. Prende Caligorante e uccide Orrilo, 10-90. Va con Grifone e
Aqnilaute a Gerusalemme, 91-100. Grifone per amore d'Orrigille vuole
andare in Antiochia, 101-105.
XVI. Grifone incontra Orrigille e Martano. Va con loro alla gio-
stra in Damasco, 1-16. Ancora l'assalto di Parigi. Prodezze di Ro-
domonte, 17-28. Rinaldo con gli aiuti, guidati dal Silenzio. Zer-
bino e suo valore, 29-84. Carlo e i suoi Paladini contro Rodomonte,
85-89.
XVII. Tiranni mandati da Dio in punizione dei peccati, 1-5. Carlo
e i suoi assalgono Rodomonte, 6-16. Grifone e i compagni odono la
storia di Norandino e Lncina. Vanno alla giostra in Damasco. Viltà
di Martano. Valore di Grifone, 17-105. Martano inganna Grifone, che
preso per Martano è svillaneggiato, 106-135.
XVIII. Grifone rivendica il suo onore, 1-7. Rodomonte esce di
Parigi. Geloso di Doralice va in cerca di Mandricardo, 8-37. Continua
la battaglia sotto Parigi, 38-58. Grifone onorato da Norandino. Mar-
tano e Orrigille puniti, 59-94. Nuova giostra, dove vanno Astolfo
Sansonetto e Marflsa, 95-108. Marfìsa riconosce le sue armi, rubatele
da Brunello, e le recupera, 109-132. Marflsa e gli altri s'imbarcano
per la Francia. Burrasca, 133-145. Pine della battaglia fra Cristiani
e Mori, 146-164. Cloridano e Medoro in cerca del cadavere di Dar-
dinello. Sono sorpresi dalla schiera di Zerbino, 165-191.
XIX. Cloridano è ucciso, Medoro ferito, 1-17. Angelica trova Me-
doro, lo risana, se ne innamora, lo sposa e torna con lui in Oriente,
18-42. Marflsa e i compagni giungono alla città delle femmine omi-
cide. Lotte che sostengono. Gnidon Selvaggio, 43-108.
XX. Donne antiche famose, 1-3. Gaidon Selvaggio racconta la sua
storia. Cosi egli e Astolfo si riconoscono parenti, 4-69. Propositi e
tentativi di fuga. Astolfo mette in fuga le donne col corno e resta
solo nella città, 70-97. Giunti gli altri a Marsilia, Sansonetto, Grifone,
Aquìlante, Guidone arrivano a un castello, 40-47. Marflsa trova Ga-
brina. La fa vestire con gli abiti della donna di Pinabello. Incontra
Zerbino e l'obbliga a tor seco la vecchia, 98-128. Questa dà a Zerbino
cattive notizie d'Isabella, 129-144.
XXI. Zerbino e Gabrina incontrano Ermonide, che riconosce la
mala vecchia, combatte con Zerbino e ne è ferito a morte, 1-11. Er-
XX SOMMARIO DEI QUARANTASEI CANTI
monide racconta la storia dell' infame donna, 12-66, Zerbino prosegue
il cammino colla trista compagna. Ode uno strepito d'armi, 67-72.
XXII. Il Poeta si scusa d'avere sparlato delle donne. Zerbino
trova un cavaliere morto, 1-4. Astolfo distrugge il castello d'Atlante,
Medita di torsi l' Ii^pogrifo, 5-30, Rnggrero e Bradamaute si ricono-
scono. Vanno al castello di Pinabello. Ruggero combatte con Aqui-
lante, Gvifoij^e, Sansouetto e Guidone. Bradamaute riconosce Pina-
bello e l'uccide, ma smarrisce la \' ^^-98.
XXIII. Bradamaute riceve, da Astolto, Kabicano e va a Montal-
bano, donde manda Frontino a Ruggero; ma per via il cavallo è
rapito da Rodomonte, 1-38. Zerbino arriva dove si fauno i funerali
di Pinabello ; è creduto l' uccisore, ma Orlando lo salva e gli rende
Isabella, 39-69. Duello fra 3Iandricardo e Orlando, 70-88. Mandri-
cardo è portato via dal cavallo sfrenato. Incontra Gabrlna, 89-95.
Orlando capita dove trova le testimonianze degli amoi-i d'Angelica
con Medoro. Comincia la gran pazzia, 96-136.
XXIV. Amore è insania, 1-3, Prove d' Orlando pazzo, 4-14. Zer-
bino sa la storia delle sventure d'Isabella. Dà Gabrlna a Odorico,
15-45. Trova le armi d'Orlando. Volendo contrastarne il possesso a
Mandricardo è ucciso da lui, 46-85. Isabella s'incammina con un
Eremita verso Provenza, 86-98. Duello di Mandricardo con Rodo-
monte. Tregua. Vanno ambedue al campo de' Mori, 94-116.
XXV. Ruggero salva Ricciardetto. Vanno al castello d' Agri-
smonte, 1-73, Tristi notizie di VÌTÌano e Malagigi, 74-80. Ruggero
scrive a Bradamaute, 81-93. Ruggero e gli altri si avviano al luogo,
dove pensavano di liberare Malagigi e Viviano. Incontrano Marflsa,
94-97.
XXVI. Marflsa, Ruggero e gli altri sconfiggono i Maganzesi e li-
berano Viviano e Malagigi, 1-29. Fontana istoriata, 30-53. Ruggero
s'incontra con Ippalca; sa che Rodomonte le ha rapito Frontino; si
avvia in cerca del Saracino, 54-67, Battaglia di Mandricardo con
Vìvisino con Ricciardetto, con Marflsa, 68-85. Nuovi litigi fra Man-
dricardo, Ruggero, Rodomonte e Marflsa, 86-129. Malagigi fa da un
demonio portar via Doralice, e dietro lei corrono Mandricardo e Ro-
domonte, 130-132. Marflsa e Ruggero vanno per rintracciarli, 133-137.
XXVII. Gradasso, Sacripante, Rodomonte, Mandricardo, Rug-
gero, Marflsa giungono al campo cristiano e vi fanno strage, 1-33.
La Discordia muove liti fra i Saracini, 34-84. Marflsa prende il ladro
Brunello, 85-100. Si pattuisce di lasciare a Doralice la scelta tra
Mandricardo e Rodomonte. Questa sceglie Mandricardo, 101-111. Ro-
domonte parte per tornare in Affrica, ma, fermatosi ad una osteria,
il padrone vuol confortarlo con allegre novelle.
XXVIII. Finito il racconto dell'oste, Rodomonte parte, ma per
via incontra Isabella con l'Eremita. S'invaghisce della fanciulla.
DELL' ORLANDO FURIOSO XXI
XXIX. Rodomonte uccide l'Eremita. Isabella per liberarsi dal
Saracino gli promette un' acqua che rende invulnerabili, 1-19. Fab-
brica quest'acqua e se ne bagna mostrando di farne la prova. Ro-
domonte l'uccide, 20-30. Rodomonte le edifica un gran sepolcro. Sopra
uno stretto ponte combatte i cavalieri, che vi capitano, li spoglia
delle armi, che pone nel monumento, 31-40, Vi capita Orlando. Sua
lotta con Rodomonte, e sue strane follie, 41-74.
XXX. Il Poeta si lagna della malattia d'amore, 1-3. Orlando passa
a nuoto lo stretto di Gibilterra, 4-15. Mandricardo combatte con Rug-
gero ed è ucciso, 16-75. Bradamaute si duole della lontananza di
Ruggero, e si finge inferma per non seguire Rinaldo, che porta aiuto
al campo di Carlo Magno, 76-95.
XXXI. La gelosia, 1-6. Rinaldo incontra Gnidon SelTaggio, poi
Grifone e Aquilante, 7-41. Sanno da Fiordiligi che Orlando è pazzo
42-48. Rinaldo e gli altri guerrieri cristiani assaltano i Mori. Carlo
M. viene pure in loro aiuto, 49-60. Brandimarte sa da Fiordiligi della
pazzia d' Orlando, e si mette in via per ritrovare il Paladino. Arriva
al ponte di Rodomonte e vi riman prigione, 61-75. Agrauiaute si ri-
tira in Arli, 76-89. Gradasso conviene con Rinaldo di risolvere con
le armi chi abbia ad avere il cavallo Baiardo, 90-110.
XXXII. Agraraante in Arli raccoglie nuovi aiuti, 1-5. Marflsa
rende Brunello, che da Agramante è fatto impiccare, 6-9. Brada-
maute è in pene perché Ruggero non è tornato a lei, 10-27. Sua ge-
losia per Marfisa : parte in cerca di Ruggero ; incontra UUania, 28-
63. La Ròcca di Tristano, 64-110.
XXXIII. Pittori antichi e moderni, 1-3. Il Signore della ròcca
spiega le pitture della gran sala, 4-57. Bradamaute s'avvia verso
Parigi, 58-77. Malagigi disturba il duello di Rinaldo e Gradasso, 78-
92. Gradasso prende Baiardo e s' incammina per tornare in Sericana,
93-95. Astolfo suir Ippogrifo giunge in Nubia e caccia le Arpie Del-
l'inferno, 96-128.
XXXIV. Le arpie d'Italia, 1-3. Astolfo ode il racconto di Lidia,
4-43. Sale nel Paradiso terrestre e nella luna, 44-87. Le Parche e il
Tempo, 88-92.
XXXV. Pazzia d' amore, 1-3. Allegoria del tempo e dei Poeti, 4-
30. Bradamaute va al ponte di Rodomonte e scavalca quel prode,
31-56. Bradamaute va ad Arli e sfida Ruggero. Combatte con di-
versi cavalieri e li vince, 57-80.
XXXVI. Digressione su la morte d'Ercole Cantelmo e la fellonia
degli Schiavoni, 1-10. Ruggero, mentre si prepara al duello con Bra-
damante, si turba, 11-15. Duello fra Bradamante e Marflsa, 16-27.
Zuifa tra Cristiani e Saracini. Duello tra Bradamante e Ruggero,
28-44. Nuovo duello tra Bradamante e Marflsa : diviso da Ruggero,
45-50. Zufia tra Ruggero e Marflsa, 51-58. Voce d'Atlante e rivela-
XXII SOMMARIO DEI QUARANTASEI CANTI
zione die essi sono fratelli, 59-75. Si discute come e quando Rug«
gero lascerà Agramante, 71-84.
XXXVII. Le doune sono attissime agli studi, 1-23. Ruggero, Bra-
(laniante e Marfisa avevano sentito un pianto. Accorsi, trovano Ul-
lania con altre donne. Odono la storia di Marganorre. Vanno al ca-
stello di questo tiranno, lo prendono, e stabiliscono nel luogo nuove
leggi.
XXXVIII. Ruggero va in Arli, Brad, e Marfisa al campo di Carlo,
dove Marfisa si fa cristiana, 1-23. Astolfo risana il Senape: ne ha
un forte esercito, cui provvede miracolosamente di cavalli, 24-35.
Agramante, a mal partito, si risolve a proporre che con un duello
si definiscano le ragioni della guerra. Duello fra Ruggero e Rinaldo.
Ruggero procura di non offender l'avversario ed è stimato meno
forte da' suoi, Ctl-SO.
XXXIX. Agramante turba il duello: mischia generale. Agramante,
sconfitto, fugge, 1-18. Astolfo vincitore a Biserta. Crea miracolosa-
mente una flotta, 19-29. Libera i prigioni di Rodomonte. Vede Orlando
pazzo e con altri cavalieri lo risana, 30-64. Agramante sconfitto iu
mare, 65-86.
XL. Si ricorda una vittoria del Cardinale Ippolito, 1-4. Biserta
presa e distrutta. Agramante con Soi)rlno approda a un' isoletta dove
trova Gradasso. Mandano a sfidare Orlando, 5-60. Ruggero viene a
Marsilia per seguire Agramante in Affrica. Combatte con Dudone per
liberare i re -pagani, suoi prigioniei'i, 61-82.
XLl. Dudone rende a Ruggero i prigioni, e gli dà una nave per
andare in Affrica. Da una tempesta è gettato sopra uno scoglio, 1-
22. Il legno è spinto dal vento in Affrica e Orlando vi ritrova Fron-
tino e Balisarda, 23-29. Preparativi pel duello di Lipadusa, 30-46.
Ruggero si fa cristiano, 47-67. Combattimento di Lipadusa, 68-102.
XLII. Digressione sull'ira, 1-6. Agramante, Gradasso e Brandi-
marte uccisi, Oliviero e Sobrino feriti, 7-23. Bradamante si duole
della lontananza di Ruggero, 24-28. Rinaldo, in cerca d'Angelica, gua-
risce del mal d' amore, 29-70. Si ritrova a un castello, dove gli vien
mostrato un nappo maraviglioso, 71-104.
XLIII. Danni dell'avarizia, 1-5. Rinaldo arriva a Lipadusa dopo
finita la pugna, 6-154. Disperazione di Fiordiligi. Funerali di Bfitu-
dimarte. Fiordiligi muore, 155-185. Incontro di Orlando, Rinaldo,
Oliviero e Sobrino con Ruggero. L'Eremita risana Oliviero e bat-
tezza Sobrino, 186-196. I Paladini, riconosciuto Ruggero, gli fanno
festa, 197-199.
XLIV. Rinaldo promette Bradamante a Ruggero, ignorando che
il padre Amoue l' ha promessa a Leone, 1-14. Partono tutti per la
Francia, 15-18. Astolfo ritorna i cavalli in sassi e le navi in frondi,
rimanda i Nubi ; giunge a Marsilia e lascia libero l' Ippogrifo, 19-2G.
DELL' ORLANDO FURIOSO XXIII
Carlo Magno riceve festosamente questi guerrieri, 27-34, Contrasti
per il matrimonio di Bradaniaiite con Ruggero, 35-68, Bradamante
ottiene da Carlo Magno d' essere sposata solo a chi la vinca in duello,
69-75, Buggero va a combattere in favore dei Bulgari contro Leone,
76-100. Cade in mano de' suoi nemici, 101-104.
XLV. Instabilità della Fortuna, 1-4. Ruggero preso e tormentato
5-21. Bradamante si lagna della lontananza di Ruggero, 22-40. Leone
libera Ruggero, 41-52. Gli propone di combattere in sua vece per
ottener Bradamante, 53-64. Ruggero combatte con Bradamante, 65-
82. Buggero fugge 83-94. Bradamante torna a lagnarsi, 95-102. Mar-
flsa si oppone alle nozze di lei con Leone, 103-117.
XLVI. Amici del Poeta, che si rallegrano del suo lavoro compiuto
1-19. Melissa in aiuto di Ruggero, 20-25. Leone rinunzia a Brada-
mante, 26-64. Ruggero è eletto re de' Bulgari. Si fanno le nozze, 65-76.
Il padiglione istoriato, 77-100. Nel mezzo delle teste vien Rodomonte.
Duello tra Ruggero e Rodomonte. Questi «mane ucciso, 101-140.
CANTO I
1
Le doune, i cavallier. rarmc, g\ì amori,
Le cortesie, l'audaci imprese io canto,
Che furo al tempo che passaro i Mori [to,
D'Africa il mare, e in Francia uocquer tan-
* Il titolo Orlando furioso è fojjgiato a
somiglianza di quello del Boiardo Orlando
innamorato ; mentre dai romanzieri popo-
lari si sarebbe detto piuttosto L'innamo-
ramento d'Orlando. Inoltre l'A. ha sentito
l'influenza classica del titolo di una tragedia
<U ìiewec^ Hercules furens. usando furioso
nel significato latino di Pazzo. « Insomma
nella storia dei frontespizi si può scorger
riflessa quella dell' epopea romanzesca, vi
si vedono le trasformazioni proceder lente,
graduate ; vi appare il Boiardo iniziatore di
novità; si vede l'A. spingere il romanzo
nella direzione del mondo antico, nel tempo
stesso che si manifesta legato col Conte di
Scandiano» Raina, f., pag. 59.
1. — In questo proemio l'A. di quanto s'al-
lontana dalla maniera dei poemi popolari,
i quali cominciavano per lo più con invo-
cazioni a Dio e col rivolgersi agli ascolta-
tori, come fa pure il Boiardo, di altrettanto
si accosta al poema classico colla proposi-
zione e colla dedica al suo Mecenate, il car-
dinale Estense. Cfr. il principio dell' Iliade
e dell' Eneide.
— 1. Le donne. L'A. promette principal-
mente un poema d'avventura, quantunque
il Furioso abbia a sostrato 1' azione epica
della guerra fra .\gramante e Carlo Magno.
K avverti già nella prima ottava la fusione
drti due cicli. Carolingio e Brettone, che l'A.
continua dal Boiardo, riducendola ancora
a maggiore unità.
— cavallier ; 1' A. usò costantemente que-
sta forma, usata anche da altri .scrittori ;
più raramente però dai Toscani.
— l'arme, i combattimenti. Questo princi-
pio ricorda i due versi danteschi Purg., xiv.
loy : Le donne i cavalier gli affanni e gli agi,
Che ne invogliava amore e cortesia.
Seguendo Tiro e i giovenil furori
D'Agramante lor re, che si die vanto
Di vendicar la morte di Troiano
Sopra re Carlo iraperator romano.
2
Dirò d'Orlando in un medesnio tratto
Cosa non detta in prosa mai, né in rima;
Ciie per amor venne in furore e matto,
D' uom che si saggio era stimato prima:
Se da colei che tal quasi m' ha fatto,
— 5. Seguendo l'ire ecc. L'A. riassume
cosi ciò che è detto ampiamente nell'Inna-
morato. Agramante, re d'Affrica, all'età di
rentidue anni pensa di vendicare il padre
Troiano uccisogli in Borgogna da Orlando;
e radunati a consiglio 32 re da lui dipen-
denti, delibera di muover contro Carlo Ma-
gno. Agramante e la guerra da lui portata
in Francia sono invenzioni del Boiardo.
2. 1. Dirò d' Orlando. Anclie il Furioso,
obbedendo alle leggi del poema romanzesco,
non ha unità di azione ; quantunque in esso
la parte epica (guerra contro Carlo Magno)
e la parte romanzesca (amore e pazzia d'Or-
lando) s' avvicinino e si compenetrino tal-
mente che r una in fine rientra nell' altra.
Orlando è personaggio storico, ma di lui
sappiamo soltanto che era governatore
della Marca di Brettagna e che mori a Ron-
cisvalle nel 778 in una spedizione contro i
Saraceni. La leggenda ne aveva già fatto fin
dai tempi antichi il paladino più maravi-
glioso della corte di Francia. La forma fran-
cese del nome è Roland. Il suo innamora-
mento e la sua pazzia sono invenzioni del
Boiardo e dell'Ariosto, che trasformarono
cosi il severo, religioso, casto Orlando del
ciclo Carolingio in un cavaliere d'avventura,
come quelli del ciclo Brettone.
— 3. renne. . . matto. Venire per divenire
è d' uso frequentissimo nella nostra lette-
ratura.
— 5. Se da colei ecc., Se daquelladonnache
mi ha fatto diventar quasi pazzo (tal) come
Orlando, e che ecc. La mancanza della coa-
Ariosto — Papini
ORLANDO FURIOSO
Che "1 poco ingegno ad or ad or mi lima,
Me ne sarà però tanto concesso,
Che mi basti a finir quanto ho promesso.
3
Piacciavi, generosa Erculea prole,
Ornamento e splendor del seco! nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
E darvi sol può l'umil servo vostro.
Quel eh' io vi debbo, posso di parole
Pagare in parte e d'opera d'inchiostro:
Né clie poco io vi dia da imputar sono;
Che quanto io posso dar, tutto vi dono.
4
Voi sentirete fra i più degni Eroi,
Che nominar con laude m'apparecchio,
Ricordar quel Ruggier, che fu di voi
E de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e chiari gesti suoi
A'^i farò udir, se voi mi date orecchio,
E vostri alti pensier cedino un poco.
Si che tralor miei versi abbiano loco.
giunzione rende i due versi più passionati,
ma meno chiari. Un commento a questo
luogo è al e. XXXV, 1. Chi è questa donna?
Certo Alessandra Benucci, fiorentina, ve-
dova di Tito Strozzi ferrarese. 11 Poeta s'in-
namorò di lei a Firenze nel giugno del 1513.
E poiché il poema fu cominciato alla fine
del 1505 o al principio del 1506 quando an-
cora Va. non amava certamente questa don-
na, è da credere o che aggiungesse (piesta
allusione rimaneggiando l'ottava, come fa-
ceva spessissimo, o che volgesse ad Ales-
sandra parole scritte per altra.
3. 1. generosa Erculea prole. Il cardinale
Ippolito d'Este era figlio di Ercole 1. il oc-
■>ierosa non veniva dal cuore del poeta, come
risulta spesso dalle sue satire.
— 2. Ornamento ecc. Sul valore di queste
iodi v. Ili, 50.
4. 1. nominar... m'apparecchio. È uso fre-
quentissimo neir A. di omettere le preposi-
zioni degli inliuiti dipendenti. In ciò ha imi-
tato largamente un uso già esistente nei
grandi scrittori.
— 3. Ruggier. Di lui e dell'importanza ge-
nealogica attribuitagli, prima dal Boiardo,
poi dall'A. vedi e. Ili, 19 e xxxvi, 70.
— I. ceppo vecchio. Dante, Par. xvi, 106:
<f Lo ceppo di che nacquero i Calfucci ». Sulla
moda di riportare alla remota antichità le
origini delle illustri famiglie v. e. ni, 17.
— 5. gesti. Questa forma è la più usata da-
gli antichi: si usò anche oesi.e: oggi più
comun. ge.sta (lat. gesta — fatti compiuti).
— 6. Se... date... cedino. L'A. mescola spes-
60 i modi, e non sempre è facile trovarne la
ragione. Qui si può dire che P indicativo,
proprio di questa e simili frasi oratorie, di-
mostra la fiducia di clii parla nell'attenzione
Orlando, clie gran tempo innamorato
Fu de la bella Angelica, e per lei
In Lidia, in Media, in Tartaria lasciato
Avea infiniti et immortai trofei.
In Ponente con essa era tornato,
Dove sotto i gran monti Pirenei
Con la gente di Francia e di Lamagna
Re Carlo era attendato alla campagna,
0
Per fare al re Marsilio eal re Agramaiite
di chi ascolta; il cong. dimostra il dubbio
dello scrittore clie tanto alti pensieri pos-
sano, anclie per poco, lasciare Ippolito. Ce-
dino è forma popolare ancora viva in To-
scana ; e avverti fin d' ora che 1* A. ama
spesso le forme, i costrutti, gli scorci popo-
lari toscani.
5. — Fino a tutta la st. 0 si riassume VOrU
Innam. Angelica figlia del re del Catai e il
fratello Argalia erau venuti in Francia man-
dati dal padre con armi incantate, perché
seducessero e vincessero i prodi cavalieri cri-
stiani da lui odiati. Argalia è ucciso, .\nge-
lica torna al Catai; ma è seguita da Orlando
e da Rinaldo innamorati di lei. Kinaldo in-
tanto, per via, beve alla fonte dell'odio, men-
tre ella per caso beve a quella dell'amore,
e cosi si scambiano le parti: essa desidera
Rinaldo che invece la fugge. Tornata al Catai,
la vuole in isposa Agricane re di Tartaria,
ma essa lo rifiuta e si rinchiude nella for-
tezza di Albracca. Ivi, contro Agricane, le
vengono in aiuto diversi principi e cavalieri,
specialmente Orlando, che essa non ama,
ma che lusinga, per approfittare del suo va-
lore. Dopo lunga resistenza e molte avven-
ture, essa vuole andare in cerca di Rinaldo,
e con Orlando viene in Ponente. Quivi di
nuovo si scambiano le parti ; Angelica be-
vendo alla fontana del disamore odia e fugge
Rinaldo, questi, avendo bevuto all'altra fon-
tana, l'ama e per lei viene alle mani con
Orlando. Avvertito di ciò Carlo Magno, che
era stretto da Rodomonte e da Marsilio di
Spagna, accorre sul luogo, fa cessare i due
cugini, prende .=\ngelica e la consegna al
duca di Baviera, promettendola in premio
a quel dei due paladini, che ucciderà più
nemici. Nel combattimento han la peggio i
cristiani, che fuggono e si chiudono in Pa-
rigi. Fin qui il Boiardo.
— 1. trofei ; si accenna alle imprese com-
piute da Orlando nel suo viaggio dietro ad
Angelica. V. Ori. Innam.
— 7. Lamagna. Aferesi di Alamagna.
6. 1. Marsilio. Non è storico, mala sua parte
è considerevole nella leggenda di Carlo M.»
il quale avrebbe diretto contro lui la sto-
rica spedizione in Spagna.
CANTO I
Battersi ancor del folle ardir la guancia,
D'aver condotto, l'un, d'Atrica quante
Genti erano atte a portar spada e lancia;
L'altro, d'aver spinta la Spagna inante
A destruzion del bel regno di Francia.
E cosi Orlando arrivò quivi a punto:
Ma tosto si penti d'esservi giunto ;
7
Che vi fu tolta la sua donna poi :
Ecco il giudicio umau come spesso erra!
Quella che dagli Esperii ai liti Eoi
Avea difesa con si lunga guerra,
Or tolta gli è fra tanti amici suoi,
Senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio Iniperator, ch'estinguer volse
Un grave incendio, fu che gli la tolse.
8
Nata pochi di inanzi era una gara
Tra il conte Orlando e il suo cugiu Rinaldo;
Che ambi avean per la bellezza rara
D'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
'^ìie gli rendea l'aiuto lornien saldo,
lesta donzella, che la causa n'era,
lise, e die in mano al Duca di Bavera;
9
In premio promettendola a quel d'essi,
Ch' in quel conflitto, in quella gran gior-
[nata,
— 2. battersi ancor... la gnancia; pentirsi.
Dice aucov, perché altre volte, secondo la
leggenda, Carlo M. avea battuto i Mori.
Dante, Inf. xxiv; per indicar dolore avea
detto battersi l'anca ; il Poliziano, Rim. C.
42: Percotesi il furor con man la coscia.
Su queste immagini l'A. foggiò la sua.
— 7. a punto ; a proposito. In questo senso
non è registrato dai vocabolari.
7. 1. vi fu tolta... poi; ivi gli fu tolta poco
dopo ecc. Quanto al che V. e. iii, 6, n. G.
— 3. dagli esperii ecc. ; dai liti occidentali
{espero, stella che appare verso ponente),
ai liti orientali (gr. eos, aurora): è espres-
sione classica, che vale: dappertutto. Ovi-
dio 1: Amor, xv, 29: Gallus et liesperiis, et
Gallus notus eois.
— 7. volse, volle : forma popolare usatii
Spessissimo dall'A.
— S. un grave incendio ; la discordia fra Ri-
naldo e Orlando.
— gli la; l'A. usa costantemente questa
forma usata anche da altri antichi, invece
della più comune : glie la.
8. 1. pochi di inanzi: intendi: Innanzi a
quello, nel quale comincia l'azione del poe-
ma, quando cioè, rotti i cristiani, Angelica
fugge.
— 8. duca di Bavera; il ducaXamo, che nei
romanzi francesi è detto Naimes, Naiman,
è un vecchio savio.
9. 2. in quella gran giornata. É poco esatto.
Desìi Infide! i pili copia Hccides.si,
E di sua man prestassi opra piti grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
Ch' in fuga andò la gente battezzata,
E con molti altri fu '1 duca prigione,
E restò abbandonato il padiglione.
10
Dove, poi che rimase la donzella
Ch'esser dovea del vincitor mercedi%
Inanzi al caso era salita in sella,
E quando bisognò le spalle diede.
Presaga che quel giorno es.'5er rubella
Dovea Fortuna alia Cristiana fede :
Entrò in un bosco, e ne la stretta via
Rincontrò un cavallier eh' a pie venia.
11
Indosso la corazza, l'elmo in testa,
La spadaalfìanco,einbraccioavealo scu-
E pili leggier correa per la foresta, [do ;
Ch'ai pallio rosso il villau mezzo ignudo!
Timida pastorella mai si presta
Non volse piede inanzi a serpe crudo,
Come Angelica tosto il freno torse.
Che del guerrier, eh' apio venia, s'accorse.
12
Era costui quel Paladin gagliardo,
Figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
perché la grande battaglia non avvenne il
giorno che Carlo fece prendere Angelica,
ma pochi giorni dopo : Inn.., ii, 21.
— 3. uccidessi ; è forma popolare comunis-
sima negli antichi scrittori.
— 5. successi, eventi : significato frequen-
tis^iuio.
10. 3. Inanzi al caso; prima che avvenisse
la disfatta. Caxo vale avvenimento.
— 4. quando bisognò ; quando fu opportuno.
Cosi anche altri scrittori: Bocc. Dee. nov. 10:
In più lunghi digiuni che loro non sarian
bisognati.
— 7. nella stretta via. Dice nella invece che
in una, perché nei boschi tutte le strade
sono strette.
11. 4. al pallio rosso. Pallio o palio (lat.
Ijallium) era un drappo, che davasi in pre-
mio al vincitore nelle corse a piedi che erano
in uso nel Medio Kvo nelle città italiane.
Dante, Inf. xv, 122: parve di coloro Che
corrono a Verona il drappo verde.
12. 2. Figlinol d' Amen. Rinaldo, uno dei
quattro figli d' Amone e di Beatrice, era si-
gnore di Montalbano, castello sui confini
della Dordogna. È paladino molto celebrato
nei poemi popolari italiani : invece negli
antichi cauti francesi appare non come pa-
ladino, ma come un signorotto in lotta con-
tinua con Carlo M. Già ueìV Jnnam. è un
carattere meno turbolento e più serio che
nei poemi popolari; nell'A. poi acquista vera
dignità epica.
ORLANDO FURIOSO
A cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
Per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna ejili drizzò lo sguardo,
Riconobbe, quantiinque di lontano,
L'angelico sembiante e quel bel volto
Ch'air amorose reti il tenea involto,
lo
La Donna il palafreno a dietro volta,
E per la selva a tutta briglia il caccia ;
Né per la rara più die jjer la folta,
La più sicura e miglior via procaccia:
Ma pallida, tremando, e di se tolta.
Lascia cura al destrier che la via faccia.
Di su di giù ne l'alta selva fiera
Tanto girò, che venne a una riviera.
14
Sn la riviera Ferraù trovosse
Di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
L'n gran disio di bere e di riposo:
E poi, mal grado suo, quivi fermosse-.
Perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,
L'elmo nel fiume si lasciò cadere,
V Né l'avea potuto anco riavere.
— 3. A cui pur dianzi, la a. Ili, iv, 29, 40. Ri-
naldo nella gran rotta dei Cristiani, dopo
aver faito prodezze inaudite, si attacca con
Ruggero ; aia essendo questi a piedi, anche
egli per cortesia scende da Baiardo; quando
poi vuol riprenderlo, il cavallo gli scappa
per una selva : e il Boiardo finisce cosi :
Onde lasciarlo un pezzo è di inestiero, Che
gU incontrò in quel loco alta ventura.
— Baiardo. Questo cavallo fatato è antico
nella letteratura cavalleresca: invece gli al-
tri sono invenzione del Boiardo. L' A. ha
preso questo e gli altri come sono descritti
iieir lìin.
— <S. involto... alle. Costrutto raro : più co-
mun : invo/to in, tra, di.
13. 1. palafreno; (lat. meA. parat'eì-edus;
di elim. incerta); cavallo di parafa, che usa-
vano i grandi personaggi, e anche le donne
invece di carrozza. Spesso è scambiato con
destriero, come al v. 6.
— 6. destrier; veramente è il cavallo da
guerra (lat. med. de.vtrarius: condotto aj
mano dallo scudiero colla mano destra). Il ]
cavaliere viaggiava ordinariam. sopra un
ronzino per non stancare il destriero.
— 7. selva fiera; noiosa, spiacevole: cosi
Dante, inf. xxiii, 135: I vallon feri.
14. 1. Ferrali. K già nei poemi popolari;
detto per lo più Ferracuto, Kerragus, o come
lo chiama il Boiardo, Ferraguto. Nel Pseudo-
Turiiino è lui gigante venuto in aiuto dei
iSaraciiii di Spagna; ueWJnn. è un fiero gio-
vinetto pagano, jjerfetto cavaliere, orgo-
glioso, terribile nell'aspetto: I, u, IO. Si tro-
vava alla corte di Carlo M. quando venne
15
'guanto potea più forte, ne veniva
Gridando la donzella ispaventata,
A quella voce salta in su la riva
Il Saracino, e nel viso la guata;
E la conosce subito ch'arriva,
Benché di timor pallida e turbata,
E sien più di che non n' udi novella.
Che senza dubbio eli' è Angelica bella.
16
E perché era cortese, e n'avea forse
Non men dei dui cugini il petto caldo,
L'aiuto che potea tutto le porse,
Pur come avesse l'elmo, ardito e baldo :
Trasse la spada, e minacciando corse
Dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s'eran già non pur veduti,
Bla al paragon de Tarme conosciuti.
17
Cominciar quivi una crudel battaglia,
Come a pie si trovar, coi brandi ignudi:
Non che le piastre e la minuta maglia,
Angelica; combatté coH'Argalia fratello di
Angelica e l'uccise. Questi morendo gli chie-
se in grazia che il suo cadavere fosse git-
tate nel fiume con tutta T armatura; ma
Ferrag., che aveva in un coml)attiinento per-
duto l'elmo, chiese i>er quatti-o soli giorni
quello dell' Argalia, e dal morente gli fu
concesso. Anch' egli innamorato d'Angelica
si mette in cerca di lei e incontra varie av-
venture. Combatte pel suo re Marsilio contro
Carlo M. e nell'ultimo assalto dato da Agra-
mante, Marsilio e Rodomonte, egli fa prodigi
di valore: quindi assetato va ad una riviera
per bere : tuffa l'elmo per empirlo, ma que-
sto gli cade dentro. Fin qui il Boiardo. Nel-
l'A. Ferraù diventa il vantator spagnuolo,
mentitore; secondo la tendenza, che ha l'A.
di elevare i cristiani e deprimere gì' infedeli.
15. l. Quanto potea ecc.; la donzella ve-
niva più forte che poteva, gridaìido per in-
citare il cavallo.
— S. Che senza dibbio; va unito al v. 5 e
deve sottintendersi un conosce ripetuto.
16. 2. dui : forma assai comune negli scrit-
tori antichi; l'A. l'usò sempre per il ma-
schile insieme con <(iio e dua\ per il femm.
usò quasi sempre due. Il Bembo, Previe,
1. HI, e il Cittadini avvertono che duo è
della poesia, dna era dell' uso fiorentino,
mentre i Senesi dicevano due anche per il
maschile.
— 7. Pili volte. Accenna all' Iim. U, xxiv,
XXIX.
17. 3. piastre ; le lamine di cui eran for-
mati gli spallacci, i bracciali, la corazza ecc.
— maglia. Di maglia di ferro era fatta
un'armatura che si portava sotto le armi
pesanti.
CANTO I
Ma ai colpi lor non regg:erian gV incudi.
Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,
Bisogna al palafren che '1 passo studi;
Che, quanto può menar delle calcagna,
Colei lo caccia al bosco e alla campagna.
18
Poi che s'affaticar gran pezzo invano
I dui guerrier per por 1' un l'altro sotto ;
Quando non meno era con Farnie in mano
Questo di quel, né ([uel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Montailiano,
Ch'ai cavallier di Spagna fece motto,
Si come quel c'iia nel cuor tanto loco,
Che tutto n'arde e non ritrova loco.
19
Disse al Pagan : Me sol creduto avrai,
E pur avrai te meco ancor otreso :
Se questo awien percln* i fulgenti rai
Del nuovo Sol t'alibino il petto acceso,
Di farmi qui tardar che ijuadagno hai ?
Che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
Non però tua la liella donna ria ;
Che, mentre noi tardian, se ne va via.
20
Quanto fìa meglio, amandola tu ancora,
Che tu le venga a traversar la strada,
A ritenerla e farle far dimora,
Prima che pin lontana se ne vada I
Come l'avremo in potestate, allora
Di chi esser de' si provi con la spada.
Non so altrimente, dopo un lungo alfanno,
Che possa riuscirci altro che danno.
21
Al Pagan la proposta non dispiacque;
— 4. gì' incudi. L'A. usò sempre questa pa-
rola al masch. : altri più spesso al femiu.
18. 3. Qnando; poiché; uso derivato dai
quanilo dei latini, che talvolta ha questo si-
gnif. È frequente nella poesia e nella prosa
antica, ed è vivo ancora nell'uso. Petr.
Canz. x: Spirto beato, quale Se' quando al-
trui fai tale ?
19. 1. me sol creiìato avrai: sott. offeso:
avrai credulo me solo offeso, danneggiato
da questo ritardo.
— 3. Se questo ; o è riferito vagamente a
tuttoil contesto: questa lotta, questo tenta-
tivo di danneggiarmi; o più prol)abilmeute
si deve riferire al 5 verso per prolepsi : se
mi fai tardare ecc.
— 4. nuovo sol; Angelica, clie è riapparsa a
Ferraù, come il sole riappare sull'orizzonte.
V. liì.i. I, III, 79, dove Orlando fa a Ferra-
guto le stesse rillessioni.
— S. tardian. L' A. usò quasi sempre questa
terminazione obbedendo, più che alla mor-
fologia, all'orecchio, il quale nella pronun-
zia di queste forme tronche sente una n.
20. 7. Non so altrimeote ; altrimenti fa-
cendo, non so eec.
Cosi fu differita la tenzone;
E tal tregua tra lor subito nacque,
Si l'odio e r ira va in oblivione,
Che'l Pagano al partir da le fresclie acque
Non lasciò a piedi il buon fìglinol d'Amone;
Conpreghiinvita,etal fin togliein groppa,
E per l'orme d'Angelica galoppa.
22
Oh gran bontà de' cavallieri antiqui !
Eran rivali, eran di fé diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
Per tutta la persona anco dolersi ;
E pur per selve oscure e calli obliqui
Insieme van, senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
Dove una strada in due si dipartiva.
2o
E come quei che non sapean se l'una
0 l'altra via facesse la donzella,
(Però che senza differenzia alcuna
Apparia in amendne l'orma novella)
Si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,
E ritrovossì al fine onde si tolse.
24
Pur si ritrova ancor su la riviera,
Là dove l'elmo gli cascò ne l'onde.
Poi che la donna ritrovar non spera,
Per aver l'elmo che '1 fiume gli asconde,
In quella parte, onde caduto gli era.
Discende ne l'estreme umide sponde:
Ma quello era si fitto ne la sabbia,
Che molto avrà da far prima che l'abbia.
21. 7. Con preghi invita. Sia detto ora per
sempre che l'A- imitando lo stile latino,
omette spessissimo il pronome quando dal
contesto si può facilmente rilevare. Altri
scrittori lo fecero con meno frequenza.
22. 1. Oh gran bontà: verso divenuto pro-
verbiale. Queste generosità sono frequenti
fra i cavalieri : cosi il Boiardo fa giacer
l'uno presso l'altro' orlando e Agricane, in
attesa di nprendei-e la battaglia I, xvm, 40.
— 3. iniqui, ec'cessi vi, fuori dell'ordinario:
anche questo senso aveva il latino ini'iuus,
donde il nostro. Viro. 1, G. 161: iniquo pen-
dere rastri.
23. .'). Si messero ... a questa. Mettersi a
una via non è frequente neppur negli an-
tichi: G. Giud. XV, 72: Si parti immanti-
nente e mettesi alla via.
24. 1. Pur; finalmente. É frequente negli
scrittori.
— 6. nell'estreme sponde, nell'estremità
della sponda. I.'aggett. è usato a ino' dei
latini: (in summo monte = nella sommità
del monte).
ORLANDO FURIOSO
Con un gran ramo d'albero rimondo,
Di che avea fatto una pertica lunga,
Tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
Né loco lascia ove non batta e punga.
Jlentre con la maggior btizza del mondo
Tanto l'indugio suo quivi prolunga,
Vede di mezzo il fiume un cavalliero
Insino al petto uscir, d'aspetto fiero.
. ,'- 26
Era, fuorché la testa, tutto armato,
Et avea un elmo ne la destra mano:
Avea il medesimo elmo che cercato
Da Ferrali fu lungamente invano,
A Ferrali parlò come adirato, " ■ "
*" E disse: Ah mancator di te, MaLrano '
Perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
Che render già gran tempo mi dovevi ?
27 ^ù., ,'o ■
Ricordati, Pagan, quando uccidesti
D'Angelica il fratel (che son quell'io)
^^ Dietro a l'altre arme tu mi promettesti
' "^ Fra pochi di gittar l'elmo nel rio.
Or se Fortuna (quel che non volesti
Far tu) pone ad efìetto il voler mio,
Non ti turbar: e se turbar ti dei,
Turbati, che di fé mancato sei.
28
Ma se desir pur hai d'un elmo fino,
Trovane un altro, et abbil con più onore;
Un tal ne porta Orlando paladino,
Un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
L' un fu d'Almonte, e l'altro di Manibrino:
Acquista un di quei dui col tuo valore;
25. 1. albero. Qui probabilmente è usato
per pioppo, come si usa ancora in Toscana.
— 3. Tenta; tocca leggermente qua e là:
signif. frequente nella letteratura.
26. 6. marrano (etini. incerta). È voce spa-
gnuola che vale ^iojvo, ma si usò già nel
quattrocento in traslato a mo' di ingiuria.
— 7. anche t'aggrevi. Non solo non mi ren-
desti l'elmo, ma ti dispiace anche di lasciarlo.
Ac/grevar.si nei senso di sentir dispiacere è
raro.
— S. già gran tompo, e anche il solo già
tempo., sono modi frequenti per il più co-
mune già da g. t. xxv, 57. 2: già uh pezzo.
27. 1. Pagan. Nei poemi e romanzi di ca-
valleria sono detti indistintamente pagani e
anche saraciui (arab. Sbarkiin = orientale)
tanto i veri pagani o idolatri, quanto i Mu-
sulmani. Pagano vale insomma nemico della
religione cristiana.
— 4. fra pochi di'; dopo pochi di. Riferito
cosi al passato non è raro nella Ietterai.
— 8. Turbati che ; turb. perché.
28. 5. L' nn fu d'Almonte. Almonfe fra-
tello del re Troiano è figlio d' Agolante fu
ucciso dal giovinetto Orlando in Aspiamonle
E questo, e' hai già di lasciarmi detto,
Farai bene a lasciarmelo iu effetto.
20
All'apparii;. che. fece all'iniproviso
De l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciosse,
E scÒlorosse al Saracino il viso;
La voce, ch'era per uscir, fermosse.
Udendo poi da rArgalia,jCh' ucciso ^
Quiyi avea già, (che rArgalìà nomosse)
La rótta fede CÒSI improverarse, ■ .
Di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.
30
Né tempo avendo a pensar altra scusa, '
E conoscendo ben che '1 ver gli disse.
Restò senza risposta a bocca chiusa;
Ma la vergogna il cor si gli trafìsse.
Che giurò per la vita di Lanfusa
Non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,
Se non quel buono che già in Asprainonte
Trasse del capo Orlando al fiero Almonte.
31
E servò meglio questo giuramento.
Che non avea quell'altro fatto prima.
Quindi si parte tanto mal conteuto,^,/ , ,
Che molti giorni poi sì róde etTma'V^'^T'*'^
.Sol di cercare è il Paladino intento
Di qua di là, dove trovarlo stima.
Altra veutnra al buon Rinaldo accade,
Che da costui tenea diverse strade.
32
Non molto va Rinaldo, che si yede
Saltare inanzi il suo destrier feroce:
j Ferma, Baiardo mio, deh ferma il piede!
j Che l'esser senza te troppo mi nuocer ■'•-■
! Per questo il destrier sordoaluinouriede, ""■
' Anzi pili se ne va sempre veloce. ' 'v,.^
I Segue Rinaldo, e d' ira si distrugge: "
! Ma seguitiamo Angelica che fugge.
e spogliato delle armi fatate e del cavallo.
I (Chauson d'Aspremont).
! — Manibrino, Non ne parla il Boiardo, ma
j nel poema lìinamoraynento di Pinnldo si
j dice che fu un re pagano, che guerreggiò
I contro Carlo ^I. e fu ucciso da Rinaldo, il
i quale gli tolse r elmo famoso.
— L'un... l'altro. Più comunemente rwwo
si riferisce al più vicino; l'altro al più lon-
tano; però si trova il contrario non solo nel-
r A. ma anche in altri scrittori.
29. 7. improverarse; rimproverarsi: forma
I per lo più poetica anche negli antichi.
30. 5. Lanfusa; madre di Ferraù. V. e.
xxv, 74.
7. Aspramente ; Mf.Mitagna della Calabria.
31. 5. di cercare... intento. Costrutto assUi
raro: più coni, intento a.
32. 2. destrier feroce; fiero, animoso. Rocc.
nor.. -11 : Nelle cose belliche espertissimo e
feroce divenne.
CANTO I
7
33
Fugge tra selve spaventose e scure,
Per lochi inabitati, eimi e selvaggi.
Il mover de le frondi e di verzure,
•Che di Cerri sentia, d'olmi e di faggi,
Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua e di là strimi viaggi ; [valle, \
Ch'ad ogni ombra vertuta o in monte o in j
Temea Eiualdo aver sempre alle spalle.
'ài ^ !
Qual pai-goletta- 0 damma o capriola, i
Che tra le tiTim1é"cìel natio Ijoschetto |
Alla madre veduta abbia la'g'ofS^petto,
(Stringer dal pardo, e aprirle '1 fianco o '1
Di selva in s'elva dal crudel s'invola,- '-
E di paura Jrema e di sosi)etto :
Ad ogni stèrpo che passando tocca.
Esser si crede all'empia t'era in bocca.
35
Quel di e la notte e mezzo l'altro giorno
S'andò aggti'aTidòV e non sapeva dove:
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
Che lievemente la fresca atira move.
Dui chiari rivi mormorando intorno,--/-^ \
iSempre l'erlie vi tim_tenere e note^; ^ '''
E rendea ad ascoltar dolce concento.
Eotto tra picciol sassi il correr lento.
36
Quivi parendo a lei d'esser sicura
E lontana a Kinaldo mille miglia,
Dalla via stanca e da l'estiva arsura,-
Di riposare alquanto si consiglia.
Tra liori smonta, e lascia alla pastura
33. 2. lochi inabitati, disabitati, senza abi-
tazioni; ermi, solitari, per dove non passa
mai nessuno; selvaggi, dove non apparisce
cultura umana.
— 3. verzuro ; forma toscana di verdure:
qui i teneri germogli degli alberi.
— 4. di Cerri. Si può intendere dipendente
da sentiva,: sentiva venir dai carri ecc. Op-
jiure è complemento di versuì-e : il movi-
mento che sentiva delle verzure dei carri,
■degli olmi ecc. Questa iiiterpretaz. è forse
preferibile, visto l'amore che ha l'A. per in-
versioni e stacchi forzali.
— 6. viaggi; vie. Dante, Inf. 1, 91: A te
convien tenere altro viaggio.
34. 1. Damma o capriola. La damma O
daino è una specie di cervo a corna allar-
gate e piatte verso la cima: capriolo (cervus
capreolus) specie di cervo grosso quanto una
capra, a corna con soli tre rami. - La com-
parazione è imitata da Orazio, Od. i, 23.
Mtas inuleo me similis, Chloe, Querenti pa-
vidam montibus aviis Matrem non sine vano
Aurarum et sylvae m^u ; Nam seu mobili-
bus veris inhorruit Adventus foliis, seu vi-
iides rubum Dimovere lacertae Et corde
et genibus treniit.
f- ■'■■^ '7
Andare il palafren feenza la briglia;
E quel va errando intorno alle chiare onde,
Che di fresca erba avean piene le sponde.
: 37
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Di spih fioriti e di vermiglie rose, j . '•■ ■
Che de le liquide onde al specchio siede.
Chiuso dal Sol fra l'alte quercje ombxase;
Cosi voto nel mezzo che concede
Fresca stanza fra l'ombre più nascose:
E la foglia coi rami in modo è mista.
Che '1 sol non v'entra, non che minor vista.
38 - ■ ■ ' "
Dentro letto vi fan tenere erbette,
Ch'invitano a posar chi s'appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette;
Ivi si corca, et ivi s'addormenta.
Ma non per lungo spazio cosi stette.
Che un calpestio le par che venir senta, -j/^-^*^
Cheta si lieva, e appresso alla rivera l'^^
Vede ch'armato un cavali ier giunt'era.
39
.S'egli è amico o nemico non comprende :
Tema e speranza il dubbio cor le scuote:
E di quella avventura il fine attende.
Né pur d'un sol sospir l'aria percuote.
Il cavalliero in riva al fiume scende
Sopra l'uu braccio a riposar le gote;
Et in un gran pensier tanto penetra.
Che par cangiato in insensibil pietra.
40
Pensoso più d' un'ora a capo basso
Stette, Signore, il cavallier dolente;
Poi cominciò con suono aftlitto e lasso
A lamentarsi si soavemente.
Ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso, v
Una tigre crudel fatta clemente;
37. 3. liquid^, limpide ; dal lat., che dice
liquidus di acqua, aria, voce limpida.
— al specchio ; siede allo specchio delle
1. onde ; a specchiarsi in. esse. La combi-
nazione dalle tre consonanti, durissima in
prosa, è dura anche in poesia. L'A. l'usò
molte volte.
8. minor vista, occhio meno penetrante.
38. 6. le par... che senta; le par di sen-
tire. Costrutto poetico frequentissimo nell'A.
e frequente anche in altri scrittori.
40. 2. Signore. I poeti cavallereschi popo-
lari si rivolgevano spesso ai loro uditori:
anche i poeti d' arte non lasciano intera-
mente quest' uso. L' X. ne couserva appena
la traccia rivolgendosi spesso al Cardinale
Ippolito e a uditori immaginari.
— 4. a lamentarsi ecc. Per tutto il lamento
di Sacripante V.K. ha preso alcune ispira-
zioni dal lamento di Prasildo Inn. I, xu:
e .\ngelica che vien a consolar Sacripante
rassomiglia a Tisbina, che viene a consolar
Prasildo.
s
CELANDO FURIOSO
Sospirando piangea, tal eh' un ruscello
Parean legende, e '1 petto un MpngibelJ o.
^*'***^-' 41 ^ V: ""lardi,
,»'*i- Pensipv (^dicea^ che '1 cor rajaggiacci ed
E causi "1 diiol che sempie il rode e lima,
Che deltlio far ? poich' io soii giunto tardi,
E ch'altri a corre il frutto è andato p^riiua.
A pena avuto io n'ho parole e sguardi,'
Et altri n" ha tutta la spoglia opima.
.Se non ne tocca a me frutto né fiore,
Perché atìliggcr per lei mi vo' più il core ?
42
La verginella è simile alla rosa,
i Ch" in bel giardin su la nativa spina
/ Mentre sola e sicura si riposa,
— 7. un ruscello. Queste immagini esage-
r.ite sono nel!' .\. un avanzo delle grosso-
laiiitJi comuni nei poemi popolari. Xel Boiar-
do abbondano molto di più.
— S. Mongibello. Fu usato già nel Tre-
cenio per l'Etna. Pare che gli Arabi in Si-
cilia lo chiamassero per antonom. Gebel =
monte : e che presa poi questa parola per
nome proprio, i Normanni vi preponessero
ìnons; cosi venne Mongibello.
41. 1. m'aggiacci ed ardi; Una delle poche
sottigliezze die Y A. ogni volta che parla
d' amore, prende dal Petrarca e dai petrar-
chisti. Petr. sua. 9u: E temo e spero ed ardo
e sono un ghiaccio. - Per la forma aogiacci,
jiotisi una volta per sempre che T A. su qual-
che esempio degli antichi usa senza h molte
parole, che più comunemente l'avevano:
cingial, cingie, giande, giotto ecc.
— 3. Son giunto tardi. Sacripante re di Cir-
cassia (regione del Caucaso) è una creazione
del Boiardo. Quando Angelica si chiude in
Albracca, lo chiama in suo aiuto; egli viene
e combatte spesso e con valore per lei. Poi
essa lo manda vestito da pellegrino a chie-
dere aiuti a Gradasso; per via capita nelle
mani d' una fata, donde è liberato con altri
da Mandricardo. Fin qui il Boiar. L'A. sup-
pone che sacr. liberato dal castello della
maga si mettesse in cerca di Angelica, che
amava.
6. spoglia opima ; la piena conquista. Dal
lat. Sp(Ai.a ojiUna, che signilicava propr. le
spoglie del re o capo dell'esercito vinto:
quindi : ricco bottino.
42. Questa comparaz. è imitata da Ca-
tullo 62. Ut tlos in saeplis secretus nascitur
liortis Ignotus pecoii nullo convolsus aratro,
'.jnem mulcent aurae, flrmat sol, educai im-
lier Multi illuni pueri multae optavere puel-
lae : Idem cum tenui cari)tu.s detloruit ungui
Nulli illum pueri nuUae optavere puellae;
sic virgo dum iniacta manet, dum cara suis
. >t; Cum castum amisit polluto corpore lio-
1 em, Xec pueris iucuuda manet nec cara
puellis.
Né gregge né pastor se le avvicina :
L'aura soave e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s' inchina :
Gioveni vaghi e donne inaniorate
Amano averne e seni e tempie ornate.
4.3
Ma non si tosto da! materno stelo
Rimossa viene, e dal suo ceppo verde.
Che quanto avea dagli uomini e dal cii lo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La versine che '1 fior, di che più zelo
Che de' begli occhi e de la vita aver de',
Lasciaaltruicorre.il pregio ch'avea ina nti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
44
Sia vile agli altri, e da quel solo amata^
A cui di se fece si larga copia.
Ah Fortuna crudel. Fortuna ingrata !
Trionfan gli altri, e ne moro io d' iuoi)ia.
Dunque esser può che non mi siapiùgratat
Dunque io posso lasciar mia vita propia ?
Ah piuttosto oggi manchino i di miei.
Ch'io viva più, s'amar non debbo lei I
45
Se mi dimanda alcun chi costui sia,
Che versa sopra il rio lacrime tante.
Io dirò ch'egli è il Re di Circassia,
Quel d'amor travagliato Sacripante:
lo dirò ancor, che di sua pena ria
Sia prima e sola causa essere amante.
E pur un degli amanti di costei:
E ben riconosciuto fu da lei.
4G
Appresso ove il sol cade, per suo amore
— 6 al suo favor s' inchina ; s' inchina a fa-
vorirla.
43. 0. Aver de'. Già Dante rimò, Inf. xxx,
S7: non ci lia - oncia, Purg. xx, 4: per li -
merli.
44. 1. Sia vile agli altri. Sacrip. riferisce
f|uesto ad Ang. passando dal generale al
particolare.
45. 1. Se mi dimanda ecc. Queste parole
sono traduzione d'una formula comnnissima
nei romanzi della Tavola Rotonda: Et, se
ancims me demandait qi li chevaliers estoit,
je diroie q' il estoit . . . ecc. Cosi pure al
e. XXIV, 53.'
G. sia; il cong. indica una supposizione
dell' .'\., nel che vedi una punta di quello
scherzo che spesso salta su nel poema,
specialmente quando si parla d'amore.
46. 1. Appresso. Si può intendere in vari
modi : 1° vicino; ma vicino al ponente è
espressione strana; 2° da poco tempo, ma
in questo senso non ha riscontri; 3" si può
unire col die del terzo verso : era venuto
in ponente appresso (dopo) che seppe. Chi
conosce le inversioni dell'A. sta per questa
interpret.
CAPITO I
Venuto era dal capo cV Oriente;
Che seppe in India con snò gran dolore,
Come ella Orlando segnitò in Ponente :
Poi se^èìh 1<*rancia, the F Imperatore
Sequestrata l'avea da l'altra gente,
E promessa in mercede a ehi di loro
Pili quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
47
Stato er^in canipo,,avea veduta quella,
Quella tCrfic che drafizi'ebbe Re Carlo.
Cercò vestigio d'Angelica bella.
Né potuto ajea ancora ritrov^rrlo.
Questa è dmufùe la trista e ria novella
Che d'amorosa doglia fa pftiarlo,
Affligger, lamentare e dir parole
Che di pietà potrian fermare il sole. .
- -■■' -W ' ^ ■- r ■
Mentre costui cosi s'affligge e duole,
E fa degli occhi suoi tèiffinrtonte,
E dice queste e molte altre parole,
Che non mi par hjsogno esser racconte;
L'avventurosa suafortitha vHòI^ 1^ "''
Ch'alle orecchie d'Angelica silmrónte:
E cosi quel ne viene a un'ora, a un punto,
Ch'in mille anni o mai più nou è raggiunto.
A.« •■ '-■-^' .■^^•v.- ■' . - '•■
— 2. dal capo d' Oriente ; dal capo Est. Si ri-
cordi elle Sacripante era andato a Gradasso
re di Sericana, che era all'estremità orien-
tale dell'Asia (moderna Cina Settentrionale).
— 3. seppe in India. Tornato da Sericana atl
Albracca, dove credeva semi)re assediata
Angelica, seppe della sua partenza; ma ciò
è supposto dall'.\. non detto dal Boiardo.
— y. i Gigli d'oro. Erano nell'antico stemma
dei re di Francia, lino d;il tempo di Luigi VII
(UàO-llJSU). Prima i Francesi usavano l'ori-
lìamma, che però fu continuato a portare
talvolta in guerra fino al sec. xv. La rivo-
luzione sostituì i tre colori.
47. 1. stato era iu campo. Lo suppone l'A.
— quella. Quella ecc. ripetizione enfatica.
V. anche e. v, 61, 6; e e. xviii, IS.
ò. fa penarlo. Si noti ora per sempre che
l'A. ama. in modo forse eccessivo, gli sposta-
menti dei pconomi enclitici e proclitici,
scambiandoli a cain-icci(j gli uni per gli altri.
48. I. Che non mi par bisogno esser ecc. :
abbiamo l'inlinito, dove si ricliiederebbe
il che; come alla st. 38 e altrove abbiamo
una costruzione col che, mentre ci vorreljbe
r inlinito.
— racconta ; raccontate. Questa forma
scorciata di alcuni participi della r coiiiug.
non solo si trova negli scrittori antichi, ma
è viva ancora nella plebe toscana, che dice
Porto pei- Portato; Mangio per :Maiigiato,
ecc.
— 7. E cosi quel ecc. E cosi in un'ora, in
un sol momento conseguiamo talcoUaqualh},
che altre volte o da altri non si consegue
in mille anni o mai tiddirittura.
49
Con molta attenzi'on la bel'a donna
Al pianto, alle [uirole, al modolattendo
Di colui eh' in amarla non assonna; ■
Né questo è il primo di ch'ella l'intemìc:
Ma dura e fredda pili d'una colonna, -,. .
Ad averne pietà non però scende:
Come colei e' ha tutto il mondo a sdegno^
E non le par ch'alcun sia di lei degno.
50
Pur tra quei boschi il ritrovarsi soia
Le fa pensar di tor costui per guida;
Che chi nell'acqua sta fin alla gola,
Ben è ostinato se mercé non grida.
Se questa occasione or se l'invola.
Non troverà mai pili scorta si fida ;
Ch'a lunga prova conosciuto iuante
S'avea quel re ledei sopra ogni amante.
51
Ma non però disegna de l'affanno.
Che lo distrugge, alleggerir chi l'ama,
E ristorar d'ogni passato danno
Con quel piacer ch'ogni aiuator pili brama •.
Ma alcuna fizi'one, alcuno inganno
Di tenerlo in speranza ordisce e trama :
Tanto ch'ai suo bisogno se ne serva.
Poi torni all'uso suo dura e proterva.
52 . ,
E fuor di quel cespuglio oscuro e citc6
Fa'fti sé bella et improvisa mostra.
Come di selva o fuor d'ombroso speco
Diana in scena, o Citerea si mostra ;
E dice all'apparir: Pace siateco;
Teco difenda Dio la fama nostra,
E non comporti, centra ogni ragione,
Ch'abbi di me si falsa opinione.
5o.
Non mai con tanto gaudio ostuportaiitO'
Levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,
49. 3. che in amarla non assonna; non perde
tempo, non è tardo: v. e. iii, 7.j, a.
50. 7. a lunga prova. Per analogia celle
espressioni comuni: a prova, a tutta prova,
Ì'A. ha formato questa, che, sebbene non co-
mune, è bellissima.
— 8. s'avea. 11 si deve rifersi a fedele; fe-
dele a se.
51. 5. Fizione; finzione: è forma più vi-
cina al lat.; ed è frequente negli antichi.
— 6. di tenerlo; da tenerlo. Quest'uso
strano di di per da Io abbiamo anche a!
e. vili, 16.
52. 4. Diana, figlia di Giove e di Latona;
dea della caccia: Citerea, Venere, cosi deità
dal culto che aveva a Citerà (isola greca,
oggi Cerigo).
— in scena. Allude alle rappresentazioni
cortigiane in voga sulla fine del sec. xv;
erano composte di azioni jnitologiche, balio,
canto ecc. Gasp. Stor. della lett. ili, ili.
— <). teco; presso di te.
iO
ORLANDO FURIOSO
Ch'avea per morto sospiratoe pianto,
Poi che senza esso luii tornar le squadre:
Con quanto gaudio il 8aracin, con quanto ,
stupor l'alta presenza, e le leggiadre
]yianiere. e vero angelico sembiante,
Improviso apparir si vide inante.
54
Pieno di dolce e d'amoroso affetto, '
Alla sua donna, alla sua Diva corse,
die con le braccia al collo il tenne stretto,
•CJuel ch'ai Catai non avria tatto torse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
Seco avendo costui, l'animo torse:
>^uì)ito in lei s'avviva la speranza
jji tosto riveder sua ricca stanza.
ói>
Ella gli rende conto pienamente
])HÌ giorno che mandato fu da lei
A domandar soccorso in Oriente
Al Ke de'8ericani Nabatei;
K come Orlando la guardò sovente
Da morte, da disnor, da casi rei; .
E che '1 tìor virginal cosi avea salvo,
Come se lo portò dei materno alvo.
56
Forse era ver, ma non però credibile
A chi del senso suo tosse signore:
31a parve facilmente a lui possibile,
Ch'era perduto in via pili grave errore,
gurl che Tuoni vede, Amor gli fainvisibi-
E Tinvisibil la veder Amore. [le;
<^iMesto creduto fu, che '1 miser suole
Dar tacile credenza a quel che vuole.
57
Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
53. 8. Improviso ; improvvisamente.
54. 4. Catai o Khatai ; nome già dato dai
T;iriari alla China. I viaggiatori italiani,
primo Marco Polo, usarono questo nome.
55. 4. Al re de' Sericani Mabatei; Gradasso,
fatto dal Boiardo e dall' A. re di Sericana,
forse l'antica t^erica, variamente descritta
dagli antichi ; ma pare a N. O. della China.
I 5-erici 0 furon detti cosi dal baco da seta,
o era nome indigeno. 1 Nabatti erano un
popolo ragguardevole dell'Arabia Fetrea;
ma son detti cosi dai poeti tutti gli orien-
tali.
56. 4. in diapiri grave err. Errore più grave
€ra quello di credersi amalo da lei.
7. che il miser suole ecc. È detto come
massima generale, quasi traduzione d' un
verso di Seneca: Quod niniis miseri volunt
hoc facile credunt, Hervul. fur. 312.
57. 1. mal; vale: noìi: ed è uso derivato
nella nostra letierat. dai Latini, che dicevano
'male fldus, male yralvs per infidus, in-
yratus ecc. noce. nov. W. Quantunque egli
mal degno ne tosse.
— il cavallier d'Auglante.Anglan te, Angers,
Pigliar per sua sciocchezza il tempo buono
Il danno se ne avrà; che da qui inante
Noi chiamerà Fortuna a si gran dono;
(Tra sé tacito parla Sacripante)
Ma io per imitarlo già non sono.
Che lasci tanto ben che in' è concesso,
E ch'a doler poi m'abbia di me stesso.
58
Corrò la fresca e matutina rosa,
Che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch'a donna non si può far cosa
Che più soave e più piacevol sia.
Ancor che se ne mostri di^idegnosa.
E tafór mesta e tlebil se ne stia :
Non starò per repulsa o tìnto sdegno,
Ch'io non adombri e incarni il mio disegno.
59
Cosi dice egli; e mentre s'apparecchia
Al dolce assalto, un gran^rumor che suona
Dal vicin bosco, gì' intrìióna l'orecchia
Si, che mal grado l' impresa abbandona,
E si i)on l'elmo; ch'avea usanza vecchia
Di portar sempre armatala persona.
\'ieiie al de-striero, e gli ripon la briglia:
Rimonta in sella, e la sua lancia piglia.
(50
/Jlcco pel bosco un cavallier venire.
Il i;iii sembiante è d'uom gagliardo e tiero;
Cancfìdò come nieve è il suo vestire.
Un bianco penuoncello ha per cimiero.
^t^x
supposto castello di Orlando. Milone suo pa-
dre è detto nelle cronache: Milo de Angle-
riis. R.
— 'i. per sua sciocchezza; accenna alla pudi-
cizia di Orlando che nell" Iniiaiiii, tentato
più volte da Angelica, resiste e la rispetta.
— 7. che ; in modo che. K usato cosi
non di rado e in prosa e in poesia; l'A. lo
ha frequentissimo.
58. 1. Corrò ecc. Il Raixa osserva che un
I cavaliere della Tavola rotonda non avrebbe
'' parlato cosi. Qui si vede l'inliuenza classica
e la lilosolia alquanto epicurea dei poeti del
! Kinascimento.
I — a. Questo verso si presta a due inter-
; pret. : Cui la stagione calda potrebbe rovina-
j re tardando a coglierla : cosi ìIForn. .Altri:
ì La quale, tardando ad esser colta, potrebbe
' perdere la freschezza (perdere stagione).
I GUARiNi, I, 4: Cosi manca beltà se il fuoco
I dura E perdendo stayiua perde ventura.
I — 8. adombri e incarni. !•; traslazione fatta
dai pittori, i quali prima fanno il disegno e
i poi l'adombrano (l'ombreggiano) et ulmna-
i mente gli danno i vivi colori. F.
59. 1. mal grado. Piùcomunem.: mal SUO
grado, o: a mal grado.
60. 4. pennoncello, comunemente per quel-
la banderuola che si pone vicino alla punta
I della lancia; avea dumiue per cimiero una
CANTO I
11
Re Sacripante, che non può patire
Che quel con V importuno suo sentiero,' -"
Oli abbia interrotto il gran piacere ch'avea,
Con vista il guarda disdeyuosa e rea.
Come è pili appresso, lo sfida a battaglia;
Che crede ben largii votar rareione.
Quel che di lui non stimo già, /.'lie^agya
Un grano meno, e ne^t'ajiaragone,'" ""^«-^
L'orgogliose minacce a mezzo taglia,
»"^prdróa"tintempo,e la lancia in restapone.
iSacripante ritorna con tenipesta, " '
E corrousi a terir testa per testa.
i ' * " ' 62 , .^[-' *.c<^A «->
Non si janno i leoni o 1 tori i^ sjilto
A dar di petto, ad accozzar si cfuai,
Come li dui guerrieri al tiero assalto.
Che parimente sì ]iassàr li scudi.
Fe'lo scontro tremjir dal basso all'alto
L'erbose valli insino ai poggi ignudi;
E ben giovò che tur buoni e perfetti
Gli usberghi si, che lor salvaro i petti.
Già non fero i cavalli un correr torto,
Anzi cozzare a guisa di montoni.
banderuola, non uu pennacchio, come in-
tende alcuno.
— 6. sentiero; venuta, passaggio: in que-
sto senso non si cita che quest'esempio del-
l'Ariosto.
61. 4. ne fa paragone. Comuuemeute signi-
fica paragonare; ma nel linguaggio caval-
Itfresco signilicò : dar prova colle armi. V.
e. X, 79.
— 6. resta (da restare) ; un ferro appicca-
to al petto dell'armatura, e vi si appoggiava
4l calcio della lancia per colpire.
— S. testa per testa. K espressione già del
r.oiARDO, I, X, 53: «E scontrorno i destrier
if sta per testa ». L'usò anche il Lippi nel Mal-
mautile. È il francese tòte à lète = di fronte.
62. 1. in salto. Vi sono varie intsrpret. in
/'Oico, dal lat. saltus: l'usarono Dante, Par.
il, 12(3, il Pulci e altri - />^ca^(/o; cosll'usa-
lono il Pierni. il Galilei. Cons. Tass. 3ti: Un
liranco di cagnoli dietro la cagna quando
va ili salto. Il Bolza intende: a salti; in que-
sto senso non avrebbe riscontri.
— 2. accozzar, cozzar. Cosi l' A. usò acco-
filiere per cogliere, allusingare per lusin-
gare, ecc.
— S. usberghi (ted. Jials, collo ; bergeri, di-
fendere). Era una veste di maglia di ferro,
che copriva tutta la persona. Dal capo, che
copriva con un cappuccio, a cui anticamente
si attaccava con lacci di cuoio l'elmo, scen-
deva fin sotto il ginocchio e si apriva dinanzi
e di dietro in modo da formare come un
paio di calzoni. L' usbergo lo portavano i
grandi cavalieri, perché era costoso, (L. Gau-
, Quel del gnerrier Pagan mori di corto,
Ch era vivendo in numero de' buoni :
Quell'altro cadde ancor, ma fu risorto
Tosto ch'ai fianco si senti li sproni.
Quel del Ko Saracin restò disteso
Adesso al suo signor cou tutto il peso.
64
L'incognito campiou che restò ritto,
E vide l'altro col cavallo in terra,
Stimando avere assai di quel conflitto,
Nou si curò di rinovar la guerra;
Ma dove per la. selva e il cainiu dritto.
Correndo a tutta briglia si disserra;
E prima che di briga esca il Pagano. ':'
Uu miglio 0 poco meno è già lontano.
65
Qual istordito e stupido aratore.
Poi eh' è passato il fulmine, si lieva
Di là dove l'altissimo fragore
Presso alli morti buoi steso l'aveva;
Che mira senza fronde e senza onore
Il più che di lontaii veder soleva:
Tal si levò il Pagano a pie rimaso,
Angelica presente al duro caso.
66 ^
fe'ospira e geme, non perché l'annoi
Che piede o braccio s'abbia rotto o mosso,
I\Ia jier vergogna sola, onde a' di suoi
Né pria né dopo il viso ebbe si rosso:
E più, ch'oltra il cader, sua Donna poi
Fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
aiuto restava, mi cred'io, se quella
Non gli reudea la voce e la favella.
67
Deh! (disse ella) Signor, non vi rincresca!
thier, Chanson de Roland!. - Poi questa pa-
rola si usò per indicare l'armatura del busto.
63. 3. di corto; poco dopo. In questo senso
è più frequente negli antichi che nel senso
moderno di poco fa.
— 5. fu risorto; risorse. V. e. tir, 11, n. 2.
65. 1. istordito e stupido; stordito, fisica-
mente, dal fulmine ; pieno di stupore per
ciò che egli, cosi stordito, non arriva a
comprendere.
— 5. che mira. L' uso del c/ienon è ancora
sempre corretto neppure nei cinquecentisti;
e spesso è introdotto con quella libertà, con
cui r usa il popolo. Qui andrebbe meglio e.
— senza onore : è epesegesi di senza
fronde. Intendi: Ei mira presso di sé sfron-
dato quel pino che prima era cosi chiomato
da potersi vedere anche dalla sua casa lon-
tana.
66. 2. mosso ; slogato. Non si citano altri
esempi.
— 5. e pili, che; e di più, perché.
— (3. d'adosso: lo stesso che da dosso, la
quel modo l'usarono non di rado gli auttclu.
V. Boccaccio nov. 79 e nov. 65.
12
ORLANDO FURIOSO
Glie flel cader non è la colpa vostra,
Ma del cavallo, a cui riposo et esca
Mejrlio si convenia, che nuova giostra. j».-
Né perciò quel guerricr sua gloria accre-
f'iie d'esser statuii penlitor di mostra : [sca;
Cosi, i>er (juel eli' io me ne sappia, stimo,
Quando a lasciar il campo è stato il primo.
c.s
Mentre costei contorta il Saracino.
Ecco col corno e con la tasca al lianco,
Galoppando venir sopra un ronzino
Vnniessaggier che parea afflitto e stanco;
Che come a Sacripante tu vicino,
Gli domandò se con lo scu<lo bianco,
E con un bianco pennoncello in testa
Vide un guerrier passar per la foresta.
(59
Rispose Sacripante: Come vedi,
M'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora ;
E pCrch" io sappia chi m" ha messo a piedi,
Ea che per nome io lo conosca ancora.
Et egli a lui: Di quel che tu mi chiedi.
Io ti satisfarò senza dimora:
Tu dèi saper che ti levò di sella
L'alto valor d'una gentil donzella.
70
Ella è gagliarda, et è più bella molto ;
Né il suo famoso nome anco t'ascondo:
Fu Bradamante quella che t'ha tolto
Quanto onor mai tu guadagnasti al mojidp.
^'V Poi ch'ebbe cosi detto, a freno scióTt'o
li Saracin lasciò poco giocondo,
Che non sa che si dica o che si faccia
Tutto avvampato di vergogna in faccia.
71
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
Ebbe pensato invano, e finalmente
Si trovò da una femina abbattuto,
Non furo iti duo miglia, che sonare
Odon la selva, che li cinge intorno,
Con tal rumor e strepito, che pare
Che tremi la foresta d'ogn' intorno ;
E poco dopo un gran destrier n'appare.
D'oro guernito e riccamente adorno»
Che salta macchie e rivi, et a fracasso
Arbori mena e ciò che vieta il passo.
73
Se l'intricati rami e l'aer fosco
(Disse la Donna) agli occhi non contendo,
Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bo-
Con tal rumor la chiusa via si tende, [sco
Questo è certo Baiardo; io '1 riconosco :
Deh come ben nostro bisogno intende!
Ch' un sol ronzin per dui saria mal atto ;
E ne vieu egli a satisfarci ratto.
74
Smonta il Circasso, et al destrier s'acco-
E si pensava dar di mano al freno, [sta ;
Colle groppe il destrier gli fa risposta.
Che fu presto al girar come un baleno:
Ma non arriva dove i calci apposta: ' ,
Misero il cavallier se giungea à pieno!
Che ne' calci tal possa" avea il cavallo,
Ch'avria spezzato un monte di metallo.
7.Ó
Indi va mansueto alla donzella.
Con umile sembiante e gesto umano.
Come intorno al padrone il cau saltella,
67. S. quando; poiché. V. st. IS.
68. 3. ronzino (lat. medioev. ronciniis, di
etim. incerta). Era la cavalcatura delle don-
jie, degli scudieri e anche dei cavalieri in
viaggio. per rispai-niiare il de.striero, che era
portato a mano dagli scudieri.
69. 2. se ne parte or ora. Intendi che Sa-
crip. facesse cenno colla mano dietro al ca-
valiero che partiva: cosi è chiaro il pre-
-ente, e T avverbio Or ora, in questo rao-
jiiento.
70. 3. Bradamante. Sidla sua origine e sul
resto v. e. ir, 31. Essa andava in cerca di
JUiggiero scomparso misteriosamente, e il
rnessaggiero andava in cerca di lei, avendo
Marsilia bisogno di soccorso.
71. Tutto Taudamento dei primi quattro
versi è saltuario come il periodare del po-
polo : poiché ebbe a lungo pensato inutil-
mente al caso intervenuto, cioè d' essere
>tato dopo tante glorie linalmente abbattu-
to da una femmina, capi che quanto più vi
pensasse tanto più dolore avrebbe sentito;
e quindi montò ecc.
— 7. differiiia. riserboUa. In questo senso,
riferito a persona, è un ardimento dell' .\.
72. 1. sonare; risuonare: ha esempi anche
in ijrosa.
7. a fracasso mena; fracassa. Analogam.
nel e. wiii, 17;s: a .strazio ,ii<tna, strazia.
73. 2. non contende, ngu è d' impedimento.
La locuzione è del Petrarca, Tr. Ani. v. 46:
e r aria rosea Contende agli occhi tuoi.
74. 5. appòsta, dirige. Appostare, in que-
sto senso non combine, \'A\e determinare il
luogo, dove vibrare ilcoljw. Uek^i, Inn.Q^i.
21 : E '1 primo colpo a mezzo il collo apposta.
— 6. giungea ; SOtt. lo.
75. 1. mansueto. Xell'antica letteratura ca-
valleresca Baiardo non lascia appressar
nessuno fuorché Rinaldo; ma già neìVInn.
e nel Mambriano si lascia prender da altri.
Questa mansuetudine intelligente verso An-
gel. è invenzione dell'A.
— 2. gesto ; atteggiamento. In questo senso
fu usato talvolta anche in prosa.
CANTO I
Clio sia dui giorni o tre stato lontano,
biliardo ancora avea memoria d'ella,
nrin Albracca il servia ffììi di sua mano
?vp1 tempo che da lei tanto era amato
Kinaldo, allor crudele, allora ingrato.
Con la sinistra ni^n.jjrende la briglia,
Con l'altra tocca e palpa il collo e il petto.
<Juel destrier. ch'avea ingegno a maravi-
A lei, come un agnel, si fa suggetto. [glia,
'in tanto Sacripante il tempo piglia:
Monta Baiardo, e l'urta e lo tièu stretto.
Del ronzili disgravato la donzella
Lascia la groppa, e si ripone in sella.
77
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
Venir sonando d'arme mi gran pedone.
Tutta s'avvampa di disi)etto e d'ira;
Che conosce il tìgliuol del duca Amone.
Pili che sua vita l'ama egli e desira;
L'odia e fugge ella pia che grù'^talcone.
liià fu ch'esso odiò lei pili che la morte ;
Ella amò lui: or han cangiato sorte. ^-
78 -^o--^-^
E questo, hanno causato due fontan^
Che di diverso étì'etto hanno liquore,
Am"be iu Ardenua, e non sono lontane :
— 5. d' ella. Nel verso si trova usato co-
TOuneni. cl/o ella elle elli dopo prepos.
— 6. Che in Albracca. .\lbr;u;ca è una rocca
vicina al Calai, inventata dal Boiardo. Ecco
le principali vicende di questo cavallo nel-
V Inn. Rinaldo prima d'andare a combat-
tere a piedi contro un demonio, che ha l'ap-
parenza di Gradasso, lo dà a Ricciardetto,
perché, se egli muore, lo dia a Carlo M.
Questi lo monta iu guerra, e quando si tratta
di far la pace, propone di darlo a Gradasso.
Astolfo si oppone e lo cavalca quando va
contro Gradasso. Con esso va iu cerca di
Orlando e di Rinaldo, (ili vien tolto da Agri-
cane, e ad .\gricane lo toglie Orlando, che
non potendolo render docile, lo manda a
bOKa cura in Albracca. Ritorna finalmente
in mano di Rinaldo.
78. 1. E questo ecc. Queste due fontane
sono invenzione del Boiardo, ma gliene SUg-
geri forse l'idea lo strale d'oro e quello di
piombo di Apollo, che nell'ant. mitol. produ-
cevano il medesimo effetto. L' una era fatta
per incanto da Merlino e l'altra era naturale.
— 3. Ardenna. Territorio elevato e co-
perto di foreste fra il Reno e la Mosa, del-
l' estensione di circa trecento miglia. È fa-
mosa presso gli antichi.
D'amoroso disio l'una empie il coro;
Chi bee de l'altra, senza amor rimane,
E volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge :
Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.
70
Quel liquor di secreto Venen misto,
Che muta in odio l'amorosa cura,
Fa Òhe la donna che Rinaldo ha visto,
Nei sereni occhi subito s'oscura;
10 con voce tremante e viso tristo
Supplica Sacripante e lo scongiura
Che quel guerrier p ù appresso non atten-
Ma ch'insieme con lei la fuga prenda, [di,
80
Son dunque (disse il Saracino) s.ono »
Dunque in si poco credito con vui ?
Che mi stimiate inutile, e non buono
Da potervi difender da costui.
Le battaglie d'Albracca già vi sono
Di mente uscite, e la notte ch'io fui
Per la salute vostra solo e nudo,
Contro Agricane e tutto il campo, scudo?
81
Non rispond'ella, e non sa che si faccia,
Perché Rinaldo orrìiai l'è troppo appres-
Che da lontano al Saracin minaccia, [so.
Come vide il cavallo e conobbe esso,
E riconobbe l'angelita faccia
Cheramorosoincendioincorglihamesso.
Quel che segni tra questi dui superbi
Vo' che per l'altro Canto si riserbi.
79. 7. piti appresso; più da vicino.
80. 6. e la notte ecc. Sacripante ferito da
Agricane era in letto, ina sentendo che Agri-
cane era riuscito a entrare in .\lbracca, salta
dal letto: Né altr' arme porta che il sol
brando e scudo; Vestito di camicia e il resto
nudo. Iitn. I, xi, 30.
81. 3. minaccia . . . vide, .\vvertiamo una
volta per sempre il passaggio molto fre-
quente, talvolta brusco, da un passato a un
presente e viceversa ; del qual difetto l' A.
fu rimproverato anche dagli antichi critici.
— 7. Quel che segui'. Le chiuse dei canti nei
poemi cavallereschi eran di solito una pro-
messa di continuare il racconto nel canto
seguente, e una raccomandazione degli udi-
tori a Dio. Il Boiardo fece a meno spesso
dell'elemento religioso, l'.\. ne fece a meno
sempre. Anzi semplicizzò di più i commiati
sopprimendo ciò che ricordava la piazza,
dove questi poemi venivano cantati.
^
14
ORLANDO FURIOSO
CANTO II
1
Inginstissinio Amor, perché si raro
Corrispoudenti fai nostri desiri V
Onde, perfido, avvien che t'é si caro
Il discorde voler ch'in dui cor miri"?
Ir non mi lasci al facil guado e chiaro,
E nel più cieco e maggior fondo tiri:
Da chi disia il mio amor tu mi richiami,
E chi m'ha in odio vuoi eh' adori et ami.
Fai eh' a Rinaldo Angelica par bella,
Quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
Quando le pàrea bello e l'amava ella,
Egli odiò lei quanto si può pili odiare.
Ora s'affligge indarno e si flagella:
Cosi renduto ben gli è pare a pare.
Ella l'ha in odio; e l'odio è di tal sorte,
Ohe più tosto che lui vorria la morte.
3
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
Gridò: .Scendi, ladrofl, del mio cavallo:
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio;
Ma ben fo, a chi lo vuoi, caro costallo:
E levar questa donna anco ti voglio;
Che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Si perfetto destrier, donna si degna : .
A un ladrou non mi par che si couvegna.
Tu te ne mentì che ladrone io sia,
(Rispose il Saracin non meno altiero):
1. — Ingiustissimo amor. Gli esordi ai canti
erano un' usanza dei cantori popolari; ma
erano per lo più invocazioni ai Santi, se-
guite da richiami al canto precedente. Solo
nel Rinaldo da Montalbano (sec. xv) tro-
viamo esempi d'esordio morale. Ne fece al-
cuno il Boiardo (I, xvi). Quelli dell' A. son
(juasi tutti di questo genere e sono reputati
perfettissimi.
— 2. corrispondenti ecc. ; fai che i desi-
deri di noi amanti si corrispondano.
— ti. tiri: sott. ini.
2. 5. si flagella. È usato dall' A. nel senso
speciale di Darsi pena e travaglio.
— 6. Cosi renduto ecc. È il lat. Par pari
referre. Più comun. Render la pariglia.
3. 1. costano: costarlo. -A.ssimilazione per
necessità di rima. Il Petr. disse già vedella
per vederla, I, .son. 18'.».
4. 1. Tu tenementi. (Questa e simili espres-
sioni erano proprie del linguaggio cavalle-
resco. L'offeso doveva per l'egola mentire
Chi dicesse a te ladro, lo diria
(Quanto io n'odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedrà, chi di noi sia
Più degno de la donna e del destriero;
Benché, quanto a lei, teco io mi convegna
Che non è cosa al mondo altra si degna.
Come soglion talor dui can mordenti,
0 per invidia o per altro odio mossi,
Avvicinarsi digrignando i denti,
Con occhi bieci e più che bracia rossi;
Indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,
Con as])ri ringhi e rabuffati dossi:
Cosi alle spade e dai gridi e da l'onte
Venne il Circasso e quel di Chiaramonte,
tì
A piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale
Credete ch'abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n'ha però alcun; che cosi vale
l'offensore, il che obbligava l'altro a pro-
vare coir armi le sue offese. Nota le due
particelle pronominali, che sono pleonasti-
che e non comuni.
— 3. chi dicesse a te ladro. Rinaldo nelle
antiche canzoni di gesta ligurava come un
signorotto ribelle, che talvolta saccheggiava
e depredava i territori dell'impero. A que-
sto accenna il Boiardo, I, xxvi, 59; xxvir,
15 e il Pulci, che gli fa dire « Io vo' che tutto
il paese rubiamo E che di mascalzon (ma-
snadieri) vita tegnamo ».
— 4. quanto; per quanto. In questo senso
l'usarono spesso gli antichi, ed è vivo an-
cora. Bocc. N. 99: « Guardati, quanto tu hai
caro di non guastare ogni cosa ».
— 7. nii convegna. Il mi è pleonastico.
— 8. quel di Chiaramonte, Rinaldo. \ . la
nota 1 alla st. 67.
6. 1. A piedi l'un ecc. Is'ota il Raina: Nel
mondo cavalleresco non si potrebbe trovare
un riscontro a Sacripante, che da cavallo
combatte contro un guerriero a piedi, altro
che tra felloni. La ragione di ciò è posta,
nel tono più epico, che assume l' A. di fronte
ai suoi predecessori, e che gli fa talvolta
elevare la legge religiosa al disopra della
cavalleresca e deprimere i Saracini, inal-
zando i cristiani.
— 3. Né ve n'ha però ecc. Qui abbiamo un
fenomeno sintattico frequente nell'A., cioè
la fusione di due costrutti. Questa risposta
richiederebbe innanzi una espressione as-
CANTO II
15
Forse ancor men eh' uno inesperto paggio:
Che '1 destrier per istinto naturale
Non volea far al suo Signor oltraggio:
Né con man né couspronpotea il Circasso
Farlo a voluntà sua mover mai passo.
.7
Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta:
Poi sotto il petto si caccia la testa,
Giuoca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch'a domar questa
Bestia su))erba era mal tempo allotta.
Ferma le man sul primo arcione e s alza,
E dal sinistro fianco in piede sbalza.
8
Sciolto che fu il Pagan con leggier salto
Da r ostinata furia di Baiardo.
Si vide cominciar ben degno assalto
D'un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l'un brando e l'altro, or basso, or al-
11 martel di Vulcano era pili tardo [to;
Ne la spelonca affumicata, dove
Battea all'incude i folgori di Giove.
seri iva: Voi credete ecc.; invece abbiamo
un'interrogazione: Quale credete ecc.?
— 4. paggio. Era un garzoiie nobile, che,
servendo a principi e grandi cavalieri, ap-
prendeva le discipline militari, e quindi era
ancJi' egli promosso cavahere.
— 5. per istinto naturale. Gli animali do-
mestici per istinto naturale non nocciono
ai loro padroni: inoltre questo avea intel-
letto umano, cioè discernimento simile al-
Tumano, v. st. 'M.
7. 2. corre o trotta. Correre è generico,
trottare è specilico; ma l'A. usò correre
per aiutare di galoppo.
— 4. in frotta. Frotta è forma popolare
di fiotta; quindi passò a signihcare Molti-
t mline^ folla.
— 6. allotta. Forma pop. à" allora (dal lat.
quota'. = che ora è, si lece cotta, e, per-
dutone il signilicato, si interpetrò per che
otta = che ora; donde otta per ora).
— 7. primo arcione; Parcione dinanzi. Ar-
cioni sono le due parti della sella, che si
inarcano dinanzi e dietro al cavaliere. Gli
antichi portavano gli arcioni molto rilevati
e ferrati.
8. 4. nn par ecc. nota il gagliardo rife-
rito a par piuttosto che a cavallier: forse
hirtui su ciò il verso del Boiardo HI, ii, 39 :
Ben vi so dir che un par tanto gagliardo.
— 5. or basso or alto ; ora in basso ora
in alto.
, — 6. il martel di Vulcano. Inn. I, xvi, 22.
« Si come alla fucina in Mungibello Fabbrica
troni il demonio Vulcano, Folgore e foco
batte col marteho, L,'un colpo segue l'altro
^ Fannoorconlnnghi,oraconfintiescarsi
! Colpi veder che mastri son del giuoco:
Or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi;
[ Ora coprirsi, ora mostrarsi un poco;
j Ora crescere inanzi, ora ritrarsf;
I Kibatter colpi, e spesso lor dar loco;
j Girarsi intorno; e donde l'uno cede,
' L'altro aver posto immantinente il piede.
! 10
i Ecco Rinaldo con la -spada adosso
: A Sacripante tutto s'abandona;
E quel porge lo .scudo ch'era d'osso,
; Con la piastra d'acciar temprata e buona.
I Tagliai Fusberta, ancorché molto grosso:
! Ne geme la foresta e ne risuona.
i L'osso e Tacciar ne va che par di giaccio,
I E lassa al Saracin stordito il braccio.
i ^^
I Come vide la timida Donzella
; Dal fiero colpo uscir tanta mina,
I Per gran timor cangiò la faccia bella,
I Qual il rei) ch'ai snpplicio s'avvicina:
I Me le par che vi sia da tardar, s'ella
j Non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
I Di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava,
. Quanto esso lei miseramente amava.
I 12
I Volta il cavallo, e ne la selva folta
[ Lo caccia per un aspro e stretto calle:
I E spésso il viso smorto a dietro volta;
j Che le i)ar che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatta via molta.
Che scontrò un Eremita in una valle,
Ch'avea lunga la barba a mezzo il petto.
Devoto e venerabile d'aspetto.
amano a mano, Cotal s'udiva rinfernnl
flagello Di quei duo brandi con rumore ai-
tano ».
9. 1. lunghi; a fondo.
— 4. coprirsi; collo scudo.
— 5. crescere innanzi; avanzarsi, acqui-
star terreno.
— 6. dar loco ; scansarsi, perché il colpo
vada a vuoto.
-— 7. girarsi intorno, Per cogliersi di fian-
co, alla scoperta. Nola il Raina che nessuno
dei romanzieri precedenti sfoggia nei duelli
tanta scienza di scherma come l'A.
10. 4. con la piastra ecc. Lo scudo era o
di legno curvato o di osso; ed era coperto
con una lamina metallica detta piastra.
— 5. Pusberta, Spada di Rinaldo : è nome
antico e tradizionale. Il Pulci la chiama
Frusberta.
11. 8. miseramente amava; è il latino misere
amare, amare appassionatamente. Pi.aut,
Mil. 4, C, 32.
12. 4. le par... che abbia; V. e. I, 3S not. G,
16
OlìLAXDO FUETOSO
13
Dagli anni p dnl digiuno attenuato,
Sopra un lento asinel se ne veniva;
E parea, più ch'alcun fosse mai stato,
Di conscienza scrupolosa e schiva.
Come e^li vide il viso delicato
De la Donzella che sopra gli arriva.
r>ebil quantunque e mal gagliarda fosse,
Tutta per carità se gli commosse.
14
La Donna al Fraticel chiede la via
Che la conduca ad un porto di mare,
Perché levar di Francia si vorria,
Per non udir Rinaldo nominare.
11 frate che sapea negromanzia,
Non cessa la Donzella confortare,
Che presto la trarrà d'ogni periglio;
Et ad una sua tasca die di piglio.
15
Trassene un libro, e mostrò grande eflfet-
Che legger non lini la prima faccia, ito;
Ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,
E gli comanda quanto vuol eh' el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
Dove i dui cavallieri a faccia a faccia
Eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
Fra quali entrò con grande audacia in mez-
16 [zo.
Per cortesia (disse) un di voi mi mostre,
Quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:
Che merto avrete alle fatiche vostre,
13. 1. attenuato; estenuato. Dal lat. atte-
nuatus, che si usò in questo senso. In ita-
liano abbiamo esempi anche in prosa; Vite
SS. PP. 1, 83: Li quali vedendo magri e at-
tenuati di fame. V. e. viii, 29, n. 8.
— 7. Debil quantunque: la coscienza; ma
qui giucca sul signilicato equivoco di Co-
scienza, che nel gergo valeva anche cosa
oscena.
14. 6. cessa... confortare. V. I, 4, not. 1.
— 7. che presto ecc. Dipende da Confor-
tare, da cui bisogna rilevare un dicendole.
15. 2. faccia, facciata, pagina. É d'uso
popolare. Dant. Pure/. 3, 126.
— 4. el; egli. Veramente è troncamento
di EUo. Bocc. Nov. 11: «Gridavano eh' el
fosse morto ».
— 8. Fra quali. L' A. ha omesso molte
volte l'articolo, non solo dopo le preposi-
zioni, ma anche altrove: v. p. es. al e. xxxiv,
67, 4 il superlativo relat. manca dell' art.
Dante, Purg, x vii, 33: « Sotto qual si feo ».
16. 1. Per cortesia ecc. Medesima situa-
zione iieU'O/V. Inn. I, in, 79, dove Orlando,
•che combatteva con Ferrali, vedendo fuggire
Angelica, dice: Cavalier per cortesia Indu-
gia la battaglia nel presente ; E certo stimo
che sia gran follia Far cotal guerra insieme
per niente.
— 3. morto; premio. Cosi spesso nella
Finita che tra voi sia la battaglia?
Se '1 conte Orlando senza liti o giostre,
K senza pur aver rotta una maglia.
Verso Parigi mena la Donzella
Che v'ha condotti a questa pugna fella.
17
Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
Che ne va con Angelica a Parigi,
Di voi ridendo insieme, e motteggiando
Che senza fruttò alcun siate in litigi,
li meglio forse vi sarebbe, or quando
Non son più lungi, a seguir lor vestigi;
Che s'in Parigi Orlando la può avere,
Non ve la lascia mai più rivedere.
18
Veduto avreste i cavallier turbarsi
A quell'annunzio; e mesti e sbigottiti.
Senza occhi e senza mente nominarsi,
Cile gli avesse il rivai cosi scherniti;
Ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
Con sospir che parean del fuoco usciti,
E giurar per isdeguo e per furore.
Se giungea Orlando, di cavargli il core.
19
E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
E sopra vi si lancia, e via galoppa;
Né al cavallier, ch'a pie nel bosco lassa,
Pur dice a Dio, non che lo'nviti in groppa.
L'animoso cavallo urta e fracassa.
Punto dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa:
Non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
Far che dal corso il corridor decline.
20
Signor, non voglio che vi paia strano,
Se Rinaldo or si tosto il destrier piglia,
Che già più giorni ha seguitato in vano,
Né gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, eh' avea intelletto umano,
Non per vizio, seguirsi tante miglia,
lingua lett. Bocc. N. 19: «Io non feci mai
cosa, per la quale debbia cosi fatto merito
ricevere ».
17. 1. Vicino un miglio; sott. di qui: ed k
un' espressione avverb. Bocc. Nov. 93 « Forse
un mezzo miglio vicino di qui ». Si noti che
il messo mente sul conto d'Orlando. \. e.
vili, 6S.
— 5. Il meglio vi sarebbe... a seguir. A se-
guir vale: Seguendo, nel seguir. Più co-
munem. senza prep. a. V. e. iv, 11, 1.
18. 6. del fuoco usciti; ardenti di rabbia.
Immagine grossolana.
19. 1. passa; va. Guicc. St. 17, 47. «Per-
ché... passasse a Cesare per la pratica della
pace ».
20. 1. Signor. V. e. r, 40.
— 4. possuto ; potuto. É anche della prosa
antica: Mach. Disc. 1, 55: Non hanno pos-
suto pigliare i costumi ecc.
— 6. Tiaio ; bizzarria. Anche oggi si chia-
CANTO II
17
Ma per guidar, dove la donna giva,
li suo signor, da chi bramar l'udiva.
21
Quando ella si fuggi dal padiglione,
La vide et appostolla il buon destriero,
Che si trovava aver voto l'arcione,
Però che n'era sceso il cavalliero
Per combatter di par con un barone.
Che men di lui non era in arme fiero;
Poi ne seguitò l'orme di lontano.
Bramoso porla al suo signore in mano.
22
Bramoso di ritrarlo ève fosse ella.
Per la gran selva inanzi se gli messe;
/•X-Né lo volea lasciar montare in sella.
Perché ad altro camiu non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la Donzella
Una e due volte, e mai non gli successe;
Che fu da Ferraù prima impedito.
Poi dal Circasso, come avete udito.
23
Ora al demonio che mostrò a Rinaldo
De la Donzella li falsi vestigi.
Credette Baiardo anco, e stette saldo
E mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,
A tutta briglia, e sempre in ver Parigi;
E vola tanto col desio, che lento, [to.
Non ch'un destrier, ma gli parrebbe il ven-
24
La notte a pena di seguir rimane
Per affrontarsi col signor d' Anglante :
Tanto ha creduto alle parole vane
Del messaggier del cauto Negromante.
man vizi le bizzarrie dei cavalli, dei bovi
ecc.
— S. da chi; da cui. Chi per cui è fre-
quente anche in prosa già nel trecento.
21. 5. Si riferisce a ciò che è raccontato
uell' Ori. Jnn. Ili, iv, 29, 40.
di par; alla pari con Ruggero, che
era a piedi.
barone. Negli antichi vale spesso
ìiomo di gran qualità senza l'idea della
giurisdizione. V. Dante, Par. 24, 115.
22. 6. non gli successe; non gli riuscì a
bene. L' usarono non di rado gli scrittori e
non è morto ancora. Lasc. Gel. 1, 5: Avver-
tisci a quel che tu fai che ti succeda.
— 8. come avete udito. O si riferisce al
Signor della St. 20; a più veramente ai let-
tori in genere, a cui spesso, specialmente
nella fine dei canti, si ritolge l'A.
24. 4. Negromante (gr. necrós, morto ; món-
tis, indovino) era colui, che indovinava il
futuro, evocando a ciò i morti. Il mago in-
vece produceva coli' intervento di esseri
soprannaturali effetti miracolosi. Spesso i
romanzieri usano l'uno per l'altro.
Ariosto — P.vpikx
Non cessa cavalcar sera e dimane.
Che si vede apparir la terra avante.
Dove re Carlo, rotto e mal condutto,
Con le reliquie sue s'era ridutto:
25
E perché dal Re d'Africa battaglia
Et assedio v'asp^etta, usa gran cura
A raccor buona gente e vettovaglia,
Far cavamenti e riparar le mura.
Ciò eh' a difesa spera che gli vaglia,
Senza gran differir, tutto procura:
Pensa mandare in Inghilterra, e trarne
Gente, onde possa un nuovo campo farue.
26
Che vuole uscir di nuovo alla campagna,
E ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de l'andata il Paladin si lagna:
Non ch'abbia cosi in odio quella terra;
Ma perché Carlo il manda allora allora.
Né pur lo lascia un giorno far dimora.
27
Rinaldo mai di ciò non fece meno
Volentier cosa; poi che fu distolto
Di gir cercando il bel viso sereno.
Che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
Ma, per ubidir Carlo, nondimeno
A quella via si fu subito volto.
Et a Calesse in poche ore trovossi;
E giunto, il di medesimo imbarcossi.
— 5. sera e dimane: sera e mattina. Cosi
anche altri prima dell' A. e 1' .\. al e. 24,
104. Dante, Inf. 33, 37: Quando fui desto
innanzi la dimane.
— 6. che, tinche. V. e. xiii, 7, not. 4.
— 7. mal condutto, condotto in cattive
condizioni. Si accenna alla rotta data ai
Francesi da Agramante e dai suoi amici,
di che il Boiardo, Inn. Ili, iv. Carlo si era
ritirato in Parigi.
25. 2. assedio. Vlnn. arriva fino- all' as-
sedio, ma l'A., tornando un passo addietro,
riappicca dalla rotta e mette 1' assedio nel
e. vili.
— 4. cavamenti, fosse senz'acqua. Guicc.
St. 15, 767 : Spingendosi sempre innanzi con
cavamenti, con fossi e con bastioni.
— 8. onde; delle quali; e nota in farne
ripetuto il complemento all' usanza del po-
polo. Cosi al e. IV, 41.
26. 4. La Brettagna, abbandonata dai Ro-
mani avanti il 5" secolo, fu subito dopo sot-
tomessa dagli Angli e dai Sassoni. Da Au-
gii-terra fu detta Inghilterra. I romanzieri
attribuirono a Carlo M. la conquista del-
l'Inghilt., che, storicamente, fu fatta da Gu-
glielmo il Conquistatore tre secoli dopo.
27. 7. Calesse Calais, porto di mare sulla
Manica. Altrove l'A. lo rende colle forme
Calesio, Calessio
2
18
ORLANDO FURIOSO
•28
Centra la volimtà d'ogni nocchiero,
Pel gtan desir che di tornare avea,
Entrò nel mar ch'era turbato e fiero,
E gran procella minacciar parca.
Il vento si sdegnò, che da l'altiero
Sprezzar si vide; e con tempesta rea
Sollevò il mar intorno, e con tal rabbia.
Che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
29
Calano tosto i marinari accorti
Le maggior vele, e pensano dar volta,
E ritornar ne li medesnii porti.
Donde in mal punto avean la imve sciolta.
Non convien (dice il vento) ch'io comporti
Tanta licenzia che v'avete tolta;
E soffia e grida, e naufragio minaccia
S" altrove van, che dove egli li caccia.
30
Or a poppa, or all'orza hann'il crudele
Che mai non cessa, e vien più ognor ere-
Essi di qua di là con umil vele [scendo:
Vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma perché varie fila a varie tele
Uopo mi son, che tutte ordire intendo.
Lascio Rinaldo e l'agitata prua,
E torno a dir di Bradamante sua.
31
Io parlo di quell'inclita Donzella,
Per cui Re Sacripante in terra giacque,
Che di questo Signor degna sorella,
Del Duca Amone e di Beatrice nacque.
28. S. sino alla gabbia. Sino alla invece
di sino la, che è più comune. É un uso
avverbiale di sino, che si trova spesso ne-
gli antichi e nei moderni scrittori. V. For-
NAC. S. 2S1.
gabbia, specie di gerla in cima al-
l' albero degli antichi bastimenti, dove si
faceva la vedetta.
30. 1. Ora a poppa ecc. Vuol dire che ora
il vento è in favore, ora è contrario. Ma
l'espressione Avere il vento all' orza non
è chiara: infatti l'orza non è una dire-
zione assoluta, ma indica la parte donde
viene il vento: perciò qui iu sostanza vuol
dire: ora hanno il vento in poppa ora lo
hanno di fronte.
— 3. con umil vele; colle vele calate.
— 5. varie fila ecc. Il poema cavalleresco
era alieno dalla unità d' azione. Le leggi
aristoteliche si richiamarono in vigore solo
una trentina d'anni più tardi.
31. 3. di questo Signor, di Rinaldo.
— 4. Del duca Anione ecc. Questa donna
si trova già nel romanzo il Rubione, dove
è detta Braidamonte e figlia illegittima di
Amone. 11 Boiardo, for^e di proposito, tace
della madre (li, VI, 22, 60). L' A. la dice senz'al-
tro figlia di Beatrice, moglie legittima d'A-
Lagran possanza e il molto ardir di quella
Non meno aCarlo e J:utta Francia piacque,
(Che più d'un paragonne vTde saldo)
Ohe '1 lodato valor del buon Rinaldo.
32
La donna amata fu da un cavallicro
Che d'Africa passò col Re Agramante,
Che partorì del seme di Ruggiero ,
La disperata figlia d'Agolaute: ■*'
E costei; che né d'orso né di fiero
Leone usci, non sdegnò tal amante :
Ben che concesso, fuor che vedersi un»
Volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.
33
Qnindi cercando Bradamante già
L'amante suo eh' avea nome dal padre,
Cosi sicura senza compagnia.
Come avesse in sua guardia mille squadre
E fatto ch'ebbe al Re di Circassia
Battere il volto de l'antiqua madre.
Traversò un bosco, e dopo ilbosco un mon-
Tanto che giunse ad una bella fonte, [te ;
34
La fonte discorrea per mezzo un prato.
D'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,
Ch'i viandanti con mormorio grato
mone, certo per elevare la progenitrice de-
gli Estensi — Carlo M. le aveva dato a reg-
gere Marsiglia col territorio fra il Varo e
il Rodano. — Il Raina inclina a credere che
il tipo della donna guerriera nei romanzi
cavallereschi derivi dalla Amazzoni, popo-
larissime nel M. E., con influenza però della
Cammina virgiliana e di ricordi di donne
guerriere vissute nel Medio E.
32. 1. La donna ecc. L'amore di Ruggero
e di Brad, comincia nell'/nw. Ili, v, dove è
condotto con accorgimento finissimo. Bra-
damante ha diverse occasioni di notare la
squisita cortesia di Ruggero, donde comin-
cia una grande propensione per lui. Accom-
pagnatisi per un tratto, si narrano la pro-
pria storia: si scoprono il volto e allora la
simpatia diventa amore. Sorpresi e assaliti
da una schiera di Saracini, si separano e
si vanno poi ricercando invano. Fin qui il
Boiardo.
— 4. La disperata ecc. Galaciella, sposata
da Ruggero di Risa. Anche la storia di
Ruggero è tutta nel Boiardo III, v : l'A. la
ripete ampiamente al e. xxxvi.
33. 0. il volto d. ant\flua m. la terra. Pbtr.
Tr. 6, 89 : « Tutti tornate alla gran madre an-
tica ». Forse c'è pure il ricordo del bacio da-
to da Bruto alla comune madre. Livio, I, 21.
34. 3. mormorio. Alcuni accentano : mor-
morio, per avere l'armonia ritmica di que-
sto ver.so e dell'altro al e. vi, 24: e addu-
cono esempì di B. Tasso, del Firenzuola,
del Bembo (Dolce mormorio di fontana vi-
CAKTO II
19
A ber invita e a far seco soggiorno:
Un culto uionticel dal nianòo lato
L'e'difende il calor del mezzo giorno, f^"!;^
Quìtì, come i begli occhi prima torse, '~""
D'un cavallier la giovane s'accorse-,
35 [schetto
D' nn cavallier eh' all' ombra d' un bo-
Nel margin verde e bianco e rosso e giallo
Sedea pensoso, tacito e soletto
Sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo sc^do non lontan pende e l'elmetto
Dal fiìggió, ove legato era il cavallo; '-
Et avea gli occhi molli e '1 viso basso,
E si mostrava addolorato e lasso.
Questo disir, eh' a tutti sta nel core,
De' fatti altrui sempre cercar novella,
Fece a quel cavallier del suo dolore
La caribù domandar da la donzella.
Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,
Dal cortese parlar mosso di quella,
E dal sembiante altier, ch'ai primo sguardo
Gli sembrò di guerrier molto gagliardo.
o7
E cominciò: Signor, io conducea
Pedoni e cavallieri, e venia in campo
Là dove Carlo Marsilio attendea.
Per chal scender del monte avesse inciam-
E una giovane bella meco avea, [po;
Del cui fervido amor nel petto avvampo:
E ritrovai presso a Rodonna armato
Un che frenava un gran destriero alato.
Tosto'che '1 ladro, o sia mortale, o sia
Una de l'infernali anime orrende,
Tede la bella e cara donna mia;
Come falcon che per ferir discende.
Cala e poggia in nn atimo, e tra via
Getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m'era accorto de l'assalto.
Che de la donna io senti' '1 grido in alto.
Cosi il rapace nibio furar suole
Il misero pulcin presso alla chioccia.
Che di sua inavvertenza poi si duole,
Ein vangli grida, ein van dietro gli croc-
io non posso seguir un uom che vole, [eia.
Chiuso tra monti, a pie d'un' erta roccia:
Stanco ho il destrier, che muta a pena i
Ne l'aspre vie de' faticosi sassi. [passi
40
Ma, come quel che men curato avrei
Vedermi trar di mezzo il petto il core,
Lasciai lor via seguir quegli altri miei
Senza m.ia guida e senza alcun rettore:
Per li scoscesi poggi e manco rei
Presi la via cho mi mostrava Amore,
E dove mi parca che quel rapace
Portassi il mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me n' andai matina e sera
Per balze e per pendici orride e strane,
Dove non via, dove-sentier non era,
va). Il Morali crede si debba leggere il verso
cosi : eh' i viandanti còl mormorio grato ;
alti-i finalmente: ch'i viandanti col mor-
morio grato. ^ Tutti questi ritmi hanno ri-
scontri nell'A. e in altri.
— 6. difende, allontana. È struttura lati-
na: Viro. Eclo(j. 7, 13: « solstitmm pecoi-i
defendite ». In ital. non è frequente ; ma ha
esempi: Tratt. (iella Provvidenza, 429: La
piova e con fronde e con tettuccio difen-
dono.
37. 3. Là dove Carlo ecc.; dove C. atten-
deva Marsilio. Accenna alla sortita di Carlo
M. contro Marsilio, che era sulle alture di
Montalbano ; Inn. Il, xxii, tìl ; xxiii, 1.5.
— 7. Eodonna. Forse è l'antica Roclma-
na, che Tolomeo dice essere una città sul
Rodano. Al Casella fa difficoltà la distanza
da Montalbano, dove si dirigeva Pinabello,
e perciò voi'rebbe intendere la più vicina
Rodez ; ma nei romanzi cavallereschi le di-
stanze si percorrano con facilità sorpren-
dente.
— 8. un gran destriero a. V. e. IV, IS.
38. 6. Getta le mani; stende le m.; ma
e' è di piti r idea della rapidità e del movi-
nfiento dall' alto al basso.
39. 1. nibio; nibbio, uccello di rapina di-
stinto per la coda assai forcuta.
— 4. gli grida ; sottint. dietro. È frequente
nell'A. riferire a due proposizioni una pa-
rola che si trova soltanto in una di esse ;
V. e. II, 42, S; XVII, C9, 3; xxxv, 25; ed è
una specie di zeugma.
croccia dal lat. crocire o evocare.
Forse l'A. l'ha tolto dall'uso parlato. La
Cr. nonio cita; cita invece croccliiare con
un esempio del salviati.
— 6. Chiuso ecc. Riferiscilo a Pinabello :
chiuso com' ero tra monti e appiè d'un' alta
roccia, che in' impediva di seguire la trac-
cia d'Atl. Questi monti potevano essere le
Cevenne e i loro contrafforti.
— 7. muta i passi. È locuzione, che di-
pinge il camminare. L'A. l'usò più volte
VI, 03; xxxiii, 81; e già prima di lui il
Boiardo, Innam. II, v, 35.
— S. vie de' faticosi s. ; vie segnate tra i
fatic. sassi; oppure: vie aspre per i fati-
cosi sassi.
40. 4. rettore; guida, capo. I Latini dis-
sero: rector miìitiae ; rectof navis. Viro.
En., v, 161.
— S. Portassi. Questa terminazione della
Sa persona fu, presso gli antichi, frequente
anche in prosa. Nannicci,A«. cr.d.r. (7.24S.
20
ORLANDO FURIOSO
Dove né segno di vestigie umane: |
Poi giunse in una valle inculta e fiera, i
Di ripe cinta e spaventose tane, !
Che nel mezzo s'un sasso avea un castello'
Forte e ben posto, a maraviglia bello.
42
Da lungi par che come fiamma lustri.
Né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m'avvicino ai muri illustri,
L'opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demóni industri,
Da suffumfgi tratti e sacri carmi,
Tutto d'acciaio avean cinto il bel loco.
Temprato all'onda et allo Stigio foco.
43
Di si forbito acciar luce ogni torre.
Che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
E poi là dentro il rio ladron s'immacchia.
41. 4. né; neppure. È uso lat. del «e per
ne quidem, passato assai presto in ital.
Bocc. N. 15: « A cui l'altro rispose: non
io ; né io, disse colui ».
— 5. giunse; giunsi. Questa terminaz. è
anche al e. xl, 3, 1; xliii, U, 7; e nelle
ediz. del '16 e del '21. Il Morali cita esempi
di B. Latini, delle Cento novelle, di Ser Giov.
Fiorentino. Da questo e da altri usi pos-
siamo rilevare che l' A. amava di rinnovare
certi arcaismi.
— 7. Che nel mezzo ecc. Il giardino d'A-
tlante sul monte di Carena descritto dal
Boiardo, II, iii, 27, è stato il modello di
questa rocca, che l'A. pone sui Pirenei.
Quello « Ila di vetro tutto intorno il muro.
Bagli spirti d' inferno tutto quanto Fu in
un sol giorno fatto per incanto » ; è desti-
nato allo stesso scopo di salvar Ruggero ;
è ripido e inaccessibile, sol visibile per
mezzo dell'anello incantato d'Angelica. Av-
verti: castello e più sotto torre, rocca:
son parole che ricorrono spesso e si con-
fondono nell'uso medievale ; ma il castello
comprende propr. anche la borgata, che
di solito si formava dintorno alla rocca,
che era la parte alta e fortificata, alla quale
appartenevano le torri,
42. 3. muri illustri; splendenti. È il la-
tino illustrls : Val. FI., 6, 528 : illustre cae-
Iwm, cielo luminoso.
— 6. suffumigi ecc. V. e. Ili, 15.
— 8. Temprato ecc. Viro. En<, xii, 91,
dice della spada e dell' elmo di Turno :
« Stygia candentem (Vulcanus) tinxerat un-
da ». È noto che lo Stige avea la proprietà
di rendere incorruttibile tutto quanto fosse
immerso nelle sue acque. Per il costrutto
vedi St. 39, 4.
43. 4. s'immacchia; si nasconde come in
Cosa non ha ripar che voglia torre:
Sol dietro in van se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
Che di mai ricovrar lascio ogni spene,
44
Ah lasso! che poss'io più che mirare
La rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso ?
Come la volpe, che 4 figlio gridare
Nel nido oda de l'aquila di giuso,
S'aggira intorno, e non sa che si fare,
Poi che Tali non ha da gir là suso.
Erto è quel sasso si, tale è il castello.
Che non vi può salir chi non ò augello.
45
Mentre io tardava quivi, ecco venire
Duo cavallierch'avean per guida un Nano,
Che la speranza aggiunsero al desire;
Ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
Era Gradasso l'un. Re Sericano;
Era l'altro Ruggier, giovene forte,
Pregiato assai ne l'Africana corte.
46
Veugon (mi disse il Nano) per far pruova
Di lor virtù col air di quel castello.
Che per via strana, inusitata e nuova
Cavalca armato il quadrupede augello.
Deh, Signor (dissi io lor) pietà vi muova
Del duro caso mio spietato e fello!
Quando (come ho speranza) voi vinciate.
Vi prego la mia donna mi rendiate,
47
E come mi fu tolta lor narrai,
Con lacrime affermando il dolor mio.
Quei (lor mercé) mi proferirò assai,
E giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
Pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
Quanto in due volte si può trar con mano.
una macchia. È bella estensione di signifi-
cato fatta dall' A.
— 8. ricovrar; ricuperare. Questo è il
primo significato; l'altro di dar rifugio è
posteriore e deri\ato.
45. 2. un Nano. Gli antecedenti di quest >
racconto sono neh' Imi., III, vir. Ivi un
nano si presenta a Ruggero e Gradasso,
pregandoli di far vendetta d'una fellonia e
mostrando loro una torre da espugnare.
I/A. prende questi cenni interrotti, e ap-
profittando d' un altro particolare Boiarde-
sco (III, vili, 57 « partito di Francia è il
buon Ruggero »), compone a modo suo il
nuovo racconto.
47. :<. mi proferirò assai ; mi profferirono
molte cose ; mi fecero grandi profferte.
: —8. Quanto ecc. Dantje, Purg., iir, 09:
« Quanto un buon gittator trarrla con raa-
' no ».
CANTO II
'21
48
Poi che fui- giunti a pie de l'alta rocca,
L'uno e l'altro volea combatter prima;
Pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
O pur che non ne fé' Euggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
Rimbomba il sasso, e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
Fuor de la porta, e sul cavallo alato.
49
. , Cominciò a poco a poco indi a levarse,
•'** Come suol far la peregrina grue,
.'"^ Che corre prima, e poi vediamo alzarse
Alla terra vicina un braccio o due ;
E quando tutte sono all'aria sparse,
Velocissime mostra l'ale sue.
Si ad alto il Negromante batte l'ale,
Ch'a tanta altezza a pena aquila sale.
Quando gli parve poi, volse il destri 'm-o,
Che chiuse i vanni e venne a terra apiom-
Come casca dal ciel falcon maniero [bo,
j^ Che levar veggia 1' anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
L'aria fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso appena del calar s'avvede,
Che se lo sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra Gradasso il Mago l'asta roppe;
Feri Gradasso il vento e l'aria vana:
Per questo il volator non interroppe "
Il batter l'ale; e quindi s'allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
48. 3. 0 fosse sorte, tocca; tocca a Gra-
dasso, 0 fosse sorte, (o ciò avvenisse per
sorteggio) o fosse die R. non apprezzò que-
sto vantaggio più di Gradasso. Nola poi lin
d'ora l'amore dell' A. per le inversioni for-
zate.
— 5. a bocca. Espressione che può pren-
dere o non prendere l' articolo : v. Bembo,
Prose II, 224.
49. 1. levarse. Il Bejiro, Prose ili, 27,
stabilisce la regola che mi al uniti al verbo
si usano in poesia (non solo in rima) anche
nella forma me se; il ti ;ion si cambiò dagli
antichi. L'A. se^;ui generala!, gli antichi.
— 2. peregrina; perché è uccello di passo.
— 3. vediamo; sottiiit. la. V. I, 21, 7.
— 5. e quando tutte ecc.; e quando sono
interamente librate nell' aria.
50. 3. manièro, è aggiunto di falcone da
caccia, perché si teneva sulla mano, donde
volava alla preda. Mainhriano viii, 91 :
Calava giù d' un picciol monticello Più pre-
sto assai che '1 falcon peregrino Non scende
quando ha veduto l'augello.
— 5. arrestata ; posta sulla resta. Pulci,
M., 22, IGG: Ed una lancia arrestata gli ac-
cocca.
Sul verde prato alla gagliarda Altana.
Gradasso avea una Altana la più bella
E la miglior che mai portasse sella.
52
Sin alle stelle il volator trascorse;
Indi giros.si e tornò in fretta al basso,
E percosse Rnggier che non s'accorse.
Ruggì er che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
E '1 suo destrier più rinculò d'un passo;
E quando si voltò per lui ferire,
Da sé lontano il vide al ciel salire.
53
Or su Gradasso, or su Ruggier pereote
Ne la fronte, nel petto e ne la schiena ;
E le botte di quei lascia ognor vote,
Perché è si presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote;
E quando all'uno accenna, all'altro mena:
All'uno e all'altro si gli occhi abbarbaglia,
Che non ponno veder donde gli assaglia.
54
Fra duo guerrieri in terra et uno in cielo
La battaglia durò sin a quella ora.
Che spiegando pel mondo oscuro velo,
Tutte le belle cose discolora. |lo:
Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pe-
lo '1 vidi, io '1 SO; né m'assicuro ancora
Di dirlo altrui; che questa maraviglia
Al falso più ch'ai ver si rassimiglia.
55
D'un bel drappo di seta avea coperto
Lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
Di tenerlo nascosto in quella veste;
Ch'inmantinente che lo mostra aperto,
Forza è, chi '1 mira, abbarbagliato reste,
E cada come corpo morto cade,
E venga al Negromante in potestade.
56
Splende lo scudo a guisa di piropo,
E luce altra non è tanto lucente.
51. 6. Alfana ; (dallo spagnuolo Alfana)
cavalla araba grossa e robusta.
52. i. non s'accorse ; non se ne acc. V. I,
21, 7.
55. 2. cav. celeste ; che andava pel cielo.
È un «so assai singolare.
— 7. E cada ecc. Dante, Jnf. 5, 142: E
caddi come corpo morto cade — Questo
scudo incantato è invenzione dell' A., che
ne tolse l'ispirazione dallo scudo di Pei'seo.
A Perseo lo donò Minerva ed era lucentis-
simo, si che Medusa, in esso vedendo ri-
flessa la propria figura, rimase assopita e
fu uccisa da Pers. Forse ha dato qualche
elemento anche il mito della testa di Me-
dusa, che Perseo scopriva a tempo oppor-
tuno, e che le arti ligurative rappresenta-
rono sopra una corazza o sopra uno scudo.
56. 1. piropo (gr. i^ir, fuoco); nome an-
22
ORLANDO FURIOSO
Cadere in terra allo splendor fu d'uopo
Con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo
Gran spazio mi riebbi finalmente;
Né più i guerrier, né più vidi quel Nano,
Ma voto il campo, e scuro il monte e il pia-
57 [no.
Pensai per questo che 1" incantatore
Avesse amendui colti a un tratto insieme,
E tolto per virtù dello splendore
La libertade a loro e a me la speme.
Cosi a quel loco, che chiudea il mio core,
Dissi, partendo, le paroh; estreme.
Or giudicate s' altra pena ria,
Che causi Amor, può pareggiar la mia.
.58
Ritornò il cavallier nel primo duolo,
Fatta che n'ebl)e la cagion palese.
Questo era il conte Piuabel, figliuolo
D'Anselmo d'Altaripa, Maganzese,
Che tra sua gente scelerata, solo
Leale esser non volse né cortese,
Ma ne li vizii abominandi e brutti
Non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.
59
La bella donna con diverso aspetto
Stette ascoltando il Maganzese cheta;
Che come prima di Ruggier fu detto.
Nel viso si mostrò più che mai lieta:
Ma quando senti poi eh' era in distretto,
Turbossi tutta d'amorosa pietà;
Né per una o due volte contentosse
Che ritornato a replicar le fosse.
60
E poi ch'ai fin le parve esserne chiara,
Gli disse: Cavallier, datti riposo;
lieo del granato orientale o carbonchio,
d' un colore acceso.
— 8. il campo ; di battaglia.
57. 6. le parole estreme ; addio; cioè : dissi
le ultime pnrole di cungedo che si dicono
quando si lascia una cosa cara. Comunem.
questa espressione significa: le ultime pa-
role della vita. Petr. Caìiz., xiv, 13 : Alle
dolenti mie parole, estreme.
58. 3. Pinabel. Si trova già nella Chan-
son de Roland. Era nipote di Oano di Ma-
ganza e traditore anch' egli. La casa di Ma-
ganza, che, secondo la leggenda, si chiamò
cosi da Maganza, figliuola di sanguino, avea
vecchi odi colla casa di Chiaramoiite, i quali
si erano andati accrescendo per continui
delitti e tradimenti dei Maganzesi. Questi
odi sono una caratteristica dei poemi franco-
italiani.
59. 5. in distretto; in prigione: cosi an-
che al e. XXII, 40.
— (i. pietà ; coli' accento ritratto vale spes-
so dolore, anyoscia,
60. 1. ess. chiara, certa. È espressione
Che ben può la mia giunta esserti cava,
Parerti questo giorno avventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara,
Che si ricco tesor ci tiene ascoso;
Né spesa sarà iu van questa fatica,
Se fortuna non m'è troppo nemica.
61
Rispose il cavallier: Tu vuoi ch'io passi
Di nuovo i monti, e mostriti la via?
A me molto non è perdere i passi.
Perduta avendo ogni altra cosa mia;
Ma tu per balze e ruinosi sassi
Cerchi entrare in prigione: e cosi sia.
Non hai di che dolerti di me poi
Ch'io tei predico, e tu pur gir vi vuoi.
62
Cosi dice egli ; e torna al suo destriero,
E di quell'animosa si fa guida.
Che si mette a periglio per Ruggiero,
Che la pigli quel Mago o che la ancida.
In questo ecco alle spalle il messaggiero,
Che, — aspetta aspetta — a tutta voce gri-
ll messagger da chi il Circasso intese [da.
Che costei fu eh' all' erba lo distese.
68
A Bradamante il messaggier novella
Di Mompolier e di Narboua porta.
Ch'alzato li stendardi di Castella
Avean, con tutto il lito d' Acquamorta;
E che Marsiglia, non v'essendo quella
Che la dovea guardar, mal si conforta,
E consiglio e soccorso le domanda
Per questo messo, e se le raccomanda.
64
Questa cittade, e intorno a molte miglia
Ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
Avea rimperator dato alla figlia
Del duca Amon, in eh' avea speme e fede;
Però che '1 suo valor con maraviglia
Riguardar suol, quando armeggiar la ve-
Or, com' io dico, a domandare aiuto [de.
Quel messo da Marsilia era venuto.
65
Tra si e no la Giovane sospesa.
Di voler ritornar dubita un poco:
frequente nella letteratura. Passavanti, Sp.
172: «Per essere più chiaro d'esser bea
confessato ».
61. 2. i monti; i primi monti della catena
dei l'irenei, sulla quale era il castello d'Ati.
63. 3. Castella; CastigUa; qui sta per la
Spagna, dove regnava Marsilio-
— 4. Acquamorta ; Aigues-Mortes.
64. 1. intorno a molte miglia; a molte
miglia intorno ad essa.
-- 2. al mar siede ; è sul mare. La regione
marittima tra il Varo e il Rodano è la Pro-
venza.
65. 2. di voler. * Volere, Dovere, Potere,
come quelli che sono causa od occasione
CANTO II
23
Quinci l'onore e il debito le pesa,
Quindi l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar l'impresa,
E trar Ruggier de l'incantato loco;
E quando sua virtii non possa tanto,
Almen restargli prigioniera accanto.
66
E fece iscusa tal, che quel messaggio
Parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo viaggio,
Con Pinabel che non ne parve lieto;
Che seppe esser costei di quel lignaggio
Che tanto ha in odioinpublicoein segreto:
E già s'avvisa le future angosce.
Se lui per Maganzese ella conosce.
67
Tra casa di Maganza e di Chiarmoute
Era odio antico e inimicizia intensa;
E più volte s'avean rotta la fronte,
E sparso di lor sangue copia immensa:
E però nel suo cor l'iniquo conte
Tradir l'incauta giovane si peusa;
O, come prima eommodo gli accada,
Lasciarla sola, e trovar altra strada.
68
E tanto gli occupò la fantasia
Il nativo odio, il dubbio e la paura;
Ch'inavedutaraente usci di via,
E ritrovossi in una selva oscura,
di ogni azione nostra, dagli antichi si espri-
mono non di rado senza necessità; per lo
più dopo verbi, che siguifìcano un intendi-
mento, uno sforzo, un' istanza, o altra si-
mile determinazione dell' animo » Forna-
ciARi, Note al Decam., N. 7, 2, 11,
— 5. Fermasi; stabilisce. La forma rifless.
in questo siguilic. non è frequente. Villani,
9, 19, 13 : Fermossi di non passare più m-
nanzi.
66. 2. cheto ; tranquillo nell' animo. In
questo senso non è citato dai Vocab.
— 7. s' avvisa ecc. ; si figura. Avvisare
per vedere o anche conoscere col complem.
dii'etto o col che è frequente negli antichi :
Nov. ant. 2 : « Maestro, avvisa questo de-
striere » : Brun. Lat. Tes. 7, S : « Avviso
che bella cosa sia ecc. ». La forma riti, è
più rara : Sacchetti, N. 77 « Avvisiti tu di
nessuuo?», Del riti, col complem. diretto
si cita solo quest'esempio dell' a.
67. 1. Chiaramonte, da cui prese nome la
casa, ebbe per fratello Bernardo, da cui
nacquero Milone, padre d' Orlando ; Ottone
d'Inghilterra, padre d'Astolfo; Amone, pa-
dre di Rinaldo, di Bradamaute, di Ricciar-
detto, di Alardo e di Guiscardo.
— 7. eommodo gli accada; gli si presenti
comodo, opportuno. Accadere in questo
medesimo senso vedilo anche al e. xix,
41, 3.
Che nel mezzo avea un monte che finia
La nuda cima in una pietra dura:
E la figlia del duca di Dordona
Gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.
69
Come si vide il Maganzese al bosco.
Pensò torsi la Donna da le spalle.
Disse: Prima che '1 ciel torni più fosco.
Verso un albergo è meglio farsi il calla
Oltra quel monte (s'io Io riconosco)
Siede un ricco caste! giù ne la valle. •
Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
Certificar con gli occhi me ne voglio.
70
Cosi dicendo, alla cima superna
Del solitario monte il destrier caccia.
Mirando pur s' alcuna via discerna,
Come lei possa tor da la sua traccia.
Ecco nel sasso trova una caverna.
Che si profonda più di trenta braccia.
Tagliato a picchi et a scarpelli il sasso
Scende giù al dritto, et ha una porta al bas-
71 [so.
Nel fondo avea una porta ampia e capace.
Ch'in maggior stanza largo adito dava;
E fuor n'uscia splendor, come di face
Ch'ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon sospeso tace,
La donna, che da lungi il seguitava
(Perché perderne l'orme si temea)
Alla spelonca gli sopragiungea.
72
Poi che si vide il traditore uscire,
Quel eh' avea prima disegnato, in vano,
O da sé torta, o di farla morire.
Nuovo argomento imaginossi e strano.
Le si fé' incontra, e su la fé' salire
Là dove il monte era forato e vano;
E le disse eh' avea visto nel fondo
Una donzella di viso giocondo.
68. 7. duca di D.; Amone. Dordona era
un castello di Amone, nella Guienna sul
fiume Dordogne.
70. 1. superna. Propriam. significa : Su-
periore ad altre cose. Qui intendi : alla vetta
più alta del moute.
— 7. a picchi ; a picconi, a forza di pic-
coni. È parola fuori d'uso. Il Catalani (Della
patria di L. .Ar. e dei reggiauismi e lom-
bardismi di esso) lo dice un lombardismo.
71. 4. montana cava; caverna montana,
del monte.
— 7. si temea. La forma rifl. non è più
in uso, ma gli antichi la usarono spesso:
Caro, Lett., 1, 11: mi temerei di farlo.
72. 3. 0 da se torla ecc.; immaginò nuovo
modo di toglierla da se o di farla morire.
A da se torla manca il di, che darebbe
una strana combinazione col da se. Sono
omissioni freq. nell' A. V. e. vi, 31 ; xxxvii,
65; XVII, 92 ecc.; e anche in altri poeti;
24
ORLANDO FURIOSO
Ch'a'bei sembianti et alla ricca vesta
Esser parea di non ig^nobil grado;
Ma quanto più potea turbata e mesta,
Mostrava esservi chiusa suo mal grado:
E per saper la condiziou di questa,
Ch'avea già cominciato a entrar nel gua-
E che era uscito de l'interna grotta [do ;
Un che dentro a furor l' avea ridotta.
74
Bradaraante, che come era animosa,
Cosi mal cauta, a Pinabel die fede;
E d'aiutar la.donua, disiosa.
Si pensa come por colà giù il piede.
Ecco d'un olmo alla cima frondosa
Volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
E con la spada quel subito tronca,
E lo declina giù ne la spelonca.
75
Dove è tagliato, in man lo raccomanda
A Pinabello, e poscia a quel s'apprende:
Dante, Inf. 5, 81 : « Venite a noi parlar
s' altri non niega ».
73. 6. Ch' avea. Dipende da le disse della
St. 72, 7.
entrar nel guado. Espressione figu-
rata, che vale: Tentar la prova.
— 7. interna grotta ; la più interna delle
due grotte: V. st. 71, 2.
Prima giù i piedi ne la tana manda,
E su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
Come ella salti; e le man apre e stende.
Dicendole: Qui fosser teco insieme
Tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme.
70
Non come volse Pinabello avvenne
De l'innocente Giovane la sorte;
Perché giù diroccando, a ferir venne
Prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò; ma tanto la sostenne,
Che '1 suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la Donzella alquanto,
Come io vi seguirò ne l'altro Canto.
76. 1. avvenne... la sorte. È un costrutto
notevole. Più comunemente si ometterebbe
la sorte o si userebbe il verbo essere in-
vece di avvenire.
— 3. ferir; percuotere. Significato freq.
anche in prosa. Bocc. Nov. 42. « La barca
feri sopra il lido ».
— S. vi seguirò; vi continuerò a dire. Col
complemento di termine non è frequente ;
senza, è frequentissimo anche in prosa.
Pecor. g. 11, 1: « Mi convien dire l'origine
e la cagione, perché Fiesole fu disfatta e
poi seguire ecc. ».
CANTO III
Chi mi darà la voce e le parole
Convenienti a si nobil suggetto ?
Chi l'ale al verso presterà, che vole
Tanto, ch'arrivi all'alto mio concetto ?
Molto maggior di quel furor che suole.
Ben or convien che mi riscaldi il petto ;
Che questa parte al mio Signor si debbe,
Che canta gli avi, onde l'origine ebbe :
2
Di cui fra tutti li Signori illustri,
Dal ciel sortiti a governar la terra,
1. 1. Chi mi darà. È uno dei pochi esordi
(dodici in tutti), che non hanno una rifles-
sione morale: ma pur di quei dodici, solo
quattro riprendono, senz'altro, il racconto
del canto precedente.
— 5. furor; estro, ispirazione poetica. È
latinismo usato spesso dai nostri. Vasari,
Vn. \, 74: nascendo in un subito dal furore
dell'arte ecc.
2. 1. Di cui. Si rifer. ad avi.
Non vedi, o Febo, che '1 gran mondo lustri.
Più gloriosa stii-pe o in pace,.o in guerra;
Né che sua nobiltade abbia più lustri
Servata, e servarà (s' in me non erra
Quel profetico lume che m' inspiri)
Fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
— "i. lustri; illumini. É il .virgiliano,
£'«., IV, 607: Sol qui terrarum flammis opera
omnia lustras.
— 5. sua nobiltade. Storicamente le ori-
gini di casa D' Este rimontano al sec. x ; ma
r A. le fa, con Ruggero, risalire ai Troiani.
— 6. servarà. Queste forme con a, del fu-
turo e del condizionale della 1' coniug., sono
usate dagli antichi egualmente che le altre
con e. Il Cittadini, Note alle Prose del
Bembo, III, p. 56, dice che i Fiorentini ama-
vano la e, i Senesi Va. Quanto al costrutto,
sottintendi la: V. e. I, 21, 7.
— 8. Finché ecc. La profezia non si av-
verò, perché la casa D'Este si spense nel
1803 colla morte di Ercole Rinaldo, che la
CANTO III
25
E volendone a pieu dicer gli onori,
Bisogna non la mia, ma quella cetra
Con che tu dopo i gigaatei furori
Rendesti grazia al Regnator de l'etra.
S' instrumenti avrò mai da te migliori,
Atti a sculpire in cosi degna pietra,
In queste belle iraagini diseguo
Porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
4
Levando in tanto queste prime rudi
Scaglie n'andrò collo scarpello inetto :
Forse eh' ancor con più solerti studi
Poi ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniamo a quello, a cui né scudi
JPotran, né usberghi assicurare il petto:
Parlo di Pinabello di Maganza,
Che d'uccider la donna ebbe speranza.
5
Il traditor pensò che la Donzella
Fosse nell'alto precipizio morta;
E con pallida faccia lasciò quella
Trista e per lui contaminata porta,
E tornò presto a rimontar in sella:
E, come quel ch'avea l'anima torta,
Per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
Di Bradamante ne menò il cavallo.
6
Lascian costui, che mentre all'altrui vita
Ordisce inganno, il suo morir procura;
E torniamo alla donna che, tradita,
(^uasi ebbe aun tempo e morte e sepoltura.
Poi ch'ella si levò tutta stordita,
Ch'avea percosso in su la pietra dura.
sciò la figlia Maria Beatrice, sposata a Fer-
dinando Arciduca d'Austi-ia.
3. 3. i gigantei furori; dopo vinti i giganti.
L'idea è di Tibullo, Jib. II, el. 5. « Qualem te
memorant, Saturno rege fugato, viatori lau-
des concìnuisse lovi ». Apollo interveniva,
come cantore, a celebrar le feste di Giove;
specialmente la sua vittoria sul padre Sa-
turno. L'A. ha dato novità all'immagine e
alla espressione.
— 4. Rendesti grazia: per avere liberato
gli dei dai giganti, che li assalirono. \on
occorre, come fanno alcuni, intendere gra-
zia per lode; signitlcato, che non esiste.
— 5. instrnmenti ecc. Immagini tolte dalla
:scultura: la pietra è la storia degli Estensi;
gV istrumenti,\di poesia; le belle immagini,
i particolari della casa Est.
4. 5. a cui ecc. ^'. per (luesto il e. XXIII, 4.
5. 2. alto; profondo.
— 7. colpa... fallo. Qui non dicono vera-
mente un'idea diversa; ma i poeti epici
•^"indugiano volentieri nelle sfumature della
•:essa idea.
6. 0. Ch'avea; poiché avea. Si noti ora
per sempre che Va. a volte segnò l'accento
Dentro la porta andò, ch'adito dava
Ne la seconda assai più larga cava.
I 7
La stanza, quadra e spaziosa, pare
Una devota e venerabil chiesa,
Che su colonne alabastrine e rare
Con bella architettura era sospesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
Ch'avea dinanzi una lampada accesa;
E quella di splendente e chiaro foco
Rendea gran lume all'uno e all'altro loco.
8
Di devota umiltà la Donna tocca,
Come si vide in loco sacro e pio,
Incominciò col core e con la bocca.
Inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocea.
Ch'era all'incontro, onde una donna uscio
Discinta e scalza, e sciolte avea le chiome.
Che la donzella salutò per nome;
9
E disse: 0 generosa Bradamante,
Non giunta qui senza voler divino,
Di te pili giorni m'ha predetto inante
Il profetico spirto di Merlino,
a questi che, altre l'omise. Il contesto serve
a stabilire questo e i moltissimi altri signi-
lìcati, che tal parola ha nel Furioso.
7. 7. foco; fiaccola. In questo senso l'usò
già Lor. de' Medici; Op. 1, 74; Come lucerna
all' ora mattutina. Quando manca l' umor,
che '1 foco tiene.
8. 5. crocea; crocchia. Questa forma del
verbo crocchiare, e questo senso speciale
per lo stridore degli usci, non sono registr.
dalla Cr.
— 7. Discinta e scalza. Ciò era proprio
del rito magico. Viro. Eh. 4, 509, 51S. « Cri-
iies effusa sacerdos » « Unum exuta pedani
vinclis, in vesU' recincta ».
9. 2. senza voler divino. Daxt., inf. xxil,
S2: senza voler divino e fato destro.
— 3. pili giorni... inante; più giorni avanti
questo.
— 1. Merlino. È personaggio del ciclo Bret-
tone, di fondo storico. Fu bardo Brettone
che visse fra il v e il vi sec. d. Cr. La leg-
genda lo fece profeta e mago, maestro d'Ar-
tu, fondatore della Tavola Rotonda: si
disse nato da un console romano e da una
vestale ; oppure da uno spirito dell' aria e
da una monaca; o anche da una donna e
da un demonio (v. e. xxx, 9). S'innamorò
di Viviana, e secondo altri della Donna del
Lago. Fece per sé e per lei nella selva di
Xorthes, e secondo alcuni nella selva di
Brocelian, una sepoltura, dove i loro corpi
sarebbero stati inviolabili {reliquie sante),
perché, mediante un certo incantesimo, una
volta chiusa, non si sarebbe potuta aprii"
26
ORLANDO FURIOSO
Che visitar le sue reliquie sante
Dovevi per insolito camino:
E qui son stata acciò eh' io ti riveli
Quel c'han di te già statuito i cieli.
10
Questa è l'antiqua e memoiabil grotta
Ch'edificò Merlino, il savio Mago
Che forse ricordare odi talotta.
Dove ingannoUo la Donna del Lago.
Il sepolcro è qui giù, dove corrotta
Giace la carne sua; dov'egli vago
Di sodisfare a lei clie gli '1 suase,
Vivo corcossi, e morto ci rimase.
11
Col corpo morto il vivo spirto alberga,
Sin ch'oda il suon de l'angelica tromba
Che dal ciel lo bandisca, o che ve l'erga,
.Secondo che sarà corvo, o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga,
Udir potrai da la marmorea tomba ;
Che le passate e le future cose,
A chi gli domandò, sempre rispose.
12
Più giorni son eh' in questo cimiterio
Venni di remotissimo paese,
Perché circa il mio studio alto misterio
Mi facesse Merlin meglio palese:
E perché ebbi vederti desiderio.
Poi ci son stata oltre il disegno un mese;
Che Merlin, che '1 ver sempre mi predisse.
Termine al venir tuo questo dì fisse.
13
Stassi d'Amon la sbigottita figlia
Tacita e fissa al ragionar di questa;
Et ha si pieno il cor di maraviglia.
Che non sa s'ella dorme, o s'ella è desta :
più. La donna, che nan amava Merlino, lo
fece, con un pretesto, entrare nella sepol-
tura e ve lo chiuse. Secondo i romanzi del
ciclo d'Artù, Merlino era nella tomba ancor
vivo; l'A. modifica la tradiz. dicendo che
« col corpo morto il vivo spirto alberga ».
10. 7. gli '1 snase, glie lo persuase. V.
St. 64, n. 3.
11. 4. corvo 0 colomba. Forse è un ricordo
del verso di Giovenale, sai. ii, 63: « Dat ve-
niam corvis vexat censura columbas ».
12. 1. cimiterio; sepolcro. Dante, Par. 27,
25 « Fatto ha del cimiterio mio cloaca ».
— 2. di remot. paese; di Mantova: V. e.
XLii, 20 seg.
— 3. circa il mio studio; perché Merlino
mi rivelasse un mistero, che si riferisce ai
miei studi magici. Se si deve ricongiungere
Valto mistero a ciò che è detto ai canto xliii,
«ara stato il modo di vincere il cuore di
quell' uomo restio. Ma forse Melissa ha vo-
lato esprimersi in un modo vago, come fa
persona, che non vuol dire i fatti suoi.
— 8. fisse; da figgere, determinare.
E con rimesse e vergognose ciglia
(Come quella che tutta era modesta)
Rispose : Di che merito son io,
Ch'antiveggian profeti il venir mio ?
U
E lieta de l'insolita avventura,
Dietro alla maga subito fu mossa,
Che la condusse a quella sepoltura
Che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.
Era quell'arca d'una pietra dura,
Lucida e tersa, e come fiamma rossa ;
Tal cli'alla stanza, ben che di Sol priva,
Dava splendore il lume che u' usciva.
15
0 che natura sia d'alcuni marmi
Che muovin l'ombre a guisa di facelle,
0 forza pur di suffumigi e carmi
E segni impressi all'osservate stelle,
(Come più questo verisimil parmi) ;
Discopria lo splendor più cose belle
E di scultura e di color, ch'intorno
Il venerabil luogo aveano adorno.
16
A pena ha Bradamante dalla soglia
Levato il pie ne la secreta cella,
14. 2. fu mossa. Si fa mossa, si mosse. Il
trapass, invece del pass, usarono spesso gli
anticlii per indicare la prontezza, con cui
un atto si compie. V. Fornac, Novellescelte
del Bocc. pag. 97,5 (ediz. Sansoni), dove si
citano diversi esempi del Bocc.
— S. Dava splendore. II sepolcro non era
nella cava illuminata dalla lampada, ma
presso e più in basso (il sepolcro è qui giù),
in luogo appartato (un piccol uscio intanto
stride e crocea).
15. 2. muovin l'ombre; rimuovan l'ombre.
La terminazione ino, che è forma popol.,
è comunissima negli antichi per il cong.
pres. della 2* e 3'' coniug.
— 3. suffumigi. Si facevano specialmente
d'incenso, di bitume, di verbene. Viro. Ed.
8, 65: «Verbenasque adole pingues et inascH-
la thura». Carmi, erano le forinole degli in-
canti, le quali dapprima furono in versi;
perciò rimase poi loro, fra gli antichi e nel
Medio Evo, il nome di carmi anche se in
prosa. Segni: si cliiamavano anche carat-
teri ed erano segni strani, che si facevano
in terra, su carta ecc., osservando prima
le stelle. — All' osservate stelle, all'osser-
vazione delle stelle.
— 5. Come piri questo ecc. Vi è la fusione ■
di due costrutti : Come più verisimil parmi :
E questo più veris. parmi.
— 7. di color, di pittura.
16. 2. Levato il pie nella ecc. ; levato il
pie dalla soglia e avanzatolo nella s. e. È
una brachilogia, atta a dipingere quel mo-
vimento.
CANTO III
27
Che '1 vivo spirto da la morta spoglia
Con chiarissima voce le favella:
Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
O casta e nobilissima Donzella,
Del cui ventre uscirà il seme fecondo.
Che onorar deve Italia e tutto il mondo.
17
L'antiquo sangue che venne da Troia,
Per li duo miglior rivi in te commisto,
Produrrà l'ornamento, il fior, la gioia
D'ogni lignaggio ch'abbi '1 Sol mai visto
Tra l'Indo e 'ì Tago e '1 Nilo e la Danoia,
Tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.
Nella progiene tua con sommi onori
17. 1. L'antico sangue. L'amore delle ge-
nealogie illustri era comune nel Medio Evo.
Alludendo a queste disse Faz. degli Uberti,
Dittam. IV, 18: «Tu dei sapere che nel tempo
antico, Ch'arsa fu Troia, nel mondo i Troiani
Per tutto germogliar come il panico ». Questa
genealogia Ariostesca è inventata dal Boiar-
do, II, XXI, 55 seg. L'A. la riprende e la con-
tinua, ma a differenza del B., sopprime il
periodo germanico, secondo il quale i pros-
simi discendenti di Bradamante e di Rug-
gero avrebbero avuto sede in Sassonia. Del
resto per le origini degli Estensi c'erano
già delle leggende. « Altri scrittori ci rap-
presentano questa casa florida e feconda
di Eroi e dominante in Este già circa l'anno
428 dell'Era volg. ». Muratori, Ant. Est.
I, 242.
— 2. duo miglior rivi. Questi rivi sono le
due linee che derivarono, secondo la leg-
genda, da Astianatte figlio di Ettore (V. In-
nam. Ili, v; e Furioso e. xxxvi) e che eb-
bero a principio, l' una Costante, donde
venne la casa di Chiaramonte a cui appar-
teneva Brad., l'altra Clodovaco, dal quale
discesero gli antenati di Ruggero. Li dice
i migliori rivi perché, procedendo da Etto-
re, portavano il miglior sangue di Troia.
— 3. la gioia; il gioiello. Dante, Par. xv,
86: Che questa gioia preziosa ingemmi.
— 4. abbi, abbia. V. e. xv, 86, n. 5.
— 5. Tra l'Indo ecc. L'Indo è fiume del-
l'Asia, il Tago della Spagna, il Nilo dell'Af-
frica, il Danubio dell' Austria : {Danoia l'usò
già Dante, ed è forma più vicina al tedesco
Donau). Si vogliono indicare i quattro punti
cardinali.
— 6. Antartico e Cai. Antartico è usato
sostantivamente e senza articolo, forse per
influenza del seg. Calisto, e vale Polo an-
tart.: Calisto è la. costellaz. dell' Orsa mag-
giore, al polo artico, si favoleggiò che in
essa fosse cangiata Calisto ninfa d'Arcadia
amata da Giove. Anche qui si ripete il con-
cetto del verso precedente con altra imma-
gine.
Saran Marchesi, Duci e Imperatori.
18
I Capitani e i Cavallier robusti
Quindi usciran, che col ferro e col senno
Ricuperar tutti gli onor vetusti
De l'arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i Signor giusti,
Che, come il savio Augusto e Numafenno,
Sotto il benigno e buon governo loro
Ritorneran la prima età de l'oro.
19
Acciò dunque il voler del ciel si metta
In effetto per te, che di Ruggiero
T' ha per inoglier fin da principio eletta.
Segue animosamente il tuo sentiero ;
Che cosa non sarà che s' intrometta,
Da poterti turbar questo pensiero,
Si che non mandi al primo assalto in terra
Quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra.
20
Tacque Merlino avendo cosi detto.
Et agio all'opre de la Maga diede,
Ch' a Bradamante dimostrar l'aspetto
Si preparava di ciascun suo erede.
Avea di spirti un gran numero eletto,
Non so se da l' inferno o da qual sede.
E tutti quelli in un luogo raccolti
Sotto abiti diversi e varii volti.
— S. Imperatori. Nel ramo germanico.
Ottone IV discendeva da Guelfo IV Estense.
Inoltre, per parte di donne, discesero dagli
F:stensi altri imperatori. Duci; è il plurale
di Duca; più comunem. duchi ; seppure non
è il plur. di duce, usato nel senso di Duca,
come al e. xxxiv, S.
18. 5. Quindi terran. Brachilogia: Quindi
usciranno quei che terranno ecc.
— 8. prima ; delle quattro età che comu-
nemente distinguevansi dagli antichi : età
dell'oro, dell'argento, del bronzo, del ferro.
19. 3. fin da principio. É espressione scrit-
turale (in prDiciino) e vale: ab eterno, ne-
gli eterni decreti. — .i(ot/^?('r,V. e, xviii,53,7.
— 4. Segue. L'A. USÒ sette volte questi
imperativi alla latina in e della 2" coniug.
Avverti che segue viene Aa, seguere; come,
al e. X, scoiare da scorrere. La letteratura
antica ne offre molti esempi, che puoi ve-
dere in Nannlxci, Analisi cnt. dei verbi
ital. p. 263 seg.
— • 8. Quel rio ladron ; Atlante, che, ru-
bando Ruggero a Bradamante, per essa e
per Melissa era un ladrone.
20. 5. Avea di spirti ecc. Questa rassegna
è imitata da Viro., En. iv, 713 seg. Ma in
Virgilio sono proprio le anime dei futuri
nepoti, che si presentano a Enea ; qui ne
prendono l' aspetto i demoni. Quantunque
il Poeta dica « Non so se dall' inferno o da
qual parte », pure sappiamo che i maghi
28
ORLANDO FURIOSO
21
Poi la Donzella a sé richiama in chiesa,
Là dove prima avea tirato un cerchio
Che la potea capir tutta distesa,
Et avea un palmo ancora di superchio.
E perché da li spirti non sia ottesa,
Le fa d'un gran pentacolo coperchio ;
E le dice che taccia e stia a mirarla :
Poi scioglie il libro, e coi demoni parla.
22
Eccovi fuor de la prima spelonca, Isa-,
Che gente intorno al sacro cerchio ingros-
Ma come vuole entrar, la via Tè tronca,
Come lo cinga intorno muro e fossa.
In quella stanza, ove la bella conca
In sé chiudea del gran Profeta l'ossa,
Entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte
Fatto d'intorno lor debite volte.
23
Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti
(Dicea l'incantatrice a Bradaraante)
Di questi ch'or per gl'incantati spirti,
Prima che nati sien, ci sono avante.
Non so veder quando abbia da espedirti ;
Che non basta una notte a cose tante :
Si eh' io te ne verrò scegliendo alcuno,
Secondo il tempo, e che sarà opportuno.
24
Vedi quel primo, che ti rassimiglia
Ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:
Capo in Italia fia di tua famiglia,
Del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Pontier vermiglia
Per mano di costui la terra, aspetto,
E vendicato il tradimento e il torto
Centra quei che gli avranno ilpadre morto.
25
Per opra di costui sarà deserto
Il Re de' Longobardi Desiderio :
D' Este e di Calaon per questo merto
Il bel domino avrà dal sommo Imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uber-
Onor de l'arme e del paese Esperio: [to.
Per costui centra Barbari difesa
Pili d'una volta fia la santa Chiesa.
26
Vedi qui Alberto, invitto capitano.
Ch'ornerà di trofei tanti delubri :
Ugo il figlio è con lui, che di Milano
Farà l'acquisto, e spiegherà i Colubri.
Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano
Dopo il fratello il regno degl'Insubri.
non avean potere che su i demoni. Ciò fece
Va. forse per non urtare nella dottrina cat-
tolica, ammettendo la metempsicosi virgi-
liana.
21. 1. chiesa. V. st. 7, 2.
— 6. pentacolo (gr. pente, cinque) arnese
magico a guisa di stella a cinque punte, di j
metallo o di cartapecora con segni e ligure i
magiche. l
— 8. il libro ; degli incantesimi, detto an- i
che libro del comando. |
22. 1. Eccovi. Il vi è pleonastico. V. e.
xn, 80, n. 7. j
— 2. sacro. L' .\. usò più volte questo ag- !
gettivo riferito a cose magiche. V. e. ii, 42 ; j
XII, 57. I
— 5. conca; urna. V. e. vii, 37. È un uso |
speciale dell' A. |
— 8. debite volte; i tre giri imposti loro '
dal rito magico. Cfr. Viro. Ey!. 8, 75. 1
23. 1. se vo' dirti... non so veaer. u'indica- |
tivo mostra il desiderio iniziale di dire,
frenato da una riflessione posteriore ; il ;
cong. : Se volessi ecc., mostrerebbe il prò- j
posilo di non dire, già fatto prima d' inco- 1
minciare a parlare. >
24. 1. Vedi quel primo. È Ruggerino o i
Ruggeretto. Tutto ciò, che di lui dice l'A., '
non ha riscontro nella storia ed è inveu- j
zicne del poeta. Il luogo è imitalo da Viro. \
En. VI, 760 seg. « Ille vides pura juvenis
qui nititur basta Prima sorte tenet lucis
loca; primus ad auras Aetherias italo com-
mixtus sanguine surget ». Il resto della ge-
nealogia Ariostesca fino ad Azzo V è con-
fuso e pieno d' errori e d' inesattezze. L'A.
attinge alle antiche tradizioni e, qua e là,
alle cronache antiche : non so che esista
una fonte determinata di queste notizie.
— S. il padre morto. Quest' idea malinco-
nica è già accennata dal Boiardo, Inn. Il,
XVI, 53 ; che fa dire al vecchio Atlante : il
ciel vuole... Che a tradimento (Ruggero) sia
ucciso con pene.
25. .;. Este e Calaone. Son due castelli del
Padovano, che l'A. suppone donati da C.
Magno a Ruggeretto.
— "). Uberto. Non è storico. Forse l'A. ha
fatta confusione con Oberto I, che promosse
la venuta di Ottone il grande in Italia e
mori nel 977 (?).
— 6. paese esperio ; l'Italia; detta dai greci
Esperia, cioè Occidentale, perché, per ri-
spetto a loro, posta a occidente.
26. 1. Alberto. Non è storico. Forse è
confuso con Oberto li.
— 3. Ugo. È storico. Figlio di Uberto II,
fu conte di Milano (1021) e mori nel 1039 o 1010.
— 4. spieg. i colubri. Più propr. Il CO-
lubro. La vipera, che ha in bocca un bam-
bino, è antichissima arme dei Visconti (dal
1050 circa) concessa loro, pare, da Milano,
che ebbe poi croce rossa in campo bianco.
— 5. Azzo. C'è un errore storico; per-
ché ad Ugo successe, non il fratello (Alber-
tazzo I), ma il figlio di questo, Albertazzo li,
ni. 1044 circa.
— G. il r. degl' Insubri ; il Milanese. Gli
CANTO III
29
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
Torrà d' Italia Beringario e il figlio;
27
E sarà degno, a cui Cesare Otone
Alda sua figlia in raatrinionio aggiunga.
Vedi un altro Ugo: oh bella successione
Che dal patrio valor non si dislunga !
Costui sarà, che per giusta cagione
Ai superbi Roman l'orgoglio emunga,
Che '1 terzo Otone e il Pontefice tolga
De le man loro, e '1 grave assedio sciolga.
28
Vedi Folco, che par ch'ai suo germano,
Ciò che in Italia avea, tutto abbi dato;
E vada a possedere indi lontano
In mezzo agli Alamanni un gran Ducato,
E dia alla casa di Sansogna mano,
Insubri furono popolo antico, che abitava
fra l'Adda e il Ticino.
— 7. Albertazzo. È Alb. II. L'A. gli attri-
buisce fatti non veri. Non promosse la ve-
nuta d'Ottone, non sappiamo che sposasse
un' Alda, né ebbe che fare con Berengario,
che mori 78 anni prima di lui (966).
27. 1. degno a cui. Costrutto latino: (I
Latini dicevano DLgnus ut e Dignus qui)
l'A. lo preferisce all' altro più comune De-
gno che.
— 3. Ugo, Conte di Maine (ra. 1097). È
falso ciò che gli attribuisce W\. e che si
riferirebbe ai tempi e alle vicende di papa
Gregorio V (996-999). Questi, combattuto dal
console romano Crescenzio, si rifugiò a Pa-
via, donde coli' imperatore Ottone, di cui
era nipote, venne a riprendere il possesso
di Roma e a punire l'antipapa e Crescenzio.
— 6. emunga; sprema, tolga. Dopo l'A.
l'usarono fìgurat. anche altri. Monti, Poe-
sie 1, 261 : « E gli emunga il carnefice l' orgo-
glio ». Si aspetterebbe il futuro onungerà ;
ma il cong. enuuzia la cosa come pensiero
di chi parla, r indicativo l'enunzierebbe co-
me un fatto.
28. 1. Folco. É storico, ed è il capostipite
dei duchi di Ferrara. Mori nel 1136. È falso
ciò che r.\. gli attribuisce.. In Germania
passò invece suo fratello Guelfo iv, nel
quale si ridussero le case di Cai'inzia e di
Baviera colla morte dell'avo materno Guel-
fo II duca di Carinzia, dello zio materno
Guelfo III e di Arrigo di Baviera, frateUo
della sua nonna {tutta da un lato, v. 6).
par; è in tale atteggiamento, che
sembra aver già fatto quello, che dovrà
fare negli anni futuri.
— 5. casa di Sansogna. È un errore, per-
ché il ducato di Sassonia fu dato all'Estense
Arrigo VI il superbo solo nel 1136; cioè 65
anni dopo che Guelfo IV era diventato duca
di Baviera.
Che caduta sarà tutta da un Iato;
E per la linea della madre, erede,
Con la progenie sua la terrà in piede.
29
Questo ch'or a nui viene, è il secondo
Di cortesia pili che di guerre amico, |Azzo,
Tra dui figli, Bertoldo et Albertazzo.
Vinto da l'uu sarà il secondo Enrico ;
E del sangue Tedesco orribil guazzo
Parma vedrà per tutto il campo aprico :
De l'altro la Contessa gloriosa.
Saggia e casta Matilde, sarà sposa.
30
Virtù il farà di tal connubio degno;
Ch'a quella età non poca laude estimo
Quasi di mezza Italia in dote il reguo,
E la nipote aver d'Enrico primo.
29. 3. Bertoldo, Arbertazzo. Ricobaldo, an-
tico storico Ferrarese, rammenta un Ber-
toldo marchese Estense, che resistette al-
l'Imperatore Enrico IV, e fu fedele alla
Chiesa; e parla pure d'un Rinaldo figlio
di lui, che aiutò i Milanesi contro Federigo
Barbarossa. Questa forse fu la fonte dell'A.;
ma il Muratori dice di non aver trovato
menzione altrove di questi personaggi, e
crede che Ricobaldo abbia fatto confusione
con altri.
— 4. Vinto ecc. Qui r A. confonde fatti,
che appartengono ad Albertazzo II, il quale
combatté veramente sotto Parma contro
Enrico IV imperat. (II della casa di Frau-
conia); e sposò una contessa Matilde, so-
rella di Guglielmo vescovo di Pavia; donde
la confusione dell'A.
— 7. la contessa ecc. La gran contessa
Matilde fu sposa d'un Estense, ma non di
questo ; sivvero di Guelfo V duca di Ba-
viera.
30. 2. a quell'età. Guelfo V avea IS anni,
quando sposò la Contessa M., che ne avea
43. L'eco di questa disparità si sente anche
nella confusione Ariostesca.
— 3. Quasi di mezza I. I domini della Con-
tessa erano la Toscana, Piacenza, Parma,
Modena, Reggio, Mantova, Ferrara, parte
dell'Umbria e del Patrimonio di S. Pietro,
il ducato di Spoleto.
— 4. nipote... d'Enrico I. Secondo le au-
tiche genealogie si credeva che Beatrice,
madre di Matilde, nascesse da Corrado I il
Salico, che fu padre di Enrico III (I della
casa di Franconia). Cosi Matilde sarebbe
stata nipote di questo Enrico. Ma secondo
la più accettata genealogia, Ermanno di Sve-
via ebbe due figlie, Matilde e Gisela; l'una
sposò Federigo di Lorena, l'altra Corrado
il Salico; da Federigo nacque Beatrice ma-
dre della Contessa, da Corrado nacque Ar-
rigo III (I).
30
ORLANDO FURIOSO
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, ch'avrà Tonor opimo
D'aver la Chiesa de le man riscossa
De l'empio Federico Barbarossa.
ai I
Ecco un altro Azzo, et è quel che Verona
Avrà in poter col suo bel teuitorio ;
E sarà detto Marchese d'Ancona
D^l quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sarà, s'io mostro ogni persona
Del sangue tuo, ch'avrà del Consistorio
Il confalone, e s' io narro ogni impresa
A'^inta da lor per la Romana Chiesa.
32
Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi
Ambigli Enrichi, ilfiglio al padre accanto;
Duo Gueltì, di quai l'uno Umbria soggiughi
E vesta di Spoleti il ducal manto. [ghi
Ecco, che '1 sangue e le gran piaghe asciu-
— 6. onor opimo. Valerio Mass. 4, 3, n.
10 disse: opimarn gloriam ; e il Forcellini
illustra: Gloi'ia opima, tamquam opimis
spoliis acquisita. E spoglie opime erano
quelle del capo dell' esercito nemico.
31. 1. Azze. È sconosciuto nella storia.
L' Estense, che dalla parte guelfa ebbe, nel
1207, la podesteria di Verona, fu Azzo IV,
che l'A. rammenta più avanti. Questi ebbe
pure da Innocenzo III il marchesato della
Marca Anconitana (1208). Fu poi Azzo VII,
che nel 1217 ne riebbe l'investitura da Ono-
rio III.
— 5. Lungo sarà. È imitazione del co-
strutto latino: Longuìn est, Longum erif.
più raramente : Longum esset. Ma vedi an-
che la nota alla st. 23 v. 1 e vedi xiii, 73, 1.
— tì. Consistorio (lat. consistorium, da
consistere = raccogliersi insieme); propr.
è il consiglio dei Cardinali : qui vale Lo sta-
to della Chiesa. Esser gonfaloniere della
Chiesa vuol dire Comandarne l'esercito.
38. 1. Obizzo, m. 1193; Folco ni. 117S. Azzi
e Ughi non si conoscono nella storia.
— 2. ambi gli Enr. Probabilmente Enrico
a Xero (m. 1126), tiglio di Guelfo IV, e En-
rico il Superbo (m. 1139) figlio del prece-
dente.
— 3. Duo Gnelfl. Guelfo VI, figlio di En-
rico il Mero e nipote di Federigo II, che,
divenuto imperatore, gli dette, fra molti al-
tri domini, il ducato di Spoleto ; Guelfo VII,
figlio del precedente.
soggiughi e più sotto asciughi. Per
il cong. V. st. 27 n. 6. Di quai; dei quali :
V. e. II, 15, a.
— 5. che. Molte e buone ediz. correggono
Chi; ma il Morali, appoggiandosi alla con-
cordia delle tre ediz. curate dall' .-v., man-
tiene Che. D'altra parte qualche esempio
antico di c/ce per chi sembra confermare
D'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:
Di costui parlo (e raostrolle Azzo quinto)
Onde Ezelin lìa rotto, preso, estinto.
33
Ezellino, immauissimo tiranno.
Che tia creduto figlio del Demonio,
Farà, troncando i sudditi, tal danno,
E distruggendo il bel paese Ausonio,
Che pietosi apo lui stati saranno
Mario, Siila, Neron, Caio et Antonio.
E Federico imperator secondo [do.
Fia, per questo Azzo, rotto e messo allon-
34
Terrà costui con più felice scettro
La bella terra che siede sul fiume,
la lez.; Pecorone, g. 6, 1: Lo fece coi'riero
del monislero non sapendo che e' si fosse.
— 7. Azzo V. Azzo V fu figlio di Obizzo I,
fu prigioniero dei Veronesi a premori al
padre. Nuli' altro si sa di lui. Ma quel che
l'A. dice di AZZO V appartiene ad Azzo VII
(novello), che fu veramente uno dei capi
degli alleati contro Ezelino ; e prima avea
contribuito alla rotta di Federigo II sotto
Parma e alla sua rovina nel settentrione
d'Italia.
— 8. Ezelino III da Romano fu signore
di Verona, Vicenza, Padova, Feltre, Bellu-
no : fu crudelissimo. Nel 1259, voleudo pren-
der Milano, si trovò a fronte molti e validi
collegati, fra gli altri azzo Novello d'Este ;
i quaU suU'Adda lo costrinsero a una bat-
taglia rovinosa, in cui fu ferito a morte
(settembre 1259). L'.\. attribuisce la vittoria
principalmente ad azzo, ma di essa decise
la riserva milanese. Cantù, Ezel. da Rom.,
p. 296.
33. 4. p. ausonio. Ausonia (dagli antichi
Ausones che abitavano sul Liri) è l'Italia.
— 5. apo, cosi V ed. del '32: lat. apud.
— 6. Caio. Per i Romani era prenome e
non bastava a indicare una persona. Qui
forse è Caio Caligola. Antonio fece una
terribile proscrizione, maggiore di quelle
di Siila.
— 7. Federigo lì saputo che Parma, già
occupata dai suoi ghibellini, era stata as-
sediata e presa dai fuorusciti guelfi e dai
loro alleati, fra cui azzo d'Este, venne in
soccorso del suo partito ; ma dopo alcuni
mesi fu vinto (1248). L'anno dopo Azzo con-
tribuì alla rotta e alla pi'esa di Enzo, figlio
di lui, in Romagna, col quai fatto l'Imiìe-
ratore, avvilito, lasciò il settentrione e si
ritrasse in Puglia.
34. 1. Terrà costui ecc. Il dominio degli
Estensi su Ferrara cominciò con Azzo VI,
padre di Azzo novello, per dedizione spon-
tanea della città (1208); ma egli fu contra-
stato dalla fazione dei Torelli, che invece
CANTO III
31
Dove chiamò con lacrimoso plettro
Febo il tìgliuol ch'avea mal retto il lume,
Quando fu pianto il fabuloso elettro,
E Cigno si vesti di bianche piume;
E questa di mille oblighi mercede
Gli donerà TApostolica sede.
•ab
Dove lascio il fratel Aldobrandino ?
Che per dar al Pontetìce soccorso
Centra Oton quarto e il campo Ghibellino,
Che sarà presso al Campidoglio corso,
Et avrà preso ogni luogo vicino,
E posto agli Umbri e alli Piceni il morso,
Né potendo prestargli aiuto senza
Molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;
36
E non avendo gioia o miglior pegni,
Per sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà i suoi vittoriosi segni,
E romperà Teserei to Germano :
In seggio riporrà la Chiesa, e degni
Darà supplicii ai Conti di Celano;
Azzo Novello domò e distrusse. Morto poi
Ezelino, Ferrara fu dominio incontrastato
degli Estensi {ìjìu felice -scettro).
— 3. Dove chiamò. Dice la favola che Fe-
tonte, fulminatola Giove, cadde nel Po.
Febo ne pianse, e ne piansero le Eliadi, che
furono cangiate in pioppi. Le lacrime che
stillavano dalla corteccia erano mutate in
ambra (gr. electron). Avverti il verbo Pian-
gere usato transitivamente per inllueuza
dell' oggetto interno, come se dicesse : Pian-
gere lacrime d'elettro.
— 6. Cigno, secondo la favola, era re della
Liguria e parente di Fetonte. Preso an-
ch' egli da grande dolore, fu mutato in ci-
gno.
— 8. gli donerà. Ferrara fu ritenuta dai
Papi loro patrimonio, perché compresa o
nella donazione di Pipino o nella eredità di
Matilde. Gli Estensi ne ebbero l'investitura
dai papi.
35. 1. Aldobrandino, fratello di Azzo VII.
È storico ciò che l'.\. dice di lui in questa
ottone IV coronato imperatore (1209),
e tese esercitare autorità nel ducato di
s^poleto, di Perugia (Umbri), nella Roma-
gna, nella Marca d'Ancona (Piceni, popolo
antico che abitava intorno ad Ascoli e ad
Ancona), a Napoli e altrove.
— 7. Nò potendo. Uniscilo col secondo
verso, come continuazione della protasi del
periodo.
36. 2. il frate. Aldobrandino ottenne dai
Fiorentini denaro, dando in pegno, come
talvolta si soleva fare, il fratello Azzo VII.
— 6. conti di Celano. Alle sollecitazioni di
Innocenzo III, Aldobr. si recò a ricuperare
il marchesato d' .-ancona (1215), dove i conti
Et al servizio del sommo Pastore
Finirà gli anni suoi nel più bel fiore :
37
Et Azzo, il suo frate], lascerà erede
Del dominio d'Ancona e di Pisauro,
D'ogni città che da Troento siede
Tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro',
E di grandezza d'animo e di fede,
E di virtù, miglior che gemine et auro ;
Che dona e toUe ogni altro ben Fortuna
Sol in virtù non ha possanza alcuna.
38
Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio
Splenderà di valor, purché non sia
A tanta essaltaziou del bel lignaggio
Morte 0 Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il duol lìn qui da Napoli aggio,
Dove del padre allor statico Ila.
Or Obizzo ne vieii, che giovinetto
Dopo l'avo sarà Principe eletto.
39
Al bel dominio accrescerà costui
Reggio giocondo, e Modena feroce.
di Celano, fautori di Ottone IV, avean ribel-
lato al papa gli abitanti. Gualtieri di Celano
fu ucciso. Poco dopo mori anche Aldobran-
dino (1215).
37. 3. D'ogni città ecc. Descrive esatta-
mente l'antica Marca d'Ancona, fra il Tron-
to, la Foglia (Inaurus) e l'Appennino.
38. 1. Rinaldo, tiglio d'.\zzo Noveho, e pri-
mo di questo nome nella casa d'Este. Ri-
chiesto al padre dall'imperatore Federigo II
per pegno di fede (1239), quando Azzo x\ov.
si dichiarò apertamente per la Chiesa, il
principe fu condotto prigioniero in Pugha,
e nel 1251 fatto avvelenare da Corrado suc-
ceduto a Federigo II.
— 5. Udirne... aggio ; dovrò udire il do-
lore, che si proverà per la sua morte, da
Napoli Un qui. Con questo l'A. vuole indi-
care la grandezza di quel dolore, che non
si limiterà a poche persone; non già che
Melissa a quei tempi debba trovarsi in quel
luogo stesso. Per l'omissione della prep. a,
V. e. I, 4, n. 1.
— 6. Obizzo, figlio naturale di Rinaldo,
natogli in Puglia e legittimato dall'avo Az-
zo VII; a cui successe nel principato all'età
di 17 anni (1264). Modena e Regg:io (1288-
1289), lacerate da continue discordie, gli of-
frirono la loro signoria.
39. 2. Reggio è detto dal poeta giocondo
per i dolci ricordi dei suoi amori, e della
sua giovinezza; Modona è detta feroce per
le fiere lotte di parte. Sat. nr, 29 : « Del-
l'ostinata Modena non parlo. Che, tutto che
stia mal, merta star peggio ». Anche un
vecchio proverbio Emihano dice: Reggio
gentile Modena un porcile. Nelle ediz. pre-
32
ORLANDO FURIOSO
Tal sarà il suo valor, che Signor lui
Domanderanno i popoli a una voce.
Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,
Confalonier de la Cristiana croce :
Avrà il Ducato d'Andria con la figlia
Del secondo Re Carlo di Siciglia.
40
Vedi in un bello et amichevol groppo
De li Principi illustri l'eccellenza,
Obizzo, Aldobrandin, Nicolò Zoppo,
Alberto d'amor pieno e di clemenza.
Io tacerò, per non tenerti troppo,
Come al bel regno aggiungeran Favenza,
E con maggior fermezza Adria, che valse
Da sé nomar l'indomite acque salse ;
41
Come la terra, il cui produr di rose
Le die piacevol nome in greche voci,
E la città ch'in mezzo alle piscose
Paludi, del Po teme ambe le foci,
cedenti si trova Modena; TA. la cambiò
jiella forma più popolare.
— 5. Azzo VI. È invece Azzo Vili, del
quale non sappiamo che combattesse spe-
cialmente contro i nemici della Chiesa. Sposò
Beatrice figlia di Carlo li d'Anjou e n'ebbe
in dote la sterile contea (non ducato) d'An-
dria e il titolo di Conte d'Audria (città iu
terra di Bari). Mori nel 130S.
40. 2. De li princ... l'eccellenza; gli eccel-
lenti illustri principi : come anche oggi di-
ciamo : La maestà del re.
— 3. Obizzo III, figlio d'un fratello di
Azze Vili ; è quegli che ebbe per concubina
la bella Lippa Ariosti, dalla quale, tra i
molti figli, ebbe anche Aldobrandino III (m.
1361), Xiccolò II detto lo Zoppo (m. 1388) e
Alberto (m. 1393).
— 4. Alberto fu vei'amente magnifico prin-
cipe e buono; fu chiamato padre della pa-
tria e gli fu eretta per decreto di popolo
una statua (m. 1393).
— 6. Favenza (lat. Faventia) Faenza: Nic-
colò Zoppo la comprò dall' Augud, ma gli
fu ritolta a forza dopo pochi anni dai vi-
sconti collegati coi Fiorentini.
— 7. con magg. fermezza di quella, con
cui avean tenuto Faenza.
— 8. valse... nomar; valse a nomar; potè
per la sua antichità dar nome all'Adriatico.
E un' opinione che non ha nessun fonda-
mento.
41. 1. il cui prodnr di rose; Rovigo, lat.
Rhodigium, che alcuni derivarono dal gr.
rodon, rosa. Questa città, antichissimo do-
minio Estense, fu da Niccolò III data in
pegno alla repubblica Veneta e da lui ricu-
perata (1438).
— 3. E la città ecc. ; Comacchio posta fra
ie imboccature del Po di Primaro e di vo-
Dove abitan le genti disiose
Che '1 mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d'Argenta, di Lugo, e di mille
Altre castella e popolose ville.
42
Ve' Nicolò, che tenero fanciullo
Il popol crea Signor de la sua terra ;
E di Tideo fa il pensier vano e nullo,
Che contra lui le civil arme afferra.
Sarà di questo il pueril trastullo
Sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
E da lo studio del tetnpo primiero
Il fior riuscirà d'ogni guerriero.
43
Farà de' suoi ribelli uscire a vóto
Ogni disegno, e lor tornare in danno;
Et ogni stratagema avrà sì noto,
Che sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s'avvedrà il terzo Oto,
E di Reggio e di Parma aspro tiranno ;
Che da costui spogliato a un tempo tìa
E del dominio e de la vita ria.
44
Avrà il bel Regno poi sempre augumento
Senza torcer mai pie dal camin dritto;
Né ad alcuno farà mai nocamento,
lano. Si era data ad Azzo^VIlI; rinnovò la
propria dedizione a Obizzo III nel 1325.
— 5. disiose ecc. ; Perché i pesci entrino
più copiosi dal mare in quelle valli. Vedi
la comparaz. del Tasso, Ger., 7, 46.
— 7. Argenta ; antica contea conquistata
da Obizzo III : oggi è una borgata. Lngo;
città nella prov. di Ravenna: tolta agli
Estensi dal conte di Barbiano, fu ricupe-
rata da Niccolò III.
42. 1. Niccolò III, figlio di Alberto, gli suc-
cesse, giovinetto di nove anni, per accla-
mazione di popolo. Fu valoroso guerriero
e compi numerose imprese.
— 3. E di Tideo ecc. Alcuni commenta-
tori parlano di un Tideo conte di Conio ;
di cui non si trova menzione. È piuttosto
da intendere della guerra civile mossagli
da un suo lontano parente .\zzo; e poiché
questi aveva un figlio per nome Taddeo,
forse l'A. ha confuso il padre col figlio.
— 5. il pueril trastullo. Di questa educaz.
guerresca non sappiamo nulla di preciso.
43. 1. de' suoi ribelli. Molte terre del Fer-
rarese, fatte ribellare da Azzo, furon sotto-
messe colle armi da Niccolò.
— 5. il terzo Oto ; Ottobono Terzi condot-
tiero, e tiranno di Parma e Reggio, tramò
contro la vita di Niccolò, ma fu da lui pre-
venuto e fatto a tradimento assassinare.
44. 1. augumento. Accenna agli accresci-
menti del dominio Estense, specialmente
sotto Ercole I, che acquistò Cento, Pieve,
Cotiirnola e metà del principato di Carpi.
CANTO III
Da cui prima non aia d' ingiuria afflitto :
Et è per questo il gran Motor contento
Cile non gli sia alcun termine prescritto;
Ma duri prosperando in meglio sempre,
Finché si volga il ciel nelle sue tempre.
45
Vedi Leonello, e vedi il primo Duce,
Fama de la sua età, l'inclito Borso,
Che siede in pace, e più trionfo adduce
Di quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà Marte ove non veggia luce,
E stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo Signor splendido ogni intento
Sarà, che '1 popol suo viva contento.
40
Ercole or vien, ch'ai suo vicin rinfaccia
Col pie mezzo arso, e con quei debol passi
Come a Budrio col petto e colla faccia
Il campo volto in fuga gli fermassi ;
Non perché in premio poi guerra gli faccia.
Né, per cacciarlo, tìn nel Barco passi.
Questo è il Signor, di cui non so esplicarme
Setiamaggiorlagloria o iupace oinarme.
47
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
De' gesti di costui lunga memoria,
— S. nelle sue tempre ; nelle sue sfere.
AxGuiLLARA, Metani., 1, 182: «E mentre ro-
tan le celesti tempre».
45. 1. Leonello; Borgo; figli naturali di
Niccolò III natigli da Stella de' Tolomei, niu
preferiti dal padre, nella successione, ai
legittimi Ercole e Sigismondo ancora fan-
ciulli. Lionello, ottimo e pacifico principe,
amò le lettere e i letterati (ra. 1150). Gli
successe Borso, che fu fatto da Federigo III
duca di Modena e Reggio, e dal papa creato
duca di Ferrara (più trionfo adduce ecc.).
Fu amantissimo delle lettere e della pace,
tanto da meritare che, nei tempi tristi di-
poi, si dicesse: Non son più i tempi del
duca Borso (m. 1471).
— 6. E stringerà ecc. Viro., En., 1, 493:
« Furor impius intus... centum vinctus ahe-
nis Post tergum nodis».
46. 1. Ercole. EDbe il principato dopo
morto Borso. — Al suo vicin, ai Veneziani,
che nel 1492 mossero guerra a Ere. I e ir-
ruppero fin nel Barco presso Ferrara, quan-
tunque egli nel 1467 fosse stato loro capi-
tano e nella battaglia della Molinella, presso
Budrio nel Bolognese, combattendo da pro-
de, avesse avuto il pie destro mezzo arso e
storpiato da una spingarda.
— 6. Barco, corrotto da parco. Era stato
costruito da Ercole I fuori della città per |
pubblico passeggio. j
47. 1. Pngliesi, Calabri e L. Detto qui pei'
i soldati e i gentiluomini delle diverse re-
gioni del regno di Puglia, che erano nella ■
Là dove avrà dal Re de' Catalani
Di pugna singular la prima gloria;
E nome tra gl'invitti capitani
S'acquisterà con più d'una vittoria:
Avrà per sua virtù la Signoria,
Più di trenta anni a lui debita pria.
48
E quanto più aver obligo si possa
A Principe, sua terra avrà a costui ;
Non perché fia de le paludi mossa
Tra campi fertilissimi da lui;
Non perché la farà con muro e fossa
Meglio capace a' cittadini sui,
E l'ornerà di templi e di palagi.
Di piazze, di teatri e di mille agi;
49
Non perché dagli artigli de l'audace
Aligero lieon terrà difesa;
corte e nell'esercito di Alfonso e videro il
glorioso duello, di cui nel v. 4. Se pure
non si accenna alle imprese di Ercole nella
bassa Italia in favore di Giovanni d'Angiò
contro re Ferdinando d'Aragona. Lucania
era detta anticamente la regione, che forma
il collo del piede d' Italia, fra il golfo di Ta-
ranto e il Tirreno.
— 3. re de' Catalani ; Alfonso I di Napoli,
che era stato re di Aragona e di Catalogna.
Ercole, giovinetto, combatté sotto le sue
bandiere. Ebbe, per cagione di donne, un
duello con Galeazzo Pandone nobile napo-
letano, e lo trattò con somma generosità
dopo averlo vinto. Vedi su questo fatto la
novella 2, dee. vi àeW Ecantoimniti Aq\ Gi-
raldi, che corrisponde a verità storica.
— 8. Pili di trent' anni. Lionello successe
a Niccolò nel dicembre del 1441, Borso mori
nel maggio del 1471, per lo che il dominio
di Ferrara gli era dovuto da più di tren-
t'anni, come a figlio legittimo di Niccolò.
48. 3. Non. perché fia ecc.; non perché da
lui sarà tolta dalle paludi e posta fra campi
fert. «Fé' cavare una fossa fino al Traghetto,
acciocché le acque del Reno non inondas-
sero quei paesi, facendo con utile grandis-
simo della città molti poderi e case nella
villa detta S. Martina » Gaspare Sardi,
Istor. Ferraresi, 1. X.
— 5. con muro e fossa. Ercole accrebbe
Ferrara di quasi tre miglia di recinto, con
nuove mura, porte e fosse, vi fece magnifi-
che strade, palazzi, chiese. Questa parte si
chiamò appunto Addizione Erculea. Diede
principio a un magnifico teatro stabile, su
disegno dell'Ariosto, che fu il primo d'Italia.
— 6. capace a' citt. Sul costrutto v. e. XII,
79, n. 6.
49. 2. aligero leon. Il leone alato è nel-
l'arme di Venezia.
Terrà difesa; sottintendi il pron.
la; il soggetto è Ercole. V. e. I, 21, n. 7.
Ariosto — Pepisi
34
ORLANDO FURIOSO
Non perché, quando la gallica face
Per tutto avrà la bella Italia accesa,
Si starà sola col suo stato in pace,
E dal timore e dai tributi illesa :
Non si per questi et altri benefici
Saran sue genti ad Ercol debitrici ;
50
Quanto che darà lor l'inclita prole,
Il giusto Alfonso, e Ippolito benigno,
Che saran quai l'antiqua fama suole
Narrar de' tìgli del Tindareo cigno,
Ch'alternamente si privan del sole
Per trar l'un l'altro de l'aer maligno.
Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte
L'altro salvar con sua perpetua morte.
51
Il grande amor di questa bella coppia
Renderà il popol suo via più sicuro.
Che se, per opra di Vulcan, di doppia
Cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
Si la bontà, ch'ai secolo futuro
La gente crederà che sia dal cielo
Tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.
— 3. la gallica face. Allude alla discesa
di Carlo vili, quando Ercole si tenne neu-
trale fra il re di \apoli e il re di Francia;
il quale si mostrò benevolo a casa d'Este.
— 7. Non SI... quanto. Comunem. a si cor-
risponde come. Dante, Par., ii, 46 : « Madon-
na, si devoto Quant' esser posso più ».
50. 1. Quanto che; quanto perché : V. e. v,
16, 5.
— 2. Alfonso; duca di Ferrara dopo Er-
cole; Ippolito, cardinale, ma più uomo di
stato e di guerra.
— 1. figli del Tind. cigno. Chiama cosi
Castore e Polluce con espressione assai
strana. Infatti Leda, moglie di Tindaro,
partorì due uova : uno, fecondato da Tinda-
ro, conteneva Castore, l'altro, fecondato da
Giove .sotto le sembianze d'un cigno, con-
teneva Polluce. Essendo perciò questi im-
mortale, ottenne, per amore del fratello, di
alternar con lui ogni sei mesi l'abitazione
del cielo e dell'inferno.
— 8. salvar, a salvar. V. e. i, 4. n. 1.
51. 1. Il grande amor. Confermano gli sto-
rici che questi due fratelli « erano congiun-
tissimi d'animo in tutte le imprese» Mu-
RA-r., A. E. u, 310.
— 8. Astrea, dea della giustizia, che volò
dalla terra al cielo, quando gli uomini di-
vennero tutti malvagi : Alfonso parve averla
richiamata in terra. Sappiamo che commise
tali atti da far credere il contrario, ma que-
sto fu il sentimento anche di storici impar-
ziaU come il Muratori; a. E. ir, 312. «Fu
amantissimo della giustizia, né fece o per-
mise violenza ad alcuno ».
Dove può il caldo ecc. È immagine
A grande uopo gli.fia l'esser prudente»
E di valore assimigliarsi al padre ;
Che si ritroverà, con poca gente.
Da nn lato aver le Veneziane squadre,
Colei da l'altro, che più giustamente
Non so se devrà dir matrigna o madre;
Ma se pur madre, a lui poco più pia.
Che Medea ai figli o Progne stata sia,
53
E quante volte uscirà giorno o notte
Col suo popol fedel fuor de la terra,
Tante sconfitte e memorabil rotte
Darà a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte
Contra i vicini e lor già amici, in guerra
Se n'avvedranno, insanguinando il suolo
Che serra il Po, Santeruo e Zanniolo.
54
Nei medesmi confini anco saprallo
Del gran Pastore il mercenario Ispano,
Che gli avrà dopo con poco intervallo
La Bastia tolta, e morto il castellano,
presa dal Petr., Son. 49: «Che fu disceso a
provar caldo e gelo ».
52. 4. le Veneziane squadre. Venezia, ge-
losa di potere, gli mosse guerra più volte,
specialmente con navi per il Po. Alfonso e
Ippolito fecero sempre prodigi di abilità e
di valore.
— 5. Colei ecc.; la Chiesa. I papi, spe-
cialmente Giulio ir, si portarono veramente
male con Alfonso. Papa Giulio, che piuma
lo aveva aiutato contro Venezia, nel 1510
senza ragioni, si uni a lei contro il duca.
Gli storici più devoti alla Chiesa biasimano
il papa e lodano la moderazione d'Alfonso.
— 8. Medea, per gelosia di Giasone uc-
cise i propri figlinoli ; Progne per vendi-
carsi del marito Tereo, che le aveva oltrag-
giato la sorella Filomela, uccise il figlio Iti
avuto da Tereo.
53. 5. Le genti di Romagna. Qui accenna
alla battaglia avvenuta, nella primavera del
1511, fra i pontifici, uniti agli Spagnuoli, e
le soldatesche d'Alfonso in vicinanza della
Bastia della fossa Zauiola e del Po d'Ar-
genta, sulla ripa del Santerno. Vi morirono
circa 3000 nemici.
54. 1. Nei medesmi confini. Il 20 dicembre
1511 (con poco intervallo) il Navarro, capi-
tano Spagnuolo ai servigi del papa, riprese
al duca Alfonso il forte della Bastia presso
il canale Zaniolo, occupato dal Vestidello
Pagano milanese, capitano del duca; e, con-
tro i patti della resa, uccise il Vestidello (il
castellano) e il presidio superstite. Il Na-
varro vi lasciò un presidio di Spagnuoli,
ma Alfonso il 13 gennaio 1512 riprese il
forte, e il presidio fu tutto trucidato.
CANTO III
35
Quando l'avrà già preso; e per tal fallo
Non tìa, dal minor fante al capitano,
Che del racquisto e del presidio ucciso
A Roma riportar possa l'avviso.
55
Costui sarà, col senno e con la lancia,
Ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,
D'aver dato all'esercito di Francia.
La gran vittoria contro Giulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier tin alla pancia
Nel sangue uniau per tutta la campagna;
Ch'a sepelire il popol verrà manco
Tedesco, Ispano, Greco, Italo e Franco.
5G
Quel ch'in pontificale abito imprime
Del purpureo cappel la sacra chioma,
È il liberal, magnanimo, sublime.
Gran Cardinal della Chiesa di Roma,
Ippolito, eh' a prose, a versi, a rime
Darà materia eterna in ogni idioma;
La cui fiorita età vuol il ciel giusto
Ch'abbia un Maron, come un altro ebbe An-
57 [gusto.
Adornerà la sua progenie bella,
Come orna il sol la macchina del mondo
Molto più de la luna e d'ogni stella ;
Ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
Veggio uscir mesto, e poi tornar giocondo ;
Che quindici galee mena captive.
Ultra raiir altri legni, alle sue rive.
— 7. Che, chi. V. st. 32, n. 5.
55. 1. Costui sarà. Alle potenti artiglierie
del duca Alfonso fu concordemente attri-
buita la vittoria nella battaglia di Ravenna.
— 8. Greco. Combattevano in Italia, spe-
cialmente neir esercito Veneto, alcuni Alba-
nesi, detti Stradiotti (greco stratiotes, sol-
dato).
56. 1. imprime, preme. È poetico e deri-
vato dal lat. imprimere, die ebbe anche
questo signifìc.
— 8. un Maron. Nella prima ediz. si di-
ceva: «Alla cui bella etade era più giusto
Che nascesse Maron che sotto Angusto ». Il
cambiamento avvenne per l'eiliz. del 1521,
quando tra i familiari favoriti d'Ippolito
e' era il famoso improvvisatDi-e Andrea Ma-
rone, che poco doiio passò alla corte di
Leone X. Alcuni credono che l'A. alluda in-
direttamente a sé.
57. 5. Costui con pochi ecc. Si allude alla
battaglia della Polesella (22 dicembre l5oyi,
nella quale l'armata Veneta fu disfatta nel
Po per la prodezza e T accorgimento spe-
cialmente d'Ippolito. « Furon prese 13 galee
con gran quantità d' altre fuste , brigan-
tini, galeotte e barche minori. Due galee
erano andate a fondo, un'altra fu preda
del fuoco » MuRAT., A. K. n, 293.
OS
Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo:
Vedi d'Alfonso i cinque figli cari.
Alla cui fama ostar, che di so il mondo
Non empia, i monti non potran né i mari :
Gener del Re di Francia, Ercol secondo
È l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)
Ippolito è, che non con minor raggio,
Che '1 zio, risplenderà nel suo lignaggio ;
59
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
Ambi son detti. Or, come io dissi prima,
S'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
Valor la stirpe sua tanto sublima,
Bisognerà che si rischiarì e abbui
Più volte prima il ciel, ch'io te li esprima:
E sarà tempo «^rmai, quando ti piaccia,
Ch' io dia licen .ia all'ombre, e ch'io mi tac-
60 'eia.
Cosi con voi ntà de la Donzella
La dotta incancatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora ne la cella
S])ariro in fretta, ove cran l'ossa chiuse.
Qui Bradamante, poi che la favella
Le fu concessa usar, la bocca schiuse,
E domandò: Chi son li dna si tristi,
Che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
61
Veniano sospirando, e gli occhi bassi
Parean tener, d'ogni baldanza privi ;
E gir lontau da loro io vedea i passi
Dei frati si, che ne pareano schivi.
Parve ch'a tal domanda si cangiassi
La maga in viso, e te' degli occhi rivi ;
E gridò: Ah sfortunati, a quanta pena
Lungo instigar d'uomini rei vi mena!
58. 1. l'uno e l'altro Sig. ; l'uno figlio
d'Ercole I (m. 1524) l'altro fratello (m. 1507).
— 2. i cinque figli ; Ercole II, Ippolito II,
Francesco, nati da Lucrezia Borgia ; Alfonso
e Alfonsino nati dalla favorita Laura Dianti.
60. 7. Chi son li dna ecc. Virgil., En. vi,
860, dice di Marcello, che Enea ha visto fra
i suoi discendenti : « Sed frons laeta parum
et dejecto lumina vultu »>. I due, a cui ac-
cenna l'A., son Giulio e Ferrante fratelli
di Alfonso e di Ipp. Giulio, celebrato per i
suoi begli occhi da una damigella di corte,
di cui era invaghito Ippolito, eccitò le ge-
losie di lui, che, con alcuni sgherri assa-
litolo, gli fece cavare gli occhi. Giulio in-
dusse il fratello I-errante, geloso del potere
di Alfonso, a congiurare contro i fratelli,
ma, scopertasi la congiura, i due principi
furono condannati a morte, che, per grazia,
fu mutata in perpetua prigionia.
61. 8. Lungo istigar. Gli istigatori furono
Albertino Boschetti di S. Cesario sul Mode-
nese, Gherardo Roberti di Carpi, France-
schino Boccaccio di Rubiera, un preteGianni
di Guascogna
36
ORLANDO FURIOSO
62
0 buona prole, o degna d'Ercol buono,
Non vinca il lor fallir vostra bontade :
Di vostro sangue i miseri pur sono :
Qui ceda la giustizia alla pietade.
Indi soggiunse con più basso suono:
Di ciò dirti più innanzi non accade.
Statti col dolce in bocca, e non ti doglia
Ch' amareggiar al fin non te la voglia.
63
Tosto che spunti in ciel la prima luce,
Piglierai meco la più dritta via
Ch'ai lucente Castel d'acciar conduce,
Dove Kuggier vive in altrui balia.
Io tanto ti sarò compagna e duce,
Che tu sia fuor de l'aspra selva ria:
T'insegnerò, poi che saren sul mare.
Si ben la via, che non poti'esti errare.
64
Quivi l'audace giovane rimase
Tutta la notte, e gran pezzo ne spese
A parlar con Merlin, che le suase
Rendersi tosto al suo Kuggier cortese.
Lasciò di poi le sotterranee case.
Che di nuovo splendor l'aria s'accese.
Per un camin gran spazio oscuro e cieco.
Avendo la spirtal feniina seco.
65
E riuscirò in un burrone ascoso
Tra monti inaccessibili alle genti ;
E tutto '1 di, senza pigliar riposo,
Saliron balze, e traversar torrenti.
E perché men l'andar fosse noioso.
Di piacevoli e bei ragionamenti.
Di quel che fu più conferir soave,
62. 6. non accade; non cade a iìro2iosito
dopo tante glorie che li hanno fatto lieta.
Accadere in questo senso usarono altri an-
tichi: Cavalca, Frutt. ling., 159: « Acca-
derebbonci molti esempì di molti ».
63. 8. non potresti. Avverti l'efficacia del
condizionale in luogo del futuro : quello
esclude, non solo Terrore, ma anche la pos-
sibilità di sbagliare.
64. 3. suase, latinismo nella forma (sua-
sit) e nella costruzione (suadere alicui ali-
quid).
— 4. cortese ; larga di soccorso. Questo
signjfic. non è registrato dai Voc.
— 6. Che ; Uniscilo a di poi.
— 7. gran spazio. Complemento di limita-
zione : V. FORNACIARI, Sint., p. II, 33.
— 8. spirtal ; che conversava cogli spi-
riti. Non ha altri esempi.
65. 6. Di piacevoli... Di quel ecc. ; con pia-
cevoli... con quel. È una specie di sillessi
o costruzione di pensiero, quasi dicesse :
rallegravano V aspro cammino di piacevoli
ecc.
— 7. pili conferir soave ; più a conferir
soave : v. e. I, 4, n. 1.
L'aspro camin facean parer men grave:
66
D'i quali era però la maggior parte,
Ch'a Bradaniante vien la dotta Maga
Mostrando con che astuzia e con qual arte
Proceder dee, se di Ruggiero è vaga.
Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,
E conducessi gente alla tua paga [te,
Più che non ha il re Carlo e il Re Agraman-
Non dureresti contra il Negromante;
67
Che oltre che d'acciar murata sia
La rocca inespugnabile, e tant'alta;
Oltre che '1 suo destrier si faccia via
Per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;
Ha lo scudo mortai che, come pria
Si scopre, il suo splendor si gli occhi as.'<al-
La vista folle, e tanto occupa i sensi, |ta,
Che come morto rimaner conviensi.
68
E se forse ti pensi che ti vaglia
Combattendo tener serrati gli occhi,
Come potrai saper ne la battaglia
Quando ti schivi, o l'avversario tocchi ?
Ma per fuggir il lume ch'abbarbaglia,
E gli altri incanti di colui far sciocchi.
Ti mostrerò un rimedio, una via presta;
Né altra in tutto '1 mondo è se non questa.
66. 1. D'i quali. È questo il solo luogo
nel Furioso, in cui la preposiz. articolata
dei è scritta cosi. Innanzi a quali, per lo.
più, si ha la preposiz. semplice di. V. e. II,
15, n. 8; III, 32, 3. L'ediz. del 1516 e del 1521
hanno de'. É probabile quindi che in questo
luogo abbiamo un errore di stampa.
— 1-2. era... Ch'a Bradam. ; consisteva in
questo, che a Bi'adamante ecc.
— 5. Pallade. Era dea non propriamente
della guerra, come Marte, ma dell'energia
vittoriosa in tutte le lotte della vita.
— 6. conducessi... alla tua paga. Condurre
alla ììaga, al soldo, ai soldi e anche sem-
plicem. Condurre, nel linguaggio militare,
valgono Assoldare.
67. 1. oltre che... sia. Gli antichi usarono
spesso con tal congiunzione il cong. Bocc.
Fiamm., 3 : « Oltre che bellissime sieno >.
— Murata; costruita. Pucci, Centil., 41,77:
« Il ponte era di travi E non di pietra mu-
rato ».
— 5. mortai. ; che fa tramortire. Esten-
sione di signilicato simile a quella di celeste
al e. II, 55 e di splrtale alla st. 64.
68. 1. se forse; se mai; dal lat. si forte.
Dante, Purg. xxvi, 89: «Se forse a nome
vuoi saper chi semo».
— 4. ti schivi ; ti debba guardare, difen-
dere. Cosi anche al e. vi, 30, v. 8. — tocchi,
colpisca. È termine tecnico della scherma.
CANTO III
37
co
Il Re Agramante d'Africa uno annello.
Che fu rubato in India a una Regina.
Ila dato a un suo Baron detto Brunello
Che poche miglia inanzi ne cauiina;
]M tal virtù, che chi nel dito ha quello,
Contra il mal degl'incanti ha medicina.
Sa di furti e d'inganni Brunel, quanto
Colui, che tieu Euggier. sappia d'incanto.
70
Questo Brunel si pratico e si astuto,
Come io ti dico, è dal suo re mandato.
Acciò che col suo ingegno e con Tainto
Di questo annello, in tal cose provato,
Di quella rocca, dove è ritenuto,
Traggia Ruggier, che cosi s'è vantato,
Et ha cosi promesso al suo .Signore;
A cui Ruggiero è più d'ogni altro a core.
71
Ma perché il tuo Ruggiero ate sol abbia,
E non al re Agramante, ad obligarsi
Che tratto sia de l' incantata gabbia.
T'insegnerò il rimedio che de' usarsi.
Tu te n'andrai tre di lungo la sabbia
Del mar, eh' è oramai presso a dimostrarsi ;
Il terzo giorno in un albergo teco
Arriverà costui e' ha l'annel seco.
72
La sua statura, acciò tu lo conosca.
Non è sei palmi, et ha il capo ricciuto:
69. 1. Il re Agr. ecc. Tutto questo è in-
venzioue del Boiardo, Inn. II, in, 27 seg.
11 vecchio re Sobrino avvisa Agra,mante che
non si può condurre utilmente la guerra
contro Carlo M., se manca Ruggero. Questi
è in custodia di .\tlaute, la cui abitazione
non si può trovare senza un anello posse-
duto da .\ngelica. Il re di Fiessa presenta
un suo servente Brunello, abilissimo ladro,
che per ordine d' Agramante va in Albrac-
ca, ruba l'anello ad Angelica, col quale vien
trovato Ruggero. Annello ha scritto costan-
temente l'A. seguendo la forma lat. an-
nitlics.
70. 1. Questo Brunel ecc. ^^eU' Innam.,
ritrovato Ruggero, non si sa più nulla di
quest' anello. L'A. immagina che Agr., scom-
parso Rugg., dia nuovamente l'anello a
Brun., perché ne vada in traccia.
71. 2. obligarsi... che sia; restare obbli-
gato... per essere, di essere. Obligarsi, in
questo senso, non è citato dai vocab.
— 6. Del mar; del golfo di Guascogna :
V. st. 75.
12. 1. La sua statura. Questa figura era
già stata abbozzola dal Boiardo, Inn. Il,
III, 40. « Egli è ben piccioletto di persona.
Lungo è da cinque palmi o poco meno, E
la sua voce par corno che suona. Corti ha
capelli ed è nero e ricciuto ».
Le chiome ha nere, et ha la pelle fosca;
Pallido il viso, oltre il dovt^r barbuto ;
Gli occhi gonfiati, e guardatura losca ;
Schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:
L'abito, acciò ch'io lo dipinga intero,
È stretto e corto, e sembra di corriere.
7.S
Con esso lui t'accaderà soggetto
Di ragionar di quelli incanti strani :
Mostra d'aver, come tu avrà' in effetto.
Disio che '1 Mago sia teco alle mani ;
Ma non mostrar che ti sia stato detto
Di quel suo annel che fa gl'incauti vani.
Egli t'offerirà mostrar la via
Fin alla rocca, e farti compagnia.
74
Tu gli va dietro : e come t'avvicini
A quella rocca si ch'ella si scopra,
Dagli la morte; né pietà t'inchini
Che tu non metta il mio consiglio in opra.
Né far eh' egli il pensier tuo s'indovini,
E ch'abbia tempo che l'annel lo copra;
Perché ti sparirla dagli occhi, tosto
Ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto.
75
Cosi parlando, giunsero sul mare.
Dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi, non senza alquanto lagrimare,
Si diparti l'una da l'altra donna.
La figliuola d'Amon, che per slegare
Di prigione il suo amante non assonna,
Camino tanto, che venne una sera
Ad uno albergo, ove Brunel pri m'era.
76
Conosce ella Brunel come lo vede,
I Di cui la forma avea sculpita in mente.
i Onde ne viene, ove ne va gli chiede :
I Quel le risponde, e dogni cosa mente.
La Donna, già provista, non gli cede
In dir menzogne, e simula ugualmente
78. 1. t'accaderà soggetto; ti verranno
opportuno soggetto di ragionamento quegli
incanti strani. Per accoderà v. la st. 62, 6.
Incanti strani, che dovrebbe esser sog-
getto, subisce l'influenza del verbo ragio-
nar, di cui diviene complemento.
— 7. t' offerirà mostr., offrirà di mostrarti.
V. e. I, 47, n. 6.
74. 1. come t' avvicini, quando ti avvicini.
Il presente invece del futuro anteriore ti
sarai avvicinato, indica meglio la imme-
diata successioue delle azioni.
— 3. t' inchini che, ti pieghi ia modo che.
— 8. sacro. V. la St. 22, n. 2.
75. 2. Bordea, Bordeau.
— 6. non assonna, non dorme, non è lenta.
V. e. I, 49.
76. 5. provista; avvisata; V. e. x, 43. Si
citano questi soli luoghi dell' A.
38
ORLANDO FUKIOSO
E patria e stirpe e setta e nome e sesso; i Né lo lascia venir troppo accostando,
E gli volta alle man pur gli occhi spesso. Di sua coudizion bene informata.
77 I Stavano insieme in questa guisa, quando
Gli va gli ocelli alle man spesso voltando, L'orecchia da un ronior lor fu intruonata.
In dubbio sempre esser da lui rubata; : Poi vi dirò. Signor, che ne fu causa,
I Ch'avrò fatto al cantar debita pausa.
— 7. setta, religione. Dante, Par. 3, 105 : i
« E promisi la via della sua setta ». i
77. 1. Gli va gli occhi ecc. Il riprendere
il concetto e le parole di un verso prece-
dente è artificio comune nella poesia popo-
lare.
— 2. esser; di esser. V. e. i, 4, n. 1.
— 4. condizion ; indole, inclinazione. Cosi
spesso negli antichi: Bocc, Nov. 1. «Uo-
mini riottosi e di mala condizione ».
— 8. che, È correlativo ài poi del v. pre-
ced.
CAKTO IV
Quantunque il simular s a le più volte
Ripreso, e dia di mala mesate indici,
Si trova pur in molte cose e molte
Aver fatti evidenti beitetìci,
E danni e biasmi e morti aver già tolte ;
Che non conversiam sempre con gli amici
In questa assai più oscura che serena
Vita mortai, tutta d'invidia piena.
2
Se, dopo lunga prova, a gran fatica
Trovar si può chi ti sia amico vero,
Et a chi senza alcun so.spetto dica
E discoperto mostri il tuo pensiero;
Che de' far di Ruggier la bella amica
Con quel Brunel non puro e non sincero,
Ma tutto simulato e tutto fìnto,
Come la Maga le l'avea dipinto?
lì
Simula anch' ella; e cosi far conviene
Con esso lui di finzioni padre:
E, come io dissi, spesso ella gli tiene
Gli occhi alle man, ch'eran ra))aci e ladre.
Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la Donna: O gloriósa 3Iadre,
O Re del ciel, che cosa sarà questa?
E dove era il rumor si trovò presta.
1. ó. Che, perché. V. e. ni, 6, n. 6.
2. 7. simulato, falso. È uso non registr.,
che r A. ha tolto dai I.at. ; Vino. En. 4, 105:
« Simulata mente locutam ».
— 8. le l'av. ; glie l'av. oggi dinanzi a lo
la le ne, ecc. si usa regolarmente la forma
indeclin. glie, che vale anche per il femm.
Il modo usato dall .a., non è rre(iuenle nep-
pure negli antichi.
3. 6. 0 gloriosa madre. K esclamazione di
sorpresa, freq. nei jioemi romanz. Inn. Il,
XII, 10: «O re del cielo, o \ergine regina.
Diceva il Conte ».
E vede l'oste e tutta la famiglia,
E chi a finestre e chi fuor ne la via.
Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
Come TEcclisse o la Cometa sia.
Vede la Donna un'alta maraviglia.
Che di leggier creduta non saria:
Vede passar un gran destriero alato,
Che porta in aria un cavalliero armato.
ó
Grandi eran l'ale e di color diverso,
E vi sedeà nel mezzo un cavalliero,
Di ferro armato luminoso e terso;
E ver Ponente avea dritto il sentiero,
Calossi, e fu tra le montagne immerso:
E, come dicea l'oste (e dicea il vero).
Quell'era un Negromante, e facea spesso
Quel varco, or più da lungi, or più dapres-
6 '"'- [soj
Volando, talor s'alza ne le stelle,
E poi quasi talor la terra rade;
E ne porta con lui tutte le belle
Donne che trova per quelle contrade:
Talmente che le misere donzelle
Ch'abbino o ^ver si credano beltade
(Come affatto costui tutte le invole),
Non escon fuor, si che le veggia il Soie
4. 4. Come... sia; come se vi fosse.
5. 1. diverso; strano. Cosi spesso gli an-
tichi. Petr. Cam. 31, 1: « Qual più diversa
e nuova Cosa fu inai ? ».
— 4. ver ponente. Il negromante tornava
al suo castello sui Pirenei. — Sentiero; viag-
gio, cammino; V. i, 60, 6 e xxviir, 74, 5.
— 5. fa... immerso. V. e. Ili, 14, n. 2.
6 ;;. con lui; con sé. Dante, Par. xxvi,
30: « Quanto più di bontate in lui com-
prende ».
— 7. Come affatto ecc. ; come se egli le
togliesse tutte affatto senza scelta. K detto
CANTO IV
39
Egli sul Pireneo tiene un castello,
(Narrava l'oste) fatto per incauto,
Tutto d'acciaio, e si lucente e bello,
Ch'altro al mondo non è mirabil tanto.
Già molti cavallier sono iti a quello,
E nessun del ritorno si dà vanto:
Si ch'io penso. Signore, e temo forte,
O che sian presi, o sian condotti a morte.
8
La Donna il tutto ascolta, e le ne giova,
Credendo far, come farà per certo,
Con l'annello mirabile tal prova.
Che ne lìa il ilago e il suo castel deserto;
E dice a l'oste: Or un de' tuoi mi trova,
Che più di me sia del viaggio esperto;
Ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago
Di far battaglia centra a questo Mago.
9
Non ti mancherà guida (le rispose
Brunello allora), e ne verrò teco io.
Meco ho la strada in scritto, et altre cose
Che ti faran piacer il venir mio:
Volse dir de l'annel; ma non l'espose,
Né chiari più, per non pagarne il fio.
Grato mi fìa (disse ella) il venir tuo:
Volendo dir ch'indi l'annel tia suo.
10
Quel ch'era utile a dir, disse; e quel tac-
che nuocer le potea col Saracino, [que,
Avea l'oste un destrier ch'a costei piacque.
Ch'era buon da battaglia e da camino:
Comperollo, e partissi come nacque
Del bel giorno seguente il matntino.
Prese la via per una stretta valle.
Con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.
11
Di monte in monte e d'uno in altro bo-
Giunsero ove l'altezza di Pireue [sco
con una certa ironia per quelle, che aver
si credono bcltade.
7. 1. Pireneo e Pirene poetic. per Pire-
nei. L'A. immagina che, partito d'Affrica
Ruggero, Atlante lasciasse il monte di Ca-
rena e facesse un castello sui Pirenei per
sorvegliarlo più da vicino.
8. 1. le ne giova; le è vantaggioso. È un
significato nuovo di questa locuzione, che
negli altri scrittori vale soltanto compia-
cersi (Dante, Par. vili, 137: «Ma perché
sappi che di te mi giova ») e nou avere a
schifo.
— 4. deserto. Qui si cumulano i due sensi
di deserto, cioè "misero e solitario.
— 7. dorar. La Cr. intende contenermi;
e cita questo solo esempio.
10. 3. un destrier. Quello di Brad, era
stato tolto da Pinabello; v, e iii, 5.
— 6. matutino, mattino. V. e. xvii, 23.
j Può dimostrar (se non è l'aer fosco)
E Francia e Spagna, e due diverse arene ;
Come Apeunin scopre il mar Schiavo e il
_ , . [Tosco
Dal giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
Si discendea ne la profonda valle.
12
Vi sorge in mezzo un sasso, che la cima
D'un bel muro d'acciar tutta si fascia,
E quella tanto in verso il ciel sublima,
Che quanto ha intorno, inferYor si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
Che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: Ecco dove prigionieri
II Mago tien le donne e i cavallieri.
13
Da quattro canti era tagliato, e tale
Che parca dritto a tìl de la sinopia:
Da nessun lato né sentier né scale
V eran, che di salir facesser copia:
E ben appar che d'animai ch'abbia ale
Sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l'ora
Di tor l'annello, e far che Brunel mora.
Guido Giudice, 18: «Già era venuto il ma-
tutino di quella notte ».
11. 4. due diverse arene; l'Atlantico e il
Mediterraneo.
— 6. Dal giogo ecc. Dal più alto giogo
della Falterona, sopra l'eremo di Camal-
doli, si scoprono il Tirreno e l' Adriatico,
detto Schiavo perché bagna le coste della
Croazia e della Slavonia (Schiavonia). Matt.
Villani disse Schiavo il vento, che viene dalla
Schiavonia ; Cr. 5, 217.
12. 1. che. È soggetto. Si fascia la cima
vale : Fascia la sua cima.
— 3. sublima ; eleva. Dant. l'ar. xxvi,
87: «Per la propria virtù che la sublima»
(una foglia piegata).
— 6. ambascia; fatica travagliosa. Dant.
Inf. XXIV, 53: «vinci l'ambascia».
13. 2. a fll della s. L'A. ha fuso due ma-
niere: Tagliare a filo e Andare jìel fi('>
della sinopia, facendo una nuova espres-
sione avverbiale. Ricett. Fior. 3, 65: «La
Sinopia, chiamata da Dioscoride rubrica
Sinopi'/e, perché si vendeva in sinope, è
una terra rossa (oggi cinabrese) ». I sega-
tori di legno si servono di un filo, colorato
di questa terra, per tirar linee dritte sul
legno. Di qui l'A. prese V immagine di quelle
pareti, tagliate dritte senza scabrosità, come
fossero segate a filo.
— 4. copia; modo, opportunità; per li
più coi verbi dare, fare, avere, è frequente
negli antichi. Mach. St. 2, 177 : « Non ^i
dette copia al nemico di venire alle mani ».
— (5. Sia ; V. e. Ili, 27, n. tì.
40
ORLANDO FURIOSO
14
Ma le par atto vile a insangninarsi
D'un uora senza arme e di si ignobil sov-
Ohe ben potrà posseditrice farsi [te;
Del ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunel non avea mente a rifruardarsi;
.si ch'ella il prese, e lo legò ben forte
Ad uno abete ch'alta avea la cima:
Ma di dito Tannel o:li trasse prima.
15
Né per lacrime, semiti o lamenti
Che facesse Brune), lo volse sciorre.
Smontò de la montagna a passi lenti,
Tanto che fu nel pian sotto la torre.
K perché alla battaglia s'appresenti
Il Negromante, al corno suo ricorre;
E, dopo il suon, con minacciose grida
Lo chiama al campo, et alla pugna '1 sfida.
16
Non stette moltoanscir fuor delaporta
L'ineantator, ch'udì '1 suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
Contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta.
Che vede che colui poco le nuoce:
Non porta lancia né spada né mazza,
eh' a forar l'abbia o romper la corazza.
17
Da la sinistra sol lo scudo avea,
Tutto coperto di seta vermiglia;
Ne la man destra un libro, onde facea
Nascer, leggendo, l'alta maraviglia;
Che la lancia talor correr parea,
K fatio avea a più d'un batter le ciglia ;
'j'aior parea ferir con mazza o stocco,
E lontano era, e non avea alcun tocco.
14. 1. a insaiijfuinarsl. L'infinito colla prep.
a vale il gerundio insanguinandosi. Bocc.
] atrod. al Dee. «Perciò è buono a provve-
derci ».
15. 8. alla pngna '1 sfida. Questi incontri
durissimi erano frequenti nelle ediz. del
ir.16 e del 1521 : nell'ultima correzione l'A.
li tolse quasi tutti.
16. 7. mazza, era un' asta corta, noderosa
e feri'ata da colpire.
17. 1. sol. Riferiscilo a tutta l'espressio-
ne : Solo avea lo scudo nella sin. e nella
fìestra mi libro. Riferito a scudo sarebbe
inutile, perché i cavalieri non portavano
nella sinistra che lo scudo.
— 4. l'alta maraviglia; quelle strane, ma-
ravigliose apparenze, che, cioè, parea ecc.
— T>. la lancia... correr. È termine tecnico
di cavalleria ; e vale giostrare, combattere
in campo.
— 6. batter le ciglia; nell'aspettazione
del colpo,
— 7. stocco, specie di spada corta di lama
sgusciata, di figura angolare, poco elastica,
18
Non è finto il destrier, ma naturale,
Ch'una giumenta generò d'un Grifo:
Simile al padre avea la piuma e l'ale.
Li piedi anteriori, il capo e il grifo;
In tutte l'altre membra parea quale
Era la madre, e chiamasi Ippogrifo;
Che nei monti Rifei vengon, ma rari.
Molto di là dagli agghiacciati mari.
19
Quivi per forza lo tirò d'incanto;
E poi che l'ebbe, ad altro non attese,
E con studio e fatica operò tanto,
Ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese ;
Cosi ch'in terra e in aria e in ogni canto
Lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'incanto, come il resto.
Ma vero e naturai si vedea questo.
20
Del Mago ogni altra cosa era figmento
Che comparir facea pel rosso il giallo:
Ma con la Donna non fu di momento;
Che per l'annel non può vedere in fallo.
niente taglio, punta acuta. (Guglielmotti,
Vocab. marino e milit.).
18. 2. grifo. I grifi sono animali fanta-
stici, a cui però credevano gli antichi e il
M. E. ALBERTO Magno, De animai, lib.
xxiii, dice: « Dalle storie, più che dalla pra-
tica dei filosofi o dalla ragion filosofica, ci
vien detto che i grifi sono uccelli. Dicono
infatti che questi animali avevano il capo,
il becco, le ali e i pie dinanzi di aquila, le
parti di dietro di leone. Abitano questi ani-
mali nei monti Iperborei ».
— 6. Ippogrifo. (gr. ippos, cavallo). È imi-
tato dal Pegaso della mitologia ; ma animali
volanti si trovano anche nella letteratura
indiana. Cosi com' è, questa figura è in-
venzione dell' A., quantunque già Virgilio
gli suggerisse l'immagine. ^eìV Egl. 8, 27,
volendo accennar cose impossibili ad acca-
dere, dice : « lungentur iam gryphes equis ».
— 7. Che... vengon. É una costruzione a
senso (sillessi) ; quasi avesse detto : uno di
quegli animali, che ecc.
monti Rifei. Secondo gli antichi era
una catena al nord del mondo allora cono-
sciuto, in posizione non ben definita.
20. 1. flgmento ; (lat. flgmentum); fin-
zione.
— 2. pel rosso il giallo. Comunem. si dice :
Far vedere. Mostrare il bianco per nero,
o viceversa.
— 3. non fu di momento, non valse. Più
comunem. con l'aggiunta di nessuno, al-
cuno; ma fu usato anche cosi : Guicciard.
St. I. 1, 16: «Quelli, che eranoFdi momento
in questa deliberazione ».
— 4. vedere in fallo; vedere erroneamente.
CANTO IV
41
Più colpi tuttavia disserra al vento,
E quinci e quindi spinge il suo cavallo;
E si dibatte e si travaglia tutta,
Come era, inanzi che venisse, instrutta.
■21
E poi che esercitata si fu alquanto
Sopraildestrier, smontar volse ancoapie-
Perpoter meglio altìn venir di quanto (de,
La cauta Maga instruzion le diede.
Il Mago vien per far l'estremo incanto;
Che del fatto ripar né sa né crede:
8cuopre lo scudo, e certo si presume
Farla cader con l'incantato lume. '
22
Potea cosi scoprirlo al primo tratto,
Senza tenere i cavallieri a bada;
Ma gli placca veder qualche bel tratto
Di correr l'asta, o di girar la spada:
Come si vede eh" all' astuto gatto
Scherzar col topo alcuna volta aggrada;
E poi che quel piacer gli viene a noia,
1 Jargli di morso, e al tìn voler che muoia.
23
Dico che '1 Mago al gatto, e gli altri al to-
S" assimigliàr ne le battaglie dianzi ; [pò
Ma non s" assimigliàr già cosi, dopo
Che con l'annel si fé' la Donna inanzi,
Attenta e fissa stava a quel eh' era uopo.
Acciò che nulla seco il Mago avanzi;
E come vide che lo scudo aperse,
Chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.
24
Non che il fulgor del lucido metallo.
Come soleva agli altri, a lei uocesse;
— 5. disserra; vibra. Pulci, M. 21, 39 : « E
nella trippa una punta disserra»: e cosi
anche in prosa.
— 8. instrutta. Veramente non risulta che
Marfisa le avesse detto ciò; ma forse l'A.
volle accennare a quei versi del e. in, 66:
■K A Bradam. vien la dotta majra Mostrando
con che astuzia e con qual arte Proceder
dee ».
21. 6. né sa né crede; né sa che vi sia,
))é crede che vi possa essere.
22. 4. correr l' asta. È termine tecnico,
meno comune di correr la lancia, ma vale
lo stesso. Asta è nome generico di molte
armi lunghe, munite in cima di ferro da
ferire. Qui, come spesso, vale lo stesso che
lancia.
23. 4. inanzi. L'A. scrive sempre cosi; e
parimente: inanti, inante. Questa grafia
con una sola n è biasimata dal Bembo, ma
difesa da altri. V. Cittadini, Note al Bembo
li, 2, 202.
— 6. avanzi; guadagni, si avvantaggi.
— 7. aperse, scoperse. Bocc. Imroduz. al
Dee. • E a lui senza vergogna ogni parte
del corpo aprire ».
I Ma cosi fece acciò che dal cavallo
Centra sé il vano incantator scendesse:
Né parte andò del suo disegno in fallo;
Che tosto ch'ella il capo in terra messe.
Accelerando il volator le penne,
Con larghe ruote in terra a por si venne.
25
Lascia all'arcion lo scudo che già posto
Avea ne la coperta, e a pie discende
Verso la Donna che, come reposto
Lupo alla macchia il capriolo, attende.
Senza più indugio ella si leva tosto
Che l'ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
Il libro che facea tutta la guerra:
26
E con una catena ne correa.
Che solca portar cinta a simil uso;
Perché non men legar colei credea,
Che per addietro altri legare era uso.
La Donna in terra posto già l'avea:
Se quel non si difese, io ben l' escuso;
Che troppo era la cosa differente
Tra undebolvecchio, elei tanto possente.
27
Disegnando levargli ella la testa,
Alza la man vittoriosa in fretta;
Ma poi che '1 viso mira, il colpo arresta.
Quasi sdegnando si bassa vendetta.
L^n venerabil vecchio in faccia mesta [ta,
Vede esser quel ch'ella ha giunto alla stret-
Che mostra al viso crespo e al pelo bianco
Età di settanta anni, o poco manco.
28
Tommi la vita, Giovene, per Dio,
Dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto;
Ma quella a torla avea si il cor restio,
Come quel di lasciarla avria diletto.
La Donna di sapere ebbe disio
Chi fosse il Negromante, et a che effetto
Edificasse in quel luogo selvaggio
La rocca, e faccia a tutto il mondo oltrag-
. 29 [gi'^o.
Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(Disse piangendo il vecchio incantatore)
Feci la bella rocca in cima al sasso.
24. 4. vano : senza effetto per lei.
25. 3. reposto, nascosto. Villani, 11, 133,
5: «una schiera di quattrocento cavalieri
riposta addietro ».
— 8. che facea ; il quale faceva la guerra
invece delle armi ; e col quale il mago si
sarebbe sottratto a Brad. v. st. 39, n. 1.
27, 4. Quasi sdegnando; come se sdegnas-
se. Il quasi indica che la riflessione è dell'A.
— 6. giunto alla stretta; più comun. alle
strette: ma il sing. è pure usato non di
rado. G. vill. 9, 92, 1 : « si erano alla stretta
di vittuaglia ».
28. \. avria; V. e. I, SI, n. 3.
42
ORLANDO FURIOSO
^*é per avidità son rubatore; D'ognaltro «raudio lor cura mi tocca;
Ma per ritrar sol dall'estremo passo Che quanto averne da tutte le bande
Un cavallier gentil, mi mosse amore, ^i può del mondo, è tutto in quella rocca:
Che, come il ciel mi mostra, in tempo bre- Suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
Morir cristiano a tradimento deve. [ve Quanto può cor pensar, può chieder bocca.
30 [strino Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
Xon vede il Sol tra questo e il polo Au- Ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.
Vn giovene si bello e si prestante: 33
Buggero ha nome, il qual da piccolino | Deh, se non hai del viso il cor men bello,
Da me nutrito fu, ch'io souo Atlante. i Kon impedir il mio consiglio onesto!
Disio d'onore e suo fiero destino [mante; Piglia lo scudo (ch'io tei dono) e quello
L'han tratto ni Francia dietro al Re Agra- Destrier che va per l'aria cosi presto;
Et io, che l'amai sempre più che tìglio,
Lo cerco trar di Francia e di periglio.
31
La bella rocca solo edificai
Per tenervi Ruggier sicuramente,
Che preso fu da me, come sperai
Che fossi oggi tu preso similmente:
E donne e cavallier che tu vedrai,
Poi ci ho ridotti, et altra nobil gente.
Acciò che, quando a voglia sua non esca,
Avendo compagnia, men gli rincresca.
32
Pur eh' uscir di là su non si domande,
29. 8. morir cristiano. Il pensiero e già
neW Innam. II, xvi, 35, 53: « Il ciel e la for-
tuna vuole Che la fé di Macone e Trivigante
Perda costui ». « Che a tradimento sia uc-
ciso con pene ».
30. 1. Anstrino, australe. Già i Latini eb-
bero auòtriììus accanto ad australis.
— 4. Atlante. Questo mago è un' inven-
zione del Boiardo, che gli diede per abita-
zione il monte di Carena. Atlante prese
Ruggero da piccolino, i-imasto senza ma-
dre, e l'educò forte nelle armi; ma, ve-
dendo che il suo destino gli miuacciava
disgrazie, costruì un giardino incantato sul
monte Carena, per tenervelo chiuso e allon-
tanarlo dalle imprese guerresche. P^ssendo
..ero destinato che egli vada con Agraman-
e in Francia, è cercato, per mezzo dell'anel-
lo magico tolto da Brunello ad Angelica, e,
mediante un torneo che il giovinetto vede
dall' alto del giardino d'Atlante, è attirato
fatalmente alle armi. Atlante, sebbene addo-
l'jratissimo, non sa resistere ai destini, ed
è costretto a lasciarlo partire per Francia.
Fin qui il Boiardo.
81. 3. preso fu, nel duello raccontato da
l'inabello. ii, 37 e segg.
— 7. quando ecc.; sebbene non esca. Cosi
■è da intendere, perche Ruggero né uell'/nn.
né nel Furioso può uscire dal giardino o dal
■castello incantato; e cosi usarono quando
anche altri: Caro, leu. 2: <» E quando me
ne sia dimenticato o V abbia pretermesso...
me l'avete a perdonare ». V. e. xvin, 16, n. 5.
E non t'impacciar oltra nel castello,
O tranne uno o duo amici, e lasciali resto;
O tranne tutti gli altri, e più non chero,
Se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
34
E se disposto sei volermel torre, • [eia,
Deh prima alraen che tu '1 rimeni in Fran-
Piacciati questa afflitta auima sciorre
De la sua scorza ormai putrida e rancia!
Rispose la Donzella: Lui vo' porre
lu libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia.
Né mi offerir di dar lo scudo in dono,
O quel destrier , che miei, non più tuoi sonoì
35
Né s'anco stesse a te di torre e darli,
Mi parrebbe che il cambio convenisse.
Tu di' che Ruggier tieni per vietarli
11 male influsso di sue stelle fisse.
32. 2. cura mi tocca ; la cura d'ogni altro
loro gaudio mi muove, mi stimola.
33. 5. n. t'impacciar... nel e; non t'oc-
cupar del e. Impacciarsi si costruisce egual-
mente con in e con di.
— 7. chero. Dal verbo cherere, (\Ai.que-
rere) che dagli antichi si usò anche in prosa
in vari modi e tempi, ma ormai è solo della
poesia nel sing. del pres. indie.
34. 1. scorza : il corpo. L'usò più volte an-
che il Petr. p. II, s. IO: «Lasciando in terra
la terrena scorza». — rancia; quasi ran-
cida per la molta età: Bocc. Filoc. 5, 326:
«Una vecchia povera, vizza, rancia >•.
— 6. se sai ; quanto sai, quanto è possi-
bile. È frequentissimo: Bocc. Dee. N. 79:
« sie pur infermo, se tu sai •».
— S. non pili tuoi. Secondo le leggi della
cavalleria il vinto, le sue armi e i cavalli
divenivano possesso del vincitore.
35. 1. torre. Solita omissione del pron. V.
e. I, 21, n. 7.
— 3. vietarli ; vietare a lui; rimuovere da
lui. È significato non citato dai vocal).
— 4. il male influsso; il malo intt. (i. Vil-
lani, 11, S7, 3: «Male stato universale »;
Berni, Inn. I, -50: « Per fare un male scher-
zo ». Secondo l'astrologia antica si credeva
che, come gli astri influiscono sulla natura
CANTO IV
43
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
Sappiendol,ciòche'I cieldi lui prescrisse:
Ma se '1 mal tuo, e' hai si vicin, non vedi,
Peggio l'altrui e' ha da venir prevedi.
36 [ghi
Non pregar ch'io t'uccida; ch'i tuoi pre-
Sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
Ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
Da se la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l'alma da la carne sleghi,
A tutti i tuoi i>rigioni apri le porte.
Cosi dice la Douua, e tuttavia
Il Mago preso incontra al sasso invia.
37
Legato de la sua propria catena
N' andava Atlante, e la Donzella appresso.
Che cosi ancor se ne fidava a pena,
Benché in vista parca tutto rimesso.
Non molti passi dietro se lo mena,
Ch' a pie del monte han ritrovato il fesso
E li scaglioni onde si monta in giro,
Fin ch'alia porta del Castel salirò.
3b
Di su la soglia Atlante un sasso lolle,
Di caratteri e strani segni insculto.
materiale, influissero sugli uomini, sulle
loro inclinazioni e sulle loro sorti.
— 5. 0 che ecc. Il che è pleonastico; e si
usa cosi dagli antichi anche dopo ovvero,
quanto, quando, quasi ecc. V. e. v, l. Nel-
Vlnn. Il, XVI, 36, Ruggero fa ad Atlante,
che vuol trattenerlo, lo stesso ragionamento.
« Ma se per ogni modo esser conviene. Ad
aiutarlo non trovo ragione. E se al presente
qua forza mi tiene. Per altro tempo o per
altra stagione Io converrò fornire il mio
ascendente, Se tue parole e l'arte tua non
mente ». — Schivarli. Costruito come vie-
tarli, del V. 3, e vale presso a poco lo stesso.
V. e. IX, 49; XI, 56.
— 6. il ciel ; le stelle : come sopra alla
st. 29, 7.
36. 3. dar la nieghi. Solita omissione delia
prep. e solito spostam. del pron. V. e. i, 47,
6; i, 4, 1.
37. 4. rimesso; umile; dimesso.
— 7. si monta in giro. Era dunque una
scala a chiocciola scavata nel sasso. Anche
il Boiardo, Jnn. Il, xvi, 3S : « E menando
per mano il bel garzone (Ruggero), Per
una tomba discese (Atlante) nel prato ».
— 8. Finché ecc. Completa : E montarono
per questi scaglioni, finché ecc.
38. 2. caratteri. È parola tecnica della
magia. Erano figure, fatte con linee diver-
samente combinale, che si credeva avessero
virtù di produrre effetti maravigliosi. Si di-
segnavano talvolta su carta e si applicavano
al collo come amuleti, o sulle ferite come
rimedi.
( Sotto vasi vi son, che chiamano olle, [culto.
Che furaan sempre, e dentro han foco oc-
L'incantator le spezza ; e a un tratto il colle
Riman des^to, inospite et incuito;
Né muro appar né torre in alcun lato,
Come se mai Castel non vi sia stato.
! 39
Sbrigossi dalla Donna il Mago allora.
Come fa spesso il tordo da la ragna;
j E con lui sparve il suo castello a un'ora
! E lasciò in libertà quella compagna.
j Le donne e i cavallier si trovar fuora
De le superbe stanze alla campagna:
! E furon di lor molte a chi ne dolse; [se.
j Che tal franchezza un gran piacer lor tol-
40
j Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,
I Quivi è Prasildo, il nobil cavalliero
i Che con Rinaldo venne di Levante,
E seco Iroldo, il par d'amici vero.
Al fin trovò la bella Bradamante
Quivi il desiderato suo Ruggiero,
Che, poi che n'ebbe certa conoscenza.
Le fé' buona e gratissima accoglienza ;
41
Come a colei che più che gli occhi sui.
Più cheT suo cor, più che la propria vita
Ruggero amò dal di ch'essa per lui
Si trasse l'elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui.
— 3. olle; (lat. olla) \Rle pvopv. i)entola.
39. 1. Sbrigossi ecc. Perché non si sbrigò
prima ? I maghi non potevano operar pro-
digi colla sola volontà o colla sola invocaz.
di demoni, ma avevan bisogno di certe for-
mule, di certi segni od oggetti, dai quali
dipendeva il prodigio; come il libro degli
incanti, iota bacc/ietta ecc.
— 6. compagna; compagnia. Dante, Inf-
XXVI, 101 : « Sol con un legno e con quella
compagna ».
— s. franchezza; libertà. L'usarono non
di rado gli antichi, e i moderni per vezzo
di antichità. Botta, St. It. 4, 509: « La fran-
chezza del paese nasceva da se ».
40. 1. Gradasso. V. e. il, 45. Sacripante
non si sa come vi fosse capitato. Prasildo
e Iroldo, che nel!' //(»/. sou modelli di ami-
cizia. (V. Jnn. I, XII, 5; e xvii, 12 e seg.),
aiutati da Rinaldo e liberati dalla prigione
di Falerina, si fanno cristiani e vengono in
Ponente, dove 1' .\. immagina che sian presi
da Atlante.
41. 4. Si trasse l'elmo, per mostrare il suo
viso a Ruggero : sopraggiunta una schiera
di saracini, Martasino la feri nel capo sco-
perto. V. e. II, 32, n. 4. Allora Bradamante
lo insegue e si allontana da Ruggero, che
invano la ricerca ed è cercato da lei. Fin
qui il Boiardo.
44
ORLANDO FURIOSO
E quanto ne la selva aspra e romita
Si cercar poi la notte e il giorno chiaro:
Né, se non qui, mai più si ritrovaro.
42
Or che quivi la vede, e sa ben, eh" ella
È stata sola la sua redentrice,
Di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
Sé fortunato et unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
Valle, ove fu la Donna vincitrice,
E dove rippogrifo trovaro anco,
Ch'avea lo scudo, ma coperto, al fianco.
43
La Donna va per prenderlo nel freno:
E quel l'aspetta fin che se gli accosta;
Poi spiega l'ale per l'aer sereno,
E si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue; e quel né più né meno
Si leva in aria, e non troppo si scosta:
Come fa la cornacchia in secca arena.
Che dietro il cane or qua or là si mena.
44
Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
Quei cavallier che scesi erano insieme,
Chi di su, chi di giù, si son ridutti
Dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti
Più volte e sopra le cime supreme
E negli umidi fondi tra quei sassi.
Presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.
45
E questa opera fu del vecchio Atlante, j
Dì cui non cessa la pietosa voglia [te: j
Di trar Ruggier del gran periglio instan- i
Di ciò sol pensa, e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l'Ippogrifo avante.
Perché d'Europa con questa arte il foglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo; |
Ma quel s' arretra, e non vuol seguitarlo
46
Or di Frontin quell'animoso smonta,
(Frontino era nomato il suo destriero)
E sopra quel che va per l'aria, monta.
E con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto, et indi i piedi ponta,
E sale inverso il ciel, via più leggiero
Che '1 girifalco, a cui lieva il cappello
Il mastro a tempo, e fa veder l'augello.
47
i^rr^ri
La bella donna, che si in alto vede
E con tanto periglio il suo Ruggiero,
Resta attonita in modo, che non riede
Per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò che già inteso avea di Ganimede, r
Ch'ai ciel fu assùnto dal paterno imperò^
Dubita assai che non accada a quello.
Non men gentil di Ganimede e beHo.
48
Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
Basta il veder; ma poi che si dilegua
Si, che la vista non può correr tanto.
Lascia che sempre l'animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
Non ha, né vuol aver pace né triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse.
Al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:
49
E si deliberò di non lasciarlo.
Che fosse in preda a chi venisse prima;
Ma di condurlo seco, e di poi darlo
Al suo signor eh' anco veder pur stima.
Poggia l'augel, né può Ruggier frenarlo :
Di sotto rimaner vede ogni cima
Et abbassarsi in guisa, che non scorge
Dove è piano il terren né dove sorge.
43. 1. prend. nel freno. Comun. Prendere
per il freno. V. e. xxiii, 91, 3.
— 2. se gli. Nella prosa comune il coni-
plem. indiretto si antepone al diretto; ma
nella poesia e anche nella prosa alta, si
negli antichi che nei moderni, si trova in-
vertito l'ordine. FoPvNac. Sint. p. 45S.
— 7. Come fa la cornacchia. .MORGAnte,
24, 95: «Hai tu veduto il can colla cornac-
chia Come spesso beffato indarno corre?
Ella si posa e poi si leva e gracchia».
44. 3. Chi di sn chi di gin ; chi scendendo
dall' alto, chi salendo dal basso della costa.
45. 3. instante (lat.inslantem), imminente.
— 6. perché il teglia. Il sogg. è Atlante.
46. 1. Frontin. Apparteneva a Sacripante
e si chiamava Frontalatte ; Brunello glie lo
rubò e lo donò a Ruggero : « Avendo altro
signore ebbe altro nome» Jnn. II, xvi, 56.
— 4. adizza; aizza (tedesco ant. hiza, ca-
lore). La prima forma è più comune negli
antichi, la seconda nei moderni scrittori.
— 7. girifalco, o girfalco (ant. frane, gir-
falc di etimol. incerta), è il maggiore uc-
cello di rapina fra le diverse specie di fal-
coni. A questi uccelli tenevan sugli occhi
un cappello, che era tolto quando li lancia-
vano alla preda.
— 8. mastro. Dicesi in generale di chi
esercita qualche arte o mestiere ; qui è il
falconiere.
47. 5. Ganimede, bellissimo giovinetto Tro-
iano, figlio del re Troo, che Giove, presa
forma d'aquila, rapi da Troia e portò in
cielo, perché gli facesse da coppiere.
48. 5. con sospir ecc. Tasso, Ger. i, 70 :
« E tregua fa co' suoi pensier Goffredo ».
49. 1. si deliberò. La forma rirtess. è freq.
anche in prosa. Bocc, Nov. 99: « Incomin-
ciò a sollecitare il Saladino, che di ciò si
deliberasse ».
— 2. Che fosse ; cosicché fosse. V. e. r,
5, 7. — in preda; come preda. V. e. ix, 47,
n. 7.
CANTO IV
45
Poi che si ad alto vien, ch'iin picciol pun-
Lo può stimar clii da la terra il mira, [to
Prende la via verso ove cade a punto ,
Il Sol, quando col Grancliio si raggira:
E per l'aria ne va come legno unto
A cui nel mar propizio vento spira.
Lasciànlo andar, che farà buon camino;
E torniamo a Rinaldo paladino.
51
Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse.
Spinto dal vento, un gran spazio di mare,
Quando a Ponente e quando contra TOrse,
Che notte e di non cessa mai soffiare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse,
Dove la selva Calidonia appare.
Che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
S'ode sonar di bellicosi ferri.
52
Vanno per quella i cavallieri erranti,
Incliti in arme, di tutta Bretagna,
50. 1. ad alto ; in alto. Oggi è poco usato,
ma negli antichi è frequente. Cavalca. Dial.
S. Greg. 150 : « Posesi a sedere ad alto ».
— 3. ove cade ecc. Il sole, quando è nella
costellaz. del Gi-anchio, cade o tramoma da
quella parte della Spagna, che è bagnata
dall'Oceano Atlantico. Quindi l'Ippogr. tra-
versa l'Oceano e giunge alle Indie orientali.
É il cammino che disegnava fare il Colombo,
quando, invece, s'abbatte nell'America.
— 5. legno unto, propr. impeciato, spal-
mato; e quindi una nave in buone con-
dizioni. É epiteto latino: Viro., En. 4, 39S:
« natat uncta carina ». In questo senso non
è registr. dai vocabol.
51. I. Rinaldo. V. e. Il, 30.
— 3. contra l'Orse. Al polo artico sono le
costellazioni dell' Orsa magg. e minore : qui
però vuol dire : Verso settenttHone.
— 4. Che. È relativo di Vento. L'A., come
altri antichi scrittori, non guardò sempre
a collocare il relativo a conveniente distan-
za del suo sostantivo, v. Boccaccio, Intro-
zione al Decamer.. primo periodo.
— 5. sorse. Sorgere è voce niarinai*esca,
che vale dar fondo, gettar V ancore in
mare; si usa assolutamente e anche con a,
sopra. V. e. X, 16; xviii, 137.
— 6. selva Calidonia, è un' antica selva
famosa, che copriva gran parte della Scozia
settentrionale. Ne restano pochi avanzi. L'A.
intende di portar l' azione nel teatro stesso
della Tavola Rotonda; se non che questa
selva non appare mai nei poemi cavallere-
schi, dove le selve degli Erranti sono Bro-
celiande, Brequehan, Darnantes. Xell'A.
dunque questo nome è un ricordo classico,
ma, in quel che ne dice, ritrae la selva di
Darnantes.
E de' prossimi luoghi e de' distanti.
Di Francia, di Norvegia e di Lamagna.
Chi non ha gran valor, non vada inanti;
Che dove cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in essa già fece Tristano,
Lancilotto, Galasso, Artù e Galvano,
53
Et altri cavallieri e de la nova
E de la vecchia Tavola famosi:
Restano ancor di più d'una lor prova
Li monumenti e li trofei pomposi.
L'arme Rinaldo e il suo Baiardo trova.
E tosto si fa por nei liti ombrosi.
Et al nocchier comanda che si spicche
E lo vada aspettar a Beroicche.
54
Senza scudiero e senza compagnia
Va il cavallier per quella selva immeus;i,
FacendOjOr una et or un'altra via.
Dove più aver strane avventure pensa.
Capitò il primo giorno a una Badia
Che buona parte del suo aver dispensa
In onorar nel suo cenobio adorno
Le donne e 1 cavallier che vanno attorno.
55
Bella accoglienza i monachi e l'Abbate
52. 7. Tristano e Lancillotto sono i due
più famosi cavalieri della Tavola R. Galasso
fu figlio di Lancillotto. Artù è personaggio
leggendario, vissuto nel sec. vi. Fu figlio
di Uter Pandragou capo dei Bretoni : ebbe
a precettore Merlino; vinse i Sassoni e gli
Scozzesi; sposò Ginevra figlia del duca di
Cornovaglia; combatté e vinse un seduttore
di sua moglie, ma ne fu ferito a morte.
Artù è il centro del ciclo Bretone. Alla sua
corte furono dodici cavalieri erranti, che
egU, per evitar questioni di precedenza, in-
vitava a una tavola rotonda. Galvano era
nipote e consigliere di Artù.
53. 1. e de la nova. La tavola vecchia è
quella di Uter padre di Arturo ; la nuova
quella di Arturo. La vecchia però nacque
dopo la nuova, perché, divenuto celebre
Artù e i suoi cavalieri, la fantasia dei poeti
ingrandi anche le gesta del padre.
— 5. trova ; prende ; ma e' è l' idea d' a-
vei'li subito con premura cercati. In questo
senso non è registr. dai vocab.
— S. vada aspettar. La soppressione della
pi'ep. 0. o è dovuta alle due a, che si incon-
trerebbero (V. e. II, 72, 3), o rientra nella
regola, di cui al e. i, 4, n. 1.
Beroicche ; Berwick, città alla foce
del Tvseed, sul confine della Scozia e del-
l'Inghilt.
54. 7. cenobio ; (gr. koinós, comune ; bios,
vita) luogo dove si vive in comune, Mona-
stero.
55. 1. monachi. Anche presso gli antichi
è forma meno usata di Monaci.
46
ORLANDO FURIOSO
Fero a Rinaldo, il qual domandò loro
(Non prima già, che con vivande grate
Avesse avuto il ventre ampio ristoro)
Come dai cavallier sieii ritrovate
Spesso avventure per quel tenitore,
Dove si possa iu qualche fatto egregio
L'uom dimostrar, se merta biasmo o pre-
56 [gio.
Risposongli ch'errando in quelli boschi,
Trovar potria strane avventure e molte:
Ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi:
Che non se n'ha notizia le più volte.
Cerca (diceano) andar dove conoschi
Che l'opre tue non restino sepolte.
Acciò dietro al periglio e alla fatica
Segua la fama, e il debito ne dica.
57
E se del tuo valor cerchi far prova,
T' è preparata la più degna impresa
Che ne l'antiqua etade o ne la nova
Clamai da cavallier sia stata presa.
La liglia del Re nostro or si ritrova
Bisognosa d'aiuto e di difesa
Contra un Barou che Lurcanio si chiama,
Che tor le cerca e la vita e la fama.
58
Questo Lurcanio al padre l'ha accusata
(Forse per odio più che per ragione)
Averla a mezza notte ritrovata
Trarr'un suo amante a sé sopra un verro-
Per le leggi del regno condannata (ne.
Al foco fìa, se non trova campione
Che fra un mese, oggimai presso a tìuire.
L'iniquo accusator faccia mentire.
59
L'aspra legge di Scozia, empia e severa,
— 5. Come... sien ritrovate; come avvenga
che... sien ritrovate ecc. ; mentre egli non
aveva incontrato nulla.
— 6. tenitore e tenitorio usarono spesso
gli antichi per territorio.
56. 3. foschi. Per hioyhi è proprio, per
fatti è figurato. Cecchi, Comm. in. 7 : « Per
far vostre memorie e fosche e corte ».
/ — 5. conoscili. Su questa forma di con-
giuntivo vedi e. XV, 86, n. 5.
— 8. debito; ciò che si deve, ciò che è
giusto. Osserva il Raina che questi discorsi
dei monaci dimostrano che siamo ben lungi
dai veri tempi cavallereschi, perché gli Er-
ranti avean per dover principalissimo la
modestia e il desiderio che le loro imprese
restassero nascoste.
57. 4. presa; intrapresa. Bocc./nfrod»-.. •
« presa una carola ».
68. 4. Trarre; a trarre. V. e. i, 4, 1.
— 8 faccia mentire ; dimostri che ha men-
tito; V. e. Il, 4, n. 1.
59. 1. Di queste leggi barbare ce ne fu-
rono realmente nei tempi medievali: e se
Vuol ch'ogni Donna, e di ciascuna sorte,
Ch'aduomsigiungaenongli sia mogliera,.
S'accusata ne viene, abbia la morte.
Né riparar si può ch'ella non pera.
Quando per lei non venga un guerrier forte
Che tolga la difesa, e che sostegna
Che sia innocente e di morire indegna.
60
Il Re, dolente per Ginevra bella
(Che cosi nominata è la sua tìglia)
Ha pubblicato per città e castella,
Che s' alcun la difesa di lei piglia,
E che l'estingua la calunnia fella,
(Pur che sia nato di nobil famiglia)
L'avrà per moglie, et uno stato, quale
Fia convenevol dote a Donna tale.
61
Ma se, fra un mese, alcun per lei non vìe-
0 venendo non vince, sarà uccisa. |ne.
Simile impresa meglio ti conviene,
Ch'andarpei boschi errando a questa gui-
Oltre ch'onor e fama te n'avviene, [sa.
Ch'in eterno da te non Ha divisa.
Guadagni il fior di quante belle donne
Da l'Indo sono all'Atlantee colonne;
ne fa spesso menzione in antichi poemi ca-
vallereschi. Se ne trova già un esempio
nella Germania di Tacito, XIX : * La pena
dell'adulterio è conceduta subito al marito;
tagliale i capelli ; trala di casa ignuda in
presenza dei parenti e scopala per ogui
villaggio ». I primi quattro versi di questa
Stanza sono quasi traduz. d' un luogo del-
YAinadigi di Gaula, lib. I, 1 : « In quella
terra era per legge stabilito che una mo-
glie, per quanto fosse d'illustre casata, se
fosse accusata d'adulterio, non si poteva in
nessun modo sottrarre a morte ».
— 2. di ciascuna s. ; di qualunque condi-
zione.
60. 1. Ginevra. Il nome e il genere del-
l'avventura sono tolti dal romanzo Lancil-
lotto del Lago ; dove Ginevra, moglie del
re Arturo, accusata d'infedeltà, è difesa da
Lancillotto. Quanto a Dalinda, v. e. vi, 5.
— 5. E che. Dopo unaproposiz. temporale
dipendente da quando, e dopo una propos.
condizionale, segue spesso nello stile popo-
lare una coordinata con che, invece della
ripetizione del Quando o del Se. V. e. xx,
71; XXIV, 31; xxx, 89.
61. 5. te n'avviene; te ne deriva. Dante,
Inf. IV, 28 : « E ciò avvenia di duol senza
martiri ».
— 6. Ch'in eterno ecc. Dante, Inf. v, 35:
« Questi, che mai da me non lìa diviso ».
— 8. Dall'Indo ecc.; dall'oriente all'oc-
cidente. Atlantee colonne sono le colonne
d'Ercole (i promontori Abila e Calpe, oggi
Jebel-el-Mina e Rupe d\ Gibilterra) poste
CANTO IV
47
62
E una ricchezza appresso, et uno stato
Che sempre far ti può viver contento;
E la grazia del Ee, se suscitato
Per te gli ria il suo onor, eh' è quasi spento.
Poi per cavalleria tu se' ubligato
A vendicar di tanto tradimento
Costei, che per commune opinione
Di vera pudicizia è un paragone.
63
Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:
Una donzella dunque de' morire
Perciié lasciò sfogar ne l'amorose
Sue braccia al suo amator tanto desire'?
Sia maladetto chi tal legge pose,
E maladetto chi la può patire.
Debitamente muore una crudele,
Xon chi dà vita al suo amator fedele.
64
Sia vero o falso che Ginevra tolto
S'abbia il suo amante, io non riguardo a
D'averlo fatto la loderei molto, [questo :
Quando nou fosse stato manifesto.
Ho in sua difesa ogni pensier rivolto:
Datemi pur un che mi guidi presto,
E dove sia l'accusator mi mene;
Ch'io spero in Dio Ginevra trar di pene.
. '''5
T^on vo' già dir eh' ella nou l'abbia fatto ;
Che noi sappiendo, il falso dir potrei:
Dirò ben, che non de' per simil atto
Punizìon cadere alcuna in lei;
E dirò che fu ingiusto o che fu matto ;
Chi fece prima li statuti rei ;
E come iniqui rivocar si denno,
E nuova legge far con miglior senno.
66
S'un medesimo ardor, s'un disir pare
Inchina e sforza l'uno e l'altro sesso
A quel soave fin d'amor, che pare
All'ignorante vulgo un grave eccesso;
Perché si de' punir donna o biasmare,
Che con uno o più d"uno abbia commesso
Quel che l'uom fa con quante n'ha appeti-
E lodato ne va, non che impunito? |to,
67
Son fatti in questa legge disuguale
Veramente alle donne espressi torti;
E spero in Dio mostrar che gli è gran male
Che tanto lungamente si comporti.
Rinaldo ebbe il consenso universale,
Che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,
Che consentirò a cosi iniqua legge,
E mal fa il Re, che può, né la corregge.
68
Poi che la luce candida e vermiglia
De 1 altro giorno aperse l'emispero,
Rinaldo l'arme e il suo Baiardo picriia
E di quella Badia tolle un scudiero" '
Che con lui viene a molte leghe e miglia.
Sempre nel bosco orribilmente fiero.
Verso la terra ove la lite nuova
De la donzella de' venir in pruova,
69
Avean, cercando abbreviar camino,
Lasciato pel seutier la maggior via;
Quando un gran pianto udir sonar vicino,
Che la foresta d'ogni intorno empia.
Baiardo spinse l'uu, l'altro il ronzino
Verso una valle, onde quel grido uscia;
E fra dui mascalzoni una donzella
Vider, che di lontan parea assai bella;
70
Ma lacrimosa e addolorata quanto
Donna o donzella, o mai persona fosse.
Le sono dui col ferro nudo a canto.
Per farle far l'erbe di sangue rosse.
Ella con preghi differendo alquanto
(■iva il morir, sin che pietà si mosse.
Venne Rinaldo; e come se n'accorse.
Con alti gridi e gran minaccie accorse.
71
Voltaro i malaudrin tosto le spalle.
Che il soccorso lontan vider venire;
E si appiattar ne la profonda valle.
Il Paladiu non li curò seguire:
Venne a la donna, e qual gran colpa dàlie
Tanta punizìon cerca d'udire;
E, per tempo avanzar, fa allo scudiero
Levarla in groppa, e torna al suo sentiero.
presso il monte Atlante sullo stretto di Gi-
bilterra.
62. S. è un paragone ; è un modello. Cosi
anche al e. xxix, 19.
63. — La morale di questa St. è già nel
Boccaccio : per es. nella novella di Xastasio
degli Onesti.
68. 2. aperse ; mostrò, scopri ; v. st. 23.
— 5. leghe (lat. leuca, dello stesso sign.)
misura, il cui valore antico è poco cono-
sciuto, e il valore moderno ha molto va-
riato. Al tempo di Dante e dell' A. era di
circa quattro miglia; oggi è circa quattro
chilom.
— 7. la lite nuova ; la questione, la que-
rela di Ginevra deve venire alla prova delle
armi. Lite, come pure querela e l'espres-
sione venire in prova, sono del linguaggio
tecnico dei duelli. Xiiova è detta per ri-
spetto alle altre avute da Riualdo.
69. 2. la maggior via; la via più larga.
Alcuni, a torto, intendono la via maestra;
nelle selve vera e propria via maestra non
e' è.
— 7. dni. V. e. I, 16, 2. — mascalzoni. Per
l'etim. si connette con maniscalco (ant.
ted. marah, cavallo ; scale, servo) ; quindi
propr. mascalzone vale Ferratore di cavai-
li; poi Uomo plebeo e rozzo nei costioni^
48
ORLANDO FURIOSO
E cavalcando poi meglio la guata
31olto esser bella e di maniere accorte,
Ancor che fosse tutta spaventata
Per la paura ch'ebbe de la morte.
Poi ch'ella fu di nuovo domandata
Chi l'avea tratta a si infelice sorte,
Incominciò con umil voce a dire
Quel ch'io vo' air altro Canto differire.
72. 1. la guata... esser bella. Guatare (ted.
wathan, stare in guardia, osservare) vale
guardar con attenzioìie ; ma spesso si i
scambiò con Guardare : qui signiflca vedere
guardando. — m. accorte. V. e. xxxvii, 48, 3.
CANTO V
Tutti gli altri animai che sono in terra,
O che vivon quieti e stanno in pace,
O se vengono a rissa e si fan guerra,
Alla femina il maschio non la face.
L'orsa con l'orso al bosco sicura erra;
La leonessa appresso il leon giace;
Col lupo vive la lupa sicura,
Né la giuvenca ha del torel paura.
•2
Ch'aboniiuevol peste, che Megera
È venuta a turbar gli umani petti V
Che si sente il marito e la mogliera
Sempre garrir d'ingiuriosi detti,
Stracciar la faccia e far livida e nera,
Bagnar di pianto i geniali letti;
E non di pianto sol, ma alcuna volta
Di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.
3
Farmi non sol gran mal, ma che l'uom
Contra natura e sia di Dio ribello, [faccia
Che s' induce a percuotere la faccia
Di bella donna, o romperle un capello:
Ma chi le dà veneno, o chi le caccia
L'alma del corpo con laccio o coltello,
Ch'uomo sia quel non crederò in eterno,
Ma in vista umana un spirto de l'inferno.
4
Cotali esser doveano i duo ladroni
Che Rinaldo cacciò da la donzella
Da lor condotta in quei scuri valloni,
1. 2. 0 che. Il che è pleonastico. V. e. iv,
35, n. 5.
— 4. face, fa; parola usata dai poeti an-
che nel corso del verso. Dante, Purg. 7,
68: « Dove la costa face di se grembo».
2. 1. Megera; È il nome di una delle tre
furie : qui però vale furia in generale.
— 5 Stracciar la faccia ecc. Intendi: E si
xede il marito stracc. la faccia alia moglie
e fargliela livida e n.; cfr. st. 3, v. 3-4.
— 6. geniali. È espressione venuta nella
nostra lingua dal latino. Servio, Aen. vi,
603: « geniales proprie sunt lecti qui ster-
nuntur puellis nubentibus; dicti a generan-
dis liberis ».
3. 3. Che; Riferiscilo a Uoni.
Perché non se n'udisse più novella.
10 lasciai ch'ella render le cagioni
S'apparecchiava di sua sorte fella
Al Paladin, che le fu buono amico;
Or, seguendo l'istoria, cosi dico.
5
La Donna incominciò: Tu intenderai
La maggior crudeltade e la più espressa,
Ch'in Tebe o in Argo, o ch'in Micene mai,
0 in loco più crudel fosse commessa.
E se rotando il sole i chiari rai,
Qui men eh' all' altre region s'appressa,
Credo eh' a noi mal volentieri arrivi,
Perché veder si crudel gente schivi.
6
Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,
In ogni età se n'è veduto esempio;
Ma dar la morte a chi procuri e studi
11 tuo ben sempre, è troppo ingiusto et em-
E acciò che meglio il vero io ti denudi, [pio.
Perché costor volessero far scempio
4. 5. Io lasciai. Questo richiamare il rac-
conto era nel , fare dei poeti popolari. Il
Boiardo lo fa spessissimo; più dirado l'A.
— render le cagioni, dir le cause. I voca-
bol. non citano questa locuz. ; che forse è
formata per analogia deli' a.itra. Render ra-
gione.
5. 1. La donna ecc. La figura di Dalinda
è stata dall' A. foggiata su Braugain, ca-
meriera della regina Isotta, la quale sacri-
fica il proprio onore per salvare quello della
regina ; ma questa, per paura che la came-
riera sveli il segreto, la affida a due, che la
uccidano: essi la legauo invece a un albero,
donde la libera Palamides, il quale, per sua
domanda, la conduce a un monastero. (Ro-
manzo cavaller. Tristano).
— 2. espressa, chiara, manifesta; cioè
tale che ognuno dovrà apprezzarla.
— 3. Tehe, Argo, Micene; città famose
nella età eroica per fatti di sangue. Per Tebe
si ricordino i fratelli Eteocle e Polinice, che
si uccisero fra loro ; per Argo le Danaidi,
che scannarono i mariti ; per Micene le stragi
di Ifigenia, di Agamennone, di Clitennestra.
CANTO V
49
lìegli anni verdi miei contra ragione,
Ti dirò da principio ogni cagione.
7
Voglio che sappi, Signor mio, ch'essen-
Tenera ancora, alli servigi venni [do
ì)e la tìglia del Ile, con cui crescendo,
Buon luogo in corte et onorato tenni.
Crudele Amore al mio stato invidendo,
Fé' che seguace, ahi lassa! gli divenni:
Fé' d'ogni cavallier d"ogni donzello
Parermi il Duca d'Albania più bello.
8
Perché egli mostrò amarmi più chemol-
loadamar luicon tutto il cor mi mossi, [to,
Ben s'ode il ragiouar, si vede il volto;
Ma dentro il petto mal giudicar possi.
Credendo, amando, non cessai che tolto
L'ebbi nel letto ; e non guardai eh' io fossi
Di tutte le real camere in quella
Che più secreta avea Ginevra bella;
9
Dove tenea le sue cose più care,
E dove le più volte ella dormia.
Si può di quella in s'un verroue entrare,
Che fuor del muro al discoperto uscia.
Io facea il mio amator quivi montare :
E la scala di corde onde salia
10 stessa dal verrongiù gli mandai,
Qual volta meco aver lo desiai :
10
Che tante volte ve lo fei venire,
Quanto Ginevra me ne diede l'agio,
Che solca mutar letto or per fuggire
11 tempo ardente, or il brumai malvagio.
-Non fu veduto d'alcun mai salire;
6. 7. Degli anni verdi miei; del mio gio-
vane corpo.
7. 4. Buon luogo ; buon impiego. Questo si-
gnificato è comunissimo negli antichi: Dan-
te Inf. 19, 90 : «.Nel luogo, che perde l'a-
nima ria ».
— 5. invidendo; latinismo, dall' inusitato
inridere: vi è solo il gerundio.
— 8. Albania, .A Ibany. ducato della Scozia.
8. 4. Ma dentro ecc.; Costrutto abbreviato:
Ma dentro il 'petto mal si può vedere per
giudicare.
— 5. che, finché: v. e. xiri, 7, n. 4.
9. 4. al discoperto. Il verone (etimol. in-
certa) può essere anche una loggia spor-
gente coperta e chiusa da vetri. Ecco per-
ché l'A. nota questo particolare.
— 8. Qual volta ; qualunque volta: è an-
tiquato: Dante, Rime, 19. «Ciò fare amor
qualvolta mi rammenta ».
10. 4. brumai; sottint. tempo.
— 5. d'alcun. Neppure gli antichi usavano
generalmente di togliere Va di questa pre-
posiz. innanzi a parola che cominciasse per
vocale; ma se ne trovano esempi del Pe- 1
Però che quella parte del palagio
Risponde verso alcune case rotte,
Dove nessun mai passa o giorno o notte.
11
Continuò per molti giorni e mesi
Tra noi secreto l'amoroso gioco:
Sempre crebbe l'amore; e si m'accesi,
Che tutta dentro io mi sentia di foco:
E cieca ne fui si, ch'io non compresi
Ch'egli tingeva molto, e amava poco;
Ancor che li suo' inganni discoperti
Esser doveanini a mille segni certi.
12
Dopo alcun di si mostrò nuovo amante
De la bella Ginevra. Io non so appunto
S' allora cominciasse, o pur inante
De l'amor mio, n'avesse il cor già punto.
Vedi s'in me venuto era arrogante.
S'imperio nel mio cor s'aveva assunto;
Che mi scoperse, e non ebbe rossore
Chiedermi aiuto in questo nuovo amoro.
13
Ben mi dicea ch'uguale al mio non era.
Né vero amor quel ch'egli avea a costei;
Ma simulando esserne ncceso, spera
Celebrarne i legitimi imenei.
Dal Re ottenerla fia cosa leggiera,
Qualor vi sia la volontà di lei;
Che di sangue e di stato in tutto il regno
Non era, dopo il Re, di lu' il più degno.
14
Mi persuade, se per opra mia
Potesse al suo Signor genero farsi
(Che veder posso che se n'alzeria
A quanto presso al Re possa uomo alzarsi),
Che me n'avria buon merto, e non saria
Mai tanto beneficio per scordarsi;
E ch'alia moglie e eh' ad ognaltro inante
Mi porrebbe egli in sempre essermi araan-
15 [te.
Io, ch'era tutta a satisfargli intenta,
trarca, del Boccaccio e d'altri : Vasari, Vita
di Giotto : « Non ho io d'aver altro diseguo
che questo ? »
11. 7. Ancor che ecc.; L'.\. l'usa più spesso
coir indicai. ; ma nella letterat. è più freq.
col congiuntivo. Bocc. Filoc. 722 : « Ancor-
ché conosco che saria ben fatto ».
12. 5. in me ; verso di me. È 1' uso latino
della prep. in: non raro negli scrittori:
Petr. sou. 196: «iViace in molti e poi in se
stesso forte ».
— 7. mi scoperse; sott. : questo nuovo
aunore.
14. 5. avria buon merto : sarebbe ricono-
scente. Pulci, Morg. 1,76: «E degli onor...
Qualche volta potendo ara bon merto ».
— 7. E ch'alia moglie ecc.; e che, quanto
all'amore (in sempre es-ienni amante), mi
porrebbe innanzi alla moglie ecc.
Akiosto — Pai-ini
50
ORLANDO FURIOSO
Né seppi 0 volsi contradirgli mai,
E sol quei giorni io rai vidi contenta,
Ch'averlo compiaciuto mi trovai;
Piglio Toccasion clie s'appresenta
Di parlar d'esso e di lodarlo assai;
Et ogni industria adopro, ogni fatica,
Per far del mio amator Ginevra amica.
1(5
Feci col core e con l'effetto tutto
Quel che far si poteva, e sallo Idio;
Né con Ginevra mai potei far frutto,
Ch'io le ponessi in grazia il Duca mio:
E questo, che ad amar ella avea indutto
Tutto il pensiero e tutto il suo disio
Un gentil cavallier, bello e cortese,
Venuto in Scozia di lontan paese;
17
Che con un suo fratel ben giovinetto
Venne d'Italia a stare in questa corte :
Si fé' ne l'arme poi tanto perfetto,
Che la Bretagna non avea il più forte.
Il Re l'amava, e ne mostrò l'effetto;
Che gli donò di non picciola sorte
Castella e ville e iuridizioni,
E lo fé' grande al par dei gran Baroni.
18
Grato era al Re, più grato era alla figlia
Quel cavallier chiamato ArH)dante,
Per esser valoroso a mai-aviglià;
Ma più, ch'ella sapea che l'era amante.
Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,
Né Troia avvampò mai di fiamme tante.
Quante ella couoscea che per suo amore
15. 2. volsi. L'A. usa costautem. questa
forma, che i grammatici del cinquecento
dicono poetica, ma che fu ed è anche po-
polare : deriva da vogliere: v. NANNUCcr,
Analisi cr. dei verbi it. p. 770.
16. I. Ch'io; cosicché io.
— 5. E questo, che; e q. perché. V. C. Ili,
50, 1.
17. 5. l'effetto; la prova; cosi al e. xu,
1; e cosi altri: Tasso, Rime, 8, 42: «che
lui non temo e ne vedrà T effetto Quando
vanirà meco al paragone ».
— 6. di non picciola sorte; di non picc. va-
lore. Questo signific. manca nei vocabolari.
— 7. castella e ville; si trovano spesso
uniti come facenti parte dello stesso con-
cetto. Infatti il castello era l'abitaz. del ca-
stellano colla borgata annessa, la villa era
la campagna dipendente dallo stesso signore.
— iuridizioni; luoghi, dove esercitasse giu-
risdizione.
18. 4. pili eh' ella ; più perché ella. V. so-
pra st. 10, n. 5.
— 5. il monte di Sic. ; l' Etna. Queste esa-
gerazioni erano freq. nei poemi popolari.
Più the neir.v. abbondano nel Boiardo.
— 7. Quante; propi'iani. dovrebbe dire
Ariodante ardea per tutto il core.
19
L'amar che dunque ella facea colui
Con cor sincero e con perfetta fede,
Fé' che pel Duca male udita fui;
Né mai risposta da sperar mi diede:
Anzi quanto io pregava più per lui,
E gli studiava d'impetrar mercede.
Ella, biasmaudol sempre e dispregiando.
Se gii venia più sempre inimicando.
20
Io confortai l'araator mio sovente.
Che volesse lasciar la vana impresa;
Né si sperasse mai volger la mente
Di costei, troppo ad altro amore intesa:
E gli feci conoscer chiaramente,
Come era si d'Ariodante accesa, [ma
Che quantaacquaènel mar, piccola dram-
Non spegnerla de la sua immensa fiamma.
21
Questo da me più volte Polinesso
(Che cosi nome ha il Duca) avendo udito,
E ben compreso e visto per sé stesso.
Che molto male era il suo amor gradito;
Non pur di tanto amor si fu rimesso,
quanto. Di questi avverbi concordati con
sostantivi o aggettivi l'A. ne ha altri sei,
che rileveremo volta per volta. È un vez-
zo, che gli antichi ebbero spesso: se ne ci-
tano esempi del Boccaccio, del Cavalca, del
Pulci, del Berni ecc. Pulci, M. 10, 42: «ili
poca d'otta»; 10, 126: «Che tanta ingrata
fussi quella gente ». Bocc. nov. 50: « Noi sia-
mo molte usate a far da cena », dove il For-
naciari avverte: «Tu, per quanto in certi
casi questi costrutti possano essere efficaci,
non vorrai adoperarli ». Nell'ediz. del '16 sì
leggeva quante.... ardean; in quella del '21
l'A. mutò in quanto.... ardea; finalm. pre-
feri quante.... ardea, perché in questo co-
strutto il quante dà maggiore efficacia al
paragone e l' ardea dà maggior risalto al
personaggio principale.
19. 3. male udita; non udita; v. e. i, 57,
n. 1.
— 6. gli studiava. Solito spostamento del
pron. V. e. I, 47, G: studiava impetrargli m.
— S. Se gli venia inimicando; gli diveniva
nemica. II Guicc. Leg. 17, ha inimicarsi con
lui. lìiimicarsi a uno è costrutto registrato
col solo esempio dell' .\.
20. 3. si sperasse. Rileva dal contesto un
gli diane. È ligura di zeugma frequentissima
negli scrittori e nel Nostro. Sperare nella
forma riflessa, in questo senso, non è l'e-
gistr. dai vocabol.
21. 5. si fu rimesso ; si fu distolto, si di-
stolse. Per questo significato si cita questo
solo esempio dell'A. Ma è più probabile che
si debba intendere rimettersi nel senso di
CANTO V
51
Ma di vedersi un altro preferito.
Come superbo, cosi mal sofferse,
Che tutto iu ira e in odio si converse.
22
E tra Ginevra e l'amator suo pensa
Tanta discordia e tanta lite porre,
E farvi inimicizia cosi intensa,
Che mai più non si possino comporre;
E por Ginevra in ignominia immensa,
. Donde non s'abbia o viva o morta a tórre:
Né de l'iniquo suo disegno meco
Volse 0 con altri ragionar, che seco,
23
Fatto il pensier : Dalinda mia, mi dice
(Che cosi son nomata), saper dèi
Che, come suol tornar da la radice
Arbor che tronchi e quattro volte e sei.';.
Cosi la pertinacia mia infelice.
Benché sia tronca dai successi rei,
Di germogliar non resta; che venire
Pur vorria a fin di questo suo desire.
24
E non lo bramo tanto per diletto.
Quanto perché vorrei vincer la prova;
E non possendo farlo con effetto,
S'io lo fo imaginando, anco mi giova.
-Voglio, qual volta tu mi dai ricetto,
Quando allora Ginevra si ritrova
Nuda nel letto, che pigli ogni vesta
Ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
25
Com'ella s'orna e come il crin dispone
Studia imitarla, e cerca, il più che sai.
Di parer dessa; e poi sopra il verrone
A mandar giù la scala ne verrai.
Io verrò a te con imaginazione
Che quella sii, di cui tu 1 panni avrai:
guarire, rimanendo cosi tra i significati e
i traslati comuni di questa parola. Quanto
al trapassato v. e. iii, 11, n. ì.
— 7. Come superbo; da superbo, superbo
com'era. È derivato dall'uso dell' ut latino :
cicerone, Mur. 25: « At ille ut semper fuit
apertissimus (leale come fu sempre) ». Av-
verti che il come non ha nessuna relazione
col seguente cosi.
22. 3. farvi inimicizia ; suscitar fra loro
inim. Il Bocc. Dee. 1. 119: disse Commet-
tere inimicizie.
•23. 3. come suol tornar ecc. Okvzio, Od.
VI, 4, 57: « Duris ut ilex tonsa bipeni)il)us...
Ter damna, per caedes ab ipso Ducit opes
animumque ferro ».
•24. 3. possendo; potendo. Forma comune
negli antichi ; Dante, Purg. 11, 90: « Che
possendo peccar mi volsi a Dio ».
— 5. qnal volta: v. st. 9 n. 8.
— 6. Qnando allora ecc. ; quando, proprio
in quel tempo che io vengo da te, Ginevra
SI ritrova ecc. Fors'anche per oìlur quaic.
E cosi spero, me stesso ingannando.
Venir in breve il mio desir sciemando.
2»
Cosi disse egli. Io che divisa e sevra
E lungi era da me, non posTmente
Che questo in che pregando egli persevra,
Era una fraude pur troppo evidente;
E dal verron, coi panni di Ginevra,
Mandai la scala onde sali sovente;
E non m'accorsi prima de l'inganno.
Che n'era già tutto accaduto il danno.
27
Fatto in quel tempo con Ariodante
Il Duca avea queste parole o tali
(Che grandi amici erano stati inante
Che per Ginevra si fesson rivali) :
Mi maraviglio (incominciò il mio amante),
Ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali
Sempre avuto in rispetto e sempre amato,
Ch' io sia da te si mal rimunerato.
28
Io son ben certo che comprendi e sai
Di Ginevra e di me l'antiquo amore ;
E per sposa legitiraa oggimai
Per impetrarla son dal mio Signore.
Perché mi turbi tu ? perché pur vai
Senza frutto in costei ponendo il core ?
Io ben a te rispetto avrei, per Dio,
S'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio.
29
Et io (rispose Arìodante a lui)
Di te mi maraviglio maggiormente;
Che di lei prima inamorato fui,
Che tu l'avessi vista solamente:
25. 7. E cosi spero ecc. Tutto questo con-
tegno di Dalinda è assai inverosimile; l'A.
stesso lo riconosce nella st. 26. Ma ciò si
spiega osservando che questo inganno di
Polinesso è uua imitazione di un luogo del
romanzo spagnuolo Tirante el bianco:
luogo molto scabroso, che l'A., per ridurlo
a decenza, ha dovuto raffazzonare come ha
potuto. V. Kain.\, Fonti p. 1"2S seg.
* 26. 1. divisa e sevra: divisa e separata da
me: Io stesso che fuori di ine. Sevra da sce-
verare, elle è alterazione di separare.
— 7. prima... che... era. Prima che, dopo
proposiz. negativa, si costruisce spesso da-
gli antichi coli' indie. ; ed ha senso di fin-
tantoché. Dante, Par. 12, 5: « Prima che
un' altra d' un cerchio la chiuse ».
27. 6. Che... Che. Nota il Fornaciari alla
nov. itì del Decam.: «Nelle conclusioni o
conseguenze gli anticlii ripetevano spesso
il che. Confr. l'uso simile di ut latino in
Livio libro Vili, par. 6». Fu notato giusta-
mente che Dalinda non poteva sapere que-
ste cose dette fra loro.
28. :s. grado: condizione, congiuntura.
oa
ORLANDO FURIOSO
E so che sai quanto r l'amor tra nui, [te;
Chesser nonpuòdiqiielcliesia.piùarden-
E sol d'essermi mo<rlie intende e brama:
E so che certo sai ch'ella non t'ama.
30
Perché non hai tu dunque a me il rispet-
Per l'amicizia nostra, che domande [to
Ch'a te aver debba, e ch'io t avre' in effetto,
Se tu tossi con lei di me più grande V
Né men di te per moglie averla aspetto,
Sebben tu sei pili ricco in queste bande :
lo non son meno al Re, che tu sia, grato ;
Ma più di te da la sua figlia amato.
ol
Oh (disse il Duca a lui) grande è cotesto
Pa-rore a che t'ha il folle Amor condutto!
Tu credi esser più amato; io credo questo
Medesmo: ma si può vedere al frutto.
Tu fammi ciò e' hai seco, manifesto,
Et io il secreto mio t'aprirò tutto;
E quel di noi, che manco aver si veggia,
Ceda a chi vince, e d'altro si proveggia.
32
E sarò pronto, se tu vuoi ch'io giuri
Di non dir cosa mai che mi riveli:
Cosi voglio che ancor tu m'assicuri
Che quel eh' io ti dirò, sempre mi celi.
Venner dunque d'accordo alli scongiuri,
E posero le man sugli Evangeli :
E poi che di tacer fede si diero,
Ariodante incominciò primiero ;
33
E disse per lo giusto e per lo dritto,
Come tra se e Ginevra era la cosa; (to.
Ch'ella gli avea giurato e a bocca e in scrit-
Che mai non saria ad altri ch'a lui sposa;
E se dal Re le venia contraditto.
30. 4. fossi... grande. Esser grande con
alcuno, jjresso alcuno, uelVaìiiore o ffva-
3la di quale, vale essergli caro. Hocc. Nov.
5, 47: « Ed egli grande essendo col re per
consigli dati ».
31. 5. ciò eh' hai seco. Aver r/ualcosa con
uno vale comunemente averci avversione,
odio: qui .lignifica '/uali relazioni hai con
essa.
— 7. manco aver; aver meno; esser meno
innanzi nelle sue grazie.
32. 4. mi celi. Il 'ini è pleonastico e d'uso |
comune: corrisponde al dativo etico dell
Greci; ma in questo luogo dà più oscurità [
che efficacia. ;
— 5. scongiuri; giuramenti; v. e. xxix,
19. In questo senso non si citano che gli i
esempi dell'Ar. i
33. 1. per lo giusto e per lo d. Nota la Cru-
sca: -^Trovasi solo poetica»!, invece di j3(?r
filo e per segno » e cita questo solo luogo, i
Gli promettea di sempre esser ritrosa
Da tutti gli altri maritaggi poi,
E viver sola in tutti i giorni suoi:
34
E ch'esso era in speranza, pel valore
Ch'avea mostrato in arme a più d'un segno,
Et era per mostrare a laude, a onore,
.A beneficio del re e del suo regno.
Di crescer tanto in grazia al suo signore,
Che sarebbe da lui stimato degno
Che la figliuola sua per moglie avesse,
Poi che piacer a lei cosi intendesse.
35
Poi disse : A questi) termine son io,
Né credo già ch'alcun mi venga appresso;
Né cerco più di questo, né desio
De l'amor d'essa aver segno più espresso ;
Né più vorrei, se non quanto da Dio
Per connubio legitimo è concesso:
E saria in vano il domandar più inanzi ;
Che di bontà so come ogn'altra avanzi.
35
Poi ch'el)be il vero Ar'iodante esposto
De la mercé ch'aspetta a sua fatica,
Polinesso che già s'avea proposto
Di far Ginevra al suo amator nemica,
Cominciò: Sei da me molto discosto,
E vo' che di tua bocca anco tu '1 dica;
E del mio ben veduta la radice.
Che confessi me solo esser felice.
37
Finge ella teco, né t'ama uér prezza;
Che ti pasce di speme e di parole : [chezza,
Oltra questo, il tuo amor sempre a scioc-
Quando meco ragiona, imputar suole.
Io ben d'esserle caro altra certezza
Veduta n'ho, che di promesse e fole;
E tei dirò sotto la te in secreto,
Benché farei più il debito a star cheto.
38
Non passa mese, che tre, quattro e sei
E talor diece notti io non mi trovi
Nudo abbracciato in quel piacer con lei,
Ch'air amoroso ardor par che si giovi:
Si che tu puoi veder s'a'piacer miei
Son d'aguagliar le ciance che tu provi.
Cedimi dunque, e d'altro ti provedi,
Poi che si interior di me ti vedi.
6. ritrosa da ecc.; aliena da ecc. Sono
più comuni i costrutti; ritroso contro, a.
34. 2. segno; prova. Fil. Vili. 11, 102: « Il
quale fece gran segno in Italia di savio guer-
riere ». In alcune espressioni è comune an-
cora.
36. 7. la radice; il fondo; veduto il mio
bene tutto quanto.
37. 5. certezza; prova, argomento. Non
si cita che questo esempio dell'A.
38. 0. che tu provi; che tu ricevi da lei.
Quest' uso strano del verbo provare si spie-
CANTO V
53
39
Non ti vo' creder questo (gli rispose
Ar'iodante), e certo so che menti;
E composto fra te t'hai queste cose,
Acciò che da l'impresa io mi spaventi:
Ma perché a lei son troppo ingiuriose,
Questo e' hai detto sostener convienti;
Che non bugiardo sol, ma voglio ancora,
Che tu sei traditor mostrarti or ora.
40
Soggiunse il Duca: Non sarel)be onesto
Che noi volessen la battaglia tórre
Di quel che t'offerisco manifesto,
Quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre.
Resta smarrito Ar'iodante a questo,
E per l'ossa un tremor freddo gli scorre ;
E se creduto ben gli avesse a pieno,
Venia sua vita allora allora meno.
41
Con cor trafitto e con pallida faccia,
E con voce tremante e bocca amara
Rispose: Quando sia che tu mi faccia
Veder questa avventura tua si rara.
Prometto di costei lasciar la traccia,
A te si liberale, a me si avara:
Ma ch'io tei voglia creder, non far stima.
S'io non lo veggio con questi occhi prima.
42
Quando ne sarà il tempo, avvisarotti.
Soggiunse Polinesso; e dipartisse.
Non credo che passar pili di due notti,
Ch'ordine fu che '1 Duca a me venisse.
ga coir influenza della parola piaceri; ed
è come se dicesse: Io provo piaceri, tu provi
ciance.
39. 3. composto; inventato, macchinato.
40. 2. volessen; volessenio, volessimo, v.
e. IX, 43, n. S. — la battaglia torre Di quel;
intraprendere la battaglia per quel ecc. .\1-
cuni intendono: Accettar la battaglia per
quel ecc. : in questo caso noi sta per io. In
ambedue i sensi è modo ardito e non co-
mune.
— (5. nn tremor freddo. ViRGlL. En. 2, 120 :
« Gelidusque per ima cucurrit Ossa tremor».
— 8. Venia; sarebbe venuta. Su questo
impert. v. Fornac. Sintassi, p. 41à, 30.
41. 2. bocca amara. È espressione frequente
anche nel Boiardo. La Cru.sca la intende li-
auratamente per animo addolorato; ma
forse è più viva ed efficace noi senso pro-
prio. È noto che qpesto è fenomeno comune
nei grandi commovimenti dell'animo.
42. 1. avvisarotti; V. e. ni, 2, 0.
— 3. Non credo che passar. Per regola ere-
fiere si costruisce col cong. ; gli esempi che
abbiamo coir indie, non sono da imitare. V.
FORNAC. Sint. p. 399.
— 4. Ch'ordine fu; che fu stabilito (fra
noi). Al e. XIII, 11, abbiamo. Porre ordine,
Per scoccar dunque i lacci che condotti
Avea si cheti, andò al rivale, a disse
Che s'ascondesse la notte seguente
Tra quelle case ove non sta mai gente :
43
E dimostrògli un luogo a dirimpetto
Di quel verrone, ove solca salire.
Ar'iodante avea preso sospetto
Che lo cercasse far quivi venire.
Come in un luogo dove avesse eletto
Di por gli aguati, e farvelo morire
Sotto questa finzion, che vuol mostrargli
Quel di Ginevra, ch'impossibil pargli.
44
Di volervi venir prese partito,
Ma in guisa che di lui non sia men forte;
Percht'' accadendo che fosse assalito,
Si trovi si, che non tema di morte.
Un suo fratello avea saggio et ardito,
Il più famoso in arme de la corte.
Detto Lurcanio ; e avea più cor con esso,
Che se dicci altri avesse avuto appresso.
45
Seco chiamollo, e volse che prendesse
L'arme; e la notte lo menò con lui :
Non che '1 secreto suo già gli dicesse;
Né l'avria detto ad esso né ad altrui.
Da sé lontano un trar di pietra il messe:
Se mi senti chiamar, vieii (disse) a nui ;
Ma se non senti, prima ch'io ti chiami,
Non ti partir di qui, frate, se m'ami.
4G
Va' pur, non dubitar (disse il fratello):
E cosi venne Ar'iodante cheto,
E si celò nel solitario ostello
Ch' era d' incontro al mio verron secreto.
Vien d'altra parte il fraudolente e fello.
Che d'infamar Ginevra era si lieto;
E fa il segno, tra noi solito inaiite,
A me che de l'inganno era ignorante.
47
Et io con veste candida, e fregiata
Per mezzo a liste d'oro, e d'ognintorno,
per Prender deliberazione e al e. xxii, 55 :
È ordiìie fra lor, É stabilito fra loro. Sono
modi non registrati dai vocab.
— 5. scoccar ; fare scoccare o scattare.
In senso transit. l'usò già Dante, Parg. 25,
17: « :Ma disse: Scocca L'arco del dir». —
condotti; fatti, eseguiti. — cheti; di nasco-
sto. SACCiiETTr, ;Vou. 2, 236: «Percliéla cosa
andasse cheta ».
43. 1. a dirimpetto. Gli antichi l'usarono
egualmente con o senza la prep. a, al; oggi
è più usato senza prep.
— 4. lo cercasse far; cercasse farlo. V. e.
I, 47, 0.
45. 2. con Ini ; con se. V. e. iv, 6, n. 3.
47. 2. Per mezzo... e d'ogni int.; Intendi:
in mezzo alla candida stofl'a si vedevano
54
ORLANDO FURIOyO
E con rete pur d'or, tutta adombrata
Di bei tìocchi vermigli, al capò intorno
(Foggia che sol fu da Ginevra usata,
Nou d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra il verrou, ch'in modo era locato,
Che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.
48
Lurcanio in questo mezzo dubitando
Che '1 fratello a pericolo non vada,
O come è pur commun disio, cercando
Di spiar sempre ciò che ad altri accada;
L'era pian pian venuto seguitando.
Tenendo l'ombre e la pili oscura strada:
E a men di dieci passi a lui discosto,
Nel medesimo ostel s'ora riposto.
49
Non sappiendo io di questo cosa alcuna,
Venni al verrou ne l'abito e' ho detto;
Si come già venuta era più d'una
E più di due fiate a buono effetto.
Le veste si vedean chiare alla luna;
Nò dissimile essendo anch'io d'aspetto
Né di persona da (iinevra molto,
Fece parere un per un altro il volto :
50
E tanto pili, ch'era gran spazio in mezzo
Fra dove io venni e quelle inculte case.
Ai dui fratelli, che stavano al rezzo,
Il Duca agevolmente persuase
Quel ch'era falso. Or pensaiuche ribrezzo
Ariodante, in che dolor rimase.
Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia.
Che gin mandagli ; e monta in su la loggia.
51
A prima giunta io gli getto le braccia
Al collo; ch'io nou penso esser veduta:
Lo bacio in bocca e per tutta la faccia,
Come far soglio ad ogni sua venuta.
Egli pili de l'usato si procaccia
D'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.
Quell'altro al rio spettacolo coudutto.
Misero sta lontano, e vede il tutto.
52
Cade in tanto dolor, che si dispone
Allora allora di voler morire;
E il pome de la spada in terra pone,
tuW intorno liste d'oro, che servivano di
fregio.
— 3. adombrata; coperta, circondata. Si
cita questo solo luogo dell'A.
49. 4. a buon effetto ; a buon fine. Ricorda
il modo vivissimo: A <iuesl' effetto.
— 8. lece parere. Rileva dal contesto un
soggetto ciò.
50. 3. al rezzo ; al buio. Non è comune,
ma ha esempi. Berni, Ori. 37, 88: «Colse
la chiara pietra appunto in mezzo, E fece
il conte rimanere al rezzo ».
52. 3. pomo e pomo dissero ugualmente
gli antichi in tutti i sensi.
Che su la punta si volea ferire.
Lurcanio che con grande ammirazione
Avea veduto il Duca a me salire,
Ma non già conosciuto chi si fosse.
Scorgendo l'atto del fratel, si mosse;
53
E gli vietò che con la propria mano
Non si passasse in quel furore il petto.
S'era più tardo o poco più lontano,
Non giugnea a tempo, e non faceva effetto.
Ah misero fratel, fratello insano
(Gridò), pere' hai perduto l'intelletto,
Ch'una femina a morte trar ti debbia ?
Ch'ir possan tutte come al vento nebbia.
54
Cerca far morir lei, che morir merta;
E serva a più tuo onor tu la tua morte.
Fu d'amar lei, quando non t'era aperta
La fraude sua; or è da odiar ben forte;
Poi che con gli occhi tuoi tu vedi certa,
Quanto sia meretrice, e di che sorte.
Serba quest'arme che volti in te stesso,
A far dinanzi al Re tal fallo espresso.
55
Quando si vede Ari'odante giunto
Sopra il fratel, la dura impresa lascia;
Ma la sua intenzion da quel ch'assunto
Avea già di morir, poco s'accascia.
Quindi si lieva, e porta non che punto.
Ma trapassato il cor d'estrema ambascia:
Pur tinge col fratel, che quel furore
Non abbia più, che dianzi avea, nel core.
56
Il seguente matin, senza far motto
Al suo fratello o ad altri, in via si messe,
Da la mortai disperazion condotto;
Né di lui per più di fu chi sapesse, [dotto
Fuor che '1 Duca e il fratello, ognaltro in-
53. 1. vietò che non. Vietare si costjruisce
col noìi o senza. Vedi le due costruz. riu-
nite in questo esempio del Segneri; Qua-
res. 19, 5. « A' Nazareni, a cui vietò di ber
vino, egualmente vietò di non mai gustare
neppure un acino d' uva ».
— 4. non faceva effetto; non raggiungeva
il fine: \'. e. xxxiv, 31. Per questo signiUc.
si citano soltanto questi due luoghi dell'A.
— S. ir; andare in perdizione. Confronta
i modi : siam ili, siamo rovinati ; se n' è ito,
è morto.
54. 3. Fu d'amar; Fu da a. V. st. 10, n. 5.
— 5. certa; certo: v. st. 18, n. 7.
55. 4. di morir. Uniscilo a intenzion. Tro-
veremo nel poema ben più ardite inversioni :
V. XXXIII, 9, 5-6. Si potrebbe anche inten-
dere: da quel che assunto aveva già, cioè
di morire ; ma queste e|iesegesi non sono
dello stile dell'A. — s'accascia; si distoglie.
Si cita questo solo esempio deir.\.
56. 5. indòtto... chi l'avesse; non infor-
CANTO V
55
Èra chi mosso al dipartir l'avesse.
Ne la casa del Ke di lui diversi
lìagionameuti, e in tutta Scozia fèrsi.
57
la capo d'otto o di pili oriorni in corte
Venne inanzi a Ginevra un viandante,
E novelle arreco di mala sorte:
Che s'era in mar summerso Ariodante
Di volontaria sua libera morte,
Non per colpa di Borea o di Levante.
D'un sasso che sul mar sporgea molt'alto,
Avea col capo in giù preso un gran salto.
58
Colui dicea: Pria che venisse a questo,
A me che a caso riscontrò per via.
Disse: Yien meco, acciò che manifesto
Per te a Ginevra il mio successo sia;
E dille poi che la cagion del resto
Che tu vedrai di me, ch'or ora tia,
È stato sol pere' ho troppo veduto:
Felice, se senza occhi io fossi suto!
59
Eramo a caso sopra Capobasso,
Che verso Irlanda alquanto sporge in ma-
Cosi dicendo, di cima d'un sasso [re.
Lo vidi a capo in giù sott'acqua andare.
Io lo lasciai nel mare, et a gran passo
Ti son venuto la nuova a portare.
Ginevra, sbigottita e in viso smorta,
Kimase a quello annunzio mezza morta.
60
Oh Dio, che disse e fece poi che sola
Si ritrovò nel suo fidato letto!
Percosse il seno, e si stracciò la stola,
E fece all'aureo crin danno e dispetto;
Ripetendo sovente la parola
Ch'Ariodaute avea in estremo detto:
mato... chi Ta. Si cita per tal siguific. que-
sto solo esempio dell' A.
57. 4. sommerso... di volont... morte. È una
locuz. abbreviata, che si può compier cosi:
Era morto di volontaria morte sommergen-
dosi.
58. 4. mio successo; mio caso.
— 5. la cagione... è stato. Questa sconcor-
danza del participio, che nel Furioso si trova
dodici volte, ha molti esempi negli antichi
scrittori. Pulci, Movg. 1, 41 : « È dato in
ciel cosi questa sentenza»; 22, 1S5: «Sia ma-
ledetto la tua crudeltade ».
— 8. snto (essuto) è il vero participio ac-
corciato di Essere; frequentissimo negli an-
tichi, è ora fuori d'uso.
59. 1. Eramo; eravamo. Forma popolare
ancor viva in Toscana. Dante, Purg. 32,
35, ha eràmo; il popolo dice èratìio. Capo-
basso, Promontorio della Scozia.
60. 3. stola; veste lunga e propr. don-
nesca.
Che la cagion del suo caso empio e tristo
Tutta venia per aver troppo visto.
61
Il rumor scorse di costui per tutto,
Che per dolor s"avea dato la morte.
Di questo il Re non tenne il viso asciutto.
Né cavallier né donna de la corte.
Di tutti il suo fratcl mostrò più lutto;
E si sommerse nel dolor si forte,
Ch'ad essempio di lui, contra sé stesso
Voltò quasi la man per irgli appresso:
62
E molte volte ripetendo seco,
Che fu Ginevra che '1 frate! gli estinse,
E che non fu se non quell'atto bieco
Che di lei vide, ch'a morir lo spinse;
Di voler vendicarsene si cieco
Venne, e si l'ira e si il dolor lo vinse,
Che di perder la grazia vilipese,
Et aver l'odio del Re e del paese:
63
E inanzi al Re, quando era più di gente
La sala piena, se ne venne, e disse:
Sappi, Signor, che di levar la mente
Al mio fratel, si ch'a morir ne gisse,
Stata è la figlia tua sola nocente;
Ch'a lui tanto dolor l'alma tratfisse
D'aver veduta lei poco pudica.
Che più che vita ebbe la morte amica.
64
Erane amante; e perché le sue voglie
Disoneste non tur, noi vo' coprire.
Per virtù meritarla aver per moglie
Da te sperava, e per fedel servire:
Ma, mentre il lasso ad odorar le foglie
Stava lontano, altrui vide salire.
Salir su l'arbor riserbato, e tutto
Essergli tolto il disiato frutto.
— 7. empio ; molesto, doloroso. Monti, II.
4, 397: «Or mi doma empia veccliiezza ».
— 8. venia per. Più propr. venia dall'aver
ecc. Forse su questo costrutto hanno influito
le parole: caso empio e tr.; traeudolo al
loro senso; quasi volesse dire: Il suo caso
empio e tr. avveniva per aver ecc.
62. 5. Di voler vend. si cieco ecc. È allar-
gamento del costrutto coiiuiue cieco di vo-
glia, per voglia di venib'tla.
— 7. vilipese ; non curò. In questo senso,
e come reggente una proposiz., non è re-
gistrato dai Vocabol.
63. ,5. ooconte; colpevole: Di quest'uso
col complemento si cita questo solo esemiiio
dell'A.
64. 3. meritarla aver... sperava; Sperava
di meritare d'averla. Vi è la soUta omissioin;
della prep. e lo spostamento del pron. ^'. e.
I, 4. 1; e e. I, 47, n. 6.
56
ORLANDO FURIOSO
65
E seguitò, come egrli avea veduto
Venir Ginevra sul verrone, e come
Mandò la sca'a onde era a lei venuto
Un drudo suo, di chi egli non sa il nome;
Che s'avea, per non esser conosciuto,
Cambiati i panni e nascose le chiome.
Soggiunse che con Tarme egli volea
Provar, tutto esser ver ciò che dicea.
66
Tu puoi pensar se '1 padre addolorato
Riman, quando accusar sente la figlia;
Si perché ode di lei quel che pensato
Mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
Si perché sa che tia necessitato
(Se la difesa alcun guerrier non piglia,
il qual Lurcanio possa far mentire),
Di condannarla, e di farla morire.
67
Io non credo, Signor, che ti sia nova
La legge nostra che condanna a morte
. Ogni donna e donzella che si prova
Di sé far copia altrui ch'ai suo consorte.
Morta ne vien. sMn un mese non trova
In sua difesa un cavallier si forte.
Che contra il falso accusator sostegna
Che sia innocQjjte e di morire indegna.
68
Ha fatto il Re bandir per liberarla
(Che pur gli par eh' a torto sia accusata),
Che vuol per moglie, e con gran dote, darla
A chi torrà l'infamia che l'è data.
Che per lei comparisca non si parla
Guerriero ancora, anzi l'un l'alti-o guata;
Che quel Lurcanio in arm«r è cosi fiero,
Che par che di lui tema ogni guerriero.
69
Atteso ha l'empia sorte, che Zerbino,
Fratel di lei, nel regno non si trove;
Che va già molti mesi peregrino,
Mostrando di sé in arme inclite prove:
Che quando si trovasse più vicino
Quel cavallier gagliardo, o in luogo dove
67. 3. che si prova; che si dimostra, si può
dimostrare che di se fa copia eco.
— 4. altrui che ; ad altri che. Bocc. Dee.
JV. 3, 117: « Da altrui che da lei udito non
sia >.
— 5. Morta; uccisa. Questo signific, che
appartiene al solo partic. passato, è comune
ancora, specialm. in Toscana.
— S. Che sia. Il che col congiunt., nelle
proposiz. oggettive, è frequente negli scrit-
tori e indica la cosa enunciata non come
fatto, ma come pensiero, o come cosa possi-
bile. Boccaccio, jyov. 98: «Pensando che
la fortuna m'abbi condotto in parte, che
della mia virtù mi sia convenuto far pruo-
va j». K vedi quivi la nota del Fornaciari.
69. 3. già molti mesi; v. e. I, 20, n. S.
Potesse avere a tempo la novella.
Non mancheria d'aiuto alla sorella.
70
Il Re, ch'in tanto cerca di sapere
Per altra prova, che per arme, ancora.
Se sono queste accuse o false o vere.
Se dritto o torto è che sua figlia mora;
Ha fatto prender certe cameriere
Che lo dovrian saper, se vero fora:
i Ond'io previdi che se presa era io,
Troppo periglio era del Duca e mio.
! 71
I E la notte medesima mi trassi
Fuor de la corte, e al Duca mi condussi ;
E gli feci veder quanto importassi
Al capo d'amendua, se presa io lussi.
Lodommi, e disse ch'io non dubitassi:
A' suoi conforti poi venir ra' indussi
Ad una sua fortezza eh' è qui presso.
In compagnia di dni che mi diede esso.
72
Hai sentito. Signor, con quanti effetti
De l'amor mio fei Polinesso certo;
E s'era debitor per tai rispetti
D'avermi cara o no. tu 'I vedi aperto.
Or senti il guidardon ch'io ricevetti:
Vedi la gran mercé del mio gran merto :
Vedi se deve, per amare assai.
Donna sperar d'essere amata mai;
73
Che questo ingrato, perfido e crudele.
De la mia fede ha preso dubbio al fine :
Venuto è in sospizion ch'io non rivele
Al lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha finto, acciò che m'allontane e cele
Fin che l'ira e il furor del Re decline,
Voler mandarmi ad un suo luogo forte;
E mi volea mandar dritto alla morte:
74
Che di secreto ha commesso alla guida.
Che come m'abbia in queste selve tratta,
Per degno premio di mia fé m'uccida.
70. 6. fora; fosse. È esempio unico o ra-
rissimo di fora per fosse invece di sarebbe.
71. 3. importassi; V. e. ii, 40, n. 8. Le rime
in assi ussi esso sono un ghiribizzo, che
l'A. usò solo in questa st.
— 8. dni; V. e. I, 16, 2.
72. 1. effetti; benefici, favori. Cosi al e
xxxviii, 5. 7 ; xuv, 68. Cosi il Bocc. Labi)-.
19: «Perché poverissimo di grazie a ren-
dere a tanti e si alti effetti mi sentiva ».
— 5. gaidardon ; è forma più vicina al te-
desco widarton, da cui deriva, attraverso
al basso lat. vuierdonum.
73. 5. Ha finto ecc. Costruisci: Ha finto
voler mandarmi ad un s. 1. f., acciò che
ecc.
CANTO V
57
Cosi rintenzion gli venia fatta,
Se tu non eri appresso alle mie grida.
Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta I
Cosi narrò Dalinda al Paladino,
Seguendo tutta volta il ìor camino;
75
A cui tu sopra ogn'avventura grata
Questa d"aver trovata la donzella,
Che gli avea tutta l'istoria narrata
De Tinnocenzia di Ginevra bella.
E se sperato avea, quando accusata
Ancor tosse a ragion, d'aiutar quella;
Con via maggior baldanza or viene in i)ro-
Poi che evidente la calunnia trova, [va,
76
E verso la città di Santo Andrea,
Dove era il Re con tutta la famiglia,
E la battaglia singular dovea
Esser de la querela de la figlia.
Andò Rinaldo quanto andar potea,
Fin che vicino giunse a poche miglia;
Alla città vicino giunse, dove [ve:
Trovò un scudier c'havea più fresche nuo-
77
Ch'un cavalliere istrano era venuto,
Ch'a difender Ginevra s'avea tolto.
Con non usate insegne, e sconosciuto.
Però che sempre ascoso andava molto;
E che dopo che v'era, ancor veduto
Non gli avea alcuno al discopertoli volto;
E che '1 proprio scudier che gU servia,
Dicea giurando: lo non so dir chi sia.
78
Non cavalcaro molto, ch'alle mura
Si trovar de la terra, e in su la porta.
Dalinda andar più inanzi avea paura;
Pur va, poi che Rinaldo la conforta.
La porta è chiusa; et a chi n'avea cura
74. 1. l'intenzion gli Tenia f. Gli antichi
dissero: Ottenere, avere V ititemione. Su
queste locuzioni è foggiata l'altra Fare l'in-
teazinrie, conseguire l' intento.
— 5. eri appresso ecc. ; eri vicino alle mie
grida; al luogo dove io gridavo. Oppure:
Se. alle mie grida, tu non eri qui vicino.
J6. 5. quando... Ancor; quand'anche.
— 7. Tia maggior. L'A. dice sempre via.
non rie e il Bembo già osservò (Prose lib.
111. p. 222) che vie avevano usato i prosa-
tori, ria i poeti. — viene in proya. Y. e. iv,
68, n. 7.
76. 1. Sant'Andrea; St-Andrews, città già
capitale della Scozia nella contea di Fife.
— 4. querela della f . ; questione d' onore
della figlia. È parola tecnica del duello.
77. 5. E che. Ha la stessa dipendenza del
che del primo verso.
78. 5. La porta è chinsa. In simili circo-
stanze, l'estando la città quasi deserta, si
chiudevan le porte per iiiipedir sorprese di
Rinaldo domandò: Questo ch'importa?
E fugli detto, Perché '1 popol tutto,
A veder la battaglia era ridutto,
79
Che tra Lurcanio e un cavallier istrano
Si fa ne l'altro capo de la terra
Ove era un prato spazioso e piano;
E che già cominciata hanno la guerra.
Aperto fu al signor di Montealbano;
E tosto il portinar dietro gli serra.
Per la vota città Rinaldo passa;
Ma la Donzella al primo albergo lassa:
80
E dice che sicura ivi si stia
Fin che ritorni a lei, che sarà tosto ;
E verso il campo poi ratto s'invia,
Dove li dui guerrier dato e risposto
Molto s'aveano e davan tutta via.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
Centra Ginevra; e l'altro in sua difesa
Ben sostenea la favorita impresa.
81
Sei cavallier con lor ne lo steccato
Erano a piedi, armati di corazza,
Col Duca d'Albania, ch'era montato
S'un possente corsier di buona razza.
Come a Gran contestabile, a lui dato
città vicine e anche degli aderenti e fautori
delle parti combattenti.
— 6. ch'importa? che significa?
— 7. fugli detto Perché ; fugli detto Che
ciò ai^veniva perché ecc.
80. 6. di mal cor disposto. Fusione delle
due espressioni: Stare dì mal core; Easere
mal di.i/jQsto.
81. 1. Sei cavallier ecc. Questi erano i pa-
drini e il seguito di ciascun cavaliere. In
antico, quando gli steccati erano sempre
pronti presso i principi, vi si trovava anche
tutto ciò che occorreva per i duelli: cavalli,
elmi, padrini, che lealmente pigliavano la
clientela dei combattenti, i quali, venendo
incogniti o di lontano, non avevano agio di
provvedere il necessario per le questioni
d'onore. — ne lo steccato. Generalmente lo
steccato restava vuoto e libero ai soli com-
liatteiiti. e i padrini, i consultori ecc. stavano
fuori presso alle entrate. Cosi vediamo in
due disegni del sec. xv, che si trovano in
un manoscritto della biblioteca di Parigi
« Cérémonies des gages de bataille » ripro-
dotti da Paolo Locroix nella « Vie militaire
et religieuse au inoyen àge et à l'epoque de
la renaissance ».
— 5. contestabile; (lat. Comes stabilii,
prefetto delle stalle). Fu dapprima uno scu-
diere del principe, poi un alto grado mili-
tare ; e anche la suprema dignità militare,
specialmente in Francia. In questo senso
spesso si unisce a gran.
53
ORLANDO FURIOSO
La guardia fu del campo e de la piazza:
E di veder Ginevra in gran periglio
Avea il cor lieto, et orgoglioso il ciglio.
82
Rinaldo se ne va tra gente e gente:
Fassi far largo il buou destrier Baiardo:
Chi la tempesta del suo venir sente,
A dargli via non par zoppo né tardo.
Rinaldo vi compar sopra eminente,
E ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;
Poi si ferma all'incontro ove il Re siede:
Ognun s'accosta per udir che chiede.
83
Rinaldo disse al Re: Magno signore,
Non lasciar la battaglia pili seguire;
Perché di questi dua qualunque more,
Sappi ch'a torto tu '1 lasci morire.
L'un crede aver ragione et è in errore,
E dice il falso e non sa di mentire;
Ma quel medesmoerror che '1 suo germano
A morir trasse, a lui pon l'arme in mano :
84
L'altro non sa, se s'abbia dritto o torto;
Ma sol per gentilezza e per boutade
In pericol si è posto d'esser morto,
Per non lasciar morir tanta beltade.
Io la salute all' innocenzia porto:
Porto il contrario a chi usa falsitade.
Ma, per Dio, questa pugna prima parti;
Poi mi dà audieuza aquel ch'io vo'uarrarti.
85
Fu da l'autorità d'un uom si degno,
Come Rinaldo gli parca al sembiante.
Si mosso il Re, che disse e fece segno
Ohe non andasse più la pugna inante;
Al quale insieme et ai Barou del regno,
E ai cavallieri e all'altre turbe tante
Rinaldo fé' l'inganno tutto espresso,
Ch'avea ordito a Ginevra Polinesso.
86
Indi s'offerse di voler provare
Coll'arme, ch'era ver quel ch'avea detto.
<.'hiamasi Polinesso; et ei compare,
Ma tutto conturbato ne l'aspetto:
Pur con audacia cominciò a negare.
Disse Rinaldo: Or noi vedrem l'effetto.
L'uno e l'altro era armato, il campo fatto;
•Si che senza indugiar vengono al fatto.
87 [poi, caro
Oh quanto ha il Re, quanto ha il suo po-
Che Ginevra a provar sabbi {nuocente!
Tutti han speranza che Dio mostri chiaro
— 6. La guardia del campo èva quella, che
pioveva tenere il buon ordine fra gli astanti,
punire chi facesse dimostrazioni favorevoli
(1 ostili. — dato... la gaardia. Su questa scon-
ciji'danza vedi sopra la st. 5S, 5.
84. «. andienza. L' usarono il Cavalca, il
Machiavelli, il Caro e altri.
86. 6. effetto, prova; v. sopra st. 17, 5.
Ch'impudica era detta ingiustamente.
Crudel, superbo e riputato avaro
Fu Polinesso, iniquo e fraudolente;
Si che ad alcun miracolo non fìa.
Che l'inganno da lui tramato sia.
88
Sta Polinesso con la faccia mesta,
Col cor tremante e con pallida guancia;
E al terzo suon mette la lancia in resta.
Cosi Rinaldo inverso lui si lancia.
Che disi'oso di finir la festa.
Mira a passargli il petto con la lancia:
Né discorde al disir segui l'effetto;
Che mezza l'asta gli cacciò nel petto.
89
Fisso nel tronco lo transporta in terra
Lontau dal suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo smonta subito, e gli afferra
L'elmo, pria che si lievi, e gli lo slaccia:
Ma quel, che non può far più troppa guer-
Gli domanda mercé con umil faccia, [ra,
E gli confessa, udendo il Re e la Corte,
La fraiide sua che l'ha condutto a morte.
90
Non fini il tutto, e in mezzo la parola
E la voce e la vita l'abandona.
Il Re, che liberata la figliuola
Vede da morte e da fama non buona,
Più s'allegra, gioisce e raconsola.
Che s'avendo perduta la corona,
Ripor se la vedesse allora allora:
Si che Rinaldo unicamente onora.
88. 3. al terzo suon. Nei duelli pubblici
c'era il pubblico trombetta o araldo, che
dava tre segnali; al terzo i combattenti si
slanciavano nello steccato dai due lati oi)-
posti e si azzuffavano.
89. 1. Fisso nel tronco. Generalmente in-
tendono: Infilzato nel tronco della lancia.
Ma se la lancia passò dall'altra parte, non
dovette rompersi e perciò non rimase i ron-
cone. È meglio intendere tronco per la parte
grossa del corpo, escluso capo e gambe.
Fisso, come il latino fl.rus, vale trafitto:
ViRGiL. En. 12, 537: « li>;o stetit basta ce-
rebro ». V. anche al e. xxv, 29, 4.
89. 4. gli lo slaccia. L'.\. ama, innanzi alle
particelle pronominali lo la ecc. la form:i
gli invece della più comune glie; ma gift
altri scrittori, anche Toscani, l'avevano
usata: Sacchetti, yov. 1, 143: «che pur mo-
strare gli lo convenia », dove noterai anche
lo spostamento del pronome, cosi frequente
nel Furioso. — Era l)Uona legge del duello
che, quando l'avversario era atterrato, si
potesse andargli addosso e finirlo, per lo più
a pugnalate nella faccia; ma, se l'avversa-
rio confessava il suo torto o chiedeva per-
dono, il buon cavaliere doveva perdonare.
90. S. unicamente; sommamente: uso la-
CANTO V
59
E poi ch'ai trar de l'elmo conosciuto
L'ebbe, perch'altre volte l'avea visto,
Levò le mani a Dio, che d'un aiuto
Come era quel, g:li avea si ben provisto.
Quell'altro cavallierche, sconosciuto,
Soccorso avea Ginevra al caso tristo.
Et aimato per lei s'era condutto,
tino: CicER. Oras. 1. « Quem unice dilige-
bam; che sommamente amavo».
91. 3. d'un aiuto... gli avea... provisto.
Provvedere a uno di una cosa è costrutto
raro. Se ne trova però qualcne altro esemp.
Segneri, Crisi. Istr. 24 : « a cui per que-
sta via provvede di latte ».
— 7. s 'era conduttu. Sottint. quivi.
Stato da parte era a vedere il tutto.
92
Dal Re pregato fu di dire il nome,
0 di lasciarsi al raen veder scoperto,
Acciò da lui fosse premiato, come
Di sua buona intenziou chiedeva il merto,
Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome
Si levò l'elmo, e fé' palese e certo
Quel che ne l'altro Canto ho da seguire,
Se grata vi sarà l'istoria udire.
92. 8. grata; grato. È un fenomeno d'at-
trazione del complemento, che produce l'il-
lusione di un soggetto. Veramente il sogg.
è udire e l'istoria è il suo complemento.
Lo stesso è avvenuto al canto iit, 60, 6.
CANTO VI
Miser chi mal oprando si confida
Ch'ognor star debbia il maleficio occulto;
Che, quando ognaltro taccia, intorno grida
L'aria e la terra istessa in eh' è sepulto:
E Dio fa spesso che '1 peccato guida
Il peccator, poi ch'alcun di gli ha indulto.
Che sé medesmo, senza altrui richiesta,
lunavedutamente manifesta.
2
Avea creduto il miser Polinesso
Totalmente il delitto suo coprire,
1. 1. Miser ecc. Sembra che l' A. abbia
avuto presente un luogo di Cicerone (De Fi-
nibus, lib. II), dove si esprime lo stesso con-
cetto. Alcune pai'ole sembrano quasi tra-
dotte: « Etsi vero (humana, mens) molila
quippiam est, quamvis occulte fecerit, nun-
quam tamen confiilet id fore seinper occul- [
tum ». j
— 4. L'aria e la terra. L' immagine forse
fu suggerita da Ovidio, Met. xi, 7, dove si j
aice cìie il servo di Mida confidò alla terra j
scavata il segreto delle orecchie d'asino,
che aveva il padrone; e la terra lo faceva
ripetere alle canne m essa nate.
— 6. alcun di' gli ha indulto ; gli ha dato
benignamente alcun giorno per pentirsi.
Dante, Par. xxvii, 97 « E la virtù che lo
sguardo (di Beatrice) m' indulse » (mi dette
per sua benignità).
— 8. Innavedutamente. Nelle edizioni del
'16 e del '21 si trova inavedutamente. Inol-
tre l'A. usa pili frequeutem. di non raddop-
piare nei composti la prep. in, anche quan-
do il buon uso lo porterebbe (inafliare, ina-
spare ecc.); perciò è da credere che qui il
raddoppiamento sia un errore di stampa.
Dalinda consapevole d'appres.so
Levandosi, che sola il potea dire:
E aggiungendo il secondo al primo ecces-
Affrettò il mal che potea differire, [so,
E potea differire e schivar forse;
Ma sé stesso spronando, a morir corse:
3
E perde amici a un tempo, e vita e stato
E onor, che fu molto pili grave danno.
Dissi di sopra che fu assai pregato
Il cavallier, ch'ancor chi sia non sanno.
Al fin si trasse l'elmo, e '1 viso amato
Scoperse, che più volte veduto hanno;
E dimostrò com'era Ari'odante,
Per tutta Scozia lacrimato inante;
4
Ariodante, che Ginevra pianto
Avea per morto, e '1 fratel pianto avea,
Il Re, la corte, il popol tutto quanto:
Di tal bontà, di tal valor splendea.
Adunque il peregrin mentir di quanto
Dianzi di lui narrò, quivi apparea;
p] fu pur ver che dal sasso marino
Gittarsi in mar lo vide a capo chino.
5
Ma (come avviene a un disperato spesso.
Che da lontan brama e disia la morte,
E l'odia poi che se la vede appresso;
2. 8. spronando; sollecitando a far presto.
3. 1. stato; il dominio; il ducato: cosi
al e. XI, 66.
4. 6. apparea. Questa forma più vicina al
latino apparere usarono spesso gli antichi:
Dante, Par. xvnr, 31 : « Or ti puote apparer
quanto è nascosa La veritade ».
— 7. E fu pur; e pure fu. Cosi l'A. ha
diviso quando anche; e o pwre; e. v, 75,
.5; XVII, 108, 2.
60
ORLANDO FURIOSO
Tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Ariodante, poi eh' in mar fu messo,
Si penti di morire; e, come forte
E come destro e più d'ogn'altro ardito,
Si messe a nuoto e ritornossi al lito;
6
E dispregiando e nominando folle
Il desir ch'ebbe di lasciar la vita.
Si messe a camminar bagnato e molle,
E capitò all'ostel d'un Eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
Tanto, che la novella avesse udita,
Se del caso Ginevra s'allegrasse,
O pur mesta e pietosa ne restasse.
7
Intese prima, che per gran dolore
Ella era stata a rischio di morire
(La fama andò di questo in modo fuore,
Che ne fu in tutta l'isola che dire):
Contrario effetto a quel che per errore
Credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi, come Lurcanio avea
Fatta Ginevra appresso il padre rea.
8
Contra il fratel d'ira minor non arse,
Che per Ginevra già d'amore ardesse;
Che troppo empio e crudele atto gli parse,
Ancora che per lui fatto l'avesse.
Sentendo poi, che per lei non comparse
Cavallier che difender la volesse
(Che Lurcanio si forte era e gagliardo,
Ch'ognun d'andargli contra avea riguardo;
9
E chi n'avea notizia, il riputava
Tanto discreto, e si saggio et accorto.
Che se non fosse ver quel che narrava;
Non si porrebbe a rischio d'esser morto;
Per questo la più parte dubitava
Di non pigliar questa difesa a torto);
5. 5. fu messo ; si fu gettato. Cavalca, Att.
Ap. 165 : « Comandò che quelli, che sapeaii
notare, si mettessero in mare >. Più comu-
iiem. mettersi in mare vale Cominciare a
naiigare. Per remissione del pron. persou.
vedi e. i, 21, n. 7.
— 6. come f.; da f. V. e. v, 21, 7.
6. 3. bagnato e molle. Bagnato si riferi-
sce, più che altro, alla superficie; 'molle
indica inzuppato >ìi acjua.
— 4. ostel; abitazione. In questo senso è
raro anche nel verso; ma ne abbiamo esem-
pi. .Nov. ant. 60, 1: « Pregollo che non la
discoprisse lino a suo ostello ».
7. 5. Contrario effetto ; /"affo, che provava
contro a quello, che ecc. V. e. v, 86, n. 6.
— 7. avea Patta... rea ; avea accusala. È
il lat. facere ali'jacin reum, accusare uno.
9. 1. notizia: conoscenza. Petr. Trionf.
i, 38. « E se alcun v'era Di mia notizia, avea
cangiato vista ».
Ariodante, dopo gran discorsi.
Pensò all'accusa del fratello opporsi.
10
Ah lasso! io non potrei (seco dicea)
Sentir per mia cagion perir costei:
Troppo mia morte fora acerba e rea.
Se inanzi a me morir vedessi lei.
Ella è pur la mia Donna e la mia Dea;
Questa è la luce pur degli occhi miei: [pò
Convien ch'a dritto e a torto,per suo scam-
pigli l'impresa, e resti morto in campo.
11
So ch'io m'appiglio al torto; e al torto
E ne morrò; né questo mi sconforta, [sia:
Se non eh' io so che per la morte mia
Si bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia.
Che, se '1 suo Polinesso amor le porta.
Chiaramente veder avrà potuto.
Che non s'è mosso ancor per darle aiuto;
12
E me, che tanto espressamente ha offeso,
Vedrà; per lei salvare, a morir giunto.
Di mio fratello insieme, il quale acceso
Tanto focoha,vendicherommi a un punto;
Ch' io lo farò doler, poi che compreso
Il fine avrà del suo crudele assunto:
Creduto vendicar avrà il germano,
E gli avrà dato morte di sua mano.
13
Concluso ch'ebbe questo nel pensiero,
Nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;
E sopraveste nere e scudo nero
— 7. discorsi ; riflessioni : cosi anche al
e. xxvii, 1; e cosi spesso altri scrittori.
10. 2. Sentir... perir; aver notizia che co-
stei perisca. Nello stesso senso, ma con di-
verso costrutto, Dante, Parg. 16, 138: «Par
che del buon Gherardo nulla senta » (non
abbia alcuna notizia).
— 7. a dritto e a torto. Xell'altre due ediz.
del 1516 e del 1521 si legge il modo più logico
a dritto o a torto: ma l'A. preferi l'altro
modo, elle è più comune negli scrittori ed
è più efficace, perché dà risalto, non al
dubbio di chi agisce, ma alla risoluzione di
agire in ogni caso.
— S. Pigli l' impresa; intraprenda il com-
battimento. V. e. IV, 57, 4.
11. 1. al torto sia. Modo comune nel lin-
guaggio popolare, che indica risoluta ras-
segnazione a ciò, che è detto innanzi e rias-
sunto con poche parole prima del sia. Per
es. Mio figlio ha rovinato tutto; e rovinato
sia, ma doveva rispettar l'onore della fa-
miglia.
— 3. Se non che; se non perché. V. e. ili,
50, 1 ; v, 16, 5.
13. 3. sopraveste; Era una veste, che i soli
cavalieri, per difendersi dal sole, portavano
CANTO VI
61
Portò, fregiato a color verdegiallo.
Per avventura si trovò uu scudiero
Ignoto in quel paese, e menato hallo:
E sconosciuto (come lio già narrato)
JS'appresentò contra il fratello armato.
14
Narrato v' ho come il fatto successe.
Come fu conosciuto Ariodaiite.
Non minor gaudio n'ebbe il Re, ch'avesse
De la figliuola liberata inante.
Seco pensò che mai non si potesse
Trovar uu più fedele e vero amante;
Che dopo tanta ingiuria, la difesa
Di lei contra il fratel proprio avea presa.
ìò
E per sua inclinazion (ch'assai l'amava)
E per li preghi di tutta la corte,
E di Rinaldo che più d'altri instava.
De la bella figliuola il fa consorte.
La Duchea dAll)ania, ch'ai Re tornava
Dopo che Polinesso ebbe la morte.
In miglior tempo discader non puote.
Poi che la dona alla sua figlia iu dote.
1(>
Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,
Che se n'andò di tanto errore esente;
La qual per voto, e perché molto sazia
Era del mondo, a Dio volse la mente.
Monaca s'andò a render fin iu Dazia,
sopra le armature, anche combattendo: una
specie di tunica con corte maniche o senza.
Sul colore, come simbolo degli affetti, cfr.
e. xxxir, 47. Il verdegiallo siguitlca la spe-
ranza non ancor tutta morta.
— 5. scudiero. Era il servitore del cava-
liere. A lui la cura delle armi e dei cavalli:
teneva la staffa, portava l'elmo, la lancia e
talvolta anche lo scudo del signore, caval-
cando innanzi a lui sopra un ronzino; nelle
zuffe gli stava al fianco per fornirgli al bi-
sogno nuove armi e nuovi cavalli. Erano
volontari o mercenari.
15. 5. Duchea; ducato. Fu usato comunem.
dagli antichi: G. Villani 455: « Nella duchea
di Baviera in Allemagna ».
— 7. discader ; ricadere o tornare al pa-
drone diretto. In questo senso è citato sol-
tanto questo luogo dell'A.
16. 2. esente; perdonata: É significato si-
mile al Dantesco, Puri/- 7, 32: « avante Che
fosser dall'umana colpa esenti» (purgati);
ma non eguale. Non è notato dai vocabolari.
— 5. Dazia. Alcuni intendono la Dacia
(moderna Rumenia), altri, meglio, la Dania
o Danimarca, detta da alcuni antichi Dacia.
Lo Pseudo-Turpino chiama Oggieri il Da-
nese dux Daciae, Dacus. L"A. l'usò anche
nei Cinque canti i, 69, 8. Il Giarabullari, St.
Eur. Ili, 2, dice: « La Dania da alcuni, con
error non piccolo, chiamata Dacia ».
E si levò di Scozia inmantinente.
Ma tempo è omai di ritrovar Ruggiero,
Che scorre il ciel su l'animai leggiero.
17
Benché Ruggier sia d'animo constante,
Né cangiato abbia il solito colore,
lo non gli voglio creder che tremante
Non abbia dentro più che foglia il core.
Lasciato avea di gran s^pazio distante
Tutta r Europa, et era uscito fuore
Per molto spazio il segno che prescritto
Avea già a' naviganti Ercole invitto.
l!S [gello
Quello Ippogrifo, grande e strano au-
Lo porta via con tal prestezza d'ale,
Che lasceria di lungo tratto ([ucllo
Celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l'aria altro animai si snello,
Che di velocità gli fosse uguale:
Credo ch'a pena il tuono e la saetta
Vengaiuterradal ciel con maggior fretta.
19
Poi che l'Augel trascorso ebbe gran spa-
Per linea dritta e senza mai piegarsi, [zio
Con larghe ruote, oWàf de l'aria Sazio,
Cominciò sopra una isola a calarsi,
Pare a quella ove, dopo lungo strazio
Far del suo amante e lungo a lui celarsi,
La vergine Aretusa passò in vano
Di sotto il mar per camin cieco e strano.
17. 6. fuore... il segno; fuori del segno.
Fuori si costruì si>esso senza preposizione
e senza articolo: Fuor misura, Fuor ra-
gione; più raramente coU'articolo. — il se-
gno sono le colonne d'Ercole. La favola dice
che Ercole, arrivato a Cadice, credette che
ivi fosse l'estremità della terra, separò due
montagne (Abyla e Calpe), che si toccavano,
per congiungere il Mediterraneo coU'oceauo;
e queste furon dette le colonne d' Ercole.
V. e. IV, 61, n. 8.
18. 4. Celer ministro ; l'aquila. Orazio, O''.
IV, 4: « ministrum fulminis alitem ».
19. 5. dopo lungo str. Far; dopo uu lungo
fare str. 1/ infinito è usato sostantivamente.
— 7. Aretusa. Ecco la favola. La ninfa
Aretusa, perseguitata dall'amore del fiume
Alfeo, si raccomanda a Diana, dalla quale
è cambiata lu fonte. Alfeo mescola ad essa
le sue acque, ma Diana fora la terra e con-
duce la fonte Aret. in Sicilia ad Ortigia. Gli
antichi credevano che questa fontana avesse
uua comunicazione sotterranea col fiume
Alfeo neir Elide ; quindi il mito e quindi
l'espressione in vano dell'A. — L' isola, do-
ve si cala Ruggero, fu creduta dal Fornaci
e da altri Zipagu o Cipingu, oggi Giappone ;
ma forse è un' isola immaginaria.
62
ORLANDO FURIOSO
20
Non vide né più bel né '] più giocondo
Di tutta Taiia ove le peuuje stese;
Né, se tutto cercato avesse il mondo,
Vedria di questo il più gentil paese,
Ove, dopo un girarsi di gran tondo,
Con Kuggier seco il grande augel discese.
Culte pianure e delicati colli,
Chiare acque, ombrose ripe e prati molli,
•21
Vaghi boschetti di soavi allori.
Di palme e d'amenissime mortelle.
Cedri et aranci ch'avean frutti e fiori
Contesti in varie forme e tutte belle,
Facean riparo ai fervidi calori
De' giorni estivi con lor spesse ombrelle;
E tra quei rami con sicuri voli
Cantando se ne giano i rosignuoli.
22
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
Che tepida aura freschi ogn'ora serba,
Sicuri si vedean lepri e conigli,
E cervi con la fronte alta e superba.
Senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,
Pascano o stiansi romiuando l'erba:
Saltano i daini e i capri isnelli e destri.
Che sono in copia in quei lochi campestri.
23
Come si presso è V Ippogrifo a terra
Ch'esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,
E si ritrova in su l'erboso smalto.
Tuttavia in man le redine si serra;
Che non vuol che '1 destrier più vada in
Poi lo lega nel margine marino [alto:
A un verde mirto in mezzo un lauro e un
24 [pino.
E quivi appresso ove surgea una fonte
Cinta di cedri e di feconde palme,
Pose lo scudo, e l'elmo da la fronte
Si trasse, e disarmossi ambe le palme;
Et ora alla marina et ora al monte
Volgea la faccia all'aure fresche et alme.
Che l'alte cime con mormorii lieti
Fan tremolar dei faggi e degli abeti;
■ 25 r-
Bagna talor ne la chiara onda e f^'esjca
X-'asiciutte labra, e con le man diguazza,
Acciò che de le vene il calore esca,
Che gli ha acceso il portar de la corazza.
Né maraviglia è già ch'ella gì' incresca;
Che non è stato un far vedersi in piazza:
Ma senza mai posar, d'arme guernito,,
Tremila miglia ogn'or correndo era ito.
26 •
Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato
Tra le più dense frasche allafresca ombra,
Per fuggir si rivolta, spaventato
Di non so che, che dentro al bosco adom-
E fa crollar si il mirto ove è legato, [bra:
Che de le frondi intorno il pie gli ingoin-
CroUar fa il mirto, e fa cader la fogl ia; [bra:
Né succede però, che se ne scioglia;
27-
Come ceppo talor, che le medolle
Rare e vote abbia, e posto al foco sia,
Poi che per gran calor quell'aria molle
20. 1. né pili bel né il pili g. Le ediz.
del 1516 e 1521 hanno né pia bel né più g.
Forse l'A. corresse n<'- il più bel ecc., e nella
stampa si confusero le due lezioni. Il Pa-
nizzi infatti riscontrò la lezione né 'l pia
bel in diversi esemplari del 1532.
— 2. Di tntta 1' aria, da tutta T aria, da
tutto quel tratto di cielo ove stese le ali.
Per quest'uso della prep. di confronta i
modi comuni e popolari : si vede di qui: si
vede di casa. A questi si è conformato FA.
-^ A. di qoeKto il pili gentil. L'articolo il
qui e nel primo verso vale un (Founaciari
Sint. p. 141); un paese più g. d. q.
— 5. di grao tondo; con larghe ruote. È
modo non chiaro.
21. 6. ombrelle; ombre.
22. 7. capri, (caprii, plur. di caprio) ca-
prioli. E forma specialm. poetica. Tasso,
Ger. 7, Il : « Saltar veggendo i capri snelli
e i cervi ».
23. 7. margine m. Il margine è, per lo più,
dei fiumi, raramente si usa per il lido del
mare.
— 8. in mezzo un 1. Più comun. in ìuesso
a o di. « Petr. II, son. 45: Con refrigerio
in mezzo 'l foco vissi ».
24. 1. surgea, scaturiva. Dante, Purg. 28,
121 : « L'acqua, che vedi, non surge di vena ».
— 4. disarmossi; Dei guanti di maglia di
ferro, che poi-tavano di diverse specie.
— 7. mormorii ; v. C. II, 34, n. 3.
25. 6. in piazza; nella piazza d'armi, nella
steccato a giostrare.
— 8. Tremila. K per un numero indeter-
minato.
26. 4. adombra. Alcuni intendono: Di qual-
che cosa, che getta ombra nel bosco: altri:
Di qualche cosa, che il cavallo adocchia,
nel bosco. In questo senso aacmbrare non
è citato dai vocabol., e forse sarebbe nuovo.
Potremmo anche intendere: Di qualche cosa
che lo adombra, gli dà sospetto. Cosi avrem-
mo un significato non raro, e il fenomeno,
comune nel Furioso, dell'omissione del pro-
nome; V. e. I, 21, n. 7.
27. 1. Come ceppo ecc. Il cespuglio ani-
mato è una imitazione di Dante, Inf. 13;
che a sua volta lia imitato Virgilio Eh. ih.
Questa comparazione ricorda la Dantesca
«Come d'un stizzo verde, che arso sia Dal-
l'un de' capi, che dall'altro geme E cigola
CANTO VI
63
Resta consunta eh' in mezzo l'empia,
Dentro risuoua, e con strepito bolle
Tanto che quel furor trovi la via;
Cosi murmura e stride e si coruccia
Quel mirto olìeso, e al fine apre la buccia.
^.^ -28
Onde con mesta e ilebil voce uscio
Espedita e chiarissima favella,
E disse: Se tu sei cortese e pio,
Come dimostri alla presenza bella,
Lieva questo animai da l'arbor mio:
Basti che '1 mio mal proprio mi flagella,
Senza altra pena, senza altro dolore
Ch'a tormentarmi ancor venga di fuorc.
•29
Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, e subito levosse;
E poi eh' uscir da l'arbore s'accorse,
Stupefatto restò più che mai fosse.
A levarne il destrier subito corse:
E con le guance di vergogna rosse:
Qual che tu sii, perdonami (dicea)
0 spirto umano, o boschereccia Dea.
30 - -'
Il non aver saputo che s'asconda
Sotto ruvida scorza umano spirto,
M'ha lasciato turbar la bella fronda,
E far ingiurfa al tuo vivace mirto 1^*^ ^
Ma non restar però, che non risponda -
Chi tu ti sia, eh' in corpo orrido et irto.
Con voce e razionale anima vivi;
Se da grandine il ciel sempre ti schivi.
°f1' 31
E s'ora o mai potrò questo dispetto
Con alcun beùèficio compensarle,
Per quella bella donna ti prometto,
Quella che di me tien la miglior parte,
pel vento che va via». Le espressioni del-
l'A. sono, per la fisica moderna, assai ine-
satte; ma solo più tardi si conobbe il pas-
saggio dell'acqua in vapore e la forza espan-
siva di esso. Dante fu più esatto, perché si
fermò al fenomeno esterno senza dirne le
cagioni.
29. S. boschereccia Dea. Credevano gli an-
tichi che della vita di ciascuna pianta vi-
vesse una Driade o una Amadriade. Qui
abbiamo un semplice ricordo erudito del
Virgiliano « Nymphas veneramur agrestes »
En. Ili, 34; poiché Ruggero a ciò non cre-
deva, come appare dalla st. seg. v. 2.
30. 4. vivace; vivente. Come aggiunto di
pianta fa usato soltanto nel senso di vegeto.
Il Cellini l'usò per vii-entf: ma sostanti vam.
Poes. ediz. Piatti, 418: « Fattor di vita. Dio
d'ogni vivace ». É latinismi > : Ovidio Met.
XIII, 519 chiama Ecuba vivacem anurii
(ajicor viva).
— 8. se da ecc.: cosi da ecc. É il se de-
precativo, frequentissimo nei poeti.
Ch' io farò, con parole e con effetto.
Ch'avrai giusta cagion di me lodarle.
Come Ruggiero al suo parlar fin diede,
Tremò quel mirto da la cima al piede.
32
Poi si vide sudar su per la scorza.
Come legno dal bosco allora tratto.
Che del foco venir sente la forza,
Poscia eh' invano ogni ripar gli ha fatto;
E cominciò: Tua cortesia mi sforza
A discoprirti in un medesmo tratto
Ch' io fossi prima, e chi converso m'aggia
In questo mirto in su Tamena spiaggia.
33
Il nome mio fu Astolfo; e Paladino
Era (li Francia, assai temuto in guerra:
D'Orlando e di Rinaldo era cugino.
La cui fama alcun termine non serra :
E si spettava a me tutto il domino,
Dopoil mio padre Oton,de l'Inghilterra:-
Leggiadro e bel fui si, che di me accesi
Pili d'uua donna; e al fin me solo offesi.
34
Ritornando io da quelle isole estreme
31. 6. cagion di me 1. e. di lodarti di me.
V. e. II, 72, n. 3.
33. 1. Astolfo. È ricordato come paladino
in alcune canzoni di gesta, quantunque, per
lo più, non apparisca fra i paladini di C.
Magno. Il Boiardo lo ha preso dalla tradi-
zione cavalleresca, ma lo ha ritrattò a suo
modo. È da lui detto bellissimo, molto va-
gheggiato dalle donne, m:x parlante di na-
tura, millantatore e bravaccio, sebbene alla
prova delle armi abbia sempre la peggio.
L'.\. prende dal B. i tratti principali, ma
raffina questa figura.
— 3. D'Orlando ecc. Bernardo di Chiara-
monte ebbe per figli Ottone, secondo la leg-
genda Carolingia re d' Inghilterra e padre
d'.\st.; Milone, padre d' Orlando; Amone,
padre di Rinaldo e Bradamante.
— 8. me solo off., perché l'amore si volse
in mio solo danno, non dell'amata.
34. I. Ritornando ecc. È riassunto ciò che
narra il Boiardo. Dopo essere stato pressa
Angelica in Albracca, Astolfo trova Rinaldo
e si accompagna con lui. Vengono ambedue
nelle mani di Monodaute, re di Demogir
(Isole Lontane, nel mare Indiano), dove tro-
vano prigiouieri anche Prasildo, Iroldo, Du-
done e altri. La fata Morgana aveva rapito
a Monodante un liglio giovinetto, del quale
si era innamorata, e che non avrebbe reso
se non in cambio di Orlando, su cui aveva
da vendicar un' onta ricevuta. Monodante
fa prendere quanti cavalieri può, sperando
di trovare Orlando, .wutolo finalmente, lo
manda a Morgana, ma Orlando libera im-
punemente il giovinetto e torna con esso al
CI
ORLANDO FURIOSO
Che da Levante il mar Indico lava,
Dove Rinaldo et alcun'altri insieme
Meco fnr chiusi in parte oscura e cava,
Et onde liberate le supreme
Forze n'avean del cavallier di Brava;
Ver Ponente io venia lungo la sabbia
Che del Settentrion sente la rabbia.
35
E come la via nostra e il duro e fello
Distin ci trasse, uscimmo una matina
Sopra la bella spiaggia ove un castello
Siede sui mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei ch'uscita era di quello,
E stava sola in ripa alla marina ;
E senza rete e senza amo traea
Tntti li pesci al lito, che volea.
3G
Veloci vi correvano i delfìni.
Vi venia a bocca aperta il grosso tonno;
I capidogli coi vecchi marini
padre, che, pieu di gioia, lascia in libertà
tutti i cavalieri, tra cui Astolfo. Questi, giun-
to poi al giardino di Alcina, è allettato a
salire sopra una balena. Fin qui il Boiardo,
Inn. n, xir, xiii.
— 2. da Levante; in levante.
— 5. liberate ; liberato. Nel Far. vi sono
quattro luoghi, dove il participio è stato
attratto alla concordanza col soggetto (xviii,
123; XXXVI, 27; xxxviii, 56). Gli antichi
amarono talvolta questa bizzarria. V., per
esempio. Boccaccio, Nov. 31 : « Cosi dolo-
roso fine ebbe l'amor di Ghisnionda, come
{voi donne) udite avete ».
— 5. le supreme Forze. Veramente piut-
tosto la sagacia nel saper prender Morgana
per la chioma, sola maniera di dominai'la.
y. Inn. II, XIII, 23. Cavalier di Brava è
Oi'lando, detto anche dal Pseudo-Turpino
Comes BluviensU. Brava, o Blaia è forse
Blayes nella Guienne.
— 7. Ver Ponente. Partito dall'Isole Lonta-
ne (nel mare Indiano) ritornava in Ponente
«ntrando nel mar della China, che è nel-
l'emisfero boreale; e però dice «che del
s^ettentr. sente la rabbia ». Continuando a
nord-est s' incontra neh' isola d'Alcina.
35. 4. Alcina. É invenzione del Boiardo il
nome, la sua perfìdia, ìa sua potenza ma-
gica, e il giardino incantato; ma nell'Inn.
son brevi cenni, che l'A. riprende e svolge
magnificamente. In tutta la favola d'Alcina
l'A. ha nascosto un senso allegorico, spinto
forse a ciò dal Boiardo, che in Morgana
rappresentò la ventura. In Alcina è figu-
rata la lussuria. V. Jym. II, xiii.
36. 1. Veloci ecc. Anche nell' Inn. II, xiii,
ó7, si descrivono in una intera stanza i vari
pesci, che vanno a riva.
— 3. capidogli; specie di cetacei molto
jVengon turbati dal lor pigro sonno:
Muli, saipe, salmoni e coracini
Nuotano a schiere in piti fretta che ponnc:
Pistrici. fisiteri, orche e balene a^^
Escon dal mar con monstruose schien'e.
.37
Veggiamo una balena, la maggiore
Che mai per tutto il mar vedutafosse :
Uudeci passi e più dimostra fuore
De l'onde salse le spallacele grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore:
Perch'era ferma e che mai non si scosse.
Ch'ella sia una isoletta ci credemo ;
Cosi distante ha l'un da l'altro estremo.
38
Alcina i pesci uscir facea de l'acque
Con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque.
Io non so dir s'a un parto, o dopo, o inantì.
Guardommi Alcina; e subito le piacque
L'aspetto mio, come mostrò ai sembianti:
E pensò con astuzia e con ingegno
Tonni ai compagni; e riusci il disegno.
grossi; detti cosi perché, dal loro capo spe-
cialmente, si cava gran quantità di materie
grasse (olio). Vecchi marini; nome volgare
d'una specie di foche.
— 5. Muli ecc. Questo verso è traduzione
d'una rubrica di Plinio, St. N. lib. 9, 8: « De
mullo et coracino salpa et salmone >. Il
mullo è la triglia; la salpa è lo sparus
salpa di Linneo. Coracini (gr. cora.r, corvo)
son cosi detti dal loro color nereggiante.
— 7. Pistrici; (lat.pistrix) mostro marino,
« che simili a' delfini ha le code, a' lupi il
ventre » Caro En. Ili, 688. — fisiteri (lat.
phyxeter) ; è il nome latino e scientifico del
Capidoglio ; ma l'A., che ha tolto questi
nomi da Plinio, non ha avvertito la ripeti-
zione. — orche; Cetacei della famiglia dei
delfini. Gli antichi le trovavano nel Medi-
terraneo; oggi abitano l'Atlantico setten-
trionale, il glaciale e il nord del Pacifico.
Sono voracissime e feroci.
37. 3. passi. È misura romana durata lun-
gamente fra noi. Il passo era semplice (m.
0,74) e doppio o geometrico (m. \,\i<). I Ro-
mani e i nostri scrittori l'usarono più spesso
con questo secondo valore.
— 7. credemo. Questa terminaz. usarono
spesso gli/antichi : vedi gli esempi in .\aii-
nucci. Analisi Cr. dei V. It. Non cita però
nessun esempio posteriore alla prima metà
del quattrocento. È terminazione viva an-
cora nel Pisano. .Nell'A. forse fu amore di
anticaglie.
38. 3. Morgana. « Questa Morgana è fata
del tesoro » Inn. II, xn, 24. secondo la leg-
genda era sorella del re Arti'i.
— 7. ingegno; inganno. Petr. canz. 23,
« Che giova, amor, tuoi ingegni ritentare ? »
CANTO VI
G5
39
Ci venne incontra «.'on allegra faccia,
Con modi graziosi e riverenti:
E disse: Cavallier, quando vi piaccia
Far oggi meco i vostri alloggiamenti,
Io vi farò veder, ne la mia caccia, - *
Di tutti i pesci sorti differenti;
Chi scaglioso, chi lùolle e chi col pelo;
E saran più che non ha stelle il cielo.
40
E volendo vedere una Sirena
Che col suo dolce canto accheta il mare,
Passiàn di qui fin su quell'altra arena.
Dove a quest'ora suol sempre tornare :
E ci mostrò quella maggior balena
Che, come io dissi, una isoletta pare.
Io che sempre fui troppo (e me n'iucresce)
Volonteroso, andai sopra quel pesce.
41
Rinaldo m'accennava, e similmente
Dudon, ch'io non v'andassi; e poco valse.
La fata Alcina con faccia ridente.
Lasciando gli altri dua, dietro mi salse.
La balena, all'ufficio diligente,
Nuotando se n'andò per l'onde salse.
Di mia sciocchezza tosto fui pentito;
Ma troppo mi trovai lungi dal lito.
42
Rinaldo si cacciò ne l'acqua a nuoto
Per aiutarmi, e quasi si sommerse,
Perché levossi un furioso Noto
Che d'ombra il cielo e '1 pelago coperse.
Quel che di lui segui poi, non m'è noto.
Alcina a confortarmi si converse;
E quel di tutto e la notte che venne,
Sonra a quel mostro in mezzo il mar mi
43 [tenne :
Fin che venimmo a questa isola bella.
Di cui gran parte Alcina ne possiede.
39. 4. Far... 1 vostri allogg.; prendere al-
loggio. In antico, come oggi, questo modo
ebbe propriam. sigiiitìc. militare.
— 6. sorti ; sorte. Come al sing. si dice,
nello stesso senso, sorta e sorte, cosi al
plur. sorte e sorti; ma i Toscani usarono,
per lo più, sorte al sing. e al plur.
— 7. col pelo. Plinio, St. N. 9, 12: « Aquati-
lium tegumenta plura suut; alia corio et
pilis teguntur ut vituli et hippopotami ».
40. 8. Volonteroso; avventato e poco rifles-
sivo. Buonarr. Aione, 1, 31 : * Conobbe ch'ella
fu volenterosa E tentò di stornare il nego-
ziato ».
41. 4. salse. < Vive negli scrittori e morto
non è ; ma più comune è sali » Tommaseo.
Questo passato si è formato per analogia
con il passato della coniug. in ere, come
volgere, volse ; torcere, torse.
42. 3. Boto; Vento meridionale (lat. NO'
tv.s, dal gr. notis, umidità).
Ariosto — Papini
E r ha usurpata ad una sua sorella
Che '1 padre già lasciò del tutto erede,
Perché sola legitima avea quella;
E (come alcun notizia me ne diede.
Che pienamente instrutto era di questo)
Sono quest'altre due nate d' incesto:
44
E come sono inique e scelerate,
E piene d'ogni vizio infame e brutto;
Cosi quella, vivendo in castitate,
Posto ha ne le virtuti il suo cor tutto.
Contra lei queste due son congiurate;
E già più d'uno esercito hanno instrutto
Per cacciarla de l'isola, e in più volte
Più di cento castella 1' hanno tolte:
45
Né ci terrebbe ormai spanna di terra
Colei che Logistilla è nominata.
Se non che quinci un golfo il passo serra,
E quindi una montagna inabitata;
Si come tien la Scozia e l' Inghilterra
Il monte e la rivera, separata:
Né però Alcina né Morgana resta.
Che non le voglia tor ciò che le resta.
46
Perché di vizii è questa coppia rea,
Odia colei perché è pudica e santa.
Ma per tornare a quel eh' io ti dicea,
E seguir poi coni' io divenni pianta,
Alcina in gran delizie mi tenea,
E del mio amore ardeva tutta quanta;
Né minor fiamma nel mio core accese
Il veder lei si bella e si cortese.
47
Io mi godea le delicate membra:
Pareami aver qui tutto il ben raccolto
Che fra mortali in più parti si smembra,
A chi più et a chi meno, e a nessuu molto ;
Né di Francia né d'altro mi rimembra:
Stavami sempre a contemplar quel volto:
Ogni pensiero, ogni mio bel disegno
In lei tìnia, uè passava oltre il segno.
48
Io da lei altrettanto era o più amato :
Alcina più non si curava d'altri:
Ella ogn'altro suo amante avea lasciato;
Ch'inanzi a me ben ce ne fur degli altri.
44. 6. instrutto; ordinato. É passato dal
lat. (instruere exercitum) nella nostra lingua.
45. 2. Logistilla. È inventata dall'A. per
compiere l'allegoria. Rappresenta la retta
ragione (grec. logos, ragione).
— 5. Si come tien ecc. La Scozia è sepa-
rata dall' Inghilt. per i monti Cheviot e il
fiume Tweed.
48. 4. altri. Le Stanze, nelle quali l'A. ri-
pete le stesse rime, senza differenza di si-
gnificato, sono sei in tutto il poema; ma
nell'altre si ha per rima una volta Man-
dricardo, quattro volte tempo, che, come
66
ORLANDO FURIOSO
Me consiglier, me avea di e notte a lato;
E me fé' quel che comandava agli altri:
A me credeva, a me si riportava;
Né notte o di con altri mai parlava.
49
Deh ! perché vo le mie piaghe toccando,
Senza speranza poi di medicina ?
Perché l'avuto ben vo rimembrando,
Quando io patisco estrema disciplina?
Quando credea d'esser felice, e quando
Credea ch'amar pili mi dovesse Alcina;
Il cor che m'avea dato, si ritolse,
E ad altro nuovo amor tutta si volse.
50
Conobbi tardi il suo mobil ingegno,
Usato amare e disamare a un punto.
Non era stato oltre a due mesi in regno,
Ch'un nuovo amante al loco mio fu assunto.
Da sé cacciommi la Fata con sdegno,
E da la grazia sua m'ebbe disgiunto:
E seppi poi, che tratti a simil porto
Avea mill'altri amanti, e tutti a torto.
51
E perché essi non vadano pel mondo
Di lei narrando la vita lasciva.
Chi qua, chi là per lo terren fecondo
Li muta, altri in abete, altri in oliva,
Altri in palma, altri in cedro, altri secondo
Che vedi me, su questa verde riva;
Altri in liquido fonte, alcuni in fera,
Come più aggrada a quella Fata altiera.
52
Or tu che sei per non usata via,
Signor, venuto all'isola fatale.
Acciò ch'alcuno amante per te sia
Converso in pietra o in onda, o fatto tale;
Avrai d'Alcina scettro e signoria,
E sarai lieto sopra ogni mortale:
Ma certo sii di giunger tosto al passo
D'entrar o in fera o in fonte o in legno o
53 [in sasso.
Io te n'ho dato volentieri avviso;
Non eh' io mi creda che debbia giovarte ;
è noto, non ha nessuna parola, con cui pos-
sa rimare. In questa dunque si lia la mag-
giore libertà.
49. 4. disciplina; pena. Non è raro in que-
sto senso negli antichi. Pucci, Cent. 9, 3:
« Per darle intorno alcuna disciplina ».
51. 8. altiera; superba del suo potere e dei
suoi trionfi amorosi.
52. 3. Acciò che ecc. acciocché qualcuno
di quelli, che ora sono amati da Alcina,
siano, per far luogo a te, trasformati in
pietra, in onda o in mirto (fatto tale).
— 7. al passo D'entrar; al punto di entrare.
Ma è maniera assai strana. È forse meglio
intender cosi: Sii certo di g. al trapasso,
cioè sii certo d'entrar ecc.
Pur meglio fia che non vadi improviso,
E de' costumi suoi tu sappia parte:
Che forse, come è differente il viso,
È differente ancor l' ingegno e l'arte.
Tu saprai forse riparar al danno;
Quel che saputo mill'altri non hanno.
54
Ruggier che conosciuto avea per fama,
Ch'Astolfo alla sua donna cugin era.
Si dolse assai che in steril pianta e grama
Mutato avesse la sembianza vera:
E per amor di quella che tanto ama,
(Pur che saputo avesse in che maniera)
Gli avria fatto servizio: ma aiutarlo
In altro non potea, eh' in confortarlo.
55
Lo fé' al meglio che seppe; edomandoUi
Poi se via c'era, ch'ai regno guidassi
Di Logistilla, 0 per piano o per colli,
Si che per quel d'Alcina non andassi.
Che ben ve n'era un'altra, ritornolli
L'arbore a dir, ma piena d'aspri sassi,
S'andando un poco inanzi alla man destra.
Salisse il poggio in ver la cima alpestra :
56
Ma che non pensi già, che seguir possa
Il suo camin per quella sti-ada troppo:
Incontro avrà di gente ardita grossa
E fiera compagnia, con duro intoppo.
Alcina ve li tien per muro e fossa
A chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringraziò del tutto,
Poi da lui si parti dotto et instrutto.
53. 3. improviso; sprovveduto, non pre-
parato. Bocc. Filoc. 135. « Credendo i loro
avversari trovare improvvisi ». — vadi, va-
da. Gli antichi usarono egualmente le due
forme : oggi ha prevalso la seconda.
— 5. come è differente ecc. ; come gli uo-
mini differiscono nelle sembianze, cosi nel-
r ingegno e nell'accortezza.
54. 3. grama; Detto di pianta vale intri-
stita. Alamanni, Colt. 1, 348: « O qualcun'al-
tra pur si vecchia e grama (vite). Cosi ste-
rUe vale debole, e perciò facile ad essere
agitata e scossa.
55. 1 . al meglio, E anche alla meglio dis-
sero gli antichi, non di rado, invece che il
meglio. Marco Poi. Viagg. 223: «Si difen-
deva al meglio che poteva ». Quanto all'ar-
tic. esso indica che il comparativo ha forza
di superlat. Non sarebbe veramente neces-
sario, ma gli antichi talvolta lo misero,
come un'eleganza, in simili espressioni.
Bocc, Nov. 16: «Quanto il meglio seppe-
ro ». V. FORNAC. Sint. p. 33.
66. 3. Incontro ecc.; avrà contro grossa
e fiera compagn. di gente ardita.
— 6. groppo ; insidia, laccio.
— 8. dotto ed instrutto. Dotto, alla latina.
CANTO VI
67
Venne al cavallo, e lo disciolse e prese
Per le redine, e dietro se lo trasse:
Né, come fece prima più l'ascese
Perché mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava come nel paese
Di Logistilla a salvamento andasse.
Era disposto e fermo usar ogni opra,
Che non gli avesse imnerio Alcina sopra.
58'
Pensò di rimontar sul suo cavallo,
E per l'aria spronarlo a nuovo corso;
Ma dubitò di far poi maggior fallo ;
Che troppo mal quel gli ubidiva al morso.
Io passerò per forza, s'io non fallo
(Dicea tra sé), ma vano era il discorso.
Non fu duo miglia lungi alla marina,
Che la bella città vide d'Alcina.
59
Lontan si vide una muraglia lunga
Che gira intorno, e gran paese serra;
E par che la sua altezza al ciel s'aggiunga
E d'oro sia da l'alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga
E dice eh' eli' è alchimia; e forse ch'erra.
Et anco forse meglio di me intende:
A me par oro, poi che si risplende.
60
Come fu presso alle si ricche mura.
Che '1 mondo altre non ha delalor sorte,
Lasciò la strada che per la pianura,
Ampia e diritta andava alle gran porte;
Et a man destra, a quella più sicura
Ch'ai monte già, piegossi il guerrier forte:
Ma tosto ritrovò l'iniqua frotta,
Dal cui furor gli fu turbata e rotta.
61
Non fu veduta mai più strana torma.
Più monstrtiosi volti e peggio fatti;
vale che ha appreso (lualcosa; inxti'utto
dice di più e vale cfie ita appreso qualcosa
da potersene giovare. Tommaseo, Diz. dei
Sin. ; ma clV. anche la nota 8 al e. vii, 38.
57. 3. l'ascese. Pei' montare a cavallo
l'usarono anche altri, sebbene non sia co-
mune. Tasso, Ger. 20, 117: «Scende ed
ascende un suo destriero in fretta ».
59. 1. L. si vide; vide lontano da sé. Per
analogia col più conmiie vedersi vicino al-
cuno. Cfr. e. VII, 1(5, 4.
— 3. s'aggiunga; giunga. Villani .1/. 1,2:
« La pestilenza si aggiunse (giunse) alle na-
zioni del mar maggiore ».
— 6. alchimia; metallo composto per mez-
zo dell'alcliimia. Corsini, St. Mess. trad. 2S:
« Altri strumenti di terra e d'alchimia ».
Alchimia (arab. al-kimia) fu pi-opriam.
un' arte vana degli antichi, colla quale si
credeva di raffinare i metalU e tramutarli
di ignobili in nobili.
Alcun' dal collo in giù d'uomini han forma,
Col viso altri di siiuie, altri di gatti;
Stampano alcun' con pie caprigni l'orma;
Alcuni son centauri agili et atti;
Son gioveni impudenti, e vecchi stolti,
Chi nudi, e chi di strane pelli involti:
6-2
Chi senza freno in s'undestrier galoppa,
Chi lento va con l'asino o col bue:
Altri salisce ad un centauro in groppa;
Struzzoli molti han sotto, aquile e grue:
Ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa.
Chi femina e chi maschio, e chi amendue;
Chi porta uncino e chi scala di corda.
Chi pai di ferro e chi una lima sorda.
63
Di questi il apitano si vedea
Aver gonfiato 1 ventre e '1 viso grasso ;
Il qual su una testuggine sedea.
Che con gran ardita mutava il passo.
Avea di qua e di là chi lo reggea.
Perché egli era ebro, e tenea il ciglio basso :
Altri la fronte gli asciugava e il mento.
Altri i panni scuotea per fargli vento.
04
Un ch'avea umana forma i piedi e '1 ven-
E collo avea di cane, orecchie e testa, [tre,
Contra Ruggiero abbaia, acciò ch'egli en-
Ne la bella città eh' a dietro resta, [tre
Rispose il cavallier: Noi farò, mentre
Avrà forza la man di regger questa;
(E gii mostra la spada, di cui volta
Avea l'aguzza punta alla sua volta).
61. 3. Alcun»; alcuni; v. e. x, 99, n. 5.
— 4. Le scimmie, secondo il Fornari ,
rapiìresentano l'adulazione; i gatti la simu-
lazione; gii animali coi pie caprigni la li-
bidine; i Centauri la violenza.
— 6. atti; agili considera il movimento
in se stesso, alti il suo adattarsi ai line, per
cui si fa.
62. 1. In questa St., dice- il Casella se-
guendo in gran parte il Fornari, si può rav-
visare nel V. primo chi pecca per eccesso,
nel V. secondo obi pecca per difetto, nel
terzo chi è ministro di violenza; negli struz-
zi la viltà, nelle aquile e nelle gru l'orgoglio,
nel corno la millanteria; nella coppa la cra-
pula; nel verso sesto i peccati contro natura,
nel settimo e nell'ottavo la frode, il furto,
il ladroneccio.
63. 1. il capitano. K l'ozio padre di tutti
i vizi. La descrizione è simile a quella, che
gli antichi fanno di Sileno.
64. 1. i piedi ecc.; nei piedi ecc. È com-
plemento di limitazione; v. Fornac. Sint.
p. 319. In ([uesto cinocefalo veggono alcuni
i maldicenti e i maligni.
— 5. mentre; fmché. Dante, Jnf. 33,132:
«Mentre che il tempo suo tutto sia volto ».
68
ORLANDO FURIOSO
65
Quel mostro lui ferir vuol d'una lancia;
Ma Ruggier presto se gli avventa addosso:
Una stoccata gli trasse alla pancia,
E la te' un palmo riuscir pel dosso.
Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia,
Ma r inimico stuolo è troppo grosso :
L'un quinci il punge, e l'altro quindi affer-
Egli s'arrosta, e fa lor aspra guerra, [ra:
66
L'un sin a' denti, e l'altro sin al petto
Partendo va di quella iniqua razza ;
Ch'alia sua spada non s'oppone elmetto,
Né scudo, né panziera^né corazza,
Ma da tutte le parti è cosi astretto,
Che bisogno saria, per trovar piazza
E tener da sé largo il popol reo,
D'aver più braccia e man, che Brìareo.
67
Se di scoprire avesse avuto avviso
Lo scudo cho già fu del Negromante;
Io dico quel ch'abbarbagliava il viso.
Quel cli'all'arcione avea lasciato Atlante;
Subito avria quel brutto stuol conquiso,
E fattosel cader cieco davante:
E forse ben, che disprezzò quel modo.
Perché virtude usar volse e non frodo.
68
Sia quel che può, più tosto vuol morire.
Che rendersi prigione a si vii gente.
Eccoti intanto da la porta uscire
Del muro, eh' io dicea d'oro lucente,
Due giovani ch'ai gesti et al vestire
Non eran da stimar nate umilmente,
Né da pastor nutrite con disagi.
Ma fra delizie di real palagi.
65. 5. Lo scudo imbraccia. Quando il cava-
liere non combatteva, portava, per lo più,
lo scudo pendente dal collo, talvolta all'ar-
cione; raramente era portato dagli scudieri.
— 8. s'arrosta; (da rosta, frasca; d'etimol.
ignota) si volge qua e là, colle braccia e
colle altre membra, per schermirsi e difen-
dersi, come chi agita una frasca per cacciar
mosche o altro. Dante, Inf., 15, 39: « Sanza
arrostarsi quando '1 fuoco il feggia ».
66. 4. panziera; parte dell'armatura che
copriva la pancia.
— 6. trovar piazza; avere un po' di largo.
Espressione non comune, ma analoga alla
comune far piazza. V. e. xi, 50.
— 8. Briareo; gigante della mitologia, il
quale aveva cento braccia.
67. 7. E forse ben che ecc. ; e forse anche.
Di quest'uso avevamo nella prima edizione
un altro esemp. al e. x, 115, 6. « E forse
ben che l'ascoltar vi grava », che l'A. cor-
resse: E forse ch'ance l'ascoltar ecc. Que-
sto taffronto esclude l'interpret. del Nisiely :
E forse fu ben che ecc.
69
L'una e l'altra sedea s'un liocorno.
Candido più che candido armelino;
L'una e l'altra era bella, e di si adorno
Abito, e modo tanto pellegrino,
Che a l'uom, guardando e contemplando
Bisognerebbe aver occhio divino [intorno,
Per far di lor giudizio : e tal saria
Beltà (s'avesse corpo) e Leggiadria.
70
L'una e l'altra n'andò dove nel prato
Ruggiero è oppresso da lo stuol villano.
Tutta la turba si levò da lato;
E quelle al cavallier porser la mano,
Che tinto in viso di color rosato,
Le donne ringraziò de l'atto umano:
E fu contento, compiacendo loro.
Di ritornarsi a quella porta d'oro.
71
L'adornamento che s'aggira sopra
La bella porta, e sporge un poco avante,
Parte non ha che tutta non si copra
De le più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
Grosse colonne d' integro diamante.
0 vero 0 falso ch'all'occhio risponda,
Non è cosa più bella o più gioconda.
72
Su per la soglia e fuor per le colonne
Corron scherzando lascive donzelle.
Che se i rispetti debiti alle donne
Servasser più, sarian forse più belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne,
E coronate di frondi novelle.
Queste, con molte offerte e con buon viso,
Ruggier fecero entrar nel paradiso :
73
Che si può ben cosi nomar quel loco,
Ove mi credo che nascesse Amore.
!
69. 1. liocorno; (lat. unicornus, unicor-
i no ; alterato in alicorno e con metatesi
i liocorno). È animale favoloso: ha forma di
cavallo con un corno sulla fronte; ed è
preso come emblema della purità.
— 5. guardando ecc. ; guardandole e con-
templandole tutte da capo a piedi, Puomo
non riuscirel)be, se non coll'occhiod'un dio,
a scoprire il male sotto quelle belle appa-
renze.
70. 3. si levò da lato ; si trasse da parte.
Questo modo non è citato dai vocab.
— 7. E fu contento ecc. Le anime gentili
resistono facilmente ai vizi nudi e brut-
ti; ma diflicilmente, quando essi prendano
aspetto bello ed onesto.
71. 5. Da quattro parti; le quattro cantona-
te dell'architrave.
-— 7. all'occhio; all'apparenza: o sia vero
0 sia falso ciò che corrisponde all'apparenza.
72. 1. per 1. e; fra 1. e. V, e. xil, 7. n. 3.
CANTO VI
69
Non vi si sta se non in danza e in giuoco,
E tutte in festa vi si spendon l'ore:
Pensier canuto né molto né poco
Si può quivi albergare in alcun core:
Non entra quivi disagio né inopia,
Ma vi sta ognor col corno pien la Copia.
Qui, dove con serena e lieta fronte
Par chognor rida il grazioso Aprile,
Gioveni e donne son: qual presso a fonte
Canta con dolce e dilettoso stile; [monte,
Qual d'un arbore all' ombra, e qual d' un
O gioca o danza o fn cosa non vile; ,
E qual, lungi dagli altri, a un suo fedele
Discopre l'amorose sue querele.
75
Per le cime dei pini e de^li allori,
begli alti faggi e degl' ii-s'utt abeti
Volan scherzando i pargoletti Amori:
Di lor vittorie altri godendo lieti,
Altri pigliando a saettare i cori ^
La mira quindi, altri tendendo reti : iJ^-i ^^
Chi tempra dardi ad un ruscel più basso,
E chi gli aguzza ad un volubil sasso.
7tì
Quivi a Ruggier un gran corsierfudato,
Forte, gagliardo, e tutto di pel sauro,
Ch'avea il bel guernimento ricamato
Di preziose gemme e di tin auro:
E fu lasciato in guardia ciuello alato,
Quel che solca ubidire al vecchio Mauro,
A un giovene che dietro lo menassi
Al buon Ruggier con men frettosi passi.
77
Quelle due belle giovani amorose,
Ch'avean Ruggier da Tempio stuol difeso,
Da l'empio stuol che dianzi se gli oppose
Su quel camin ch'avea a man destra preso.
73. 5. Pensier canuto. Petr. Rim. 2, 179:
« Pensier canuti in giovenile etade ».
— 8. la Copia. Era una divinità latina,
l'orse creata dairespressioue cornu copiae,
(corno dell'abbondanza), che i Latini dedus-
sero dal mito greco del corno della capra
Amaltea donato da Giove alle Ninfe e pieno
d'ogni delizia. L'astratto copia si concretò
poi in una divinità.
75. 6. quindi; dagli alberi, dove sono.
— 8. L'immagine è d' Orazio: Od. 2, 8,
15: « Ferus et Cupido Semper ardeutes a-
cuens sagittas Cote cruenta ».
76. 6. Mauro; di Mauritania. Sul monte
Carena in Mauritania, secondo il Boiardo,
aveva Atlante la sua abitazione. V. e. vii,
67. Petr. .Son. 161, chiama vecchio Mauro
l'Atlante mitologico, che fu convertito nel
monte aflricano.
— 8. frettosi ; frettolosi. Fu usato in prosa
e in poesia. Foscolo, Poes. 256: «Recar
l'orme freitose ■».
Gli dissero: Signor, le virtuose
Opere vostre che già abbiamo inteso,
Ne fan si ardite, che l'aiuto vostro
Vi chiederemo a benetìcio nostro.
78
Noi troverèn tra via tosto una lama.
Che fa due parti di questa pianura.
Una crudel, che Eritìlla si chiama.
Difende il ponte, e sforza e inganna e fura
Chiunque andar ne l'altra ripa brama;
Et ella è gigantessa di statura;
Li denti ha lunghi e velenoso il morso,
Acute l'ugne, e gratha come un orso.
79
Oltre che sempre ci turbi il camino,
Che libero saria, se non fosse ella.
Spesso correndo per tutto il giardino.
Va disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate che del popolo assassino
Che vi assali fuor de la porta bella,
Molti suoi figli son, tutti seguaci,
Empii, come ella, inospiti e rapaci.
80
Ruggier rispose: Non ch'una battaglia,
Ma per voi sarò pronto a farne cento.
Di mia persona, in tutto quel che vaglia.
Fatene voi secondo il vostro intento:
Che la cagion ch'io vesto piastra e maglia,
Non è per guadagnar terre né argento.
Ma sol per farne benetìcio altrui;
Tanto pili a belle donne, come vui.
81
Le donne molte grazie riferirò
Degne d'un cavallier, come quell'era:
78. 1. lama; (lat. lama, forse dal gr. ?«•
vioa; gozzo) bassura paludosa. È vivo an-
cora nel Modenese e in Piemonte. Dante,
Inf. 20, 79. — tra via; per via. V. e. xvr,
66, n. 1.
— 3. Erifllla. Rafiigura l'avarizia. Il nome
forse è trasformaz. di Eritìle. l'avara moglie
d'Anliarao, che per un monile tradi il ma-
rito.
79. 1. Oltreché... ci turbi. Con questa con-
giunzione si usò indifferenteni. T indicai, e
il congiuntivo: oggi è più comune l'indicat.
80. :>. vesto piastra e m. ; Modo comune
per dire: Porto armi. Propriam. piastra
era l'armatura difensiva esterna, corazza,
spallaccir bracciali e il resto fatto di pia-
stre metalliclie; la maglia era una camicia
di m;iKlia di ferro, che i guerrieri porta-
vano sotto l'annatura. — eh' io, perché io.
81. 1. grazie riferirò; grazie resero. È il
referre gratias dei Latini, ed è comune
negli scrittori nostri. Ma avverti che i La-
tini lo usarono soltanto nel senso di ì-en-
dere il contraccambio (cfr. Viro. En. xi,
5U^), non già di ringraziare a parole.
ORLANDO FUKICSO
E cosi ragiouaudo, ne venire
Dove videro il ponte e la riviera;
— 3. venire, È terminaz. poetica e anti-
quata. L'A. l'usò'altre due volte (xxvii, 24;
XLii, 73); di altri scrittoio si cita soltanto
uu esempio del Cavalca, Esp. Simb. II, 184;
« pervenirono i principi congiunti ecc. ».
E di smeraldo ornata e di zafiro
Su Tarme d'or, vider la donna altiera.
Ma dir ne l'altro Canto differisco,
Come Ruggier con lei si pose a risco.
— 5. ornata... Sull'arme, che aveva orna-
menti di smeraldi e zaffiri sull'arme.
— 8. risco; rischio. ."Si disse ancl'e in
prosa.
CANTO VII
Chi va loatan da la sua patria, vede
Cose da quel che già credea, lontane;
Che narrandole poi, non se gli crede,
E stimato bugiardo ne rim \ue :
Che'l sciocco vulgo non gli vuol dar fede,
8e non le vede e tocca chi;, re e piane.
Per questo io so che l'ine^ perienza
Farà al mio canto dar poca credenza.
2
Poca o molta ch'io ci abbia, non bisogna
Ch'io ponga mente al vulgo sciocco e igna-
A voi so ben che non parrà menzogna, (ro,
Che '1 lume del discorso avete chiaro ;
Et a voi soli ogni mio intento agogna
Che '1 frutto sia di mie fatiche caro.
: Io vi lasciai che '1 ponte e la riviera
^ider, che 'n guardia avea Erìfìlla altiera.
3
Quell'era armata del pili fin metallo
Ch'aveau di più color gemme distinto:
1. 3. Che ; O è il relativo usato colla li-
bertà popolare ; V. e. i, 65, n. 5 ; o vale co- \
sicché : V. e. i, 57, n. 7. |
— 4. stimato... ne rimane. Non vale sem- !
plicem. e ntUnato ; ma rimane colla fama
di bay.
2. 1. ci, & vi usa più volte l'A. invece
di ne, fU tiìiesta cosa: v. e. xi, 7; xiii,'
21; XVI, 2S. Vito S. Gir. Zi : «Ragguardando
i preziosi vestimenti, non v'ha desiderio».
— 4. il lume del discorso ; il 1. dell' intel-
letto. Caro, Or. S. Gr. 2 : « Persona igno-
rante e senza discorso ».
— 5. agogna; (grec. agonian, lottare)
brama ardentem. Qui il poeta parla ai let-
tori. I
— 7. vi lasciai che ; vi 1. quando. Il che
in questo signif. è fi-equentissimo, special-
mente nel luiguaggio popol.
— 8. Vider. Riprende il v. 4 della stanza
ultima e. VI.
3. 2. distinto; (lat. distinctus) fregiato.
Dante, Par. 18, 96 : « Parea d' argento li
d' oro distinto ».
Rubin vermiglio, crisolito giallo, ^^,.,
"N'erde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo; , .^^^
In vece avea di quello un lupo spintdT
Spinto avea un lupo ove si passa il fiunife,
Con ricca sella fuor d'ogni costume.
' ' • 4
Non credo che un si grande Apulian'ab-
Egli era grosso et alto piti d'un bue. [bia :
Con fren spumar non li Iacea le labbia;
Né so come lo regga a voglie sue.
La sopravesta di color di sabbia
Su l'arme avea la maledetta lue:
Era, fuor che '1 color, di quella sorte i
Ch'i Vescovi e i Prelati usano in corte. '
5
Et avea ne lo scudo e sul cimiero
Una gonfiata e velenosa botta.
Le donne la mostraro al cavalliero.
Di qua dal ponte per giostrar ridotta,
E fargli scorno, e rompergli il sentiero,
— 3. crisolito, (gr.chrt/sòs, oro; lithos,
pietra). È nome dato dai mineralogisti e
dai gioiellieri a pietre preziose di natura
e di caratteri diversi. Il crisòlito giallo è
il topazio ririeiitale.
— 4. flavo : biondo, che pende al rossic-
cio (lat. flavus).
— 5. montata. Termine tecnico aneli' oggi
per indicare uu combattente a cai'allo; cosi
dicesi : nllìciali a piedi, ufficiali montati.
— 6. un lupo. Ricorda la lupa Dantesca,
simbolo di avarizia e cupidigia.
4. 1. Apuiia. ORAZIO, Od. I, 22, parlando
del lupo, che lo assali, dice: « Quale porten-
tum nefiue militaris Daunias (regione della
Puglia) latis alit aesculetis ».
— 5. La sopravesta ecc.; Il colore di sab-
bia inf^■conda e T insegna della botta vele-
nosa son pure simboli dell' avarizia.
— 6. lue, peste. Improba lues disse l'ava-
rizia il poeta Prudknzio, Ps>/coriiachia,509
— 7. di quella sorte ; di quel taglio e di
quella qualità. Rileva l'intenzione satirica
dell' A.
CANTO VII
71
Come ad alcuni usata era talotta.
Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida:
Quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.
6
Non men la Gigautessa ardita e presta
Sprona il gran lupo, e ne l'arcion si serra,
E pon la lancia a mezzo il corso in resta,
E fa tremar nel suo venir la terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta;
Che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
E de l'arcion con tal furor la caccia,
■Che la riporta indietro oltra sei braccia,
7
E già (tratta la spada eh' avea cinta)
Tenia a levarne la testa superba:
M E ben lo potea far; che come estinta
Erifilla giacea tra' fiori e l'erba.
Ma le donne gridar: Basti sia vinta,
Senza pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon, cortese cavallier, la spada;
Passiamo il ponte, e seguitiàn la strada.
8
Alquanto malagevole et aspretta
Per mezzo un bosco presero la via;
Che oltra che sassosa fosse e stretta,
Quasi su dritta alla collina già.
Ma poi che furo ascesi in su la vetta.
Uscirò in spaziosa prateria,
Dove il più bel palazzo e '1 più giocondo
Tider, che mai fosse veduto al mondo.
9
La bella Alcina venne un pezzo inante
Verso Ruggier fuor de le prime porte;
E lo raccolse in signoril sembiante,
In mezzo bella et onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore e tante
Riverenzie fur fatte al guerrier forte,
Che non ne potrian far più, se tra loro
Fosse Dio sceso dal superno coro.
10
Non tanto il bel palazzo era eccellente,
Perché vincesse ogn' altro per ricchezza.
Quanto eh' avea la più piacevol gente
Che fosse al mondo, e di più gentilezza.
6. 6. l'afferra; la colpisce (colla lancia).
Derni, Ori. ii, 3, 7: «Se solo un tratto a
rtuo modo l'afferra. Fesso in due parti lo
distende in terra ».
7. 2. Venia ecc. V. e. v, 89, n. 4.
8. 2. Per m. un b. V. e. vi, 23, n. 8.
— 3. oltra che ecc. V. e. vi, 79.
9. 3. raccolse ; accolse ; d' uso frequen-
tissimo negli antichi. Bocc, Nov. 43: «Da'
quali esso con pietà fu raccolto ».
10. 3. Quanto che; quanto perché: V. e.
ni, 50. n. 1.
— 4. di p. g. ; della maggior gentilezza.
Per r omissione dell'articolo cfr, e. viii, 67,
11. 4. Pia nel senso di viaggiare è frequente
negli scrittori e nell'uso; Dante, Purg.
Poco era l'un da l'altro differente
E di fiorita etade e di bellezza:
Sola di tutti Alcina era più bella,
Sì come è bello il sol più d'ogni stella.
11
Di persona era tanto ben formata,
Quanto me' finger san pittori industri ;
Con bionda chioma lunga et annodata:
Oro non è che più risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
Misto color di rose e di ligustri :
Di terso avorio era la fronte lieta.
Che lo spazio fiuia con giusta meta.
12
Sotto duo negri e sottilissimi archi
Son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
Pietosi a riguardare, a mover parchi;
Intorno cui par ch'Amor scherzi e voli,
E ch'indi tutta la faretra scarchi,
E che visibilmente i cori involi:
Quindi il naso per mezzo il viso scende,
Che non trova l'Invidia ove l'emende.
13
Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
La bocca sparsa di natio cinabro:
Quivi due filze son di perle elette.
Che chiude et apre un bello e dolce labro:
xxviii, 9: «Non di più colpo che soave
vento ».
— 6. E di f.; e quanto alla fiorente età.
Il di è limitativo; frequentissimo nella no-
stra lingua.
— 7. sola di t. È un costrutto latino, {una
oìnnium iiulcherrima), che vale il sempli-
ce superlativo relativo.
11. 2. pittori industri. Il pittore supera la
natura nel « dimostrare, col mezzo dell'arte,
in un corpo solo, quella perfezion di bel-
lezza, che la natura non suol dimostrare
appena in mille» Dolce, D. della pittura.
— 3. lunga et annodata. Lunga si riferi-
sce alla qualità; annodata al modo di por-
tarla. Il LviGiNi (Della bella donna) osserva
che le donne antiche usarono portar la
chioma sciolta se donzelle, annodata se ma-
ritate.
— 6. Misto ecc. Ricorda il v. del Poliz.
Stanze 2, 44 : « Dolce dipinto di ligustri e
rose ». Il ligustro è veramente una pianta
da siepe detta più comunemente olivella,
che fa fiori bianchissimi. È parola molto
amata dai poeti.
12. 3. mover ; moversi. Non frequente.
Brun. Lat. Tesoretto 3, 34 : « Al suo coman-
damento Movea il firmamento ».
— 4. Intorno e. Più coniunem. intorno
a e. Dante, Conv. ili, 5: «distendere in-
torno se ancor vede ».
— 8. Che, cosicché. « Non illud carpere
livor Posset opus ». Ovid. Metani. VI, 129.
72
GELANDO FURIOSO
Quindi escon le cortesi parolette
Da render molle ogni cor rozzo e scabro:
Quivi si forma quel suave riso
Ch'apre a sua posta in terra il paradiso.
14 [te;
Bianca nieve è ifbel collo, e '1 petto lat-
II collo è tondo, il petto colmo e largo:
Due pome acerbe, e pur d'avorio fatte.
Vengono e van, come onda al primo margo,
Quando piacevole aura il mar combatte.
Non potria l'altre parti veder Argo:
Ben si può giudicar che corrisponde
A quel ch'appar di fuor, quel che s'asconde.
15
Mostran le braccia sua misura giusta;
E la candida man spesso si vede [sta.
Lunghetta alquanto e di larghezza angu-
Dove né nodo appar, né vena eccede.
Si vede al fin de la persona augusta
Il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
Non si ponno celar sotto alcun velo.
16
Avea in ogni sua parte un laccio teso,
O parli 0 rida o canti o passo mova:
Né maraviglia è, se Ruggier n' è preso,
Poi che tanto benigna se la trova.
Quel che di lei già avea dal Mirto inteso,
Com' è perfida e ria, poco gli giova;
Ch'inganno o tradimento non gli è avviso
Che possa star con si soave riso.
17
Anzi pur creder vuol, che da costei
Fosse converso Astolfo in su l'arena
Per li suoi portamenti ingrati e rei,
E sia degno di questa e di più pena:
E tutto quel ch'udito avea di lei.
Stima esser falso, e che vendetta mena,
E mena astio et invidia quel dolente
A lei biasmare, e che del tutto mente.
18
La bella donna che cotanto amava,
Novellamente gli è dal cor partita;
Che per incanto Alcina gli lo lava
D'ogni antica amorosa sua ferita;
E di sé sola e del suo amor lo grava,
E in quello essa riman sola sculpita:
Si che scusar il buon Ruggier si deve.
Se si mostrò quivi inconstante e lieve.
19
A quella mensa citare, arpe e lire,
E diversi altri dilettevol suoni
Faceano intorno l'aria tintinire
D'armonia dolce e di concenti buoni.
Non vi mancava chi, cantando, dire
D'.\mor sapesse gaudii e passioni,
0 con invenzioni e poesie
Rappresentasse grate fantasie.
20
Qual mensa trionfante e sontuosa
Di qualsivoglia successor di Nino,
0 qual mai tanto celebre e famosa
Di Cleopatra al vincitor Latino,
Potria a questa esser par, che l'amorosa
Fata avea posta inanzi al Paladino?
Tal non cred'io che s'apparecchi dove
Ministra Ganimede al sommo Giove.
21
Tolte che fur le mense e le vivande,
Facean, sedendo in cerchio, un giuoco ìie-
Che ne l'orecchio l'un l'altro domande, [to r
13.7. quel suave riso. Petr. Son. 252:
■K-l' angelico riso, Che solea fare in terra un
paradiso ».
15. 3. di largbozza angusta ; e quanto alla
larghezza, la mano è angusta, stretta.
— S. Non si ponno ecc.; le parti velate
non riescono a nasconder sotto le vesti la
loro perfezione, che par di cosa celeste. Al-
tri intende che l'A. abbia voluto scusarsi
d'aver descritto troppo svelatamente, senza
alcan velo, gli angelici sembianti.
16. 4. se la trova, a se 1. tr. Su quest' uso
del proli, vedi e. vi, 59. n. 1.
18. 1. La bella ecc. Petr. Son. 71: «La
bella donna, che cotanto amavi. Subitamente
s' è da noi partita ». — Novellamente, poco
fa; o pure di nuovo, perché l'avea dimen- ■
ticata anche nel castello d'Atlante.
— 5. lo grava, lo aggrava. Il Barotti, e
il Molini con lui, intendono lo impronta ,
lo effigia, forse dal graver dei Francesi ;
ma sarebbe un esempio isolato.
19. 1. A quella mensa ecc. Il quella non
è proprio, perché ancora non si è parlato-
delia mensa. Alcuno propose di invertire
le St. 19, 20 : ma la concordia delle tre ediz.
curate dall' A. si oppone a tale arbitrio. La
spiegaz. di questa svista l'abbiamo nella
ediz. del 1516, dove si leggeva Nanzi alla
mensa. L'A. per togliere nanzi, come lo
ha tolto dappertutto, dimenticò il contesto.
— citare, lire. La cetra ha le corde sopra
una cassa armonica, la lira le ha libere,
come l' arpa.
— 4. buoni ; fatti con magistero e sapere.
20. 2. successor di Nino. Gli imperatori
d'Assiria furono famosi per lusso e pei'
crapula, sopra tutti Semiramide e Sarda-
napalo, successori di Nino.
— 4. vincitor Latino ; Marco Antonio. Vedi
la descrizione di quei conviti in Plutarco
e in Plinio, St. N. lib. 9, 35.
— 6. Paladino. Si chiamarono jjalacHnit
non solo i dodici cavalieri della corte di
C. Magno, ma, per estensione, anche altri
uomini forti e famosi. Dantr, Pa7\ 12, 142:
« Ad inveggiar cotanto paladino » (S. Do-
menico).
— 8. Ganimede. V. e. iv, 47.
CANTO VII
Vii
Come più pia«e lor, qualche secreto.
11 che agli amanti fu eoinniodo grande
Di scoprir l'aiuor lor senza divieto:
E furon lor conclusioni estreme
Di ritrovarsi quella notte insieme.
22
Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi
Che non solea là dentro esser costume-
Con torchi allora i paggi entrati inanzi,
Le tenebre cacciar con molto lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi
Andò Ruggiero a ritrovar le piume
In una adorna e fresca cameretta.
Per la miglior di tutte l'altre eletta.
23
E poi che di confetti e di buon vini
Di nuovo fatti tur debiti inviti,
E partir gli altri riverenti e chini,
Et alle stanze lor tutti sono iti ;
Ruggiero entrò ne' profumati lini
Che pareano di man d'Aracne usciti, •
Tenendo tuttavia l'orecchie attente
S' ancor venir la bella donna sente.
24
Ad ogni picciol moto ch'egli udiva,
Sperando che fosse ella, il capo alzava:
Sentir credeasi, e spesso non sentiva ;
Poi del suo errore accorto sospirava.
Talvolta uscia del letto, e l'uscio apriva;
Guatava fuori, e nulla vi trovava:
E maledi ben mille volte l'ora
Che Iacea al trapassar tanta dimora.
25
Tra sé dicea sovente : Or si parte ella;
E cominciava a noverare i passi
Ch' esser potean da la sua stanza a quella,
Donde aspettando sta che Alcina passi.
21. 5. fu commodo... Di scoprir. Più comu-
nem.: Dare, offrire comodo (oppportunità)
di ecc.; ma qui di scoprir, invece di es-
sere complem. di tutta la proposiz., è stato
attratto da comodo come suo proprio com-
plem. V. simile attrazione al e. x, 113, 2.
23. 2. inviti. Il Gherardiui intende briu-
disi, del quale uso si ha qualche altro esem-
pio : ma qui non va bene, e s' ha da inten-
dere offerte ; ed è T ultimo giro che si suol
(debiti) fare coi vassoi innanzi agli invitati,
pregandoli (inviti) di nuovo a servirsi. In
questo senso non è registr. dai vocab.
— 6. Aracne. Secondo la favola fu una
tessitrice famosissima della Libia, che, aven-
do sfidato nei lavori la stessa Pallade e aven-
dola vinta, fu dalla dea mutata in ragno.
24. 7. L'idea di questi tormenti nell'aspet-
lai-e è tolta dall'epistola di Ero e Leandi'o
di OVIDIO ; cfr. i vv. 47-51 ; 54-56.
25. 4. passi; vada (a lui). V. e. ii, 19, n.
1. Intendi: Doude (dalla stanza d' Alcina)
egli sta aspettando che x\c. venga a lui.
E questi et altri, prima che la bella
Donna vi sia, vani disegni fassi.
Teme di qualche impedimento spesso.
Che tra il frutto e la man non gli sia mca-
26 [so,
Alcina, poi ch'ai preziosi odori
Dopo gran spazio pose alcuna meta,
Venuto il tempo che piti non dimori.
Ormai eh' in casa era ogni cosa cheta,
De la camera sua sola usci fuori;
E tacita n'andò per via secreta.
Dove a Ruggiero avean timore e speme
Gran pezzo intorno al cor pugnato insii-
27 [me.
Come si vide il successor d'Astolfo
Sopra apparir quelle ridenti stelle.
Come abbia ne le vene acceso zolfo.
Non par che capir possa ne la pelle.
Or sino agli occhi ben nuota nel golfo
De le delizie e de le cose belle:
Salta del letto, e in braccio la raccoglie;
Né può tanto aspettar, ch'ella si spoglie;
28
Benché né gonna né faldiglia avesse;
Che venne avvolta in un leggier zendado
Che sopra una camicia ella si messe.
Bianca e suttil nel più eccellente grado.
Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse
Il manto; e restò il vel suttile e rado,
Che non copria dinanzi né di dietro,
Più che le rose o i gigli un chiaro vetro.
29
Non cosi strettamente edera preme
Pianta ove intorno abbarbicata s'abbia.
Come si stringon li du' amanti insieme.
Cogliendo de lo spirto in su le labbia
Suave fior, qual non produce seme
26. 2. pose... a. meta; p. un termine. G.
Colonna nel sonetto al Petr. « Non poriau
contar né porvi meta ».
27. !. successor d'Astolfo; Nell'amore d' .Vi-
cina.
28. 1. faldiglia ; (da falda, attraverso allo
spagnuolo/'a?dì/;a) sottana di tela, cerchiata
d'alcune funicelle, che la facevano star ri-
gida e larga per impedirle d'impigliare le
gambe.
— 2. zendado, (dal gr. sindón, stoffa fine
dell'India). È nome generico di drappi lini
di seta.
— 5. cesse ; cedette. È forma poetica.
29. 1. Non COSI ecc. Orazio, Epod. xv, 5.
« .\rtius atque hedera procera adstriugi-
tur ilex, Lentis adliaerens bracchiis », gi<t
imitato da Dante, Inf. 25, 58: « EUera ab-
barbicata mai non fue Ad arbor si ».
— 5. Suave fior, il bacio, che è fiore del-
lo spirito, perché ne è la prima e la più bella
manifestazione.
74
ORLANDO FURIOSO
Indo 0 Sabeo ne l'odorata sabbia. i
Del gran piacer ciravcan, lor dicer tocca;
Che spesso aveau più d'una lingua iu boc-
30 [ca.
Queste cose là dentro eran secrete,
O se pur non secrete, almen taciute;
Che raro tu tener le labra chete
Biasiuo ad alcun, ma ben spesso virtute.
Tutte proferte et accoglienze liete
Fanno a Ruggier quelle persone astute:
Ogn' un lo riverisce e se gli inchina;
Che cosi vuol l'innamorata Alcina.
31
Non è diletto alcun che di fuor reste;
Che tutti son ne l'amorosa stanza:
E due e tre volte il di mutano veste,
Fatte or ad una or ad un' altra usanza.
Spesso in conviti, e sempre stanno in feste,
In giostre, in lotte, in scene, in bagno, in
[danza :
Or presso ai fonti, all'ombre de'poggietti,
Leggon d'antiqui gli amorosi detti.
32
Or per l'ombrose valli e lieti colli
Vanno cacciando le paurose lepri;
Or con sagaci cani i fagian folli
Con strepito uscir fan di stoppie e vepri,
Or a' tordi lacciuoli, or veschi molli
Tendon fra gli odoriferi ginepri ;
Or con ami inescati et or con reti
Turbapo a' pesci i grati lor secreti.
33
Stava Ruggiero iu tanta gioia e festa,
Mentre Carlo in travaglio et Agramante,
Di cui l'istoria io non vorrei per questa
Porre in oblio, né lasciar Bradamante,
Che con travaglio e con pena molesta
Pianse più giorni il disiato amante,
Ch'avea per strade disusate e nuove
Veduto portar via, né sapea dove.
34
Di costei prima che degli altri dico.
— 6. Indo o Sabeo. L'India e l'Arabia Fe-
lice, a cui appartenevano i Sabei, sono fer-
tili di piante aromatiche.
— 7. lor dicer ecc. Il pensiero è del Boiar-
do, Inìi. I, XIX, 60.
30. 5. Tutte. Sembra, dal contesto, che
si riferisca a iiei-sone del v. seguente, più
tosto che a proferte. In questo secondo
caso dovresti avvertire che, dopo tutto,
spesso gli scrittori omisero 1' articolo, an-
che in prosa: Dante, Conv. iv, 29: «con
tutta soavità e con tutta pace ».
31. 6. in scene ; iu rappresentazioni sce-
niche.
32. 3. folli, Forse perché facili a cader
nelle insidie.
— 4. vepri ; (lat. vepres) pruni.
83. 2. Mentre Carlo ecc. sottint. stavano.
Che molti giorni andò cercando invano
Pei boschi ombrosi e per lo campo aprico,
Per ville, per città, per monte e piano;
Né mai potè saper del caro amico.
Che di tanto intervallo era lontano.
Ne l'oste Saracin spesso venia,
Né mai del suo Ruggier ritrovò spia.
35
Ogni di ne domanda a più di cento.
Né alcun le ne sa mai render ragioni.
D'alloggiamento va in alloggiamento,
Cercandone e trabacche e padiglioni:
E lo può far; che senza impedimento
Passa tra cavallieri e tra pedoni,
Mercé all'anuel che fuor d'ogni umau uso
La fa sparir quando l'è in bocca chiuso.
36
Né può né creder vuol che morto sia ;
Perché di si grande uom l'alta ruina
Da l'onde Idaspe udita si saria
Fin dove il Sole a riposar declina.
Nonsanédirnéimaginarchevia [schina
Far possa o in cielo o in terra; e pur me-
Lo va cercando, e per compagni mena
Sospiri e pianti et ogni acerba pena.
37
Pensò al fin di tornare alla spelonca
Dove eran l'ossa di Merlin profeta,
E gridar tanto intorno a quella conca.
Che '1 freddo marmo si movesse a pietà;
Che, se vivea Ruggiero, o gli avea tronca
L'alta necessità la vita lieta.
Si sapria quindi: e poi s'appiglierebbe
A quel miglior consiglio che n'avrebbe.
38
Con questa intenziou prese il camino
34. 8. spia; indizio, contezza. È frequen-
tissimo nell'A. e non è raro in altri scrit-
tori. Caro, Leti. 2, SI : « Mi sono avveduto
che avete avuto spia del mio cenino».
35. 2. render ragioni; dar notizie: locu-
zione non registrata dai vocab.
— 4. trabacche; specie di padiglioni O
tende rette da travi, donde il nome.
— 7. Mercé all' a. Mercé si usò egual-
mente colle prep. du a e anche senza pre-
posiz.
— S. l'è; le è. L'A. usò spesso, contro
l'usocomuue, apostrofare questo pron. Cosi
gli antichi non di rado. Vedi, per es. Boc-
caccio, iVof. 5: «Parendole... Domeneddio
l'avesse tempo inandato».
36. 3. onde Idaspe; (contrazione di Ida-
spee ; lat. Ihjdaspeae) onde dell' Idaspe.
L'(Id. è fiume dell' India (moderno Gilam).
\ 37. 3. conca. V. e. m, 22, n. 5.
— 6. r alta necessità. I Latini dissero la
morte ultima, e.vtrema, suprema neces-
mas. I nostri vocab. non registrano questo
signific.
CANTO VII
(O
Torso le selve prossime a Poutiero,
l)ove la vocal tomba di Merlino
Era nascosa in loco alpestro e fiero.
Ma quella Maga che sempre vicino
Tenuto a Bradamante avea il pensiero,
<^ nella, dico io, che nella bella grotta
L'avea de la sua stirpe instrutta e dotta ;
39
Quella benigna e saggia incantatrice,
La quale ha sempre cura di costei,
Sappiendo eh' esser de' progenitrice
D'uomini invitti, anzi di Semidei;
Ciascun di vuol saper che fa, che dice,
E getta ciascun di sorte per lei.
Di Ruggier liberato e poi perduto,
E dove in India andò, tutto ha saputo.
40
Ben veduto l'avea su quel cavallo
Che regger non potea, ch'era sfrenato,
Scostarsi di lunghissimo intervallo
Per sentier periglioso e non usato:
E ben sapea che stava in giuoco e in ballo
E in cibo e in ozio molle e delicato.
Né più memoria avea del suo Signore,
Né de la donna sua, né del suo onore.
E cosi il fior de lì Tiegli anni suoi
In lunga inerzia aver potria consunto
Si gentil cavallier, per dover poi
Perdere il corpo e l'anima in un punto:
E quell'odor che sol riman di noi
Poscia che '1 resto fragile è defunto, [ba.
Che trae l'uom del sepolcro e in vita il ser-
38. 2. Pontiero. Forse non è da confon-
dere con Pontiero feudo dei Maganzesi (v.
e. Ili, 24). Alcuni intendono Ponthieu, an-
tica contea nel dipartimento della Somme;
altri intendono Pontrieux, città del diparti-
mento Còtes du Nord, dove, dice il Casella,
i pastori delia Brettagna additano anche
adesso la supposta tornila di Merlino.
— 3. vocal; parhiute : signilic. non re-
gistr. dai vocabol.
— S. instrutta e dotta. Al e. vi, 56 ha
detto dotto ed instr. e ne abbiamo dato, col
Tommaseo, buona ragione. Ma il fatto è
che nella nostralingua si accumulano spesso
due aggettivi, quasi dello stesso significato,
per arrotondar l'espressione, senza tener
conto delle gradazioni ; cosi : forte e robu-
sto, chiaro ed aperto, bello e buono, ampio
e capace ecc.
39. 6. getta... sorte. Gettar la sorte a le
sorti significa far sortilegi; il che si faceva
in diversi modi: gettando dadi, osservando
le stelle, estraendo cedolette appositamente
scritte ecc.
41. 2. aver potria consunto ; potrebbe aver-
ne, riportarne consunto il fior ecc.
— 7. Petr., Trionf. della Fama, 9 : « Glie
trae V uom del sepolcro e 'n vita il serba ».
Gli saria stato o tronco o svelto in erba. .
42
Ma quella gentil Maga che piti cura
X'avea, eh' egli medesmo di sé stesso.
Pensò di trarlo per via alpestre e dura
Alla vera virtii, mal grado d'esso:
Come eccellente medico che cura
Con ferro e fuoco, e con veneno spesso;
Che se ben molto da principio offende.
Poi giova alfine, e grazia se gli rende.
43
Ella non gli era facile, e talmente
Fattane cieca di superchio amore.
Che, come facea Atlante, solamente
A darli vita avesse posto il core,
t^nel pili tosto volea che lungamente
Vivesse e senza fama e senza onore,
Che, con tutta la laude che sia al mondo.
Mancasse un anno al suo viver giocondo.
44
L'avea mandato all'isola d'Alcina,
Perché obliasse l'arme in quella corte:
E come Mago di somma dottrina
Ch'usar sapea grincanti d'ogni sorte,
Avea il coV stretto di quella Regina
Ne l'amor d'esso d'un laccio si forte,
Che non se ne era mai per poter sciorrc,
S'invecchiasse Ruggierpiù di Nestorre.
45
Or tornando a colei, ch'era presaga
Di quanto de' avvenir, dico che tenne
La dritta via dove l'errante e vaga
Figlia d'Amon seco a incontrar si venne.
Bradamante vedendo la sua Maga,
Muta la pena che prima sostenne,
Tutta in speranza; e quella l'apre il vero,
Ch' ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.
4G
La giovane riman presso che morta,
— 8. 0 tronco o svelto. Si ha una èpecie
di sillessi 0 costruzione a .senso. Questi par-
ticipi invece di riferirsi a odore, come gram-
maticalm. dovrebbero, si riferiscono di. flore.
43. 1. facile; compiacente, agnol. P.\n-
DOLF. 91 : « E voi siate facili e liberali ».
— 2. Fattane e; E non era fatta per lui,
sul conto di lui, cieca per sov. a. taira. che.
— 5. Quel; Atlante.
44. 7. Che non se n' era ecc., non era per
potersene sciorre. solito spostamento di
pronomi. V. e. i, 47, n. 6.
— 8. Nestorre. Nestore visse, secondo
Omero, la vita di tre generazioni di uomini
e fu saggissimo.
45. 'A. va?a, (lat. vagus) vagante. Latini-
smo f resiliente.
— S. è condotto; è pervenuto. Dante,
Inf. 5, 57 : « Per torre il biasmo in che era
condotta ».
76
ORLANDO FURIOSO
Quando ode che '1 suo amante è cosi lun-
Epiii,chenel suo amor periglio porta, [gè;
Se gran rimedio e subito non giunge:
Ma la benigna Maga la conforta,
Eprestaponl'impiastroove il duolpunge;
E le promette e giura, in pochi giorni
Far che Ruggiero a riveder lei torni.
47
Da che, Donna (dicea), l'annello hai teco,
Che vai contra ogni magica fattura,
10 non ho dubbio alcun che, s' io l'arreco
Là dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
Ch'io non le rompa il suo disegno, e meco
Non ti rimeni la tua dolce cura.
Me n'andrò questa sera alla prira' ora,
E sarò in India al nascer de l'aurora.
48
E seguitando, del modo narrolle
Che disegnato avea d'adoperarlo.
Per trar del regno effeminato e molle
11 caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante l'annel del dito folle:
Né solamente avria voluto darlo;
Ma dato il core, e dato avria la vita,
Pur che n'avesse il suo Ruggiero aita.
49
Le dà l'annello, e se le raccomanda;
E più le raccomanda il suo Ruggiero,
A cui per lei mille saluti manda:
Poi prese ver Provenza altro sentiero.
Andò l'incantatrice a un' altra banda;
E per porre in effetto il suo pensiero,
Un palafren fece apparir la sera, [ra.
Ch'aveaun pie rosso, e ogn'altrapartene-
50
Credo fusse un Alchino o un Farfarello
Che da l'inferno in quella forma trasse;
46. 3. periglio porta; corre pericolo (Bra-
damante). Fu usato anche in prosa; Vet-
tori, Coltiv. ol. 88: «I pericoli, che si por-
tano a usar questo modo di porre ».
— 6. l'impiastro. Dante, Inf. 2J, 18: «E
cosi tosto al mal giunse lo 'mpiastro ».
47. .5. Che. Per la ripetiz. del che cfr. e. v.
27, n. 6.
— 7. alla prim' ora, di notte ; secondo
l'antico modo di finire le ventiquattr' ore
col crepuscolo serale, e ricominciare colla
prima ora di notte ; il qual uso è ancora
vivo, in alcuni paesi, fra il popolo.
48. 2. Che, nel quale. V. e. xiii, 37, n. 5.
— G. darlo; dar quello. L'uso del pro-
nome è regolare ; ma, quando si mette in
relazione con altra parola, si usa più co-
munein. intero.
49. 4. altro sentiero ; una via diversa da
quella fatta prima e clie andava verso Pro-
venza.
50. 1. Alchino, Farfarello. Son nomi presi
da Dante, Inf. 21. Dante ha Alichino.
E scinta e scalza montò sopra a quello,
A chiome sciolte e orribilmente passe:
Ma ben di dito si levò l'annello.
Perché gl'incanti suoi non le vietasse.
Poi con tal fretta andò, che la matina
Si ritrovò ne l'isola d' Alcina.
51
Quivi mirabilmente trasmutosse:
S'accrebbe più d'un palmo di statara,
E fé' le membra a proporzion più grosse,
E restò a punto di quella misura
Che si pensò che '1 Negromante fosse,
Quel che nutri Kuggier con si gran cura:
Vesti di lunga barba le mascelle,
E fé' crespa la fronte e l'altra pelle.
52
Di faccia, di parole e di sembiante
Si lo seppe imitar, che totalmente
Potea parer l'incantatore Atlante.
Poi si nascose; e tanto pose mente,
Che da Ruggiero allontanar l'amante
Alcina vide un giorno finalmente:
E fu gran sorte; che di stare o d'ire.
Senza esso un' ora potea mal patire.
53
' Soletto lo trovò, come lo volle.
Che si godea il matin fresco e sereno.
Lungo un bel rio che dis«orrea d'un colle
Verso un laghetto limpido et ameno.
Il suo vestir delizioso e molle
Tutto era d'ozio e di lascivia pieno.
Che di sua man gli avea di seta e d'oro
Tessuto Alcina con sottil lavoro.
54
Di ricche gemme un splendido monile
Gli discendea dal collo in mezzo il petto ;
E ne l'uno e ne l'altro già virile
Braccio girava un lucido cerchietto.
Gli avea forato un fil d'oro sottile
Ambe l'orecchie, in forma d'annelletto ;
E due gran perle pendevano quindi,
Qual mai non ebbon gli Arabi né gl'Indi.
55
Umide avea l'innanellate chiome
De' più suavi odor che sieno in prezzo:
Tutto ne' gesti era amoroso, come
Fosse in Valenza a servir donne avvezzo :
— 3, scinta. V. e. Ili, 8, n. 7.
— 4. passe ; sparse (lat. passits da parir
deve). Si cita questo solo esempio dell' A.
51. 8. l'altra pelle; il resto, della pelle.
Dante, Inf. 17, 12: «E d' un serpente tutto
l'altro fusto ».
53. 7. Che. Per la collocaz. del pron. vedi
e. IV, 51,, n. 4.
54. 2. in mezzo il ; V. e. vi, 23, n. 8.
55. 4. in Valenza. « Gli Spagnuoli sono
oggi detti maestri dell' attillatura e della
leggiadria, e sopra l'altre città campeggia
CANTO VII
77
Non era in lui di sano altro che '1 nome;
Corrotto tutto il resto, e più che mézzo.
Cesi Ruggier fu ritrovato, tanto
Da l'esser suo mutato per incanto.
• 56
Ne la forma d'Atlante se gli affaccia
Colei che la sembianza ne tenea.
Con quella grave e venerabil faccia
Che Ruggier sempre riverir solea,
Con quello occhio pien d'ira e di minaccia.
Che si temuto già fanciullo avea;
Dicendo: È questo dunque il frutto, ch'io
Lungamente atteso ho del sudor mio?
57
Di medoUe già d'orsi e di leoni
Ti porsi io dunque li primi alimenti;
T'ho per caverne et orridi burroni
Fanciullo avvezzo a strangolar serpenti.
Pantere e tigri disarmar d'ungioni
Et a vivi cingial trar spesso i denti,
Acciò che dopo tanta disciplina
Tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?
58
È questo quel che l'osservate stelle,
Le sacre fibre e gli accoppiati punti,
Responsi, augùri, sogni, e tutte quelle
Sorti ove ho troppo i miei studi consunti.
Di te promesso sin da le mammelle
M'avean, come quest'anni fusser giunti,
Ch'in arme l'opre tue cosi preclare
Esser dovean, che sarian senza pare?
59
Questo è ben veramente alto principio I
Onde si può sperar che tu sia presto
Valenza, dove son cortigiane famose, e i
loro paggi effeminati e corrotti » Fornari.
— 6. mézzo. Si dice propriamente dei
frutti fracidi per troppa maturità (dal lat.
mitia poma, pomi maturi).
56. 1. se gli affaccia; se gli presenta. Da-
VANZATi, Ann. I, 17 : .< Deve ire e affacciarsi
(agli amniotinatori) colla maestà imperiale».
57. 1. Di medoUe ecc. Il pensiero è del
Boiardo, Inn. II, i, 71. « Però (Atlante) nu-
trito l'ha con gran ragione Sol di midolle
e nervi di leoue »: e III, v, 35: «(Atlante)
Andava attorno a quel deserto ostico Pi-
gliando serpi e draghi più superbi E tutti
gli inchiudeva a una serraglia, Poi mi po-
nea con quelli alla battaglia ».
— 5. ungioni, cingial. V. e. t, 41, n. 1.
— 8. Adone, bellissimo giovinetto amato
da Venere, Alide, giovane Frigio amato da
Cibele.
58. 2. Le sacre fibre ; le viscere degli ani-
mali. — gli accoppiati punti. «Questa è ope-
ra dei geomanti, i quali fanno (in terra) se-
dici righe tutte di punti, e poscia li accop-
piano insieme e, secondo la dottrina, ne ca-
A farti un Alessandro, un Giulio, un Scipio.
Chipotea, ohimè! di te mai creder questo,
Che ti facessi d'Alcina mancipio?
E perché ognun lo veggia manifesto,
Al collo et alle braccia hai la catena,
Con che ella a voglia sua preso ti mena.
60
Se non ti muovon le tue proprie laudi.
E l'opre eccelse a chi t' ha il cielo eletto,
La tua succession perché defraudi
Del ben che mille volte io t'ho predetto?
DehI perché il ventre eternamente Claudi,
Dove il ciel vuol che sia per te concetto
La gloriosa e sopr' umana prole, [le?
Ch'esser de' al mondo più chiara che '1 So-
61
Deh non vietar che le più nobil alme,
Che sian formate ne l'eterne idee,
Di tempo in tempo abbian corporee salme
Dal ceppo che radice in te aver dee!
Deh non vietar mille trionfi e palme,
Con che, dopo aspri danni e piaghe ree,
Tuoi figli, tuoi nipoti e successori
Italia torneran nei primi onori!
62
Non eh' a piegarti a questo tante e tante
Anime belle aver dovesson pondo.
Che chiare, illustri, inclite, invitte e sante
Son per fiorir da l'arbor tuo fecondo;
Ma ti dovria una coppia esser bastante,
Ippolito e il fratel; che pochi il mondo
Ha tali avuti ancor fin al di d' oggi,
vano l'intenzioni loro» Fornari. V. anche
Daxte, Purg. 19, 4.
59. 3. Ginlio, G. Cesare.
60. 2. a chi; alle quali. Di chi riferito a
cosa abbiamo nel Pur. altri due esempi:
X, 97, S; dove il Morali, senza ragione suf-
ficiente, ha sostituito che, e xxviii, 32, 8.^
Se ne cita un esempio dell' Alamanni, Colt.
Ili, 571 : « o van tessendo chi le scaldi e co-
pra ».
— 5. Claudi; (lat. claudere) chiudi. È for-
ma antiquata.
— 6. concetto; concetta; V. e. v, 5S, n. 5.
61. 2. formate nelle eterne id. Si sente l'in-
fluenza della filosofia platonica, secondo la
quale le anime erano preesistenti ai corpi.
Le idee, secondo Platone, sono i tipi eterni
immutabili di tutte le cose; sono i modelli,
che han servito a Dio per l' esecuzione delle
singole cose. Cosi le anime son create nelle
eterne idee e poi, di tempo in tempo, en-
trano nei corpi, che son dati loro, come una
prigione, per purificarsi.
62. 1. Non che. Questo modo, comunis-
simo nella nostra lingua, si può illustrare
cosi : Non dico già che.
— 2. pondo; considerazione, importanza.
7S
OKLANDO FUEIOSO
Per tutti i gradi onde a virtii si poggi.
63
Io solca più di questi dui narrarti.
Ch'io non facea di tutti gli altri insieme;
Si perché essi terran le maggior parti.
Che gli altri tuoi, ne le virtù supreme;
Si perché al dir di lor mi vedea darti
Più attenzion, che d'altri del tuo seme:
Vedea goderti che si chiari Eroi
Esser dovessen dei nipoti tuoi.
64
Che ha costei che t'hai fatto regina
Che non abbian mill' altre meretrici?
Costei che di tant' altri è concubina;
Ch' al fin sai ben, s'ella suol far felici.
Ma perché tu conosca chi sia Alcina,
Levatone le fraudi e gli artifici,
Tien questo anuello in dito, e torna ad ella,
Ch'avveder ti potrai come sia bella.
65
Ruggier si stava vergognoso e muto
Mirando in terra, e mal sapea che dire;
A cui la Maga nel dito minuto
Pose l'annello, e lo fé' risentire.
Come Ruggero in sé fu rivenuto,
Di tanto scorno si vide assalire,
Ch'esser vorria sotterra mille braccia,
Ch'alcun veder non lo potesse in faccia.
66
Ne la sua prima forma in uno istante,'
Cosi parlando, la Maga rivenne ;
Né bisognava più quella d'Atlante,
Seguitone l'effetto perché venne.
Per dirvi quel ch'io non vi dissi inante,
Costei Melissa nominata venne,
Ch'or die a Ruggier di sé notizia vera,
E dissegli a che effetto venuta era;
67
Mandata da colei, che d' amor piena
Sempre il disia, né più può starne senza.
— S. Per tutti i gradì ; per tutte le condi-
zioni.
63. 1. Io solea. Non si creda che neWInn.,
o altrove nel Fur., Atlante alibia parlato di
questi due discendenti di Rugg. Forse Me-
lissa vuol riferirsi alla confusa genealogia
degli Estensi fatta dal Boiardo, Inn. Il, xxi,
56 seg. /
— S. dovessen, dovesseno, dovessero. É
forma ancora viva nel popolo Toscano.
64. e. Levatone le f. Per questo partici-
pio assoluto cfr. e. ix, 32, n. l.
— 7. ad ella. Come complem. l'usarono
gli antichi in prosa e in poesia; Dante,
Jnf. 3, 27 « E suon di man con elle ».
65. 3. dito minuto ; dito mignolo. Si cita
questo solo esempio dell'. \.
— 6. Dì t. s. ; da t. s.
66. 4. perché ; per che, per il quale.
— 6. Melissa. Foi-se è nome derivato dal i
Per liberarlo da quella catena.
Di che lo cinse magica violenza:
E preso avea d'Atlante di Carena
La forma, per trovar megl^ credenza.
Ma po^ch'a sanità l'ha omai ridutto.
Gli vuole aprire e far che veggia il tutt»
68
Quella donna gentil che t'ama tanto,
Quella che del tuo amor degna sarebbe,
A cui, se non ti scorda, tu sai quanto
Tua libertà, da lei servata, debbe;
Questo annel, che ripara ad ogni incanto.
Ti manda: e cosi il cor mandato avrebbe,.
S'avesse avuto il cor cosi virtute.
Come l'annello, atta alla tua salute.
69
E seguitò narrandogli l' amore
Che Bradamante gli ha portato e porta:
Di quella insieme commendò il valore.
In quanto il vero e l'affezion comporta:
Et usò modo e termine migliore
Che si convenga a messaggiera accorta l
Et in quell'odio Alcina a Ruggier pose.
In che sogliousi aver l'oi'ribil cose.
70
In odio gli la pose, ancor che tanto
L'amasse dianzi: e non vi paia strano.
Quando il suo amor per forza era d'incan-
Ch' essendovi l'auuel, rimase vano, [to.
Fece l'annel palese ancor, che quanto
Di beltà Alcina avea, tutto era éstrano;
Estrano avea e non suo dal pie allatfecciar
'Il bel ne sparve, e le restò la feccia.
71
Come fanciullo che maturo frutto
gr. tnelein, aver cura; Melissa infatti ha
continua cura di Rugg. e di Bradamante.
67. 5. Atl. di Carena. Secondo il Boiai'do
Atl. abitava in un giardino incantato sul
monte Carena, diramazione dell' .\tlante in
Mauritania. V. e. xxxiii, 100.
68. 3. non ti scorda. È usato impersonalm.
per analogia di ricordarsi; (se ben ti ri-
corda); ma non è registr. dai vocabol.
— 4. debbe, deve. Casa, Lett. 28: «E poi
perché mi veggo torre quattromila scudi,
che esso mi debbe». Oggi è poetico.
— 5. ripara; rimedia.
69. 4. In quanto ecc.; dicendo la verità,,
ma col calore, che richiedeva l' affetto.
— 5. modo... migliore. Dal contesto sem-
bra un superlat. relativo; e in questo caso
nota la irregolare omissione dell' articolo :
dovrebbe dire il modo m. V. e. viii, 67, 4 ;.
e cfr. FORNAC. Sint. p. 32. — termine;
espressione.
70. 3. Quando; poiché. V. e. I, 18, n. 3.
— 7. Estrano avea ecc. Per compiere il
costrutto di questo verso bisogna sottinten-
dere tutto del V. superiore.
CANTO VII
79
Ripone, e poi si scorda. ove è riposto,
E dopo molti giorni è ricondntto
Là dove truova a caso il suo deposto,
Si maraviglia di vederlo tutto
Putrido e guasto, e nou come fu posto;
E dove amarlo e caro aver solia,
L'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:
72
Cosi Ruggier, poiché Melissa fece
Ch'a riveder se ne tornò la Fata
Con queir annello, inanzi a cui non lece.
Quando s'ha in dito, usare opra incantata,
Ritruova, contra ogni sua stima, in vece
De la bella che dianzi avea lasciata,
Donna si laida, che la terra tutta
Né la più vecchia avea, né la più brutta.
_ 73 _ /^^^'^/
Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il Crin raro e canuto:
.Sua statura a sei palmi non giungea:
Ogni dente di bocca era caduto;
Che più d' Ecuba e più de la Cumea,
Et avea più d'ogn' altra mai vivuto.
Ma si l'arti usa al nostro tempo ignote,
Che bella e giovanotta parer puote.
74
Giovane e bella ella si fa con arte.
Si che molti ingannò come Ruggiero;
Ma l'anner venne a interpretar le carte.
Che già molti anni avean celato il vero.
Miracol non è dunque, se si pai-te
De l'animo a Ruggier ogni pensiero
Ch'avea d'amare Alcina, or che la truova
In guisa, che sua fraude non le giova.
75
Ma come l'avvisò Melissa, stette
Senza mutare il solito sembiante,
Fin che de l'arme sue, più di neglette,
Si fu vestito dal capo alle piante.
E per non farle ad Alcina suspette.
Finse provar s' in esse era aiutante:
71. 4. deposto; La Cr. lo cita come agg.
usato sostantivam.; ma forse è sincope di
deposito.
— 8. schivo; schifo. Bonaccorso da Mon-
TEMAGNo, Son. 18: «Donne leggiadre non
r abbiate a schivo ».
73. 5. Ecnba, moglie di Priamo re di
Troia, ebbe 50 figli e invecchiò tanto da ve-
dere la completa rovina della sua casa. La
Sibilla C umana visse mille anni; vedi la fa-
vola in Metamorf. xiv, 129-153.
74. 3. a interpretar le e. L' A. ha reso me-
taforica Tespi'essione del Petr., Son. 4:
« Venendo in terra a illuminar le carte,
Che avean molt' anni già celato il vero ».
— 8. In guisa. Questa nuova guisa si ri-
ferisce a Ruggero, che aveva l' anello.
75. 6. aiutante; gagliardo, aitante. Gli an-
tichi usarono egualmente le tre forme aiu-
tante, aitante, atante.
Finse provar se gli era fatto grosso
Dopo alcun di che non l'ha avute indosso.
7(5
E Balisarda poi si messe al fianco
(Che cosi nome la sua spada avea) ;
E lo scudo mirabile tolse anco.
Che non pur gli occhi abbarbagliar solca.
Ma l'anima facea si venir manco.
Che dal corpo esalata esser parca:
Lo tolse; e col zendado in che trovollo,
Che tutto lo copria, sei messe al collo.
77
Venne alla stalla, e fece briglia e sella
Porre a un destrier più che la pece nero:
Cosi Melissa l'avea instrutto; ch'ella
Sapea quanto nel corso era leggiero.
Chi lo conosce Rabican l'appella;
Et è quel proprio che col cavalliero.
Col quale i venti or presso al mar fan gio-
Portò già la balena in questo loco, [co,
78
Potea aver l'Ippogrifo similmente,
Che presso a Rabicano era legato;
Ma gli avea detto la Maga : Abbi mente.
Ch'egli è (come tu sai) troppo sfrenato.
E gli diede intenzion che '1 dì seguente
Gli lo trarrebbe fuor di quello stato,
Là dove adagio poi sarebbe instrutto
Come frenarlo, e farlo gir per tutto.
79
Né sospetto darà, se non lo folle.
De la tacita fuga ch'apparecchia.
Fece Ruggier come Melissa volle.
Ch'invisibile ogu' or gli era all' orecchia.
Cosi, fingendo, del lascivo e molle
Palazzo usci de la puttana vecchia;
E si venne accostando ad una porta,
D'onde è la via ch'a Logistilla il porta.
80
Assaltò li guardiani all'improviso,
E si cacciò tra lor col ferro in mano :
E qual lasciò ferito, e quale ucciso ;
— 7. gli ; egli. — grosso ; mal destro.
76. 1. Balisarda. È nome inventato dal
Boiardo. Fu fatta per incanto da Falerina
e toltale da Orlando; a lui fu rubata da
Brunello e donata a Ruggero. V. Inn. II,
IV ; XI, 6.
— S. sei messe al collo. I cavalieri antichi,
in marcia, portavano lo scudo, per lo più,
pendente dal collo con una striscia di cuoio;
talvolta lo portavano all' arcione e più di
rado era recato dagli scudieri.
77. 5. Rabicano; era il cavallo dell' Arga-
lia; dopo varie vicende venuto alle mani di
Astolfo, era giunto con esso nel castello
d' Alcina.
78. 5. gli diede intenzione; gli diede pa-
rola; promise. Matt. A'ii.l. 6, 69: «Diede
intenzione di venire a Messina ».
80
ORLANDO FURIOSO
E corse fuor del ponte a mano a mano;
E prima cbe nVavesse Alcina avviso,
80. 4. a mano a mano. 11 Tommaseo cita
questo verso intendendo a iJoco a poco;
nia è invece da intendere di subito. Pucci,
Di molto spazio fu Ruggrier lontano.
Dirò ne l'altro Canto, che via tenne;
Poi come a Logistilla se ne venne.
Centil. 75, 61: «E tagliagli la testa a mano
a mano ».
CANTO Vili
Oh quante sono iucantatrici, oh quanti
Incantator tra noi, che non si sanno!
Che con lor arti uomini e donne amanti
Di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non con spirti constretti tali incanti,
Né con osservazion di stelle fanno;
Ma con simulazion, menzogne e frodi
Legano i cor d'indissolubil nodi.
2
Chi l'annello d'Angelica, o più tosto
Chi avesse quel de la ragion, potria
Veder a tutti il viso che nascosto
Da finzione e d' arte non saria.
Tal ci par bello e buono, che, deposto
Il liscio, brutto e rio forse parria.
Fu gran ventura quella di Ruggiero,
Ch'ebbe l'annel che gli scoperse il vero.
3
Ruggier (come io dicea) dissimulando.
Su Rabican venne alla porta armato:
Trovò le guardie spro vedute, e quando
Giunse tra lor, non tenne il brando a lato.
Chi morto e chi a mal termine lasciando,
Esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:
Prende al bosco la via; ma poco corre,
Ch'ad un de' servi de la Fata occorre.
4
Il servo in pugno avea un augel grifagno
Che volar con piacer facea ogni giorno,
Ora a campagna, ora a un vicino stagno
Dove era sempre da far preda intorno :
1. 5. constrettl ; costretti coi riti magici
ad operare.
2. 4. d'arte. V. e. v, 10, n. 5.
3. 6. rastrello; Quello steccato dinanzi
alle porte principali delle fortezze, che si
apre o si chiude, si alza o si abbassa; e
serve a tenere il nemico alquanto lontano
dalla porta stessa per aver tempo a chiu-
derla o ad alzare il ponte.
— 8. occorre ; si imbatte. È latinismo nel
signif. e nel costrutto. Occurrere alieni
significa anche imbattersi in uno.
4. 1. a. grifagno; di rapina; (ted. grif, ar-
tiglio).
Avea da lato il cau fido compagno;
Cavalcava un ronzin non troppo adorno.
Ben pensò che Ruggier dovea fuggire,
Quando lo vide in tal fretta venire.
5
Se gli fé' incontra, e con sembiante altie-
Gli domandò perché in tal fretta gisse, [ro
Risponder non gli volse il buon Ruggiero:
Perciò colui, più certo che fuggisse,
Di volerlo arrestar fece pensiero;
E distendendo il braccio manco, disse:
Che dirai tu, se subito ti fermo?
Se contra questo augel non avrai schermo?
(3
Spinge l'augello: e quel batte si l'ale,
Che non l'avanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giù sale,
E tutto a un tempo gli ha levato il morso.
Quel par da l'arco uu avventato strale,
Di calci formidabile e di morso:
E '1 servo dietro si veloce viene, [ne.
Che par ch'il vento, anzi che il fuoco il me-
7
Non vuol parere il can d'esser più tardo;
Ma segue Rabican con quella fretta.
Con che le lepri suol seguire il pardo.
Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a quel che vien si a pie gagliardo;
Né gli vede arme fuor ch'una bacchetta,
Quella con che ubidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.
— 3. a campagna. Omissione dell'articolo.
V. e. II, 15, n. 8.
5. 6. il braccio manco; Sul quale, secondo
il costume della caccia, teneva lo sparviero
per lanciarlo.
6. 3. sale; salta, (dal lat. Salire). Caro,
Longo Sof. 99 : « La mattina di buon' ora
salse fuor del letto ».
— 8. il fnoco ecc. Tasso, Ger. 9,82: «Tur-
bo o fiamma non è, che roti o saglia Ra-
pido si com' è quel pronto e leve ».
7. 8. si disdegna. Lo stesso che disdegna
ed egualmente usato dagli antichi. Nel servo
e nei tre animali son figurati gli ostacoli
che si oppongono all'abbandono del vizio.
CANTO Vili
81
Quel se gli appressa, efortelo percuote;
Lo morde a un tempo il cau uelpiedemau-
Lo sfrenato destrier la groppa scuote [co.
Tre volte e più, né falla il destro fianco.
Gira l'augello, e gli fa mille ruote,
E con l'ugna sovente il ferisce anco:
Si il destrier collo strido impaurisce.
Ch'alia mano e allo spron poco ubidisce.
9
Ruggiero, al fin constretto, il ferro cac-
E perché tal molestia se ne vada, [eia :
Or gli animali, or quel villan minaccia
Col taglio e con la punta de la spada.
<,>uella importuna turba più l'impaccia:
Presa ha chi qua chi là tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno
Che gli avverrà, se più tardar lo fanno.
10
Sa ch'ogni poco più ch'ivi rimane,
Alcina avrà col popolo alle spalle. ,
Di trombe, di tamburi e di campane
Già s'ode alto rumore in ogni valle, [cane
Contra un servo senza arme, e coutra un
Gli par eh' a usar la spada troppo falle:
Meglio e più breve è dunque che gli scopra
Lo scudo che d'Atlante era stato opra.
11
Levò il drappo vermiglio, in che coperto
Già molti giorni lo scudo si tenue.
Fece r effetto mille volte esperto
Il lume, ove a ferir negli occhi venne.
8. 4. né falla ecc.; né sbaglia il fianco
destro, dove ha indirizzato il colpo. lu que-
sto senso è più comune fallire che fallare.
Fianco qui vale lato, parte, perché Rugge-
ro, essendo a cavallo, mal poteva esser col-
pito nel fianco vero e proprio.
— 5. gli fa; Sottiut. intorno.
9. 1. caccia; cava fuori. Accenna sempre
un certo impeto nell' azione.
— 8. avverrà, verrà. V. e. iv, 61, n. 5.
10. 1. ogni poco pili che ecc.; niente niente
che avesse indugiato ancora di più. Cecchi,
Ass. 4, 2 : « Ogni poco più che voi state, me
ne andrò ».
— 3. Boiardo, Inn. I, i, 11 « Parigi r-iso-
nava d'istromenti. Di trombe, di tamburi e
di campane ».
— 6. falle, falli, da fallare, V. e. -xiii, 10, 3.
— 7. gli; a lui. Per una specie di sillessi
va riferito forse al servo. Potrebbe anche
essere gli per egli. V. e. vii, 75, 7.
11. 3. esperto ; (lat. expertus) sperimen-
tato. Petr., I, son. 192: «Or tei dico per
cosa esperta e vera ».
— 4. ove ; in quelli, che a ferir negli oc-
chi venne. Ove, riferito a persona, ha molti
esempi nella letteratura ed è vivo nell'uso;
per es. Guarda ove (in chi) hai posto il tuo
amore.
Resta dai sensi il cacciator deserto;
Cade il cane e il ronzin, cadon le penne
Ch'in aria sostener l'augel non ponno.
Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.
12
Alcina ch'avea in tanto avuto avviso
Di Ruggier, che sforzato avea la porta,
E de la guardia buon numero ucciso,
Fu, vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi i panni e si percosse il viso,
E sciocca nominossi e mal accorta;
E fece dar all'arme immantinente,
E intorno a sé raccor tutta sua gente.
13
E poi ne fa due parti, e manda l'una
Per quella strada ove Ruggier camina;
Al porto r altra subito raguna
In barca, et uscir fa ne la marina:
Sotto le vele aperte il mar s'imbruna.
Con questi va la disperata Alcina,
Che '1 desiderio di Ruggier si rode.
Che lascia sua città senza custode.
14
Non lascia alcuno a guardia del palagio:
Il che a Melissa, che stava alla posta
Per liberar di quel regno malvagio
La gente ch'iu miseria v'era posta,
Diede commodità, diede grande agio
Di gir cercando ogui cosa a sua posta,
Imagini abbruciar, suggelli torre,
E nodi e rombi e turbini disciorre.
— 5. deserto; abbandonato. Dante, Inf.
26, 102. « Con quella compagna Picciola,
dalla qual non fui deserto ».
13. 5. Sotto le vele ecc. Inn. II, xxix, 3.
« Delle sue vele è tanto T ombra spessa Che
il mar di sotto a loro è scuro e bruno ».
14r. 7. Imagini; Erano lì^'ure di terra cotta,
di cera, di carta o d'altra materia, rappre-
sentanti esseri soprannaturali, cose naturali
o persone: si usavano applicandole ai luo-
ghi, dove si voleva l" effetto, mettendole nel
fuoco, perché l'amante si struggesse come
la cera, o durasse nell'amore come la creta.
Suggelli, (lat. sigilla) ; erano segni impressi
in metallo, iu pietra ecc. e rappresentavano
costellazioni, pianeti, od oggetti allusivi allo
scopo. Nodi ; si facevano con fili di diversi
colori, per legare gli animi degli amanti.
Viro., Egl. 8, 77 : « Necttì tribus nodis ter-
uos, Ainarylli, colores ». Rombi; (gr. renibo,
girare) ; erano fusi attorti di fili di vari co-
lori, coi quali si facevano girare, a guisa
di trottola. Turbini (lat. turbo); il Porcel-
lini li dice quasi la stessa cosa dei rombi.
Forse turbo non fu che la traduz. latina
del gr. rombos. Questo arsenale magico,
preso dai Greci e dai Latini, durò, anche
fra noi, lungo tempo.
Ariosto — Papisi
82
ORLANDO FURIOSO
15
Indi pei campi accelerando i passi,
Gli antiqui amanti eh' erano in gran torma
Conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,
Fé' ritornar ne la lor prima forma.
E quei, poi ch'allargati furo i passi,
Tutti del buon Ruggier seguirou l'orma:
A Logistilla si salvare; et indi
Tornare a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
16
Li rimandò Melissa in lor paesi.
Con obligo di mai non esser sciolto.
Fu inanzi agli altri il Duca deglTnglesi
Ad esser ritornato in uman volto;
Che '1 parentado in questo, e li cortesi
Prieghidelhuon Ruggier gli giovar molto:
Oltre i prieghi, Ruggier le die l'annello,
Acciò meglio potesse aiutar quello.
17
A prieghi dunque di Ruggier, rifatto
Fu '1 Paladin ne la sua prima faccia.
Nulla pare a Melissa d'aver fatto,
Quando ricovrar l'arme non gli faccia,
E quella lancia d'or, ch'ai primo tratto
Quanti ne tocca de la sella caccia:
De l'Argalia, poi fu d'Astolfo lancia; [eia.
E molto onor fé' a l'uno e a l'altro in Fran-
18
Trovò Melissa questa lancia d' oro,
Ch'Alcina avea reposta nel palagio,
E tutte r arme che del Duca foro,
E gli fur tolte ne l'ostel malvagio.
Montò il destrier del Negromante Moro,
15. 5. poi ch'allargati ecc.; poiché fu, per
ìa rottura degli incanti e per la mancata
custodia, aperta e liberata la via.
— 8. a Sciti ecc.; alla Scizia ecc. Per
remissione dell'art, cfr. e. ii, 15, 8 e xvii 4, 4.
16. 2. Con obligo di ecc.; con obbligo tale
da non esser mai sciolto. Su questo di per
da vedi e. i, 51, n. 6.
— 3. il Duca degli Inglesi, Astolfo, cugino
(li Bradamante. \. e. ii, 67, n. 1.
17. 1. A prieghi. Per la mancanza dell'ar-
tic. vedi e. ir, 15, 8.
— 4. ricovrar; V. e. Il, 43, n. 8.
— 7. De l'Argalia; SoUhUendi da pt^ima.
V Argalia fratello d' Angelica venne in Fran- I
eia dal Cataio con (juesta lancia incantata,
e con essa vinse i più forti cavalieri. Quando
venne a battaglia per la seconda volta con
Ferrai!, si scordò di prender la lancia, che ;
aveva appoggiata a un albero, e combatté |
colla spada; quindi parti dimenticandola. ;
Astolfo la vide, la prese e con essa abbatté i
molti valenti guerrieri, restituendo le sorti
dei Cristiani, Jnnam. I, ii, la.
18. 5. il destrier ecc. Tlppogrifo d'Atlante. '
— Moro, Mauro, di Mauritania. i
E fé' montar Astolfo in groppa adagio;
E quindi a Logistilla si condusse
D'un' ora prima che Ruggier vi fusse.
19
Tra duri sassi e folte spine già
Ruggiero in tanto in ver la Fata saggia,.
Di balzo in balzo, e d'una in altra vìa
Aspra, solinga, inospita e selvaggia;
Tanto eh' a gran fatica riuscia
Su la fervida nona in una spiaggia
Tra '1 mare e '1 monte, al Mezzodi scoper-
Arsiccia, nuda, sterile e deserta. [ta,.
20
Percuote il sole ardente il vlcin colle;
E del calor che si ridette a dietro,
In modo l'aria e l'arena ne bolle,
Che saria troppo a far liquido il vetro.
Stassi cheto ogni augello all'ombra molle :
Sol la cicala col noioso metro
Fra i densi rami del fronzuto stelo [lo.
Le valli e i monti assorda, e il mare e il cie-
21
Quivi il caldo, la sete e la fatica
Ch'era di gir per quella via arenosa,
Facean, lungo la spiaggia erma et aprica,
A Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma perché non con vien che sempre io dica,
Né ch'io vi occupi sempre in una cosa,
Io lascerò Ruggiero in questo caldo,
E girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.
22
Era Rinaldo molto ben veduto
Dal Re, da la figliuola e dal paese.
Poi la cagion che quivi era venuto,
Pili adagio il Paladin fece palese:
Ch'in nome del suo Re chiedeva aiuta
E dal regno di Scozia e da l'Inglese;
— 6. adagio, comodamente. Oggi, in que-
sto senso, si scrive piuttosto diviso ; ma gli
antichi lo scrissero più spesso unito.
— 8. D'nn'ora p. Più comunem. un'orap.
Pecorone, 3, 1 : « Una figliuola, che di pochi
di innanzi 1' era rimasa vedova ».
19. 6. nona. Gli antichi nell'uso comune
dividevano il giorno secondo la divisione
seguita poi dalla Chiesa per la distribuzione
dei divini uffici ; cosi avevano mattutino,
prima, terza, sesta, nona, vespro, compieta.
La sesta era il mezzogiorno; la nona si so-
nava nella settima ora, ossia nella prima
dopo mezzogiorno. V. Dante, Conv. iv, 23
in line. Perciò in quest' ora il caldo era
grandissimo.
20. 7. stelo; albero. Cosi anche al e. xi,
65, 0. Si citano solamente questi esempi
dell' A.
21. 5. io dica; sottint. una cosa.
22. 3. che; percbé. Dante, Jnf. 2, 82:
« Ma dimmi la cagion che non ti guardi ».
Si usò anche in prosa.
CANTO Vili
83
Et ai preghi soggiunse anco di Carlo,
Giustissime cagion di dover farlo.
23
Dal Re senza indugiar gli fu risposto
Che di quanto sua forza s'esteudea,
Per utile et onor sempre disposto
Di Carlo e de l'Imperio esser volea;
E che fra pochi di gli avrebbe posto
Più cavallieri in punto, che potea;
E se non ch'esso era oggimaipur vecchio,
Capitano verria del suo apparecchio.
24
Né tal rispetto ancor gli parria degno
Di farlo rimaner, se non avesse
Il figlio, che di forza, e più d'ingegno
Dignissimo era, a ch'il governo desse,
Ben che non si trovasse allor nel regno;
Ma che sperava che venir dovesse
Mentre ch'insieme aduneria lo stuolo;
E eh' adunato il troveria il figliuolo.
25
Cosi mandò per tutta la sua terra
Suoi tesorieri a far cavalli e gente:
Navi apparecchia e munizion da guerra,
Vettovaglia e danar maturamente.
Venne intanto Rinaldo in Inghilterra;
E '1 Re nel suo partir cortesemente
Insino a Beroicche accompagnollo;
E visto pianger fu quando lasciollo.
26
Spirando il vento prospero alla poppa,
Monta Rinaldo, et a Dio dice a tutti:
La fune indi al viaggio il nocchier sgroppa
Tanto che giunge ove nei salsi flutti
11 bel Tamigi amareggiando intoppa.
23. 2. di quanto, per quanto. È complem.
di limitazione. Cosi pure st. 24, 3.
23. 7. se non che... era; se non fosse stato
che... era.
24. (. Dignissimo... a chi. V. e. Ili, 27, n. 1.
— (i. che. Dipende da gli fu risposto della
st. 23, V. 1.
25. 2. far cavalli. « Fare si usò e si usa
per raccogliere. Modo vivace e significativo
nella sua brevità ». Forxac, Xuvelle scelte
del Bocc. p. 162. Vedi quivi gli esempi.
— 4. maturamente. Il Tommaseo {Voc.)
cita questo verso intemlendo con diligenza
opportuna. Forse meglio intenderai pron-
tamente dal latino inature.
— 7. Beroicche; Y. C. IV, 53, 8. '
26. 2. a Dio. Cosi scrissero comunemente
gli antichi in modo pii'i conforme all' origine
della frase, che, intera, si diceva: io ti rac-
comando a Dio.
26. 3. al viaggio; per il viaggio. BOCCACC,
S\'ov. 79: «Mi metterò lu roba mia... a ve-
dere sé la brigata si rallegrerà ».
— 5. amareggiando ; diventando amaro co-
me l'acqua del mare. In questo senso l'usò
Col gran flusso del mar quindi condutti
I naviganti per camin sicuro
A vela e remi insino a Londra furo.
27
Rinaldo avea da Carlo e dal Re Otonc,
Che con Carlo in Parigi era assediato,
Al Principe di Valila commissione
Per contrassegni e lettere portato,
Che ciò che potea far la regione
Di fanti e di cavalli in ogni lato,
Tutto debba a Calesio traghittarlo;
Si che aiutar si possa Francia e Carlo.
28
Il Principe ch'io dico, ch'era, in vece
D'Oton, rimaso nel seggio reale,
A Rinaldo d'Amon tanto onor fece,
Che non l'avrebbe al suo Re fatto uguale:
Indi alle sue d ìuiande satisfece;
Perché a tutt? la gente marziale
E di Bretagna e de l'isole intorno.
Dì ritrovarsi al mar prefisse il giorno.
29
Signor, far mi convien come fa il buono
Sonator sopra il suo instrumento arguto.
Che spesso muta corda, e varia suono,
Ricercando ora il grave, ora l'acuto.
Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
D'Angelica gentil m'è sovvenuto.
Di che lasciai ch'era da lui fuggita,
E eh' avea riscontrato uno Eremita.
il Buonarroti, Fier. 3, 2, 8.' « Clie ti fa il
gusto amareggiar».
— 6. gran flusso. « Grandissimi sono i
llussi e riflussi del mare posto tra la Fian-
dra e l'Inghilterra; perciò i naviganti aspet-
' tano il riflusso, che spinge le navi all'insù
I del Tamigi; e parimente aspettano che il
mare cali per andare verso la foce ». (La-
I vezzuola).
I 27. 3. Principe di Vallia; Pr. di Galles. È
! il titolo del principe ereditario d'Inghilterra
I Ano dai tempi di Edoardo I (1283), il quale,
I avendo domato i Gallesi, volle cosi lusingar-
j li e stringerli al trono d'Inghilterra. Nota
r anacronismo, e cfr. anche il e. vi, 33.
1 — 5. far; dare, somministrare. Fare è co-
mune per produrre, specialmente per i
prodotti della terra. lu questo luogo si ha
un significato affine, ma diverso.
j — 7. Calesio; Calais : al e. ii, 27, 7 si ha
Calesse.
I 28. 6. marziale, da guerra.
I 29. 2. arguto; risonante, armonioso. La
I Crusca, citando questo verso, intende acu-
to, ma non sembra rettamente.
1 — 7. Di che lasciai che; della quale lasciai
dicendo che ecc.
i — 8. uno Eremita. Erano eremiti seguaci
1 di Maometto. Si vede che l' A, ha avuto pre-
I sente il Palmiero del Boiardo, Jnn. I, xx.
84
ORLANDO FURIOSO
30
Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
Dissi che domandava con gran cura,
Come potesse alla marina gire;
Che di Rinaldo avea tanta paura,
Che, non passando il mar, credea morire,
Né in tutta Europa si tenea sicura:
Ma l'Eremita a bada la tenea.
Perché di star con lei piacere avea.
31
Quella rara bellezza il cor gli accese,
E gii scaldò le frigide medolle:
]Ma poi che vide che poco gli attese,
E ch'oltra soggiornar seco non volle,
Di cento punte l'asinelio offese;
Né di sua tardità però lo tolle:
E poco va di passo, e men di trotto;
Né stender gli si vuol la bestia sotto.
32
E perché molto dilungata s'era,
E poco pili, n'avria perduta l'orma;
Ricorse il frate alla spelonca nera,
E di demòni uscir fece una torma:
E ne sceglie uno di tutta la schiera,
E del bisogno suo prima l'informa;
Poi lo fa entrare adesso al corridore.
Che via gli porta con la donna il core.
33
E qual sagace can nel monte usato
A volpi 0 lepri dar spesso la caccia,
Che se la fera andar vede da un lato,
Ne va da un altro, e par sprezzi la traccia.
Al varco poi lo senteno arrivato.
Che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e
Tall'Eremita per diversa strada [straccia:
Aggiugnerà la Donna ovunque vada.
34
Che siail disegno suo,ben io comprendo
E dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di ciò nulla temendo,
Cavalcava a giornate, or molto or poco.
Nel cavallo il demon si già coprendo.
Come si copre alcuna volta il foco.
Che con si grave incendio poscia avvampa,
Che non si estingue, e a pena se ne scampa.
35
Poi che la donna preso ebbe il sentiero
Dietro il gran mar che li Guasconi lava.
4 seg., che tenta Fiordelisa e che « Per Ma-
cometto facea penitenzia ». Vedansi poi in
quel luogo altri notevoli riscontri.
32. 2. E poco pili. Sott. che si fosse di-
lungata.
34. 1. Che 8ia; che cosa sia, formili suo
disegno. Ma potrebbe anche significare qua-
le; V. e. XIII, 3, n. 7.
35. 2. Dietro; lungo. Il Catelani (Della
patria di L. A. e dei reggianismi e lombar-
dismi del medesimo; Memoria inserita nel-
V Italia centrale, 1874) lo dice un lombar-
Tenendo appresso all'onde il suo destriero,
Dove l'umor la via piti ferma dava;
Quel le fu tratto dal demonio fiero
Ne l'acqua si, che dentro vi nuotava.
Non sa che far la timida donzella.
Se non tenersi ferma in su la sella.
36
Per tirar briglia, non gli può dar volta:
Pili e più sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la vesta in su raccolta
Per non bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per le spalle la chioma iva disciolta,
E l'aura le facea lascivo assalto.
Stavano cheti tutti i maggior venti.
Forse a tanta beltà col mare attenti.
37
Ella volgea i begli occhi a terra in vano,
Che bagnavan di pianto il viso e '1 seno ;
E vedea il lito andar sempre lontano,
E decrescer più sempre e venir meno.
Il destrier che nuotava a destra mano.
Dopo un gran giro la portò al terreno
Tra scuri sassi e spaventose grotte.
Già cominciando ad oscurar la notte.
38
Quando si vide sola in quel deserto
Che a riguardarlo sol mettea paura.
Ne l'ora che nel mar Febo coperto
L'aria e la terra avea lasciata oscura;
Fermossi in atto ch'avria fatto incerto
Chiunque avesse vista sua figura,
S'ella era donna sensitiva e vei'a,
0 sasso colorito in tal maniera.
39
Stupida e fissa nella incerta sabbia.
Coi capelli disciolti e rabuffati.
Con le man giunte, e con l'immote labbia,
1 languidi occhi al ciel tenea levati;
Come accusando il gran Motor, che l'abbia
Tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come attonita ste' alquanto;
dismo, ma in ogni caso fu legittimato ben
presto dai Toscani: Berni, Ori. i, 33, 23.
« Orlando va pur dietro alla riviera ». —
Il gran mar, l'Oceano.
' — 4. l'nmor ecc. K noto che la sabbia
umida è più resistente al passo.
36. 2. in alto ; in alto mare. É latinismo
passato ben presto nella poesia e nella pro-
sa. M. VILLANI, 1. 153: «Colle sue galee si
teneva in alto ».
37. 5. a destra mano ; Cioè piegando verso
nord.
— 6. al terreno ; a terra : sulla spiaggia
francese.
39. 1. fissa; ferma. — incerta sabbia; mo-
bile, scorrevole sotto il passo,
— 5. l'abb., le abb. V. e. vìi, 35, a. 8.
— 6. inclinati; rivolti.
CANTO Vili
Poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al
40 [pianto.
Dicea: Fortuna, che più a far ti resta,
Acciò di me ti sazii e ti disfami?
Che dar ti posso omai più, se non questa
Misera vita? ma tu non la brami;
Ch'ora a trarla del mar sei stata presta,
Quando potea finir suoi giorni grami:
Perché ti parve di voler più ancora
Vedermi tormentar prima ch'io muora.
41
Ma che mi possi nuocere non veggio,
Più di quel che sin qui nociuto m'hai.
Per te cacciata son del real seggio,
Dove più ritornar non spero mai:
Ho perduto l'onor, eh' è stato peggio;
Che se ben con effetto io non peccai.
Io do però materia eh' ognun dica
Ch'essendo vagabonda, io sia impudica.
42
Cheaverpuòdonnaalmondopiù di buo-
A cui la castità levata sia? fno.
Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e sono
Tenuta bella, o sia vero o bugia.
Già non ringrazio il ciel'di questo dono ;
Che di qui nasce ogni ruina mia.
Morto per questo fu Argalia mio frate;
Che poco gli giovar l'arme incantate:
43
Per questo il Re di Tartaria Agricane
Disfece il genitor mio Galafrone,
Ch'in India, del Cataio era gran Cane ;
Onde io son giunta a tal condizione.
Che muto albergo da sera a dimane.
8e l'aver, se l'onor, se le persone
M'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi,
A che più doglia anco serbar mi vuoi?
44
Se l'affogarmi in mar morte non era
A tuo senno crudel, pur ch'io ti sazii,
Non recuso che mandi alcuna fera
Che mi divori, e non mi tenga in strazii.
D'ogni martir che sia, pur ch'io ne pera,
Esser non può ch'assai non ti ringiazii.
41. 3. cacciata son. La Fortuna la cacciò
del real seggio quando la costrinse a fug-
gire in Albracca, per non cadere nelle mani
d'Aiiricane, che volea farla sua sposa; e
ora continua a tenerla lontana dal Cataio
con queste tristi avventure. — Per te, da te.
42. 7. per questo. Ferraù, per avere An-
gelica, combatté coHWrgalia e, feritolo nel-
l'inguine, dove non lo copriva l'armatu-
ra incantata, l'uccise; lan. I, ni.
48. 3. Cane; Khan in Tartaro vale >*<?,
iniperatore. — Cataio, si disse anticamente
la parte settentrionale della China.
— 5. dimane; mattina: v. e. ii, ii, n. 5.
— S. A che più doglia; a qual maggior
doglia; v. e. xiii, 3, n. 7.
Cosi dicea la Donna con gran pianto.
Quando le apparve l'Eremita accanto.
40
Avea mirato da l'estrema cima
D'un rilevato sasso l'Eremita
Angelica, che giunta alla parte ima
'E de lo scoglio, aftìitta e sbigottita.
Era sei giorni egli venuto prima;
Ch'un demonio il portò per via non trita:
E venne a lei, fingendo divozione
Quanta avesse mai Paulo o Ilarione.
46
Come la Donna il cominciò a vedere.
Prese, non conoscendolo, conforto;
E cessò a poco a poco il suo temere,
Benché ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso, disse: Miserere,
Padre, di me; ch'i' son giunta a malporto.
E con voce interrotta dal singulto.
Gli disse quel eh' a lui non era occulto.
47
Comincia l'Eremita a confortarla
Con alquante ragion belle e divote;
E pon l'audaci man, mentre che parla,
Or per lo seno, or per l'umide gote:
Poi più sicuro va per abbracciarla;
Et ella sdegnosetta lo percuote
Con una man nel petto, e lo rispinge,
E d'onesto rossor tutta si tinge.
48
Egli ch'allato avea una tasca, aprilla,
E trassene una ampolla di liquore;
E negli occhi possenti, onde sfavilla
La più cocente face ch'abbia Amore,
Spruzzò di quel leggiermente una stilla,
Che di farla dormire ebbe valore.
Già resupina ne l'arena giace
A tutte voglie del vecchio rapace.
49
Egli l'abbraccia, et a piacer la tocca;
Et ella dorme, e non può fare ischermo.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca: [mo.
Non è cli'il veggia in quel loco aspro eter-
Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;
Ch"al disio non risponde il corpo infermo:
Era mal atto, perché avea troppi anni ;
E potrà peggio, quanto più l'affanni.
50
Tutte le vie, tutti li modi tenta;
Ma quel pigro rozzon non però salta:
45. S. Paulo ; Primo eremita ; della pro-
vincia d' Kgitto. — Ilarione; altro famoso
eremita di Palestina.
46. 2. non conoscendolo; non conoscendo
le sue intenzioni.
— S. non era occulto ; Perché egli stesso
era stato causa di (juesta sua ultima sven-
tura.
49. 8. E potrà peggio. Sottint. soxteìiere
o simil verbo.
8G
ORLANDO FURIOSO
Indarno il freu gli scuote, e lo tormeuta;
E non può far che tenga la testa alta.
Al fin presso alla donna s'addormenta;
E nuova altra sciagura anco l'assalta.
Non comincia Fortuna mai per poco,
Quando un mortai si piglia a scherno e a
51 [gioco.
Bisogna, prima ch'io vi narri il caso,
Ch'un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di Tramontana in ver l'Occaso
Oltre l'Irlanda una isola si corca.
Ebuda nominata; ove è rimaso
Il popol raro, poi che la brutta Orca,
E l'altro marin gregge la distrusse.
Ch'in sua vendetta Proteo vi condusse.
52
Narrau l'antique istorie, o vere o false,
Che tenne già quel luogo un Re possente,
Ch'ebbe una figlia, in cui bellezza valse
E gVazia si, che potè facilmente,
Poi che mostrossi in su l'.n -ene salse.
Proteo lasciare in mezzo l'acque ardcute;
E quello, un di che sola rilrovolla,
Compresse, e di sé gravida lasciolla.
5.3
La cosa fu gravissima e molesta
Al padre, pili d' ogn' altro empio e severo :
Né per iscusa o per pietà, la testa
Le perdonò: si può lo sdegno ti ero.
Né per vederla gravida, si resta
Di subito eseguire il crudo impero!
E '1 nipotin che non avea peccato,
Prima fece morir che fosse nato.
54
Proteo marin, che pasce il fiero armento
Di Nettuno che l'onda tutta regge,
Sente de la sua donna aspro tormento,
E per grand' ira rompe ordine e legge ;
50. 6. l'assalta; assalta Angelica. II pro-
nome non è qui molto chiaro.
51. 4. si corca. Per analogia del più co-
mune giace: è poetico.
— 5. Ebuda. Ebude furon dette dagli an-
tichi (Plinio, lib. IV) quelle isole a ponente
della Scozia, (in ver l'occaso) che ora si
chiamano Ebridi. Pare ohe all' A. sia pia-
ciuto di farne una sola, di molte che sono.
— 8. Proteo, secondo la favola, custode
del gregge marino.
52. 4. potè. Poiché l'ediz. del 1532 manca
sempre degli accenti, qui potrebbe parere
opportuno intenderlo come passato ; ma
l'ediz. del 1516, che ha gli accenti, legge
2JU0te. Del resto v. e. i, 81, n. 3.
— 8. Compresse. Sottint. la. V. e. i, 21 , n. 7.
53. 5. si resta. È impersonale: Gli esecu-
tori si trattengono dall' eseguire ecc.
54. 4. ordine e le^ge; l'ordine dato a lui,
e la legge imposta da natura a questi ani-
mali marini.
Si che a mandare in terra non è lento
L'orche e le foche, e tutto il marin gregge.
Che distruggon non sol pecore e buoi,
Ma ville e borghi e li cultori suoi:
55
E spesso vanno alle città murate,
E d'ognintorno lor mettono assedio.
Notte e di stanno le persone armate
Con gran timore e dispiacevo! tedio:
Tutte hanno le campagne abbandonate;
E per trovarvi al fin qualche rimedio.
Andarsi a consigliar di queste cose
AU'Oracol, che lor cosi rispose:
5G
Che trovar bisognava una donzella
Che fosse all'altra di bellezza pare,
Et a Protea sdegnato offerir quella.
In cambio de la morta, in lito al mare.
S'a sua satisfazion gli parrà bella,
8e la terrà, né li verrà a sturbare:
Se per questo non sta, se gli appreseuti
Una et un'altra, fin che si contenti.
57
E cosi cominciò la dura sorte
Tra quelle che più grate eran di faccia,
Ch'a Proteo ciascun giorno una si porte.
Fin che trovino donna che gli piaccia.
La prima e tutte l'altre ebbene morte;
Che tutte giii pel ventre se le caccia
Un'Orca che restò presso alla foce,
Poi che '1 resto parti del gregge atroce.
58
0 vera o falsa che fosse la cosa
Di Proteo (ch'io non so che me ne dica),
Servosse in quella terra, con tal chiosa,
Contra le donne un'empia legge antica;
Che di lor carne l'Orca monstruosa
Che viene ogni di al lito, si notrica.
Ben ch'esser donna sia in tutte le bande
Danno e-sciagura, quivi era pur grande.
55. 1. murate; cinte di mura.
57. 1. la dura sorte; il duro sorteggio tra
quelle, che eran più belle; in modo che si
porti a Proteo ecc.
— 5. ebbene. Terminaz. popolare, viva
ancora nella plelje Toscana.
— 7. Un' orca. F,' idea di quest'orca favo-
losa forse venne all' A. dall'Orco del Boiar-
do, Inn. Ili, III, 27, che è un mostro terre-
stre, il quale si pasce di carne umana; ma
vi contribuirono anche i mostri marini della
mitologia, ai quali furono esposte Andro-
meda e Esione.
58. 3. con tal chiosa. La chiosa è il com-
mento della legge; dunque intendi: Serbossi
un'empia legge antica, la quale riceve un
continuo commento dal fatto, che l'orca di-
vora ogni giorno una donna.
— S. pur. È enfatico e come esclamativo:
Era ben graìide. Cosi alla st. 23. 7.
CANTO Vili
87
59
Oh misere donzelle che trasporte
Fortuna ingiuriosa al lito infausto!
Dove le genti stan sul mare accorte
Per far de le straniere empio olocausto;
Che, come più di fuor ne sono morte,
Il numer de le loro è meno esausto :
•■^Ma perché il vento ogn'or preda non me-
Eicercando ne van per ogni arena, [na,
60
Van discorrendo tutta la marina
Con fuste e grippi, et altri legni loro;
E da lontana parte e da vicina
Portan sollevamento al lor martore.
Molte donne han per forza e per rapina,
Alcune per lusinghe, altre per oro;
E sempre da diverse regioni
N'hanno piene le torri e le prigioni.
61
Passando una lor fusta a terra a terra
Inanzi a quella solitaria riva
Dove fra sterpi in su l'erbosa terra
La sfortunata Angelica dormiva,
Smontaro alquanti galeotti in terra
Per riportarne e legna et acqua viva;
E dì quante mai fur belle e leggiadre,
Trovaro il fiore in braccio al santo padre.
62
Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
Per si barbare genti e si villane!
Oh Fortuna crudel, chi tia ch'il creda.
Che tanta forza hai ne le cose umane?
Che per cibo d'jin mostro tu conceda
La gran beltà, ch'in India il Re Agricane
Fece venir da le Caucasee porte
59. 1. che trasporte; cui trasporti.
— 3. accorte; attente, sull'avviso. Petr.
1, 14: « Prego vi state accorti, Che già vi
sfida amore, occhi miei lassi ».
— 4. olocausto. Propriain. è un sacrifizio
di vittime, che si bruciavan tutte in onor
di dio (gr. olox, tutto; caio, brucio); qui
vale sacrifizio in genere.
— 5. come pili ; (juante più.
60. 2. fuste ; (lai. fustis) piccole navi a
Temi, assai veloci, che servivano special-
mente ai pirati. — grippi; (etini. oscura)
navi anche queste assai veloci, da corseg-
giare.
61. 1. a terra a terra. Più comunem. :
Terra terra.
— 6. acqua viva; acqua di vena.
62. 4. hai ecc. Chi fia che creda, che tu
abbia tanta forza nelle e. um. da conce-
dere ecc. bui verbo credere coir indie, cfr.
e. v, 42, n. 3.
— 5. Che. cosi che.
— 7. Caucasee porte. Cosi furon chiamate
le strette di Derbend nel Caucaso, chiuse
per arte con sbarre e un castello per con-
tenere i popoli Tartari.
Con mezza Scizia a guadagnar la morte.
63
La gran beltà, che fu da Sacripante
Posta inanzi al suo onore e al suo bel regno;
La gran beltà, ch'ai gran Signor d'Anglan-
Macchiò la chiara fama e l'alto ingegno; [te
La gran beltà, che fé' tutto Levante
Sottosopra voltarsi, e stare al segno,
Ora non ha (cosi è rimasa sola)
Chi le dia aiuto pur d'una parola.
64
La bella donna, di gran sonno oppressa,
Incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
Nel legno pien di turba aftlitta e mesta.
La vela, in cima all'arbore rimessa,
Rendè la nave all'isola funesta.
Dove cliiuser la donna in rocca forte.
Fin a quel di eh' a lei toccò la sorte.
65
Ma potè si, per esser tanto bella,
La fiera gente muovere a pietade.
Che molti di le differiron quella
Morte, e serbarla a gran necessitade;
E fin ch'ebber di fuore altra donzella,
Perdonare all'angelica beltade.
Al Mostro fu condotta finalmente
Piangendo dietro a lei tutta la gente.
66
Chi narrerà l'angoscie, i pianti, i gridi,
L'alta querela che nel ciel penetra?
Maraviglia ho che non s'aprirò i lidi,
Quando fu posta in su la fredda pietra,
Dove in catena, priva di sussidi,
Morte. aspettava abominosa e tetra.
Io noi dirò; che si il dolor mi muove.
Che mi sforza voltar le rime altrove,
67
E trovar versi non tanti lugubri.
Fin che '1 mio spirto stanco si riabbia:
Che non potrian li squalidi colubri.
I — - 8. Scizia. Nome antico della Tartaria,
j dove regnava Agricane, e di i>arte della
i Russia.
! 63. 3. al Signor d'Angl.; v. e. i, 57, n. 1.
j Orlando, secondo la ti-adizione cavallere-
j sca, era pio costumato religioso e difen-
1 sore della causa di Cristo; ma neìV Innam.
: per andar dietro ad .\ng. diserta il campo
j cristiano.
— 6. stare al segno: Fare stare al se-
^ gno, e più comun. a segno, vale Fare ub-
bidire; qui dunque vuol dire: Fece tutto il
, Levante obbedire alle sue voglie. Petr.,
■ Trionf. d'Amore i, 102: «Pur Faustina il
I fa qui stare a seguo ».
, 64. 4. afflitta e mesta, vedendo tanta di-
j sgrazia piombare su tanta beltà. V. st. 65, 8.
I 66. 4. fredda pietra, lo scoglio.
I 67. 1. non tanti lugubri. V. e. V, 13, n. 7.
88
ORLANDO FURIOSO
Né l'orba tigre accesa in maggior rabbia.
Né ciò che da l'Atlante ai liti rubri
Venenoso erra per la calda sabbia.
Né veder né pensar senza cordoglio,
Angelica legata al nudo scoglio.
68
Oh se l'avesse il suo Orlando saputo,
Ch'era per ritrovarla ito a Parigi;
O li dui ch'ingannò quel vecchio astuto
Col messo che venia dai luoghi Stigi!
Fra mille morti, per donarle aiuto.
Cercato avrian gli angelici vestigi.
Ma che fariano, avendone anco spia
Poi che distanti son di tanta via ?
69
Parigi intanto avea l'assedio intorno
Dal famoso figliuol del Re Troiano ;
E venne a tanta estremitade un giorno,
Che n'andò quasi al suo nimico in mano:
E se non che li voti il ciel placorno.
Che dilagò di pioggia oscura il piano,
— 4. accesa in maggior rabbia; accesa
delia maggior rabbia. Il Boiardo, Inn. I,
II, 23 ; disse : « agghiaccio in gelosia ». Quan-
to al superlativo relativo senza artic. V.
e. VII. 69, n. 5.
— 5. ciò che... Tenenoso; quanti animali
velenosi sono dall'Atlante al mar Rosso
(liti rubri). I deserti dell'Affrica son pieni
di velenosi serpenti. V., anche, per l' espres-
sione, Dante, Inf. 24, 88-90.
68. 1. Orlando. Dopo aver seguito Ange-
lica in Oriente, e avere incontrato per amo-
re di lei tante e svariate avventure, torna
con essa in Ponente; per guadagnarla fa
grandi prove di valore contro i Saracini,
ma, per incanti di Atlante, è tratto e chiuso
m un luogo incantato; liberatone da Bran-
dimarte, va a Parigi (il Boiardo non dice
che vada a cercare Ang.), dove di nuovo
combatte contro i .Saracini; ma, fattasi notte
e levatasi una tempesta, la battaglia è so-
spesa. Fin qui il Boiardo.
— 3. li dui. Rinaldo e Sacripante. V. e.
II, 15.
— 7. spia; indizio; v. e. vìi, 34.
69. 1. Parigi ecc. Il BOIARDO, /nn. IH,
Tiii, ha immaginato e descritto un grande
assalto dato dai Saracini a Parigi; ma, ve-
nuta la notte e una tempesta sfavorevole
ad essi, il combattimento è sospeso. VA.
immagina che Agrain. ponga, dopo ciò, re-
golare assedio alla città e che solamente
dopo due mesi e più rinnuovi l'assalto; v.
e. XIV.
— 5. li voti. Inn. III. vili, 51: « Ma fosse
0 per quel popolo divoto. Che in Parigi pre-
gava con lamento ecc. ».
— 6. oscura. Perché veniva di notte. Ve-
dine l'illustrazione al e. xviii, 142. Da.nte,
Cadea quel di per l'Africana lancia
Il santo Imperioe'l graunomediFrancia,
70
Il sommo Creator gli occhi rivolse
Al giusto lamentar del vecchio Carlo,
E con subita pioggia il foco tolse;
Né forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse;
Ch'altri non potè mai meglio aiutarlo.
Ben dal devoto Re fu conosciuto.
Che si salvò per lo divino aiuto.
71
La notte Orlando alle noiose piume
Del veloce pensier fa parte assai.
Or quinci or quindi il volta, or lo rassum&
Tutto in un loco, e non l'afferma mai:
Qua! d'acqua chiara il tremolante lume.
Dal sol percossa o da notturni rai.
Per gli ampli tetti va con lungo salto
A destra et a sinistra, e basso et alto.
72
La donna sua che gli ritorna a mente,.
Anzi che mai non era indi partita.
Gli raccende nel core e fa più ardente
La fiamma che nel di parca sopita.
Costei venuta seco era in Porgente
Fin dal Cataio; e qui l'avea smarrita.
Né ritrovato poi vestigio d'ella
Che Carlo rotto fu presso a Bordella.
73 • [seco
Di questo Orlando avea gran doglia, e
Indarno a sua sciocchezza ripensava.
Cor mio (dicea) come vilmente teco
Purg. 28, 31 : « Avvegnaché si muova (l' ac-
qua) bruna bruna Sotto l'ombra perpetua ».
70. 3. il foco. Inn. III, viii, 5 « E pietre
e fuoco trae dentro la terra»; e st. 24:
« Né altro S'odia che morte sangue e foco ».
71. 2. fa parte; fa sentire anche al letto
gli effetti dell'agitato pensiero, voltandosi
qua e là.
— 3. rassume; raccoglie. Si cita questo
solo luogo dell' A.
-— 4. afferma; ferma, trattiene. Guido Giu-
dice, Stor. volg. 167. « Legando con ferme
funi ed affermandole con poderose ancore ».
Ma è raro.
— 5. Qnal d'acqaa ecc. La compar. è tfllt^
da Virgilio, En. 8, 23 seg. « Sicut aquae
tremulum labris ubi lumen ahenis Sole re-
percussuni, aut radiantis imagine lunae.
Omnia pervolitat late loca, iamque sub au-
ras Erigitur, summique ferit laquearia tec-
ti».
72. 5. V. e. I, 5, n. 1.
— 7. poi; Uniscilo col che del v. 8. Que-
sta separazione si trova anche nella prosa.
— 8. Bordella; Bordeaux: altrove l' A. dis-
se Bordea. in, 75.
CANTO Vili
Mi son portato! cime, quanto migrava
Che potendoti aver notte e di meco.
(Quando la tua bontà non mei negava,
T'abbia lasciato in man di Namo porre,
Per non sapermi a tanta ingiuria opporre I
74
Non aveva ragione io di scusarme?
E Carlo non m'avria forse disdetto:
Se pur disdetto, e chi potea sforzarme?
Chi ti mi volea torre al mio dispetto?
Non poteva io venir pili tosto all'arme?
Lasciar più tosto trarrai il cor del petto ?
Ma né Carlo né tutta la sua gente
Di tormiti per forza era possente.
75
Almen l'avesse posta in guardia buona
Dentro a Parigi o in qualche roccaforte.
Che l'abbia data a Namo mi consona,
Sol perché a perder labbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona
Di me? ch'io dovea farlo tino a morte;
Guardarla più che '1 cor, che gli occhi miei :
E dovea e potea farlo, e pur noi fei.
76
Deh! dove senza me, dolce mia vita,
Rimasa sei si giovane e si bella?
Come, poi che la luce è dipartita,
Riman tra boschi la smarrita aguella.
Che dal pastor sperando essere udita.
Si va lagnando in questa parte e in quella;
Tanto che '1 lupo l'ode da lontano,
E '1 misero pastor ne piagne in vano.
73. 6. Quando ecc. Qui Orlando è illuso
dall'amore, perché nell'/uu. .\ngelica non
lo ama giammai, e lo lusinga solamente
per averne il valido aiuto.
74. 3. Se pur disd. ; K se anche mi avesse
disdetto, chi poteva costringermi colla for-
za a lasciarti?
— 4. ti mi; V. e. iv, 43, n. 2.
75. 3. mi consona; mi par verosimile che
l'abbia data a Namo, solo perché io la deb-
ba perdere in questo modo; potendo ella,
con si debole difensore, correr gravi peri-
coli. Davanzati, Tac. 1,393: «Ma a me
non consuona (non par verosimile) né che
Antonio prestasse il suo nome, né ecc. ».
— 4. a questa sorte ; a questa maniera.
G. ViLL., 9, 219, 4: «Per lo modo e sorte
come detto avemo ».
— 5. Chi... meglio persona. Chi è agget-
tivo = fjìial, ed è consono al latino quis,
che talvolta si usa in tal modo: Qiial per-
sona migliore eli me la dovea guardare ?
È un uso molto notevole. Cfr. e. viii, 43, n. 8
e xin, 3, 7. Se hai scrupolo per la strana
inversione v. e. x, 110, 2; xxxiii, 90, 1.
76. 3. Come ecc. Dall' interrogaz. prece-
dente va rilevata la prima parte della com-
paraz.: Tu sei rimasta ecc.
77
Dove, speranza mia, dove ora sei?
Vai tu soletta forse ancor errando?
O pur t'hanno trovata i lupi rei
Senza la guardia del tuo lido Orlando?
E il fior ch'in ciel potea pormi fra 1 Dei,
Il fior ch'intatto io mi venia serbando
Per non turbarti, ohimè! l'animo casto.
Ohimè! per forza avranno colto e guasto.
78
Oh infelice! oh misero! che voglio
Senon morir, se 'I mio bel fior colto hanno?
0 sommo Dio, fammi sentir cordoglio
Prima d'ognaltro, che di questo danno.
Se questo è ver, con le mie man ini foglio»
La vita, e l'alma disperata danno.
Cosi, piangendo forte e sospirando,
Seco dicea l'addolorato Orlando.
Già in ogni parte gli animanti lassi
Davan riposo ai travagliati spirti.
Chi sulle piume, e chi su i duri sassi.
E chi su l'erbe, e chi su faggi o mirti:
Tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi.
Punto da' tuoi pensieri acuti et irti ;
Né quel si breve e fuggitivo sonno
Godere in pace anco lasciar ti ponno.
80
Parea ad Orlando, s'una verde riva
D'odoriferi fior tutta dipinta,
Mirare il bello avorio, e la nativa
Purpura ch'avea Amor di sua man tinta,
E le due chiare stelle onde nutriva
Ne le reti d'Amor l'anima avvinta:
Io parlo de' begli occhi e del bel volto,
Che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
81
Sentia il maggior piacer, la maggior fe-
Che sentir possa alcun felice amante; [sta
Ma ecco intanto uscire una tempesta
Chestruggeai fiori, et abbattea le piante.
Non se ne suol veder simile a questa, [te.
Quando giostra Aquilone, Austro e Levan-
77. 3. i Inpi rei. Seguitando l'idea del-
l'agnella, i malfattori sono chiamati lupi
rei.
I — 5. E il fior. Sulla virtù d'Orlando vedi
i Inn. I, XXIV, 14; xxv, 37-39.
78. 5. Se questo è ver. Con questa dispe-
j razione di Ori. per il lontano sospetto. IW.
I prepara la scena della pazzia al e. xxiii.
79. 1. Già in ogni ecc. Ricorda VIRGILIO,
En. 8, 26: « Nox erat: et terras ani malia
fessa per omnis, Alituum pecudumque ge-
nus, sopor altus habebat » già imitato da
Dante, Inr'. 2, 1. — animanti; (lat. animatì-
tia). Latinismo elegante.
80. 5. onde nutriva; del cui lume alimen-
I tava l'anima sua avvinta nelle reti ecc.
90
ORLANDO FURIOSO
Parca che per trovar qualche coperto, '
andasse errando in van per un deserto.
'82
Intanto T infelice (e non sa come)
Perde la donna sua per l'aer fosco;
Onde, di qua e di là, del suo bel nome
Fa risonare ogni campagna e bpsco.
E mentre dice indarno: Misero me!
Chi ha cangiata mia dolcezza in tosco?
Ode la donna sua che gli domanda.
Piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.
83
Onde par ch'esca il grido, va veloce;
E quinci e quindi s'affatica assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro et atroce,
Che non può rivedere i dolci rail
Ecco ch'altronde ode da un'altra voce :
Non sperar più gioirne in terra mai.
A questo orribil grido risvegliossi,
E tutto pien di lacrime trovossi.
84
Senza pensar che sian l'imagin false
Quando per tema o pei' disio &i sogna,
De la donzella per mpdo gli calse,
Che stimò giunta a danno od a vergogna,
Che fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e maglia, quanto gli bisogna,
Tutto guarnissi, e Brigli&doro tolse;
iJiTé di scudiero alcuu servigio volse.
85
E per potere entrare ogni sentiero
Che la sua dignità macchia non pigli,
Non l'onorata insegna del quartiero,
81. 7. coperto; luogo coperto. Berni, 0.
/. I, 8, 14 « Sotto uà coperto di vermiglie
rose ».
82. 5. Misero me. V. 0. I, 43, n. 6.
83. 6. Non sperar ecc. Petr., I, Son. 192 :
-. Xou sperar di vedermi in terra mai ».
84. 1. che sian. SuU' uso del congiunt. cfr.
e. v, 67, n. 8.
— 5. fulminando; colla rapidità del ful-
mine. — salse, V. st. 6, n. 3.
— 7. Bngiiadoro. È il cavallo d'Orlando.
Il nome è una novità Boiardesca, perché
nella Chanson de Roland e negli altri poe-
mi è sempre chiamato Vegliantino, (Veil-
lantiO- Fu tolto, insieme con Durindana, ad
Almonte.
85. 1. entrare ogni s. Entrare col com-
plemento diretto fu molto usato dagli an-
tichi, che tolsero il costrutto dai Latini.
— 2. Che; in modo che.
3. l'onorata insegna ecc. Inn. I, il, 28,
dopo aver detto delle smanie d' Orlando per
Angelica, il Boiardo aggiunge : « Cosi di-
cendo dal letto si leva.... Nascosamente ve-
ste l'armatura. Già non portò l'insegna del
quartiero, Ma d' un vermiglio scuro era ve-
stito ». Quartiero: ciascuna delle quattro
pezze, che dividono il campo dello scudo.
Distinta di color bianchi e vermigli,
Ma portar vo^se un ornamento nero;
E forse aedo ch'ai suo dolor simigli:
E quello avea già tolto a uno Araostante,
Ch'uccise dì sua man pochi anni inante.
86
Da mezza notte tacito si parte,
E non saluta, e non fa motto al zio;
Né ai fido suo compagno Brandimarte,
Che tanto amar solca, pur dice a Dio.
Ma poi che '1 Sol con l'auree chiome sparte
Del ricco albergo di Tifone uscio,
Efe' l'ombra fuggire umida e nera,
S'avvide il Re che'l Paladin non v'aera.
87
Con suo gran dispiacer s'avvede Carlo
Clie partito la notte h il suo nipote,
Quando esser dovea seco, e più aiutarlo :
E ritener la colera non puote,
Ch'a lamentarsi d'esso, et a gravarlo
Non incominci di biasìmevol note;
e più specialin. quella, dove si dipingeva
l'insegna. L'insegna d'Or, consisteva in
quattro scompartimenti alternati di coltor
bianco e rosso: l'aveva tolta, colla spada
e col cavallo, ad Almonte, che egli, giovi-
netto ancora, aveva ucciso in Aspromonte.
Queste insegne si portavano non solo nello
scudo, ma anche sulla sopravveste : Orlando
copri di nero lo scudo e prese una sopravv.
nera.
— 7. Amostante, (arab. al-mostaatn, du-
ce), Nome di una dignità presso gli Arabi.
86. 1. Da mezza notte. Da per a in espres-
sioni di tempo usò più volte l'A. : V. e. xr,
65; xLvi, 68; ed è uso affine ai nodi co-
muni Da sera, Da mattina.
— 2. zio; Carlo Magno. Orlando era figlio
di Berta sorella di C. xMagno.
— 3. Brandimarte, figlio del re Monodan-
te, è rubato, da piccolo, da un servo, che
lo vende al conte di Rocca Silvana. É amato
e lasciato erede dal suo signore. Si inette
in avventura e si incontra con Orlando, che
I lo converte al cristianesimo. Egli si afte-
I ziona tanto al paladino, che sempre lo se-
gue, anche quando, ritrovato il padre Mo-
nodante, dovrebbe starsene presso di lui.
Ha per donna e poi per moglie Fiordiligi.
Cosi ueìV Innam.
— 6. Del ricco albergo. L' Oriente è ricco
di merci e di pietre preziose. Titone, se-
condo la favola, fu marito dell'Aurora.
87. 5. Che, si che — gravarlo. V. e. va, 18,
n. 5.
— 6. biasìmevol note; note di biasimo,
i^ui l'A. avea certo presenti i rudi biasimi,
che il Boiardo pone in bocca a C. Magno,
quando sa che orlando è corso dietro ad
Angelica; Inn. I, ii, 64, 65. Di biasimevole
CANTO Vili
E minacciar se non ritorna, e dire
■Che lo faria di tanto error pentire.
88
Brandimarte, eli' Orlando amava a pare
Di sé raedesmo, non fece soggiorno:
O che sperasse farlo ritornare,
O sdegno avesse udirne biasmo e scorno
E volse a pena tanto dimorare.
Ch'uscisse fuor ne l'oscurar del giorno.
A Fiordiligi sua nulla ne disse.
Perché '1 disegno suo non gì' impedisse.
89
Era questa una donna che fu molto
Da lui diletta, e ne fu raro senza;
Di costumi, di grazia e di bel volto
Dotata, e d'accortezza e di prudenza:
E se licenzia or non n' aveva tolto,
Fu che sperò tornarle alla presenza
in senso attivo si cita questo solo esempio
dell' A.
88. 2. soggiorno; indugio. Villani G., 8,
52, 2: « Sanza soggiorno andarono in Mu-
gello ».
— 4. udirne; a udirne. V. e. i, 4, n. 1.
— 7. Fiordiligi. Nell'/n». Fiordelisa. Fu
figlia del re Dolistone. Rubata da un servo,
è venduta al conte di Rocca Silvana. Cre-
sce insieme con Brandimarte, che se ne in-
namora. Ella lo segu'e sempre in mezzo a
mille avventure, lincbé si scopre che essa
pure, come Brandimarte, è liglia di re. Si
sposano; e, poiclié Brandimarte vuol se-
guire Orlando, Fiord, lo accompagna.
89. 3. Di costumi; di buoni costumi. Dan-
te, Convito 254: « Li costumi sono beliate
dell' anima >. La Fiordelisa del B. è meno
delicata e poetica di questa dell'.-vriosto. V.
Ina. I, XIX, 61 seg. II, xxvii, 32,33; I, xix,
57, 58.
— ti. Fu che; fu perché; v. e. ili, 50, n. 1.
Il di medesmo ; ma gli accade poi
Che lo tardò pili dei disegni suoi.
90
E poi eh' ella aspettato quasi un mese
Indarto l'ebbe, e che tornar noi vide.
Di desiderio si di lui s' accese.
Che si parti senza compagni o guide :
E cercandone andò molto paese.
Come l'istoria al luogo suo dicide.
Di questi dna non vi dico or più inante ;
Che pili m'importa il cavallierd'Anglantc.
91
Il qual, poi che mutato ebbe d'Almontc
Le gloriose insegne, andò alla porta,
E disse ne l'orecchio : Io sono il Conte.
A un capitan che vi facea la scorta;
E fattosi abbassar subito il ponte.
Per quella strada che piti breve porta
Agl'inimici, se n'andò diritto.
Quel che segui, ne l'altro Canto è scritto.
— 8. Che; cosa, che. Per analogia del ma-
schile chi e secondo r uso latino del qui,
i nostri scrittori qualche volta adoprarono
il che col valore complesso di dimostrativo
e di relativo. Machiav., S(. I, 165: «Di tutte
le arti che (quella t;he) aveva ed ha più
sottoposti, è ecc. ». V. e. xx, 129, 6. Sul pres.
accade cfr. e. i, SI, 3.
90. 5. cercandone andò m. p. Si può in-
tendere: Cevcando di lui andò (percorse)
molto ìiaese. Andare col complem. dir. è
raro, ma ha esempi, E anche : Andò cer-
cando {ne) molto paese. Il ne sarebbe pleo-
nastico. E fìnalm. : (se) )ie andò, cercando
m. p.; con spostamento del pronome; di
che vedi e. i, 47, n. 6. V. anche e. ix, 4, 3.
— 6. dicide; come questa mia storia dice
distintamente a suo luogo. Non è citato in
questo senso dalla Cr.
91. 4. scorta, guardia, sentinella. V. e,
XIV, 94, n. 5.
CANTO IX
Che non può far d'un cor ch'abbia sug-
Questo crudele e traditore Amore? [getto
Poi ch'ad Orlando può tevar del petto
La tanta fé che debbe al suo Signore.
tjik savio e pieno fu d'ogni rispetto,
E de la Santa Chiesa difensore:
<Jr per un vano amor, poco del Zio,
E di sé poco, e men cura di Dio.
2
Ma l'escuso io pur troppo, e mi rallegro
Nel mio difetto aver compagno tale;
Ch'anch'io sono al mio ben languido et e-
Sano e gagliardo a seguitare limale, [grò,
Quel se ne va tutto vestito a negro;
Xé tanti amici abandonar gli cale:
E passa dove d'Africa e di Spagna
La gente era attendata alla campagna;
Anzi non attendata, perché sotto
Alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia
A dieci, a venti, a quattro, a sette ad ottoj
92
ORLANDO FURIOSO
Chi più distante, e chi più presso alloggia, i
Ognuno dorme travagliato e rotto; [già.
Chi steso in terra; e chi alla man s'appog-
Dormono, e il Conte uccider ne può assai:
Né però stringe Durindana mai.
4
Di tanto core è il generoso Orlando,
Che non degna ferir gente che dorma.
Or questo e quando quel luogo cercando
Va, per trovar de la sua donna l'orma.
Se trova alcun che veggi, sospirando
Gli ne dipinge l'abito e la forma;
E poi lo priega che per cortesia
Gì' insegni andar in parte ove ella sia.
5
E poi che venne il di chiaro e lucente,
Tutto cercò l'esercito Moresco:
E ben lo potea far sicuramente.
Avendo in dosso l'abito Arabesco.
Et aiutollo in questo parimente.
Che sapeva altro idioma che Francesco,
E l'Africano tanto avea espedito,
Che parca nato a Tripoli e nutrito.
6
Quivi il tutto cercò, dove dimora
Fece tre giorni, e non per altro effetto:
Poi dentro alle cittadi, e a' borghi fuora
Non spiò sol per Francia e suo distretto;
3. 6. chi alla man s'appoggia; Atteggia-
mento di chi dorme seduto facendo soste-
gno alla testa del braccio ripiegato.
— 8. Durindana, spada famosa d'Drlando,
che nella Chanson de Roland è detta Du-
remìal, donde in italiano fu detta Duren-
dala. Durindana, Durlindana, Durindarda.
•Secondo molte Canzoni di gesta. Durindana
appartenne all'Emiro Braibant o all'Emiro
Almonte; l'avrebbe conquistata Carlo Ma-
gno al primo e donata a Rolando, Rolando
stesso al secondo. Vi sono però anche altre
versioni sull'origine di questa spada. Ciò
che immagina il Boiardo e l'A. vedilo al
e. XIV, 43.
4. 3. Or questo e quando. Comunem. si
corrispondono or... or, oppure quando...
(luaiido: l'A. ha combinato le due maniere,
fenomeno frequente nel Furioso; v. e. ii, 6,
il. 3.
— 5. veggi; vegghi, vegli; v. e. i, 41, n. 1.
5. 6. Francesco; francese. Cosi spesso gli
antichi, dal lat. medievale Franciscus.
— 7. area espedito; e aveva l'Affric. tanto
spedito, lo parlava cosi speditamente. Locuz.
j)oetica. Questa conoscenza di molte lingue
è attribuita a Orlando da tutta la tradizione
cavalleresca; e non a lui solo, ma anche
ad altri, v. e. xxiii, 110.
6. 3. a' borghi fuora ; nelle borgate fuori
delle città.
— 4. Francia e suo distr. Francia sta per
Ma per Uvernia e per Guascogna ancora
Rivide sin all'ultimo borghetto:
E cercò da Provenza alla Bretagna,
E dai Picardi ai termini di Spagna.
7
Tra il fin d'Ottobre e il capo di Novem-
Ne la stagion che la frondosa vesta [bre.
Vede levarsi, e discoprir le membre
Trepida pianta, fin che nuda resta, [bre, ,
E van gli augelli a strette schiere insem-
Orlando entrò ne l'amorosa inchiesta: '
Né tutto il verno appresso lasciò quella,
Né la lasciò ne la stagion novella.
8
Passando un giorno,come avea costume.
D'un paese in un altro, arrivò dove
Parte i Normandi dai Britoni un fiume,
E verso il vicin mar cheto si muovQ;
Ch'allora gonfio e bianco già di spume
Per uieve sciolta e per montane piove;
E l'impeto de l'acqua avea disciolto
E tratto seco il ponte, e il passo tolto.
9
Con gli occhi cerca or questo lato or
Lungo le ripe il Paladin, se vede [quello,^
(Quando né pesce egli non è, né augello)
Come abbia a por ne l'altra ripa il piede:
Et ecco a sé venir vede un battello.
r isola di Francia, che è il territorio fra la
Senna, la Marna, 1' Oise e 1' Ai.sne ; il di-
stretto è il territorio, che sta ad essa d' in-
torno e vicino.
— 5. Uvernia ; Auvergne, .\lvernia.
— 6. sin all'ultimo b. ; v. e. II, 28, n. 8.
7. 1. il capo; il principio. In questo senso
temporale citasi solam. quest'esempio del-
l' A.
— 4. Trepida; tremolante alla brezza. V.
e. XII, 72, 1.
— 5. insemhre, insieme. Dante, Inf., 29,
49. « Fossero in una fossa tutti insembre ».
Ora è affatto andato in disuso. Nell'autunno
gli uccelli emigrano a schiere.
— 6. inchiesta; (dall'ant. frane, enqueste)
È voce propria dei libri di cavalleria e si-
gnifica Impresa volta a ricercare una per-
sona o una cosa, che abbia grande impor-
tanza. V. e. XXII, 94, 3.
— 8. stagion novella; primavera. Cosi
spesso i poeti.
8. — Di qui comincia la prima notevole
aggiunta fatta dall' A. nell'ediz. del 1532, e
va fino a tutta la stanza 34 del canto x.
— 3. un fiume; Il Couesiion, che sbocca
nel golfo di Normandia, a non molta di-
stanza da S. Malo e monte S. Michele. —
Britoni, Brettoni della Brettagna francese.
— 7. disciolto; spezzato. .Non è citato dai
Vocabolari.
9. 3. quando, poiché. V. e. I, 18, n. 3.
CANTO IX
93
Ke la cui poppe una donzella siede,
Che di volere a lui venir fa segno ;
Né lascia poi ch'arrivi in terra il legno.
10
Prora in terra non pon, che d'esser carca
Contra sua volontà forse sospetta.
Orlando priega lei, che ne la barca
Seco lo tolga, et oltre il fiume il inetta.
Et ella lui: Qui cavallier non varca.
Il qual su la sua fé non mi prometta
Di fare una battaglia a mìa richiesta,
La più giusta del mondo e la più onesta.
11
Si che s'avete, cavallier, desire
Di por per me ne l'altra ripa i passi,
Promettetemi, prima che finire
<5uest'altro mese prossimo si lassi.
Ch'ai Re d' Ibernia v'auderete a unire,
Appresso al qual la bella armata fassi
Per distrugger quell'isola d' Ebuda,
Che, di quante il mar cinge.è lapiù cruda.
12
Voi dovete saper ch'oltre l' Irlanda,
Fra molte che vi son, l' isola giace
Nomata Ebuda, che per legge manda
Rubando intorno il suo popol rapace;
E quante donne può pigliar, vivanda
Tutte destina a un animai vorace
Che viene ogni di al lito, e sempre nova
Donna o donzella, onde si pasca, trova;
13
Che mercanti e corsar che vanno attor-
Ve ne fan copia, e più delle più belle, [no.
Ben potete contare, una per giorno,
Quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade in voi trova soggiorno,
Se non sete d'Amor tutto ribelle,
— 6. poppe. È forma che usano ancora i
gondolieri Veneti. Questa donzella è una di
quelle tante apparizioni misteriose, di cui
si alimentano i romanzi cavallereschi; quin-
-iài è inutile cercare come si trovasse qui.
10. 1. d'esser carca, da Orlando. Nel lin-
guaggio comune si dice anche oggi Cari-
care uno per Caricare la carrozza, la
barca, che egli conduce.
— 5. lui; a lui. V. e. x, 27, n. 2.
11. 5. Ibernia chiamarono i Latini T Ir-
landa.
— 6. fassi; si raccoglie. Ricorda i modi
vivissimi far gente, far legna ecc.
12. 8. Donna o donzella; donna maritata o
fanciulla. Spesso gli antichi unirono queste
due parole. Petr. 1, 216: «E veder seco
parmi Donne e donzelle ».
13. 2. Te; ivi, in Ebuda.
— 6. d'Amor ribelle. Più comunem. ribelle
a, da, contro. Petr. ii son. 76 : « Quai più
ribelli Fur d'amor mai ».
Siate contento esser tra questi eletto,
Che van per far si fruttuoso effetto.
14
Orlando volse a pena udire il tutto,
Che giurò d'esser primo a quella impresa,
Come quel ch'alcun atto iniquo e brutto
Non può sentire, e d'ascoltar gli pesa:
E fu a pensare, indi a temere indutto.
Che quella gente Angelica abbia presa;
Poi che cercata l' ha per tanta via.
Né potutone ancor ritrovar spia.
15
Questa imaginazion si gli confuse
E si gli tolse ogni primier disegno,
Che, quanto in fretta più potea, couchiuse
Di navigare a quello iniquo regno.
Né prima l'altro sol nel mar si chiuse.
Che presso a San Maio ritrovò un legno.
Nel qual si pose: e fatto alzar le vele.
Passò la notte il monte San Michele.
16
Breaco e Landriglier lascia a man mau-
E va radendo il gran lito Britone; |ca,
E poi si drizza in ver l'arena bianca,
Onde Inghilterra si nomò Albione:
Ma il vento ch'era da meriggie, manca,
E sofiia tra il Ponente e l'Aquilone
Con tanta forza, che fa al basso porre
Tutte le vele, e sé per poppa toi're.
— 8. far... effetto. Fare, Eseguire, o si-
mili, Ve/Tetto o icn effetto vale Fare, Ese-
guire una data operazione o cosa, più spes-
so commessaci da altri. V. e. xiii , 12;
XXXV, 51.
14. 8. spia. V. e. VII, 34 lì. 8.
15. 6. S. Malo (oggi Saint-Malo) ; Villaggio
sul mare nel dipartimento d'IUe-et-Vilaine.
Orlando dunque non passò il fiume, ma
tornò un po' indietro per mettersi in nave
a S. Malo.
— S. monte S. Michele; (oggi Mont-Saint-
Michel) Borgata nel dipartimento della Ma-
nica.
16. 1. Breaco; (Saint-Brieuc) Villaggio nel
dipartim. d' lUe-et-Vilaine. — Landriglier ;
(Treguier, che già fu detto anche Lantre-
guier) Villaggio del dipartimento Còtes-du-
Nord.
— 2. il gran lito Britone ; lo chiama gran-
de perché la Brett. francese si allunga molto
nel mare.
— 4. Albione. Si ritiene generalmente che
il nome d'.\lbione venisse dalle rocce bian-
cheggianti (lat. albus, bianco), che si vedono
lungo le coste. L'A. confonde le rocce colla
rena.
— 8. e sé per poppa torre ; costringe i noc-
chieri a ricever se (quel vento) in poppa.
Per la violenza del temporale non possono
9-1
ORLANDO FURIOSO
17
Quanto il uavilio iiianzi era venuto 1
In quattro giorni, in un ritornò in dietro, i
Ne l'alto mar dal buon nocchier tenuto, I
Che non dia in terra e sembri un IVagil <
Il vento, poi che furioso suto [vetro.
Fu quattro giorni, il.quinto cangiò metro:
Lasciò senza contrasto il legno entrare ,
Dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.
18
Tosto che ne la foce entrò lo stanco
Nocchier col legno afflitto, e il lito prese ]
Fuor d'una terra, che sul destro iìanco
Di quel fiume sedeva, un vecchio scese.
Di molta età, per quanto il crine bianco
Ne dava indizio : il qual tutto cortese,
Dopo i saluti, al Conte rivoltosse,
Che capo giudicò che di lor fosse:
19
E da parte il pregò d'una donzella,
Ch"a lei venir non gli paresse grave;
La qual ritroverebbe, oltre che bella,
Pili ch'altra al mondo affabile e soave :
0 ver fosse contento aspettar ch'ella
Verrebbe a trovar lui fin alla nave:
Né più restio volesse esser di quanti
Quivi eran giunti cavallieri erranti;
20
Che nessun altro cavallier ch'arriva
O per terra o per mare a questa foce.
Di ragionar con la donzella schiva.
Per consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo, Orlando in su la riva
Henza punto indugiarsi usci veloce;
E come umano e pien di cortesia,
Dove il vecchio il menò, prese la via.
21
^u ne la terra il Paladin coudutto
Dentro un palazzo, ove al salir le scale
Una donna trovò piena di lutto,
Per quanto il viso ne facea segnale,
E i negri panni che coprian per tutto
E le loggie e le camere e le sale;
La qual, dopo accoglienza grata e onesta
Fattoi seder, gli disse in voce mesta :
22
Io voglio che sappiate che figliuola
Fui dal Conte d'Olanda, a lui si grata
(Quantunqucprole io non gli fossi sola
Ch'era da dui fratelli accompagnata),
Cli'a quanto io gli chiedea, da lui parola
Contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avvenne
I Che ne la nostra terra un Duca venne.
I . 23
I Duca era di Selandia, e se ne giva
i Verso Discaglia a guerreggiar coi Mori^
j La bellezza e l'età eli' in lui fioriva,
i E li non più da me sentiti amori,
' Con poca guerra me gli ter captiva ;
j Tanto più che, per quel ch'apparea fuori,
I Io credea e credo, e creder credo il vero,
Ch'amassi et ami me con cor sincero.
I -^
I Quei giorni che con noi contrario vento.
Contrario agli altri, a me propizio, il tenne,,
(Ch'agli altri far quaranta, a me un mo-
Cosi al fuggire ebbon veloci penne)[raento:
Fummo più volte insieme a parlamento
Dove, che '1 matrimonio con solenne
Rito al ritorno suo saria tra nui.
Mi promise egli, et io '1 promisi a lui.
25
Bireno a pena era da noi partito
(Che cosi ha nome il mio fedele amante),
Che '1 Re di Frisa (la qual, quanto il lito
,
bordeggiare e, per non esser l'ovesciati,
vanno dove il vento li porta.
17. — Orlando si era diretto verso le isole
Ebridi, il vento lo ricaccia nel golfo di Nor-
mandia e lo spinge, attraverso il passo di
Calais, nel mare del Nord.
— 5. suto (accorciato da essuto) è il vero
))articipio passato di essere, come da bevere
bevuto ecc. Perdutosi poi quel perfetto, vi
>i sostituì il partic. del verbo stare.
— 8. Anversa, città dei Paesi Bassi. Il
fiume, che la bagna, è la Schelda.
18. 2. afflitto, avariato.
19. 5. ch'ella; perché ella.
20. 7. E come umano; V. e. v, 21, n. 7.
21. 7. grata e onesta. Dante, Purg. 7, 1 :
« Poscia che 1' accoglienze oneste e liete ».
Grata significa benevola, come nel e. xtv,
59, 8.
23. 1. Selandia. Non è la Zelanda, come
intendono quasi tutti i commentatori, ma
il Seeland isola della Danimarca. Ciò risulta
evidente dalla St. 16 e. x, dove si dice che,
partiti d' Olanda per andare in Selandia,
Bireno e i suoi « l'er non toccar Frisa piii
tenuti S'eran ver Scozia alla sinistra ban-
da». Se fossero venuti nella Zelanda, che
è a Sud dell' Olanda, non avrebbero in nes-
sun modo toccato la Prisia, che è a nord;
e la Scozia sarebbe rimasta sulla destra,
non sulla sinistra.
— 2. Nella Discaglia e nei monti delle
Asturie si tennero forti gliSpagnuoli contro
gli Arabi e i Mori invadenti.
— 4. non più; non mai. È comune anche
in prosa.
— 6. apparea; V. e. vi, 4, n. 6.
— 7. lo credea. Ricorda il bisticcio Dan-
tesco: Inf. 13, 25: « lo credo ch'ei credette
eh' io credesse ». — amassi ; V. e. n, 40, n. 8.
25. 3. quanto 11 lito ecc. I commentatori
in questo luogo o tacciono o sbagliano. Qui
l'A. si riferisce alla descrizione della Frisia
data dagli antichi ; specialm. da Tacito nella
CANTO IX
or,
Del mar divide il fiume, è a noi distante),
Disegnando il figliuol farmi marito,
Ch'unico al mondo avea, nomato Arbaute,
Per li più degni del suo stato manda
A domandarmi al mio padre in Olanda.
26 —
10 ch'all'aniante mio di quella fede
Mancar non posso, che gli aveva data;
E ancor ch'io possa. Amor non mi concede
Che poter voglia, e ch'io sia tanto ingrata;
Per ruinar la pratica eh' in piede
Era gagliarda e presso al fin guidata,
Dico a mio padre, che prima eh' in Frisa
Mi dia marito, io voglio essere uccisa.
27 [quanto
11 mio buon padre, al qual sol piacea
A me piacea, né mai turbar mi volse,
Per consolarmi e far cessare il pianto
Ch' io ne facea, la pratica disciolse:
Di che il superbo Re di Frisa tanto
Isdegno prese, e a tanto odio si volsi-,
Ch'entrò in Olanda, e cominciò la guerra
Che tutto il sangue mio cacciò sotterra.
•28
Oltre che sia robusto e si possente,
Che pochi pari a nostra età ritrova,
E si astuto in mal far, ch'altrui niente
La possanza, l'ardir, l'ingegno giova;
Porta alcun'arme che l'antica gente
Non vide mai, né, fuor eh' a lui, la nova:
Un ferro b'tfgìo,"lungo da dna braccia.
Dentro a cui polve et una palla caccia.
Col fuoj^0;^ietro ove la canna è chiusa.
Tocca un spiraglio che si vede a pena;
A guisa che toccare il medico usa
Dove è bisogno d'allacciar la vena:
Onde vien con tal suon la palla esclusa.
Che si può dir che tuona e che balena ;
Né meu che soglia il fulmine ove passa.
Ciò che tocca, arde, abatte, apre e fracas-
so [sa.
Pose due volte il nostro campo in rotta
Con questo inganno, e i miei fratelli uccise :
Nel primo assalto il primo; che la botta.
Rotto l'usbergo, in mezzo il cor gli mise:
Ne l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta
Fuggia, dal corjto l'anima divise;
E lo feri lontan dietro la spalla,
E fuor del petto uscir fece la palla.
31
Difendendosi poi mio padre un giorno
Dentro un caste! che sol gli era rimaso,
Che'tutto il resto avea perduto intorno,
Lo fé' con simil colpo ire all'occaso;
Che mentre andava e che facea ritorno.
Provedendo or a questo or a quel caso.
Dal traditor fu in mezzo gli occhi colto.
Che l'avea di lontan di mira tolto.
32
Morto i fratelli e il padre, e rimasa io
De l'isola d'Olanda unica erede,
Il re di Frisa, perché avea disio
Di ben fermare in quello stato il piede,
Mi fa sapere, e cosi al popol mio.
Che pace e che riposo mi concede, [te,
Quand'io voglia or, quel che non volsi inan-
Tor per marito il suo figliuolo Arbante.
Germania. I Frisi abitavano, non solo la
moderna Frisia, ma anche parte dell'olanda
settentrionale, e precisamente fino all'an-
tico Reno {che passa da Leida), il quale era
confine tra i Frisi e i Baiavi (divide il fiu-
me). Questi abitavano V isola d' Olanda,
(insula Batavorum). Solo nelle successive
invasioni del mare, e specialm. nel sec. xiii,
si formò il Zuidersee e rimase il nome di
Frisia solamente alla regione di là da esso.
28. 1. oltreché sia, V. e. VI, 79, n. 1.
— 5. alcun'arme ; un'arme. È usato anche
in prosa; Vili. 10, 205: « Apersono alcuna
porla della terra ».
— 7. U. f. bugio ; (per l' etimol. lo con-
nettono con bugia, in quanto è cosa vana
0 vuota) un ferro bucato. Dante, Pury. 20,
27: « Su per lo collo come fosse bugio».
L'archibugio, che con anacronismo poetico
r.\. suppone inventato da questo re Frisone,
fu invece inventato nel sec. xiv. Per l'etimol.
più probabile di archibugio v. e. xi, 25, n. 7.
29. 4. allacciar la vena. Intendono tutti
aprir la vena, toccando colla lancetta; ma
l'espressione sarebbe strana e l' immagine
incompleta, perché nell'archibugio V è già
un buco; la lancetta invece lo apre. È me-
glio intendere: come il medico mette il dito
là, dove, essendosi rotta una vena, e spic-
ciandone il sangue, e' è bisogno intanto di
comprimere colla mano, poi di fare rego-
lare allacciatura. Cosi è più completa l' im-
magine e corretta l'espressione.
30. 5. in frotta fuggi'a; fuggiva in com-
pagnia d'altri.
— 7. lontano; feri lui, che era già lontano.
31. 4. ire all'occaso; morire. È immagine-
poetica.
— 5. mentre... e che; V. e. iv, 35, n. 5.
32. 1. Morto i frat. Oggi di regola questi
participi si fanno personali, ma negli anti-
chi è frequente quest'uso impersonale, che
rammenta certe forme d'ablativo assoluto
latino, come cognito, audito, explorato,
ecc. Bocc. Nov. 73: « Ai quali ragionamenti
Calandrino posto orecchie ». Pulci 15, 72:
« Preso la porta ». Co:^i sopra st. 15, 7.
— 2. isola d' Olanda. Fazio degli Uberti,
Dittamondo iv, 15. « Olanda, Ch' è terra fer-
ma e par eh' isola sia Perocché il mar la
gira e la inghirlanda. Dico dalle due parti,
e cosi il Reno La chiude e serra ancor da
r altra banda ». Dagli antichi era detta in-
sula Batavorum. Vedi la St. 25, n. 3.
96
ORLANDO FURIOSO
33
Io per l'odio uon si, che grave porto
A lui e a tutta la sua iniqua schiatta,
Il qnal m'ha dui fratelli e 'i padre morto,
Saecheg:giata la patria, arsa e disfatta;
Come perché a colui non vo' far torto,
A cui già la promessa aveva fatta,
Ch'altr'uomo non saria che mi sposasse,
Fin che di Spagna a me non ritornasse:
34
Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento
Patir (rispondo), e far di tutto il resto;
Esser morta, arsa viva, e che sia al vento
La ceuer sparsa, inanzi che far questo.
Studia la gente mia di questo intento
Tormi : chi priega, e chi mi fa protesto
Di dargli in mano me e la terra, prinia
€he la mia ostinazion tutti ci opprima.
35
Cosi, poi che i protesti e i prieghi in va-
Vider gittarsi, e che pur stava dura, [uo
Presero accordo col Frisone, e in mano
(Come aveau detto) gli dier me e le mura.
<5uel, senza farmi alcuno atto villano,
De la vita e del regno m'assicura,
Pur eh' io indolcisca l'indurate voglie,
E che d'Arbante suo mi faccia moglie.
36
Io che sforzar còsi mi veggio, voglio,
Per uscirgli di man, perder la vita;
Ma se pria non mi vendico, mi doglio
Più che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier molti; e veggio al mio cordo
Che solo il simular può dare aita:, [glio
Fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,
Che mi perdoni, e sua nuora mi faccia.
37
Fra molti ch'ai servizio erano stati
Già di mio padre, io scelgo dui fratelli
Di grande ingeg-no e di gran cor dotati,
Ma più di vera lede, come quelli
Che cresciutici in corte, et allevati
34. 2. far di tutto il resto. É locuz. presa
dal giuoco. Quando uno è ridotto a mal par-
tito fa (giuoca) di tutto il resto per tentar
di rifarsi. Oggi più comuuera., in Toscana,
far di tutti.
— 6. fa protesto; mi protesta.
35. 7. indolcisca; rammollisca, mitighi.
lixdolcire le indurate voglie non pare al
Fornari accoppiamento felice d' immagini;
ma anch' oggi diciamo dolci i metalli e i le-
gni poco duri.
36. 7. Fingo ecc, non (nrostro) già che
non mi piaccia, ma fìngo che io brami (di
bramare) ecc.
37. 6. citelli. Diminutivo di citta, fanciul-
lo, voce Senese ancor viva. (Forse dal grec.
titthós, attraverso al ted. sitze ; mammella;
quindi poppante). — allevati S. s. V. e. xiii,
24, n. 3.
Si son con noi da teneri citelli;
E tanto miei, che poco lor parria
La vita por per la salute mia.
38
Coramunico con loro il mio disegno;
Essi prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un
L'altro meco in Olanda ho ritenuto, [legno;
Or mentre i forestieri e quei del regno
S' invitano alle nozze, fu saputo
Che Bireno in Biscaglia avea una armata,
Per venire in Olanda, apparecchiata:
39
Però che, fatta la prima battaglia
Dove fu rotto un mio fratello e ucciso.
Spacciar tosto un corrier feciin Biscaglia,
Che portassi a Bireno il tristo avviso;
Il qual mentre che s'arma e si travaglia.
Dal Re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno che di ciò nulla sapea.
Per darci aiuto, i legni sciolti avea.
40
Di questo avuto avviso il Re Frisone,
De le nozze al figliuol la cura lassa;
E con l'armata sua nel mar si pone: .
Trova il Duca, lo rompe, arde e fracassa,
E, come vuol Fortuna, il fa prigione;
Ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa intanto il gìovene, e si vuole
Meco corcar come si corchi il sole.
41
Io dietro alle cortine avea nascoso
Quel mio fedele; il qual nulla si mosse
Prima che a me venir vide lo sposo;
E non l'attese che corcato fosse.
Ch'alzò un'accetta, e con si valoroso
Braccio dietro nel capo lo percosse,
Che gli levò la vita e la parola :
Io saltai presta, e gli segai la gola.
42 '■''''
Come cadere il bue suole al macello,
— 7. miei; a me favorevoli.
39. 4. portassi. V. e. it, 40, n. 8.
40. 6. non passa; non giunge; V. C. Il, 19,
n. 1.
41. 3. Prima che... vide. Per l'uso dell'in-
die, cfr. e. v, 26. n. 7.
— 5. Che; perché. Intendi: perché, appe-
na lo vide entrare, alzò un'accetta ecc.
— 8. gli segai la gola. Ad alcuni spiacque
quest'atto truce, ma l'A. volle cosi lasciare
intravedere perché Olimpia venisse in odio
a Bireno, o forse presentarci un tipo dell'an-
tica donna Germanica affettuosa e delicata,
ma al bisogno feroce e vendicativa. Si ri-
cordi Crimilde dei Nibelunghi.
42. 1. Come ecc. Ricorda il luogo del-
l'Eneide, V, 4SI : « Sternitur exauimisque
tremens procumbit humi bos ».
CANTO IX
97
Cade il mal nato giovene, in dispetto
Del Re Cimosco, il più d'ogn'altro fello;
Che l'empio Re di Frisa è cosi detto,
Che morto l'uno e l'altro mio fratello
M'avea col padre, e per meglio suggetto
Farsi il mio stato, mi volea per nuora ;
E forse un giorno uccisa avria me ancora.
43
Prima ch'altro disturbo vi si metta,
Tolto quel che più vale e meno pesa.
Il mio compagno al mar mi cala in fretta
Da la finestra, a un canape sospesa,
Là dove attento il suo fratello aspetta
Sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.
Demmo le vele ai venti, e i remi all'acque;
E tutti ci salviàn come a Dio piacque.
44
Non so se'l Re di Frisa più dolente
Del figliol morto, o se più d'ira acceso
Fosse contra di me, che 1 di seguente
Giunse là dove si trovò si offeso.
•Superbo ritornava egli e sua gente
De la vittoria e di Bireno preso;
E credendo venire a nozze e a festa.
Ogni cosa trovò scura e funesta.
45
La pietà del figliuol, l'odio ch'aveva
A me, né di né notte il lascia mai.
Ma perché il pianger morti non rileva,
E la vendetta sfoga l'odio assai;
La parte del pensier, ch'esser doveva
De la pietade in sospirare e in guai,
Vuol che con l'odio a investigar s'unisca,
Com'egli m'abbia in mano, e mi punisca.
46
Quei tutti che sapeva e gli era detto
Che mi fossino amici, o di quei miei
Che m'aveano aiutata a far l'effetto,
Uccise, 0 lor beni arse, o li fé' rei.
— 2. in dispetto; a dispetto. È modo assai
frequente, v. st. 46, 5.
— 3. il più d'ogn'altro fello. L'artic. non
sarebbe necessario; ma si usa non di rado
per eleganza in queste locuz. superlative.
A', e. VI, 55, n. 1.
43. S. salvian. Dante, De Vulg. El., I, 13,
rimprovera ai Fiorentini di dire facciano
per facciamo ; ma le terminazioni ano eno
per amo emo usarono spesso gii antichi,
Fiorentini o no. V. Nannucci, An. Cr. p. 101.
44. 3. che '1 di' seguente. Il che si riferisce
a Re; ma è poco chiaro.
45. 5. La parte ecc., la parte del pensiero
che doveva esser consacrata alla pietà e
sfogarsi in sospiri e lamenti.
46. 2. 0 di qnei miei ; o fossero di quei
miei familiari, che ecc.
— 4. 0 li fé rei ; li dichiarò colpevoli. Ac-
cenna a coloro, che. avendo accompagnata
Olimpia nella fuga, non poterono esser presi
Volse uccider Bireno in mio dispetto;
Che d'altro si doler non mi potrei:
Gli parve poi, se vivo lo tenesse.
Che per pigliarmi, in man la rete avesse.
47
Ma gli propone una crudele e dura
Coudizion: gli fa termine un anno,
Al fin del qual gli darà morte oscura,
.Se prima egli per forza o per inganno.
Con amici e parenti uon procura,
Con tutto ciò che ponno o ciò che sanno,.
Di darmigli in prigion : si che la via
Di lui salvare, è sol la morte mia.
48
Ciò che si possa far per sua salute,
Fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:
E '1 poco o'I molto prezzo ch'io n'ho tratto,
Parte, tentando per persone astute
I guardiani corrumpere, ho distratto;
E parte, per far muovere alli danni [ni.
Di quell'empio or gl'Inglesi or gli Alaman-
49
I mezzi, 0 che non abbiano potuto,
O che non abbian fatto il dover loro,
M'hanno dato parole e non aiuto;
E sprezzano or che n' han cavato l'oro:
E presso al fine il termine è venuto.
Dopo il qual né la forza né '1 tesoro
Potrà giunger più a tempo, si che morte
E strazio schivi al mio caro consorte.
50
Mio padre e miei fratelli mi son stati
ed uccisi. Per l'espressione cfr. e. vi, T,
n. 7.
47. 3. morte oscura; ignobile. Altri intende
atì-oce.
— 6. Con tutto ciò ecc., servendosi di a-
mici, di parenti e di ?m«o ciò che essi pos-
sono e sanno.
— 7. in prigion; come prigioniera. In iu
senso di coìue, per ha moltissimi esempi
nella Ietterai. M. Villani, 11, 26: « Elessouo
in.papa ». Boccaccio, Filocolo 1. 4. «E noi
sempi'e in caro padre terrai ».
48. 6. ho distratto ; ho consumato, ho spe-
so. \on è frequente.
49. 1. I mezzi; i mezzani. Machiav. Di-
scorsi, 1, 31: «Si venue alla creazione
de' tribuni, mezzi fra la plebe e il senato ».
— 4. sprezzano. O è detto assolutam.: Sono
sprezzanti; o deve sottintendersi il prono-
me mi.
— 8. schivi; allontani, risparmi. 11 co-
strutto schivare una cosa a uno, che l'A.
amò più volte (xi, 56, 5") è citato dai vocabol.
con questi soli esempi dell'A. — consorte
Olimpia chiama Bireno nel senso di futuro
consorte; cosi cognate al e. xxxvii, 23.
50. 1. miei fratelli. Avverti che nel buon
Ariosto — Papini
9S
ORLANDO FURIOSO
Morti per lui; per lu" ^oltomi il regno;
Pf r lui quei pochi beni che restati
Meran, del viver mio soli sostegno.
Per trarlo di prigione ho dissipati:
Xé mi resta ora in che più far disegno,
8e non d'andarmi io stessa in mano a porre
Di si crudel nimico, e lui disciorre.
51
Se dunque da far altro non mi resta,
Né si trova al suo scampo altro riparo.
Che per lui por questa mia vita; questa
Mia vita per lui por mi sarà caro.
Ma sola una paura mi molesta,
Che non saprò far patto cosi chiaro,
Che m'assicuri che non sia il tiranno,
Poi ch'avuta m'avrà, per fare inganno.
52
Io dubito che poi che m'avi'à in gabbia,
E fatto avrà di me tutti li strazii.
Né Bireno per questo a lasciare abbia,
.Si ch'esser per me sciolto rairingrazii;
Come periuro, e pien di tanta rabbia,
Che di me sola uccider non si sazii :
E quel ch'avrà di me, né più ne meno
Faccia di poi del misero Bireno.
53
Or la cagion che conferir con voi
Mi fa i miei casi, e eh' io li dico a quanti
Signori e cavallier vengono a noi,
È solo acciò, parlandone con tanti.
M'insegni alcun d'assicurar che, poi
Ch'a quel crudel mi sia condotta avanti.
Non abbia a ritener Bireno ancora,
. Né voglia, morta me, ch'esso poi mora.
54
Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
Quando io mi darò in mano al Re di Frisa;
Ma mi prometta, e la sua fé mi dia.
Che questo cambio sarà fatto in guisa,
Ch'a un tempo io data, e liberato fia
Bireno: si che quando io sarò uccisa,
uso si lascia l'art, al singol. di questo e altri
nomi di parentela, non al plur.
— 6. in che... far dis. Costrutti più comiini
.«ono: Far disegno su, sopra, e anche di.
Quest'ultimo è nel verso seg.
52. 3. Né... per questo; neppure per que-
■nio\ V. e. II, 11, n. 4.
— 4. esser... mi ringrazi!. Omissione della
prep. di, come spesso; v. e. i, 4, n. 1.
— 5. periuro. Latinismo (periurus) non
frequente.
— 6. Che. Dipende da dubito del v. 1.
— 7. avrà di me. Sottint. fatto. Ellissi
assai ardita.
53. ■^. e ch'io; e perché io. Il c/^e dipen-
de da cagione.
— '>. assicurar; assicurarmi. Sul!' omis-
sione del pron. v. i, 21, u. 7. Fois' anche
significa render sicuro (il successo).
Morrò contenta, poi che la mia morte
Avrà dato la vita al mio consorte.
55
Né fino a questo di trovo chi toglia
Sopra la fede sua d'assicurarmi.
Che quando io sia condotta, e che mi vo-
Aver quel Re, senza Bireno darmi, [glia
Egli non lascierà contra mia voglia,
Chepresaiosia: sì temeognun quell'armi ;
Teme quell'armi, a cui par che non possa
Star piastra incontra, e sia quanto vuol
56 [grossa.
Or, s'in voi la virtù non è diforme _ ■
Dal fier sembiante e da l'Erculeo aspetto,
E credete poter darmegli, e torme
Anco da lui, quando non vada retto;
Siate contento d'esser meco a porme
Ne le man sue: ch'io non avrò sospetto,
Quando voi siate meco, se ben io
Poi ne morrò, che mora il signor mio.
57
Qui la Donzella il suo parlar conchiuse.
Che con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando, poi ch'ella la bocca chiuse.
Le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
In parole con lei non si diffuse;
Che di natura non usava troppe:
Ma le pi'oraise, e la sua fé le diede.
Che farla più di quel ch'ella gli chiede.
58
Non è sua intenzion ch'ella in man vada
Del suo nimicò per salvar Bireno:
Ben salverà amendui, se la sua spada
E l'usato valor non gli vien meno.
Il medesimo di piglian la strada.
Poi eh' hanno il vento prospero e sereno.
Il Paladin s'affretta; che di gire
All'isola del Mostro avea desire.
59
Or volta all'una, or volta all'altra banda
Per gli alti stagni il buon nocchierlavela:
Scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;
Scuopreunainanzi,eun'altraadietrocela.
Orlando smonta il terzo di in Olanda;
55. 3. quando... e che; v. e. IV, 65, n. 5.
56. 1. diforme; difforme.
57. 0. Che. Può essere relativo di parole
e può essere congiunzione perché: e in
questo caso avremmo sottinteso il pron. ne.
V. e. I, 21, n. 7.
58. 6. sereno. Non intenderlo come aggett.
di vento, ina come sostantivo, tempo sereno^
— 8. All'isola ecc., ad Ebuda, per com-
battere il mostro.
59. 1. Or volta ecc. Partono di Fiandra
per la Schelda alla volta dell'Olanda e tro-
vano le varie isole della Zelanda. Fiumi e
mare si insenano in modo da formare degli
stagni fra le isole.
i — 4. cela, perde di vista, ii poetico. È.
CANTO IX
99
Ma non smonta colei che si querela
Del Re di Frisa: Orlando viiolche intenda
La morte di quel rio. prima che scenda.
60
Nel lito armato il Paladino varca
Sopra un corsier di pel tra bigio e nero.
Nutrito in Fiandra, e nato inDanismarca,
Grande e possente assai più che leggiero ;
Però ch'avea, quando si messe in barca,
In Bretagna lasciato il suo destriero.
Quel Brigliador si bello e si gagliardo,
Che non ha paragon, fuor che Baiardo.
GÌ [truova
Giunge Orlando a Dordrecche, e quivi
Di molta gente armata in su la porta;
Si perché sempre, ma più quando è nuova,
Seco ogni signoria sospetto porta;
Si perché dianzi giunta era una nuova,
Che di Selandia con armata scorta
Di navilii e di gente un cugin viene
Di quel Signor ciie qui prigion si tiene.
G-2.
Orlando prega uno di lor, che vada
E dica al lìe, ch'un cavalliero errante
Disia con lui provarsi a lancia e a spada:
Ma che vuol che tra lor sia patto inante.
Che se '1 Re fa che, chi lo stida, cada.
La donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante:
Che '1 cavallier l'ha in loco non lontano
Da poter sempre mai darglila in mano :
(J.H
Et all'incontro vuol die "! Re prometta
Ch'ove egli vinto ne la pugtia sia,
Bireno in libertà subito metta,
E che lo lasci andare alla sua via.
Il fante al Re fa l'imbasciata in fretta:
Ma quel, che né virtù né cortesia
Conobbe mai, drizzò tutto il suo intento
Alla fraude, all'inganno, al tradimento.
04
Gli par ch'avendo in mano il cavalliero,
Avrà la donna ancor, che si l'ha offeso,
S'in possanza di lui la donna è vero
citato dai vocab. con questo solo esempio
dell'A.
60. 3. Danismarca; Danimarca.
61. 1. Dordrecche, Dordrecht, città d' O-
landa.
— 2. Di molta, molta : è una locuzione par-
liti va, comunissima ancora iii Firenze. V.
FORNACi.\Ri, Sita. p. 107 e 32b.
— 6. scorta; È sostantivo.
62. 6. d'aver; da aver. V. e. v, 10, n. 5.
63. 3. metta; più regolarmente metterà.
Forse i verbi inetta e lasci sono stati tra-
scinati da vuol del primo v. con una costru-
ziofl^. a senso (sillessi).
^iW. fraade . . . inganno... tradimento. La
frode si riferisce all' intenzione dolo.sa di
chi la commette; Y inganno agii effetti, che
Che si ritrovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
Diverso da la porta ov'era atteso,
Che dopo occulto et assai lungo giro.
Dietro alle spalle al Paladino uscirò.
65
Il traditore intanto dar parole
Fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti
Vede esser giunti al loco ove egli vuole:
Da la porta esce poi con altretànti.
Come le fere e il bosco cinger suole
Perito cacciator da tutti i canti;
Come presso a Volana i pesci e l'onda
Con lunga rete il pescator circonda:
66
Cosi per ogni via dal Re di Frisa,
Che quel guerrier non fugga, si provede.
Vivo lo vuole, e non in altra guisa :
E questo far si facilmente crede.
Che '1 fulmine terrestre, con che uccisa
Ha tanta e tanta gente, ora non chiede;
Che quivi non gli par che si convegna,
Dove pigliar, non far morir disegna.
67 .
Qual cauto ucccllator che serba vivi.
Intento a maggior preda, i primi augelli,
Acciò in più quantitade altri captivi
Faccia col giuoco e col zimbel di quelli ;
Tal esser volse il Re Cimosco quivi:
Ma già non volse Orlando esser di quelli
Che si lascih pigliare al primo tratto;
E tosto roppe il cerchio ch'avean fatto.
68
Il cavallier d' Anglante, ove più spesse
Vide le genti e l'armi, abbassò l'asta;
Et uno in quella e poscia un altro messe
colpiscono la vittima: vi può essere inganno
senza fi-ode. Il tradimento è frode verso
chi si fida.
64. 5. Trenta uomini ecc. Più coniuneni.:
•A. trenta uomini fece pigliar ecc. Qui l'A.
ha seguito il costrutto dì fare coi verbi in-
transit. il cui soggetto si pone regolarmen-
te; per es. Feci entrare quattro uomini in
casa.
65. 7. Volana, Volano. Piccolo caseggiato
presso la foce del Po di Volano. Ivi si fa
pesca abbondante con una rete lunga detta
da quei pescatori tratta, forse la stessa, che
in Toscana si dice sciàbica o resT-uòla.
67. 4. giuoco... zimbel sono spesso la stessa
cosa nel linguaggio della caccia. Qui iiiiioco
significa l'uccello legato a un'asticella e fatto
sollevare di tratto in tratto per mezzo d'un
filo, affinché sia veduto dagli altri uccelli;
zimbello, vale spesso la stessa cosa, ma
anche, come qui, i-ichiamo, che si tiene in
gabbia, (da cymbalum, cymbellum campa-
nella per chiamare i monaci al coro).
— 8. roppe. Questa forma di perfetto è
100
ORLA>iDO FURIOSO
E un altro e un altro, che sembrar di pasta:
E tìn a sei ve n infilzò; e li resse
Tutti una lancia: e perch'ella non basta
A pili capir, lasciò il settimo fuore
Ferito si, che di quel colpo muore.
69
Non altrimente ne l'estrema arena
Veggiàn le rane di canali e fosse
Dalcautoarcierneìtianchiene la schiena,
L'una vicina all'altra, esser percosse;
Né da la freccia, fin che tutta piena
Non sia dauncapoairaltro,esserrimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
E con la spada entrò ne la battaglia.
70
Rotta la lancia, quella spada strinse.
Quella che mai non fu menata in fallo;
E ad ogni colpo, o taglio o "punta, estinsc
Quando uomo a piedi, e quando uomo a ca-
[vallo:
Dove toccò, sempre in vermiglio tinse
L'azurro, il verde, il bianco, il nero, il gial-
Duolsi Cimosco,che la canna e il foco [lo.
Seco or non ha, quando v'avrian piti loco:
71
E con gran voce e con minaccie chiede
Che portati gli sian: ma poco è udito;
Che chi ha ritratto a salvamento il piede
Ne la città, non è d'uscir più ardito.
11 Ke Frison che fuggir gli altri vede.
D'esser salvo egli ancor piglia partito:
Corre alla porta, e vuole alzare il ponte;
Ma troppo è presto ad arrivare il Conte.
72
Il Re volta le spalle, e signor lassa
Del ponte Orlando, e d'amendue le porte;
E fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,
Mercé che '1 suo destrier corre più forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa;
Vuole il fellou,non gli altri,porreamorte.
Ma il suo destrier si al corso poco vale,
Che restio sembra, e chi fugge,abbiaralo.
consentanea coll'iuf. rompere e molto usata
dagli antichi.
68. 7. capir, contenei'e. Più spesso significa
esser cotiteniito, entrare: ma VA. l'usò più
volte neirsdtro signific. x, 54; xxxiii, 108;
XXII, 32.
69. l. estrema arena, estremità della spon-
da arenosa di canali e f. V. e. i, 24 n. 6.
70. 3. taglio, o punta; o taglio o puntata.
Dante, Pury. iii, 119: «Di due punte mor-
tali ■».
— 6. L'azzurro ecc. I colori delle soprav-
veste e delle insegne.
72. 2. d'amendue le porte; L'una, che si
chiudeva col rastrello, prima del ponte le-
vatoio (V. 0. vili, 3 u. 6), l'altra, che met-
teva dentro la cinta delle mura. Potrebbe
73
D'una in un'altra via si leva ratto
Di vista al Paladiu; ma indugia poco,
Che torna con nuove armi; che s'ha fatto
Portare in tanto il cavo ferro e il foco:
E dietro un canto postosi di piatto.
L'attende, come il cacciatore al loco,
Coi cani armati e con lo spiedo, attende
Il fìer ciugial che ruinoso scende,
74 n
Che spezza i rami e fa cadere i sassi,
E ovunque drizzi l'orgogliosa fronte.
Sembra a tanto rumor che si fracassi
La selva intorno, e che ^i svella il monte.
Sta Cimosco alla posta, acciò non passi
Senza pagargli il fio l'audace Conte.
Tosto ch'appare, allo spiraglio tocca
Col fuòco il ferro; e quel subito scocca.
• . ' 7.Ó
Diètro lampeggia a guisa di baleno, ^
Dinanzi scoppia, e manda in aria il tuoiìo.
Triemau le mura, e sotto i pie il terreno;
11 ciei ribomba al paventoso suono.
L'ardente strai, che spezza e venir meno
Fa ciò eli incontra, e da a nessun perdono,
Sibila e stride; ma, come è il desire
Di quel brutto assassin, non va a ferire.
76
O sia la fretta, o sia la troppa voglia
D'uccider quel Barou, ch'errar lo faccia;
0 sia che il cor, tremando come foglia.
Faccia insieme tremare e mani e braccia;
0 la bontà divina che non voglia
anche accennare a doppia cinta di mura;
ma la prima interpretazione è preferibile.
73. 5. di piatto; nascostamente. Adr. a.,
Disciplin. milit. , 103: «Con tal fingimento
se ne stia di piatto ». L'A. l'usò più volte.
Cosi Pulci, Morg. 11, 2, 4 e altri.
— 6. al loco; alla posta.
— 7. armati ; « Credo intenda: armati di
collare a punte di ferro, per difenderli da-
gli animali feroci, che li afferrassero per
il collo » Gas. — spiedo ; arma in asta, che si
adoprava specialra. per ferire il cinghiale
nella caccia. Era anche arma da guerra.
V. e. xiv, 5, 8. Omero, /;. xn, 174: « Come
silvestri Verri, ch'odon sul monte avvici-
narsi Il fragor della caccia impetuosi Ful-
minando a traverso, a se dintorno Ronipon
la selva, schiantano la rosta Dalle radici e
sentir fanno il suono Del terribile dente ».
— S. cingial. V. e. i, 41, n. 1.
75. 4. ribomba, rimbomba; e. xxiv, 8, 1.
— paT«nto8o, che mette paura. K frequente
negli antichi. Cellim, Vita,i,til: «Con isoli
sguardi mi fece una paventosa bravata ».
— 5. spezza... venir meno. Nello spezza
l'A. avea in mente le cose, nel venir nieno
le persone. — strai ; la palla.
CANTO IX
101
Che '1 suo fedel campion si tosto giaccia;
Quel colpo al ventre del destrier si torse;
Lo cacciò iu terra, onde mai più non sorse.
, 77
Cade a terra il divallo e il cavalliero;
La preme l'un, la tocca l'altro a pena,
Che si leva si destro e si leggiero.
Come cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il libico Anteo sempre più fiero
Surger solea da la percossa arena;
Tal surger parve, e che la forza, quando
Toccò il terren, si raddoppiasse a Orlando.
78
Chi vide mai dal ciel cadere il foco
Che con si orrendo suon Oiove disserra,
E penetrare ove un rinchiuso loco
Carbon con zolfo e con salnitro serra;
Ch'a pena arriva, a péna tocca un poco,
Che par ch'avvampi il ciel, non che la ter-
iSpezzalemura,ei gravi marmi svelle, [ra;
E fa i sassi volar sin alle stelle;
7&
S'imagini che tal, poi che cadendo .
Toccò la terra, il Paladino fosse:
Con si fiero sembiante aspro et orrendo.
Da far tremar nel ciel Marte, si mosse.
Di che smarrito il Re Frison, torcendo
La briglia in dietro, per fuggir voltosse;
Ma gli fu dietro Orlando con più fretta
Che non esce da l'arco una saetta:
80
E quel che non avea potuto prima
Fare a cavallo, or farà essendo a piede.
Lo seguita si ratto, ch'ogni stima ' ^
Di chi noi vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in poca strada; et alla cima
De l'elmo alza la spada, e si lo tìcde,
Che gli parte la testa fin al collo,
E in terra il manda a dar l'ultimo crollo.
81
Ecco levar ne la città si sente
Nuovo rumor, nuovo menar di spade;
Che '1 cugin di Bireno con la gente
Ch'avea condutta da le sue contrade,
Poi che la porta ritrovò patente,
Era venuto dentro alla cittade
Dal Paladino in tal timor ridutta,
Che senza intoppo la può scorrer tutta.
82
Fugge il popolo in rotta; clie non scorge
Chi questa gente sia, né che domandi:
Ma poi ch'uno et un altro pur s'accorge
All'abito e al parlar, che son Selandi,
Chiede lor pace, e il foglio bianco porge;
E dice al capitan che gii comandi,
E dar gli vuol contra i Frisoni aiuto.
Che '1 suo Duca in prigiou gli lia riteiiiito.
83
Qutd popol sempre stato era nimico
Del Re di Frisa e d'ogni suo seguace.
Perché morto gli avea il Signor antico,
Ma più perch'era ingiusto, empio e rapace.
Orlando s'interpose come amico
D'ambe le parti, e fece lor far pace;
Le quali unite, non lasciar Frisone
Che non morisse o non fosse prigione.
84
Le porte de le carcere gittate
A terra sono, e non si cerca chiave.
Bireno al Conte con parole grate
Mostra conoscer l'obligo che gli bave.
Indi insieme e con molte altre brigate
.Se ne vanno ove attende Olimpia in nave,
Cosi la donna, a cui di ragion spetta
il dominio de l' isola, era detta ;
77. 4. possa e lena. La lena è l'energia
che alimenta la possa.
— 5. Anteo, gigante favoloso della Libia,
quante volte, combattendo, cadeva, riaveva
nuove forze dalla madre Terra. Ercole l'uc-
cise alzandolo e soffocandolo fra le braccia.
78. 4. Carbon ecc.; la polvere pirica.
80. 3. ch'ogni stima ecc.; elle supera quan-
to può stimare e credere chi noi vide.
81. 2. nuovo menar. Dipende non da levar,
ma da .vi sente.
— 5. patente, (lat. patere, essere aperto)
aperta. Cosi Cinque Canti iii, 53.
82. .5. il foglio bianco porge. Dare, Man-
dare, O/frire, Porgere il foglio bianco vale
dare pieno arbitrio in un affare. Sono
espressioni comunissime nella Ietterai. Oggi
si dice piuttosto dar carta bianca.
— 8. gli ha riten. Questo sing., ciie è con-
fermato dalle ediz. del 1510 e 1521, ed ha
riscontro in altri quattro luoghi del Fur.
(XII, 30, 0; XXXV, 25, 0; xlii, 3; x.nii, 1S5, 5)
è una bizzarria che 1' .\. ha imitato da al-
cuni esempi antichi. Pulci, Mory. 20. 29 :
« Che non ti sosterrebbe dieci trave ». Ed è
un uso impersonale del verlio, che il popolo
Toscano serba ancora. — suo duca, Bireno
duca dei Selandi.
83. 1. Quel popol. Gli Olandesi erano vec-
chi nemici dei Frisoni, perché avevano uc-
ciso il loro Signore, padre d' Olimpia, e
perché erano ingmsti ecc.
— 6. D'ambe le parti. Intendi: fra i See-
landesi e gli Olandesi. Ricongiungilo col
pensiero della .St. precedente, non coi primi
quattro di (juesta.
84. 1. carcere. Negli anticlii scrittori ab-
biamo spesso 1' e nel plur. dei sostantivi
e degli aggeli, della quarta declinaz. Il Mo-
rali cita esempì di Dante, del villani, del
Pulci. L'A. l'usò in altre quattordici parole.
— 4. bave, ha. V. e. x, JS, 4.
102
ORLANDO FURIOSO
85
. Quella che quivi Orlando avea condutto
Non cou pensier che far (;loveBse tanto;
Che le parca bastar che, posta in lutto
Sol lei, lo sposo avesse a ti-ar di pianto.
Lei riverisce e onora il popol tutto.
Lungo sarebbe a ricontarvi quanto
Lei Bireno accarezzi, et ella lui;
Qual grazie al Conte rendano ambidui.
86
Il popol la donzella nel paterno
Seggio riinette, e fedeltà le giura.
Ella a Bireno, a cui con nodo eterno
La legò Amor d'una catena d.ura«»
De lo stato e di sé dona il governo.
Et egli tratto poi da un'altra cura,
De le fortezze e di tutto il domino
De l'isola guardian lascia il cugino;
87
Che tornare in Selandia avea disegno,
E menar seco la fedel consorte:
E dicea voler fare indi nel regno
Di Frisa esperienza di sua sorte;
Perché di ciò l'assicurava un pegno
Ch'egli avea in mano, e lo stimava forte:
La figliuola del Re, che fra i captivi,
Che vi fur molti, avea trovata quivi.
88
E dice ch'egli vuol eh' un suo germano.
Ch'era minor d'età, l'abbia per moglie.
Quindi si parte il Senator romano
Il di medesmo che Bireno scioglie. ;
Non volse porre ad altra cosa mano
Fra tante e tante guadagnate spoglie,
8e non a quel tormento ch'abbiàn detto
Ch'ai fulmine assimiglia in ogni effetto.
89
L'intenzion non già, perché lo toUe,
Fu per voglia d'usarlo in sua difesa:
Che sempre atto stimò d'animo molle [sa;
Gir con vantaggio in qual si voglia impre-
]Ma per gittarlo in parte, onde non volle
Che mai potesse ad uom pili fare offesa:
85. 6. ricontarvi, raccontarvi. Petr.. i,
son. 60: «Lungo fora a ricontarve ».
86. 3. nodo eterno, con nodo, che, quanto
a lei, non si sciolse se non colla morte di
Bireno.
88. 3. il Senator romano, Orlando, cosi
detto anche negli antichi poemi.
— 4. scioglie, salpa. È termine tecnico.
Caro, En. 4, §(30: « Enea per riposar pria
che sciogliesse ». V. st. 44, 1.
— 7. tormento, (lat. tornientum). Fu no-
me generico di macchine militari antiche,
atte a scagliar pietre o altro. L'A. l'usa per
archibuso. v. e. xvi, 56, 4.
89. 1. l'intenzion, perché lo toUe, fu non
già per voglia ecc.
E la polve e le palle e tutto il resto
Seco portò, ch'apperteueva a questo.
E cosi, poi che fuor de la marea
Nel più profondo mar si vide uscito
8i, che segno lontan non si vedea
Del destro pili né del sinistro lito;
Lo tolse, e disse: Acciò pili non istea
Mai cavallier per te d'essere ardito,
Né quanto il buono vai, mai più si vanti
Il rio per te valer, qui giù rimanti.
01
0 maladetto, o abominoso ordigno,
Che fabricato nel tartareo fondo
Fosti per man di Belzebù maligno
Che minar per te disegnò il mondo,
All'inferno, onde uscisti, ti rassigno.
Cosi dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento in tanto le gonfiate vele
Spinge alla via dell'isola crudele.
92
Tanto desire il Paladino ^enre
Di saper, .se la donna ivi si trova.
Ch'ama assai più che tutto il mondo insie-
Né un'ora senza lei viver gli giova; [me
Che s'in Ibernia mette il piede, teme
Di non dar tempo a qualche cosa nuova,
Si ch'abbia poi da dir in vano: Ahi lasso!
Ch'ai venir mio non affrettai più il passo.
93
Né scala in Inghilterra né in Irlanda
Mai lasciò far, né sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
Il nudo Arcier che l'ha nel cor ferito.
— 8. apperteneva. Questa forma (lat. per-
tlnere) usò pure nel e. xlvi, 103. Il Boccaccio,
Nov. 50 ha ìjertoigono. Ma ora son forme
disusate ; solo è rimasto il partic. perti-
nente.
90. 1. marea; Propriam. vale Flusso e
riflusso; ma qui La parte del mare vicina
alla spiaggia, clie facilmente si agita, per-
ché l'acqua è poco profonda.
— 5. istea; stia. Dante, Inf. 33, 122. « Co-
me il mio corpo stea ».
91. 5. rassigno, rassegno, restituisco.
— 6. in profondo, nel profondo : sono
espressioni ugualmente usate nella nostra
lingua.
— S. alla via; alla volta. Non è comune.
Guicciardini, st., 17, 18. «Alla via dell'e-
sercito ».
92. 4*. Né nn'ora ecc. L'A. usa spesso in-
terrompere cosi il costrutto con una pro-
posiz. incidente, che sta come in parentesi.
— 5. Che. Dipende dal tanto del v. 1.
93. 1. scala ecc. Fare scala. Pigliar porto.
— i. il nudo Arcier, Amore, che si rap-
presenta come un fanciullo nudo, armato
di arco.
CANTO IX
103
Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda
Tornare, e voi meco a tornarvi invito;
Che, come a me, so spiacerebbe a voi.
Che quelle nozze fosson senza noi.
94
Le nozze belle e sontuose fauno;
Ma non si sontuose né si belle.
Come in Selandia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle ;
Perché nuovi accidenti a nascere hanno
Per disturl)arle, de' quai le novelle
All'altro Canto vi farò sentire,
S'all'altro Canto mi verrete a udire.
CANTO X
1 [do
Fra quanti amor, fra quante fede al mou-
Mai si trovar, fra quanti cor constanti.
Fra quante, o per dolente o per giocondo
Stato, fèr prove mai famosi amanti;
Più tosto il primo loco, eh' il secoudo.
Darò ad Olimpia: e se pur non vainanti.
Ben voglio dir che fra gli antichi e novi
Maggior de l'amor suo non si ritrovi;
2
E che con tante e con si chiare note
Di questo ha fatto il suo Bireno certo.
Che donna pilotar certo uomo non puote.
Quando anco il petto e il cor mostrasse
E s' anime si fide e si devote [aperto:
D' un reciproco amor denno aver merto,
Dico ch'Olimpia è degna che non meno.
Anzi più che sé ancor, l'ami Bireno;
E che non pur non l'abandoni mai
Per altra donna, se ben fosse quella
Ch' Europa et Asia messe in tanti guai, '
O s' altra h^ maggior titolo di bella;
Ma più'fÒ^tó che lei, lasci coi rai
Del sol l'udita e il gusto e la favella ^^ <c
E la vita e la fama, e s' altra cosa
Dire 0 pensar si può più preziosa.
4
Se Bireno amò lei come ella amato
Bireno avea; se fu si a lei fedele,
Come ella a lui; se mai non ha voltato
Ad altra via, che a seguir lei, le vele;
0 pur s' a tanta servitù fu ingrato,
A tanta fede e a tanto amor crudele.
Io vi vo' dire, e far di maraviglia
Stringer le labra, et inarcar le ciglia.
"^ 5
E poi che nota l' impietà vi fia.
Che di tanta bontà fu a lei mercede,
Donna alcuna di voi mai più non sia,
Ch' a parola d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia.
Senza guardar che Dio tutto ode e vede.
Avviluppa promesse e giuramenti,
Che tutti spargon poi per l'aria i venti.
6
I giuramenti e le promesse vanno.
Dai venti in aria dissipate e sparse
Tosto che tratta questi amanti s'hanuo
L'avida sete che gli accese et arse.
Siate a'prieghi et a'pianti che vi fanno,
Per questo esempio, a credere più scarso.
Bene è felice quel. Donne mie care,
Ch' essere accorto all'altrui spese impare
1. 1. fede; v. e. ix, 84, n. 1.
— 7. nuovi, moderni, sottint. amori, che
si rileva dal verso seguente.
2. 6. D'un reciproco ecc. Debbono avere
il premio d'un amore ricambiato, d'esser
ricambiate in amore. — Merito xìreìnio v.
e. II, 16, n. 3.
3. 2. quella; Elena, causa della guerra
Troiana.
— 4. titolo di bella; vanto, nome di bella.
Peti". Tr. d'Ani. 1, 135: « Poi vien colei
eh' ha '1 titol d'esser bella ».
— 6. l'udita, l'udito. È forma rara. Teso-
ro di Briin. L. 3, 5 : « E la veduta e l'udita
e la boce loro sia ben chiara ».
4. 5. servitù; amorosa cura, che si ha
verso la persona amata.
5. 1. impietà, (lat. impietas). Forma fre-
quente negli antichi.
— 3. Donna ale. gli autografi, visti da noi,
hanno: Donne alcuna: e forse è questa b
vera lezione.
— 4. Questo e i segg. versi sono imita?.,
di Catullo 64, 142 seg. « lam iam nulla viro
iuranti foemina credat. Nulla viri speret
sermones esse fideles. Quis dum aliquid cu-
piens animus praegestit apisci, Xil metuunt
iurare, nihil promittereparcunt; Sed, simul
ac cupidae mentis satiata libido est. Dieta
nihil meminere, nihil periuria curant ». E
poco prima: « Quae cuncta aerei discerpunt
irrita venti ».
6. 6. scarse, caute; non corrive. Daxte,
Purg., 17, 3: « Quel ch'ancor fa li padri a'
figli scarsi ».
— 7. Ben è felice ecc. Plauto, Mercator,
4, 7, 40: « Feliciter is sapit qui alieno peri-
culo sapit >•. K lo stesso dice Tibullo, 3, G, 4.'?.
104
ORLANDO FURIOSO
Guardatevi da questi che sul fiore
De' lor begli anni il viso han si polito;
Che presto nasce in loro e presto muore,
Quasi un foco di paglia, ogni appetito.
Come segue la lepre il cacciatore
Al freddo, al caldo, alla montagna, al lito,
Né più l'estima poi che presa vede;
E sol dietro a chi fugge, aftretta il piede:
8
Cosi fan questi gioveni, che tanto
Che vi mostrate lor dure e proterve,
V amano e riveriscono con quanto
Studio de' far chi fedelmente serve :
Ma non si tosto si potran dar vanto
Uè la vittoria, che di donne, serve
Vi dorrete esser fatte; e da voi tolto
A^edrete il falso amore, e altrove volto.
9
Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)
Che vi lasciate amar; che senza amante
Sareste come inculta vite in orto.
Che non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
,^„^Tutta a fuggir, volubile e inconstante,
E córre i frutti non acerbi e duri ;
Ma che non sien però troppo maturi.
10
Di sopra io vi dicea ch'una figliuola
Del re di Frisa quivi hanno trovata,
Che fia, per quanto n'han mosso parola.
Da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola,
Che vivanda era troppo delicata;
E riputato avria cortesia sciocca.
Per darla altrui, levarsela di bocca.
11
La damigella non passava ancora
Quattordici anni, et era bella e fresca,
Como rosa che spunti allora allora
Fuor della buccia e col sol nuovo cresca.
7. 2. han si polito, Polito può signific.
senza barba, giovanile ; e anche liscio, fre-
sco (come al e. xxv, 49, 4) giovanile. Per il
costrutto si può intendere : hanno il viso cosi
giovanile, sono cosi giovani che presto na-
sce, ecc.; oppure : hanno il viso molto giova-
nile, sono 'molto giovani, cosicché presto na-
sce ecc. Sì per inolio al e. xxvii, 37, 4 ; 47, 3.
— 7. presa vede; Sottint. la; v. e. i, 21,7.
L'immagine è d'Orazio, Sat. i, 2, 105 : « Le-
porem venator ut alta In nive sectetur, po-
situm sic tangere nolit ».
8. fi. donne; signore. Dante, Purg., 6,
78: « Non donna di provincie, ma bordello ».
9. 4. piante, attacchi.
10. 2. quivi, a Dordrecht.
— 5. v'avea la gola, n'era ghiotto. Modo
ancora comune.
U. 1. buccia; boccio. Gl'arini. Past. F.,
! Non pur di lei Bireno s' innamora.
Ma fuoco mai cosi non accese esca,
Né se lo pongan l' invide e niraicho
Mani talor ne le mature spiche;
1-2
Come egli se n' accese immantinente,
Com' egli n'arse fin iie le medolle.
Che sopra il padre morto lei dolente
Vide di pianto il bel viso far molle.
E come suol, se l'acqua fredda sente,
; Quella restar che prima al fuoco bolle;
Cosi l'ardor che accese Olimpia, vinto
Dal nuovo successore, in lui fu estinto.
13 ><....
Non pur sazio di lei, ma fastidito
N' è già cosi, che può vederla a pena;
E si de l'altra acceso ha l'appetito,
1 Che ne morrà se troppo in lungo il mena ;
I Pur, finché giunga il di e' ha statuito
A dar fine al disio, tanto l'afiVena,
Che par ch'adori Olimpia, non che l'ami,
' E quel che piace a lei, sol voglia e brami.
14 "— '
E se accarezza l'altra (che non puote
Far che non l'accarezzi più dèi dritto).
Non è chi questo in mala parte note;
Anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto :
Che rilevare un che Fortuna ruote
Talora al fondo, e consolar l'afflitto.
Mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
Tanto più una fanciulla, una innocente.
15
! Oh sommo Dio; come i giudici umani
f^ Spesso offuscati sou da un nembo oscuro!
I modi di Bireno, empii e profani,
Pietosi e santi riputati furo.
I marinari, già messo le mani
Ai remi, e sciolti dal lito sicuro,
2, 4; « Una fanciulla... che pur ora Spunta
fuor della buccia ».
— 7. Né se lo pongan ecc. Ovidio, Met.,
6, 4G6 : « Non secus exarsit, Quam si quis
canis igneni supponat aristis ».
12. 1. immantinente. Questo avverbio va
sottinteso anche nel verso secondo, e va
messo in relazione col che del v. 3; imman-
tinente... che, subito... che vide lei dolen-
te ecc.
— 7. Olimpia, È soggetto. — successore ;
Può riferirsi o al nuovo ardore o alla fan-
ciulla. OVIDIO, Remecl. amor. 462: « Succes-
sore novo toUitur omnis amor ».
14. 5. ruote, precipiti o trascini colla sua
ruota. È maniera nuova, non registrata dai
vocabolari, derivata dal rotare dei Latini.
Seneca Hipp. 1120 «Quanti casus humana
rotanti». Per l'immagine vedi e. xix, 1,
n. 1.
15. 5. messo le mani. V. e. IX, 32, 1
CANTO X
105
Portavan lieti pei salati stagni
Verso Selandia il Duca e i suoi compagni.
16
Già dietro rimasi erano e per<luti
Tutti di vista i termini d'Olanda;
Che per non toccar Frisa, pili tenuti ; '
S'eran ver Scozia alla sinistra banda:
Quando da un vento far sopràvennti,
Ch' errando in alto mar tre di li manda.
Sorsero il terzo, già presso alla sera.
Dove inculta e deserta un'isola era.
Tratti cTie si fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne in terra; e con diletto
In compagnia de l'infedel Bireno
Cenò contenta e fuor d'ogni sospetto:
Igdi con lui, là dove in loco ameno
Teso èra un padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro,
E sopra i legni lor si riposaro.
18
Il travaglio del mare e la paura.
Che tenuta alcun di l' aveano desta;
Il ritrovarsi al lifo óra sicura.
Lontana da rumor ne la foresta,
E che nessun pensier, nessuna cura,
Poi che '1 suo amante ha seco, la molesta ;
Fur cagiòn ch'ebbe Olimpia si gran sonno.
Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi
" VJ [ponno.
Il falso amante che i pensati inganni
VeggiSr't'acean, come dormir lei sente,
Pian piano ;esce del letto ; e de' suoi panni
Fatto un fasféTìion si veste altrimente;
E lascia il padiglione; e come i vanni
Nati gli sian, rivola alla sua gente,
16. 7. sursero. V. e. iv, 51, n. 5.
— S. un'isola. Forse una delle Orcadi o
una delle Ebridi ; o meglio una di quelle
isole fantastiche sempre pronte a fare il
comodo dei romanzieri antichi.
18. "). E che nessun ecc. È proposiz. sog-
gettiva regolare; ma il cambiamento di co-
strutto la rende alquanto dura.
— 8. gli orsi e i ghiri passano l' inverno
nelle caverne e nelle buche in stato di tor-
pore.
19. 2. Veggiar; vegghiar, vegliare. V. e.
I, 41, n. 1.
— I. altrimente, Qui non ha altro valore
che d'affermare la negativa: e cosi spesso.
Maciìiaveli.i. Discorsi, 7: « .Senza pensare
altrimenti (affatto) d'imitarle ».
— 7. senza udirsi un grido. L'infinito con
.fenza deve avere, di regola, per soggetto
il soggetto della propos., da cui dipende;
ma gli antichi anche in prosa amarono
questo costrutto. Boccaccio, yov. 49: « Seu-
z'altra cosa... essergli rimasa ».
E li risveglia; e senza udirsi un grido,
Fa entrar ne l'alto, e abaudonare il lido.
■ "' 20
Eimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormi senza destarse,
Fin che l'Aurora la gelata brina
Da le dorate ruote in terra sparse,
E s' udir le Alcione alla marina
De l'antico infortunio lamentarse.
: Xé desta né dormendo, ella la mano
I Per Bireno abbracciar stese, ma in vano.
I 21
Nessuno trova: a sé la man ritira:
Di nuovo tenta, e pur nessuno trova.
Di qua r un braccio, e di là l'altro gira;
j Or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.
I Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e
I [mira:
; Non vedealcmio. Or già non scalda e cova
i Più le vedove piume; ma si getta
j Del letto e fuor del padiglione in fretta :
■ 23 ■ '- -■ j:, ,
! E corre al mar, graffiandosi le gote.
Presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote:
E va guardando (che splendea la luna)
— S. nell'alto. V. e. viii, 36, n. 4.
20. — Di qui fino alla st. 35 l'A. ha seguito
quasi passo per passo Ovidio, Epist. x, in
cui Arianna parla a Teseo, che l' ha abban-
donata nell' isola di Nasso. Noteremo i prin-
cipali riscontri.
— 4. Da le dorate ecc. Ov. l. e. 7: « Tem-
pus erat vitrea quo primum terra pruina
Spargitur ».
— 5. Le Alcione. Sono uccelli marini po-
co pili grossi del passero. Hanno un canto
lamentevole. In italiano, per lo più, è nome
maschile; IWriosto e qualche altro l'usaro-
no, come i Latini, al femminile. Dice la fa-
vola che Alcione fu moglie amantissima di
Ceice; essendo questi morto per naufragio.
Alcione ne rimase afflittissima. Cdi dei,
mossi a pietà, la cambiarono in uccello.
— 7. Né desta ecc. Ov. l. e. 9: « Incertum
vigilans a somno languida movi Thesea
pressui'as semisupina manus ».
21. 1-2. Nessuno trova ecc. Ov. l. c- 11.
« Nullus erat; referoque manus iterumque
retento, Perque torum moveo brachia, nul-
lus erat ».
— 5-8. Caccia ecc. Ov. l. e. 13 : « Excus-
sere metus somiium: conterrita surgo Mem-
braque sunt viduo praecipitata toro ».
a. 4-8. E va guardando ecc. Ov. 1. e. 19.
« Luna fuit: cerno si quid nisi litora cer-
nam; Quod videant oculi, nil nisi litus, ha-
bent. Interea toto clamanti litore, Theseu '.
Reddebant nomen concava saxa tuum».
106
GELANDO FURIOSO
He veder cosa, fuor che '1 lito, puote;
Né, fuor che '1 lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama; e al nome di Bireno
Rispondean gli antri che pietà u'avieno.
23
Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
C'h'aveano l'onde, col picchiar frequente,
Cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
E stava sopra al mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi sali a gran passo
(Cosi la facea l'animo possente);
E di lontano le gonfiate vele
Vide fuggir del suo signor crudele:
24
Vide lontano, o le parve vedere;
Che l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
Piùbiancaepiù che nieve fredda in volto.
M.; poi che di levarsi ebbe potere,
Al camin de le navi il grido volto,
Chiamò, quanto potea chiamar più forte.
Pili volte il nome del crudel consorte:
25
E dove non potea la debil voce.
Suppliva il pianto e '1 batter palma a pai-
Dove fuggi, crudel, cosi veloce? [ma:
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che lievi me ancor: poco gli niioce
Che porti il corpo, poi che porta l'alma.
E con le braccia e con le vesti segno
Fa tuttavia, perché ritorni il legno.
— 8. avièno ; aveano. Forma poetica.
Dante, Purg., 10, 81, ha movièno.
23. 1-4. Qnlvi snrgea ecc. Ov. l. e. 25.
« Mons fuit... Hinc scopulus raucis pendet
adhaesus aquis ». Ovidio, Metani., iv, 525:
-^ Immiuet aequoribus scopulus, pars ima
cavatur Fluctibus ».
— 5-6. vi sali ecc. Ov. l. e. 27. « Adscen-
■do: (vires animus dabat) ».
— 7-8. E di lontano ecc. Ov. l. e. 29.
■« Inde ego... Vidi praecipiti carbasa tenta
Noto ».
24. 1-4. Vide lontano ecc. Ov. l. e. 31. « Aut
vidi, aut etiam, cura me vidisse putarem,
Frigidioi" glacie semianimisque fui ».
— 5-8. Ma poi ecc. Ov. /. e. 33: « Excitor,
«t summa Thesea voce voco »,
25. 1-2. E dove ecc. Ov. (. e. 37. 38: « Quod
voci deerat plaiigore replebam ; Verbera
cum verbis mixta fuere meis ».
— 3-4. Dove fuggì ecc. Ov. (. e. 35, 36:
«Quo fugis?... Flecte ratem; numerum non
habet illa suum ». —salma; (gr. sagma) ca-
rico. Cosi anche al e. xv, 80.
— 7-8. E con le braccia ecc. Ov. l. e. 40,
41: « lactata late sigila dedere manus: Can-
didaque imposui longe velamina virgae ».
Ma i venti che portavano le vele
Per l'alto mar di quel giovene intido.
Portavano anco i prieghi e le querele
De l'infelice Olimpia, e '1 pianto e '1 grido;
La qna| t/^ volte a sé stessa crudele,
Per affogarsi si spiccò dal lido :
Pur al fin si levò da mirar l'acque,
E ritornò dove la notte giacque;
27 • '' '• '
E con la faccia in giù stesa sul letto,
Bagnandolo di pianto, dicea lui:
lersera desti insieme a dui ricetto:
Perché insieme al levar non siamo dui?
0 perfido Bireno, o maladetto
Giorno eh' al mondo generata fui!
Che debbo far? che poss' io far qui sola?
Chi mi dà aiuto? ohimè! chi mi consola?
. . 28
Uomo non veggio qui, non ci veggio opra ,
Donde io possa stimar ch'uomo qui sia:
Nave non veggio, a cui salendo sopra,
Speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò; uè chi mi cuopra
Gli occhi sarà, né chi sepolcro dia.
Se forse in ventre lor non me lo danno
1 lupi, ohimè! che in queste selve stanno.
29
Io sto in sospetto, e già di veder parrai
Di questi boschi orsi o leoni uscire,
O tigri 0 fiere tal, che natura armi
D'aguzzi denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere crudel potriano farmi,
Fera crudel, peggio di te morire ?
Darmi una morte, so, lor parrà assai;
E tu di mille, ohimè! morir mi fai.
Ma presuppongo ancor ch'or ora arrivi
Nocchier, che per pietà di qui mi porti;
26. S. E ritornò ecc. Ov. l. c. 51 : « .Saepe
torum repeto, qui nos acceperat ambos ■>.
27. 1-4. E con la faccia ecc. Ov. l. e. 54-7:
« Strataque, quae membris intepuere meis,
Incumbo, lacrimisque toro mauante protu-
sis... esclamo... Venimus liuc ambo, cur non
discedimus ambo ? ".
— 7-8. Che debbo far? OV. l. e. 59. « Quid
faciam ? quo sola ferar ? ».
28. 1-4. Uomo ecc. Ov. l. e. 60 : < Non
hominum video, non ego facta boum;...
iiavita nusquam ».
— 7. in ventre. Omissione dell'artic. V.
e. I, 63, 4.
29. 1-4. Io sto ecc. ov. l. e. 83 seg. : « lara
iam venturos aut hac aut suspicor illac, Qni
laiiient avido viscera dente lupos. Forsitau
et fulvos tellus aiat ipsa leones ».
80. 1-2. Ma presuppongo ecc. Ov. ;. e. 6.3-4;
« Finge dari coinitesque mihi veutosque ra-
temque. Quid sequar?».
CANTO X
107
E cosi lupi, orsi, leoni schivi,
Strazii, disagi et altre orribil morti:
Mi porterà forse in Olanda, s' ivi
Per te si guardan le fortezze e i porti? .
Mi porterà alla terra ove son nata.
Se tu con fraude già me 1' hai levata?
31
Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
Di parentado e d' amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto.
Per avere il dominio a te rivolto, [resto
Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il
Di che io vivea, benché non fossi molto,
Per sovvenirti e di prigione trarte. [te.
Mischina I dove andrò ? non so in qual par-
32
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
E per te non vi volsi esser Regina?
Il che del padre e dei fratelli miei,
E d'ogn' altro mio ben fu la mina.
Quel e' ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato, improverar, né disciplina
Dartene; che non men di me lo sai:
Or ecco il guiderdon che me ne dai.
33
Deh, pur che da color che vanno in corso.
Io non sia presa e poi venduta schiava!
Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso
Venga, e la tigre e ogn' altra, fera brava,
Di cui l'ugna mi stracci, e frfftr^àil morso;
E morta mi strascini alla sua cava. ,!X
Cosi dicendo, le mani si caccia [eia.
Ne' capei d'oro e a chioccaachioccasti'ac-
34
Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,
E ruota il capo, e sparge all'aria il crine;
E sembra forsennata, e ch'adosso abbia
Non un demonio sol, ma le decine;
O, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
31. 4. avere... a te rivolto; avere nelle tue
mani il dominio. È locuzione sforzata e non
chiara.
— 6. fossi; fosse, v. e. II, 10, n. 8".
— 7. Per sovvenirti. V. e. ix, 48.
32. 6. improverar; v. e. I, 29, n. 7.
— 6. disciplina dartene ; insegnarti, ri-
durli alla memoria quanto ho fatto per te.
33. 1-2. Deh, pur ecc. Ov. l. e. 89; «Tan-
tum ne religer dura captiva catena ». —
Vanno in corso. Andare, Uscire, Mettersi
in corso valgono Corseggiare.
— 4. brava; Aggiunto ad animale signi-
fica feroce, indomito. Pulci, Morg., 15, 32:
« Come lioue o altra fera brava ».
— 8. a chiocca, a eh.; a ciocca a ciocca.
Forma del dial. Veneto, donde il modo, an-
che Toscano, in chiocca, in copia.
34. 5. qual Ecnba ec. È commento a questo
luogo quel di Dante, Inf. xxx, 16 seg. « E-
A'istosi morto Polidoro al fine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
Né men d' un vero sasso, uu sasso pare.
35
Ma lasciànla doler fin eh' io ritorno.
Per voler di Ruggier dirvi pur anco.
Che nel piti intenso ardor del mezzogiorno
Cavalca il lito, aflaticato e stanco.
Percuote il Sol nel colle, e fa ritorno:
Di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all'arme ch'avea indosso, poco
Ad esser, come già, tutte di fuoco.
36
Mentre la sete, e de l'andar fatica
Per l'alta sabbia e la solinga via
Gli facean, lungo quella spiaggia aprica.
Noiosa e dispiacevol compagnia;
Trovò ch'all'ombra d' una torre antica,
Che fuor de l'onde apjiresso il lito uscia.
De la corte d'AIcina erau tre donne.
Che le conobbe ai gesti et alle gonne.
37
Corcate su tapeti Alessandrini,
Godeansi il fresco rezzo in gran diletto,
Fra molti vasi di diversi vini,
E d'ogni buona sorta di confetto.
cuba trista misera e cattiva. Poscia che
vide Poliscila morta, E del suo Polidoro iti
su la riva Del mar si fu la dolorosa accorta.
Forsennata latrò siccome cane ; Tanto il
dolor le fé la mente torta >. — in rabbia;
iu cagna rabbiosa. Éuso non citato dai voca-
bolari. Per la favola, Ovio. Melam. xiii, 399.
— 7-8. Or si ferma ecc. Ov. l. e. 49, 50 :
« Aut mare prospiciens in saxo frigida sedi:
Quamque lapis sedes tam lapis ipsa fui ».
Qui finisce la giunta fatta dall'A. nella ediz.
del 1532.
35. 1. ritorno; torno, più avanti, a ripren-
dere e finire questo racconto d'Olimpia.
Infatti lo riprende al e. xi, 21,
— 2. Per voler... dirvi; lasciamola doler,
perché voglio... dirvi. Boccaccio, JS'ov. 79 :
« Per non poter tenere le risa fuggito s' e-
ra».
— 4. Cavalca il 1.; percorre, a cavallo, il
lido. Marco Polo, 210 « sicché tutte (le vie)
si possono cavalcare rettamente ».
— 5. fa ritorno; riflette i suoi raggi.
— 8. come già, come furono quando si
lavorai'ono nella fucina. L'A. riprende la
narrazione interrotta al e. viii, st. 21.
36. 1. fatica. Più regolarm. si dovrebbe
ripeter l'artic.
— 8.' Che; giacché. Spiega de la corte
d'AIcina.
37. 1 . Alessandrini. Iu Alessandria d'Egit-
to si tessevano tappeti finissimi e di gran
pregio. .
— 4. confetto. È frequentissimo negli an-
ICS
OKLANDO FURIOSO
Presso alla spiaggia, coi flutti marini
Scherzando, le aspettava un lor legnetto
Fin che la vela empiesse agevol' óra;
Che un fiato pur non ne spirava allora.
38
Queste ch'andar per la non ferma sab-
Yider Kuggiero al suo viaggio dritto, [bia
Che sculta avea la sete in su le labbia.
Tutto pien di sudore il viso afflitto,
Gli cominciaro a dir che si non abbia
Il cor voluntaroso al caraiu fitto.
Ch'alia fresca e dolce ombra non si pie-
fi ristorar lo stanco corpo nieghi. [ghi,
39
E di lor una s'accostò al cavallo
Per la staffa tener, che ne scendesse:
L" altra con una coppa di cristallo.
Di vin spumante, più sete gli messe: [lo;
Ma Ruggiero a quel suon non entrò in bal-
Perché d'ogni tardar che fatto avesse,
Tempo di giunger dato avria ad Alcina,
Che venia dietro, et era ornai vicina.
40
Non cosi fin salnitro e zolfo puro.
Tocco dal fuoco, subito s'avvampa;
Né cosi freme il mar, quando l' oscuro
Turbo discende, e in mezzo se gli accam-
Come, vedendo che Ruggier sicuro [pa;
Al suo dritto camin l'arena stampa,
E che le sprezza (e pur si tfnean belle),
D' ira arse e di furor la terza d'elle.
41
Tu non sei né gentil né cavalliero
(Dice gridando quanto può più forte),
Et hai rubate V arme; e quel destriero
Non saria tuo per veruna altra sorte:
E cosi, come ben m'appongo al vero,
Ti vedessi punir di degna morte ;
tichi, nel singolare come nel plurale, per
indicare confetture.
— 7. ageTol óra; lieve, placida aura. Po-
Liz. Rime, 1, 124: «Né quando soffia un
ventolino agevole Fra le cime de' pini ».
38. 6. vnlnntaroso e volunteroso, volon-
taroso scrissero gli antichi. — Fitto, rivolto,
intento. Riferiscilo ad aiiimo, non a camin,
come fanno alcuni intendendo jireftsso, sta-
bilito; significato, di cui non si cita esem-
i)io. Nell'ediz. del 1516 si ha e al cam,ìnin
fitto, lezione che conferma la prima inter-
pretaz.
39. 5. non entrò in ballo. Entrare in ballo
è modo popolare e vivo, che significa ac-
cingersi a fare t/italcosa.
— C. d'ogni tardar; per ogni tardar. Que-
st'uso, non comune, del rii è affine all'uso
causale, che se ne fa nelle espressioni mo-
rir di fame ecc. V. st. JJ, S, e e. xiii; 33, 3.
41. 1. sorte; maniera; v. e. viii, 75, n. 4.
Che fossi fatto in quarti, arso o impiccato.
Brutto ladron, villan, superbo, ingrato.
42
Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose
Parole che gli usò la donna altiera.
Ancor che mai Ruggier non le rispose.
Che di si vii tenzon poco onor spera;
Con le sorelle tosto ella si pose
.Sul legno in mar, che al lor servigio v'era:
Et afi'rettando i remi, lo seguiva,
Vedendol tuttavia dietro alla riva.
43
Minaccia sempre, maledice e incarca;
Che l'onte sa trovar per ogni punto.
In tanto a quello stretto, onde si varca
Alla Fata più bella, è Ruggier giunto;
Dove un vecchio nocchiero una sua barca
Scioglier da l'altra ripa vede, a punto
Come, avvisato e già provisto, quivi
Si stia aspettando che Ruggiero arrivi.
44
Scioglie il nocchier, come venir lo vede.
Di trasportarlo a miglior ripa lieto;
Che, se la faccia può del cor dar fede,
Tutto benigno e tutto era discreto.
Pose Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio ringraziando; e per lo mar quieto
Ragionando venia col galeotto.
Saggio e di lunga esperienza dotto.
45
Quel lodava Ruggier, che si s'avesse
Saputo a tempo tòr da Alcina, e inauti
42. 3. Ancor che... rispose. Per l' indicat.
cfr. e. v, 11, n. 7.
— 8. dietro alla rixa. V. e. vili, 35, n. 2.
43. 1. incarca; ingiuria. Caro, Longo So-
j flsta, 38: « Sapendosi che oltraggiosamente
I e da' pastori erano stati incaricati ». Signi-
t ficaio simile ha incarco nei Cinque Canti
\ III, 53.
j — 2. per ogni punto, continuamente. Modo
! non citato dai vocab., che citano invece a,
I ogni punto dello stesso signifìc.
— 3. a quello stretto; È un golfo,, come
quello, che separa la Scozia dall' Inghilter-
ra ; V. e. VI, 45, 3.
— 4. Alla lata più bella, Logistilla.
— 7. provisto; preparato ; v. e. in, 7(5, n. 5.
44.1. Scioglie. È parola tecnica, che vale
Salpare :s,ot.imi. la nave. \. e. xli 7, 8 ;8, 1.
— 3. se la faccia ecc. Dante, furg. i'6,
44: « S' io vo' credere a' sembianti, Che so-
glion esser testimeli del core ».
— 5. navilio; nave. Cosi altre volte l'A.,
e cosi altri scrittori. Matt. Villani, i, 48 :
« I loro navili armati »; ma in questo senso
non è frequente.
— 7. galeotto. V. e. viii, 61.
45. 2. da Alcina. Ofl'ro questo esempia
della finezza, colla quale l'A. ha proceduto
CANTO X
109
Che '1 calice incantato ella eri! desse,
Ch'avea al fin dato a tutti gii altri amanti ;
E poi, che a Logistilla si traesse,
Dove veder potria costumi santi.
Bellezza eterna et infinita grazia
Che '1 cor notrisce e pasce, e mai non sazia.
46
Costei (dicea) stupore e riverenza
Induce all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla meglio poi l'alta presenza;
Ogn'altro ben ti par di poca stima.
11 suo amore ha dagli altri differenza:
Speme o timor negli altri il cor ti lima;
In questo il desiderio più non chiede,
E contento riman come la vede.
47
Ella t'insegnerà studii più grati.
Che suoni, danze, odori, bagni e cibi;
Ma come i pensier tuoi meglio formati
Poggia più ad alto che per l'aria i uibi,
E come de la gloria de' Beati
Nel mortai corpo parte si delibi.
Cosi parlando il marinar veniva,
Lontano ancora alla sicura riva;
48
Quando vide scoprire alla marina
Molti uavili, e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;
E molta di sua gente have raccolta
Per por lo stato e sé stessa in ruina,
O racquistar la cara cosa tolta.
E bene è Amor di ciò cagion non lieve,
Ma l'ingiuria non men che ne riceve.
49
Ella non ebbe sdegno, da che nacque.
Di questo il maggior mai, ch'ora la rode;
Onde fa i remi si affrettar per l'acque,
Che la spuma ne sparge ambe le prode.
nella correz. del suo poema. Nell'ediz. del
1516 e 1521 si legge d' Alcina; e abbiamo già
visto e. v, 11, n. 5, che l'A. ama spessissimo
il d' pei- da. Perché qui ha corretto? Per
indicare, coirespressione più faticosa, la
fatica del distacco. L'armonia ha avuto una
parte notevole nella correzione del Furioso.
46. 2. prima, prima induce ecc.; poi ecc.
— 3. Contempla. E imperativo. E nota il
cambiamento del costrutto, che dovrebbe
procedere cosi: E poi fa parere a chi con-
templa ecc.
47. 3. Ma come; ma t'insegnerà il modo,
come ecc.
— 4. nibi ; nibbi.
48. 1. scoprire, scoprirsi, apparire. In
questo senso non è citato nei vocabol. V.
anche al e. xix, 41.
— 6. cosa; oggetto, Ruggero.
49. 2. Di questo il maggior. Per l'articolo
V. e. VI, 5:0, n. 4.
— 4. prode; i due bordi della nave.
Al gran rumor né mar né ripa tacque;
Et Ecco risonar per tutto s'ode.
Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
Se non, sei morto, o preso con vergogna.
50
Cosi disse il nocchier di Logistilla;
Et oltre il detto, egli medesmo prese
La tasca, e da lo scudo dipartilla,
E fé' il lume di quel chiaro e palese:
L' incantato splendor che ne sfavilla,
Gli occhi degli avversari cosi offese.
Che li te' restar ciechi allora allora,
E cader chi da poppa e chi da prora.
51
Un eh' era alla veletta in su la rocca,
De l'armata d'Alcina si fu accorto;
E la campana martellando tocca,
Onde il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria, come tempesta tìocca
Contra chi vuole al buon Ruggier far tor-
si che gli venne d'ogni parte aita, [to:
Tal che salvò la libertà e la vita.
52
Giunte son quattro donne in su la spiag-
Che subito ha mandate Logistilla: (già,
La valorosa Andronica, e la saggia
Frenesia, e l'onestissima Dicilla,
E Sofrosina casta, che, come aggia
— 6. Ecco, Eco. Questa forma si ha nel
Morgante, nel Poliziano e anche in prosa.
Nel vocab. del Tommaseo si nota che dove
non è in rima può sospettarsi lezione errata;
ma questo esempio dell' A., che esso non
cita e che è confermato anche dalle ediz.
del 1516 e del 1521, toglie ogni sospetto.
— 7.- Scuopre, scuopri (da scuoprere). V.
e. Ili, 19, n. 4. É degno di nota che nelle
ediz. precedenti si legge Scuop)-i; il che
mostra l'amor dell'A. per certe forme ar-
caiche. Potrebbe anch'essere err. ai stampa.
— S. Se non. Più frequente se no. Dante,
Inf. 12, 63: « Ditel costinci, se non l'arco
tiro ».
51. 1. veletta, vedetta. Cosi al e. xxxix,
79, e cosi altri. Machiav. Arte d. guerra,
6, 144: « Le velette, che pongono il giorno a
velettare il nemico ».
— 5. artegliaria; macchine o armi da
guerra, con cui traevansi proiettili contro
luoghi fortificati, anche prima della inven-
zione della polvere. Nardi traduz. di T. Li-
vio 310: « Gli Abideni avendo ben fornite le
mura d'artiglierie ».
52. 1. quattro donne. Simboleggiano le
virtù cardinali: Andronica (greco andr^'ta)
la fortezza; Fronesia (gr. fronesLs) la pru-
denza; Dicilla (gr. lìlcheosine) la giustizia;
Sofrosina (gr. sofrosine) la temperanza.
— 5. come aggia ecc. 11 pensiero è accen-
nato come una supposizione dello scrittore.
no
ORLANDO FURIOSO
Quivi a far pix'i che Taltre arde e sfavilla.
L" esercito ch'ai nioiuio è senza pare,
l)eì castello esce, e si distende al mare.
53
Sotto il Castel ne la tranquilla foce
Di molti e grossi legni era una armata,
Ad un botto di squilla, ad una voce
Giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E cosi fu la pugna aspra et atroce,
E per acqua e per terra, incominciata;
Per cui fu il regno sottosopra volto,
Ch'avea già Alciua alla sorella tolto.
54
Oh di quante battaglie il fin successe
Diverso a quel che si credette inante!
Non sol ch'Alcina allor non riavesse,
Come stimossi, il fugitivo amante;
Ma de le navi che pur dianzi spesse
Fur si, ch'a pena il mar ne capia tante,
Fuor de la fiamma che tuff altre avvam-
Con un legnetto sol misera scampa, [pa,
55
Fuggesi Alcina; e sua misera gente
Arsa e presa riraan, rotta e sommersa.
D'aver Ruggier perduto ella si sente
Via pili doler che d'altra cosa avversa.
Notte e di per lui geme amaramente,
E lacrime per lui dagli occhi versa:
E per dar fine a tanto aspro martire,
Spesso si duol di non poter morire.
56
Morir non puote alcuna Fata mai,
Fin che '1 sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolore assai
Per muover Cloto ad inasparle il tìlo;
O, qual Didon, tìnia col ferro i guai;
0 la Regina splendida del Nilo
Avria imitata con mortifer sonno:
Ma le Fate morir sempre non ponno.
57
Torniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero, e Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui, che poi che fuor del legno
Si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
Gli era successo, al mar voltò la schena ;
Et affrettando per l'asciutto il piede,
Alla rocca ne va che quivi siede.
58
Né la più forte aucor, né la più bella
Mai vide occhio mortai prima né dopo.
Son di più prezzo le mura di quella.
Che se diamante fossino o piropo.
Di tai gemme qua giù non si favella:
Et a chi vuol notizia averne, è d'uopo
Che vada quivi, che non credo altrove,
Se non forse su in ciel, se ne ritruove.
— 6. arde e sfavilla ; è tutta ardore e vita
a vantaggio di Ruggero, che lungamente
era stato in braccio della intemperanza
(Alcina).
53. 1. foce, imboccatura di un porto di
mare. Dante, Par. 13, 13S: « Correr lo mar
per tutto suo cammino. Perir alfin nell'en- i
irar della foce ». :
— 5. E cosi ecc. Il Lavezzuola osserva che, |
se per lo scudo incantato caddero tutti tra-
mortiti, quei d'Alcina non potevau combat- ,
lere; ma gli è sfuggito ciò che l'A. dice al
e. XXII, so e 95. 1
54. 3. Non sol che; Non dico solo che; v. j
e. VII, 62, 1. I
— 6. il mar; Non intendere ttitto il ìnare,
che sarebbe iperbole grossolana, ma quel
]junto del mare, ove si trovavano le due \
armate schierate in ordine di battaglia.
— 7. tutt'altre ; tutte le altre, suU'oniis- j
sioue dell'artic. v. e. ii, 15, b. S.
56. 1. Morir ecc. Ori. Innarn. Il, 26. 15 :
•. Perché una fata non può morir mai. Fin-
ché non giunge il giorno del giudizio; Ma
ben nella sua forma dura assai Mill'anni e
liiù, si come io aggio indizio ».
— 2. stilo, htiie. Vuol dire : O finché il i
cielo non cambia i suoi movimenti; cioè-
mai. Stilo per stile usò già il Bocc. Nov. 75:
« Per seguire de' suoi predecessori lo stilo ».
— 4. Cloto, una delle Parche. Le Parche,
secondo gli antichi, filavano i destini umani.
Alcuni poeti già prima dell'A. cambiarono
il fuso in asijo. Petr. son. 1T6: « Qual de-
stro corno o qual manca cornice Canti il
mio fato o qual Parca V innaspe? » Cosi l'A.
al e. XXXIV, 89. Qui però, come fors'auche
nel luogo del Petrarca, inaspare il filo vuol
dire finir la vita, perciò s'avrà ad inten-
dere che, filata sul fuso tutta la conocchia,
cioè posto fine a quella vita, la Parca fac-
cia del filo matassa sull'aspo.
— 6. 0 la regina ecc., Cleopatra si uccise
mediante il morso d'un aspide, che dicono
getti in un letargo mortifero.
- 8. sempre: quando vogliono, sempre
che vogliono; v. st. 56, n. 1. Questo signific.
è ancora nell'uso. Il Ruscelli attesta d'aver
visto un esemplare del Furioso, dove l'auto-
re avea corretto di sua mano sempre in
(jiaóiinai; ma il Morali, con buone ragioni,
nega fede a questa asserzione e a questo
esemplare.
57. 6. successo; riuscito a bene. Lasca,
Gelos. 1, 5: « .wvertisci a quel che tu fai,
che ti succeda ». — Schena e schiena usò
l'A. E notevole che nella prima ediz. lia
quasi sempre la i, che tolse poi spesso nella
ed. del 1532, preferendo cosi una forma più
rara.
58. 1. la più forte. V. C. vi, 20, n. 4. —
ancor, fino ad oggi.
— 4. piropo; v. e. Il, 56, n. 1.
CANTO X
ni
59
Quel clie pili fa che lor s'inchina e cede
Ogn'altra gemma, è che mirando in esse,
L' uom sin in mezzo all'anima si vede;
Vede suoi vizii e sue virtudi espresse
Si, che a lusinghe poi di sé non crede.
Né a chi dar biasmo a torto gli volesse:
Fassi, mirando allo specchio lucente
Sé stesso conoscendosi, prudente.
60
Il chiaro lume lor, ch'imita il sole,
Manda splendore in tanta ci5|)ia intorno,
Che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole
Febo, mal grado tuo, si può tar giorno.
Né mirabil vi son le pietre sole;
Ma la materia e l'artificio adorno
Conteudou si, che mal giudicar puossi
Qual de le due eccellenze maggior fossi.
61
Sopra gli altissimi archi, che puntelli
Pai-ean che del ciel fossino a vederli,
Eran giardin si spaziosi e belli,
Che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
Si puon veder fra i luminosi merli,
Ch' adorni son l'estate e '1 verno tutti
Di vaghi fiori e di maturi frutti.
62
Di cosi nobili arbori non suole
Prodursi fuor di questi bei giardini;
Né di tal rose o di simil viole,
Di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole
E nasca e viva, e morto il capo inchini,
E come lasci vedovo il suo stelo
11 fior suggetto al variar del cielo:
" 59. 5. lusinghe... di sé ; lusinghe, che ven-
gano f.'ttte a lui.
— 7. mirando ecc.; mirando se stesso allo
sp. lue, e cosi conoscendosi, diviene pru-
dente.
60. 4. si; per se, a comodo suo.
— 6. adorno, bello. Dante, Par. 18, 63:
Veggendo quel miracolo si adorno ».
— S. fossi; fosse; v. st. 31, n. 6.
61. 2. Parean. Ha sentito l'azione di pun-
telli, ma veramente il costrutto vuole il sin-
golare: Parca che fossero puntelli. Forse
l'A. ha avuto anche presente la costruz. del
lat. videor. Questi sono giardini pensili.
— 6. pnon. È scorciamento della forma
puono e non di puonno. E pjono per pos-
sono usarono gli antichi, vedine gli esempi
nel Nannucci, Aual. critica dei verbi it. p.
641.
62. 4. gresmini; (frane. Jas//ii«5) gelsomi-
ni. É voce poetica. Il Barotti avverte che è
voce lombarda. La Cr. cita solo l'A.
— 5. a nn m. sole ; nello stesso giorno.
63
Ma quivi era perpetua la verdura.
Perpetua la beltà de' fiori eterni:
Xon che benignità de la Natura
Si temperatamente li governi;
Ma Logistilla con suo studio e cura.
Senza bisogno de' moti superni
(Quel che agli altri impossibile parca),.
Sua primavera ogn' or ferma tenea.
64
Logistilla mostro molto aver grato
Ch'a lei venisse un si gentil Signore;
E comandò che fosse accarezzato,
E che studiasse ogn' un di fargli onore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
Che visto da, Ruggier fu di buon cuore.
P'ra pochi giorni venner gli altri tutti,
Ch' a l'esser lor Melissa avea ridutti.
65
Poi che si fur posati un giorno e dui,.
Venne Ruggiero alla Fata prudente
Col duca Astolfo, che, non raen di lui,
Avea desir di riveder Ponente.
Melissa le parlò per amendui;
E supplica la Fata umileraente.
Che gli cousigli, favorisca e aiuti
Si, che ritornin d'onde eran venuti.
66
Disse la Fata: Io ci porrò il pensiero,
E fra dui di te li darò espediti.
Discorre poi tra sé, come Ruggiero,
E dopo lui, come quel Duca aiti:
Conchiude in fin, che '1 volator destriero
Ritorni il primo agli Aquitani liti;
Ma prima vuol che se gli faccia un morso,
Con che Io volga, e gli raft'reni il corso.
67
Gli mostra come egli abbia a far, se vuole
Che poggi in alto, e come a far ehe cali;
0 come se vorrà che in giro vole,
0 vada ratto, o che si stia su Tali:
63. 6. moti superni; le stagioni prodotte
dal movimento dei corpi celesti, secondo
l'astronomia antica.
— 8. Sua pr.; questa sua primavera.
64. 6. di b. cuore, con animo lieto, volen-
tieri. Ruggero vide A. volentieri.
— 7. Fra pochi %.; dopo pochi g. ; v. e. I»
27, n. 4. ,
66. 1. ci porrò il pensiero; penserò al modo
di ricondurli in Ponente.
— 6. Aquitani liti, .^quitania è il nome
antico di quella parte deila Francia, che poi
si disse Guienna e Guascogna. Ruggero vo-
leva andai"e al castello di P.radamante sul
fiume Dordogna.
— 7. un morso. Ciò significa che la fan-
tasia (Ippogrifo) non si deve distruggere,
ma regolare.
112
ORLANDO FURIOSO
E qnali effetti il cavallier far suole
Di buon destriero in piana terra, tali
Facea Ruggier che mastro ne divenne,
Per Tarla, del destrier ch'avea le penne.
68
Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
Da la fata gentil comiato prese, •
Alla qual restò poi sempre congiunto
Di grande amore; e usci di quel paese.
Prima di lui che se n'andò in buon punto,
E poi dirò come il guerriero Inglese
Tornasse con più tempo e più fatica
Al Magno Carlo et alla corte amica.
69
Quindi parti Ruggier, ma non rivenne
Per quella via che fé' già suo mal grado,
Allor che sempre l'Ippogrifo il tenne
Sopra il mare, e terren vide di rado:
Ma potendogli or far batter le penne
Di qua di là, dove più gli era a grado.
Volse al ritorno far nuovo sentiero,
€ome, schivando Erode, i Magi fero.
70
Al venir quivi, era, lasciando Spagna,
Venuto India a trovar per dritta riga.
Là dove il mare orientai la bagna;
Dove una Fata avea con l'altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
Che quella dove i venti Eolo instiga,
E finir tutto il cominciato tondo,
Per aver, come il sol, gii'ato il mondo.
71
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
Sopra il gran Quinsai vide passando:
67. 5. effetti; usi. Si cita solo quest'esem-
pio dell'A.
68. 1. d'ogni e; in ogni e. È compi, di
limitazione.
69. 4. e terren vide di rado. Rugg., per
arrivare da Gibilterra alle Indie , passò
sopra l'America. Ma, sebbene quando il poe-
ta scriveva, fosse già scoperto il nuovo con-
tinente, egli non volle fare un anacronismo,
« si tenne sulle generali.
— 8. Come ecc. Allude a quell'espressione
del vangelo: Magi «per aliam viam reversi
« sunt in regionem suam ». S. Matt. 2, 12,
70. 6. Eolo, secondo la favola, re dei
venti, cui scatena spec\jilmente sul mare.
71. 1. Cataio, la parte settentrion. della
China; Mangiana è la parte meridionale,
aetta dagli scrittori orientali Ma-ci e dal
Polo Mangi.
— 2. Quinsai. Intendi: Passando sopra il
gran Quinsai, vide ecc. Il nome di Quinsai
o Quisai fu dato dal Polo alla città di Hang-
tchen, capitale della provincia di Tche-kiang,
e anche oggi una delle più ricche e grandi
città Chinesi.
Volò sopra rimavo, e Sericana
Lasciò a man destra; e sempre declinando
Da l'Iperborei Sciti a l'onda Ircana,
Giunse alle parti di Sarniazia: e quando
Fu dove Asia da Eui-opa si divide,
Russi e Pruteni e la Poraeria vide.
72
Ben che di Ruggier fosse ogni desire
Di ritornare a Bradàmante presto;
Pur, gustato il piacer ch'avea di gire
Cercando il mondo, non restò per questo,
Ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire
Non volesse anco, alli Germani e al resto
Di quella boreale orrida terra:
E venne al fin ne l' ultima Inghilterra,
73
Non crediate. Signor, che però stia
Per si lungo camin sempre su l'ale:
Ogni sera all'albergo se ne già.
Schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via;
Si di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una matina,
Sopra Tamigi il volator declina.
— 3. Imavo, (lat. Imaus). Era chiamata
cosi la steppa di Pamir, che, dalla congiun-
zione del Paropamiso coi monti Bmodi, va
verso Nord. E cosi erano anche chiamate
le montagne dell' Inialaia. — Sericana; v.
e. I, 55, n. 4.
— 5. Iperborei Sciti. La Scizia fu regione
poco ben determinata; e si può dire che gli
antichi intesero con questo nome la regione
vastissima fra il Don a ovest, l'estremità
nord-ovest della China e l' india a sud ; i
confini del nord erano affatto sconosciuti.
Gli Sciti son detti Iiìerborel forse dagli
Urali, che erano chiamati appunto montes
Hyperborei. — Onda Ircana; il mar Caspio,
detto dagli antichi Hyrcanum mare dalla
Hyrcania, che era una regione a sud-est di
detto mare.
— b. Sarmazia. Gli antichi distinguevano
una Sarmazia europea e una asiatica; il
Tanai (Don) era il confine. Qui s' intende la
Sarmazia asiatica, come si rileva dal verso
seg. Questa era una vasta regione a nord
del Caucaso e a est del Tanai: a nord si
estendeva per uno spazio indefinito e a est
fino al Rha, che la separava dalla Scizia.
Il Tanai segnava per gli antichi la divisione
fra l'Asia e l'Europa.
— 8, Pruteni, Prussiani. — Pomeria, Po-
merania.
72, 8. ultima Inghiltera, Perché posta al-
l'estremo d' Europa verso settentrione. Dei
resto l'idea è Virgiliana; Ecl. i, 67: «Et
penitus toto divisos orbe Britannos > ; e
Georg. I, 3 si dice ultima Tuie.
CANTO X
113
74
Dove ne' prati alla città vicini
Vide adunati uomini d'arme e fanti,
Ch'a suon di trombe e a suon di tamburini
Venian, partiti a belle schiere, avanti
Il buon Rinaldo, onor de' Paladini;
Del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
Che mandato da Carlo, era venuto
In queste parti a ricercare aiuto.
75
Giunse a punto Euggier, che si facea
La bella mostra fuor di quella terra;
E per sapere il tutto, ne chiedea
Un cavallier; ma scese prima in terra:
E quel, ch'afìabil era, gli dicea
Che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
E de l' isole intorno eran le schiere
Che quivi alzate avean tante bandiere:
76
E finita la mostra che faceano,
Alla marina si distenderanno,
Dove aspettati per/ solcar l'Oceano
Son dai navili che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano,
Sperando in questi die a salvar li vanno.
Ma acciò tu te n' informi pienamente.
Io ti distinguerò tutta la gente.
77
Tu vedi ben quella bandiera grande
Ch'insieme pou la Fiordaligi e i Pardi:
Quella il gran Capitano all'aria spande,
E quella han da seguir gli altri stendardi.
II suo nome, famoso in queste bande,
E Leonetto, il fior de li gagliardi.
Di consiglio e d'ardire in guerra mastro,
Del Re nipote, e Duca di Lincastro.
78
La prima, appresso il gonfalon reale.
Che '1 vento tremolar fa verso il monte,
E tien nel campo verde tre bianche ale.
Porta Riccardo di Varvecia Conte.
Del Duca di Glocestra è quel segnale,
C'ha duo corna di cervio e mezza fronte.
Del Duca di Chiareuza è quella face:
Quell'arbore è del Duca d'Eborace.
79
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
Gli è '1 gonfalon del duca di Nortfozia,
La fulgore è del buon Conte di Cancia
11 grifone è del Conte di Pembrozia;
11 Duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
E del conte d'Esenia, e la ghirlanda
In campo azurro ha quel di Norbelanda.
80
Il Conte d'Arindelia è quel ch'ha messo
i In mar quella barchetta che s'affonda.
j Vedi il Marchese di Barclei, e appresso [da:
Di Marchia il Conte, e il Conte di Kitmon-
11 primo porta in bianco un monte fesso,
L'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda,
Quel di DorseziaèCoute,equeld'Antoua,
Che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.
Si
Il falcon che sul nido i vanni inchina,
Porta Raimondo, il Conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorina;
li can quel d'Erbia; un orso quel d'Osonia.
La croce che là vedi cristallina,
E del ricco Prelato di Battonia.
! Vedi nel bigio una spezzata sedia:
I È del Duca Ariman di Sormosedia.
74. 2. uomini d'arme. Si chiamavano cosi
i soldati, che si potrebbero dire di cavalle-
ria pesante. C'erau poi quelli armati alla
leggera, come, peres., gli arcieri; V. st. 82, 1.
— 3. tamburini, tamburi. Berni, Inn. 12,
35: « 6uouavaii trombe e corni e tambu-
rini ».
75. 2. fuor di quella terra; fuori di Londra,
Terra per città è comune nei nostri scrit- [
tori. Qui è corsa una piccola inesattezza.
Al e. vili, 28 è detto che il re avea ingiun-
to a tutti i suoi dipendenti di ritrovarsi,
il giorno stabilito, al mare, non a Londra.
76. 8. distinguerò, noterò distintamente. I
Petrarca, Tr. Fama, in, 55 « Tucidide vi- |
d' io, che ben distingue I tempi e i luoghi
e loro opre leggiadre ».
77. 2. la Fiordaligi, il giglio Francese ; v.
e. XIV, 8, n. 3, e i, 46, n. 8. — i Pardi. Il j
pardo è nell'arme d' Inghilterra. L'A. dice ,
che V'erano insieme i gigli e il pardo, per- j
che re d' Inghilterra era, secondo la leg- j
genda. Ottone di Francia. |
— 8. Duca di Lincastro. {jQ imprese de' di- I
versi capi son tutte invenzioni dell'Ariosto,
il quale, con curioso anacronismo, fa i no-
biU inglesi e le famiglie normanne e i titoli ^
moderni contemporanei di Carlo M. (Panizzi).
— Il Fornari invece assicura che la descri-
zione delle insegne e dei nomi dei signori
Inglesi non è fatta a caso; anzi, oltre la
verità degli scudi dipinti, l'A. allude a si-
gnori di quell' isola, che a' suoi tempi erano
vivi.
78. 4-8. VarTOCia, Warwich; Glocestra, Glo-
cester; Chiarenza, Clarence; Eborace York
(in latino Eboracum).
79. 2-S. Mortfozia, Norfolk; Cancia, Kent
(in latino Caìitiian); Sufolcia, SufTolk; Ese-
nia, Essex; Norbelanda, Northumberland.
80. 1-8. Arindelia, Arundel; Barclei, Ber-
keley; Marchia, March; Ritmonda, Richmond;
Dorsezia, Dorset; Antona, Southampton.
81. 2-3. Devonia, Devonshire; Vigorina,
Winchester; Erbia, Derby; Osonia, Oxford
(lat. Oxonium); Battonia, Bath; Sormosedia,
Somerset.
AUIOSTO — Papini
114
ORLANDO FURIOSO
Gli uomini d'arnie e gli arcieri a cavallo
Di quarantadue mila uumer fanno.
8ono duo tanti, o di cento non fallo,
Quelli eh' a pie ne la battaglia vanno.
Mira quei segui, un bigio, un verde, un gial-
E di nero e di azur listato un panno: [lo,
Gofredo, Enrico, Ermante et Odoardo
Gnidan pedoni, ognun col suo stendardo.
83
Duca di Bocchingamia è quel dinante:
Enrigo ha la Contea di Sarisberia,
Signoreggia Burgenia il vecchio Ermante:
Quello Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso Levante,
Sono gl'Inglesi. Or volgeti all'Esperia,
Dove si veggion trentamila Scotti,
Da Zerbin, figlio del lor Re, condotti.
84
Vedi tra duo unicorni il gran leone.
Che la spada d'argento ha ne la zampa:
Queir è del Re di Scozia il gonfalone ;
li suo figliol Zerbino ivi s' accampa.
Non è un si bello in tante altre persone:
Natura il fece, e poi roppe la stampa.
Non è in cui tal virtii, tal grazia luca,
0 tal possanza: et è di Rosela Duca.
85
Porta in azurro una dorata sbarra
Il Conte d' Ottonici ne lo stendardo.
L'altra bandiera è del Duca di Marra,
Che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizarra
Mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo.
Che non è Duca, Conte, né Marchese,
Ma primo nel salvatico paese.
I 86
Del Duca di Trasfordiaèqnellainsegna,
Dove è l'augel ch'ai sol tien gli occhi fran-
'< Lurcanio Conte, ch'inAngosciaregna, [chi.
] Porta quel tauro ch'ha duo veltri ai fian-
: Vedi là il Duca d'Albania, che segna [chi
j II campo di colori azurri e bianchi.
; CJuellavoltor ch'un drago verde lania,
I È l'insegna del Conte di Boccania.
! 87
Signoreggia Forbesse il forte Armano,
Che di bianco e di nero ha la bandiera:
Et ha il Conte d'Erelia a destra mano.
Che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gl'Ibernesi appresso il piano:
Sono dua squadre; e il Conte di Childera
Mena la prima, e il Conte di Desmonda
Da fieri monti ha tratta la seconda.
88 [dente;
Ne lo stendardo il primo ha un pino ar-
L'altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
La terra Inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
Ma vien di Svezia e di Norvegia gente.
Da Tile, e fin da la remota Islanda;
Da ogni terra insomma, che là giace,
Nimica naturalmente di pace.
89
Sedicimila sono, o poco manco.
De le spelonche usciti e de le selve;
Hanno piloso il viso, il petto, il fianco,
E dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
Par che quel pian di lor lance s' inselve:
Cosi Moratto il porta, il capo loro,
Per dipingerlo poi di sangue Moro.
82. 2. numer. È omesso l'articolo; v. e. li,
15, n. 8.
83. 1-4. Bocchingamia, Bukingam; Sari-
sberia, Salisbury; Burgenia, Albergavenny;
Croisberia, Shewsbury.
— 6. Tolgeti. Per V imperativo in e vedi
e. Ili, 19, n. 4. — Esperia, fu detta propriam.
dai Greci l' Italia e anche la Spagn^a. Qui
vale semplicem. ponente.
— 7. Scotti (lat. Scoti) Scozzesi.
84. 1. unicorni, liocorni; v. e. vi, 67, n. 1.
— 7. Non è in cui. Non v' è uno in cui ecc.
È costrutto latino; Son est in quo ecc.
— S. Eoscia, Ross.
85. 2-3. Oltonlei, Athol; Marra, Marr. Son
paesi della Scozia.
— 4. travaglio, ordigno fatto di travi, nel
quale i maniscalchi mettono le bestie poco
trattabili per ferrarle o medicarle.
— 8. salvatico paese. Forse chiama cosi
l'alta Scozia, restata quasi sempre indi-
pendente e governata solo da' suoi capi di
tribù.
86. 1-2. Trasfordia, StrafiTord. Vaugello è
l'aquila.
— 3-8. Angoscia, Angus; Albania, Albany.
Questo duca è Ariondante ; v. e. vi, 15. Boe-
cania, Buchan. Avoltor... lania (lat. vultuv,
lanio), sono forme già usate n§l trecento.
— 5. segna II campo ecc.; ha disegnato il
campo del suo scudo con colori ecc.
87. 1-8. Forbesse, Forbes; Erelia, Errol ;
Ibernesi, Irlandesi. V. e. ix, 11, n. 5. Childera,
Kildare; Desmonda, Desmond. L'A., seguen-
do l'uso degli antichi scrittori, ha dato for-
ma italiana a questi nomi, anche per le
ragioni del verso.
88. 6. Tile. Tuie. È incerto a che corri-
sponda questa Tuie degli antichi ; alcuni la
identificarono colla Islanda, altri col Main-
land, una delle isole Shetland. L'A. la di-
stingue dalla Islanda.
— 8. Nimica ecc. É un verso preso inte-
ramente dai Petr. Canz. « o aspettata iu
ciel beata e bella », v. 50.
CANTO X
115
90
Mentre Ruggier di quella gente bella,
Che per soccorrer Francia si prepara,
Mira le varie insegne, e ne favella,
E dei Signor Britanni il nome impara;
Uno et un altro a lui, per mirar quella
Bestia sopra cui siede, unica o rara,
Maraviglioso corre e stupefatto;
E tosto il cerchio intorno gli fu fatto.
91
Si che per dar ancor pili maraviglia,
E per pigliameli buon lìuggier più gino-
Al volante corsier scuote la briglia, [co,
E con gli sproni ai fianchi il tocca un poco.
Quel verso il ciel per l'aria il caminpiglia,
E lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poiché di banda in banda
Vide gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.
92
E vide Ibernia fabulosa, dove
Il santo vecchierel fece la cava,
In che tanta mercé par che si trove,
Che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier move
Là dove la minor Bretagna lava;
E nel passar vide, mirando a basso.
Angelica legata al nudo sasso,
9;!
Al nudo sasso, all'isola del pianto;
Che l'isola del pianto era nomata
Quella che da crudele e fiera tanto
Et inumana gente era abitata.
Che (come io vi dicea sopra nel Canto)
90. 7. Maraviglioso; maravigbato. Caro,
En., 5, 785: «Ne sta di Troia e di Sicilia il
volgo Maraviglioso ».
91. 7. di tanda in banda; parte per parte.
È modo non registrato dalla Crusca.
92. 1. fabulosa, piena di cose favolose.
Orazio, Odi I, 22, 7: Fabulosiis Iduòpes,
perché intorno a questo fiume si racconta-
vano molte favole.
— 2. 11 santo ecc. S. Patrizio. In Irlanda
era il famoso pozzo di S. Patrizio, che era
una caverna (cava), in un' isoletta del lago
Deai'g, nella quale, forse, S. Patrizio si ri-
tirava a far penitenza. Su questa caverna
furon tante le favole e le superstizioni, che,
per ordine di Alessandro VI e di Enri-
co Vili, ne fu chiuso l'accesso.
— 6. minor Bretagna, la Brett. fi'ancese.
L' isola d' Ebuda è molto lontana dalla Bre-
tagne; ma osserva che l'A. dice di Ruggero
che si mosse verso la Br., e che, passando,
vide ueir isola di Ebuda Angelica.
93. 5. sopra nel Canto; addietro nelValtro
canto. È simile a quel di Dante, Inf. 33,
90: «E gli altri duo che il canto suso ap-
pella»; ma meno chiaro.
Per varii liti sparsa iva in armata
Tutte le belle donne depredando.
Per farne a un mostro poi cibo nefando.
94
Vi fu legata pur quella matina,
Dove venia per trangugiarla viva
Quel smisurato mostro, Orca marina.
Che di aborrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
Di quei che la trovaro in su la riva
Dormire al vecchio incantatore a canto
Ch' ivi l'avea tirata per incanto.
95
La fiera gente inospitale e cruda
Alla bestia crudel nel lito espose
La bellissima donna cosi ignuda,
<.'ome Natura prima la compose.
Un velo non ha pure in che richiuda
I bianchi gigli e le vermiglie rose.
Da non cader per luglio o per dicembre,
Di che son sparse le polite membre.
9G
Creduto avria che fosse statua finta
O d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio cosi avvinta
Per artificio di scultori industri ;
! Se non vedea la lacrima distinta
i Tra fresche rose e candidi ligustri
j Far rugiadose le crudette pome,
E l'aura sventolar l'aurate chiome.
i ^'
l| E come ne' begli occhi gli ocelli affisse,
,lDe la sua Bradamante gli sovvenne,
j^Pietade e amore a un tempo lo trafisse,
SE di piangere a pena si ritenne;
E dolcemente alla donzella disse.
Poi che del suo destrier frenò le penne:
] — 6. iva in armata; andava in nave. Ma
; dice in armata accennando alla moltitudi-
' ne delle genti e delle navi, che formavano
1 un' armata.
j 94. 1. pur ; solamente.
— 4. aborrevole ; abominevole. Vedi i pre-
cedenti di questa narraz. al e. viii, 62, 64.
95. 4. prima; un tempo; oppure: Da prin-
cipio; (nel principio della sua vita). Dante,
liif. I, HI: « Là onde invidia, prima, dipar-
tilla».
96. 1. Creduto ecc. Ovidio, che descrive
Andromeda esposta al mostro marino e li-
berata da Perseo , ha fornito il modello
all'A. Perseo ha, per volare, i talari, Rug-
gero ha l'ippogrifo; quegli ha la testa di
j Medusa, questi lo scudo . d'Atlante. Anche
I molle immagini sono imitate dall'A. Cosi
! Metamorf. 4, 673: «Nisi quod levis aura
' capillos Moverai, et tepido manabant lunu-
1 na fletu, Marmoreum ratus essel opus ».
I — 0. ligustri v. e. VII, 11, 6.
116
ORT>ANDO FURIOSO
O donna, degna sol de la catena
Con chi i suoi servi Amor legati mena,
98
E ben di questo e d' ogni male indegna,
Chi è quel crudel che con voler perverso
D'importuno livor stringendo segna
Di queste belle man l'avorio terso?
Forza è eh' a quel parlare ella divegna
Quale è di grana un bianco avorio asperso,
Di sé vedendo quelle parte ignude,
Ch'ancor che belle siau, vergogna chiude.
99
E coperto con man s'avrebbe il volto.
Se non eran legate al duro sasso;
Ma del pianto ch'ahnen non l'era tolto,
Lo sparse, e si sforzò di tener basso.
E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
Incominciò con tioco suono e lasso;
Ma non segui ; che dentro il fé' restara
Il gran rumor che si senti nel mare.
100
Ecco apparir lo smisurato Mostro
Mezzo ascoso ne l'onda, e mezzo sorto.
97. 7. 0 donna ecc. Ovidio, Met. 4, 678 ;
« O, dixit, non istis digns cateuis, Sed qui-
bus Inter se cupidi iungantur amantes, Pan-
de requirenti nomen ecc. ».
— s. Con chi. Le tre edizioni del '16 del
'21 e del'S'Z lerrgono concordemente ro/i chi;
l'A. ha il pronome chi, riferito a cosa e non
a persona, iu altri cinque luoghi (vedili al-
l' indice pag. 680) ; perciò non si vede la ra-
gione, che ha indotto il Morali a correggere
con che.
98. 3. livor, lividore, (lat. livor). É più
comune nel signific. metaforico.
— 6. Quale è di grana ecc. Virgil. En.
12, 67 : « Indum sanguineo veluti violàverit
ostro Si quis ebur.... tales virgo dabat ore
colores >. Grana, si chiamano i corpi di
certi insetti che, morti, hanno figura di gra-
nelli rotondi, e servono a colorire in rosso
o paonazzo; e si chiama grana anche la
stessa tinta.
— 7. parte; v. e. IX, 84, n. 1.
99. 1. E coperto ecc. Ovid. Met. 4, 682;
«Manibusque modestos Celasset vultus, si
non religata fuisset. Lumina quod potuit,
lacrymis implevit obortis ».
— 5. alcun'. Questo troncamento l'abbia-
mo anche nel e. vi, 61, 3; xxiv, 4,7 e xxviii,
58, 3; ma solamente qui e nel e. vi è se-
gnato l'apostrofo. Gli antichi l'usarono sen-
za apostrofo: Petrarca, Tr. Am. 11,55:
«Ove iraffigurai alcua moderni». E l'A.
stesso non l'apostrofò nelle altre due edi-
zioni. — Signozzi; È forma più popolare,
ma oggi andata in disuso.
— 7. il fé restare ; té restare in gola quel
suono.
Come sospìnto suol da Borea o d'Ostro
"^'^enir lungo navilio a pigliar porto,
Cosi ne viene al cibo che l'è mostro,
La bestia orrenda: e l'intervallo è corto.
La donna è mezza morta di paura,
Né per conforto altrui si rassicura.
101
Tenea Ruggier la lancia non in resta.
Ma sopra mano; e percoteva l'Orca.
Altro non so che s'assomigli a questa,
Ch' una gran massa che s'aggiri e torca :
Né l'orma ha d' animai, se non la testa,
C'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in fronte la feria tra gli occhi;
Ma par che un ferro 0 uu duro sasso tocchi.
102
Poi che la prima botta poco vale.
Ritorna per far meglio la seconda,
L'Orca che vede sotto le grandi ale
L'ombra di qua e di là correr su l'onda,
Lascia la preda certa litorale,
E quella vana segue furibonda:
Dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giù cala e spessi colpi tira.
103
Come d'alto venendo aquila suole,
Ch'errar fra l'erbe visto abbia la biscia.
I O che stia sopra un nudo sasso al sole,
I Dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
Non assalir da quel lato la vuole,
"Onde la velenosa e soffia e striscia;
Ma da tergo la adugna, e batte i vanni.
Acciò non se le volga e non la azzanni:
104
Cosi Ruggier con l'asta e con la spada,
, Non dove era de' denti armato il muso,
Ma vuol che '1 colpo tra l'orecchie cada,
Or su le schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada;
Et a tempo giù cala, e poggia in suso:
100. 3. Come sospinto ecc. Ovid., l. e. v.
706: « Ecce velut navis, praefixo concita ro-
stro Sulcat aquas... sic fera». — d'Ostro:
da Ostro, v. e. v, io, n. 5.
101. 3. Altro non so ecc. PLINIO, S. N. 9,
6: « Orcas, cuius imago nulla repraesenta-
tione exprimi possit alia quam carnis im-
mensae dentibus truculentae ».
102. 4. L'ombra ecc. OviD. l. C. 711: «Ut
in aequore sommo Umbra viri visa est, vi-
sam fera saevit in umbram ».
103. 1. Come ecc. Ovid. l. e. 713: « Utque
lovis praepes, vacuo cum vidit in arvo Prae-
bentem Phoebo liventia terga draconem,
Occupat aversum; neu saeva retorqueat ora,
Squamigeris avidos figit cervicibus ungues,
Sic, ecc. ».
— 3. 0 che stia. Riferiscilo a biscia. L'an-
damento sintattico non è chiaro.
CANTO X
117
Ma come sempre giunga in un diaspro,
Non può tagliar lo scoglio duro et aspro.
105
Simil battaglia fa la mosca audace
Contro il mastio nel polveroso agosto,
O nel mese dinanzi o nel seguace.
L'uno di spiche e l'altro pien di mosto:
Negli occhi il punge e nel grifo mordace;
Volagli intorno, e gli sta sempre accosto;
E quel sonar fa spesso il dente asciutto,
Ma un tratto che gli arrivi appaga il tutto.
106
Si forte ella nel mar batte la coda,
Che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;
Tal che non sa se l'ale in aria snoda,
O pur se '1 suo destrier nuota nel mare.
Gli è spesso che disia trovarsi a proda;
Che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
Teme si l'ale inaflfi all' Ippogrifo,
Che brami invano avere o zucca o schifo.
107
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore.
Di vincer con altre arme il mostro crudo.
Abbarbagliar lo vuol con lo splendore,
Ch'era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
Alla donna legata al sasso nudo
Lascia nel minor dito de la mano
L'annel, che potea far l' incanto vano:
108
Dico l'annel che Bradamante avea
Per liberar Ruggier tolto a Brunello,
Poi per trarlo di man d'Alcina rea.
Mandato in India per Melissa a quello.
104. 7. gianga; colpisca.
— b. scoglio; pelle. V. e. xvii, 11, 5.
105. 3. n. m. dinanzi u. m. precedente:
Bocc, yov. 21 : « il di dinanzi ». — seguace,
seguente. Si cita il solo esempio dell'Ariosto.
— 8. tratto ; opportunità. Pucci, Centil.
18, 73: « Il capitan, veggendo il tratto bello,
Non aspettò la gente ». — appaga, compensa.
Cosi anche nelle Rime 1, 293: « Tal mercé
... che appagherà quant'hai servito e servi ».
Non si citano altri es. Forse è il verbo pa-
gare coli' aggiunta di un' a. V. e. i, 02, n. 2.
e XVI, 28, n. 3.
106. 3. non sa. Il sogg. è Ruggero.
— 5. Gli è spesso, egli (in senso neutro)
avviene spesso che ecc. Machiavelli, Princ.
19: «allora è che rade volte periclitano ».
Vedano i puristi l'uso del verbo essere.
— S. Che brami; da bramare; v. e. i, 3S,
n. 6. — zucca. Le zucche vuote e secche si
adoprano come galleggianti.
107. 2. crudo, crudele.
— 4. incantato. Intendilo come se fosse tra
due virgole, cioè riferiscilo direttamente a
splendore; e vuol dire: che era per opera
d'incanto.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
In ben di molti adoperò l'annello;
I Indi l'avea a Ruggier restituito,
j Dal qual poi sempre fu portato in dito.
I Lo dà ad Angelica ora, perché teme
! Che del suo scudo il fulgurar non viete,
': E perché a lei ne sien difesi insieme
Gli occhi che già l'avean preso alla rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
Ben mezzo il mar la smisurata Cete.
Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo ;
E par ch'aggiunga un altro sole al cielo.
110
Feri negli occhi l'incantato lume
Di quella fera, e fece al modo usato.
Quale 0 trota o scaglion va giti pel fiume
C'ha con calcina il montanar turbato ;
Tal si vedea ne le marine schiume
Il mostro orribilmente riversciato.
Di qua di là Ruggier percuote assai;
Ma di ferirlo via non trova mai.
'• 111
La bella Donna tutta volta priega
Ch'in van la dura squama oltre non pesti.
Torna, per Dio, signor; prima mi slega
(Dicea piangendo) che l'Orca si desti:
Portami teco, e in mezzo il mar mi an-
[niega;
Non far ch'in ventre al brutto pesce io
(resti.
Ruggier, commosso dunque al giusto gri-
Slegò la Donna, e la levò dal lido. [do,
112
Il destrier punto, ponta i pie all'arena,
E sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
E porta il cavalliero in su la schena,
E la donzella dietro in su la groppa.
Cosi privò la fera de la cena
Per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
Figge nel petto e negli occhi vivaci.
113
Non pili tenne la via, come propose
Prima, di circundar tutta la Spagna;
108. 5. come dianzi, Nel canto vii, 15 sgg.
— 6. In ben, iu vantaggio.
109. 5. e sotto il ventre ecc. OviD. l. C.
689: « Etlalum sub pectore possidet aequor ».
Cete (lat. cete) cetaceo. È poetico e raro.
110. 2. Di quella fera. Uniscilo a occhi. È
distacco forzato.
— 4. con calcina. Intorbidando i fiumi con
calcina i pesci ne muoiono.
111. 6. in ventre. È omesso l'articolo: v.
e. Il, 15, 8; forse per analogia col più co-
mune in corpo.
112. 6. troppa, troppo. V. C. v, 18, n. 7.
113. 2. di circundar. Dipende da via, ma,
per il costrutto, sente 1' efficacia di propo-
118
ORLANDO FURIOSO
Ma nel propinquo lito il destrier pose, '
Dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
Dove ogn'or par che Filomena piagna;
Ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,
E quinci e quindi un solitario monte.
se. — circundar per girare non è comune, j
Tasso, Ger. 19, 34. «11 (luogo) circondò con
le veloci piante ».
— 6. Filomena; (gr. phileo, amo; e me-
los, ca.nto). Intendi: dove si sente ognora il
rosiguuolo che, cantando, par che pianga le
sventure attribuitegli dalia favola. Dice la
favola che Filomela, figlia di Pandione, re
d'Atene, oltraggiata da Tereo, ne uccise
d'accordo colla sorella Progne il figlio Iti:
inseguita per ciò da Tereo fu cambiata da- {
gli dei in rosignuoio. i
114
Quivi il bramoso cavallier ritenne
L' audace corso, e nel pratel discese;
E fé' raccorre al suo destrier le penne,
INIa non a tal che piti le avea distese..
Del destrier sceso, a pena si ritenne
Di salir altri; ma tennel 1' arnese:
L'arnese il tenne, che bisognò trarre,
E centra il suo disir messe le sbarre.
115
Frettoloso, or da questo or da quel cauto
Confusamente l'arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto;
Che s'un laccio sciogliea, dui n'auuodava.
Matroppo è lungo ormai, Signor, il Canto;
E forse eh' anco l'ascoltar vi grava:
Si ch'io differirò l'istoria mia
In altro tempo che più grata sia.
CANTO XI
1
Quantunque debil freno a mezzo il corso
Animoso destrier spesso raccolga,
Raro è però che di ragione il morso
Libidinosa furia a dietro volga, [d'orso
Quando il piacere ha in pronto; a guisa
Che dal mei non si tosto si distolga,
Poi che gli n'è venuto odore al naso,
O qualche stilla ne gustò sul vaso.
2 [frene,
Qual ragion fia che '1 buon Ruggier raf-
Si che non voglia ora pigliar diletto
D'Angelica gentil che nuda tiene
Nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante più non gli sovviene,
Che tanto aver solca fissa nel petto;
E se gli ne sovvien pur come prima, [ma;
Pazzo è se questa ancor non prezza e sti-
Con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,
E si traea l'altre arme impaziente;
Quando abbassando pel bel corpo ignudo
La donna gli occhi vergognosamente.
Si vide in dito il prezioso annello,
Che già le tolse ad Albracca Brunello.
4 [Francia
Questo è l'annel ch'ella portò già in
La prima volta che fé' quel camino
Col fratel suo, che v'arrecò la lancia.
La qual fu poi d'Astolfo Paladino.
Con questo fé' gl'incauti uscire in ciancia
Di Malagigi al petron di Merlino;
Con questo Orlando et altri una matina
Tolse di servitù di Dragontina;
1. 1-1. C è un ricordo del Petrarca, iv,
Son. 10 : « Orso, al vostro destrier si può
ben porre Un fren, che di suo corso addie-
tro il volga. Ma il cor chi legherà ? » —
raccolga, trattenga, tiri. Petrarca, i, Son. 0,
9; « E poi che '1 fren per forza a sé racco-
glie ».
— 6. si distolga. Il cong. dà risalto alla
comparazione: fuomo diventa come una
bestia: Tindicat. darebbe più risalto all'a-
zione dell'orso. Ma forse su questo cong. ha
agito anche il volga del 4 verso.
— 7. gli n' è. V. e. v, 89, n. 4,
3. 2. Zenocrate, lilosofo greco (406-314
circa av. Cr.) celebre per l'austerità della
morale. Egli resistette alle seduzioni della
famosa etera Frine.
— 8. le tolse. Ciò è raccontato neWinn.
II, V, 33.
4. 1-6. Questo ecc. Ciò è raccontato dal
BOIARDO, Inn. I, I.
— 8. Tolse ecc. Si dice nell' Inn. I, xiv,
che Angelica ridotta a mal partito dai suoi
nemici, che l'assediavano in Albracca, va
per aiuto in cerca d'Orlando e, saputo che
era nel giardino incantato di Dragontina, vi
CANTO XI
119
Con questo usci invisibil de la torre,
Dove l'avea richiusa un vecchio rio.
A che voglio io tutte sue prove accòrre,
Se le sapete voi cosi come io?
Brunel sin nel giron le '1 venne a torre;
Ch'Agramante d'averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
Ebbe costei, fin che le tolse il regno.
6
Or che sei vede, come ho detto, in mano,
Si di stupore e d'allegrezza è piena.
Che quasi dubbia di sognarsi in vano,
Agli occhi, alla man sua dà fede a pena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
Se '1 chiude in bocca; e in raeu che non ba-
Cosi dagli occhi di Ruggier si cela, [lena,
Come fa il sol quando la nube il vela.
7
Ruggier pur d'ognintorno riguardava,
E s'aggirava a cerco come un matto;
Ma poi che dell' anne! si ricordava,
Scornato vi rimase e stupefatto;
E la sua inavvertenza l)estemmiava,
E la donna accusava di quello atto
Ingrato e discortese, che renduto
In ricompensa gli era del suo aiuto.
8
Ingrata damigella, è questo quello
Guiderdone (dicea) che tu mi rendi ?
Che più tosto involar vogli l'annello.
Ch'averlo in don. Perché da me noi prendi?
entra per mezzo di quest'anello, distrug-
ge ogni incanto, libera Orlando e gli altri
ivi l'inchiusi.
5. 1. Con questo. È detto i\e\V Inn. I, xiv
che Angel., andando in cerca d'Orlando, è
ti-atta in inganno da un vecchio, che la rin-
chiude in una torre, dov'erano già altre
donne; ma essa, appena la torre viene aper-
ta, fugge, non vista, in virtù dell'anello.
— 5. nel giron. È detta sempre dal Boiar-
do girone la cinta di mura, che chiudeva
la rocca di Albracca, e anche la rocca stes-
sa. Per il fatto V. Innam. Il, v, 33. — le '1.
V. e. IV, 2, n. 8.
— 7. Da indi ecc.. D'allora iu p£)i le sue
condizioni peggiorarono sempre. Stremata
di forze la rocca, più fiero l'amore di Ang.
per Rinaldo; cosicché ella se ne venne in
Ponente, abbandonando il suo regno.
6. 3. dubbia, dubbiosa, temendo.
— 5. a ninno a mano, prontamente. V. e.
VII, SO, n. 4.
— 7. dagli occhi... si cela. Celarsi si co-
struisce egualmente con a e con da.
7. 2. a cerco, a cerchio, intorno.
— 4. vi rimase, ne rimase; V. e. vii, 2,
il. 1.
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier
[snello
E me ti dono, e come vuoi mi spendi;
Sol che '1 bel viso tuo non mi nascondi.
Io so, crudel, che m'odi, e non rispondi.
9
Cosi dicendo, intorno alla fontana
Brancolando n'andava come cieco.
Oh quante volte abbracciò l'aria vana,
Sperando la donzella abbracciar seco!
Quella, che s'era già fatta lontana, [speco
Mai non cessò d' andar che giunse a un
Che sotto un monte era capace e grande,
Dove al bisogno suo trovò vivande.
10
Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
Un grande armento avea, facea soggior-
Le giumente pascean giù per la valle [no.
Le tenere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di là da l'antro erano stalle.
Dove fuggiano il sol del mezzogiorno.
Angelica quel di lunga dimora
Là dentro fece, e non fu vista ancora.
11
E circa il vespro, poi che rifrescossi,
E le fu avviso esser posata assai,
In certi drappi rozzi avviluppossi,
Dissimil troppo ai portamenti gai.
Che verdi, gialli, persi, azurri e rossi
Ebbe, e di quante foggie furon mai.
' 8. 6. mi spendi, giovati di me. È vivissi-
mo ancora.
— 7. nascondi; nasconda. È forma fre-
quente negli antichi. V. e. xv, 86, n. 5.
I 9. 6. che. Che in relazione coU'avv. mai,
; e anche dipendente da semplice proposiz.
negativa, significa finché.
— 1. tapace e grande. .\\ e. il, 7S: aìYipla
■ • rapace e al e. xi.vi, 71, 1, ampio e capace:
i V. la nota 8 al e. vii, 38.
i 10. 3. giumente. (\aX. .ìumentum, ju(gum)
; mentuìn, propriam. animale da giogo, da
i soma). Qui vale cavalle e non è raro nella
! letteratura. In questo luogo abbiamo il ger-
me dell'episodio di Erminia nella Gerusal.
dei Tasso.
— 8. ancora, nonostante ciò. Cosi il Bocc.
i FU. 1, 348: « Se voi mi concedete eh' io vada,
audrò, e se voi non lo mi concedete, an-
cora andrò ».
11. 1. rifrescossi. Rifrescare e Refrescare
sono forme antiche non frequenti.
— 4. portamenti, abiti. In senso affine lo
usò il Caro, Eh. 7, 368: «E questa è la
tiara. Sacro suo portamento » (oggetto che
egh suol portare).
I — 5, persi. Colore tra il purpureo e il
, nero, ma vince il nero; il Dolce ne dà l'e-
I sempio col colore del ferro rugginoso.
120
ORLANDO FURIOSO
Non le può tor però tanto umil gonna,
Che bella non rassembri e nobil donna.
12
Taccia chi loda Fillide e Neera,
O Aniarilli, o Galatea fugace;
Che d'esse alcuna si bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tra fuor della schiera
De le giumente una che più le piace.
Allora allora se le fece inante
Un pensier di tornarsene in Levante.
13
Ruggiero in tanto, poi ch'ebbe gran pez-
Indarno atteso s'ella si scopriva, |zo
E che s' avvide del suo error da sezzo,
Che non. era vicina e non l'udiva-.
Dove lasciato avea il cavallo, avvezzo
In cielo e in terra, a rimontar veniva:
E ritrovò che s'avea tratto il morso,
E salia in aria a più libero corso.
14
Fu grave e mala aggiunta all'altro dan-
Vedersi anco restar senza l'augello, [no
Questo, non menche'lfeminileinganno.
Gli preme al cor,mapiùche questo e quel-
Glì preme e fa sentir noioso affanno [lo,
L'aver perduto il prezioso annello;
Per le virtù non tanto ch'in lui sono.
Quanto che fu de la sua donna dono.
1.Ó
Oltre modo dolente si ripose
Indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;
12. 1. Pillide, Beerà, Amarilli, Galatea son
tutte pastorelle ricordate nelle egloghe di
Virgilio e celebrate da due pastori, che iu
queste egloghe appaiono, cioè Titiro e Me-
libeo.
— 2. fugace. È epiteto ispirato da Virgi-
lio, Egl. 3, 64: « Malo me Galatea petit la-
sciva puella, Et fugit ad salices et cupit
ante videri ».
— 5. tra; trae. È forma regolare da fra-
re, come da da dare; fa da fare. Cosi il
plurale iranno al e. xix, 70. Vedine i molti
esempi citati dal Nannucci, Analisi crii,
dei verbi ital. p. 723.
13. 3. da sezzo, da ultimo. È espressione
antiquata (sezzo dal lat. sectius, che vien
dopo).
— 4. che; S'avvide cioè che non era vi-
cina ecc.
14. 4. Gli preme al cor; Gli opprime il cor.
Nel e. XX vili, 68: «ad amenduo... preme».
Dante, Inf. 33, 5: « il cor mi preme ». Que-
sto costrutto dell'A. non è citato dai voca-
bolari.
— 8. quanto che, quanto perché; V. c.v,
16, n. 5.
15. 2. alle spalle; al COllo; V. c. vii, 76,
!.. 8.
Dal mar slnngossi, e per le piagge erbose
Prese il camin verso una larga valle.
Dove per mezzo all' alte selve ombrose
Vide il più largo e '1 più segnato calle.
Non molto va, ch'a destra, ove più folta
È quella selva, un gran strepito ascolta:
16
Strepito ascolta e spaventevol suono
D'arme percosse insieme ; onde s'affretta
Tra pianta e pianta, e trova dui che sono
A gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s' hanno alcun riguardo né perdono.
Per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno è gigante, alla sembianza fiero;
Ardito l'altro e franco cavalliero.
17
E questo con lo scudo e con la spada.
Di qua di là saltando, si difende.
Perché la mazza sopra non gli cada, [de.
Con che il gigante a due man sempre offen-
Giace morto il eavallo in su la strada.
Ruggier si ferma,ealla battagliaattende;
E tosto inchina l'animo, e disia
Che vincitore il cavallier ne sia.
18
Non cheperquesto gli dia alcuno aiuto;
Ma si tira da parte e sta a vedere.
Ecco col baston grave il più membruto
Sopra r elmo a due man del minor fere.
De la percossa è il cavallier caduto:
L'altro che '1 vide attonito giacere.
Per dargli morte l'elmo gli dislaccia;
E fa si che Ruggier lo vede in faccia.
19
Vede Ruggier de la sua dolce e bella
E carissima donna Bradamante
Scoperto il viso; e lei vede esser quella
— 3. slnngossi, dilungossi. È d'uso spe-
cialm. poetico. Berni, Inn., 22, 56: « E come
fu da noi tanto slungato».
— 6. segnato, detinito, determinato, in
modo da non sbagliare. Petr., i Canz., 13,
2. « Ogni segnato calle Provo contrario a
la tranquilla vita ».
16. 4. piazza si chiamava, con termine
tecnico, il luogo, dove i cavalieri combat-
tevano fra loro.
17. 3. mazza. I giganti non hanno mai le
armi onorate dei cavalieri, ma tronconi,
mazze e simili arnesi.
— 7. inchina l'animo, volge benignamente
l'animo. Sottint. al cavaliere.
18. 6. attonito, stordito come per scoppio
di tuono (lat. atlonitus). Questo è il suo
primo significato.
— 7. l'elmo gli dislaccia. Secondo le leggi
della guerra antica, atterrato il cavaliere,
gli si levava l'elmo per costringerlo a ren-
dersi o per finirlo a colpi di pugnale.
CANTO XI
121
A cui dar morte vnol l'empio gigante:
Si che a battaglia subito l'appella,
E con la spada nuda si fa inante;
Ma quel, che nuova pugna non attende,
La donna tramortita in braccio prende;
•2(1
E se l'arreca in spalla, e via la porta.
Come lupo talor piccolo agnello, ;* "^.c
O l'aquila portar ne 1' ugna torta ''C2^-~
Suole 0 colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
E vien correndo a più poter; ma quello
Con tanta fretta i lunghi passi mena,
•ChecougliocchiKuggier lo segueapena.
•21
Cosi correndo l'uno, e seguitando ^
L'altro, per un sentiero ombroso e fosco,
Che sempre si venia pili dilatando.
In un gran prato uscir fuor di quel bosco.
Non pili di questo; ch'io ritorno a Or-
T\^-^'-^-^' [landò
Che '1 fulgur che portò già il Re Cimosco,'
Avea gittato in mar nel maggior fondo.
Acciò mai più non si trovasse al mond^
Ma poco ci giovò: che '1 nimico empio
De l'umana natura, il qual del telo
Fu l'inventor eh" ebbe da "quel reseìtipio,
Ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;
Con quasi non minor di quello scempio
Che ci die quando Eva ingannò col melo,
-Lo fece ritrovar da un Negromante,
Al tempo de' nostri avi, o poco inante.
20. 2. Come lupo ecc. Viro., En. 9, 563:
« Qualis, ubi aut leporem aut candenti coi-
pore cycnum Sustulit alta peteus pedibus
lovis armiger uncis, Quaesitum aut matri
multis balatibus aguum I^lartius a stabulis
rapuit lupus >.
— T. i... passi mena. È espressione fog-
giata sulla più comune Menar le garabe.
21. 6. il fulgor, l'archibugio, « che il ful-
mine assomiglia ad ogni effetto » e. ix, 88, S.
J'i<?5'ir/-e fu dagli antichi usalo assai spesso
come maschile. Dal quinto verso di questa
stauza, fino a tutta la stanza SO, è giunta
fatta per l'ediz. del 1532.
22. 1. ci giovò, a noi, al mondo giovò.
— 2. telo. Qui vale archibugio. Non si
cita che questo esempio dell' .\. Dante, Purg.
12, -^ l'usò per fulmine.
— 5. Con quasi ecc. Costruisci: Con scem-
pio quasi non minore di quello.
— 6. melo, mela. Questa forma, per indi-
care il frutto, è citata col solo esempio del-
J'.^riosto. È opinione popolare che il frutto
proibito fosse il fico o il melo.
— 7. uri negromante. Forse 1' .K. accen-
na poeticamente al frate tedesco Bertoldo
Schwartz ^ra. 13S4), al quale si attribuì per
[ 2.3
La machina infernal, di più di cento
.Passi d'acqua ove stè ascosa molt'anni.
Al sommo tratta per incantamento,
Prima portata fu tra gli Alamanni ;
j Li quali uno et un altro esperimento
I Facendone, e il Demonio a' nostri danni
I A^Sìittìgliando lor via più la mente,
1 Ne ritrovaro l'uso finalmente.
! 24
Italia e Francia, e tutte l'altre bande
Del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande.
Che liquefatto ha la fornace accesa;
Bugia altri il ferro; e chi picciol, chi gran-
ii vaso forma, che più e meno pesa; [de
E qual bombarda, e qual nomina scoppio,
Qual semplice cannon,qual cannon doppio:
25
j Qual sagra, qual falcon, qual colubrina
I Sento nomar, come al suo autor più ag-
j [grada :
lungo tempo l' invenzione della polvere da
cannone. Egli però non fece che perfeziona-
re le artiglierie, che esistevano già. Ma è an-
che probabile che l'A. non alluda a nessuna
persona storica, e solo voglia, con questa
fantasia, accennare all'origine germanica
dell'archibugio, che dai Germani ebbe anche
il nome (haken-biìchsen : hake n, griWeito;
bùchsen, canna. Cosi Carlo Promis nel
TratC. di architettura civile e militare di
Fr. di Giorgio Martini).
23. 1. di, da. É la preposiz. di, che indica
origine di moto (p. es. trarre del pozzo) ;
ma usata con una certa libertà.
— 2. Passi. Su questa misura v. e. vi, 37,
n. 3.
24. 1. bande; parti. Col complemento di
specificaz. non è frequente. Chiabrera, Amed.
4, 5: «maggiore Rimbombo empie del ciel
tutte le bande »'.
— 3. Alcuno ecc. I cannoni prima si fu-
sero coir anima incavata dalla forma, e
quindi il bronzo, spandendosi intorno ad
essa, prese cave forme; poi si fusero pieni,
ricavandone l'anima col trapano.
— 7-8. bombarda; Nome generico di tutte
le artiglierie da fuoco cominciate a usare
fra il dugeuto e il trecento. — scoppio o
schioppo, era manesco e portatile. — can-
none ordinario o semplice si disse, verso la
fine del trecento, quello che traeva palle di
ferro di circa 50 libbre, e fu il tipo o l'unità
di misura; tutti gli altri furon multipli o
sotto multipli: cannon doppio del calibro
di 100, mezzo cannone del calibro di 25, ecc.
(Guglielmotti, Dizionario milit. e ma-
rino).
25. 1. sagra, o sagro era il maggior can-
none da campagna (sagro era veramente il
122
ORLANDO FURIOSO
Che'l ferro spezza, e i marmi apre emina,
E ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alla fucina
Pur tutte Tarme c'hai, fin alla spada;
E in spalla un scoppio e un arcobugio
(prendi;
Che senza, io so, non toccherai stipendi.
26
Come trovasti, o scelerata e brutta
Invenzìon, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta;
Per te il mestier de l'arme è senza onore ;
Per te è il valore e la virtù ridutta,
Che spesso par del buono il rio migliore:
Non più la gagliardia, non più l'ardire
Per te può in campo al paragon venire.
27
Per te son giti et anderan sotterra
Tanti Signori e Cavallieri tanti.
Prima che sia finita questa guerra, [pianti ;
Che '1 mondo, ma più Italia ha messo in
Che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
Che ben fu il più crudele, e il più di quanti
Mai furo al mondo ingegni empii e maligni,
Ch' imaginò si abominosi ordigni.
28
E crederò che Dio, perché vendetta
Ne sia in eterno, nel profondo chiuda
Del cieco Abisso quella maladetta
Anima, appressò al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier eh' in fretta
Brama trovarsi all'isola d' Ebuda,
Dove le belle donne e delicate
Son per vivanda a un marin mostro date.
29
Ma quanto avea più fretta il Paladino,
Tanto parca che men l'avesse il vento.
•Spiri 0 dal lato destro o dal mancino
falcone da caccia, detto da i Greci hierós,
sacro). — falcon era il più piccolo dei can-
noni; avea il calibro di 3. — colubrina, pezzo
d'artiglieria molto lungo e sottile a guisa
di colubro.
26. 5. ridutta, Sottiut. a tal punto.
27. 3. questa guerra, La gran guerra tra
la Francia e l'impero, che, cominciata nei
primi del secolo, fini nel 1541.
— 5. Che s'io ecc. Nota il costrutto, nel
• luale la proposizione principale (il detto
mio non erra) è inserita nella dipendente,
mentre regolarmente dovrebbe essere posta
alla fine dell'ottavo verso. Cosi anche xiii,
18, 6. Il che è correlativo di tanti del ver-
so 2: tanti, che se io vi ho detto che fu il
più crudele ecc., il detto mio non erra.
— 6. e 11 più di quanti eccJ Regolarm.
dovrebbe dire: Il più empio e il più maligno
ingegno di quanti ecc. È un esempio d'at-
trazione, come si trova anche al e. xxiii,
46 e XXXVII, 114. 3.
O ne le poppe, sempre è cosi lento,
Che si può far con lui poco camino;
E rimanea tal volta in tutto spento:
Soffia talor si avverso, che gli è forza
0 di tornare, o d'ir girando all'orza.
30
Fu volontà di Dio che non venisse
Prima che '1 Re d'Ibernia in quella parte,
Acciò con più facilità seguisse - "
Quel eh' udir vi farò fra poche carte.
Sopra l'isola sorti. Orlando disse
Al suo nocchiero: Or qui potrai fermarte,
E '1 battei darmi; che portar mi voglio
Senz' altra compagnia sopra lo scoglio.
31 -^'i-
E voglio la maggior goraona meco,
E l'ancora maggior ch'abbi sul legno:
lo ti farò veder perché l'arreco.
Se con quel mostro ad affrontar mi vegno.
Gittar fé' in mare il palischermo seco.
Con tutto quel ch'era atto al suo disegno ;
Tutte l'arme lasciò, fuor che la spada;
E ver lo scoglio sol prese la strada.
^''■•" 32
Si tira i remi al petto, e tien le spalle
Volte alla parte ove discender vuole;
A guisa che del mare o de la valle
Uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era ne l'ora che le chiome gialle
29. 8. ir girando all'orza. Girare all'orza^
Orzare significano propriam. avvicinarci
colla x>rua alla direzione, da cui viene il
vento; e si orza nei momenti, in cui il ven-
to sfavorevole è più forte, per raddrizzare
la barca e impedire che si rovesci; si pog-
gia o puggia, appena passata la raffica per
ripigliare la primitiva direzione. Qui il poe-
ta volle dire che Orlando, per non esser ro-
vesciato, o doveva abbandonarsi al vento
contrario e tornare, o doveva spostare la
sua direzione, voltando la prua verso il ven-
to, per non essere rovesciato.
30. 2. Ibernia. V. e. IX, 11.
— 5. sorti. V. e. IV, 51, n. 6.
31. 5. palischermo è nome generico d'ogni
piccola barca a servizio di nave grande :
(etimolog. incerta). Sopra lo ha detto bat'
tello, sotto lo dice schifo. Lo schifo serviva
per l'equipaggio, il battello per i bassi ser-
vizi. Spesso si prendono come sinonimi.
32. 1. Si tira ecc. Indica uno dei modi di
remare; ed è quello, col quale si fa più for-
za e si ottiene più velocità; nell'altro modo
si spingono i remi dal petto in fuori, guar-
dando la prua.
— 4. il salse granchio; i granchi di mare,
che talvolta sono gettati dalle onde nelle
paludi {valle).
— 5. le chiome gialle ecc. Intendi le chio-
me del sole, che l'Aurora, andandogli avan-
,<-i,jiAXC^«_
^ANTO XI
123
La bella aurora avea spiegate al sole, v' '"
Mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,
Non senza sdegno di Titon geloso.
33
Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
Potria gagliarda man gittare un sasso,
Gli pare udire e non udire un pianto
Si all' orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto;
E posto gli occhi appresso all'onde al bas-
Vede una donna, nuda come nacque, [so,
Legata a un tronco ; e i pie le bagnan
34 [l'acque.
Perché gli è ancor lontana, e perché chi-
Lafacciatien,nonbeuchisiadiscerne. [na
Tira in fretta ambi i remi, e s'avvicina
Con gran disio di più notizia averne.
Ma rauggiar sente in questo la marina,
E rimbombar le selve e le caverne:
Gonfiànsi l'onde; et ecco il Mostro appare,
Che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.
35
Come d'oscura valle umida ascende
Nube di pioggia e di tempesta pregna,
Che più che cieca notte si distende
Per tutto '1 mondo, e par che 'I giorno spe-
Cosi nuota la fera, e del mar prende [gna ;
Tanto, che si può dir che tutto il tegua:
Fremono l'onde. Orlando in sé raccolto.
La mira altier, né cangia cor né volto.
ti, aveva spiegato. Non possono esser le
chiome dell'Aurora, perché il sole era già
mezzo scoperto. Cfr. e. vai, 86, 5.
— 8. Titon. Dice la favola che Titone,
amante e marito dell'Aurora; domandò agli
dei r immortalità e l'ebbe ; ma dimenticò di
domandare l'eterna giovinezza. Divenuto
decrepito, era geloso.
33. 2. Potria ecc. Dante, Purg. 3, 67:
« Quanto un buon gittator trarria con ma-
no ».
— 4. lasso, stanco, di persona stanca, ab-
battuta.
— 6. posto, posti. V. e. IX, 32, n. 1. — ap-
presso a. o. al basso; sul basso, sulla parte
inferiore dello scoglio, vicino alle onde.
— 8. a un tronco, confìtto forse, a tal uso,
nel terreno, poiché siamo sulla scogliera.
34. 5. muggìar. V. e. I, 41, n. 1.
— 8. Che sotto ecc. Ovidio, Met. iv. 688-
9, dice del mostro marino, che viene a di-
vorare Andromeda: « latum sub pectore
possidet aequor ».
35. 1. Come ecc. Valerio Fiacco, II, 515,
dice del mostro, che viene per divorare E-
sione: « Qualis ubi gelidi Boreas convallibus
Hebri Tollitur, et volucres Ripbaea per
ardua nubes Praecipitat; piceo nos tum te-
net omnia coelo ».
36
E come quel ch'avea il pensier ben fermo
Di quanto volea far, si mosse ratto ;
E perché alla donzella essere schermo,
E la fera assalir potesse a un tratto.
Entrò fra l'Orca e lei col palischermo,
Nel fodero lasciando il brando piatto:
I L 'àncora con la gomona in man prese;
Poi con gran cor l' orribil mostro attese.
' 37
I Tosto che l'Orca s'accostò, e scoperse
Nel schifo Orlando con poco intervallo,
] Per inghiottirlo tanta bocca aperse,
1 Ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immersi^
I Con quell'ancora in gola, e s'io non fallo,
j Col battello anco; e l'ancora attaccolle
E nel palato e ne la lingua molle:
38
Si che né più si puou calar di sopra,
I Né alzar di sotto le mascelle orrende.
! Cosi chi ne le mine il ferro adopra,
I La terra, ovunque si fa via, suspende,
j Che subita ruina non lo cuopra,
I Mentre mal cauto al suo lavoro intende.
' Uà un amo all'altro l'ancora è tanto alta,
I Che non v'arriva Orlando, se non salta.
j 39
Messo il puntello, e fattosi sicuro
i Che '1 mostro più serrar non può la bocca,
I Stringe la spada e per quell'antro oscuro
Di qua e di là con tagli e punte tocca.
Come si può, poi che son dentro al muro
Giunti i nimici, ben difender l'occa;
Cosi difender l'Orca si potea
Dal Paladin, che ne la gola avea.
40
Dal dolor vinta,or sopra il mar si lancia.
36. 4. a nn tratto; a un tempo, nello stes-
so tempo.
— 6. lasciando il br. piatto; lasc. il br.
nascosto. Cosi spesso gli antichi. Dante,
Inf. 19, 75: «Per la fessura della pieti-a
piatti ».
37. 5, gli per le non di rado gli antichi.
Dante, Inf. 33, 61: « tosto che l'anima trade,
Come fec' io, il corpo suo gli è tolto ».
38. 1. puon. V. e. X, (51, n. 6.
— 3. mine, miniere. Cosi anche al e xi.vr,
136, 2.
— 5. Che, perché. V. e. i, 27, S.
— 6. mal canto, incauto. V. e. i, 57, n. 1.
— 7. amo. Chiama l'A. la marra dell'an-
cora, perché fatta a guisa di amo. Si cita
questo solo esempio deU'.\.
39. 4. pnnte, puntate. V. e. IX, 70, n. 3.
40. 1-4. or sopra ecc. OviD., Met. iv, 720-1:
« Vulnere laesa gravi modo se sublimis iu
auras Attollit, modo subdit aquis ».
124
ORLANDO FURIOSO
E mostra i fianchi e le scaglie e schene;
Or dentro vi s'attufla, e con la pancia
Muove dal fondo e fa salir l'arene.
Sentendo l'acqua il cavallier di Francia,
Che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:
Lascia l'ancora fitta, e in mano prende
La fune che da l'ancora depende.
41
E con quella ne vien nuotando in fretta
Verso lo scoglio, ove fermato il piede, .
Tira l'ancora a sé, che 'n bocca stretta
Con le dna punte il brutto mostro ficde.
L' Orca a seguire il canape è constretta
Da quella forza ch'ogni forza eccede,
] )a quella forza che pili in una scossa
Tira, eh' in dieci un argano far possa.
42
Come toro salvatico ch'ai corno
Gittar si senta un improviso laccio.
Salta di qua di là, s' aggira intorno, [ciò;
Si colca e lieva, e non può uscir d'irapac-
Cosi fuor del suo antico almo soggiorno
LOrca tratta per forza di quel braccio.
Con mille guizzi e mille strane ruote
Segue la fune, e scior non se ne puote.
43
Di bocca il sangue in tanta copia fonde.
Che questo oggi il mar Rosso si può dire,
Dove in tal guisa ella percuote l'onde,
Ch'insino al fondo le vedreste aprire:
Et or ne bagna il cielo, e il lume asconde
Del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,
Le selve, i monti e le lontane prode.
— 2. schene. V. e. X, 57, n. 6.
— S. depende, pende attaccata (lat. dcpen-
det). È un latinismo elegante.
> 42. 4. Si colca, si corica. Da collocare si
fece colcare quindi corcare, coricare. La
prima forma colcare fu, dagli antichi, usata
più in poesia che in prosa.
— 5. almo sogg. Almo, in senso proprio,
si dice ciò, che dà vita e nutrimento: cosi
Lucrezio 2, 390: «liquor almus aquarum ».
43. 1. fonde, effonde (lat. fundit). Gii an-
tichi l'usarono anche in prosa. Cavalca,
Esp. Simb. 2, 212: « La pietra mi fondeva i
rivi dell'olio ». Oggi è poetico.
— 2. il mar Rosso. L' A. evidentemente
scherza. Il mar Rosso non è affatto rosso,
quantunque alcune erbe sottomarine, alcuni
banchi di sabbia e di corallo, e il colore del
cielo gli diano talvolta qua e là una tinta
Rossastra, il nome però sembra derivato
al nome di Popolo rosso, che si dava alla
più parte degli abitanti di quella riviera.
(V. St. Martin e Rousselet, Nouveau Diction-
uaire de Géographie).
44
Fuor de la grotta il vecchio Proteo quan -
Ode tanto rumor, sopra il mare esce; [do
E visto entrare e uscir de l'Orca Orlando,
E al lito trar si smisurato pesce.
Fugge per l'alto Oceano, obliando
Lo sparso gregge: e si il tumulto cresce»
Che fatto al carro i suoi delfini porre,
Quel di Nettuno in Etiopia corre.
45
Con Melicerta in collo Ino piangendo,
E le Nereide coi capelli sparsi,
Glauci e Tritoni, e gli altri non sappiendo
Dove, chi qua, chi là van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo.
Col qual non bisognò più affaticarsi;
Che pel travaglio e per l'avuta pena.
Prima mori, che fosse in su l'arena.
46
De l'isola non pochi erano eorsi
A riguardar quella battaglia strana;
I quai da vana religion rimorsi.
Cosi sant'opra riputar profana:
E dicean che sarebbe un nuovo tòrsi
Proteo nimico, e attizzar l'ira insana,
Da fargli porre il mariu gregge in terra,
E tutta rinovar l'antica guerra;
47
E che meglio sarà di chieder pace
Prima all' offeso Dio, che peggio accada;
E questo si farà, quando l'audace
44. 1. Proteo. V. e. vili, 51. Il suo gregge
sono orche, balene e altri cetacei.
— 7. fatto, fatti. V. e. IX, 32, n. 1.
— 8. Nettuno ecc. OMERO, Jl. (MONTI, I,
558) : « Ieri in grembo air Oceano Fra gli in-
nocenti Etiopi discese Giove a convito e il se-
guir tutti i numi ». Odissea (Maspero I, 29):
« Sceso Era il forte Nettuno in Etiopia...
Un' ecatombe Gli avean di tauri offerta e di
montoni I felici Etiopi e ai lor conviti Egli
Seder godea. ». Gli dei scendevano spesso
fra i popoli più innocenti e devoti.
45. I. Con Melicerta. Ino, madre di Meli-
certa e di Learco per fuggire il furore di
Atamante re di Tebe, suo marito, che le
avea già ucciso Learco, si gettò in mare con
Melicerta. Gli dei la cambiarono in divinità
marina.
— 2-3. Nereide... Glauci e Trìtoni erano
anch'essi divinità marine. I Tritoni, secon-
do i poeti antichi, erano più d'uno, ma un
solo fu Glauco. L'.\. ha usato il plur. o per
azione di Tritoni, o come parola generica
indicante divinità marine.
46. 5. torsi... nimico; rendersi nem. É mo-
do non citalo dai vocabolari.
47. 1. meglio sarà dì eh. Più regolarmente
senza il 'li. v. Fornaci ari, Sint. p. 361,
par. 6.
CANTO XI
125
Gittate in mar a placar Proteo vada.
Come dà fuoco l'una a l'altra face,
E tosto alluma tutta una contrada;
Cosi d'un cor ne l'altro si diftonde
L'ira ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.
48
Chi d'una froraba e chi d'un arco armato,
Chi d'asta, chi di spada, al lito scende;
E dinanzi e di dietro e d' ogni lato.
Lontano e appresso, a più poter l'offende.
Di si bestiale insulto e troppo ingrato
Gran meraviglia il Paladin si prende:
Pel mostro ucciso ingiuria far si vede;
Dove aver ne sperò gloria e mercede.
49
Ma come l'orso suol, che per le tìere
Menato sia da Rusci o da Lituani,
Passando per la via, poco temere
L'importuno abbaiar di picciol cani.
Che pur non se li degna di vedere;
Cosi poco temea di quei villani
Il Paladin che con un soffio solo
Ne potrà fracassar tutto lo stuolo.
5Ù
E ben si fece far subito piazza
Che lor si volse, e Durindana prese.
S'avea creduto quella gente pazza
Che le dovesse far poche contese.
Quando né indosso gli vedea corazza.
Né scudo in braccio, né alcun altro arnese;
Ma non sapea che dal capo alle piante
Dura la pelle avea più che diamante.
51 [lece.
Quel che d'Orlando agli altri far non
Di far degli altri a lui già non è tolto.
Trenta n' uccise: e furo in tutto diece
Botte; 0 se più, non le passò di molto.
Tosto intorno sgombrar l'arena fece;
E per slegar la donna era già volto.
Quando nuovo tumulto e nuovo grido
Ee' risuonar da un'altra parte il lido.
48. 1. tromba; frombola, fionda-
49. 2. Bdscì, Russi. È forse una forma
dialettale.
— 5. se li degna ecc. si degna di vederli.
Solito spostamento del pronome; v. e. i, 47,
11. 6. — vedere, guardarli. Dante, Par. 22,
128: «Rimira in giuso e vedi quanto mon-
do».
50. 2. Che; È correlativo di subito.
— 5. Quando; poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— 7. Ma non sapea ecc. Orlando era in-
vulnerabile, fuorché sotto le piante.
51. 3. diece. L'.\. ha dieci ogni volta che
si riferisce a sostantivo maschile, diece ogni
volta che si riferisce a sost. femminile. Lo
stesso abbiamo avvertito per dm e due e.
I, 16, n. 2. Il Bembo, Prose, III, 10; nota che
nel fenìminile diece più anticamente si
disse.
Mentre avea il Paladin da questa banda
Cosi tenuti i barbari impediti,
Eran senza contrasto quei d'Irlanda
Da più parte ne l'isola saliti;
E spenta ogni pietà, strage nefanda
Di quel popol facean per tutti i liti:
Eosse giustizia, o fosse crudeltade.
Né sesso riguardavano né etade.
53
Nessun ripar fan gl'isolani, o poco:
Parte, ch'accolti son troppo improviso;
Parte, che poca gente ha il picciol loco,
E quella poca è di nessun avviso.
L'aver fu messo a sacco; messo foco
Fu ne le case: il popolo fu ucciso:
Le mura fur tutte adeguate al suolo;
Non fu lasciato vivo un capo solo.
54
Orlando, come gli appartenga nulla
L'alto rumor, le stride e la ruina.
Viene a colei che su la pietra brulla
Avea da divorar 1' Orca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
E più gli pare, e più che s' avvicina:
Gli pare Olimpia; et era Ofimpia certo,
Che di sua fede ebbe si iniquo merto.
55
Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
Che gli fé' Amore, anco Fortuna cruda
52. 3. quei d' Irlanda. Ricorda ciò che è
stato detto al e. ix, 11.
53. 2. Parte che; in parte perché. Bembo,
Prose, III, 303: « Ponsi nondimeno comunal-
mente parte da' poeti, invece di dire in
parte ». — che, perché: v. e. i, 27, 8. — ac-
colti, colti. V. e. I, Q2, n. 2.
— 4. di nessun avviso, di nessuna avve-
dutezza. Cosi al e. XX, 119: esser pien d'o-
gni avviso. Avviso ha spesso il significato
di accorgimento.
— 8. un capo solo, una sola persona. SI
cita questo solo esempio dell'A.
54. 1. gli appart. nulla'; gli app. per nulla.
Nulla ha valore di avverbio di quantità.
Sacchetti, nov. 194: «E' par vero ciò, che
dice, e non è vero nulla ». Senza negativa
precedente l'usò già Dante, Purg., 16, 88,
e altri.
— 5. gli par con., gli p. di con. Omissio-
ne della prep. V. e. i, 4, n. 1.
— 6. pili... e pili che; quanto più... e tanto
più. Avverti che il popolo Toscano dice in
tre modi: più che gli pare e più che s' a.;
più che gli p. e più s' a.; più gli pare e
più che s* a. Qui l'A. vuol dire che Ori. ha
spinta continua ad avvicinarsi, dal dubbio
che quella sia Ang.; cosi quanto più gli pare
tanto più corre ansioso verso di lei.
— 8. merto, premio. V. e. ii, 16, n. 3.
120
ORLANDO FURIOSO
Mandò i corsari (e fu il niedesmo giorno),
Che la portare all' isola d' Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno
Che fa allo scoglio: ma perch'ella è nnda,
Tien basso il capo; e nonchenon gli parli,
Ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.
56
Orlando domandò ch'iniqua sorte
L' avesse fatta all' isola venire
Di là, dove lasciata col consorte
Lieta l'avea, quanto si può piiì dire.
Non so (disse ella) s"io v'ho, che la morte
Voi mi schivaste, grazie a riferire,
O da dolermi che per voi non sia
Oggi finita la miseria mia.
57
Io v' ho da ringraziar eh' una maniera
Di morir mi schivaste troppo enorme;
Che troppo saria enorme, se la fera
Nel brutto ventre avesse avuto a porme.
Ma già non vi ringrazio eh' io non pera;
Che morte sol può di miseria torme:
Ben vi ringrazierò, se da voi darmi
Quella vedrò, che d'ogni duol può trarmi.
58
Poi con gran pianto seguitò, dicendo
Come lo sposo suo l'avea tradita;
Che la lasciò sull'isola dormendo.
Donde ella poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
S' andava in quella guisa che scolpita
O dipinta è Diana ne la fonte,
Che getta l'acqua ad Atteone in fronte;
59 [ventre,
Che, quanto può, nasconde il petto e '1
Pili liberal dei fianchi e de le rene, [entre ;
Brama Orlando ch'in porto il suo legno
55. 7. non che non. yon che è formola
abbreviata per non occorre dire che, non
solo non, quindi si usa, regolarmente, sen-
za il non seguente. V. Fornac. Sint. 1,27,11.
56. 6. grazie a riferire. V. e. vi. Sì, n. 1.
— mi schivaste. Schivare una cosa a uno,
liberare uno da una cosa. Cosi anche al e.
]X, 49; XVI, 48, 8. Per questo costrutto si
citano soltanto questi luoglii dell'A.
58. 6. in quella guisa. Ovidio, Met. Ili,
]Ss seg. dette questa immagine, descriven-
do Diana vista da Atteone :■« In latus obli-
quum tameu adstitit oraqiie retro Flexit...
hausit aquas vultumqne virilem Perfudit ».
K. Q. Visconti nei Monumenti Borghesiani,
p. 199, dice non conoscersi il monumento,
che, visto dall'A. o da pittori suoi contem-
poranei, gli ha suggerito questa compara-
zione. Forse è andato, con tanti altri, per-
duto.
59. 2. rene; Il popolo Toscano preferi e
preferisce questa forma all'altra reni, che
è della lingua letteraria. V. e. ix, 84, n. 1.
Che lei che sciolta avea da le catene,
Vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre
Ch'a questo è intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re d'Ibernia, ch'^avea inteso
Che '1 inarin mostro era sul lito steso;
60
E che nuotando un cavallier era ito
A porgli in gola un'ancora assai grave;
E che l'avea cosi tirato al lito,
<.'ome si suol tirar contr'acqua nave.
Oberto, per veder se riferito
Colui da chi l'ha inteso, il vero gli bave.
Se ne vien quivi; e la sua gente intanto
Arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
61
Il Re d'Ibernia ancor che fosse Orlando
Di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto.
Brutto del sangue che si trasse quando
Usci de l'Orca in ch'era entrato tutto;
Pel Conte l'andò pur raffigurando:
Tanto più che ne l'animo avea indutto.
Tosto che del valor senti la nuova,
Ch'altri ch'Orlando non farla tal pruova.
62
Lo couoscea, perch'era stato Infante
D'onore in Francia e se n'era partito
Per pigliar la corona, l'anno inante,
Del padre suo ch'era di vita uscito.
Tante volte veduto e tante e tante
Gli avea parlato, ch'era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa.
Trattasi la celata ch'avea in testa.
63
Non meno Orlando di veder contento'
Si mostrò il Re che '1 Re di veder lui.
Poiché furo a iterar 1' abbracciamento
Una o due volte tornati amendui,
Narrò ad Oberto Orlando il tradimento
— 3. il suo legno; la nave, in cui avea
fatto il viaggio, e che avea lasciato al largo,
quando scese nel palischermo. Ivi avrebbe
trovato non vesti femminili, ma alcuna
veste.
60. G. have, ha. Forma poetica già co-
mune in Dante.
61. 3. si trasse; trasse seco sulla person;»
(ialle ferite dell'orca.
— 6. n. l'a. avea ìnd,; si era persuaso. E
r-spressioiie lat. Cic. Sull. 30: «in animuiii
inducam ejus vitara defendere». Si cita solo
c|uesto luogo dell'A.
62. 1. Infante d'on. Si dissero cosi, alla
Francese, i giovanetti nobili tenuti alla cor-
te per compagnia del principe durante la
sua fanciullezza. Si cita solam. questo luogo
dell'A.
— 6. era in infinito; erano infinite. Per
il verbo slng. v. e. ix, 82, u. 8. In infinito
è espressione avverbiale con valore d'ag-
gettivo. Si cita solo l'A.
CAXTO XI
127
Che fu fatto alla giovane, e da cui
Fatto le fu, dal perfido Bireuo,
Che via d'ogualtro lo dovea far meno.
64
Le prove gli narrò, che tante volte
Ella d'amarlo dimostrato avea:
Come i parenti e le sustaiizie tolte
Le furo, e al fin per lui morir volea;
il eh' esso testimonio era di molte,
E renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava i begli occhi sereni
De la donna di lagrime erau pieni.
65
Era il bel viso suo, quale esser suole
Da primavera alcuna volta il cielo,
j Quando la pioggia cade, e a un tempo il
-j Si sgombra intorno il nubiloso velo, [sole
E come il rosignuol dolci carole
Mena nei rami allor del verde stelo;
Cosi alle belle lagrime le piume
Si. bagna Amore, e gode al chiaro lume,
G6
r E ne la face de' begli occhi accende
Y L'aurato strale, e nel ruscello ammorza,
Che tra vermigli e bianchi fiori scende:
E temprato che 1' ha, tira di forza
Contra il garzon, che né scudo difende,
Né maglia doppia, né ferrigna scorza;
Che, mentre sta a mirar gli occhi e le chio-
nv Si sente il cor ferito, e non sa come, (me,
't 67
Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
Che son più rare: e non la fronte sola.
Gli occhi e le guance e le chiome avea belle,
La bocca, il naso, gli omeri e la gola;
Ma discendendo giù da le mammelle,
Le parti che solea coprir la stola,
Fur di tanta eccellenzia, ch'anteporse
A quante n'avea il mondo potean forse.
68
Vinceano di candor le nievi intatte,
Et eran più ch'avorio a toccar molli:
Le poppe ritondette parean latte
Che fuor dei giunchi allora allora folli.
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
Esser veggìàn fra piccolini colli
L'ombrose valli, in sua stagione amene,
Che '1 verno abbia di nieve allora piene.
69
I rilevati fianchi e le belle anche,
E netto più che specchio il ventre piano,
Pareano fatti, e quelle coscie bianche.
Da Fidia a torno, o da più dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche.
Che pur celare ella bramava in vano?
Dirò in somma ch'in lei dal capo al piede,
Quant' esser può beltà, tutta si vede.
70
Se fosse stata ne le valli Idee
Vista dal pastor Frigio, io non so quanto
Vener, se ben vincea quelle altre Dee,
Portato avesse di bellezza il vanto:
Né forse ito saria ne le Amiclee
63. 8. Tia; uniscilo col meno che vien
dopo.
64. 2. dimostrato av., avea dato come di-
mostrazione d'amarlo. Riferiscilo diretta-
mente a prove e intendi : gli narrò le prove
d'amarlo, che ella avea t. v. dim. V. e. v,
55, n. 4.
— 0. r. buon conto; farne fede. La Cr. non
cita questo significato.
65. 2. Da primavera. Cosi al e. xlvi, 79, 2,
da mezzo giorno. Sono espressioni foggiate
dall'A. sulle più comuni da 'mattina, da
sera, che determinano il punto del tempo,
nel quale avviene checchessia.
— 5. carole, canzoni. Pclci, Morg. 27,
134: «E sentirai cantar nostre carole».
— 6. stelo, albero. V. e. vin, 20, 7.
66. 2. ammorza; sottint. lo. Il ruscello sono
le lacrime, che scendono sulle bianche guan-
ce rosate.
68. 2. molli, liscie, levigate. È citato dal
Gherardini con questo solo esempio.
— 3. latte ecc.; la cosi detta giuncata.
— 6. vegglan. V. e. ix, 43, n. 8.
— 7. in sua stag. Stagione significa spesso
tempo, nel quale le cose sono nella loro
perfezione; qui s'intende la primavera.
L'A. nella Lena, 2, 3: «Or che l'arrosto è
in stagion, vieni andiamone A mangiar ».
— sua, loro.
69. 4. a torno. Gli antichi dissero egual-
mente fare, lavorare a torno, al torno, a,
al tornio. Gli antichi scultori facevan tal-
volta le statue d'avorio, o altra simil ma-
teria, al tornio. Cosi Fidia, celebre scultore
greco (500-436 a. C. circa), fece d'avorio il
suo Giove Olimpico.
70. 2. pastor Frigio, Paride. Mandato dal
padre Priamo, fin da fanciullo, sull'Ida, e
quivi divenuto pastore, fu cercato per ag-
giudicare alla più bella dea il pomo gettato
dalla Discordia. Lo aggiudicò a Venere, che
lo compensò colPamore di Elena. — quanto,
se. In questo senso non par citato dai vocab.
sebbene ancora vivissimo: per es. non so
quanto ti convenga.
— 4. p. avesse; più regolarm. avrebbe,
perché è una interrogazione indiretta. Vedi
e. XLVI, 42, I.
— 5. Amiclee e, la Laconia, o Sparta,
donde Paride rapi Elena. Amicla, sebbene
piccola città della Laconia, era celebre per
aver dato i natali a Castore e Polluce e per
altre glorie. Gli antichi usano spessissimo
Amicleo per Spartano. Silio Ital. 6, 504 chia-
ma Amiclaens rector Santippe Spartano.
128
ORLANDO FURIOSO
Contrade esso a violar T ospizio santo;
Ma detto avria: Con Menelao ti resta,
tlena, pur; ch'altra io non vo'che questa.
71
E se fosse costei stata a Crotone,
Quando Zeusi rimanine far volse,
Che por dovea nel Tempio di Giunone,
E tante belle nude insieme accolse;
E che per una farne in perfezione,
Da chi una parte e da chi un'altra tolse;
Non avea da tórre altra che costei;
Che tutte le bellezze erano in lei.
72
Io non credo che mai Bireno, nudo
Vedesse quel bel corpo: eh' io son certo
Che stato non saria mai cosi crudo.
Che l'avesse lasciata in quel deserto.
Ch'Oberto se n'accende, io vi concludo.
Tanto che '1 fuoco non può star coperto.
8i studia consolarla, e darle speme
Ch'uscirà in bene il mal ch'ora la preme:
73
E le promette andar seco in Olanda;
Né fin che ne lo stato la rimetta,
E ch'abbia fatto giusta e memoranda
'Di quel periuro e traditor vendetta,
Non cessarà con ciò che possa Irlanda,
E lo farà quanto potrà più in fretta.
Cercare intanto in quelle case e in queste
Facea di gonne e di feminee veste.
74
Bisogno non sarà, per trovar gonne,
Ch'a cercar fuor de l'isola si mande;
Ch'ogni di se n'avea da quelle donne.
Che de l'avido Mostro eran vivande.
— 6. santo, per le leggi sacre e inviolabili
dell'ospitalità.
71. 2. Zeusi, pittore Greco (420-380 a. C.
circa) « avendo a dipingere Elena nel tem-
pio dei Crotoniati, elesse di vedere ignuda
cinque fanciulle : e togliendo quelle parti
dall'una, che mancavano all'altra, ridusse
la sua Elena a tanta perfezióne, che ancora
ne resta viva la fama ». Dolce, Dialogo
della pittura.
— 5. E che; Dipende da quando. V. c>iv,
€0, u. 5. — in perfezione, a perfezione. Modo
non citato dai vocab.
73. 2. Né... non. Questa doppia negaz. è
assai frequente nella nostra Ietterai. V. For-
N'ACiARi, Sint. p. 385, dove cita l'es. del
Leopardi: «Né tu né io non possiamo in-
tendere la ragione ».
— 4. periuro latinismo (pex'jurus) raro
anche negli antichi.
— 5. cessarà; V. e. V, 42, n. 1.
74. 1. sarà ecc. Nota in quest' ottava la
solita libertà poetica nella corrispondenza
dei tempi (V. e. i, 81, n. 3) : il sarà del primo
V. e il rorreè&e dell'ultimo richiederebbero
Non fé" molto cercar, che ritrovonne
Di varie foggie Oberto copia grande;
E fé' vestir Olimpia; e ben gì' increbbe
Non la poter vestir come vorrebbe.
75
Ma né si bella seta o si fin'oro
Mai Fiorentini industri tesser fenuo;
Né chi ricama, fece mai lavoro.
Postovi tempo, diligenzia e senno,
(^he potesse a costui parer decoro,
Se lo fesse Minerva, o il Dio di Lenno,
E degno di coprir si belle membre.
Che forza è ad or ad or se ne rimerabre.
76
Per più rispetti il Paladino molto
Si dimostrò di questo amor contento:
Ch'oltre che '1 Re non lasciarebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento.
Sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto
Di grave e di noioso impedimento.
Quivi non per Olimpia, ma venuto
Per dar, se v'era, alla sua donna aiuto.'
77
Ch'ella non v'era si chiari di corto:
Ma già non si chiari, se v'era stata;
Perché ogn'uomo ne l'isola era morto.
Né un sol rimaso di si gran brigata.
Il di seguente si partir del porto,
E tutti insieme andaro in una armata.
Con loro andò in Irlanda il Paladino;
Che fu per gire in Francia il suo camino.
78
A pena un giorno si fermò in Irlanda:
Non valser preghi a far che più vi stesse.
Amor che dietro alla sua donna il manda,
Di fermarvisi più non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al Re, che servi le promesse:
una descrizione in tempo presente, mentre
avea, fé, iacrebbe la vorrebbero nel pas-
sato.
75. 2. Fiorentini ind. L'arte dei setaiuoli
e dei battiloro fu una delle glorie antiche
di Firenze.
— 5. decoro; (lat. decorus) decoroso. Lo-
renzo d. M. Coni. 117: « La chiama soavis-
sima e decora; decora per gli ornamenti »-
— 6. Minerva era insigne per i lavori
donneschi. — Il Dio di L. è Vulcano, che avea
la fucina in Lenno (oggi Stalimene). Era
fabbro ingegnoso, e l'A. lo mise insieme cou
Minerva pensando, forse, alla famosa rete,
con cui prese Marte e Venere.
76. 3. asciolto, assolto. Forma già usata
da Dante, Par. 27, 76.
— 7. venuto. Riferiscilo ad esso del v. 5.
77. 1. di corto, poco dopo. V. e. i, 63, n. 3.
— 6. in una a. ; in una sola a.
78. 6. che servi; e che serbi. Dipende da
raccoman'fa, il cui soggetto è Orlando.
CANTO XI
129
Benché non bisognassi; che gli attenne
Molto pili, che di far non si convenne.
79
Cosi fra pochi di gente raccolse;
E fatto lega col Re d'Inghilterra
E con l'altro di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in Frisa non gli lasciò terra;
Et a ribellione anco gli volse
La sua Selandia: e non tìni la guerra,
Che gli die morte; né però fu tale
La pena, ch'ai delitto andasse eguale.
80
Olimpia Oberto si pigliò per moglie,
E di Contessa la fé' gran Regina.
Ma ritorniamo al Paladin che scioglie
Nel mar le vele, e notte e di camina:
Poi nel medesmo porto le raccoglie.
Donde pria le spiegò ne la marina:
E sul suo Brigliador armato salse,
E lasciò dietro i venti e 1' onde salsQ.
81
Credo che '1 resto di quel verno cose '
Facesse degne di tenerne conto;
Ma fur sin a quel tempo si nascose.
Che non è colpa mia, s'or non le conto;
Perché Orlando a far l'opre virtuose,
— 8. n. s. convenne, n. s. era concordato
fra loro.
79. 1. fra pochi di'; dopo p. d. V. e. i, 27, n. 1.
— 2. fatto, fatta. V. e. ix, 32, u. 1.
— 3. gli; a Direno, nominato nella st. 76.
Il si convenne avendo richiamato alla men-
te dell'A. i patti delle st. 73, 76, richiama
cosi il nome di Bireno, al quale si riferi-
scono. E il Poeta r ha presente in modo che
l'accenna solo con un pronome.
— 7. che, finché. V. e. xiii, 7, n. 4.
80. 5. nel med. p. a S. Malo. V. e. ix, 15.
— 7. salse. V. e. vi, 41, n. 4.
81. 3. sino. a. q. tempo; perfino in quel
tempo, anche allora.
Pili che a narrarle poi, sempre era pronto :
Né mai fu alcun de li suoi fatti espresso,
Se non quando ebbe i testimoni appresso.
82
Passò il resto del verno cosi cheto.
Che di lui non si seppe cosa vera:
Ma poi che '1 sol ne l'animai discreto
Che portò Frisso, illuminò la sfera,
E Zefiro tornò soave e lieto
A rimenar la dolce primavera;
D'Orlando usciron le mirabii prove
Coi vaghi fiori e con T erbette nove.
83
Di piano in monte, e di campagna in
Pien di travaglio e di dolor ne già: [lido,
Quando all'entrar d'un bosco, un lungo
Un alto duol Y orecchie gli feria, [grido.
Spinge il cavallo, e piglia il brando fido;
E donde viene il suon ratto s'invia:
Ma differisco un'altra volta a dire
Quel che segui, se mi vorrete udire.
— 7. espresso; ciliare, palese.
82. 2. e. vera; cosa che si potesse assicu-
rare come vera; giacché sul conto di uomo
si famoso si saran fatte, non vedendolo,
mille supposizioni.
— 3. animai d., l'Ariete. Il sole entra in
.\riete nel marzo, quando comincia la pri-
mavera; è detto discreto per la bella sta-
gione, che porta. Dice la favola che Frisso,
(uggendo colla sorella Elle, passò il mare
(Ellesponto) su un ariete dal vello d'oro, che
poi formò l'oggetto della spedizione degli
Argonauti.
83. 4. TJn a. dnol ecc., alte grida di do-
lore. Dante, /»r.S, 63: « Ma nelle orecchie
rni percosse un duolo ».
— 7. diff... a dire; indugio a d. Più co-
mune è la struttura differisco di dire. Ma-
CHiAV. Leg. com.2, 192: «non possano dif-
ferire a giungere ».
CANTO XII
Cerere, poi che da la Madre Idea
Tornando in fretta alla solinga valle.
Là dove calca la montagna Etnea
[ Al fulminato Encelado le spalle,
I La figlia non trovò dove l'avea
Lasciata fuor d'ogni segnato calle; [ui
Fatto ch'ebbe alle guancie, al petto, ai cri-
1. 1. Cerere. Dice la favola che Cerere
tornando dall' Ida, (monte della Troade, do-
ve era stata a trovare la madre Cibele) alle
valli dell' Etna (sotto il quale è sepolto il
gigante Encelado fulminato da Giove) non
trovò più la figlia Proserpina rapita da Plu-
tone, e si dette a cercarla.
— 5. dove l'avea ecc. Tutto questo luogo
è imitato da Claudiano, De raptu Proserp.
I, 13S, seg. « raptusque timens... Commeu-
dat Siculis furtim sua gaudia terris, Ingenio
confisa loci ».
— 6. segnato o. V. e. XI, 15, n. 6.
Ariosto — Papisi
130
ORLANDO FURIOSO
E agli occhi danno, al fin svelse duo pini;
2
E nel fuoco gli accese di Vulcano,
E die lor non potere esser mai spenti :
E portandosi questi uno per mano
Sul carro che tiravan dui serpenti,
Cercò le selve, i campi, il monte, il piano,
Le valli, i tìumi, li stagni, i torrenti.
La terra e '1 mare; e poi che tutto il mondo
Cercò di sopra, andò al tartareo fondo.
3
SMn poter fosse stato Orlando pare
All'Eleusina Dea, come in disio,
Non avria, per Angelica cercare.
Lasciato o selva o campo o stagno o rio
O valle 0 monte ò piano o terra o mare.
Il cielo e '1 fondo de l'eterno oblio ;
'Ma poi che '1 carro e i draghi non avea.
La già cercando al meglio che potea.
4
-L'ha cercata per Francia: or s'apparec-
Per Italia cercarla e per Lamagna, [chia
Per la nuova Castiglia e per la vecchia,
E poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa cosi, sente all'orecchia
Una voce venir, che par che piagna:
Si spinge inanzi; e sopra un gran destrie-
Trottar si vede inanzi un cavalliero, [ro
— 8. duo pini. In questa immagine l'A.
non segue Claudiano, clie dice due cipressi,
ma Ovidio, Mei. v, 441 : « Illa duabus Flam-
mifera pinus mauibus succendit ab Etna ».
2. 2. E die ecc. Claudiano iii, 3S8-90 : « Tura,
ne deficerent, insopitosque mauere lussit
et arcano perfudit robora succo ». — Av-
verti l'omissione della prep. di (non poter
ecc.). V. e. I, 4, n. 1.
— 4. dui. V. e. I, 16, 2.
— 8. tartareo f. Il Tartaro, dove eran pu-
niti i malvagi, era differente dall' Inferno,
dal quale distava quanto l'Inferno dal Cielo.
Plutone era re dell'Inferno; ma spesso, an-
che i poeti classici, confusero questo col
Tartaro.
3. 2. Eleusina Dea. In Eleusi (città dell'At-
tica, ora Lepsina) si celebravano, più solen-
ni che altrove, i misteri di Cerere, detti
perciò Eleusini.
— 6. il fondo d. 1» e. o.; il Tartaro, o l'In-
ferno. Tutte le anime erano obbligate a bere
del fiume Lete, che faceva dimenticare il
passato.
— 8. al meglio; V. e. VI, 55, n. 1.
4. 1. s'app... cercarla; s'app. a cere. V.
C. I, 4, 1.
— 4. pass, in Libia il m. È una brachilo-
gia: passare, jjer andare in Libia, il m. di
Spagna. Libia si chiamò anticamente tutta
l'Affrica; ma poi il nome si restrinse alla
parte occidentale fra l' Etiopia, 1' oceano
Etiopico, r.A.tlantico e il Mediterr.
Che porta in braccio su l'arcion davante
Per forza una mestissima donzella.
Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante
Di gran dolore; et in soccorso appella
Il valoroso principe d'Anglante,
Che come mira alla giovane bella.
Gli par colei, per cui la notte e il giorno
Cercato Francia avea dentro e d'intorno.
6
Non dico ch'ella fosse, ma parca
Angelica gentil ch'egli tant'ama.
Egli, che la sua Donna e la sua Dea
Vede portar si addolorata e grama,
Spinto da l'ira e da la furia rea.
Con voce orrenda il cavallier richiama:
Richiama il cavalliero, e gli minaccia,
E Brigliadoro a tutta briglia caccia.
7
Non resta quel fellon, né gli risponde,
All'alta preda, al gran guadagno intento^
E si ratto ne va per quelle fronde.
Che saria tardo a seguitarlo il vento.
L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde
Selve s'odon sonar d'alto lamento.
Correndo, uscirò in un gran prato; e quella
Avea nel mezzo un grande e ricco ostello.
8
Di vari marmi con suttil lavoro
Edificato era il palazzo altiero.
5. 5. principe d'Angl. Orlando. V. i, 57,
n. 1.
— 6. che come m... gli p. Gli antichi col-
locavano spesso il soggetto della proposiz.
dipendente o gerundiva prima della congiun-
zione o del gerundio. Bocc. nov. 3: «Il Sa-
ladino... avendo speso tutto il suo tesoro...
gli venne in mente». — mira alla; m. la.
cavalca, Pung. 51 : « Or come miri a quelli
che ti disprezzauo ? ».
— 8. d'intorno; nelle regioni, che le sono
dintorno.
6. 3. Dea. Cosi il Petr. di Laura; Trionfi
m. I, 124: " o vera mortai Dea».
— 4. grama (a. a. t. grarn, crucciato di
malumore), mesta.
— 7. gli minaccia. È il latino minari ali-
eni. Più comunem. lo -minaccia.
7. 3. per q. fr. Ha detto, e. xi, 83, che
andavan per un bosco. Per vale fra. Fr.
Giord. pred. ii, 13S : « Entrarono per le spade
e per li coltelli ». V. e. xiii, 55, 8.
— 5. caccia; Si può sottintendere il ca-
vallo; ma si può anche intendere cerca,
va dietro, come in Dante, Conv. iv, 25 :
« (l'uomo) caccia quello che è da cacciare...
e fugge quello che è da fuggire ».
8. 2. p. altiero. Di questo palazzo l'A. ha
preso l'ispiraz. e qualche particolare da!
Boiardo; specialmente dal giardino di Dra-
CANTO XII
131
Corse dentro alla porta messa d'oro
Con la donzella in braccio il cavalliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro,
Che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come è dentro, gli occhi gira;
Né più il guerrier né la donzella mira.
9
Subito smonta, e fulminando passa
Dove più dentro il bel tetto s'alloggia.
Corre di qua, corre di là, né lassa
Che non vegga ogni camera, ogni loggia;
Poi che i segreti d'ogni stanza bassa
Ha cerco in van, su per le scale poggia;
E non men perde anco a cercar di sopra,
Che perdessi di sotto, il tempo e l'opra.
10
D'oro e di seta i letti ornati vede:
Nulla di muri appar, né di pareti;
Che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
Son da cortine ascose e da tapeti.
Di su di giù va il conte Orlando, e riede ;
Né per questo può far gli occhi mai lieti.
Che riveggiano Angelica o quel ladro.
Che n'ha portato il bel viso leggiadro.
11 [passo
E mentre or quinci or quindi in vano il
Movea, pien di travaglio e di pensieri,
gontina; I, ix, 73. — altiero, splendido, mae-
stoso. Tasso, Ger. 19, 23: «(il tempio) Di
cedri e d'oro e di be' marmi altero ».
— 3. messa d'oro; adorna d'oro. Più co-
mun. inessa a oro. Doc. per l'arte della
Stor. Senese, ii, 183: « La sopradetta volte-
rella sia messa d'azzurro».
— 8. mira; vede; cosi al e. xiv,81. Si cita,
per questo sigiiif., solam. l'A.
9. 2. Dove pili d. ecc.; Si può intendere
in più modi: dove si alloggia dagli abitn-
tori, cioè nelle stanze più interne della bella
casa; oppure: dove, più internamente la
bella casa si abita, è abitata ; linalmente :
dove, più internam. la bella casa si orna
di logge. È preferibile la prima interpretaz.,
perché per le altre due si dovrebbe ammet-
tere, senza necessità, un uso nuovo e strano
del verbo alloggiare.
— 3. né lassa che non v. ; né lascia di
guardare ecc. Sull'uso di questo costrutto
V. e. I, 38, n. G. Vedere per guardare v.
e. X, 49, 5.
— 6. cerco, cercato; V. e. i, 48, n. 4.
— 8. perdessi. V. e. Il, 40, n. 8.
10. 2. muri... pareti. I muri sono i muri
maestri, le pareti sono i tramezzi, che di-
vidono le stanze.
— 4. ascose; Dovrebbe dire ascosi, rife-
rendosi anche a suolo. — tapeti. Forma più
vicina al gr. tàpes, da cui deriva. Non è
registrata dai vocabolari.
— 7. Che; sicché. V. e. I, 57, 7.
Ferraù, Brandimarte e il Re Gradasso,
Re Sacripante, et altri cavallieri
Vi ritrovò, ch'andavano alto e basso,
Né men facean di lui vani sentieri;
E si ramaricavan del malvagio,
Invisibil signor di quel palagio.
12
Tutti cercando il van, tutti gli danno
Colpa di furto alcun che lor fatt'abbia.
Del destrier che gli ha tolto altri è in af-
[fanno;
Ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia;
Altri d'altro l'accusa: e cosi stanno.
Che non si san partir di quella gabbia;
E vi son molti, a questo inganno presi,
Stati le settimane intiere e i mesi.
13
Orlando, pò* che quattro volte e sei
Tutto cercato !bbc il palazzo strano.
Disse fra sé: < ni dimorar potrei,
Gittare il tempo e la fatica in vano:
E potria il ladro aver tratta costei
Da un'altra uscita, e molto esser lontano.
Con tal pensiero usci nel verde prato,
Dal qual tutto il palazzo era aggirato.
14
Mentre circonda la casa silvestra,
Tenendo pur a terra il viso chino.
Per veder s'orma appare, o da man destra
O da sinistra, di nuovo camino;
Si sente richiamar da una finestra:
11. 3. Ferraù; ecc. Nel canto i, 31, lo ve-
diamo mettersi alla ricerca d'Orlando; in-
vece capita, ma non si sa come, nelle insi-
die di Atlante; e cosi pure non sappiamo co-
me vi capitino Brandimarte, messosi in trac-
cia d' Orlando (e. viir, SS), Gradasso e Sa-
cripante, che ne erano stati un'altra volta
liberati da Bradam. (iv, 40),
— ti. sentieri, viaggi, cammino. I vocabol.
uou registrano questo significato. Nel c.iv,
S, l'A. usò viaggio per via. V. c.xiv, 91, C;
XV, 16, »; xxviii, 74, 5.
12. 6. Che; poiché.
— 8. Stati; Uniscilo a sono.
13. 1. quattro v. e s. Indica un numero
indeterminato di volte. Dante, imitando
Virgilio (En. 1, 94; terque quaterque beati)
disse, Purg. 7, 1 : « tre e quattro volte » ;
l'A. imitò, rinnovandola, l'espressione Dan-
tesca. Cfr. e. XXIII, 111.
— 8. era aggir.; era circondato. G. Vil-
I, 5, 2 : « (l'.vdriatico) aggirando il
d' Italia ».
1. circonda, gira. V. e. x, 112, n. 2, —
silvestra, posta in una selva. K signif. non
registrato dai vocab. Non si può intendere
nel signif. più comune, perché era un ma-
gnifico palazzo.
— 4. nuovo, recente.
I,ANI,
paese
14.
132
ORLANDO FURIOSO
E leva gli occhi; e quel parlar divino
Gli pare udire, e par che miri il viso,
Che r ha da quel che fu, tanto diviso.
15
Fargli Angelica udir, che supplicando
E piangendo gli dica: Aita, aita;
La mia virginità ti raccomando
Più che l'anima mia, più che la vita.
Dunque in presenzia del mio caro Orlando
Da questo ladro mi sarà rapita ?
Più tosto di tua man dammi la morte,
Che venir lasci a si infelice sorte.
16
Queste parole una et un'altra volta
Fanno Orlando tornar per ogni stanza,
Con passione e con fatica molta.
Ma temperata pur d'alta speranza.
Talor si ferma, et una voce ascolta,
Che di quella d'Angelica ha sembianza
(E s'egli è da una parte, suona altronde),
Che chieggia aiuto; e non sa trovar donde.
17 [quando
Ma tornando a.Ruggier, ch'io lasciai
Dissi che per sentiero ombroso e fosco
Il gigante e la donna seguitando,
In un gran prato uscito era del bosco;
Io dico ch'arrivò qui dove Orlando
Dianzi arrivò, se '1 loco riconosco.
Dentro la porta il gran gigante passa:
Ruggier gli è appresso, e di seguir non las-
18 [sa.
Tosto che pon dentro alla soglia il piede.
Per la gran corte e per le loggie mira;
Né più il gigante né la donna vede,
E gli occhi indarno or quinci or quindi ag-
Di su di giù va molte volte e riede; [gira:
Né gli succede mai quel che desira:
Né si sa immaginar dove sr tosto
Con la donna il fellon si sia nascosto.
19
Poi che revisto ha quattro volte e cinque
— 7. par che m.; yli par di mirare. Per
l'omissione del pron. V. e. i, 21, n. 7. Per il
costrutto V. e. I, 38, n. 6.
— 8. diviso, reso diverso. Espressione si-
mile a quella del e. v, 26, 1.
15. 8. lasci; mi lasci. V. e. i, 38, n. 6.
16. 3. fatica, travaglio d'animo, secondo
uno dei sensi del lat. labor. Petr. I, son. 35:
«Porto dell'aniorose mie fatiche».
— 8. donde, d. lo chieda.
17. 1. Ma torn. ecc. V. e. xi, 21. Nota che
nei primi quattro versi ripete pensieri, e-
spressioni e rime usate già nei con-ispon-
denti della st. succitata.
18. 4. aggira; muove in giro.
— 5. Di su ecc. Questo verso è quasi u-
guale al v. 5 delia st. 10.
19. 1. revisto, rivisto. È forma non citata
dai vocabol. — quattro t. e c; V. st. 13, n. I.
Di su di giù camere e loggie e sale.
Pur di nuovo ritorna, e non relinque
Che non ne cerchi tin sotto le scale.
Con speme al fin che sian ne le propinque
Selve, si parte; ma una voce, quale
Richiamò Orlando, lui chiamò non manco,
E nel palazzo il fc' ritornar anco.
20
Una voce medesma, una persona
Che paruta era Angelica ad Orlando,
Parve a Ruggier la donna di Dordona,
Che lo tenea di sé medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
Di quei ch'andavan nel palazzo errando,
A tutti par che quella cosa sia.
Che più ciascun per sé brama e desia.
21
Questo era un nuovo e disusato incanto
Ch'avea composto Atlante di Carena,
Perché Ruggier fosse occupato tanto
In quel travaglio, in quella dolce pena.
Che '1 mal' influsso n'andasse da canto.
L'influsso ch'a morir giovene il mena.
Dopo il Castel d'acciar, che nulla giova,
E dopo Alcina, Atlante ancor fa prova.
22
Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,
Che di valore inFraucia han maggior fama,
Acciò che di lor man Ruggier non mora.
Condurre Atlante in questo incauto trama.
E mentre fa lor far quivi dimora.
Perché di cibo non patischin brama,
Si ben fornito avea tutto il palagio.
Che donne e cavaliier vi stanno ad agio.
23
Ma torniamo ad Angelica, che seco
— 3. relinqne (lat. relinquit) ; lascia; la-
tinismo già usato da Dante, Par., 9, 42. Lo
stesso si dica di ìjropinque, vicine (lat. pro-
pi uquus) del v. 5.
— 4. Che non ecc. Costrutto eguale a quel-
lo del V. 3, st. 9.
— 8. anco, ancora, di nuovo. Dante, Inr.,
31, 81: « Si che in Inferno mi credea tornar
anche ».
20. 3. 1. d. di Dordona; Bradamante, che
aveva il suo castello sul fiume Dordogna,
nella Guienna.
— 4. d. s. m. in bando. Espressione poe-
tica, che ripete il concetto della st. 14, v. 8.
Petr. I, son. 48 : « Ch' ancor me di me
stesso tene in bando ».
21. 5. il mal* infl. V. e. xxxvi, 64 seg. —
and. da canto, a. d. parte, sparisse. Berni,
Inn. I, 34: « La vergogna alla fin messe da
canto ».
22. 6. patischin; patiscan. Forma popola-
re viva ancora nel popolo Toscano e fre-
quente negli scritti antichi.
23. 1. torniamo a. A. Riprende il racconto
interrotto al e. xi, 12.
CANTO XII
133
Avendo quell'annel mirabil tanto,
Ch' in bocca a veder lei fa rocchio cieco,
Nel dito l'assicura da l' incanto ;
E ritrovato nel montano speco
Cibo avendo e cavalla e veste e quanto
Le fu bisogno, avea fatto disegno
Di ritornar in India al suo bel regno.
24
Orlando volentieri o Sacripante
Voluto avrebbe in compagnia: non ch'ella
Più caro avesse l'un, che l'altro amante;
Anzi di par fu a lor disii ribella:
Ma dovendo, per girsene in Levante,
Passar tante città, tante castella,
Di compagnia bisogno avea e di guida,
Né potea aver con altri la più fida.
25
Or l'uno or l'altro andò molto cercando,
Prima ch'indizio ne trovasse o spia,
Quando in cittade, e quando in ville, e
[quando
In alti boschi, e quando in altra via.
Fortuna al fin là dove il conte Orlando,
Ferraù e Sacripante era, la invia.
Con Ruggier, con Gradasso et altri molti
Che v'avea Atlante in strano intrico av-
26 [volti.
Quivi entra,che veder non la può il Mago,
E cerca il tutto, ascosa dal suo annello,
E trova Orlando e Sacripante vago
Di lei cercare in van per quello ostello.
Vede come fingendo la sua imago.
Atlante usa gran fraude a questo e a quel-
Chi tor debba di lor, molto rivolve [lo.
Nel suo pensier, né ben se ne risolve.
27
Non sa stimar chi sia per lei migliore,
Il conte Orlando o il Re dei fier Circassi.
Orlando la potrà con più valore
Meglio salvar nei perigliosi passi ;
31a se sua guida il fa, se '1 fa signore;
Ch'ella non vede come poi l'abbassi,
Qnalunque volta, di lui sazia, farlo
Voglia minore, o in Francia rimandarlo.
28
Ma il Circasso depor, quando le piaccia.
Potrà, se ben l'avesse posto in cielo.
Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia
Sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.
L'annel trasse di bocca, e di sua faccia
Levò dagli occhi a Sacripante il velo.
Credette a lui sol dimostrarsi, e avvenne
Ch'Orlando e Ferraù le sopravenne.
29
Le sopravenne Ferraù et Orlando ;
Che l'uno e l'altro parimente giva
Di su di giù, dentro e di fuor cercando
Del gran palazzo lei ch'era lor Diva.
Corser di par tutti alla donna, quando
Nessuno incantamento gli impediva;
Perché l'annel ch'ella si pose in mano,
Fece d'Atlante ogni disegno vano.
30 [sta
L'usbergo indosso aveano e l'elmo in te-
Diii di questi guerrier, dei quali io canto;
Né notte o di, dopo ch'entraro in questa
Stanza, l'aveano mai messi da canto;
Che facile a portar, come la vesta,
Era lor, perché in uso l'avean tanto.
Ferraù il terzo era anco armato, eccetto
Che non avea né volea avere elmetto ;
31
Fin che quel non avea, che '1 paladino
Tolse Orlando al frate! del Re Troiano;
Ch'allora lo giurò, che l'elmo fino
24. 4. di par, del pai-i. Per l'omissione
dell'artic. V. e. ii, 15, 8.
25. 2. spia; notizia. V. e. vii, 34, n. 8.
— 3. cittade. Dal contesto sembra plura-
le. L'A. usò molti plui". la e invece che in i.
V. e. IX, 84, l; X, 1, 1; xi, 59, 2.
— 8. in strano intr. L' intrigo consisteva
nel farli aggirare sempre li dentro con con-
tinue allucinazioni.
26. 1. che; Si può intendere perché o in
modo che.
— 8. s. n. risolve. Gli antichi dissero
ugualm. risolversi ad una cosa, e di u. e.
Caro, Lett. 2, 197: «Lasciando che V. s.
medesima se ne risolva ». E Giambull. St.
d' Eur. 219; «risolversi di ciò».
27. 6. Ch'ella; perchè e. Dice la ragione
del V. precedente.
— 7. farlo... minore; f. inferiore; in relaz.
al signore del v. 5.
28. 1. depor. Male il Xisiely intende ri-
fiutare; corrisponde al porre in cielo.
— 4. zelo; affetto. Petr. I, Son. 130:
« Amor, che 'nceude il cor d'ardente zelo ».
E Dante, Purg. vm, 83.
— 5. e di s. faccia ecc. Intendi: levò dagli
occhi di Sacr. il velo, che gli nascondeva la
sua faccia. L'oscurità di questo luogo viene
dall'espress. levare il velo di sua faccia,
che potrebbe anche intendersi, ma non qui,
il velo che copriva la faccia d'Ang.
29. 4. Del gran p. Uniscilo a di fuor.
— 5. quando; poiché. V. e. I, 18, n. 3. —
di par. V. St. 24, 4.
30. 5. Che facile ecc.; perché era cosa
facile a portarli, come ecc. Quanto all'inf.
a lìort. V. e. Il, 17, u. 6. Quanto alla parti-
cella pronominale omessa v. e. i, 21, n. 7.
Potrebbe anche prendersi facile per il plur.
facili; (V. e. IX, jsl, n. 1) e era per eran.
(V. e. IX, 82, n. 8). Finalm. l'espressione po-
trebbe anche riferirsi solo ad usbergo; es-
sendo questo l'arme principale, che domina
nella mente del Poeta.
31. 2. fratel ecc. Almonte.
134
ORLANDO FURIOSO
Cercò de TArgalia nel fiume in vano :
E se ben quivi Orlando ebbe vicino,
Né però Ferraù pose in lui mano,
Avvenne che conoscersi tra loro
Non si poter, mentre là dentro foro.
32
Era cosi incantato quello albergo,
Ch'insieme riconoscer non poteansi.
Né notte mai né di, spada né usbergo
Né scudo pur dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli con la sella al tergo.
Pendendo i morsi da l'arcion, pasceaiisi
In una stanza che, presso all'uscita.
D'orzo e di paglia sempre era tornita.
33
Atlante riparar non sa né puote,
Ch'in sella non rimontino i guerrieri
Per correr dietro alle vermiglie gote,
All'auree chiome et a' begli occhi neri
De la Donzella eh' in fuga percuote
La sua giumenta, perché -• olentieri
Non vede li tre amanti in ;ompagnia.
Che forse tolti un dopo l'a tro avria.
34
E poi che dilungati dal palagio
Gli ebbe si, che temer più non dovea
Che contra lor l'incantator malvagio
Potesse oprar la sua fallacia rea;
L'annel che le schivò più d'un disagio.
Tra le rosate labra si chiudea;
Donde lor sparve subito dagli occhi,
E gli lasciò come insensati e sciocchi.
— 5. E se ben ecc. K un luogo non chiaro.
Sembra da intendere: E sebbene quivi ebbe
Or. vie; non per ciò F. pose mano in lui;
avvegna che non si poterono conoscere.
Né, per il semplice non, non è frequente e
non se ne citano esempi appropriati, che
pur vi sono. Machiav. A. di Guerra, vii:
« e conosciutili (i soldati) sanza paura e oi--
dinati, né mai ne farai prova, se non quando
vedi che egli ecc. ». Avvenne che per ai-
vegna che, forse non ha esempì; che nes-
sun grammatico o vocabolario lo cita; ma
non è la sola novità linguistica nel Furioso;
e d'altra parte il poter del v. 8 potè facil-
mente agire su una parte della congiunzione
e far cambiare il pres. in passato. Si po-
trebbe anche intendere : imperocchc avven-
ne che conoscersi ecc., sottintendendo la
congiunzione. Ma il periodo cosi avrebbe
una durezza, che non è dello stile dell'A.
33. 1. non sa né p. ; Non solo per l'anello
d'Ang., ma anche per la natura dell' incan-
to. Cfr. St. 12, 6.
— 5. in f. percuote. Brachilogia: dandosi
alla fuga, percuote.
34. 5. le schivò ; la liberò da ecc. V. e. ix,
49, 8.
— 7. Donde; per lo che. Dante, Purg.,
35
Come che fosse il suo primier disegno
Di voler seco Orlando o Sacripante,
Ch' a ritornar l'avessero nel regno
Di Galafron ne l'ultimo Levante;
Le vennero amendua subito a sdegno,
E si mutò di voglia in uno instante:
E senza pili obligarsi o a questo o a quello,
Pensò bastar per amendua il suo annello.
36
Volgon pel bosco or quinci or quindi in
Quelli scherniti la stupida faccia; [fretta
Come il cane talor, se gli e intercetta
O lepre o volpe a cui dava la caccia,
Che d' improvviso in qualche tana stretta
O in folta macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si ride Angelica proterva.
Che non è vista, e i lor progressi osserva.
37
Perraezzo il bosco appar sol una strada:
Credono i cavallier che la Donzella
Inanzi a lor per quella se ne vada;
Che non se ne può andar, se non per quella.
Orlando corre, e Ferraù non bada,
Né Sacripante men sprona e puntella.
Angelica la briglia più ritiene,
E djetro lor con minor fretta viene.
38
Giunti che fur, correndo, ove i sentieri
A perder si venian ne la foresta;
E cominciar per l'erba i cavallieri
A riguardar se vi trovavan pesta;
Ferraù che potea fra quanti altieri
Mai fosser, gir con la corona in testa,
9, 138: «Come tolto le fu il buono Metello,
donde poi rimase macra ».
35. 5. amendua; V. e. i, 16, n. 2.
36. 3. intercetta. È nel suo significato ve-
ro di tolta, sottratta dal caso.
— 8. progressi; Alcuni intendono passi,
citando questo esemp.; ma si potrebbe an-
che intendere nel senso ordinario il loro
procedere, il loro avanzarsi.
37. 1. Per mezzo il b. V. e. vi, 23, n. 8.
— 5. non bada; non sta ad aspettare. Petr.
Ili, son. 6: «Consolate lei dunque, che an-
cor bada».
— 6. puntella ; frequentativo di puntare,
liccar la punta, pungere. Petr. I, son. 196:
« Se il cor tema e speranza mi puntella ».
Si cita anche un es. della Legg. d. b. Umil.
de' C. « Essendo ella inquietata... e puntel-
lata, acciò che ella ritornasse in sé ».
38. 3. E com. lutendi : Giunti che furo-
tio... e (poiché) cominciarono; rilevando il
poiché dal precedente costrutto ; modo che
si usa spesso nella nostra lingua e troverai
anche nel e. xx, 17.
— 6. gir con 1. e. i. t. È bella trasforma-
zione del modo comune riportare, portar
\ la corona, primeggiare.
CANTO XII
135
Si volse con mal viso agli altri dui,
E gridò lor: Dove venite vui?
39 >
Tornate a dietro, o pigliate altra via,
Se non volete rimaner qui morti:
Né in amar né in seguir la donna mia
Si creda alcun, che compagnia comporti.
Disse Orlando al Circasso : Che potria
Più dir costui, s'ambi ci avesse scorti
Per le più vili e timide puttane,
Che da conocchie mai traesser lane?
40
Poi volto a Ferrali, disse: Uora bestiale,
S'io non guardassi che senza elmo sei,
Di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male,
Senz'altra indugia accorgerti farei.
Disse il Spagnuol: Di quel eh' a me non
Perché pigliarne tu cura ti dei? [cale,
Io sol contra ambidui per far son buono
Quel che detto ho, senza elmo come sono.
41
Deh (disse Orlando al Re di Circassia)
In mio servigio a costui l'elmo presta.
Tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia;
Ch'altra non vidi mai simile a questa.
Kispose il Re: Chi più pazzo sai'ia?
Ma se ti par pur la domanda onesta,
Prestagli il tuo ; eh' io non sai-ò men atto,
Che tu sia forse, a castigare un matto.
42
Soggiunse Ferraù: Sciocchi voi, quasi
Che se mi fosse il portar elmo a grado,
Voi senza non ne fosse già rimasi ;
(Jhe tolti i vostri avrei, vostro mal grado.
Ma per narrarvi in parte li miei casi,
Per voto cosi senza me ne vado,
39. 6. scorti; presi, reputati. Pulci, Morg.
I, 33: «Questo poltron per chi m'aveva
scorto? ». La rude espressione del v. seg. è
una eredità del poema cavali, popolare, in
cui i cavalieri s'insultano spesso grossola-
namente.
40. 3. Di quel che ecc. Dipende da accor-
ger; ma questo verbo ha già sentito l'azione
della prop. se hai b. detto o m.
— 4. indugia. Cosi nel e. xxii, 64, 6, e cosi
altri scrittori. Berni, Itin. I, 21, 29: « E
senza indugia un altro colpo mena ».
41. 2. In m. servigio; E anche ia servigio
dissero gli antichi per in grazia, per fa-
vore. Firenzuola, Trinuzia: 2, 6. «Deh! in
servigio, fermatevi un poco ».
— 5. Chi p. pazzo s.? lui o io, se gli pre-
stassi l'elmo?
— 8. Che tu sia; di quanto possa esser tu.
42. 3. fosse, foste. Cosi avesse nel e. xviii,
129: vedesse n. e. xix, 32. Anche il Bocc.
n. 55: « crederebbe che voi sapesse rabici ».
— 6. voto, giuramento. V. e. i, 30, 5. In
questo senso non è citato dai Voc.
Et anderò, fin eh' io non ho quel fino
Che porta in capo Orlando paladino.
43
Dunque (rispose sorridendo il Conte)
Ti pensi a capo nudo esser bastante
Far ad Orlando quel che in Aspramonte
Egli già fece al figlio d'Agolante ?
Anzi credo io, se tei vedessi a fronte,
Ne tremeresti dal capo alle piante;
Non che volessi l'elmo, ma daresti
L'altre arme a lui di patto, che tu vesti.
44
Il vantator Spagnuol disse: Già molte
Fiate e molte ho cosi Orlando astretto,
Che facilmente l'arme gli avrei tolte.
Quante indosso n'avea, non che l'elmetto.
E s'io noi feci, occorrono alle volte
Peusier che prima non s'aveano in petto:
Non n'ebbi, già fu, voglia; or l'aggio, e spe-
Che mi potrà succeder di leggiero. [ro
45
Non potè aver più pazienzia Orlando,
E gridò: Mentitor, brutto Marrano,
In che paese ti trovasti, e quando,
A poter più di me con l'arme in mano?
Quel Paladin, di che ti vai vantando,
Son io, che ti pensavi esser lontano.
43. 3. Far; a far. V. e. I, 4. n. 1.
— 4. figlio d'A. Ahnoute.
— S. di patto, di bel patto, di piano
patto, di inatti, son tutte espressioni, che
i nostri scrittori usarono per sicuramente
44. 1. Il T. Spagnuol. L'A. mette in rilievo
il fare un pò spavaldo di quella nazione
Infatti Ferraù si vanta di ciò, che non è
vero. Sebbene nell' Innam. si trovi a con-
fronto con Orlando, non gli è mai superiore
— 2. astretto, messo alle strette. I vocab
non citano questo significato.
— 5. occorrono, vengono in mente. Cos
nel e. xxvii, 44, 7, e cosi spesso gli antichi
I Bocc, nov. 4: « Occox'segli una nuova ma-
lizia ».
— 7. già fu; in altri tempi. Si cita solam
questo esemp dell'A.
— 8. succeder, riuscire a bene. Sottint
la cosa. V. e. ii, 22, n. 6.
45. 1. potè Si aspetterebbe un passato, e
' si potrebbe facilmente supporre un errore
' di stampa; ma si avverta che l'A. nella ediz.
del 1532 non usa accenti; e il Morali nel-
l'accentare o no questa parola, che si trova
: Di volte nel Poema, ha seguito la Principe;
la quale in questo luogo legge puote. Per
[ lo scambio dei tempi. V. e. i, 81, n. 3.
I — 2. Marrano. V. e. I, 26, n. 6.
' — 6. Son io. Ferraù non lo avea ricono-
sciuto, perché, usciti del castello d'Atl., i
guerrieri avevan calato, come era uso, la
visiera ; dentro il castello non avea potuto
136
ORLANDO FURIOSO
Or vedi se tu puoi l'elmo levai-me,
0 s'io son buon per torre a te l'altre arme.
46
Né da te voglio un minimo vantaggio.
Cosi dicendo, l'elmo si disciolse,
E lo suspese a un ramusce) di faggio;
E quasi a un tempo Durindana tolse.
Ferraù non perde di ciò il coraggio:
Trasse la spada, e in atto si raccolse,
Onde con essa e col levato scudo
Potesse ricoprirsi il capo nudo.
47
Cosi li duo guerrieri incominciaro,
Lor cavalli aggirando, a volteggiarsi;
E dove l'arme si giungeano, e raro
Era più il ferro, col ferro a tentarsi.
Non era in tutto '1 mondo un altro paro
Che più di questo avessi ad accoppiarsi :
Pari eran di vigor, pari d'ardire;
Né l'un né l'altro si potea ferire.
48
Ch'abbiate, Signor mio, già inteso esti-
Che Ferraù per tutto era fatato, [mo,
Fuor che là dove l'alimento primo
Piglia ilbambin, nel ventre ancor servato:
E fin che del sepolcro il tetro limo
La faccia gli coperse, il luogo armato
Usò portar, dove era il dubbio, sempre
Di sette piastre fatte a buone tempre.
49
Era ugualmente il principe d'Auglante
Tutto fatato, fuor che in una parte:
Ferito esser potea sotto le piante;
Ma le guardò con ogni studio et arte.
Duro era il resto lor più che diamante.
Se la fama dal ver non si diparte;
E l'uno e l'altro andò più per ornato.
Che per bisogno, alle sue imprese armato.
riconoscerlo per forza d'incanto. Inoltre O.
avea mutate insegae. V. e. viii.
46. 5. di ciò; per ciò. Petr. I, canz, 17:
« et ho il cor più freddo, De la paura, che
gelata neve ». E cosi spesso gli scrittori.
47. 3. si ginng ; si congiuugeauo, nelle
giunture, dove 1' armatura è più leggera.
— 6. avessi ad. acc; dovesse acc; meri-
tasse di acc. Sulla termin. in i v. e. ii, 40,
n. 8.
48. 3. dove l'a. p.; all' ombilico. Dante,
Inf. 25, 85: «E quella parte, donde prima
è preso Nostro alimento ». Per questa fata-
gione di Ferraù cfr. Jnnam. I, ii, 7; e la
Cronaca del Pseudo-Turpino, cap. 18, dove
Ferraguto dice: «Per nullum locuni vulne-
rari possum nisi per umbilicum ».
— 7. dubbio; pericolo. Sono anche fre-
quenti i modi essere, porre, mettere iu
dubbio, in pericolo.
— 8. a b. t.; con b. t. È 1' a modale : cosi
pittura a olio, andare a capo basso.
50
S'incrudelisce e inaspra la battaglia,
D'orrore itf vista e di spavento piena.
Ferraù quando punge e quando taglia,
Né mena botta che non vada piena :
Ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia
E schioda e rompe et apreeastracciome-
Angelica invisibil lor pon mente, [na.
Sola a tanto spettacolo presente.
51
In tanto il Re di Circassia, stimando
Che poco inanzi Angelica corresse.
Poi ch'attaccati Ferraù et Orlando
Vide restar, per quella via si messe,
Che si credea che la Donzella, quando
Da lor disparve, seguitata avesse:
Si che a quella battaglia la figliuola
Di Galafron fu testimonia sola.
52
Poi che, orribil come era e spaventosa.
L'ebbe da parte ella mirata alquanto,
E che le parve assai pericolosa.
Cosi da l'un come da Taltro canto;
Di veder novità voluntarosa.
Disegnò l'elmo tor per mirar quanto
Fariano i duo guerrier, vistosel tolto;
Ben con pensier di non tenerlo molto.
53
Ha ben di darlo al Conte intenzione ;
Ma se ne vuole in prima pigliar gioco.
L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone;
E sta a mirare i cavallieri un poco.
Di poi si parte, e non fa lor sermone;
E lontana era un pezzo da quel loco.
Prima ch'alcun di lor v'avesse mente:
Si l'uno e l'altro era ne l'ira ardente.
54
Ma Ferraù, che prima v'ebbe gli occhi.
Si dispiccò da Orlando, e disse a lui :
Deh come n'ha da male accorti e sciocchi
50. 1. inaspra; inasprisce. Gli antichi l'u-
sarono anche in prosa.
— 6. a straccio m. Il Gherardini dice :
« ìnenare a straccio, locuzione ellittica, il
cui pieno è menare a ridursi in straccio,
stracciare ». Cita solam. questo luogo. Nel
e. I, 72, si ha menare a fracasso, fracas-
sare.
51. 8. testimonia. Femmin. di testimonio.
Già il Bocc. Nov. 78: «Tu ne puoi... esser
verissima testimonia ».
52. 5. voluntarosa; V. e. X, 38, n. 6.
53. 3. grembio (più vicino al lat. gremio)
grembo. È vivo ancora nel popolo Toscano.
— 5. fa 1. s. ; Espressione foggiata sulla
più comune far parola. Dante, Inf. 29, 70:
« Passo passo andavam senza sermone ».
— 7. T'avesse m. (È il greco echein ton
noun) vi ponesse m. Berni, Inn. i, 4, 18:
« Bisogna che gli abbi ani molto Ijen mente ».
CANTO XII
137
Trattati il cavallier ch'era con nni !
Che premio fia ch'ai vincitor più tocchi,
tSe '1 bell'elmo involato n'ha costui?
Eitrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:
Non vede l'elmo, e tutto avvampa d'ira.
55
E nel parer di Ferrati concorse,
Che '1 cavallier, che dianzi era con loro,
Se lo portasse ; onde la briglia torse,
E fé' sentir gli sproni a Brigliadoro.
Ferraù che del campo il vide torse,
Gli venne dietro; e poi che giunti foro.
Dove ne l'erba appar Torma novella,
Ch'avea fatto il Circasso e la Donzella;
56
Prese il sentiero alla sinistra il Conte
Verso una valle, ove il Circasso era ito:
Si tenne Ferraù più presso al monte.
Dove il sentiero Angelica avea trito.
Angelica in quel mezzo ad una fonte
Giunta era, ombrosa e di giocondo sito,
Ch'ognun che passa, alle fresche ombre i u-
Né, senza ber, mai lascia far partita, [vita,
57
Angelica si ferma alle chiare onde.
Non pensando ch'alcun le sopravegna;
E per Io sacro annel che la nasconde.
Non può temer che caso rio le avvegna.
A prima giunta in su l'erbose sponde
Del rivo l'elmo a un ramuscel consegna;
Poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca.
La giumenta legar, perché si pasca.
58
Il cavallier di Spagna, che venuto
Era per l'orme, alla fontana giunge.
Non r ha si tosto Angelica veduto,
Che gli dispare, e la cavalla punge.
L'elmo che sopra l'erba era caduto,
Kitor non può; che troppo resta lunge.
Come il Pagan d'Angelica s'accorse,
Tosto ver lei pien di letizia corse.
59
Gli sparve, come io dico, ella davante.
Come fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante.
Né i miseri occhi più veder la ponno.
54. 7. Ritrassi ; si ritrà, si ritrae. Tra per
trae v. e. xi, 12, n. 5.
56. 4. avea trito, avea battuto ; (È il lat.
terere viam). Nel e. xx, 101, trito è usato
come agg. ; qui è particip. del verbo trita-
re. Dante, Inf. 16, 40 : < L'altro che appres-
so me la rena trita.
57. 3. sacro a. Consacrato cou parole e
segni magici. V. e. ni, 22, n. 2. Innam. I,
I, 51 : « il libro consegrato ».
— 6. consegna ; attacca. In questo senso
non è registrato dai Vocab.
59. 3. per, fra. V. st. 7, n. 3.
Bestemmiando Macone e Trivigante,
E di sua legge ogni maestro e donno,
Ritornò Ferraù verso la fonte,
U' ne l'erba giacca l'elmo del Conte.
60
Lo riconobbe, tosto che rairollo,
j Per lettere ch'avea scritto ne l'orlo;
I Che dicean dove Orlando guadagnollo,
j E come e quando, et a chi fé' deporlo.
Armossene il Pagano il capo e il collo ;
Che non lasciò, pel duol ch'avea, di torlo;
Pel duol ch'avea di quella che gli sparve,
Come sparir soglion notturne larve.
61
Poi ch'allacciato s'hail buon elmo in te-
Avviso gli è che a contentarsi a pieno, [sta.
Sol ritrovare Angelica gli resta.
Che gli appar e dispar come baleno.
Per lei tutta cercò l'alta foresta :
E poi ch'ogni speranza venne meno
Di più poterne ritrovar vestigi.
Tornò al campo Spagnuol verso Parigi ;
62
Temperando il dolor che gli ardea il pet-
Di non aver si gran disir sfogato, [to,
Col refrigerio di portar l'elmetto
Che fu d'Orlando, come avea giurato.
Dal Conte, poi che '1 certo gli fu detto.
Fu lungamente Ferraù cercato.
Né fin quel di dal capo gli lo sciolse,
Che fra duo ponti la vita gli tolse.
63
Angelica invisibile e soletta
Via se ne va, ma con turbata fronte ;
Clie de l'elmo le duol, che troppa fretta
Le avea fatto lasciar presso alla fonte.
Per voler far quel ch'a me far non spetta,
(Tra sé dicea) levato ho l'elmo al Cdnte :
, — 5. Trivigante o Trevagant fu creduto
dagli antichi romanzieri francesi un dio dei
Maomettani, che accoppiano spesso a Mao-
metto (Macone).
— 6. legge, religione.
60. 2. Per lettere ecc. Non poteva ricono-
scerlo alle soie prime apparenze, perché,
secondo l'uso dei cavalieri. Orlando l'avrà
tenuto ordinariamente coperto col cappuc-
cio della sopravveste. V. e. vi, 13, n. 3.
61. 3. ritr... gli resta; gli resta t^a ritrov.
V. e. J, 4, n. 1.
62. 5. poiché '1 e. ecc.; da chi in seguito
vide Ferraù coll'elmo d'Orlando. Ma di ciò
non si parla più nel Furioso.
— 7. fin quel di'; fino a quel di. Dante,
Par. 25, S3: « ver la virtù che m^ seguette
Infin la palma », fino alla palma del mar-
tirio.
— S. fra dno ponti. Nel Morg. xxiv, 16, 4
e nella Spagna, v, si legge che Ori. uccise
Ferraù sopra un ponte, non fra due ponti.
138
ORLANDO FURIOSO
Questo, pel primo merito, è assai buouo
Di quanto a lui pur ubligata sono.
64
Con buona intenzione (e sallo Idio,
Ben che diverso e tristo effetto segua)
Io levai l'elmo: e solo il pensier mio
Fu di ridur quella battaglia a triegua;
E non, che per mio mezzo il suo disio
Questo brutto Spagnuol oggi consegua.
Cosi di sé s'andava lamentando
D'aver de l'elmo suo privato Orlando.
65
Sdegnata e mal contenta la via prese,
Che le parca miglior, verso Oriente.
Più volte ascosa andò, talor palese,
•Secondo era oportuno, infra la gente.
Dopo molto veder molto paese,
< riunse in un bosco, dove iniquamente
Fra duo compagni morti un giovinetto
Trovò, ch'era ferito in mezzo il petto.
66
Ma non dirò d'Angelica or più inante ;
Che molte cose ho da narrarvi prima:
2sé sono a Ferraù né a Sacripante,
Sin a gran pezzo, per donar più rima.
Da lor mi leva il Principe d'Anglante,
Che di sé vuol che inanzi agli altri esprima
!Le fatiche e gli affanni che sostenne
Nel gran disio, di che a fin mai non venne.
67
Alla prima città ch'egli ritrova
(Perché d'andare occulto avea gran cura)
Si pone in capo una barbuta nova,
Senza mirar s' ha debil tempra o dura.
Sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova:
Si ne la fatagion si rassicura.
63. 7. merito, premio. V. e. ii, 16, u. 3.
65. 5. D. molto v. L' infinito ha forza di
sostantivo (quasi dica dopo il molto v.) ;
perciò vi è il pres., non il pass, (aver visto),
il primo 'molto si riferisce alla varietà
delle cose viste, il secondo alla durata del
viaggio.
— 6. iniquamente. È uno degli arditi spo-
stamenti, che si trovano nel Fur. V. e. ii,
'JS, 3; V, 55, 4 ecc. Riferiscilo a morti o,
più efficacemente, a ferito.
66. 4. S. a. g. pezzo; per un gran pezzo.
È modo elegante foggiato sulle espressioni
di tempo determinato sino a domani, sino
a f^uesV alt r^ anno ecc. V. e. xli, 70, s.
— 6. di sé ; regolarm. di lui perché appar-
tiene alla propos. die (io) esprima le fati-
che (di lui). V. FORNACIARI, S. p. 59, 19.
Cosi l'A. nel e. xvii, 121, 5. Dante, Inf. 19,
36: «Da lui saprai di sé e de' suoi toi'ti ».
67. 3. barbuta. Era un elmo volgare, sen-
za cimiero né fregio, solo fornito d'una cri-
niera cadente, donde prese il nome. Avea
ventaglia e visiera; ed era tutto chiuso.
Cosi coperto, seguita l' inchiesta;
Né notte o giorno, o pioggia o sol l'arresta.
68
Era ne l'ora che traea i cavalli
Febo del mar, con rugiadoso pelo,
E l'Aurora di fior vermigli e gialli
Venia spargendo d'ognintorno il cielo;
E lasciato le stelle aveano i balli,
E per partirsi postosi già il velo ;
Quando appresso aParigi un di passando,
Mostrò di sua virtù gran segno Orlando.
69
In dua squadre incontrossi: e Mauilardo
Ne reggea l'una, il Saracin canuto,
Re di Norizia, già fiero e gagliardo,
Or miglior di consiglio, che d'aiuto :
Guidava l'altra sotto il suo stendardo
Il Re di Tremisen, ch'era tenuto
Tra gli Africani cavallier perfetto :
Alzirdo fu, da chi '1 conobbe, detto.
70
Questi con l'altro esercito Pagano
Quella invernata avean fatto soggiorno,
Chi presso alla città, chi più lontano.
Tutti alle ville o alle castella intorno:
Ch'avendo speso il ReAgramanteinvano,
Per espugnar Parigi, più d'un giorno.
Volse tentar l'assedio finalmente;
Poi che pigliar non lo potea altrimente.
71
E per far questo avea gente infinita;
Che oltre a quella che con lui giunt'era,
E quella che di Spagna avea seguita
— 7. inchiesta; ricerca. V. e. ix, 7, n. 6.
68. 6. E per p, «Leggiadra fantasia poetica,
che alle stelle dona il gesto di vive donne,
le quali, quando si partono, prima si co-
prono il capo e la fronte onestamente con
uu velo » Fornari.
— 8. segno, prova. V. e. v, 34, n. 2.
69. 1. dua sq. È questo, sopra 126, il solo
luogo, dove è usato dua con un nome fem-
minile (Cfr. e. i, 16, n. 2). Ora, se osser-
viamo che nelle ediz. preced. si aveva iti
molti di questi luoghi duo e dua, che \\\.
cambiò in due, sembrerà probabile che qui
sia corsa una svista o un errore di stampa.
— Manilardo. É già dell'/nw. II, xvii, 25, 27,
dove, invece, è gagliardo fra gli altri e
fior di Pagania. — Norizia. Forse la Nigri-
zia (Sudan). Della Norizia dice il Boiardo
« la qual di là da Setta (Ceuta) è mille mi-
glia ».
— 6. Il re di T. Inn. Il, 17. 60: « Questo
Alzirdo era re di Tremisóna». Treinisenne,
Tremecen, o Tremesen; città e paese del-
l'Algeria. Qui nome d'un antico regno, im-
maginario, dell'Affrica.
70. 7. Volse t.; Sull'assedio cfr. e. viri,
69, n. 1. Sulla forma del pass. e. v, 15, n. 2.
CANTO XIT
1^9
Del Re Marsilio la real bandiera,
Molta di Francia n'avea al soldo unita;
Che da Parigi insino alla riviera
D'Arli, con parte di Guascogna (eccetto
Alcune rocche) avea tutto suggetto.
72
Or cominciando i trepidi ruscelli
A sciorre il freddo giaccio in tiepide onde,
E i prati di nuove erbe, e gli arbuscelii
A rivestirsi di tenera froude;
Kagunò il Ee Agramante tutti quelli
Che seguian le fortune sue seconde.
Per farsi rassegnar l'armata torma.
Indi alle cose sue dar miglior forma.
73
A questo effetto il Re di Treraisenne
Con quel de la Norizia ne venia,
Per là giungere a tempo, ove si tenne
Poi conto d'ogni squadra o buona o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne
(Come io v'ho detto) in questa compagnia,
Cercando pur colei, com'egli era uso.
Che nel career d'Amor lo tenea chiuso.
74
Come Alzirdo appressar vide quel Conte
Che di valor non avea pari al mondo.
In tal sembiante, in si superba fronte,
Che '1 Dio de l'arme a lui parca secondo;
Restò stupito alle fattezze conte,
AI fiero sguardo, al viso furibondo:
E lo stimò guerrier d'alta prodezza;
Ma ebbe del provar troppa vaghezza.
75
Era giovane Alzirdo et arrogante
Per molta forza, e per gran cor pregiato.
71. 5. al s. uDita. I vocabol. non registrano,
l'espress. unire al soldo, che è affine al-
l'altra prendere al soldo con più l' idea
d'aggiungere i nuovi soldati alle altre mi-
lìzie.
— 6. riviera d'A. ; il Rodano, che bagna
Arias (Arli). Riviera per ftume. V. e. i, 13;
XIV, 104; XLVi, 6.
72. 1. trepidi; tremolanti. Latinismo ele-
gante. OviD. Met. 12, 178: «trepida unda ».
Per questo signif. si cita soltanto l'A.
— 2. giaccio. V. e. I, 41, u. 1. 1
— 4. fronde. Non di rado gli antichi usa-
rono, anche in prosa, froude al sing. e
frondt al plur.
— 7. farsi rass. ; far fare dai diversi capi
la rassegna dei soldati in sua presenza.
74. 4. il dio d. l'a; Marte. |
— 5. conte; Il verso è improntato su quello |
del Petr., I, Son., 29, 4: « RafHgurato alle '
fattezze conte ». Qui conte vale note, ma nel
luogo dell'A. vale insigni, perché apparisce
dagli ultimi v. della st. che Alzirdo non co-
nosceva O. La Crusca non cita esempi di
questo signif.
Per giostrar spinse il suo cavallo inante:
Meglio per lui, se fosse in schiera stato;
Che ne lo scontro il Principe d'Anglante
Lo te' cader, per mezzo il cor passato.
Giva in fuga il destrier di timor pieno;
Clie su non v'era chi reggesse il freno.
76
Levasi un grido subito et orrendo
Che d'ogu'intorno n'ha l'aria ripiena.
Come si vede il giovene cadendo
Spicciar il sangue di si larga vena.
La turba verso il Conte vien fremendo
Disordinata, e tagli e punte mena;
Ma quella è più, che con pennuti dardi
Tempesta il fior dei cavallier gagliardi.
77
Con qual rumor la setolosa frotta
Correr da monti suole o da campagne.
Se '1 lupo uscito di nascosa grotta,
O l'orso sceso alle minor montagne,
Un tener porco preso abbia talotta.
Che con grugnito e gran stridor si lagne;
Con tal lo stuol barbarico era mosso
Verso il Conte, gridando: Adesso, adosso.
78
Lance, saette e spade ebbe l'usbergo
A un tempo mille, e lo scudo altretante:
Chi gli percuote con la mazza il tergo;
Chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma q_uej, ch'ai timor mai non diede alber-
Estima la vii turba e Tarme tante |go,
Quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,
11 numer de l'agnelle estimi il lupo.
79
Nuda avea in man quella fulminea spa-
Che posti ha tanti Saracini a morte: [da,
Dunque chi vuol di quanta turba cada
Tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue già correa la strada,
Capace a pena a tante genti morte;
76. 4. Spicciar il s. Del verbo siHcciare
come transit. att., nel senso di versare, non
si citano esempì. Ma si potrebbe anche la-
sciargli il suo significato e intendere: Come
si vede, cadendo il giovane, il suo sangue
spicciar fuori delle larghe ferite ecc. V. e.
XIX, 16, n. 6. Le virgole fra cui sì suol chiu-
dere cadendo sono un arbitrio degli edito-
ri : perciò io le ho soppresse punteggiando
come l'ediz. del 1532. Simile espressione as-
soluta vedila al e. xvii, 133, 7-S e xviii, 153,
5-6; e XIX, 16, ó, e speciahu. /uh.I, ni, 6.
— 6. punte ; \^ e. IX, 70, 3.
— 7. pennuti d. Penna del dardo è la
parte allargata, dal lato della cocca, per
equilibrare il dardo stesso.
78. 7. all'aer e; I lupi escono alla preda
quando comincia la notte.
79. 6. Capace a. Più comuneiu. cavac: di.
Cosi anche al e. m, 48, 6.
140
ORLANDO FURIOSO
Perché né targa né cappel difende
La fatai Durindana ove discende;
SO
Né vesta piena di cotone, o tele
Che circondino il capo in mille vólti.
Non pur per l'aria gemiti e querele.
Ma volan braccia e spalle e capi sciolti.
Pel campo errando va Morte crudele
In molti, varii, e tutti orribil volti;
E tra sé dice: In man d'Orlando vaici
Durindana per cento di mie falci.
81
Una percossa a pena l'altra aspetta.
Ben tosto cominciar tutti a fuggire;
E quando prima ne veniano in fretta,
Perch'era sol, credeanselo inghiottire.
Non è chi per levarsi de la stretta
L'amico aspetti, e cerchi insieme gire.
Chi fugge a piedi in qua, chi colà sprona:
Nessun domanda se la strada è buona.
82
Virtude andava intorno con lo speglio
Che fa veder ne l'anima ogni ruga:
Nessun vi si mirò, se non un veglio
A cui il sangue l'età, non l'ardir, scinga.
Vide costui quanto il morir sia meglio,
— 7. targa; Scudo di forma lunga e an-
golare. — cappel, cappello di ferro. Join-
ville p. 80: «jetai un gamboison (un im-
bottito) en mon dos et un chapel de ter en
ma teste ». Era copricapo dei fanti.
7-8. difende la f. D.; ripara La f. D. V.
e. IX, 34, n. 6. Ma potrebbe anche supporsi
una di quelle inversioni, che si trovano cosi
spesso nel N. In questo caso costruisci: di-
fende (fa difesa), ove la f. D. discende.
80. 1. vesta ecc.; imbottito (fran. gam-
boisoìi) Nelle note al Malmantile 1, 35, si
dice: « un imbottito è una veste a foggia di
piccolo giubbone o camiciuola di cotone o
d'altro ripiena e littamente trapunta, la qual
serve per ordinario, siccome il giaco, a di-
fesa del torace ». I pedoni generalm. non
avevano altra difesa del petto.
— 2. vòlti; avvolgimenti. Non è registr. dai
vocabol. Accenna al turbante dei Saracini.
— 6. volti; aspetti.
— 7. vaici. Il ci è pleonastico, come al e.
XVIII, 67, 5 e altrove. Non è raro negli an-
tichi. Bocc, Intr. « Naturai ragione è di
ciascuno, che ci nasce », cioè che nasce.
Potrebbe fors'anche intendersi vale a noi,
a me.
82. 1. Lo specchio della virtù è la co-
scienza morale, che ci fa apprezzare il bene
e il male. Nessuno ascoltò la voce di questa
coscienza.
— 4. scinga; asciuga. Forma popol. ancor
viva in Toscana.
Che con suo disonor mettersi in fuga :
Dico il Re di Norizia; onde la lancia
Arrestò contra il Paladin di Francia,
83
E la roppe alla penna de lo scudo
Del fiero Conte, che nulla si mosse.
Egli, ch'avea alla posta il brando nudo.
Re Manilardo al trapassar percosse.
Fortuna l'aiutò, che '1 ferro crudo
In man d'Orlando al venir giti voltosse. .
Tirare i colpi a filo ognor non lece;
Ma pur di sella stramazzar lo fece.
84
Stordito de l'arcion quel Re stramazza:
Non si rivolge Orlando a rivederlo;
Che gli altri taglia, tronca, fende, ammaz-
A tutti pare in su le spalle averlo, [za:
Come per l'aria, ove han si larga piazza,
Fuggou li storni da l'audace smerlo;
Cosi di quella squadra ormai disfatta
Altri cade, altri fugge, altri s'appiatta.
85
Non cessò pria la sanguinosa spada,
Che fu di viva gente il campo voto.
Orlando è in dubbio a ripigliar la strada.
Ben che gli sia tutto il paese noto.
0 da man destra o da sinistra vada,
Il pensier da l'andar sempre è remoto :
— 8. Arrestò; mise in resta. V. e. il, 50,
n. 5.
83. 1. penna d. s. ; È Torlo superiore dello
scudo, il quale era di legno o d'osso e aveva
intorno un'orlaturn di ferro per renderlo
più resistente. Questa a volte finiva in for-
ma angolare, per difender il viso senza to-
glier la vista; e perciò si diceva penna.
— 3. alla posta; in pronto. I vocabol. ci-
tano tenere in posta, t. in pronto, con un
es. del Sannazzaro, Are. 171 ; ma non citano
questo modo.
— 4. al trap. Quando Manil., nell' impeto
della corsa, gli passò da canto.
— 7. a filo; La Cr. intende per taglio; e
cita questo solo luogo. Ma forse è da inten-
dere per diritto, dirittamente; e cosi fu
usato altrove dall'A. xxxin, 101; Cinque C.
I, 105, e da molti altri scrittori.
84. 6. smerlo, detto anche smeriglio e
smeriglione, è un uccello di rapina: «Soa
quasi falconcelli piccoli e uccellasi con essi
più per diletto, che per utilità ». Crescenzi
Tratt. d'agric, 10, 13.
85. 1. pria e. fu. Per l'indie, invece del
cong. V. e. V, 26, n. 7.
— 3. a ripigliar 1. s. ; nel ripigliar la stra-
da è dubbioso, non procede sicuro.
— 6. Il p. d. 1. andar ecc. Il pensiero d'Or-
lando, non s'acqueta alla via che percorre
(è remoto, è lontp.no da essa) ; ma vola ad al-
tri luoghi e vie ('uve crede che Ang. si trovi.
CANTO XII
141
D'Angelica cercar, fuor ch'ove sia,
Sempre è in timore, e far contraria via.
86
Il suo camin (di lei chiedendo spesso)
Or per li campi or per le selve tenne:
E si come era uscito di sé stesso.
Usci di strada, e a pie d'un monte venne,
Dove la notte fuor d'un sasso fesso
Lontan vide un splendor batter le penne.
Orlando al sasso per veder s'accosta,
Se quivi fosse Angelica reposta.
87
Come nel bosco de l'umil ginepre,
O ne la stoppia alla campagna aperta,
Quando si cerca la paurosa lepre
Per traversati solchi e per via incerta,
Si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre.
Se per ventura vi fosse coperta:
Cosi cercava Orlando con gran pena
La donna sua, dove speranza il mena.
88
Verso quel raggio andando in fretta il
Giunse ove ne la selva si diffonde [Conte,
Da l'angusto spiraglio di quel monte,
Ch'una capace grotta in sé nasconde;
E trova inanzi ne la prima fronte
Spine e virgulti, come mura e sponde,
Per celar quei che ne la grotta stanno,
Da chi far lor cercasse oltraggio e danno.
89
Di giorno ritrovata non sarebbe;
Ma la facea di notte il lume aperta.
Orlando pensa ben quel ch'esser debbe;
Pur vuol saper la cosa anco più certa.
Poi che legato fuor Brigliadoro ebbe,
Tacito viene alla grotta coperta;
86. 6. batter 1. p. Traslato ardito, che
vale tremolare secondo il Casella, venire
secondo il Tommaseo.
87. 1. bosco de l'n. e. Nota il Besibo, Prose
III, 25, che al complem. di materia si mette
l'artic, quando il nome, che precede, ha
l'artic; si lascia quando il nome, che pre-
cede, non lo ha. Ma avverte che ai suoi
tempi già molti peccavano in questa regola.
— umile (lat. huniiUs, da humus, terra)
basso.
— 6. Se p. T. Sottint. per vedere se ecc.
Cosi spesso i Latini. Cesare, B. G-. vi, 29.
« L. Miuuccium Basilum praemittit si quid
celeritate itineris prolìcere possit ».
88. 5. ne 1. p. fronte; e anche a prima
fr., in pr. fronte, usarono gli antichi per
a prima vista (È il lat. prima fronte). Qui
vuol dire : la prima cosa che si presentò ad
Ori. furono ecc.
— 6. sponde; spallette, parapetti.
89. 2. aperta; manifesta. Dante, Purg.,
6, 101 : « Giusto giudici© dalle stelle caggia
Sopra il tuo sangue e sia nuovo ed aperto ».
E fra li spessi rami ne la buca
Entra, senza chiamar chi l'introduca.
90
Scende la tomba molti gradi al basso,
Dove la viva gente sta sepolta.
Era non poco spazioso il sasso
Tagliato a punte di scarpelli in volta;
Né di luce diurna in tutto casso.
Ben che l'entrata non ne dava molta;
Ma ve ne venia assai da una finestra
Che sporgeain un pertugio da man destra.
91
In mezzo la spelonca, appresso a un foco.
Era una donna di giocondo viso.
Quindici anni passar dovea di poco.
Quanto fu al Conte, al primo sguardo, av-
Et era bella si, che facea il loco [viso:
Salvatico parere un paradiso;
Ben ch'avea gli occhi di lacrime pregni.
Del cor dolente manifesti segni.
92
V'era una vecchia; e facean gran conte-
Come uso feminil spesso esser suole: [se.
Ma come il Conte ne la grotta scese,
Finiron le dispute e le parole.
Orlando a salutarle fu cortese.
Come con donne sempre esser si vuole;
Et elle si levaro immantinente,
E lui risalutar benignamente.
93 [quanto,
Gli è ver che si smarrirò in faccia al-
Come improviso udiron quella voce,
E insieme entrare armato tutto quanto
Vider là dentro un uom tanto feroce.
90. 1. Scende ecc.; la tomba scende al
basso di molti gradini.
— 5. casso; privo (lat. cassus, vuoto).
Petr. Il, Son. 26: «Amor della sua luce
ignudo e casso ». •
— 8. sporgea i. u. p. Vuol dire che nella
parete della caverna c'era un foro, il quale
era fatto a finestra dalla parte interna, ma
dalla parte esterna era un semplice per-
tugio.
91. 1. In m. la s. V. e. Vi, 23, n. 8.
— 4. Quanto... fu a.; per quanto giudicò.
Quanto invece di per quanto v. e. ii, 4. 4.
92. 4. dispute; Poetico per dispute. Per
questa avventura l'A. ha tolto alcuni ele-
menti dall'Asino d'oro di Apuleio. Nel lib.
IV si dice di una grotta abitata da ladroni,
i quah, rapita una regia fanciulla, la por-
tano quivi per trarne un guadagno e la
conseguano ad una brutta vecchia. Questi
cenni sono stati genialmente sviluppati dal-
l'Ariosto. Altri elementi ha tolto dal Guiron
le Courtois, pei quali vedi e. xiii, 12.
93. 2. improviso; improvvisamente. V. e.
I, 53, n. 8.
— 4. feroce; fiero. V. e. I, 32, n. 2.
142
ORLANDO FURIOSO
Orlando domandò, qiial fosse tanto
Scortese, ingiusto, barbaro et atroce.
Che ne la grotta tenesse sepolto
Un si gentile et amoroso volto.
94
La vergine a fatica gli rispose,
Literrotta da fervidi signiozzi,
94. 2. signiozzi; singhiozzi. È forma non
registrata dai vocab.
Che dai coralli e da le preziose
Perle uscir fanno i dolci accenti mozzi.
Le lacrime scendean tra gigli e rose,
Là dove avvien ch'alcuna se n' inghiozzi.
Piacciavi udir ne l'altro Canto il resto.
Signor; che tempo è omai di finir questo.
— 3. coralli... perle ; le labbra e i denti.
~ 6. iughiozzi; ingozzi. Per questa forma
si cita solamente questo luogo delI'A.
CANTO XIII
Ben furo avventurosi i cavallieri
Ch'erano a quella età, che nei valloni,
Ke le scure spelonche e boschi fieri.
Tane di sei-pi, d'orsi e di leoni,
Trovavan quel che nei palazzi altieri
A pena or trovar puon giudici buoni;
Donne, che ne la lor pili fresca etade
Sien degne d'aver titol di beltade.
2
Di sopra vi narrai che ne la grotta
Avea trovato Orlando una donzella,
E che le dimandò eh' ivi condotta
L'avesse: or seguitando, dico ch'ella.
Poi che più d'un signiozzo l'ha interrotta,
Con dolce e suavissima favella
Al Conte fa le sue sciagure note,
Con quella brevità che meglio puote.
3
Ben che io sia certa (dice), o cavalliero.
Ch'io porterò del mio parlar supplizio,
Perché a colui che qui m'ha chiusa, spero
Che costei ne darà subito indizio;
1. 6. pnon. V. e. x, tìl, n. 6.
— 8. titol. V. e. X, 3, lì. 4. « Anche Raf-
faello, in una lettera al Castiglione, dice
che, avendo a dipingere la Galatea, si ser-
viva di una certa idea essendovi carestia di
belle donne. Eppure la bellezza non doveva
scarseggiare in un secolo, che tanta ne
seppe riflettere nel mondo dell'arte, spec-
chio più 0 meno fedele della realtà «(Casella).
Ma qui è da vedere una punta di scherzo
mordace, come spesso si trova nel Fur.
3. 3. spero. Sperare, cosi nella nostra,
come nelle lingue greca e latina, altro non
significa in origine che aspettare, e però
comprende tanto lo sperare propriamente
detto, quanto il temere. Bocc. nov. -43: «Del
quale non sapea che si dovesse sperare al-
tro che male » e vedi ivi la nota del Forna-
ciari, ed. cit.
Pur son disposta non celarti il vero,
E vada la mia vita in precipizio.
E ch'aspettar poss'io da lui più gioia,
Che '1 si disponga un di voler ch'io muoia?
4
Isabella sono io, che figlia fui
Del Re mal fortunato di Gallizia:
Ben dissi fui; ch'or non son pili di lui,
Ma di dolor, d'affanno e di mestizia:
Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui
Dolermi più, che de la sua nequizia;
Che dolcemente nei principii applaude,
E tesse di nascosto inganno e fraude.
5
Già mi vivea di mia sorte felice,
Gentil, giovane, ricca, onesta e beila:
Vile e povera or sono, or infelice;
E s'altra è peggior sorte, io sono in quel-
Ma voglio sappi la prima radice, [la.
Che produsse quel mal che mi flagella;
— 5. disposta... cel. Sottint. la prep. a.
V. e. I, 4, n. 1.
— 7. che... più gioia; qual maggior gioia.
Di che per quale, interposta qualche parola
fra il che e il sostant, si cita qualche es.
antico. Omel. S. Greg. V. 2. « che dunque
cosa presente ci debba dare diletto ». Per
pia in senso di maggiore V. Fornac. Sint.
p. 108. Cfr. e. vili, 43, S; xxxi, 1, 1.
— 8. '1; È troncamento di elio, egli —
si disp. voler, sottint. la prep. a.
4. 2. Del Re ecc. Il padre d'Isabella, Ma-
ricoldo re di Galizia, fu ucciso da Orlando
(innani. II, xxin, 60); ma l'A. immagina che
Is. fuggisse prima della sua morte e perciò
non ne sa nulla. — mal fortunato, per l'av-
ventura della figlia.
— 4. Ma di dolor ecc. Figlia di dolor, d'af-
fanno ecc. è modo orientale ben appropia-
to a donna Saracina. Cosi la Bibbia ha /llii
iniquitatis, sanguinum ecc. (Casella).
— 7. applaude; si mostra favorevole.
CANTO XIII
m;
E ben ch'aiuto poi da te non esca,
Poco non mi pari;\, che te n'iucresca.
• (■)
Mi9J)atre te' in Baiona alcune giostre:
Esser Senno ogginiai dodici mesi.
Trasse la fama ne le terre nostre
Cavallieri a giostrar di pili paesi.
Fra gli altri (o sia ch'Amor cosi mi mostre,
O che virtù pur sé stessa palesi)
Mi parve da lodar Zerbino solo.
Che del gran Re di Scozia era figliuolo.
7
Il qual poi che far prove in campo vidi
Miracolose di cavalleria,
Fui presa del suo amore, e non m'avvidi,
Ch' io mi conobbi più non esser mia.
E pur, ben che '1 suo amor cosi mi guidi,
Mi giova sempre avere in fantasia [do,
Ch"io non misi il mio core in luogo immon-
Ma nel più degno e bel ch'oggi sia al mon-
8 fdo.
Zerbino di bellezza e di valore
Sopra tutti i Signori era eminente.
Mostromrai, e credo mi portasse amore,
E che di me non fosse meno ardente.
Non ci mancò chi del commune ardore
Interprete fra noi fosse sovente.
Poi che di vista ancor fummo disgiunti;
Che gli animi restar sempre congiunti:
9
Però che dato fine alla gran festa,
Il mio Zerbino in Scozia fé' ritorno.
Se sai che cosa è amor, ben sai che mesta
Restai, di lui pensando notte e giorno :
6. 1. patre; Latinismo non frequente nep-
pure negli antichi. — Baiona, piccola città
della Galizia, sull' Oceano Atlant., che con-
serva ancora vestigia di antica grandezza.
— 5. Fra gli a.; sopra y. a. Bocc. nov. 5:
< tra gli altri suoi figliuoli n'aveva uno, il
quale di bellezza gli altri giovani trapas-
sava ».
— 6. 0... pur. Cfr. e. V, 75, n. 5; vi, 4, 7.
— 7. Zerbino. Forse fu nome suggerito
aU'A. dal Gerbino del Bocc. nov. 34.
7. 3. non m'avv. ; non me ne avv. V. e. il,
52, n. 3.
— 4. ch'io m. 0. C/te dipendente da proj).
negativa vale talvolta fintantoché. Pulci,
Morg, 19, 49: « Non si fermaron che tuc-
corno il fondo ». — mia, padrona di me.
— 5. cosi m. g. ; mi conduca a tal punto,
a tal disgrazia.
— 0. avere in f.; aver presente al pensiero.
N'ello stesso senso e costrutto si disse anche
aver fantasia.
8. 7. ancor. Intendi: poiché fummo xm' al-
tra volta lontani l'uno dall'altro, come pri-
ma di conoscerci, ma questa volta lontani
solo di vista.
Et era certa che non men molesta
Fiamma intorno il suo coriacea soggiorno.
Egli non fece al suo disio più schermi,
Se non che cercò via di seco avermi.
-' 10
E perché vieta la diversa fede
(Essendo egli Cristiano, io Saracina)
Ch'ai mio padre per mogìienoumichiede.
Per furto indi levarmi si destina.
Fuor de la ricca mia patria, che siede
Tra verdi campi allato alla marina.
Aveva un bel giardin sopra una riva.
Che colli intorno e tutto il mar scopriva.
11
Gli parve il luogo a fornir ciò disposto.
Che la diversa religion ci vieta;
E mi fa saper l'ordine che posto
Avea di far la nostra vita lieta.
Appresso a Santa Marta avea nascosto
Con gente armata una galea secreta,
In guardia d'Odorico di Biscaglia,
In mare e in terra mastro di battaglia.
12
Né potendo in persona far l'effetto,
Perch'egli allora era dal padre antico
A dar soccorso al Re di Francia astretto,
Manderia in vece sua questo Odorico,
Che fra tutti i fedeli amici eletto
S'avea pel più fedele e pel più amico:
E bene esser dovea, se i benefici
Sempre hanno forza d'acquistar gli amici.
10. 1. vieta... che non. V. e. v, 53, n. 1.
— 3. chiede. È cong. invece di chieda.
V. per il costrutto v, 53, 1 ; xxii, 88. Quanto
alla forma del cong., osserva il Xannucci,
Au. cr. p. 284: « Tutte e tre le persone sing.
del pres. cong. si chiusero da pi-incipio in
e ». Ivi troverai gli esempi antichi, molti
per la prima, pochissimi per le altre co-
mugaz. V. e. xLi, 3, 4.
— 4. si destina, destina. Il si è pleona-
stico. Si cita questo solo luogo deil'A. In-
nam. Il, vi, 2: « Che di passar in Francia,
si destina ».
— 7. Aveva. Potrebbe significare vi era.
L'A. usò spesso avere per essere: ma qui è
prima pers., il che apparisce dall'ediz. del
1516, che ha la forma avevo. — riva, d'un
iiume, che passava li presso. V, St. 13, 7.
11. 3. r ordine e. p. a.; la deliberazione,
che avea preso. Al e. v, 42,4, vedemmo or-
dine fu che, fu stabilito che. Son maniere
non registrate dai vocabol. Cfr. e. xxii, 79, 3.
— 5. S. Marta. Borgo in Galizia a Sciroc-
co del capo Ortegal. vi è una baia dello
stesso nome, lunga e stretta, opportunissi-
ma a nasconder navi.
— 6. secreta. Fa le veci di avverbio.
12. 7. dovea. È detto come pensiero di
Zerbino, cioè Zerbino pensava che doveva
144
ORLANDO FURIOSO
13
Verria costui sopra un navilio armato,
Al terminato tempo indi a levarmi.
E cosi venne il giorno disiato,
Che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte, accompagnato
Di gente valorosa all'acqua e all'armi,
Smontò adjin fiume alla città vicino,
E venne cnetamente al mio giardino.
14
Quindi fui tratta alia galea spalmata,
Prima che la città n'avesse avvisi.
De la famiglia ignuda e disarmata
Altri fuggirò, altri restaro uccisi.
Parte captiva meco fu menata.
Cosi da la mia terra io mi divisi.
Con quanto gaudio, non ti potrei dire.
Sperando in breve il mio Zerbin fruire.
15
Voltati sopra Mongia eramo a pena.
Quando ci assalse alla sinistra sponda
Un vento che turbò l'aria serena,
E turbò il mare, e al ciel gli levò l'onda.
Salta un Maestro ch'a traverso mena,
E cresce ad ora ad ora, e soprabonda;
E cresce e soprabonda con tal forza,
Che vai poco alternar poggia con orza.
«sser tale, se pure i benelìci han forza d'ac.
-gli a.
13. 1. naTilio; nave. V. e. x, 44, 5.
— 2. terminato; determinato, stabilito.
Pulci, Morg. i, 19: «E terminò passare in
Pagania ».
— 6. valor, all'a. e a. a.; valoroso in ma-
re e in terra. Petr. Il, Son. 265: « Porto '1
cor grave e gli òcchi umidi e bassi Al mondo
(nel mondo; ». Express, simile al e. xxxi, 77,5.
14. 1. galea sp. Spalmato e unto, referiti
a nave, significano spalmata di pece; tal-
volta sono semplici epiteti descrittivi, ma
tal altra, come al e. iv, 51, e forse qui, in-
dicano una nave in buono stato, quindi più
veloce. Petr., ii, Son. 44: «Né per tran-
quillo mar legni spalmati ».
— 3. famiglia (lat. familia, servitù); la
servitù addetta ad Isabella.
— 8. il m. Z. frnire. Fruire (godere) nei
nostri scrittori è più spesso costruito col
complem. diretto che coli' indir, (fruire di
una cosa).
15. 1. Mongia; Borgo in Galizia fra il capo
Belem e il capo Coriana (Bolza). — eramo.
V. e. v, 59, n. 1.
— 5. Salta; si leva improvvisamente. È
parola ancor viva parlando di vento o di
tempesta, v. e. xvii, 27, 3.
— 8. alternar p. e. o. A chi, passando pel
golfo di Guascogna, costeggia la Francia, il
maestrale, vento di uord-ovest, è contrario
e tende a spingerlo indietro e sulla costa
16
Non giova calar vele, e l'arbor sopra
Corsia legar, né minar castella;
Che ci veggiàn mal grado portar sopra
Acuti scogli, appresso alla Rocella.
Se non ci aiuta quel che sta di sopra,
Ci spinge in tèrra la crudel procella.
Il vento rio ne caccia in maggior fretta,
Che d'arco mai non si avventò saetta.
17 '
Vide il periglio il Biscaglino, e a quello
Usò un rimedio che fallir suol spesso:
Ebbe ricorso subito al battello;
Calessi, e me calar fece con esso.
Sceserduialtri,euescendea un drappello,
Se i primi scesi l'avesser concesso;
Ma con le spade li tenner discosto.
Tagliar la fune, e ci allargammo tosto.
18
Fummo gittati a salvamento al lite
Noi che nel palischermo eramo scesi;
Periron gli altri col legno sdrucito:
In preda al mare andar tutti gli arnesi.
All'eterna Boutade, all' infinito
Amor, rendendo grazie, le man stesi,
Che non m'avessi dal furor marino
Lasciato tor di riveder Zerbino.
a traverso niena); quindi per potere in
qualche modo andare avanti occorre bor-
deggiare, cioè ora prendere il vento da una
parte ora dall'altra avanzando a zig-zag.
Per l'espressione cfr. e. xix, 63, n. 3.
16. 2. Corsia. .Negli antichi bastimenti da
remo era un passaggio stretto e lungo, ri-
levato circa un metro sopra la coperta :
andava da poppa a prua per metterle in
comunicazione. — Legar l'a. s. e. Forse vuol
dire: assicurare l'albero legandolo con funi,
che si fermano alle traverse della corsia,
affinché il vento non lo fiacchi. V. e. xvin,
143, 6-7. — castella. Le grosse navi avevano
un castello in poppa, detto comunem. cas-
sero, e uno talvolta in prua. Erano impal-
cature rilevate per coprire di sotto allog-
giamenti e sale e per aver di sopra la piazza
alta di scoperta e di combattimento. Si di-
sfacevano in caso di forte burrasca per al-
leggerire il legno.
— 3. veggiàn. V. e. IX, 43, n. S. — malgra-
do. V. e. I, 59, n. 4.
— 4. Rocella; Rochelle, città e porto di
mare francese nella Charente infer.
17. 8. ci allargammo. Allargarsi nel senso
marinaresco di prendere il largo è usate)
per lo più col complem. iu mare, o simili
(cfr. e. XVIII, 141).
18. 4. arnesi; gli attrezzi della nave. Non
è citato in questo senso.
— 6. le m. st. La prop. princip.è inserita
nella dipendente. V. e. xi, 27, 5.
CANTO XIII
145
19
Come ch'io avessi sopra il legno e vesti
Lasciato e gioie e l'altre cose care.
Pur che la speme di Zerbin mi resti,
Contenta son che s'abbi il resto il mare.
Non sono, ove scendemo, i liti pesti
D'alcun sentier,né intorno albergo appare,
Ma solo il monte, al qual mai sempre fiede
L'ombroso capo il vento, e '1 mare il piede.
20
Quivi il crudo tiranno Amor, che sem-
D'ogni promessa sua fu disleale, [pre
E sempre guarda come iiivolva e stempre
Ogni nostro disegno razionale.
Mutò con triste e disoneste tempre
Mio conforto in dolor, mio bene in male;
Che quell'amico in chi Zerbin si crede,
Di desire arse, et agghiacciò di fede.
21
0 che m'avesse in mar bramata ancora.
Né fosse stato a dimostrarlo ardito;
O cominciassi il desiderio allora.
Che l'agio v'ebbe dal solingo lito;
Disegnò quivi senza più dimora
Condurre a fin l'ingordo suo appetito,
Ma prima da sé torre un de li dui
Che nel battei campati eran con cui.
22 [to,
Quell'era uomo di Scozia, Almonio det-
Che mostrava a Zerbin portar gran fede;
E commendato per guerrier perfetto
Da lui fu, quando ad Odorico il diede.
Disse a costui che biasmo era e difetto,
Se mi traeano alla Rocella a piede ;
E lo pregò ch'inanti volesse ire
A farmi incontra alcun rouzin venire.
23
Almonio, che di ciò nulla temea.
Immantinente inanzi il camin piglia
Alla città che '1 bosco ci ascondea,
E non era lontano oltra sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
All'altro finalmente si consiglia;
Si perché tor non se lo sa d'appresso.
Si perchè avea gran confidenza in esso.
19. 4. abbi. V. e. v, 87, n. 2.
— 5. scendemo. V. e. vi, 37, 7.
20. 2. disleale ; violatore. Cosi la Crusca,
che cita questo solo luogo. Ma è piuttosto
da intendere di ogni promessa, come com-
plem. di limitazione: quanto a og.pr., la-
sciando a disleale il suo significato comune.
— 3. involva e stempre; imbrogli e guasti.
Cavalca Med. cuor. 21 : « l' ira al tutto stem-
pra l'uomo ».
— 5. tempre; maniere. Petr., I, Ball. 3:
« E tende lacci in si diverse tempre ».
— 7. chi; cui. V. e. II, 28, 8. — si crede,
si fida. Generalmente credersi a uno.
21. 4. T'ebbe; ne ebbe. V. e. vii, 2, n. 1.
24
Era Corebo di Bilbao nomato
Quel di eh' io parlo, che con noi rimase;
Che da fanciullo picciolo allevato
S'era con lui ne le medesme case.
Poter con lui communicar l'ingrato
Pensiero il traditor si persuase,
Sperando ch'ad amar saria piti presto
Il piacer de l'amico, che l'onesto.
25
Corebo, che gentile era e cortese.
Non lo potè ascoltar senza gran sdegno :
Lo chiamò traditore, e gli contese
Con parole e con fatti il rio disegno.
Grande ira all'uno e all'altro il core acce-
E con le spade nude ne fèr segno. [se.
Al trar de' ferri, io fui da la paura
Volta a fuggir per l'alta selva oscura.
26
Odorico, che mastro era di guerra,
In pochi colpi a tal vantaggio venne,
Che per morto lasciò Corebo in terra,
E per le mie vestigie il carain tenne.
Prestògli Amor (se '1 mio creder non errai,
Acciò potesse giungermi, le penne;
E gl'insegnò molte lusinghe e prieghi.
Con che ad amarlo e compiacer mipieghi
27
Ma tutto è indarno; che fermata e certa
Pili tosto era a morir, eh' a satisfarli.
Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta
Ebbe e minacele, e non potean giovarli.
Si ridusse alla forza a faccia aperta.
Nulla mi vai che supplicando parli
De la fé' ch'avea in lui Zerbino avuta,
E ch'io ne le sue man m'era creduta.
28
Poi che gittar mi vidi 1 prieghi in vauo
24. 1. Bilbao; Cittadella Spagna nella Bi-
scaglia.
— 3. allevato S'era; era stato allev. Cosi
anche al e. ix, 37, 5. Vita di S. Mar. Madd.
86: « Quaud' io era Piccolino, eh' io m'alle-
vava con teco ».
26. 8. compiacer, compiacerlo. V. e. i, 21,
n. 7.
27. 1. fermata, che ha fatto fermo propo-
sito. Petr., Sest. 4, 1: «chi è fermato di
menar sua vita ». — certa, risoluta ; è l'e-
spressione lat. certa mori: viro., E7i. 4,
.064. Per lo più si costruisce con di. È strano
che nessun Vocabolario citi quest'uso. Caro,
En. IV, 872: < Certa già di morire ».
— 3. esperta; provata. Dall'inusit. espe-
rire. È latinismo usato soltanto nei tempi
composti.
— 8. creduta; aflQdata. Latinismo frequen-
te anche in prosa. Segni S. F. 100: « Non si
dee credere il magistrato supremo ad ogni
uomo ».
Ariosto — Papini
10
146
ORLANDO FURIOSO
Né mi sperare altronde altro soccorso;
E che pili sempre cupido e villauo
A me venia, come famelico orso;
Io mi difesi con piedi e con mano,
Et adopra'vi sin a l'ugne e il morso:
Pela'gli il mento, e gli gratìiai la jielle,
Con stridi che n'andavano alle stelle.
29
Non so se fosse caso, o li miei gridi
'Che si doveauo udir lungi una lega;
0 pur ch'usati sian correre ai lidi,
Quando navilio alcun si rompe o anuiega;
Sopra il monte una turba apparir vidi;
E questa al mare e verso noi si piega.
Come la vede il Biscaglin venire,
Lascia l'impresa, e voltasi a fuggire.
30
Contra quel disleal mi fu adiutrice
Questa turba, Signor; ma a quella image
Che sovente in proverbio il vulgo dice:
Cader de la padelhi ne le brage.
Gli è ver ch'io non son stata si infelice,
Né le lor menti ancor tanto malvage.
Ch'abbino violata mia persona:
Non che sia in lor virtù, né cosa buona;
31
Ma perché se mi serbau, come io sono,
Vergine, speran vendermi più molto.
Finito è il mese ottavo e viene il nono.
Che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandono;
Che già, per quanto ho da lor detti accolto,
M' bau promessa e venduta a un merca-
[dante,
Che portare al Soldan mi de' in Levante.
32
Cosi parlava la gentil Donzella;
E spesso con signozzi e con sospiri
Interrompea l'angelica favella
Da muovere a pietade aspidi e tiri.
Mentre sua doglia cosi rinovella,
28. 2. Sé mi sperare; e vidi non (potere)
sperare. Sulla forma rifless. efr. e. v, 23,
n. 3.
— 6. sin a l'ugne, perfino le ugne. V. e.
ri, 28, 8.
30. 2. a. q. image; Secondo quella imma-
irine. hnage usò anclie Dante, Purg. 25,
20; ma è più comune, in poesia, Imayo. 11
signjf. non comune di a rappresenta forse
Tabbreviazione deirespressione più com-
pleta: a <iiiel modo che è significato in
quella imagine ecc. — Il proverbio che
segue è vivo e comune ancora.
31. C. accolto; appreso. Petr., II, son. 74 :
■« i tuoi detti, t« presente, accolsi ».
— t<. de', dee, deve. Gli antichi l'apostro-
farono anche in prosa.
32. 4. tiri; Si chiamavano anticam. cosi
i serpi velenosi. Morg. 14, 82: « E '1 tir che
0 forse disacerba i suoi martiri.
Da venti uomini entrar ne la spelonca.
Armati chi di spiedo e chi di ronca.
33
Il primo d'essi, uom di spietato viso.
Ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco:
L'altro, d'un colpo che gli avea reciso
Il naso e la mascella, è fatto cieco.
Costui vedendo il cavallicro assiso
Con la vergine bella entro allo speco,
Volto a'corapagni, disse: Ecco augel novo,
A cui non tesi, e ne la rete il trovo.
34
Poi disse al Conte: Uomo non vidi mai
Più commodo di te, né più oportuno.
Non so se ti se' apposto, o se lo sai,
Perché te l'abbia forse detto alcuno.
Che si bell'arme io desiava assai,
E questo tuo leggiadro abito bruno.
Venuto a tempo veramente sei,
Per riparare a gli bisogni miei.
35
Sorrise amaramente, in pie salito.
Orlando, e fé' risposta al mascalzone:
Io ti venderò l'arme ad un partito
Che non ha mercadante in sua ragione.
Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapita
Pien di fuoco e di fumo uno stizzone,
Trasse e percosse il malandrino a caso.
avea lo incantatore scorto ». Dal gr. thi-
rion, serpe.
— 7. Da T. Da con un numerale significa
circa. È comune e vivo.
— 8. spiedo... ronca. Lo spiedo è un'arma
in asta, con ferro in cima, che somigliava
alla lancia e serviva per caccia e per bat-
taglia. La ronca è arma in asta adunca e
tagliente.
33. 1. Il primo; il capo fra loro.
— 3. L'altro, occhio. — d'un e. ; per u. e.
Il di è causale: frequentissimo negli scrit-
tori. Dante, Inf. 26, 69: «Vedi che del de-
sio ver' lei mi piego ».
34. 2 commodo... op. Commodo (più co-
mune di cosa che di persona) è ciò, che ri-
sponde al bisogno. L'a. scrisse sempre que-
sta parola con due m, alla latina, come
l'avevano usata i buoni scrittori. Oportuno
è ciò che viene a tempo. È grafia dialettale.
— 6. abito br. V. e. vili, 85.
35. 1. salito; balzato. V. e. viii, 84, n. 5.
— 2. mascalzone. V. e. iv, 69, n. 7.
— 4. in s. ragione; nei suoi conteggi. Ala-
manni, Colt. 4, 822: « Lo fa spesso... Intrigar
la ragion col suo signore ». Cosi in latino
ratio. Cicer. Verr. 7, 57: « Cedo rationem
carceris, dammi il conteggio della carcere ».
— 6. stizzone; Più comunem. tizzone.
Dante, Inf., 13, 40, ha stizzo.
— 7. Trasse; Sottint. lo. Le immagini del
CANTO XIII
147
Dove confina con le ciglia il naso.
Lo stizzone ambe le palpebre colse,
Ma maggior danno te' ne la sinistra;
Che quella parte misera gli tolse.
Che de la luce, sola, era ministra.
Né d'acciecarlo contentar si volse
Il colpo tìer, s'ancor non lo registra
Tra quegli spirti che con suoi compagni
Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.
37
Ne la spelonca una gran mensa siede
Grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,
Che sopra un mal pulito e grosso piede,
Cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quell'agevolezza clip si vede
Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro.
Orlando il grave desco da su scaglia
Dove ristretta insieme è la canaglia.
38
A eh' il petto, a eh' il ventre, a chi la te-
A chi rompe le gambe, a chi le braccia; [sta.
tizzone, della mensa scagliata, e qualclie
altra, son tolte da Ovidio, Met. 13, 235 segg.,
dove descrive la battaglia dei Lapiti coi
Centauri.
36. 6. lo registra; lo pone. Dante, Jnf.
t9, 57: «Punisce i falsator, che qui (la di-
vina giustizia) registra »
— .s. Chiron. Centauro, che Dante mette
cogli altri suoi compagni, Folo, Xesso, ecc.,
nell'inferno a guardia dei violenti contro
gli altri, fra cui i predoni, tulìati in una
fossa di sangue bollente.
37. 2. sp. inquadro; spaziosa e quadrata.
— 5. che; colla quale. Non solo nei com-
plementi di tempo, ma in quelli di luogo,
di specificazione, di termine, usarono gli
scrittori, come l'usa tuttora il popolo, il clii'
senza prepos. V. Petr., I, Sou. 67, 6; II,
Son. 5tì, 2 e Fornaciari, Sint. p. 117.
— 6. gittar la e. Si disse anche c/iiiocare
a canne. Fu una specie di giostra, intro-
dotta dai Mori in Ispagna e dagli Spagnuoli
in Italia, e che si faceva a cavallo dai no-
bili in occasione di alcuna solennità: « For-
masi di differenti quadriglie, che ordina-
riamente sono otto... (-:iascuna quadriglia
si riunisce a parte, e prendendo canne lun-
ghe tre o quattro vare (la vara è metri
0,845) nella mano destra..., quella quadri-
glia, che comincia il giuoco, corre la distan-
za della piazza tirando le canne in aria e
prendendo, al galoppo, la volta per dove
sta l'altra quadriglia appostata; la quale la
carica di gran carriera e tira le canne agli
altri che corrono e che si coprono cogli
scudi perché i colpi delle canne stesse non
li offendano : e cosi successivamente si van
caricando una quadriglia dopo V altra fa-
Di ch'altri muore, altri storpiato resta:
Chi meno è offeso, di fuggir procaccia.
Cosi talvolta un grave sasso pesta
E fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,
Gittato sopra un gran drappel di biscie.
Che dopo il verno al sol si goda e liscie.
39
Nascono casi, e non saprei dir quanti:
Una muore, una parte senza coda.
Un'altra non si può muover d'avanti,
E '1 deretano indarno aggira e snoda;
Un'altra, ch'ebbe pili propizii i santi,
Striscia fra l'erbe, e va serpendo a proda.
Il colpo orrihil fu, ma non mirando.
Poi che lo fece il valoroso Orlando.
40
Quei che la mensa o nulla o poco oftese,
(È Turpin seri re a punto che fur sette)
oendo una piacevole vista » Dizion. dell' .\c-
cademia sipaguuola.
38. 6. f. e lombi. Il Nisiely biasima l'ap-
plicazione di queste parole alle serpi, che
non bau fianchi né lombi. Nei Cinque C. l'A.
dà braccia e lombi alle piante. II, 122.
— 7. drappel. Propiam. si disse di perso-
ne riunite sotto una bandiera (drappo); poi
anche di animali e di cose inanimate. Ga-
lilei, Op. I, 401; III, 477; disse drappelli
di stelle e di macchie solari.
39. t). va s. a proda ; Va, serpendo, verso
la proda del campo, per nascondersi nella
fossa.
40. 2. Turpin. Questo riferirsi alla storia,
per dare maggior credibilità ai racconti, fu
vezzo, non dei cantori popolari primitivi ,
ma dei rartazzonatori e compilatori. Il Bo-
iardo e 1'.^. s'intende che lo fanno per i-
scherzo — Tarpino è personaggio storico ;
fu arcivescovo di Reiins e visse ai tempi di
Carlo Magno. Si trova già nell'antica epopea
cavalleresca (Chanson de Roland ecc.), ma
con caratteri non storici. K vescovo guer-
riero, si cuopre di gloria in diversi com-
battimenti, muore a Roncisvalle. La famosa
cronaca, magro lavoro di falsari che per
darle credito l'attribuirono a Turpino, è,
secondo la critica più attendibile, distinta
in due parti. I primi 5 cap. sono scritti vei'-
so la metà dell' xi secolo da un monaco di
Compostelìa, gli altri sono scritti fra gli
anni 1109-1119 da un monaco di S. Andrea
di Vienna. Questa cronaca non fu che per
piccole parti fonte di alcuni poemi cavalle-
reschi. Vi si parla principalmente delle im-
prese di C. Magno conti'o i Saraceni di Spa-
gna e contro Agolante; del tradimento di
Gano di Maganza, di alcune imprese e della
morte di Orlando a Roncisvalle. Sia detto
ora per sempre che ogni citazione di Tar-
pino, fatta dall'A., non è che uno scherzo,
148
ORLANDO FURIOSO
Ai piedi raccomandan sue difese:
Ma ne l'uscita il Paladin si mette;
E poi che presi gli ha senza contese,
Le man lor lega con la fune istrette,
Con una fune al suo bisogno destra,
Che ritrovò ne la casa silvestra.
41
Poi li strascina fuor de la spelonca,
Dove facea grande ombra un vecchio sor-
Orlando con la spada i rami tronca, |bo.
E quelli attacca per vivanda al corbo.
Non bisognò catena in capo adonca;
Che per purgare il mondo di quel morbo,
L'arbor medesmo gli uncini prestolli,
Con che pel mento Orlando ivi attaccolli.
42
La donna vecchia, amica a' malandrini,
Poi che restar tutti li vide estinti,
Fuggi piangendo, e con le mani ai ci'ini.
Per selve e boscherecci labirinti.
Dopo aspri e malagevoli camini,
A gravi passi e dal timor sospinti.
In ripa un fiumeinunguerrier scontrosse;
Ma differisco a ricontar chi fosse:
43
E torno all'altra che si raccomanda
Al Paladin, che non la lasci sola;
E dice di seguirlo in ogni banda.
Cortesemente Orlando la consola;
E quindi, poi ch'usci con la ghirlanda
Di rose adorna e di purpurea stola
La bianca Aurora al solito camino,
Parti cou Isabella il Paladino.
senza corrispondenza alcuna in quell'antica
cronachetta.
— 3. sue, loro. Spesso gli antichi. Dante,
Inf. 22, 144: « vSi avieno iuviscate l'ale sue ».
— 7. destra, acconcia. È significato assai
frequente. Il costrutto è C(in a e con per.
41. 5. in capo a.; adunca ad un capo; con
un uncino nella cima, come si adopra per
attaccar buoi macellati.
42. ò. gravi p. tardi, lenti. Petr. Cam.
8, 26: <■■ iSi gravi i corpi e frali Degli uomini
mortali ».
— 7. In ripa u. f. Pili coniiinem. si dice:
in i"iva a o di Petr. Tr. Et. 139: «.\ l'iva
un fiume, che nasce in Gebeuna ». « Molti
fan distinzione fra riva e ripa, chiamando
riva quella del fiume e ripa gli argini, che
sopra le fosse si fanno o dintorno alle ca-
stella, o ancora in luoglii declivi, per li quali
d'alcun luogo alto si scende al più basso ».
Bocc. Conim. Dante, 3, 62. I poeti e i pro-
satori però presero l'una voce per l'altra.
— 8. ricontar. V. e. ix, 85, u. 6. È questo
il primo esempio, nel Furioso, d'interru-
zione, appena r<acceuno di nuovi fatti riac-
cende la curiosità. È un artifizio già usato
dal Boiardo. I Romanzieri precedenti sole-
44
Senza trovar cosa che degna sia
D'istoria, molti giorni insieme andare:
E finalmente un cavallier per via.
Che prigione era tratto, riscontraro.
Chi tosse, dirò poi; ch'or me ne svia
Tal, di chi udir non vi sarà men caro;
La figliuola d'Amon, la qual lasciai
Languida dianzi in amorosi guai.
45
La bella donna desiando in vano
Ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno.
Stava a Marsiglia, ove allo stuol Pagano
Dava da travagliar quasi ogni giorno; [no
11 qual scorrea, rubando in monte e in pia-
Per Linguadoca e per Provenza intorno ;
Et ella ben facea l'uftìcio vero
Di savio Duca e d'ottimo guerriero.
46
Standosi quivi, e di gran spazio essendo
Passato il tempo che tornare a lei
Il suo Ruggier dovea, né lo vedendo,
Vivea in timor di mille casi rei.
Un di fra gli altri, che di ciò piangendo
Stava solinga, le arrivò colei
Che portò ne l'annel la medicina
Che sanò il cor ch'avea ferito Alcina.
47
Come a sé lùtoruar senza il suo amante,
Dopo si lungo termine, la vede.
Resta pallida e smorta, e si tremante,
Che non ha forza di tenersi in piede:
Ma la Maga gentil le va davante
Ridendo, poi che del timor s'avvede;
E con viso giocondo la conforta,
Qual aver suol chi buone nuove apporta.
48
Non temer (disse) di Euggier.Donzella;
Ch' è vivo e sano, e come suol, t'adora:
Ma non è già in sua libertà; che quella
Pur gli ha levata il tuo nemico ancora;
Et è bisogno che tu monti in sella,
vano passare ad altro nei punti, dove l'azio-
ne aveva una sosta e l' interesse era raffred-
dato. Nei canti precedenti l'A. si attiene
piuttosto a questo modo d' interruzione.
44. 6. di chi; di cui. V. e. il, 20, n. 8.
45. fi. Linguad. Detta cosi dalla lingua
d'oc, che vi si parlava. Regione della Fran-
cia merid. a ovest della Provenza, fra il
Rodano e i Pirenei. Si chiamò cosi solo nel
sec. XIII ; prima .si chiamava Settimania.
— 8. DucH. V. e. II, 64.
46. 2. Passato il t. Melissa avea giurato
di ricondiirle Rugg. in.i)oclii giorni. V. e.
VII, 46, 7.
— 6. colei; Melissa.
47. 2. termine; tempo. Rucellai, Ap. 236:
« Se bene bau picciol termine di vita ».
CANTO XIII
149
Se brami averlo, e che mi segui or ora;
Che se mi segui, io t'aprirò la via,
D'onde per te Ruggier libero fia.
49
E seguitò, narrandole di quello
Magico crror che gli avea ordito Atlante:
Che simulando d'essa il viso bello,
Che captiva parca del rio gigante.
Tratto l'avea ne l'incantato ostello.
Dove sparito poi gli era davante:
E come tarda con simile inganno
Le donne e i cavallier che di là vanno.
50
A tutti par, l'incantator mirando,
Mirar quel che per sé brama ciascuno,
Donna, scudier, compagno, amico; quando
Il desiderio uman non è tutto uno.
Quindi il palagio van tutti cercando
Con lungo affanno, e senza frutto alcuno;
E tanta è la speranza e il gran disire
Del ritrovar, che non ne san partire.
51
Come tu giungi (disse) in quella parte
Che giace presso all'incantata stanza.
Verrà l'incantatore a ritrovarti
Che terrà di Ruggiero ogni sembianza,
E ti farà parer con sua mal'arte.
Ch'ivi lo vinca alcun di più possanza,
Acciò che tu per aiutarlo vada,
Dove con gli altri poi ti tenga a bada.
52
Acciò l'inganni, in che son tanti e tanti
Caduti, non ti colgan, sie avvertita :
Che se ben di Kuggier viso e sembianti
Ti parrà di veder, che chieggia aita,
Non gli dar fede tu; ma, come avanti
Ti vien, fagli lasciar l'indegna vita:
Né dubitar perciò che Ruggier muoia,
Ma ben colui che ti dà tanta noia.
53
Ti parrà duro assai (ben lo conosco)
Uccider un che sembri il tuo Ruggiero:
48. 6. segui, segua. Dantk, laf. 1, 113:
« penso e discerno Che tu mi segui ».
— 7. t'aprirò; ti farò manifesta, t'indi-
cherò. V. e. IV, 68, n. 2.
49. 7. tarda; trattiene, tiene a bada. È si-
gnificato non citato dai vocabolari.
50. 3. quando; poiclié. V. e. i, 18, n. 3.
51. 1. Come... giungi; quando sarai giun-
ta. V. e. Ili, 74, n. 1.
— 2. stanza; abitazione.
52. 2. sie; sii. È forma antica. Dante,
Piirg. 31, 15 : « Udendo le Sirene sie più
forte ».
— S. Ma ben e. Rileva dal contesto il ver-
bo ritieni (che muoia e).
53. 5. Fermati; risolvi fermamente. G.
Villani, 9, 19, 13: «si fermò di non par-
tirsi ».
Pur non dar fede all'occhio tuo, che losco
Farà l'incanto, e celeragli il vero.
Fermati, pria eh" io ti conduca al bosco,
8i che poi non si cangi il tuo pensiero.
Che sempre di Ruggier rimarrai priva.
Se lasci per viltà che '1 Mago viva.
54
La valorosa giovane con questa
Inteuzion che '1 fraudolente uccida,
A pigliar l'arme, et a seguire è presta
Melissa; che sa ben quanto l'è fida.
Quella, or per terren culto, or per foresta
A gran giornate e in gran fretta la guida,
Cercando alleviarle tuttavia
Con parlar grato la'noiosa via.
55
E più di tutti i bei ragionamenti.
Spesso le repetea ch'uscir di lei
E di Ruggier doveano gli eccellenti
Principi, e gloriosi Semidei.
Come a Melissa fossino presenti
Tutti i secreti degli eterni Dei,
Tutte le cose ella sapea predire,
Ch'avean per molti secoli a venire.
50
Deh, come, o prudentissima mia scorta,
TDicea alla Maga l'inclita Donzella)
Molti anni prima tu m'hai fatto accorta
Di tanta mia viril progenie bella;
Cosi d'alcuna donna mi conforta.
Che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella
Metter si può tra belle e virtuose.
E la cortese Maga le rispose :
57
Da te uscir veggio le pudiche donne
Madri d'Imperatori e di gran Regi,
Reparatrici e solide colonne
Di case illustri e di domini egregi ;
Che men degne non son ne le lor gonne,
Ch' in arme i cavallier, di sommi pregi.
54. 2. che... uccida; di uccidere. V. e. I,
3S, n. 0.
— 4. rè; le è. V. e. vii, 35, n. 8.
55. 4. Semidei. V. e. vii, 39,
— 5. fossino. È forma popolare amata
assai dagli antichi, e vive ancora nella plebe
Toscana. V. Nannucci, An. cr. p. 469. ^
— 6. Dei. Il plur. fu usato non di rado
da poeti cristiani per indicare, in generale,
la divinità. Petr. i. Son. 190: « (Laura) aspet-
tata al regno degli Dei ».
8. per; fra. Cosi è usato al e. vi, 72, 1;
XII, 7, 3 dove troverai la nota.
57. 2. Madri ecc. V, e. Ili, 17. n. 8.
— 6. pregi, lodi. È significato, che già i
nostri rimatori del sec. xii derivarono dal
pretz dei provenzali. Cosi l'usò il Petr.
canz. 39, 101; Dante, Pai-., xvi, 128: l'A. in
più luoghi. Vedi tutta la canzone del pre-
gio di Dino Compagni.
150
ORLANDO FURIOSO
Di pietà, di gran cor, di gran prudenza,
Di somma e incomparabil continenza.
58
E s'io avrò da narrarti di ciascuna
Che ne la stirpe tua sia d'onor degna,
Troppo sarà; ch'io non ne veggio alcuna
Che passar con silenzio mi convegna.
Ma ti farò tra mille scelta d'una
O di due coppie, acciò ch'a fin ne vegna.
Ne la spelonca perché noi dicesti ?
Che l'imagini ancor vedute avresti.
59
De la tua chiara stirpe uscirà quella
D'opere illustri e di bei studii amica,
Ch' io non so ben se più leggiadra e bella
Mi debba dire, o più saggia e pudica,
Liberale e magnanima Isabella,
Che del bel lume suo di e notte aprica
Farà la terra che sul Menzo siede,
A cui la madre d'Ocno il n me diede:
60
Dove onorato o splendid > certame
Avrà col suo dignissimo consorte,
Chi di lor più le virtù prezzi et ame,
E chi meglio apra a cortesia le porte.
S'un narrerà ch'ai Taro e nel Reame
Fu a liberar da' Galli Italia forte;
L'altra dirà: Sol perché casta visse,
Penelope non fu minor d'Ulisse.
61
Gran cose e molte in brevi detti accolgo
Di questa donna, e più dietro ne lasso,
Che in quelli di ch'io mi levai dal volgo,
— 7. Di pietà ecc. È dichiarazione di pre-
gi : della lode di pietà ecc.
59. Questa rassegna è il compimento del-
la rassegna del e. in. Là si mostrarono gli
uomini di casa d'Este, qui le donne.
— 5. Isabella, figlia di Ercole I e d'Eleo-
nora d'Aragona (1471-1539), maritata (1490)
al marchese Fi-ancesco II Gonzaga di Man-
tova. Le lodi dell'A. son meritate. La cele-
brarono il Trissino con un canzone, il Ban-
dello nella nov. 71, il Berni, nell'Imi. I, 2.
— 7. Menzo; Mincio. Forma dialettale.
Cosi anche al e. xliii, 70, 8.
— 8. A cui ecc. Virgilio, En. 10, 97 segg.
« Ocnus... F'atidicae Mantus et Tuscii lilius
amnis (il Tevere), Qui muros matrisque
dedit tibi, Mantua, nomen ».
60. 5. al Taro e n. E. Il marchese di Man-
tova capitanava l'esercito collegato contro
Carlo vili, alla battaglia del Taro (6 luglio
1495). .assistè poi alla battaglia d'Atella (5
agosto 1496), dopo la quale i Francesi sgom-
brarono dal Reame di Napoli.
61. 3. eh' io mi 1. d. v., che mi detti agli
studi magici. Ma se l'A. avea già ui mente
quel che disse di M. al e. xliii, 20 segg.,
sarà meglio intendere: da quel di che mi
Mi fé' chiare Merlin dal cavo sasso.
E s'in questo gran mar la vela sciolgo.
Di lunga Tifi in navigar trapasso. [no
Conchiudo in somma ch'ella avrà, per do-
De la virtù e del ciel, ciò eh' è di buono.
62
Seco avrà la sorella Beatrice,
A cui si converrà tal nome a punto;
Ch'essa non sol del ben che qua giù lice.
Per quel che viverà, toccherà il punto ;
Ma avrà forza di far seco felice
Fra tutti i ricchi Duci il suo congiunto,
Il qual, come ella poi lascierà il mondo,
Cosi de l'infelici andrà nel fondo.
Ciò
E Moro e Sforza e Viscontei colubri,
Lei viva, formidabili saranno
tolsi dalla vita comune, che conducevo a
Mantova, per venire alla tomba di Merlino
e consacrarmi a cose più alte, (come assi-
stere Brad, e Ruggero).
— 6. Di lunga; Meno comune della forma
superlativa di, yran l. ; ma ha esempi e non
è barbaro, come crede il Nisiely. Machia-
velli, Op. Ili, 214: « E di lunga (Castruccio)
tutti gh altri della sua età superava ». Anzi
il Machiav. amò assai questo modo. — Tifi,
piloto, che guidò la nave Argo alla conquista
del vello d'oro. Per antonomasia ogni esperto
nocchiero.
— 7. per dono D. v. ecc. La virtù è qui
personificata. Nelle ediz. preced. si leggeva:
per dono Del Cielo e sua v. Forse era più
efficace distinguere le qualità naturali, dono
del Cielo, dalle acquisite per sua virtù.
62. 1. Beatrice, (1475-1497) maritata (1491)
a Lodovico il Moro e morta di parto a 22
anni.
— 4. Per quel; Sottintendi tempo. — toc-
cherà il p., giungerà alla perfezione. Per
questa locuz. i vocab. citano un esempio del
Fagiuoli, Rime 2, 112 e non questo dell' A.
— 6. Duci; duchi. V. e. ni, 45, n. 1. —
congiunto e congiunta si usarono per ma-
rito e moglie. Morali di S. Greg. I, 74: « (il
diavolo, per vincer Giobbe), ricorse alla lin-
gua della congiunta sua».
— 8. andrà n. f. È noto che nel 1498 si
fece tra il re di Francia, il Papa e Venezia
una lega contro il Moro, e nel 1499 i Fran-
cesi gli tolsero la .Signoria di Milano. Nel
1500 fu fatto prigioniero dagli stessi Fran-
cesi e nelle loro mani mori nel 1510.
63. 1. Viscontei e; Milano. Per il plurale
cfr. e. Ili, 26, n. 4. Qui pure l'A. (V. e. in, 26,
4; XLVi, 94, n. 4), prende il colubro che era
nell'arme dei Visconti, per lo stemma di
Milano. L'accenno alla grande potenza, che
ebbe Milano e la famiglia Sforza in questo
tempo, corrisponde a verità storica.
CANTO XIII
r)i
Da l'Iperboree nievi ai lidi Rubri,
Da r ludo ai monti ch'ai tuo mar via dannò:
Lei morta, audran col regmo degl'Insubri,
E con grave di tutta Italia danno,
la servitute; e fia stimata, senza
Costei, ventura la somma prudenza.
64 [me
Vi saranno altre ancor, ch'avranno il no-
Medesmo, e nasceran molt'anni prima:
Di ch'una s'ornerà le sacre chiome
De la corona di Pannonia opima;
Un'altra, poi che le terrene some
Lasciate avrà, fia ne l'Ausonio clima
Collocata nel numer de le Dive,
Et avrà incensi e imagini votive.
65
De l'altre tacerò; che, come ho detto,
Lungo sarebbe a ragionar di tante;
Ben che per sé ciascuna abbia suggetto
Degno ch'eroica e chiara tuba caute.
— 3. Da 1' I. n. ecc. Xaoì dire da setten-
trione a mezzogiorno, da oriente a occi-
dente. Pei" Iperboree ve. x, 71, n. 5. —
lidi R.; (lat. ruber, rosso) il mar Rosso.
— 4. ai monti ecc. Per questi monti si
potrebbero intendere i Pirenei; e in tal caso
via danno signitìca fanno capo, riescono
al mare di Provenza. Dar via, in questo
senso, non è citato dai vocabol.; ma non sa-
rebbe locuzione strana. O possono essere
anche .\bila e Calpe, che sono sullo stretto
di Gibilterra; il quale, a chi viene dall'Indie
(Indo), dà la via o il passaggio al mare di
Provenza. In tal caso avremmo un anacro-
nismo, perché questa via fu fatta da C. Co-
lombo per la prima volta.
— 5. r. d. Insubri. V. e. ili, 26, n. 6.
— 8. ventura ecc. Il Moro era stimato
astutissimo e prudentissimo, ma nei tristi
casi, che lo colsero, anche la prosperità
precedente fu creduta frutto di fortuna più
che di prudenza.
64. 3. nna ecc. Beatrice, figlia d' Aldobran-
dino d' Este, fu sposa di Andrea II re d'Un-
gheria.
— 4. Pannonia; Era anticamente la regio-
ne fra la Sava, il Danubio e le Alpi; ma gli
scrittori del rinascimento chiamarono con
questo nome latino l'Ungheria in generale.
— opima, insigne. Kiferiscilo a corona e cfr.
e. Ili, 30, n. 6.
— 5. Un' altra ecc. Due furono le beate
Beatrici d'Este, una sorella, l'altra figliuola
d'.\zzo Novello. É probabile che l'A. parli
qui della seconda (m. 1262), la cui memoria
era viva in Ferrara, per il monastero di
S. Antonio da lei rimesso a nuovo e bene-
licato; mentre l'altra era più nota a Padova,
dove era morta.
— 6. Ausonio; V. e. iir, 33, n. 4.
65. 4. Degno che... cante. O è da sottinten-
Le Bianche, le Lucrezie io terrò in petto,
E le Costanze e l'altre, che di quante
Splendide case Italia reggeranno,
Reparatrici e madri ad esser hanno.
6G
Pili ch'altre fpsser mai, le tue famiglie
Saran ne le lor donne avventurose;
Non dico in quella più de le lor figlie,
Che ne l'alta onestà de le lor spose.
E acciò da te notizia anco si pigile
Di questa parte che Merlin mi espose.
Forse perch' io '1 dovessi a te ridire,
Ho di parlarne non poco desire.
67
E dirò prima di Ricciarda, degno
Esempio di fortezza e d'onestade:
Vedova rimarrà, giovane, a sdegno
Di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.
I figli privi del paterno regno.
Esuli andar vedrà in strane contrade.
Fanciulli in man degli avversari loro;
Ma in fine avrà il suo male ampio ristoro.
68
De l'alta stirpe d'Aragone antica
Non tacerò la splendida Regina,
dere lo; o si può intendere cante usato
assolutamente, o, in fine, si può dare al che
valore di relativo: degno cui... cante. V.
e. Ili, 27, 1.
— 5. Bianche... Lucr... Cost. Molte furono,
con questi nomi, le donne di casa d'Este
maritate ai Pico, ai Malaspina, ai Malate-
sta ecc.
66. 1. le t. famiglie; i vari rami Estensi,
che da te procederanno.
67. 1. Eicciarda, marchesa di Saluzzo,
terza moglie di .Niccolò III e madre d' Er-
cole I e di Sigismondo. Per dispiacere che
fosse tolto lo stato ai suoi legittimi ligli e
dato a Lionello e Borso, si ritirò in patria,
finché, morto Borso, non venne al potere
Ercole. Tornò allora a Ferrara ed ebbe lar-
go ristoro alle passate disavventure.
— 6. E>snli; Ercole e Sigismondo, giovi-
netti, furon mandati da Lionello alla corte
di Napoli col pretesto che vi apprendessero
l'arte militare; ma in realtà per allontanare
i pericoli di rivolta, che poteva produrre la
loro presenza in Ferrai'a. Stettero lontani
ambedue circa 16 anni.
— 7. avversari loro; Riferiscilo ad Alfonso
d'Aragona, che, sebbene trattasse con molto
riguardo questi principi, pure poteva con-
siderarsi, politicamente, loro avversario,
perché aveva dato a Lionello d' Este sua fi-
glia Maria in isposa.
68. 2. la spi. Regina. Eleonora figlia di
Ferdinando I .\ragonese re di Napoli, ma-
ritata a Ercole I. È detta regina, perchè di
152
ORLANDO FURIOSO
Di cui né saggia si, né si pudica
Veggio istoria lodar Greca o Latina,
Né a cui Fortuna pili si mostri amica;
Poi che sarà da la Bontà divina
Eletta madre a partorir la bella
Progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.
69
Costei sarà la saggia Leonora
Che nel tuo felice arbore s'inesta.
Che ti dirò de la seconda nuora,
Succeditrice prossima di questa?
Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora
La beltà, la virtù, la fama onesta,
E la fortuna crescerà non meno
Che gioviu pianta in morbido terreno.
70
Qual lo stagno all'argento, il rame al-
II campestre papavero alla rosa, [l'oro.
Pallido salce al sempre verde alloro,
sangue reale. Per lei morta, nel 1493, l'A.
scrisse la bella elegia 17*. V. e. xlvi, 85, 2.
— 3. Di cui n. s. si ecc. Abbiamo qui un'ir-
regolarità sintattica. Dovrebbe dire «Di cui
né saggia ^m ecc.». Nella Principe si legge-
va: «Di cui ìa.piH magnanima non veggio
Istoria celebrar Greca o latina». La varia-
zione fu fatta per Tediz. del 1521 e mantenuta
anche in quella, minutamente corretta, del
1532; il che rende diflìcile supporvi una svi-
sta. Si può ritenere uno di quelli ardimenti,
non rari nel Furioso, che. in questa disposi-
zione, non è privo di grazia e disinvoltura.
Son fuse due forme di comparativo.
— 7. m. a partorir. Ridondanza d'espres-
sione : basterebbe eletta madre o eletta a
partorir.
. — 8. I figli furono veramente sei; ma di
Beatrice ha detto sopra, st. 62, Ferdinando
congiurò contro i fratelli; Sigismondo visse
ritirato e ignoto. I tre veramente memora-
iiili sono gli accennati dal Poeta.
69. 3. seconda nivora; Lucrezia Borgia, se-
conda moglie di Alfonso I e perciò seconda
nuora di Eleonora. Fu liglia di Alessandro VI.
Chi si scandalizza per le lodi dell'A. pensi
1" che dopo gli studi del Roscoe e del Gre-
gorovius (Lucrezia Borgia, I87J) le infamie
attribuite già a questa donna sono da rite-
nersi molto esagerate ; 2° che « dappoiché
entrò in casa d' Este, sempre essendosi go-
vernata con somma saviezza lasciò perenne
memoria, non meno della sua pietà, che del
suo generoso e forte animo ». Muratori,
Ant. E. II, 275; 3° che altri scrittori come
il Pistofilo (Vita di Alf. I, cap. V) e il Bembo
avevano celebrata questa donna.
70. 1-3. Questi versi sono tolti, con lie-
vissime varianti, dall' Egloga, dove l'A. parla
della congiura di Giulio e di Ferrante, e
della venuta di Lucrezia B. in Ferrara:
Dipinto vetro a gemma preziosa;
Tal a costei ch'ancor non nata onoro,
Sarà ciascuna insino a qui famosa
Di singular beltà, di gran prudenzia,
E d'ogni altra lodevole eccellenzia.
71
E sopra tutti gli altri incliti pregi
Che le saranno e a viva e a morta dati.
Si loderà che di costumi regi
Ercole e gli altri figli avrà dotati,
E dato gran principio ai ricchi fregi
Di che poi s'orneranno in toga e armati;
Perché l'odor non se ne va si in fretta.
Ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.
72
Non voglio ch'in silenzio anco Renata
Di Francia, nuora di costei, rimagna.
Di Luigi duodecimo Re nata,
E de l'eterna gloria di Bretagna.
Ogni virtù ch'in donna mai sia stata,
Di poi che '1 fuoco scalda e l'acqua bagna.
< Quale è il peltro all'argento, il rame al-
l'oro, Qual campestre papavero alla rosa,
Qual scialbo salce al sempre verde alloro ».
— all'argento; a significa in confronto di.
Cosi anche in prosa. Villani, xii, 50: «ne
fece piccolo lamento a ciò, che ne dovea
tare ».
— 4. Dipinto, colorato. Dante, Inf., 16^
108: «la lonza alla pelle dipinta».
— 7. Di s. b.; per s. b. V. st. 33, n. 3.
71. 2. a viva ecc.; da viva. Non è raro fra
gli antichi a per da. Villani, S, 58: « La
Keina prese a vero la parola ». Ila agito su
<|uesto costrutto il precedente le.
— 5. dato g. pr. Per intender ciò si ri-
cordi che Ercole, il maggiore dei figli di
Lucr., aveva appena 11 auni quando la ma-
dre mori.
— 6. in toga e a.; in pace e in guerra.
I Latini dicevano toc/a per 2Jace, contrappo-
nendolo a belliiìn, arma: Cicer., Or. 42.
« Vir omnibus behi ac togae dotibus emi-
nentissimus ».
— 7. l'odor ecc. Comparaz. tolta da Ora-
zio, Ep. I, 2, 69: «Quo semel est imbuta
recens servabit odorem Testa diu v.
72. 1. Renata, figlia di Luigi XII e di .Anna
di Brettagna, sposò (1528) Ercole II; più
tardi (1535) parve inclinare al Calvinismo,
onde nel 1551 fu rinchiusa in un monastero.
Mori in Francia nel 1575. Brutta di corpo,
ebbe mente e cuore grandissimi. Brantòme
la disse un'anima di fuoco.
— 4. eterna g. di B., Anna figlia di Fran-
cesco II ultimo duca della Bretagna Fran-
cese. Erede del ducato, sposò prima Car-
lo VIII, poi Luigi XII. Ebbe animo grande;
e il suo nome è ancora ricordato in Bre-
tagna.
CANTO XIII
153
E gira intorno il cielo, insieme tutta
Per Renata adornar veggio ridutta.
73
Lungo sarà che d'Alda di Sansogna
Narri, o de la Contessa di Celano,
O di Bianca Maria di Catalogna,
O de la figlia del Re Sicigliano,
O della bella Lippa da Bologna,
E d'altre; che s'io vo' di mano in mano
Venirtene dicendo le gran lode,
Entro in un alto mar che non ha prode.
74
Poi che le raccontò la maggior parte
De la futura stirpe a suo grand'agio,
Più volte e più le replicò de l'arte
Ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si fermò, poi che fu in parte
Vicina al luogo del vecchio malvagio;
E non le parve di venir più inante.
Acciò veduta non fosse da Atlante;
. 75
E la Donzella di nuovo consiglia
Di quel che mille volte ormai l'ha detto.
La lascia sola; e quella oltre a dua miglia
Non cavalcò per un sentiero istretto.
Che vide quel ch'ai suo Ruggier simiglia;
73. 1. Alda di S. Non ha fondamento sto-
rico. V. e. Ili, 26, n. 7.
— 2. Contessa di C. Alcuni commentatori,
seguendo il Caleflfìni, la dicono moglie di
un Azzo, altri credono che sia una lìglia di
Ferdinando I d' Este maritata al conte dì
Celano. Ma nei migliori genealogisti non si
trova traccia della prima; la seconda non
sarebbe sposa di casa d' Este Cfr. st. 66, v.
4. Si ha dunque una confusione genealogica,
da aggiungere alle altre del e. iir.
— 3. Bianca M. d. C. I genealogisti la chia-
mano soltanto Maria. Fu figlia di Alfonso
dWragona (la Catalogna fu unita fin dal
1137 all'Aragona) re di Napoli, e moglie di
Lionello d'Este.
— 4. figlia del R. S., Beatrice, figlia di
Carlo II d'Anjou, re di Sicilia; sposò (1305)
AZZO viir.
— 5. Lippa; Lippa Ariosti, della famiglia
del Poeta, famosa per la sua bellezza, fu
concubina di Obizzo III e si dice la sposas-
se in punto di morte, per legittimare gli
undici figli, che ne aveva avuto.
— 7. lode. O è il plurale di loda (cfr. e.
XV, 2, 1); o è il plurale di lode secondo ciò
che si è detto al e. ix, 81, n. 1.
74. 1. Poi che le r. Più comunem. il tra-
pass, ebbe raccontato; ma i nostri scrit-
tori con poi che usarono spesso il passato
remoto, imitando la costruzione latina di
post quam.
75. 2. l'ha; le ha. V. st. 54, n. 4.
[ E dui giganti di crudele aspetto
Intorno avea, che lo stringean si forte,
Ch'era vicino esser condotto a morte.
76
Come la donna in tal periglio vede
Colui che di Ruggiero ha tutti i segni,
Subito cangia in sospizion la fede.
Subito oblia tutti i suoi bei disegni.
Che sia in odio a Melissa Ruggier crede.
Per nuova ingiuria e non intesi sdegni,
E cerchi far con disusata trama
Che sia morto da lei che cosi l'ama.
77
Seco dicea: Non è Ruggier costui,
Che col cor sempre, et or con gli occhi veg-
E s'or non veggio e non conosco lui, [gio?
Che mai veder o mai conoscer deggio ?
Perché voglio io de la credenza altrui.
Che la veduta mia giudichi peggio?
Che senza gli occhi ancor, solper sé stesso
Può il cor sentir se gli è lontano o appresso.
78
Mentre che cosi pensa, ode la voce
Che le par di Ruggier, chieder soccorso;
E vede quello a un tempo, che veloce
Sprona il cavallo e gli rallenta il morso,
E l'un nemico e l'altro suo feroce.
Che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la Donna non rimase,
Che si condusse all'incantate case.
79
De le quai non più tosto entrò le porte.
Che fu sommersa nel commune errore.
Lo cercò tutto per vie dritte e torte
In van di su e di giù, dentro e di fuore:
Né cessa notte o di; tanto era forte
L'incanto: e fatto avea l'incantatore.
Che Ruggier vede sempre, e gli favella,
Né Ruggier lei, né lui riconosce ella.
80
Ma lasciàn Bradamante, e non v'incre-
Udir che cosi resti in quello incanto; [sea
Che quando sarà il tempo ch'ella n'esca,
— 6. dni. V. e. i, 16, n. 2.
— 8. vicino ess.; vicino a ess. V. e. i, 4,
n. 1.
76. 3. sospizion (lat. suspicionem) sospet-
to. — la fede, che aveva in Marflsa.
— 6. intesi saputi (da lei). V. e. xliii, 80.
Machiav. Leg. Cam. « Quando mi troverò
in luoghi più atti ad intendere, ne potrò
dare più certa notizia ».
77. 5. de la e. a. Nota la dura inversione.
78. 8. Che; finché. Cfr. st. 7, n. 4.
79. 1. entrò 1. p. V. e. Vili, 85, n. 1.
— 3. Lo e. tutto. Sillessi 0 costruz. di pen-
siero. Sopra l'A. ha detto incantate case ;
ma qui aveva in mente palagio. V. canto
xxxviii, 47, 7.
80. 1. lasciàn; V. e. ix, 43, n. 8.
Ib4
ORLANDO FURIOSO
La farò uscire, e Ruggier(^ altretanto.
Come raccende il gusto il mutar esca,
Cosi mi par che la mia istoria, quanto
Or qua or là più variata sia,
Meno a chi l'udirà noiosa fia.
81
Di molte fila esser bisogno parme
A coudur la gran tela ch'io lavoro.
E però non vi spiaccia d'ascoltarme,
Come fuor de le stanze il popol Moro
Davanti alRe Agramantehapreso l'arme,
Che, molto minacciando ai Gigli d'oro,
Lo fa assembrare ad una mostra nova,
Per saper quanta gente si ritrova:
82
Perch'oltre i cavallieri, oltre i pedoni
Ch'ai numero sottratti erano in copia,
Mancavan capitani, e pur de' buoni.
— 7. or qna o. 1.; andando ora qua ora
là col racconto.
81. I. Di m. f. Vedi la stessa immagine
al e. Il, 30.
— 4. stanze, alloggiamenti. Dava<:zati,
Vit. Agr. « Condusse le genti... alle stanze »,
Tacito ha hibernis.
— 6. Gigli d'o. V. e. I, 16, n. 8.
E di Spagna e di Libia e d'Etiopia:
E le diverse squadre e le nazioni
Givano errando senza guida propia.
Per dare e capo et ordine a ciascuna.
Tutto il campo alla mostra si raguna.
83
In supplimento de le turbe uccise
Ne le battaglie e ne' fieri conflitti,
L'un Signore in Ispagna, e l'altro mise
In Africa, ove molti n'eran scritti:
E tutti alli lor ordini divise,
E sotto i duci lor gli ebbe diritti.
Differirò, Signor, con grazia vostra,
Ne l'altro Canto l'ordine e la mostra.
82. 4. Libia. V. e. XII, n. 1.
— 5. nazioni; i gruppi appartenenti ai 32
regni dell'Africa, e ai molti della Spagna
che presero parte alla guerra.
83. 3. L'nn Sign.; Marsilio. — mise (lat.
misit) mandò (a prenderne). Allegorie sopra
le Metam. d'Ovid. 11: «Ulisse mise amba-
sciatori ad Antifate ».
— 4. scritti (lat. conscripti) arruolati.
— 6. diritti, indirizzati. Pucci, Centil. 47,
53 : « Ma tutti verso lor si fur diritti ».
CANTO XIV
Xei molti assalti e nei crudel conflitti,
Ch' avuti avea con Francia Africa e Spa-
Morti erano infiniti, e derelitti [gna,
Al lupo, al corvo, all'aquila grifagna:
E benché i Franchi fossero più afflitti,
Che tutta avean perduta la campagna ;
Più si doleano i Saracin, per molti
Principi e gran Baron ch'eran lor tolti.
2
Ebbon vittorie cosi sanguinose.
Che lor poco avanzò di che allegrarsi.
E se alle antique le moderne cose.
Invitto Alfonso, denno assimigliarsi;
La gran vittoria, onde alle virtuose
<Jpere vostre può la gloria darsi.
Di ch'aver sempre lacrimose ciglia
Ravenna debbe, a queste s'assimiglia:
Quando cedendo Morini e Picardi,
L'esercito Normando e l'Aquitano,
Voi nel mezzo assaliste li stendardi
Del quasi vincitor nimico Ispano,
Seguendo voi quei gioveni gagliardi.
Che meritar con valorosa mano
1. 8. eran... tolti; L'imperf. invece del
trapass, pross. indica che l'effetto durava
tuttavia nel presente.
2. 5. La gran v. Allude alla battaglia di Ra-
venna vinta dai Francesi (11 aprile 1512),
specialmente per l'abilità e il coraggio d'Al-
fonso d' Este e de' suoi. L'A. fu presente a
questa battaglia, come si rileva dalla Elegia
X, 31-48.
3. 1. Morini. È nome di un popolo antico,
che abitava nella Gallia (propriam. nella
Belgica, odierno Boulonuois e Artois).
— 2. Aquitano. A'/uitania dissero gli anti-
chi la moderna Guascogna. Nomina questi
popoli per tutto l'esercito Francese.
— 4. quasi vino. Trovandosi i due eser-
citi, Spagnuolo e Francese, a fronte, né
osando alcun dei due avanzare, l'artiglieria
del Navarro blfendeva assai i Francesi, che
avrebbero ripiegato, se Alfonso, facendo
avanzare le sue artiglierie, non avesse co-
minciato a batter di fianco gli Spagnuoli,
restituendo cosi le sorti della battaglia.
— 5. quei g. g. Alfonso avea seco 100 uo-
, mini d'arme e 200 cavalli leggeri. Il Giovio,
j Vita d' Aif. I, conferma : « Alfonso, dopo
aver fulminato colle artiglierie, con un pu-
gno di suoi cavalieri pesanti si lanciò nella
I nemica schiera disordinata e si incontrò in
CANTO XIV
155
Quel di da voi, per onorati doni,
L'else indorate e gl'indorati sproni.
4
Con si animosi petti che vi foro
Vicini 0 poco lungi al gran periglio,
Crollaste si le ricche Glande d'oro,
Si rompeste il baston giallo e vermiglio,
Ch'a voi si deve il trionfale alloro,
Che non fu guasto né sfiorato il Giglio.
D'un' altra fronde v'orna anco la chioma
L'aver serbato il suo Fabrizio a Roma.
5
La gran Colonna del nome Romano,
■Che voi prendeste, e che servaste intera.
Fabrizio Colonna, che, circondato dai ne-
mici, era con spade e scudi colpito ».
— 8. L'else i. ecc. ; meritarono d' esser
fatti cavalieri. Gli sproni d'oro, l'elsa e il
pomo della spada dorati erano il distintivo
dei cavalieri. Dante, Pai: xvi, 101 : « avea
Galigaio Dorata in casa sua già l'elsa e il
pome ». PiSTOFiLO, Vita d'Alf., i, 28: « Fece
il predetto duca Alf., finita che fu la batta-
glia, alcuni de' suoi gentiluomini cavalieri
e tra gli alti-i il conte Alessandro Farufini
e Messer Vincenzo Mosti ».
4. 3. Glande d'o. Sulla forma glande cfr.
VII, 57, n. 6. Le ghiande d'oro mdicano Giu-
lio II della Rovere, che avea per arme di
famiglia una quercia con ghiande d'oro.
— 4. il baston g. e v. Allude alla Spagna,
che ha nella sua bandiera questi colori. Qui
bastone è usato come segno del comando
militare. Guicci.vrd. S. /. 4, 134: «mentre
che aveva in mano il bastone dei Venezia-
ni ».
— 5. trionfale a. È la corona triumphalis
dei Romani, che era di foglie d'alloro, e si
dava al trionfatore. Qui, figuratamente, vuol
dire l'onore della vittoria.
— 6. Che. Forse è da intendere pel quale,
cioè ijer la qual vittoria. V. e. xui, 37, a.
5. Ma si può anche intendere : poiché.
— 11 Giglio . V. e. I, 46, n. 8.
— 7. D' un' altra f. Alcuni intendono la co-
rolla civica, che i Romani davano a chi
salvava in guerra la vita a un commilitone.
In questo senso si dovrebbe intendere con
qualche larghezza, perché Fabrizio, sebbene
italiano come Alfonso, era suo nemico in
guerra. Si può anche intendere, senza rife-
rimento al trionfale alloro e alle usanze Ro-
mane: s'orna d' un' altra gloria.
— 8. il s. Fabr. Fabrizio Colonna si dette
prigioniero ad Alfonso, il quale rifiutò osti-
natamente di consegnarlo ai Francesi, che
lo domandavano, e anzi, dopo averlo ono-
rato, lo rimandò senza riscatto e con ma-
gnifici doni.
5. 1. La s Colonna. L' A. ebbe presente
Vi dà più onor che se di vostra mano
Fosse caduta la milizia fiera,
Quanta n' ingrassa il campoìftavegnano,
E quanta se n'andò senza bandiera
D'Aragon, di Castiglia e di Navarra,
Veduto non giovar spiedi né carra,
(5
Quella vittoria fu pili di conforto,
Che d'allegrezza; perché troppo pesa
Centra la gioia nostra il veder morto
Il Capitan di Francia e de l'impresa;
E seco avere una procella absorto
Tanti Principi illustri, ch'a difesa
Dei regni lor, dei lor confederati.
Di qua da le fredd'Alpi eran passati.
7
Nostra salute, nostra vita in questa
Vittoria suscitata si conosce,
Che difende che '1 verno e la tempesta
Di Giove irato sopra noi non croscè:
Ma né goder potiam, né farne festa.
qui e al. v. 4 della st. 7 il sonetto del Pe-
trarca a Stefano Colonna : « Gloriosa colon-
na, in cui s'appoggia Vostra speranza e il
gran nome latino ».
— 5. ne. È pleonastico.
— 8. non giovar ecc. « Pietro Navarra...
aveva in sul fosso alla fronte della fanteria
collocate trenta carrette.... cariche d'arti-
glierie minute con uno spiede lunghissimo
sopra esse, per sostenere più facilmente l'as-
salto dei Franzesi » GuiccrARDiN'i, S. /.
lib. X.
6. 1. pili di e. Che d'a.; Di conforto per
quel che dice nella st. 7; non d' allegrezza
per quel che dice in questa.
— 4. Il C. di Francia, Gastone diFoix (148S-
1512) condottiero delle truppe Francesi; il
quale, volendo in questa battaglia inseguire
i nemici sbaragliati, fu ucciso; e con lui
perirono molti illustri personaggi francesi.
— 5. absorto; Forma poetica per assorto,
assorbito. Assorbito, è la forma più natu-
rale, ma forse, nota il Mastrolini, più rara
di assorto nell' uso degli autori.
— 7. regni; domini. È significato non re-
gistrato dai Vocabolari. — confederati. 11
Poeta aveva in mente il duca di Ferrara,
principale amico di Francia.
7. 3. Che difende; la quale vittoria impe-
disce. Per difendere in questo senso e colla
proposiz. oggettiva dipendente si cita, non
però dalla Crusca, questo solo es. dell'-^. Col
complemento diretto cfr. e. ii, 34, n. 6.
— 4. Giove ir. GiuUo li. L'immagine è
del Petr. son. citat. st. 5: «Che ancor non
torse dal vero cammino L'ira di Giove (Bo-
nifazio vili) per ventosa pioggia ». — cre-
sce, crosci. V. e. xiti, 10, n. 3.
— 5. potiam ; possiamo. Forma popolare
356
ORLANDO FURIOSO
Sentendo i grau raraarìchi e l'angosce,
Ch'in veste bruna e lacrimosa guancia
Le vedovel]e fan per tutta Francia.
8
Bisogna che proveggia il Re Luigi
Di nuovi capitani alle sue squadre,
Che per onor de l'aurea Fiordaligi
Castighino le man rapaci e ladre.
Che suore, e frati e bianchi e neri e bigi
Violato hanno, e sposa e figlia e madre;
Gittato in terra Cristo in sacramento,
Per torgli un tabernacolo d'apgento.
9
O misera Ravenna, t'era meglio
Ch'ai vincitor non fessi resistenza;
Far ch'a te fosse innanzi Brescia speglio,
Che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.
Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio.
Ch'insegni a questi tuoi più continenza,
E conti lor quanti per simil torti
Stati ne sian per tutta Italia morti.
toscana, viva ancora, e non rara negli an-
tichi scrittori. Luigi XII a chi si congratu-
Java di questa vittoria rispondeva : « Augu-
rate di tali vittorie a' miei nemici ».
8. 1-2. proveggia... di... alle. V. per il co-
strutto, e. V, 91, 3.
— 3. Fiordaligi (frane, jieurs de lis, tra-
dotto dagli Italiani Fiordaligi o Fiordaliso).
Sono i gigli d'oro, di cui al e. i, 46, n. 8.
Come il francese fleur, l'italiano Fiorda-
ligi si è couservato femminile.
— 7. Gittato in terra ecc. Accenna a un
fatto, che fece strepito e che, narrato da Giro-
lamo Rossi antico storico di Ravenna, è ri-
portato dal Muratori, Ant. Estensi, ii, 240:
« Un soldato rubò una pisside, gettando
l'ostia: accorso uu religioso, gli comandò
di restituire il vaso sacro, vi ripose l'ostia e
la portò processionalmente all' abitazione
del Duca Alfonso, due miglia fuori di Ra-
venna, dove fu da Alfonso e da tutti vene-
rata con altissimi onori ».
9. 3. Far eh' a te ecc. L'eccidio di Brescia,
accaduto poco avanti (19 febbraio) non servi
d'esempio a Ravenna per indurla a miti
consigli: ma l'esempio di questa servi ben
d'esempio a Imola, a Forlì, a Cesena, a Ri-
mini, a Faenza ecc., che non fecero perciò
nessuna resistenza ai Francesi. — speglio,
esempio, v. e. xvi, 18, 8. |
— 5. Tranlcio; Giaugiacomo Trivulzio o
Triulzio (1436-1515) prode, non buon gene- |
rale, avea dato prova di ferocia, non di con- '
tinenza, specialmente quando fu governa- >
tore di Milano (1499-1500). Qui l'A. invocali i
Triulzio, forse per compiacere alla corte '<
iistense, della quale, nel 1511, era stato, [
colle armi Francesi, fedele aiuto contro il '
j.apa. j
— 7. quanti ecc. Allude in generale alle 1
10 .
Come di capitani bisogna ora
Che '1 Re di Francia al campo suo proyeg-
Cosi Marsilio et Agramante allora, [già.
Per dar buonreggimentoallasuagreggia.
Dai lochi dove il verno fé' dimora,
Vuol ch'in campagna all'ordine si veggia;
Perché vedendo ove bisogno sia.
Guida e governo ad ogni schiera dia.
11
Marsilio prima, e poi fece Agramante
Passar la gente sua schiera per schiera.
I Catalani a tutti gli altri inante
Di Dorifebo van con la bandiera.
Dopo vien, senza il suo Re Folvirante
Che per man di Rinaldo già morto era,
Le gente di Navarra ; e lo Re Ispano
Halle dato Isolier per capitano.
12
Balugante del popol di Leone,
Grandonio cura degli Algarbi piglia.
II fratel di Marsilio, Falsirone,
Ha seco armata la minor Castiglia.
Seguon di Madarasso il gonfalone
Quei che lasciato han Malaga e Siviglia,
Dal mar di Gade a Cordova feconda
Le verdi ripe ovunque il Beti inonda.
13
Stordilano e Tesìra e Baricondo,
L' un dopo l'altro, mostra la sua gente :
ribellioni contro prepotenti stranieri, come
Carlo d'Anjou, il Duca d'Atene, Carlo VI li, ec.
10. 4-6. Vnol. L'A. usa vuol e sua, sebbene
il soggetto siano due persone, per indicare
che ciascun di loro attende per suo conto
a dare gli ordini opportuni.
11. 4. Dorifebo. I nomi di questi capitani
l'A. li ha presi, per la maggior parte, dal
Boiardo, che, alla sua volta, li ricevè, tranne
pochi, dalla tradizione romanzesca.
12. 1. Leone, o Leon; Antichissimo regno
Spagnuolo, che fu unito alla Castiglia nel
sec. XIII. 11 nome è rimasto a una provincia
della Spagna.
— 2. Algarbi; gli abitanti di Algarve, che
fu pure un antico regno ; e oggi è una pro-
vincia del Portogallo.
— 4. la m. Castiglia; la Vecchia C, che
è più piccola della Nuova C.
— 5. Madarasso ; Il Boiardo la chiama Ma-
rad as\o.
— 7. Gade; Gades, o Cadice
— 8. Le verdi r. ; Si può intendere dipen-
dente da /"ecowda con costruzione alla greca:
feconda le verdi ripe. O si può intendere
come complemento diretto di inonda, e iniio
il verso come dichiarazione del precedente:
cioè per tutto quello spazio (ovunque) in
cui il Beti inonda le verdi ripe. — Beti è an-
tico nome del fiume Guadalquivir.
CANTO XIV
15^
Granata al primo, Ulisbona al secondo,
E Waiorica al terzo è iibidieute.
Fu d' Ulisbona Re (tolto dal mondo
Larbin) Tessira, di Larbin parente.
Poi vien Gallizia, che sua guida, iu vece
Di Maricoldo, Serpentino fece.
14
Quei di ToUedo e quei di Calatrava,
Di ch'ebbe Sinagon già la bandiera,
Con tutta quella gente che si lava
In Guadiana e bee della riviera,
L'audace Matalista governava:
Bianzardin quei d'Asturga in una schiera
Con quei di Salamanca e di Piagenza,
D'Avila, di Zauiora e di Palenza.
15
Di quei di Saragosa e de la corte
Del Re Marsilio ha Ferrati il governo:
Tutta la gente è ben armata e forte.
In questi è Malgariuo, Balinverno,
Malzarise e Morgante, ch'una sorte
Avea fatto abitar paese esterno;
Che poi che i regni lor, lor furon tolti.
Gli avea Marsilio in corte sua raccolti.
16
In questa è di Marsilio il gran bastardo,
Follicon d'Alraeria, con Doriconte,
Bavarte e Largalifa et Analardo,
Et Archidaute il Sagontino Conte,
E l'A.niirante e Langhiran gagliardo,
E Malagur ch'avea l'astuzie pronte.
Et altri et altri, di quai penso, dove
Tempo sarà, di far veder le prove.
18. 3. Ulisbona. (lat. Olisiponem e basso
lat. Oìisipona) Lisbona. Fazio degli Ub. Ditt.
IV, 27, sa : « Ulissipou... Ch'edificò Ulisse
per mostrare Ch'egli era stato al fin di que-
sto regno ».
— 4. Maiorica; Forma usata spesso dagli
antichi per Maiorca; la più grande delle
Baleari.
14. 1. Calatrava; Città della provincia di
Ciudad-Real.
— 6. Asturga; il regno delle Asturie.
— 7. Piagenza, Placencia, città e prov. di
Spagna.
15. 1. Saragosa, Saragozza.
— 5. Malzarise, Morgante, due re già no-
minati dal Boiardo", i quali, cacciati dal loro
regno, erano stati costretti dalla stessa di-
sgrazia a rifugiarsi presso Marsilio.
16. 3. Largalifa; Il Boiardo lo chiama l'Ar-
ffalifa, e cosi pure l'A. nel e. xviii, 44, 3.
— 4. Sagontino ; di Sagunto ; oggi Mur-
viedro, città di Spagna.
— 5. l'Amirante. Cosi anche il Boiardo. Le
ed. d. '16, del '21 e il Morali hanno Lamirante.
— 7. di quai. V. e. il, 15, n. 8.
17
Poi che passò l'esercito di Spagna
Con bella mostra inauzi al ReAgramante,
Con la sua squadra ai)parve alla campagna
Il Re d'Oran, che quasi era gigante.
L'altra che vien, per Martasin si lagna.
Il quai morto le fu da Bradamante;
E si duol ch'una femina si vanti
D'aver ucciso il Re de' Garamanti.
18
Segue la terza schiera di Marmonda,
Ch'Argosto morto abbandonò in Guasco-
Aquesta un capo, come alla seconda, [gna,
E come anco alla quarta, dar bisogna.
Quantunque il Re Agramantenon abonda
Di capitani, pur ne tinge e sogna:
Dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,
E dove uopo ne fu, guida li messe.
19
Diede ad Arganio quei di Libicana,
Che piangean morto il negro Dudriuasso.
Guida Brunello i suoi di Tingitana,
Con viso nubiloso e ciglio basso;
Che, poi che ne la selva non lontana
Dal Castel ch'ebbe Atlante in cima al sas-
(tH fu tolto l'anuel da Bradamante so.
Caduto era iu disgrazia al ReAgramante:
20
E se '1 fratel di Ferrati, Isoliero,
Ch' a l'arbore legato ritrovollo,
Non facea fede inanzi al Re del vero.
Avrebbe dato iu su le forche un crollo.
Mutò a prieghi di molti il Re pensiero,
Già avendo fatto porgli il laccio al collo:
Gli lo fece levar, ma riserbarlo
Pel primo error ; che poi giurò impiccarlo:
•21
Si ch'avea causa di venir Brunello
Col viso mesto e con la testa china.
17. 4.' Il re d'Oran ; Marbalusto. — Oran ;
città della moderila Algeria.
— 5. Martasin; Innam. Ili, vi, 13. È uc-
ciso da Bradamante, perché, sorpresala, l'ha
ferita nella testa.
— 8. Garamanti ; Antico popolo della Libia
interiore.
18. 1. Marmonda; Forse Mahmon, città sul
mare, non lontana da Fez.
— 6. ne finge e s.; Sebbene non siano
adatti come capitani, pure se li immagina
e se li sogna tali nel suo cervello.
19. 1. Libicana; Libia; come Serica »i« in-
vece di Serica ; Mangiana invece di Mangi.
— 3. Tingitana, Mauritania Tingitana,
che corrisponde, in gran parte, al moderno
Marocco.
20. 2. Ch'a l'arb. Non si accenna altrove
questa circostanza, relativa ad Isoliero.
— 5. a prieghi, ai pr. V. e. il, 15, n. S.
— 7. Gli lo ; V. e. V, 89, n. 4.
158
ORLANDO FURIOSO
Seguia poi Farurante e dietro a quello
Erau cavalli e fanti di Mauriua.
Venia Libanio appresso, il Re novello:
La gente era con lui di Costautina ;
Però che la corona e il baston d'oro
Gli ha dato il Re, che fu di Piuadoro.
22
Con la gente d'Esperia Soridano,
E Dorilon ne vien con quei di Setta:
Ne vien coi Nasamoni Puliano.
Quelli d'Amonia il Re Agricalte affretta;
Malabnferso quelli di Fizano.
Da"Finadurro è l'altra squadra retta.
Che di Canaria viene e di Marocco:
Balastro ha quei che tur del Re Tardocco.
23
Due squadre,una di Mulga,una d'Arzilla,
Seguono: f questa ha '1 suo Signor antico;
Quella n'è priva; e però il Re sortilla,
E diella a Corineo suo lido amico.
E cosi de la gente d'Almansilla,
Ch'ebbe Tanfirìon, fé' Re Caico :
Die quella di Getulia a Rimedonte.
21. 4. Maurina; Mauritania.
— 6. Costantina; Cittfi dell'Algeria.
22. 1. Esperia; O è l'antica Hesperides
(oggi Bengasi, città e porto nella Tripoli-
tania) ; o sono le isole del Capo Verde, dette
anticamente insulae Hesperides; Di questa
regione dice il Boiardo II, xxii, 6: «Cotanto
è in là che quasi è fuor del mondo. Ed è
pur negra ancor la sua genia ».
— 2. Setta; (lat. Sepia) Ceuta, città del-
l'Affrica presso lo stretto di Gibilterra. V.
Dante, laf. xxv. 111.
— 3. Nasamoni ; (lat. Nasamones) Popolo
antico, che abitava pi-esso la Gran Sirte,
nella parte NE. della moderna TripoUtania.
— 4. Amonia; (lat. Ammoniuin) Nome an-
tico dell'Oasi di Siua nel deserto di Libia.
Cosi detta dal tempio di Giove Ammone, che
ivi era.
— 5. Fizano; Fezzan ; antico regno indi-
pendente, solo in questo secolo provincia
Turca di Tripoli.
— 7. Canaria; Oggi Gran Canaria.
23. 1. Mnlga; Forse è nome fatto dal liume
Molocbath nell'Algeria. C. — Arzilla, Arzila
nel regno di Fez.
— 3. sortilla ecc. ; la destinò. Dante,
Par., 18, 105* Siccome il Sol, che le accende,
sortine ». Sortilla dice il decreto fatto, diella
dice la consegna effettiva.
— 5. Almansilla; Forse il paese degli an-
tichi Massili, popolo della Nuraidia, (Alge-
i-ia) C.
— 7. Getnlia; La regione fra la catena
dell' Atlante e il bacino del Niger, detta an-
ticamente cosi dall'antico popolo dei Getuli,
che l'abitavano.
Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.
24
Quell'altra schiera è la gente di Bolga:
Suo Re è Clarindo, e già fu Mirabaldo.
Vien Baliverzo, il qual vo' che tu tolga
Di tutto il gregge pel maggior ribaldo..
Non credo in tutto il campo si disciolga
Bandiera ch'abbia esercito più saldo
De l'altra, con che segue il Re Sobrino,
Né pili di lui prudente Saracino.
25
Quei di Bellamarina, che Gualciotto
Solea guidare, or guida il Re d'Algieri
Rodomonte di Sarza, che condotto
Di nuovo avea pedoni e cavallieri ;
Che, mentre il sol fu nubiloso sotto
Il gran Centauro e i corni orridi e fieri.
Fu in Africa mandato da Agramante,
Onde venuto era tre giorni inante.
Non avea il campo d'Africa più forte.
Né Saracin più audace di costui ;
E più temean le Parigine porte,
— 8. Cosca ; Forse questo nome di paese
è fatto dal fiume detto Tusca dagli antichi,
nella Numidia. Potrebbe mai essere il paese,
che ora si dice Kaschna? C.
24. 1. Belga; È luogo ignoto a noi. Il Ca-
sella dubita se s'abbia a intendere la pro-
vincia di Boke. Il Boiardo, Inn. Il, xxii ,
10, dice: « Ch' è lungi al mare ed abita fra
terra : Grande è il paese, tutto ardente e
caldo : Sempre sua gente con le serpi han
guerra ».
— 7. Sobrino; Già nelV Innam. II, i, 57,.
è detto « sacerdote d'Apollino, Saggio e de-
gli anni avea più di novanta » ; sconsiglia-
la spedizione in Francia ed appare già pre--
disposto, per carattere, a quel cambiamento, . f
che vedremo nel e. xliii, 193 del Furioso.
25. 1. Bellamarina; Antico nome della co-
sta dell'Algeria, della Tunisia e della Tri-
politania. Uberti, Dittam. v, 6: «Vidi Ma-
rocco e poi Bellamarina».
— 3. Rodomonte ; Grande figura creata
dal Boiardo, che usa la forma Rodamonte.
Dicono che si compiacesse tanto d'aver tro-
vato questo nome, che fece sonare a festa
le campane del suo castello di Scandiano.
Rodomonte era re di Sarza e d'Algeri.
— 5. mentre il s. ecc. Il sole è nel Sagit-
tario (secondo la favola, il centauro Chirone
fu cangiato in questa costellazione) e nel
Capricorno (corni orridi e fieri) dal 21 no-
vembre al 21 gennaio. Questo viaggio di
Rodomonte in Affrica a raccoglier soldati
è un' invenzione dell'A., non del Boiardo.
86. 1-2. pin forte Né Sar. Avverti lo sposta-
mento non comune dal sostantivo; più re-
golarmente: più f. S. né più a.
CANTO XIV
159
Et avean più cagion di temer lui.
Che Marsilio, Agraniante, e la gran corte
Ch'avea seguito in Francia questi dui :
)E pili d'ogn' altro che facesse mostra,
Era nimico de la Fede nostra.
27
Vien Prus'i'one, il lie de l'Alvaracchie ;
Poi quel de la Zuraara, Uardinello.
Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,
O altro manco et importuno augello,
Il qual dai tetti e da le fronde gracchie.
Futuro mal predetto a questo e a quello;
Che fissa in ciel nel di seguente è l'ora,
Che l'uno e l'altro in quella pugna muora.
28
In campo non aveano altri a venire.
Che quei di Tremisenne e di Norizia;
— 7. facesse mostra; .Sottint. <li sé; pas-
sasse in rassegna. Dante, Inf., xxii, 2 : « E
cominciare stormo e far lor mostra ».
27. 1. Alvaracchie. Inn. li, 22, 13: «Il re
de rAlvaracchie è Prusione, Che l'isole fe-
lici son chiamate ». Quest' isole felici o beate
o fortunate, si credettero sede del paradiso
terrestre (V. la leggenda di S. Brandano).
Alcuni le confusero colle Canarie, altri le
posero ad occidente di esse ; chi la disse
una sola, chi più: ma si prestò tanta fede
alla leggenda, che V isola Fortunata venne
menzionata pur nel trattato con cui il Por-
togallo cede alla Castiglia le Canarie. Sem-
bra che TA. distingua le Alvaracchie dalle
Canarie, di cui, secondo la st. 22, 7, era capo
Finadurro. V. Pi, atto, Trirmrii^xyóO.
— 2. Znmara ; Antico nome d' una regione
dell'Affrica. B.
— 4. manco ; sinistro, di cattivo augurio.
Sebbene presso i Romani il volare e il can-
tare a destra degli uccelli fosse di cattivo
augurio e a sinistra di buono, pure trovansi
esempì del contrario. Ovid. Eroid. 2, 127,
ìidt.avlbus sinistrls nel senso di cattivo au-
gurio : lo stesso trovasi in Apul. i Met. For-
s' anche,' prescindendo da questo ricordo
classico, manco ha il significato del più co-
mune sinistro, come in questo esempio del
Lancia, Eneid. 3, 127: « contrista il ciel con j
manco lume ». — importuno, riferito a uc-
cello di cattivo augurio è epiteto Virgiliano,
Georgica, 1, 470: « importunaeque volucres
Signa dabant ».
28. 2. Tremisenne... Nor. V. e. xil, 69. E
notiamo, col Casella, che molti di questi
nomi geografici son tolti dal Boiardo e che
di molti è difficile dare spiegazione precisa,
perché sembran fatti ad arbitrio, sul fon-
damento di qualche somiglianza di suono o
nome della geografia antica o medievale.
E col Raina notiamo che questo catalogo,
«ecco e nudo, a confronto dei Virgiliani e
Né si vedea alla mostra comparire
Il segno lor, né dar di sé notizia.
Non sapendo Agramante che si dire,
Né che pensar di questa lor pigrizia;
Uno scudiero al fin gli fu condutto
Del Re di Tremisen, che narrò il tutto.
29
E gli narrò ch'Alzirdo e Manilardo
Con molti altri de' suoi giaceano al campo :
Signor (diss'egli) il cavallier gagliardo
Ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo
Se fosse stato atorsi viapiùtardo [campo,
Di me eh' a pena ancor cosi ne scampo.
Fa quel de' cavallieri e de' pedoni,
Che '1 lupo fa di capre e di montoni.
30
Era venuto pochi giorni avante
Nel campo del Re d'Africa un Signore ;
Né in Ponente era, né in tutto Levante
Di più forza di lui, né di più core.
Gli facea grande onore il Re Agramante,
Per esser costui tìglio e successore
In Tarlarla del Re Agrican gagliardo:
Suo nome era il feroce 3Iandricardo.
31
Per molti chiari gesti era famoso,
E di sua fama tutto il mondo empia;
Ma lo facea più d'altro glorioso.
Ch'ai Castel de la Fata di Sona
dei Boiardeschi, è messo qui per imitare il
doppio catalogo degli epici antichi. Omero
e Virgilio. L'altro è nel e. x.
29. 1. E gli n. Cfr. e. XII, 69.
— 5. Se fosse st. È omessa la prima parte
del pensiero : se fosse stato là presente e
se fosse st. a torsi via più tardo.
30. 3-4. Né... era... di pili f. ; Né... vi era...
uno di più f.
— S. S. nome era il f. M. ; Forse l'A. in-
tese dire che feroce faceva quasi parte del
nome di lui; seppure non si ha qui un al-
tro esempio di fusione di due costrutti (cfr.
II, 6, 3; III, 15, 5): Il suo nome era M. ; Egli
era il feroce M. Cfr. e. xviii, 99, 1. — Man-
dricardo è creazione Boiardesca ed entra
in scena nella III parte dell' Inn.
31. 4. Ch'ai Castel ecc. Ecco, in sunto,
questa avventura, di cui wqW Innam. HI,
Il e III: Mandricardo, volendo vendicare il
padre Agricane ucciso da Orlando, viene in
Ponente senz^armi e senza cavallo, che vuol
conquistare col suo valore. Trova in Siria
un padiglione, v'entra e resta in potere
d'una fata, che gli racconta d'aver avuto
da Enea le armi di Ettore, eccetto la spada
(che, venuta prima in possesso di Pentesi-
lea, passò poi ad Almonte e quindi ad Or-
lando). Per conquistare quelle armi occor-
reva vincere grandi difficoltà e uccidere
mostri terribili. M. eseguisce tutto ciò e con-
160
ORLANDO FURIOSO
L'usbergo avea acquistato luminoso
Ch'Ettor Troian portò mille anni pria,
Per strana e formidabile avventura,
Che '1 ragionarne pur mette paura.
32
Trovandosi costui dunque presente
A quel parlar, alzò l'ardita taccia;
E si dispose andar immantinente, [eia.
Per trovar quel guerrier, dietro alla trac-
Ritenne occulto il suo pensiero in mente,
O sia perché d'alcun stima non faccia,
O perché tema, se '1 pensier palesa,
Ch'un altro inanzi a lui pigli l'impresa.
33
Allo scudier fé' dimandar come era
La sopravesta di quel cavalliero.
Colui rispose : Quella è tutta nera.
Lo scudo nero, e non ha alcun cimiero.
E fu. Signor, la sua risposta vera,
Perché lasciato Orlandoaveail quartiero;
Che come dentro l'animo era in doglia,
Cosi imbrunir di fnor volse la spoglia.
34
Marsilio a Mandricardo avea donato
Un destrier baio a scorza di castagna.
Con gambe e chiome nere; et era nato
Di Frisa madre, e d'un villan di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato,
E galoppando va per la campagna;
E giura non tornar a quelle schiere,
Se non trova il campion da l'arme nere,
35
Molta incontrò de la paurosa gente
Che da le man d'Orlando era fuggita,
Chi del figliuol, chi del fratel dolente,
Ch' inanzi agli occhi suoi perde la vita.
Ancor la codarda e trista mente
Ne la pallida faccia era sculpita;
Ancor per la paura che avuta hanno
Pallidi, muti et insensati vanno.
36
Non fé' lungo camin, che venne dove
Crudel spettacolo ebbe et inumano,
Ma testimonio alle mirabil prove
Che fur racconte inanzi al Re Africano.
Or mira questi, or quelli morti, e muove,
quista le armi : quindi va al campo di Agra-
mante e prende parte alla guerra.
32. 4. traccia, indizi. In questo senso non
è registrato dai vocabolari.
33. 6. lasciato ecc. V. e. var, 35.
34. 2. baio ecc. Jnnam. II, ii, 69: «Baio
€ra tutto a scorza di castagna »; cioè del
colore della castagna.
— 4. villan; Nome d'una razza di cavalli
di Spagna. Si cita questo solo es. dell'A.
35. 5. trista mente; l'anima trista.
36. 4. racconte ; raccontate. V. e. I, 48,
n. 4.
— 5. e maoTe E vuol. Forse è figura di
E vuol le piaghe misurar con mano,
Mosso da strana invidia ch'egli porta
Al cavallier ch'avea la gente morta.
37
Come lupo o mastio ch'ultimo giugne
Al bue lasciato morto da' villani.
Che trova sol le corna, l'ossa e l'ugne,
Del resto son sfamati augelli e cani;
Riguarda in vano il teschio che nonugne:
Cosi fa il crudel Barbaro in que' piani;
Per duol bestemmia, e mostra invidia im-
[mensa,
Che venne tardi a cosi i-icca mensa.
38
Quel giorno e mezzo l'altro segue incer-
II cavallier dal negro, e ne domanda, [to
Ecco vede un pratel d'ombre coperto,
Che si d'un alto fiume si ghirlanda.
Che lascia a pena un breve spazio aperto,
Dove l'acqua si torce ad altra banda.
Un simil luogo con girevol onda
Sotto Ocricoli il Tevere circonda.
39
Dove entrarsi potea, con l'arme indosso
Stavano molti cavallieri armati.
Chiede il Pagan, chi gli avea in stuol si
[grosso,
Et a che effetto insieme ivi adunati.
Gli fé' risposta il Capitano, mosso
Dal signoril sembiante, e da' fregiati
D'oro e di gemme arnesi di gran pregio,
Che lo mostravan cavalliero egregio.
40
Dal nostro Re siàn (disse) di Granata
Chiamati in compagnia de la figliuola.
endiadi: e muove (va) volendo (coli' inten-
zione di) misurar ecc. Si poti'ebbe anche
dare a muove il senso di si avanza, del
quale però non si citano esempi.
— 6. misurar e. m. È una variazione de!
modo toccar con mano ; accertarsi coi pro-
pri sensi della loro gravità.
37. 4. son sfam. O si può sottintendere la
particella pronominale si ; o deve inten-
dersi: sono stati sfamati. V. Fornaciari,
Sint. p. 230, 14.
— S. a. e. r. mensa ; a questa battaglia.
38. 3. dal negro ; dal vestimento negro.
Cosi anche e. xix, 95. L'espressione intera
vedila più sotto alla st. 56, 3.
— 4. si ghiri.; si inghirlanda, si cinge
come di ghirlanda. Tansillo, Podere : « O v:a
che intorno intorno la ghirlanda».
— 8. Ocricoli; Otricoli, piccola terra sulla
via di Roma, non lungi da Orte. Ivi il Te-
vere formava una penisoletta, di cui oggi
rimane appena la traccia, essendosi il corso
del fiume raddirizzato in quel punto.
40. 1. Dal nostro Re ecc.; Intendi: Si^mo
stati chiamati di Granata dal nostro '%ie.
CANTO XIV
161
La quale al Re di Sarza ha maritata,
Benché di ciò la fama aucor non vola.
Come appresso la sera racchetata
La cicaletta sia, ch'or s'ode sola,
Avanti al padre fra l' Ispane torme.
La condurremo: intanto ella si dorme.
41
Colui che tutto il mondo vilipende,
Disegna di veder tosto la prova.
Se quella gente o bene o mal difende
La donna, alla cui guardia si ritrova.
Disse: Costei, per quanto se n'intende,
È bella; e di saperlo ora mi giova.
A lei mi mena, o falla qui venire;
Ch'altrove mi convien subito gire.
42
Esserper certo dei pazzo solenne
.(Hispose il Grauatin), né pili gli disse.
Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne
Con l'asta bassa, e il petto gli trafisse ;
Che la corazza il colpo non sostenne,
E forza fu che morto in terra gisse.
L'asta ricovra il figlio d'Agricane,
Perché altro da ferir non gli rimane.
43
Non porta spada nébaston;che quando
L'arme acquistò, chefur d'Ettor Troiano,
Perché trovò che lor mancava il brando,
Gli convenne giurar (né giurò in vano)
Che fin che non togliea quella d'Orlando,
Mai non porrebbe ad altra spada mano :
Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima,
E Orlando or porta, Ettor portavaprima.
perché gli accompagnassimo la figliuola, che
è promessa sposa di Rodom. Stasera per il
fresco la condurremo al padre, che la darà
poi allo sposo. — siàn; V. e. ix, 43, S.
— 6. La cicaletta ecc. Era appena prima-
vera, quando Orlando scontrò Alzirdo e Ma-
nilardo (xii, 72-74). Mandricardo parte su-
bito che ha contezza della strage {xiv, 34-36);
e solo un giorno e mezzo dopo assalta la
scorta di Doralice. Come dunque vien fuori
la state colle cicale ? É una dimenticanza
del poeta.
41. 5. 8. n' intende; Se ne sente dire. V.
e. II, 76, 6.
42. 7. ricovra; ritira. V. e. Il, 43, 8.
43. 4. Gli conv. g. Innam. Ili, ii, 35-37:
« E ciò mi giurerai sulla tua fede Che Du-
rindana r incantato brando Torrai per forza
d'arme al Conte Orlando... \uir altra spada
porterai più cinta. Re Mandricardo... Sic-
come piace a quella fata, giura ».
— 7. Durindana. V. e. IX, 3. Questa ver-
sione, che la fa risalire fino ad Ettore, è
Fantasia del Boiardo, la quale si risente del
classicismo invadente. Già nelle antiche can-
zoni si trova il nome di altre spade famose :
Ariosto — Pai-ini
44
Grande è l'ardir del Tartaro, che vada
Con disvantaggio tal contra coloro,
Gridando: Chi mi vuol vietarla strada?
E con la lancia si cacciò tra loro.
Chi l'asta abbassa, e chi tra fuor la spada ;
E d'oga' intorno subito gli foro.
Egli ne fece morir una frotta
Prima che quella lancia fosse rotta.
45
Rotta che se la vede, il gran troncone.
Che resta intero, ad ambe mani aff"erra ;
E fa morir con quel tante persone,
Che non fu vista mai più crudel guerra.
Come tra Filistei l'Ebreo Sansone
Con la mascella che levò di terra, [spesso
Scudi spezza, elmi schiaccia; e un colpo
Spenge i cavalli ai cavallieri appresso.
46
Correno a morte que' miseri a gara;
Né perché cada l'un, l'altro andar cessa;
Che la maniera del morire amara
Lor par pili assai, che non è morte istessa.
Patir non ponno che la vita cara
Tolta lor sia da un pezzo d'asta fessa,
E sieno sotto alle picchiate strane
A morir giunti, come biscie o rane.
47
Ma poi eh' a spese lor si furo accorti
Che male in ogni guisa era morire,
Scudo già presso alli duo terzi morti.
Tutto l'avanzo cominciò a fuggire.
Come del proprio aver via se li porti,
Il Saracin crudel non può patire
Ch'alcun di quella turba sbigottita
Da lui partir si debba con la vita.
48
Come in palude asciutta dura poco
Stridula canna, o in campo arida stoppia
Gioiosa quella di C. Magno ; Almace quella
di Turpino ecc.
44. 1. che vada, perché vada, perché possa
andare.
— 5. tra; trae. V. e. xi, 12, n. 5.
45. 2. ad a. mani ; Si disse anche ad ambe
le mani; con due mani. Berm, 0. I. 48,
38: « Brandimante colse, Ad ambe man me-
nando, il mascalzone ».
— 5. tra P. Per l'omissione dell'articolo
V. e. II, 15, n. 8. È il racconto biblico : Giu-
dici, 15: «E trovata una mascella d'asino
non ancora secca, vi die mano, e, presala,
ammazzò con essa mille uomiui ».
— 7. scudi sp. Il soggetto è Mandricardo.
46. 2. andar e. ; cessa di and. V. e. i, 4, n. 1.
— 7. picchiate; Si dice specialra. di colpi
dati con pezzi grossi di legno o altro.
47. 5. se li p. se gli p. ; si porti via a lui
della roba sua.
48. 2. Stridula; Per il vento. È epiteto
puramente descrittivo.
Il
1G2
ORLANDO FUillOSO
Centra il soffio di Borea e centra il fuoco,
Che '1 cauto agricoltore insiemeaccoppia,
Quando la vaga fiamma occupa il loco,
E scorre per li solchi, e stride e scoppia ;
Cosi costor centra la furia accesa
Di Mandricardo fan poca difesa.
49
Poscia ch'egli restar vede l'entrata,
Che mal guardata fu, senza custode ;
Per la via che di nuove era segnata
Ne l'erba, e al suono dei ramarchi ch'ode,
Viene a veder la donna di Granata,
Se di bellezze è pari alle sue lede :
Passa tra i corpi de la gente morta,
Dove gli dà, torcendo, il fiume porta.
50
E Doralice in mezze il prato vede
(Che cesi nome la donzella avea).
La qual, suffolta da 1' antico piede
D'un frassino silvestre, si dolea.
Il pianto, come un rivo che succede
Di viva vena, nel bel sen cadea;
E nel bel viso si vedea che insieme
De l'altrui mal si duole, e del suo teme.
51
Crebbe il timor, come venir lo vide
Di sangue brutto e con faccia empia e oscu-
E '1 gi-ido sin al ciel l'aria divide, [ra ;
Di sé e de la sua gente per paura;
— 5. vaga, vagante, che va qua e là; dal
lat. vagus, che ha questo significato.
49. 4. ramarchi, rammarclii, rammarichi.
— 6. lode ; V. e. xiii, 73, n. 7.
50. 1. Doralice. L'A. non deve al Boiardo
che il nome di questa donna, e un cenno
de' suoi sponsali con Rodomonte. V. la ci-
tazione alla st. 114, n. 2. Il resto è tutta crea-
zione sua. Il Foraari dice ; « Doralice rapita
da Mandricardo in mezzo del cammino,
mentre andava in campo a Rodomonte suo
sposo, adombra e rappresenta la presura
della sposa di Caraccio capitan de' Vinizia-
ni ». Ecco il fatto : Una damigella della du-
chessa d' Urbino era condotta sposa al Na-
poletano Giambattista Caracciolo capitano
de'fanti della repubblica veneta. Cesare Bor-
gia, invaghito della fanciulla, la fece rapire.
I particolari però sono molto variati e imi-
tati in parte da rapimenti simili, che si tro-
vano nella Tavola Rotonda e forse dall'Ala-
tiel del Boccaccio, Nov. 17. — in mezzo il.
V. e. VI, 23, n. 8.
— 3. snffolta (lat. surrultus); son-etta.
L'usò già Dante, Par., 23, 130.
— 5. snccede, scaturisce. Si cita questo
solo es. dell'A.
51. 2. empia; spietata.
— 4. Di sé ecc.; per paura di sé e d. s.
g. Vedi simih inversioni al e. vi, 31, 6; xiii,
77, 5, ecc.
Che, oltre i cavallier, v'erano guide
Che de la bella Infante aveane cura.
Maturi vecchi, e assai donne e donzelle
Del regno di Granata, e le più belle.
52
Come il Tartaro vede quel bel viso
Che non ha paragone in tutta Spagna,
E e' hanel pianto (or ch'esser de' nel riso ?>
Tesa d'Amor l'inestricabil ragna;
Non sa se vive e in terra e in paradise:
Né de la sua vittoria altre guadagna.
Se non che in man de la sua prigioniera
Si dà prigione, o non sa in qual maniera.
53
A lei però non si concede tante,
Che del travaglio suo le doni il frutto;
Benché piangendo ella dimostri, quanta
Possa donna mostrar, dolore e lutto.
Egli, sperando volgerle quel pianto
In somme gaudio, era disposto al tutto
Menarla seco ; e sopra un bianco ubine
Montar la fece, e tornò al suo camino.
54
Donneedonzelleevecchietaltragente,,
Ch'eran con lei venuti di Granata,
Tutti licenziò benignamente.
Dicendo: Assai da me fia accompagnata:
Io mastro, io balia, io le sarò sergente
In tutti i suoi bisogni: a Dio, brigata.
Cosi non gli possende far riparo.
Piangendo e sespirando se n'andare;
— 6. Infante; In antico si chiamò cosi il
pi-incipe ereditario Spagnuolo; poi ognuno
dei figli del re di Spagna e del Portogallo
dal secondogenito in avanti. Se donna, si
disse più comunem. infanta.
52. 3. or ecc. Intendi : ora (in questo fran-
gente) che (forse) Doralice deve essere nel
riso ? E avverti una punta di scherzo.
53. 1. si concede; si dà, si sottomette.
— 2. Che del trav. ecc. ; da donarle il
frutto della sua fatica; cioè da rinunziare
al possesso di lei.
— 6. al tutto, in tutti i modi. Xon è fre-
quente. Bekm, Ina., 2, 9, 41 : « eli' al tutto
vuol portarlo a Montalbano ».
— 7. nbino (arabo binek, cavallo) ; antica
voce, che indica piccoli cavalli, la cui ca-
ratteristica era di camminar piano e pari.
Servivano perciò alle donne.
54. 5. mastro; maestro di camera, che
era il principal cortigiano d' un principe —
balia, la nutrice. Era un ufllcio, più che di
serva, materno, nella famiglia e nel dramma
greco; ed era una vecchia donna che ac-
compagnava e assisteva le nobili fanciulle.
In questo senso i vocab. citano nutrice non
balia. — sergente ; servente. È comune ne-
gli scrittori antichi.
— 7. poEsendo. Forma &niic& d& passere.
CANTO XIV
163
Tralor dicendo: Quanto doloroso
Né sarà il padre, come il caso intenda!
Quanta ira, quanto duol ne avrà il suo
[sposo!
Oh come ne farà vendetta orrenda !
Deh, perché a tempo tanto bisognoso
Non è qui presso a far che costui renda
Il sangue illustre del Re Stordilauo,
Prima che se lo porti più lontano ?
56
De la gran preda il Tartaro contento.
Che fortuna e valor gli ha posta inanzi,
Di trovar quel dal negro vestimento
Non par eh' abbia la fretta ch'avea dianzi.
Correva dianzi: or viene adagio e lento ;
E pensa tuttavia dove si stanzi.
Dove ritrovi alcun commodo loco,
Per esalar tanto amoroso foco.
57
Tuttavolta conforta Doralice,
Ch'avea di pianto e gli occhi e'I viso mol-
Compone e fìnge molte cose, e dice [le:
Che per fama gran tempo ben le volle;
E che la patria, e il suo regno felice
Che '1 nome di grandezza agli altri folle,
Lasciò, non per vedere o Spagna o Fran-
[cia,
Ma sol per contemplar sua bella guancia.
58
Se per amar, l'uom debbe esser amato.
Merito il vostro amor; che v' ho amat' io:
Se per stirpe, di me chi è meglio nato ?
Che '1 possente Agrican fu il padre mio :
Se per ricchezza, chi ha di me più stato ?
Che di dominio io cedo solo a Dio:
Se per valor, credo oggi aver esperto
Ch'es.ser amato per valore io merto.
usata anche nella prosa. V. Nannucci, Anal
crit. p. 661. V. e. XXXIV, 49, 5.
55. 1. doloroso; dolete. Dante, Inf. 3,
« le genti dolorose ».
56. 3. quel dal negro v.; ORLANDO. Vedi
it. 33.
57. 3. Compone e f . ; inventa e f . È lati-
nismo non comune. V. e. v, 39. Cavalca,
V. SS. PP, 1, 21: «Componendo... una ca-
gione molto pietosa e maliziosa ».
— 6. Che '1 nome ecc. ; che è cosi grande
da far parer piccoli tutti gli altri.
58. 1. per amar; in grazia dell'amore.
— 7. a. esperto; a. mostrato a provai
aver dato esperimento. È il latino experirt ,
che, in italiano, si usò solo in poesia e nei
tempi composti, nel senso di fare esperi-
mento; ma nel significato di mostrare a
prova si cita questo solo es. dell'A. Sarebbe
forse più semplice lasciare al verbo il suo
significato naturale e comune, sottinten-
dendo piuttosto il sogg. voi. (Credo voi oggi
Queste parole et altre assai, ch'Amore
A Mandricardo di sua bocca ditta,
Van dolcemente a consolare il core
De la Donzella di paura attiitta.
Il timor cessa, e poi cessa il dolore
Che le avea quasi l'anima trafitta.
Ella comincia con più pazienza
A dar più grata al nuovo amante udienza:
60
Poi con risposte più benigne molto
A mostrarsegli affabile e cortese,
E non negargli di fermar nel volto
Talor le luci di pietade accese:
Onde il Pagan, che da lo strai fu colto
Altre volte d'Amor, certezza prese.
Non che speranza, che la donna bella
Non saria a suo desir sempre ribella.
61
Con questa e :»mpagnia lieto e gioioso
Che si gli satisfa, sigli diletta.
Essendo presso all'ora eh' a riposo
La fredda notte ogni animale alletta,
Vedendo il sol già basso e mezzo ascoso.
Cominciò a cavalcar con maggior fretta;
Tanto eh' udi sonar zutìfoli e canne,
E vide poi fumar ville e capanne.
62
Erano pastorali alloggiamenti
Miglior stanza e più commoda, che bella.
Quivi il guardian cortese degli armenti
Onorò il Cavalliero e la Donzella
Tanto che si chiamar da lui contenti :
Che non pur per cittadi e per castella,
Ma per tuguri ancora e per fenili
Spesso si trovan gli uomini gentili.
avere esp. ; credo che voi abbiate fatto espe-
rimento).
59. 8. grata, benevola. Grato si usò non
di rado a indicare, come qui, non tanto il
piacere, che si fa ad altri, quanto quello,
con cui la cosa si fa.
60. 3. non neg. d. ferm.; non ricusare di
fermagli. Intendi che essa fermava talvolta
nel viso di lui uno sguardo pietoso.
61. 7. canne. Canna, per lo più coli' ag-
giunto di sonora o simile, fu spesso usato
per i^mpogna. V. e. xvii, 54.
62. 2. Miglior... che bella. Si dovrebbe
dire jjiù buona che b., perché il confronto
è fra due qualità espresse dagli aggett. (V.
FoRNAC. Sint. pag. 351) ; ma qui il costrutto
è dominato dal secondo aggett. pia comodo.
— 5. da lui e. ; Il costrutto regolare sa-
rebbe chiamarsi cont. di uno; ma forse
su questo luogo ha agito l'uso, che fecero
gli antichi, di contento per contentato ; co-
sicché l'A. ha costruito il modo chiaìnarsi
contento, come se fosse ritenersi conteìi-
tato.
— 7. fenili. Forma poetica
164
ORLANDO FURIOSO
03
Quel che fosse di poi fatto all'oscuro
Tra Doralice e il figlio d'Agricane,
A punto raccontar non m'assicuro;
Si ch'ai giudizio di ciascun rimane.
Creder si può che ben d'accordo furo;
Che si levar più allegri la dimane :
E Doralice ringraziò il pastore.
Che nel suo albergo l'avea fatto onore.
64
Indi d' uno in un altro luogo errando,
Si ritrovaro al fin sopra un bel fiume
Che con silenzio al mar va declinando,
E se vada o se stia, mal si presume ;
Limpido e chiaro si, eh' in lui mirando,
Senza contesa al fondo porta il lume.
In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,
Trovar dui cavallieri e una donzella.
65
Or l'alta fantasia, eh' un sentier solo
Non vuol eh' i' segua Ognor, quindi mi gui-
E mi ritorna ove il Moresco stuolo [da,
Assorda di rumor Francia e di grida,
D'intorno il padiglione ove il figliuolo
Del Re Troiano il santo Imperio sfida ;
E Rodomonte audace se gli vanta
Arder Parigi, e spianar Roma santa.
66
Venuto ad Agraraante era all'orecchio,
Che già l'Inglesi avean passato il mare:
Però Marsilio e il Re del Garbo,vecchio,
E gli altri capitan fece chiamare.
Consigliantuttiafar grande apparecchio,
Si che Parigi possino espugnare.
Ponno esser certi che pili non s'espugna
Se noi fan prima che l'aiuto giugua.
67
Già scale innumerabili per questo
Da luoghi intorno avea fatto raccorre,
Et asse e travi, e vimine contesto.
Che lo poteano a diversi usi porre:
E navi e ponti: e più facea che ') resto,
Il primo e il secondo ordine disporre
A dar l'assalto ; et egli vuol venire
Tra quei che la città deuno assalire.
68
L'Imperatore il di che 'I di precesse
De la battaglia, fé' dentro a Parigi
Per tutto celebrare uffici e messe
A preti, a frati bianchi, neri e bigi ;
E le gente che dianzi eran confesse,
E di man tolte agl'inimici Stigi,
Tutte communicar, non altramente
Ch'avessino a morire il di seguente.
69
Et egli tra Baroni e Paladini,
Principi et Oratori, al maggior tempio
Con molta religione a quei divini [pio,
Atti intervenne, e ne die agli altri esem-
63. 8. l'avea, le a. V. e. vii, 35, n. 8.
64. 2. fiume. Vedi la dimenticanza di que-
sto luogo al e. XXIII, 66, dove il fiume di-
venta una fonte.
— 4. se vada o s. st. Par tradotto da Ce-
sare B. G. I, 3, che dice dell' Arari (Saone)
« ita ut oculis in utram partem fluat iudi-
cari non possit».
— 6. Senza cont, ecc.; Il fiume è si chiaro
che porta (lascia passare) senza contesa lo
sguardo (il lume) Un nel fondo. È imita-
zione del PoLiz. st. I, 80, che dice d'una fon-
tana: «gli occhi non offesi al fondo mena>
imitando a sua volta Claudiano, Rapt. Pro-
serp. I : « admittit in illum Cernentes ocu-
los et late pervius humor Ducit inoffensos
liquido sub gurgite visus ».
65. 1. altafant. Dante, Par. 33, 142: «Al-
l'alta fantasia qui mancò possa ».
— 5. intorno il: V. e. vìi, 12, n. 4.
— 8. Roma, come capitale del cristiane-
simo e del sacro romano impero.
66. 3. il Re d. G. v. ; il vecchio re del
Garbo; Sobriuo, già descritto dal Boiardo
come il Nestore dei Saracini. Il Garbo era
un antico regno dell'Affrica sulla costa di
Barberia. È ricordato anche dal Boccaccio,
nov. 17.
— 6. possino ; Forma popolare ancor viva.
67. 2. Da, (lai. Per l'omissione dell'art,
cfr. e. II, 15, n. 8. Già il Boiardo nell' ultimo
canto dell' Inn. avea descritto un primo as-
salto dato a Parigi. T Saracini erano stati
ributtati specialmente dal valore d'Orlando
e per una tempesta mandata loro addosso
da Dio. Fattasi sera, ogni esercito si ritirò.
L' A. continua, immaginando che nella notte
Orlando abbia un sogno e parta (e. viii) e
che qualche giorno dopo i Saracini rinnuo-
vino l'assalto, come è descritto qui.
— 3. asse; assi. ^ C. IX, SI, n. I — vi-
mine contesto, cestelle.
— 4. che lo; il che si riferisce evidentem.
a vimine e.; e il lo è pleonasmo, secondo
r uso popolare : cosi anche st. 71, 3.
— 6. ordine ; schiera.
68. 5. eran confesse ; si erano confessate.
Confesso per confessato usò già Dante, Jnf.
27, 83. Esser confesso per essersi confessato
non è frequente. Volgarizzam. gr. S. Giro-
lamo 10: «Quei che sarà confesso ecc. ».
— 7. communicar; Alcuni lo intendono,
non bene, come infinito dipendente da /"ece.
È meglio intenderlo come passato rimoto :
si comunicarono. Comunicare per com,u-
nicarsi, oggi non comune, fu usato non di
rado dagli antichi; vite SS. PP. 1, 119:
« Avea ordinato che ogni di ricevessero il
SS. corpo di Cristo e comunicassero ».
69. 2. Oratori; ambasciatori.
CANTO XIV
IGo
Con le man giunte, e gli occhi al ciel sa-
Ipìui,
Disse: Signor, ben ch'io sia iniquo et cm-
Non vogliatua bontà, pelmiofallire [pio,
Che '1 tuo popol fedele abbia a patire.
' 70
E se gli è tuo voler ch'egli patisca,
E ch'abbia il nostro error degni supplici,
Almen Ja punizion si differisca
.Si, che per man non sia de' tuoi nemici;
Che quando lor d'uccider noi sortisca,'^
Che nome avemo pur d'esser tuo' amici ;
I Pagani diran che nulla puoi,
Che perir lasci i partigiani tuoi.
71
E per un che ti sia fatto ribelle,
Cento ti si faran per tutto il mondo ;
Tal che la legge falsa di Babelle
Caccierà la tua fede e porrà al fondo.
Difendi queste genti, che son quelle
Che '] tuo sepulcro hanno purgato e mondo
Da brutti cani, e la tua tSanta Chiesa
Con li Vicari suoi spesso difesa.
72
So che i meriti nostri atti non sono
A satisfar al debito d'un' oncia;
Né devemo sperar da te perdono.
Se riguardiamo a nostra vita sconcia:
Ma se vi aggiugni di tua grazia il dono.
— 5. al e. sopini; rivolti in su verso il
cielo. Dante, Pura. 14, 9 : « Poi far li visi,
per dirmi, supini.
70. 5. sortisca; tocchi in sorte. Cosi col-
r infinito si usò anche in prosa. Dati, Lett.
59 : « Se mi sortisse impetrar questa grazia ».
Il pensiero è tolto dal Salmo 71 : « \e quan-
do dicant gentes: ubi est deus eorum ? ».
— 6. avemo; abbiamo. V. e. vi, 37, n. 7.
71. 3. legge... di Bab. ; legge o religione
Maomettana. Babilonia fu già centro della
potenza Musulmana.
— 6. che '1 tao s. ecc. Che Carlo M. avesse
liberato Gerusalemme dalle mani dei Sara-
cini era credenza molto diffusa nei tempi
di mezzo e se ne hanno in proposito leg-
gende e poesie (Casella). Il Fornari cita un
Sermone di Urbano II, dove si incoraggiano
i principi cristiani all' impresa di Terra
Santa coU'esempio di Carlo M. È noto però
che C. Magno non andò mai in Terra Santa.
72. 2. oncia. Può intendersi per una pic-
cola quantità di una cosa (debito di pochis-
simo conto); e cosi l'usò l'A., xvii, 92;
XXXI, 13 e Dante, Inf. xxx, 83; oppure
come una piccola moneta Siciliana e .Napo-
letana (BoccACC. N'ov. 45).
— 3. devemo. Si usò in antico devere ac-
canto a dovere. La desin. emo fu del verso e
della prosa; oggi è appena del sobrio poeta,
quantunque viva in qualche dialetto.
Nostra ragion tìa ragguagliata e concia :
Né del tuo aiuto disperar possiamo,
Qualor di tua pietà ci ricordiamo.
73
Cosi dicea l'Imperator devoto,
Con umiltade e contrizion di core.
Giunse altri prieghi, e convenevol voto
Al gran bisogno e all'alto suo splendore.
Non fu il caldo pregar d'effetto voto;
Però che '1 Genio suo, l'Angel migliore,
I prieghi tolse e spiegò al ciel le penne.
Et a narrar al Salvator li venne.
74
E furo altri infiniti in quello instante
Da tali messaggier portati a Dio ;
Che come gli ascoltar l'anime sante,
Dipinte di pietade il viso pio.
Tutte miraro il sempiterno Amante,
E gli mostraro il coramun lor disio,
Che la giusta orazion fosse esaudita
Del popolo Cristian che chiedea aita.
75
E la Bontà ineffabile, ch'in vano
Non fu pregata mai da cor fedele,
Leva gli occhi pietosi, e fa con mano
Cenno che venga a sé l'Angel Michele.
Va (gli disse) all'esercito Cristiano
Che dianzi in Picardia calò le vele,
E al muro di Parigi l'appresenta
Si, che '1 campo nimico non lo senta.
70
Trova prima il Silenzio, e da mia parte
Gli di' che teco a questa impresa venga;
— 6. Nostra ragion ecc.; il nostro conteg-
gio sarà pareggiato e aggiustato. V. e. xiii,
35, n. 4. — Concio usarono per aggiustato
anche altri; Rosso, Vite diSvetonio: «Vi-
de della mano di Nerone alcuni versi conci
e riconci ».
73. 6. il Genio s. Il Genio era per i pa-
gani uno spirito buono, che si credeva ve-
nisse al mondo coli' uomo al suo nascere e
morisse con luì dopo avergli fatto da com-
pagno. Aver direttorie sue azioni e vegliato
al suo benessere. Lo figuravano in un putto
alato. Il cristianesimo lo converti nell'an-
gelo custode. L'A. combina le due idee —
Ang. migliore, l'augelo Custode, che per noi
è il migliore. Significato non registr. dai
vocab. e forse nuovo. Il Fornari invece
annota : « Per rispetto del pessimo angelo
(il demonio) si è qui detto l'angelo migliore ».
74. 3. Che... gli. Gli è pleonastico, come ;o
alla st. 67, 4; cfr. anche e. i, 65, n. 3.
75. 6. Picardia; Regione dell'antica Fran-
cia (compart. Somme), vi era sbarcato l'e-
sercito cristiano d' Inghilterra e Scozia. V.
e. X.
— 7. appresenta ; presenta. V. e. i, 02, n. 2.
166
ORLANDO FURIOSO
Ch'egli ben proveder con.;^ttima arte
Saprà di quanto preveder convenga.
Fornito questo, subito va in parte
Dove il suo seggio la Discordia tenga :
Dille che l'esca e il fucil seco prenda,
E nel campo de' Mori il fuoco accenda ;
77
E tra quei che vi son detti più forti,
Sparga tante zizauie e tante liti,
Che combattano insieme, et altri morti.
Altri ne sieno presi, altri feri li, . ■
E fuor del campo altri lo sdegno porti,
Si che il lor Re poco di lor s'aiti.
Non replica a tal detto altra parola
Il benedetto Augel, ma dal ciel vola.
78
Dovunque drizza Michel Angel l'ale,
Fuggon le nubi, e torna il ciel sereno.
Oli gira intorno un aureo cerchio, quale
Veggiàn di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via, dove si cale
Il celeste Corner per fallir meno
A trovar quel nimico di parole,
A cui la prima commission far vuole.
79
Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;
E se accordare in fin tutti i pensieri.
Che di frati e di monachi rinchiusi
Lo può trovare in chiese e in monasteri,
Dove sono i parlari in modo esclusi.
Che '1 Silenzio, ove cantano i salteri,
Ove dormeno, ove hanno la piatanza,
E finalmente è scritto in ogni stanza.
76. 7. fucil; focile, acciarino; col quale
si batteva la pietra focaia per averne scin-
tille e accender l'esca.
— 8. il fuoco ; delle discordie e delle con-
tese.
77. 2. zizanie (voce orientale entrata nel
greco: ^isanioìi). Significa propriam. lo-
glio; ma, per lo più, si usa figuratamente
per discordia, scandalo.
— 5. altri è complera.; il sogg. è lo sdegno.
— 8. Augel. Danti:, Purg. ii, 38.: « uccel
divino». 8, 104: «astori celestiali».
78. 4. Veggiàn. V. e. IX, 43, n. 8.
— 5. si cale ; possa calarsi. È cong. po-
tenziale.
— 7. A tr. ; nel trov.
79. 1. scorrendo, discorrendo, cercando
col pensiero, si cita questo solo es. delI'A.
— 3. monachi. V. e. IV, 55. — rinchiusi,
claustrali. Questa parola si usò spesso come
aggiunto di frati e monache.
— 7. piatanza, antiq. per pietanza (eti-
mol. oscura). Suo primo signific. fu appunto
il piatto di vivanda, che si dava alle mense
dei claustrali. Uocc. nov. 61 : « egli dava
buone pietanze a' frati ».
80
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
Con maggior fretta le dorate penne;
E di veder ch'aucor Pace vi fosse,
Quiete e Carità, sicuro tenne.
Ma da la opinion sua ritrovosse
Tosto ingannato, che nel chiostro venne :
Non è il Silenzio quivi ; e gli fu ditto
Che non v'abita più, fuor che in iscritto
81
Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,
Né quivi Amor, né quivi Pace mira. -
Ben vi fur già, ma ne l'antiqua etade ;
Che le cacciar Gola, Avarizia et Ira,
Superbia, Invidia, Inerzia e Crude.ltade.
Di tanta novità l'Angel si ammira'': '''
Andò guardando quella brutta schiera,
E vide eh' anco la Discordia v'era.
82
Quella che gli avea detto ilPadreeter-
Dopo il Silenzio, che trovar dovesse, [no.
Pensato avea di far la via d'Averno,
Che si credea che tra dannati stesse;
E ritrovolla in questo nuovo inferno
(Ch'il crederia?) tra santi uffici e messe.
Par di strano a Michel ch'ella vi sia.
Che per trovar credea di far gran via.
La conobbe al vestir di color cento.
Fatto a liste inequali et infinite, [vento
Ch'or la colarono or no; che i passi e '1
Le giano aprendo; ch'erano sdrucite.
I crin avea qual d'oro e qual d'aygento,
E neri e bigi: e aver pareanClité:
Altri in treccia, altri in nastro erau raccolti
Molti alle spalle, alcuni a| petto sciolti.
84
Di citatorie piene e di libelli,
D'essamine e di carte di procure a''
81. 6. si ammira, si maraviglia. Dante,
Par. 2, 17: «Quei gloriosi, che passaro a
Coleo, Non s'ammiraron, come voi farete ».
82. 4. tra d.; tra i d. V. e. il, 15, 8.
— 7. Par di strano. Il Tommaseo nota che
pare strano si dice propriam. di cosa dif-
ficile a credere, a pensare; par di strano
di cosa difficile a fare ; ma spesso gli scrit-
tori usarono, come qui l'A., l'una espres-
sione per l'altra.
— 8. Che per tr.; il quale, Michele, per
trovarla ecc. Per l'omissione del pron. cfr.
e. 21, n. 7. Il che potrebbe anche essere conir
pi. ogg. riferito a discordia; ma è un co-
strutto che l'A. non ha familiare.
83. 4. sdrucite. L'immagine è di Virgilio,
En. 8, 702 : « Scissa discordia palla ».
84. 1. citatorie, citazioni. Non comune.
Cosi anche nella Lena 4, 2. — libelli, .-sono
domande giudiziarie fatte per scrittura.
— 2. essamine; esami scritti dei richiedenti
e dei rei.
CANTO XIV
167
Avea le mani e il seno, e gran fastelli
Di cliiose, di consigli e di letture;
Per cui le facultà de' poverelli
IS'on sono mai ne le città secure.
Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati,
aS'otai, Procuratori et Avvocati.
85
La chiama a sé Michele, e le comanda
Chejra i più l'orti Saracini scenda,
E cagion trovi, che con memoranda
Euina insieme a guerreggiar gli accenda.
Poi del Silenzio nuova le domanda:
Facilmente esser può ch'essa n'intenda.
Si come quella ch'accendendo fochi
Di qua e di là, va per diversi lochi.
8G
Rispose la Discordia: Io non ho a mente
In alcun loco averlo mai veduto:
Udito r ho ben nominar sovente,
E molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude, una qui di nostra gente.
Che compagnia talvolta gli ha tenuto,
Penso che dir te ne saprà novella :
E verso una alzò il dito, e disse: È quella.
87
Avea piacevol viso, abito onesto.
Un umil volger d'occhi, un andar grave,
Un parlar si benigno e si modesto.
Che parea Gabriel che dicesse : Ave.
Era brutta e deforme in tutto il resto:
Manascoudea queste fattezze prave
Con lungo abito e largo; e sotto quello.
Attossicato avea sempre il coltello.
88
Domanda a costei l'Angelo, che via
Debba tener, si che '1 Silenzio trove.
Disse la Fraude: Già costui solia
Fra virtudi abitare, e non altrove.
Con Benedetto, e con quelli d'Elia
Xe le Badie, quando erano ancor nuove:
— 4. chiose ; i commeuti delle leggi —
consigli, i consulti legali — letture ; la giu-
risprudenza, ossia le illustrazioni delle leggi.
85. 2. scenda. Perché i monasteri sogliono
essere in aito. '' ^'<^^'^;---^'"*'^'^'^^
— 3. che, perché.
— 6. n'intenda; ne sappia, ne abbia noti-
zia. Machi.wklli, Leff. Coin.2, 29i .'«Quando
mi troverò in luoghi più atti ad intendere,
ne potrò dare più certa notizia ».
87. 4. Che parea ecc. Dante, Purg. 10,
40 : « Giurato si saria eh' ei dicesse ave ».
88. 5. Con Benedetto. S. Benedetto (4S0-
513) fu il gran fondatore del monachismo
in occidente. — quelli d' E. sono i carmeli-
tani; l'ordine de' quali fu fondato soltanto
nel 1160 da Bertoldo sul monte Carmelo in
Siria, ov' era tradizione che fosse vissuto
il profeta Elia. Osserva l'anacronismo.
Fé' ne le Scuole assai de la sua vita
Al tempo di Pitagora e d'Archita.
89
Mancati quei Filosofi e quei Santi
Che lo solean tener pel camin ritto,
Dagli onesti costumi ch'avea inanti.
Fece alle sceleraggiui tragitto.
Cominciò andar la notte con gli amanti,
Indi coi ladri, e fare ognidei'tto.
Molto col Tradimento egli dimora: . ^ ■
Veduto r ho con l'Omicidio ancora.
90
Con quei ch^ falsan le monete, ha usati-
Di ripararsi in qualche buca scura. [za
Cosi spesso compagni muta e stanza,
Che '1 ritrovarlo ti saria ventura.
Ma pur ho d'insegnartelo speranza.
Se d'arrivare a mezza notte hai cura
Alla casa del Sonno: senza fallo
Potrai (che quivi dorme) ritrovano.
91
Ben che soglialaFraude esser bugiarda,
Pur è tanto il suo dir simile al vero.
Ohe l'Angelo le crede; indi non tarda
A volarsene fuor del monastero.
Temprail batterdel'alce studia eguarda
Giungere in tempo al fin del suo sentiero,
Ch'alia casa del Sonno, che ben dove
Era sapea, questo Silenzio trove.
92
Giace in Arabia una valletta amena.
Lontana da cittadi e da villaggi,
Ch' all'ombra di due monti è tutta piena
D'antiqui abeti e di robusti faggi.
Il sole indarno il chiaro di vi mena;
Che non vi può mai penetrar coi raggi,
Si gli è la via da folti rami tronca:
E quivi entra sotterra una spelonca.
93
Sotto la negra selva una capace
E spaziosa grotta entra nel sasso,
Di cui la fronte l'edera seguace
— 8. Pitagora, filosofo greco (5S2-500 a.
C), prescriveva agli scolari suoi che per
cinque anni tacessero e non ardissero di-
sputare. — Archita (circa 400 a. C.) filosofo
pitagorico di Taranto.
89. 5. Cominciò and.; e. ad and. V. e. r,
4, n. 1.
90. S. ritrovano; ritrovarlo. V. e. n, 3, n. 4.
91. 5. Tempra; regola. M vchiav. St. F.3,
78 : « Temprava l'oriuolo di Palagio ».
— 7. che; É correlativo di in tempo.
92. 1. I commentatori dicono che in que-
sta descrizione l'A. segue Ovidio e Stazio;
ma il Raina, F. p. 203, giustamente dice die
essa è una ricreazione dei modem, non
già una copia o un accozzamento.
93. 3. edera seguace. Persio, prologo, 0:
« hederae sequaces ».
16S
ORLANDO FURIOSO
c
Tutta aggirando va con storto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace :
L'Ozio da un canto corpulento e grasso ;
Da l'altro la Pigrizia in terra siede, [de.
Che non può andare, e mal reggersi in pie-
94
Lo smemorato Oblio sta su la porta:
Non lascia entrar, né riconosce alcuno;
Non ascolta imbasciata, né riporta;
E parimente tien cacciato ognuno. , . '
Il Silenzio va intorno, e fa la scorta :
Ha le scarpe di feltro, e '1 mantel bruno ;
Et a quanti n' incontra, di lontano,
Che non debban venir, canna eon mano.
95
Segli accosta all'orecchio, e pianamente
L'Angel gli dice : Dio vuol che tu guidi
A Parigi Rinaldo con la gente
Che per dar, mena, al suo Signor sussidi ;
Ma che lo facci tanto chetamente.
Ch'alcun de' Saracin non oda i gridi;
Si che più tosto che ritrovi il calle
La Fama d'avvisar, gli abbia alle spalle.
96
Altrimente il Silenzio non rispose.
Che col capo, accennando che farla;
E dietro ubidiente se gli pose;
E furo al primo volo in Picardia.
Michel mosse le squadre coraggiose,
E fé' lor breve un gran tratto di via ;
Si che in un di a Parigi le condusse,
Né alcun s'avvide che miracol fusse.
97
Discorreva il Silenzio, e tutta volta,
E dinanzi alle squadre e d'ogn' intorno
Facea girare un'alta nebbia in volta.
— 8. reggersi; Rileva un può dalla pre-
cedente proposiz. La concordia delle ediz.
curate dall'A. esclude errore o svista.
94. 4. cacciato ; rimoto, lontano. I vocab.
non notano questo signific.
— 5. fa la scorta; f. 1. scolta. Scorta (da
accorto) significa propr. guida ; ma si usò
anche per scolta (da ascoltare). Berm, Ina.
4, 81 : « E fanno al llume ed al ponte la
scorta».
— 7. n' incontra. Il ne è pleonastico.
— 8. canna; accenna. Cosi Scolastica, 5, 3.
e cosi altri, sebbene non sia frequente. Caro,
Loìiy. 85: « comandò... che cennasse loro ».
95. 5. facci, faccia. Si hanno esempi in
copia di ambedue le forme : oggi è più co-
mune la seconda.
— 7. Si ecc.; s. e. ognuno li abbia alle
spalle prima che la Fama trovi la via per
andare ad avvisare i Saracini.
— 8. avvisar; avvisarli. V. ci, 21,7.
97. ]. Discorreva; correva di qua e di là
— tutta volta, continuamente, mentre cor-
reva.
Et avea chiaro ogn'altra parte il giorno :
E non lasciava questa nebbia folta.
Che s'udisse di fuor tromba né corno :
Poi n'andò tra Pagani, e menò seco
Un non so che, ch'ognun fé' sordo e cieco.
98
Mentre Rinaldo in tal fretta venia.
Che ben parca da l'Angelo condotto,
E con silenzio tal, che non s' udia
Nel campo Saraciu farsene motto;
Il Re Agramante avea la fanteria
Messo ne' borghi di Parigi, e sotto
Le minacciate mura iu su la fossa.
Per far quel di l'estremo di sua possa.
99
Chi può contar l'esercito che mosso
Questo di contra a Carlo ha '1 Re Agraraan-
Conterà ancora in su l'ombroso dosso [te.
Del silvoso Apennin tutte le piante ;
Dirà quante onde, quando è il mar più gros-
Bagnano i piedi al Mauritano Atlante; [so,
E per quanti occhi il ciel le furtive opre
Degli amatori a mezza notte scuopre.
100
Le campane si sentono a martello
Di spessi colpi e spaventosi tocche;
Si vedemolto,inquestotempioein quello.
Alzar di mano e dimenar di bocche.
Se '1 tesoro paresse a Dio si bello.
Come alle nostre openioni sciocche;
Questo era il di che '1 santo' consistoro
Fatto avria in terra ogni sua statua d'oro.
101
S'odon ramaricare i vecchi giusti,
Che s'erano serbati in quelli affanni,
— 4. Questo verso è inteso variam. Al-
cuni: ed era chiaro in ogni altra p. il g. ;
altri, meglio: e ogni altra parte aveva il
giorno chiaro.
— 7. tra, tra i. V. e. ii, 15, n. 8 — menò j
portò. Con riferimento a cosa non è regi-
strato dai vocabol.
98. 2. parca; appariva.
99. 6. Manrit. Atl. « Perciocché questo
monte è d'ampie falde attorniato e disten-
desi molto nel mare, il quale in quelle
bande si gonfia e si inalza più che altrove »
(FORNARI).
— 7. occhi del ciel son dette le stelle.
Dante, Purg. 20, 132, chiamò il sole e la
luna li due occhi del cielo.
100. 6. openionì e oxjpenioni sono forme
non rare negli antichi.
— 7. consistoro, il consesso dei beati.
Dante disse di Ganimede Purg., 9, 24:
« Quando fu ratto al sommo concistoro » al
consesso degli dei.
101. 2. 8' erano serb. ecc. Può significare :
che aveano vissuto jjer provare q. aff. ; oi>-
pure: che in raezzo a quegli affanni erano
CANTO XIV
169
E nominar felici i sacri busti
Composti in terra già molti e raolf anni.
M^gli animosi gioveni robusti
Che miran poco i lor propinqui danni,
Sprezzando le ragion de' più maturi,
1)1 qua di là vanno correndo a' muri.
102
Quivi erano Baroni e Paladini,
Re, Duci, Cavallier, Marchesi e Conti,
Soldati forestieri e cittadini.
Per Cristo e pel suo onore a morir pronti ;
Che per uscire adosso ai Saracini,
Pregan Tlmperator ch'abbassi i ponti.
Gode egli di veder l'animo audace ;
Ma di lasciarli uscir non li compiace.
103
E li dispone in oportuni lochi,
Per impedire ai Barbari la via.
Là sì contenta che ne vadan pochi;
Qua non basta una grossa compagnia.
Alcuni han cura maneggiare i fuochi.
Le machine altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua di là non sta mai fermo ;
Va soccorrendo, e fa per tutto schermo.
101
Siede Parigi in una gran pianura.
Ne Tombilico a Francia, anzi nel core:
Gli passa la riviera entro le mura,
sopravvissuti. Sembra preferibile questa se-
condainterpret. Petr. canz. «Spirto gentil»:
«i vecchi stanchi C hanno sé in odio e la so-
verchia vita ».
. — 3. busti, (lat. bìistum da duro, bru-
ciare ; era il luogo, dove si era arso un
morto, e anche il cadavere bruciato, (Vm-
GiL. Eli. 11, 201); qui vale sempUcem. cada-
veri. Tasso, Ger. 19, 11": « Nessuna a me
col busto esangue e muto Kiman più guer-
ra ». — sacri, per la religione dei sepolcri.
— 4. già m. e m. a ; già da ni. e m. a.
V. e. I, 26, u. 8. — composti in t. È il compo-
nere tumulo dei Latini. Cosi nel cauto
XXIV, 9i. Alcuni vocabol. non la Cr., citano
il modo col solo es. deli'A.
— 8. muri, per mura della città usò più
volte l'A.
102. 2. duci; duchi. V. e. ni, 45, n. 1.
103. 5. han cura m.; han cura di m. V.
e. I, 4, n. 1. — i fuochi; Termine guerresco
generico per indicare ogni composizione ar-
tificiosa, che si infiammava e si gettava sui
nemici nei combattimenti. Erano di molte
e diverse specie.
104. 2. Ne l' omhil. ecc. Imitazione dei La-
tini che dissero umbiCicus terrarum, Sici-
liae. Graeciae, orbis, per la parte centrale.
— anzi nel core, perché Parigi è più verso
tramontana che verso mezzodì, come il cuore
è più in alto dell'ombelico.
— 3. la riviera; la Senna, che fa un' isola.
E corre, et esce in altra parte fuore;
Ma fa un' isola prima, e v'assicura
De la città una parte, e la migliore:
L'altre due (eh' in tre parti è lagranterra^
Di fuor la fossa, e dentro il fiume serra.
105
Alla città che molte miglia gira.
Da molte parti si può dar battaglia:
I Ma perché sol da un canto assalir mira,
! Né volentier l'esercito sbarraglia ;
Oltre il fiume Agramante si ritira
I Verso Ponente, acciò che quindi assaglia:
Però che né cittade né campagna
Ha dietro, se non sua, fin alla Spagna.
106
Dovunque intorno il gran muro circonda,
Gran munizioni avea già Carlo fatte,
Fortificando d'argine ogni sponda.
Con scannafossi dentro e case matte:
Onde entra ne la terra, onde esce l'onda,
Grossissime catene aveva tratte;
Ma fece, più ch'altrove, provedere
Là dove avea più causa di temere.
107
Con occhi d'Argo il figlio di Pipino
Previde ove assalir dovea Agramante;
E non fece disegno il Saracino,
A cui non fosse riparato inante.
Con Ferraù, Isoliero, Serpentino,
Grandonio, Falsirone e Balugante,
E con ciò che di Spagna avea menato,
I la quale è stata anticamente il primo luogo-
! abitato e quindi il primo a sorgere a gran-
dezza.
— 8. la fossa ; la fossa, che cingeva le
mura.
105. 1. gira; si estende intorno. Giam-
BULL. St. 381 : « Gira questo paese circa mi-
glia 260 ».
j — 3. assalir mira; ass. pensa. In questo
I senso si disse per lo più mirare a, mirare
di. L'A. l'usò senza pi'ep. anche al e. xxx,
I 50.
I 106. 1. circonda; gira intorno. V. e. x,
j 113, n. 2.
— 3. ogni sponda; sia le sponde del fiume
'per difender la parte interna, la parte ,,>i-
j gliore; sia le sponde della fossa esterna alle
[ mura. O anche: ogni parte d. sp. d. fiume.
' — 4. scannafossi; condotti murati nell'in-
terno dell'argine per passare da una parte
all'altra di esso — case matte, vani, nell' in-
terno dell'argine, chiusi e coperti, con fe-
ritoie, per batter l' inimico senza scoprire
i difensori; per riporvi munizioni ecc.
107. 1. Argo, pastore, che secondo la fa-
vola avea cent' occhi.
— 7. con ciò ; con tutte quelle genti. Dan-
te, Inf., 24, 90 : « E con ciò (con tutti quegli
animali), che di sopra il Mar Rosso èe ».
170
ORLANDO FURIOSO
Restò Marsilio alla campagna armato.
108
Sobrio gli era a man manca in ripa a
[Senna,
Con Pulian, con Dardinel d'Almonte,
Col Re d'Oran, ch'esser gigante accenna,
Lungo sei braccia dai piedi alla fronte.
Deh perché a muover menson io la penna.
Che quelle genti a muover l'arme pronte V
Che '1 Re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,
Grida e bestemmia, e non può star più a
109 [segno.
Come assalire o vasi pastorali,
O le dolci reliquie de' convivi
Soglion con rauco suon di stridule ali
Le impronte mosche a caldi giorni estivi ;
Come li storni a rosseggianti pali
Vanno di mature uve; cosi quivi,
Empiendo il ciel di grida e di rumori,
Veniano a dare il fiero assalto i Mori.
110
L'esercito Cristian sopra le mura
Con lancie, spade e scure e pietre e fuoco
Difende la città senza paura,
E il barbarico orgoglio estima poco ;
E dove Morte uno et un altro fura,
Non è chi per viltà ricusi il loco.
Tornano i Saracin giù ne le fosse
A furia di ferite e di percosse.
— 8. alla campagna. Dunque Sobrino, il re
d"Orano ecc., sono schierati lungo la Senna,
Marsilio è più a dentro nella campagna ; e,
avendo tutti la fronte verso Parigi, Marsilio
rimaneva sulla destra, Sobrino e gli altri
sulla sinistra.
108. 3. accenna, dà l'idea di. V. st. 17, 4.
— 6. pronte; Regolarm. dovrebbe essere
pronto. È un fenomeno d'attrazione come
quello notato al e. xi, 27, 6.
109. 1. Come ecc. La compara/, è imitata
da quella d'OMERO, II. 2, 614: «Conti lo
sciame delle impronte mosche, Che ronzano
in aprii nella capanna Quando di latte sgor-
gano le secchie Chi contar degli Achei desia
le torme » e II. 16, 899 seg. : « e quale è il
zonzo. Con che soglion le mosche a prima-
vera Assalir susurrando entro il presepe
I vasi pastorali allor che pieni Sgorgan di
latte, di costor tal era La giravolta intorno
a quell'estinto ».
— 4. a caldi. Per l'omissione dell'art, cfr.
e. II, 15 n. 8.
— 5. rosseggianti di mature uve, che pen-
dono dalle viti appoggiate ai pali. Avverti
che con queste comparazioni l'A. ha voluto
mettere in mostra la poca conoscenza del-
l'arte militare dei saracini, mentre, nel e.
XVI, 40-42, mostra l'ordine disciplinato d'un
assalto dato dai cristiani.
no. 2. scure, scuri. V. e. IX, 84, n, 1.
Ili
Non ferro solamente vi s'adopra,
Ma grossi massi, e merli integri e saldi,
E muri dispiccati con molt'opra,
Tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.
L'acque bollenti che vengono di sopra,
Portano a' Mori insupportabil caldi;
E male a questa pioggia si resiste.
Ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.
112
E questa più nocca che '1 ferro quasi :
Or che de' far la nebbia di calcine ?
Or che doveano far li ardenti vasi
Con olio e zolfo e peci e trementine?
I cerchi in munizion non son rimasi,
Che d'ognintorno hanno di fiammail crine :
Questi, scagliati per diverse bande,
Metton a' Saracini aspre ghirlande.
113 . . ..^
Intanto il Re di, Sarza avea cacciato
Sotto le mura la schiera seconda.
Da Buraldo, da Ormida accompagnato,
Quel Garamante, e questo di Marmonda.
Clarindo e Soridan gli sono allato';
Né par che.'l Re di Setta si nasconda :
Segue il Re di Marocco e quel di Cosca,
Ciascun perché il valor suo si conosca.
114
Ne la bandiera, eh' è tutta vermiglia,
Rodomonte di Sarza il leon 8t)1ega, {■'
Che la feroce bocca ad un?, briglia
Che gli pon la sua donna, aprir non niega.
Al leon sé medesimo assimiglia; '.
E per la donna che lo frena e lega.
La bella Doralice ha figurata.
Figlia di Stordilan Re di Granata :
111. 4. spaldi (etimol. incerta: il Diez lo
ravvicina al td. spalt, fenditura tra merlo
e merlo); ballatoi sporgenti in cima alle
mura e alle torri, per assicurare i combat-
tenti.
112. 5.1 cerchi; comunemente detti cerchi
di fuoco, erano una specie di girandole, so-
pra legni, in tondo, ferrati e accesi di fuochi f
artifiziati (zolfo, pece, trementina ecc.), che
si lasciavan cadere dall'alto sui nemici, fra
i quali spargevano l' incendio. Questi cerchi
non eran rimasti iri, munizione, cioè nei
magazzini.
113. 6. Re di Setta; Dorilone.
— 7. Re di Marocco, Finadurro; quel di Co-
sca, Balinfronte.
114. 2. il leon. Inn. il, 7, 28: « Del re di
sarza in terra è il gonfalone, Ch'era ver-
miglio e dentro ha una regina. Quale avea
posto il freno ad un leone : Questa era Do-
ralice di Granata Da Rodamonte più che il
core amata». Avverti che fra i pagani solo
Rodomonte, Dardinelloe Mandricardohanno
CANTO XIV
171
115
Quella che tolto avea (come io nan-ava)
Re Mandricardo (e dissi dove e a cui).
Era costei che Eodomonte amava
Più che 'J suo regno e più che gli occhi sui ;
E cortesia e valor per lei mostrava,
Non già sapendo ch'era in forza altrui :
♦Se saputo l'avesse, allora allora
Fatto a vria quel che fé' quel giorno ancora.
116
Sono appoggiate a un tempo mille^scale
K^^^ jChe non han meu di dua per ogni grado,
"-►iopinge il secondo quel ch'inanzi sale;
Che 'I terzo lui montar fa suo mal grado.
Chi per virtù, chi per paura vale : [do;
Convien ch'ognunper forza entri nel gua-
Che qualunque s'adagia, il Re d'Alglere,
Rodomonte crudele, uccide o fere.
117
Ognun dunque si sforza di salire
Tra il fuoco e le mine in su le mura.
Ma tutti gli altri guardano, se aprire
Aleggiano passo ove sia poca cura :
Sol Rodomonte sprezza di venire,
Se non dove la via meno è sicura.
Dove nel caso disperato e rio
Gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.
118
Armato era d'un forte e duro usbergo,
Che fu di drago una scagliosa pelle. •
Di questo già si cinse il petto e '1 terg^ó
Quello avol suo ch'edificò Babelle, . ,
E si penso cacciar de l'aureo albergo, -
E tórre a Dio il governo de le stelle:
L'elmo e lo scudo fece far perfetto,
E il brando insieme ; e solo a questo effetto.
119
Rodomonte non già men di Nembrotte
Indomito, superbo e furibondo,
Che d' ire al ciel non tarderebbe a notte,
Quando la strada si trovasse al mondo.
Quivi non sta a mirar s' intere o rotte
Sieno le mura, o s'abbia l'acqua fondo:
Passa la fossa, anzi la corre, e vola,
Ne l'acqua e ijel pantan fin alla gola.
• — ' ■ ■-. 120 .
Di fango brutto, e molle d'acqua vanne
Tra il foco e i sassi egli archi e le balestre.
Come andar suol tra le palustri canne
De la nostra Malica porco silvestre, -
Che col petto, col grifo e con le zanne .
Fa, dovunque si volge, ampie finestre. -,
Con lo scudo alto il Saraciu sicuro
Nevieu sprezzando il ciel, non che quel
" 121 , [muro.
Non si tosto all'asciutto è Rodomonte,
Che giunto si senti su le bertresche
Che dentro alla muraglia facean ponte
Capace e largo alle squadre francesche.
Or si vede spezzar più d'una fronte,
Far chieriche maggior de le fratesche,
Braccia e capi volare, e ne la fossa
Cader da muri una fiumana rossa.
122 [prende
Getta il Pagan lo scudo, e a duo man
La crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui venia di là dove discende
L'acqua del Reno nel salato golfo.
Quel miser centra lui non si difende
Meglio che faccia contra il fuoco il zolfo;
E cade in terra, e dà l'ultimo crollo,
pai capo fesso un palmo sotto il collo.
123
Uccise di rovescio in una volta
Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Fraudo :
Il luogo stretto e la gran turba folta
Fece girar si pienamente il brando.
insegne; e Rod. nella bandiera, non nelle
armi.
115. 7. allora a. Fatto a. ecc.; avrebbe fatto
subito quello, che, pur nel giorno stesso, fece
più tardi, quando seppe dal Nano T accaduto
a Doralice (e. xviii, 36) ; cioè sarebbe partito,
lasciando la battaglia. V. e. xxv, 46, n. 4.
116. 3. Spinge il s.; chi è montato secondo
spinge quello che gli è innanzi (ossia chi è
montato primo), perché a sua volta è spinto
da chi monta terzo.
— 6. entri nel g. Si può intendere figu-
rat. come al e. ii, 73; ma anche in senso
proprio perché si trattava di passar la fossa
per arrivare alle mura. ;
117. 7. Dove, laddove, mentre. I
118. 4. Quello avol suo ecc. Questa discen- i
denza di Rod. da Nembrotte, che edificò la j
torre di Babele, l' usbergo e le armi prove- \
untegli pure da lui, sono invenzioni del !
Boiardo, II, vii, 5, xiv, 32; HI, i, 59. |
119. 6. 0 s'abbia l'a. f. ; se la fossa abbia
acqua profonda o no.
120. 4. Mallea; «luogo basso e palustre
nel Ferrarese sulla sinistra del Po di Vo-
lano, poco discosto dal mare, abbondante
anche adesso di cinghiali. E forse da marea
corrottamente fu detto Blallea ». Barotti.
121. 2. si senti ; dai nemici; se lo sentiro-
no — bertresche; bertesche, (etimol. incerta);
Specie di cateratl:e fra merlo e merlo, sulle
mura e sulle torri. Si alzavano e si abbas-
savano per coprire o scoprire i soldati nella
difesa e nell'offesa. Qui però deve intendersi,
non solo queste cateratte, ma anche l'im-
palcato all'altezza della bertesca, sul quale
potessero stare i combattenti.
— S. da muri; dai muri. V. e. ii, 15, S.
122. 2. giunge, colpisce. V. e. x, 104, n. 7.
— 3. dove ecc.; dall'Olanda, dove il Reno
entra nel Zuidersee (salato golfo).
— 8. Dal capo fesso ecc. ; fesso dal capo
a un palmo sotto il collo.
172
ORLANDO FURIOSO
Fn la prima metade a Fiandra tolta,
L'altra scemata al popolo Normando.
Divise appresso da Ja fronte al petto,
Et indi al ventre il Magauzese Orghetto.
Getta da merli Andropouo e Meschino
Giù nella fossa: il primo è sacerdote ;
Non adora il secondo altro che '1 vino,
E le bigonce a un sorso n' ha già vuote.
Come veneno e sangue viperino
L'acque fuggia quanto fuggir si puote:
Or quivi muore; e quel che più l'annoia,
È '1 sentir che ne l'acqua se ne muoia.
125
Tagliò in due parti il Provenzal Luigi,
E passò il petto al Tolosano Arnaldo.
Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi
Mandar lo spirto fuor col sangue caldo;
E presso a questi, quattro da Parigi,
Gualtiero, Satallone, Odo et Ambaldo,
Et altri molti; et io non saprei come
Di tutti nominar la patria e il nome.
126
La turba dietro a Rodomonte presta
Lescaleappoggiaemontainpiùd'un loco.
Quivi non fanno i Parigin più testa;
Che la prima difesa lor vai poco.
San ben, ch'agli nemici assai più resta
Dentro da fare, e non l'avran da gioco;
Perché tra il muro e l'argine secondo
Discende il fosso orribile e profondo.
127
Oltra che i nostri facciano difesa
Dal basso all'alto, e mostrino valore;
123. 5. la prima metade, i primi due dei
quattro suddetti.
124. 1. da m. dai m. V. e. ii, 15, n. 8. Av-
verti che V.\. non ama, come il Boiardo, le
grossolane caruificine; e, pure indulgendo
alla tradizione del poema cavalleresco po-
polare, le rende meno truci con qualche se-
rena immagine, come sopra st. 114, o con
qualche tratto comico, come qui.
— 8. che... muoia, di morire. V. e. i,3S, n. 6.
125. 3. Torse, Tours, città della Turenne,
Dante ha Torso.
126. 7. argine secondo. Quest'argine se-
condo è parte di quelle munizioni accennate
alla st. 106, 2, né pare che abbia che vedere
coU'argine del v. 3: quello muniva la fossa
di cinta e le sponde del fiume, questo è
come un secondo muro di terra inalzato per
ì bisogni del momento un po' discosto dalle
mura di materiale.
— 8. il fosso. Questo, come appare più
sotto, era senz' acqua e preparato con ma-
terie infiammabili.
127. 1. Oltra che... facciano. Per il costrutto
cfr. e. iir, 07, n. 1.
— 2. Dal basso all'alto; dai piedi delle
Nuova gente succede alla contesa
Sopra l'erta pendice interiore.
Che fa con lancie e con saette offesa
I Alia gran moltitudine di fuore,
j Che credo ben che saria stata meno,
i Se non v'era il figliuol del Re Ulieno.
! :. ... .128 . -u
I Egli questi conforta, e quei riprende ;
j E lor mal grado inaiizi se gli caccia :
Ad altri il petto, ad altri il capo fende,
< Che per fuggir veggia voltar la faccia.
j Molti ne spinge et urta; alcuni prende
Pei capelli, pel collo e per le braccia:
E sozzopra là giù tanti ne getta,
j Che quella fossa a capir tutti è stretta.
j 129 ^
] Mentre lo stuol de' Barbari si cala.
Anzi trabocca al periglioso fondo,
Et indi cerca per diversa scala -
Di salir sopra l'argine secondo ;
Il Re di Sarza (come avesse un'ala
Per ciascun de' suoi membri) levò il pondo
Di si gran corpo e con tant'arme indosso,
E netto si lanciò di là dal fosso.
130
Poco era men di trenta piedi, o tanto ;
Et egli il passò destro come un veltro,
E fece nel cader strepito, quanto
Avesse avuto sotto i piedi il feltro:
Et a questo et a quello affrappa il manto.
Come sien l'arme di tenero peltro,
E non di ferro, anzi pur sien di scorza :
Tal la sua spada, e tanta è la sua forza.
131
In questo tempo i nostri, da chi tese
mura contro i nemici, che le hanno occu-
pate.
— 4. pendice ; l'argine secondo.
— 6. di fuore; fuori dell'argine, ossia sulle
mura e fra le mura e la fossa secca.
128. 8. sozzopra; Per sossopra usarono
spesso i Toscani. Buouarr. Tane. 2, 4 ; « La
m' ha messo sozzopra le budella ». E il Sal-
vini annota: « É detto per abbreviatura o
sincope (sottosopra), come oz soldi dice la
plebe invece di otto .soldi ».
129. 3. diversa scala ; diverse scale.
130. 1. piedi. Il piede fu misura diversa
secondo i tempi e i paesi, ma generalmente
fu sempre lunghezza di circa 30 centimetri
— 0 tanto ; o veramente 30 piedi giusti.
I — 5. affrappa il m. ; taglia colla spada le
vesti e le armi facendoli a frappe e sbren-
I doli come fossero di peltro (metallo com-
' posto di stagno raffinato con mercurio : eti-
! mologia ignota). L'immagine del tnanto èl
I introdotta per l'azione del verbo affrappareA
Innam.l, iv,48: « Non dimandar se 'Ifrappa
con Fusberta ».
I 131. 1. da chi ; da cui. V. e. li', 20, n. 8.
CANTO XIV
173
L'insidie son ne la cava profonda,
Che v'iian scope e fascine in copia stese,
Intorno a quai di molta pece abonda,
Né però alcuna si vede palese.
Ben che n' è piena l'una e l'altra sponda
Dal fondo cupo insino all'orlo quasi ;
E senza fin v' hanno appiattati vasi,
132
Qual con salnitro, qual con olio, quale
Con zolfo, qual con altra simil esca :
I nostri in questo tempo, perché male
Ai Saracini il folle ardir riesca,
Ch'eran nel fosso, e per diverse scale
— 2. cava, fossa, elle cinge l'argine se-
condo.
— 4. a quai, alle quali. V. e. li, 15, n. 8.
E serva questo esempio a mostrare che in
tutti quei luoghi, dove la mancanza dell'ar-
ticolo potrebbe far supporre omissione di
apostrofo {Da per da' ; a per a' ecc.) l'A. l
ha omesso veramente l' articolo. — di mol- 1
ta; È d' uso popolare Toscano invece del
semplice molto, sia nel soggetto che nei '
complementi.
— 5. Né però ecc. Intendi che le avevano
nascoste, a gruppi, in incavi fatti nel fondo
e nelle sponde del fosso, celandovi in mezzo
vasi pieni di materie infiammabili. ;
132. 3. I nostri; Riprende il costrutto iu- 1
terrotto nel primo verso della st. prece-
dente.
Credean montar su l'ultima bertresca;
Udito il segno da oportuni lochi,
Di qua e di là fenno avvampare i fuochi.
133
Tornò la fiamma sparsa, tutta in una.
Che tra una ripa e l'altra ha '1 tutto pieno
E tanto ascende in alto, ch'alia luna
Può d'appresso asciugar l'umido seno.
Sopra si volve oscura nebbia e bruna,
Che 'Isole adombra, e spegne ogni sereno.
Sentesi un scoppio iu un perpetuo suono,
Simile a un grande e spaventoso tuono.
134
Aspro concento, orribile armonia
D'alte querele, d'ululi e di strida
De la misera gente che peria
Nel fondo per cagion de la sua guida,
Istranamente concordar s'udia
Col fiero suon de la fiamma omicida.
Non pili. Signor, non più di questo Canto;
Ch'io son già rauco, evo' posarmi alquan-
[to.
133. 4. rnmido seno. La luna è personifica-
ta, e il seno di lei è detto umido, perché
quando essa splende cadono le rugiade.
— 5. oscura nebbia, il fumo denso delle
sostanze infiammate.
— 7. un scoppio ecc. ; uno scoppio di
urli, che spiccano fra la romba delle fiamme,
come un tuono fra la romba del turbine.
La st. seg. è spiegazione di ciò.
CANTO XV
1
Fu il vincer sempre mai laudibilcosa,
Vincasi o per fortuna o per ingegno:
Gli è ver che la vittoria sanguinosa
Spesso far suole il Capitan men degno;
E quella eternamente è gloriosa,
E dei divini onori arriva al segno.
Quando, servando i suoi senza alcun dan-
Si fa che gl'inimici in rotta vanno: [no
1. 3. Gli è ver : Ha forza avversativa : ma
gli è ver.
— 6. arriva al segno ; a. al raggiungi-
mento, fino al punto, dove si meritano onori
divini. Petr. Tr. f. ITI, 4: «Plato, Che 'n
quella schiera andò più presso al segno. Al
quale aggiunge a chi dal cielo è dato ».
— 7. Quando ecc. Completa: quella c/ic si
ottiene, quando ecc.
La vostra. Signor mio, fu degna loda.
Quando al Leone in mar tanto feroce,
Ch'avea occupata l'una e l'altra proda
Del Po, da Francolin sin alla foce.
Faceste si, ch'ancor che ruggir l'oda.
S'io vedrò voi, non tremerò alla voce.
2. 1, loda, Dante, Par. 10, 122: « Se tu
l'occhio della mente trani Di luce in luce
dietro alle mie lode ». Qui loda significa
opera lodevole come nella canzone del Petr.
ai Signori d'Italia : « In qualche bella lode.
In qualche onesto studio si converta ».
— 2. Leone; Venezia. V. e. iii, 49, n. 2.
— 4. Francolin; Terra sul Po, a 40 miglia,
dalla foce, a 5 da Fei-rara, L'A. parla qui
della battaglia della Polesella, di cui fa cenno
anche al e. ni. 57.
174
OKLANDO FURIOSO
Come vincer si de', ne dimostraste;
Ch'uccideste i nemici e noi salvaste.
3 dace,
Qnesto il Pagan, troppo in suo danno aii-
Non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,
Dove la fiamma subita e vorace
Non perdonò ad alcun, ma tutti estiuse.
A tanti non saria stato capace
Tutto il gran fosso, ma il foco restrinse,
Restrinse i corpi e in polve li ridusse,
Acciò ch'abile a tutti il luogo fusse.
4
Undici mila et otto sopra venti
Si ritrovar ne l'affocata buca,
Che v'erano discesi mal contenti;
Ma cosi volle il poco saggio Duca.
Quivi fra tanto lume or sono spenti,
E la vorace fiamma li manuca :
E Rodomonte, causa del mal loro,
Se ne va esente da tanto martore;
5
Che tra' nemici alla ripa più interna
Era passato d'un niirabil salto.
Se con gli altri scendeane la caverna.
Questo era ben il fin d'ogni suo assalto.
Rivolge gli occhi a quella valle inferna;
E quando vede il fuoco andar tant'alto,
E di sua gente il pianto ode e lo strido,
Bestemmia il ciel con spaventoso grido.
6
In tanto il Re Agramante mosso avea
Impetuoso assalto ad una porta;
Che, mentre la crudel battaglia ardea
Quivi ove è tanta gente afflitta e morta,
Quella sprovista forse esser credea
Di guardia, che bastasse alla sua scorta.
Seco era il Re d'Arzilla Bambirago,
E Baliverzo d'ogni vizio vago;
7
E Corineo di Mulga, e Prusione,
— 8. noi, la nostra parte, il nostro eser-
cito. Noi) intendere che l'A. fosse presente
a questa battaglia, giacché in quel giorno
si trovava a Roma; V. e. :;{l, 3.
3. 8. abile ; capace a contenere. Per que-
sto signific. si cita soltanto 1' A. Potrebbe
anche avere il signific. latino di atto, ido-
ìieo.
4. 1. Undici ecc., undicimila vent' otto.
— 5. fra tanto 1. or. s. sp. Questa antitesi
è uno scherzo che giova allo stesso fine di
quella del e. xiv, 121 8.
— 6. manuca; manduca. Èforma frequente
specialmente negli scrittori Toscani auticlii.
5. 1. ripa p. int. ; all'argine secondo. V.
e. XVI, 12e, n. 7.
6. 6. che bastasse ecc.; che bastasse a re-
spingere ia scorta che aveva seco. Oppure:
che bastasse alla difesa della porta stessa.
— 8. d'ogni Tizio Tago; cfr. C. XIV, 24, 3-4.
Il ricco Re de l'Isole beate;
Malabuferso che la regione
Ticn di Fizan, sotto continua estate ;
Altri Signori, et altre assai persone
Esperte ne la guerra e bene armate,
E molti ancor senza valore e nudi,
Che '1 cor non s"armeriau con mille scudi.
8
Trovò tutto il contrario al suo pensiero
In questa parte il Re de' Saracini;
Perché in persona il capo de l'Impero
V'era, Re Carlo, e de' suoi Paladini,
Re Baiamone, et il Danese Uggiero, -
Et ambo i Guidi et ambo gli Angelini,
E '1 Duca di Bavera, e Ganelone,
E Berlengier, e Avolio, e Avino, e Ottone.
9
Gente infinita poi di minor conto
De' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi,
Presente il suo Signor, ciascuno pronto
A farsi riputar fra i pili gagliardi.
Di questo altrove io vo' rendervi conto;
Ch'ad un gran Duca è forza ch'io riguardi,.
Il qual mi grida, e di lontano accenna,
E priega ch'io noi lasci ne la penna.
10
Gli è tempo ch'io ritorni ove lasciai
L'avventuroso Astolfo d' Inghilterra,
Che '1 lungo esilio avendo in odio ormai»
Di desiderio ardea de la sua terra;
Come gli n'aveadata pur assai
I 7. 7. nudi ; senz'armi.
j 8. 4. Paladini. Propriam. i paladini (co-
' mites palatini), che stavano alla corte di
I Carlo M., erano dodici; mala dozzina è va-
I riamente combinata dai romanzieri. I due
I che appariscono più costantemente sono
Orlando e Oliviero. In questo luogo Pala-
din f ha il senso più largo di prodi guer-
rieri. V. e. VII, 20, n. 6.
— 6. ambo i Guidi ; « Quel di Borgogna,,
che porta '1 leone, Negro nell'oro ». Inn. I,
II, 56; « Guido il conte di Monforte, E non
il Borgognon eh' è paladino. Il qual si stava
con Carlo alla corte y> Inn. II, xxiii, 31.
— ambo gli Angelini ; Il « Sir di Bordella
(Bordeaux) » Inti. I, ii, 37; e l'altro, pala-
dino.
— 8. Beri. Avol. Av. 0., sono i quattro fi-
gli di Namo duca di Baviera, che appari-
scono sempre inseparabili, pur neW'Inna-
inorato.
9. 2. Lombardi. Si ricordi che Carlo M.,
vinto Desiderio, si fece re de' Longobardi,.
0 Lombardi.
10. 5. gli ne. V. e. V, 89, n. 4. Abbiamo
qui una costruzione a senso. Invece di de-
siderio della s. t., l'A. ha in niente deside-
rio di rivedere la s. t.; e seguita; secondo-
CANTO XV
r.y
Speme colei clrAlcina vinse in guerra.
Ella di rimandarvilo avea cura
Per la via più espedita e più sicura.
11
E cosi una galea fu apparecchiata,
Di che miglior mai non solcò marina:
E perché ha dubbio pur tutta fiata,
Che non gli turbi il suo viaggio Aleina,
Vuol Logistilla che con forte armata
Audronica ne vada e ISofrosina,
Tanto che nel mar d'Arabi, o nei golfo
De' Persi giunga a salvamento Astolfo.
12
Più tosto vuol che volteggiando rada
Gli Sciti e gì' Indi e i regni Nabatei,
E torni poi per cosi lunga strada
A ritrovare i Persi e gli Eritrei,
Che per quel boreal pelago vada.
Che turban sempre iniqui venti e rei,
E si qualche stagion pover di sole
Che starne senza alcuni mesi suole.
là
La Fata, poi che vide acconcio il tutto,
Diede licenzia al Duca di partire,
Avendol prima ammaestrato e instrutto
Di cose assai, che fora lungo a dire:
E per schivar che non sia più ridutto
che di ciò gli avea data assai sper. anche
Logist.
— G. colei ecc. Logistilla. V. e. x, 53 e66.
. 11. 6. Andronica. Sofr. ; V. e. x, 52.
— 7, d'Arabi; degli Arabi. V. e. u, 15,
n. S.
12. 2. Gli Sciti ecc. Ecco il viaggio d'A-
stolfo : muove dal Giappone o altra isola vi-
cina (isola di Logistilla); costeggia il Catai
(che avea popoli di nazione Scitica), l'India
e, in generale, quelle regioni orientali (re-
gni Nabatei. Dai poeti son detti Nabatei
tutti gli orientali: efr. e. i, 55); vede le nu-
merosissime isole del mar della China e del
mare Indiano, gira le Indie e riesce nel
golfo Persico. Di 11 scende in terra, traver-
sa la parte settentrionale dell'Arabia Felice
e, andando a nord-ovest, riesce all' ismo di
Suez. I
— 5. boreal pelago ; il mar glaciale artico; '
per il quale si è tentato più volte invano di
giungere nei paesi dell'estremo oriente.
13. 3. ammaestr. u instr. V. e. vi, 56, n. S.
— 5. per schiv. che non. Son notevoli l'in-
finito, e il costrutto negativo. L' infinito è
usato in modo indetermiuato e impersonale,
perché si evitasse, fosse evitato che ecc. ■
É comune ancora nel linguaggio parlato :
es. : Per evitar le disgrazie lo mandai per
la strada migliore. Per il costrutto nega- ,
tivo non si cita dai vocabolari né questo né
altri esempi; ma è uso affine a quello del
verbo vietare, notato nel e. v, 53, 1. i
Per arte maga, onde non possa uscire.
Un bello et util libro gli avea dato.
Che per suo amore avesse ogn'ora allato
14
Come l'uora riparar debba agl'incanti
Mostra il libretto che costei gli diede •
Dove ne tratta o più dietro o più inanti
Per rubrica e per indice si vede.
Un altro don gli fece ancor, che quanti
Doni tur mai, di gran vantaggio eccede •
E questo fu d'orribil suono un corno.
Che fa fuggire ognun che l'ode intorno.
15
Dico che '1 corno è di si orribil suono,
Ch ovunque s'oda, fa fuggir la gente.
Non può trovarsi al mondo un cor si buono.
Che possa non fuggir come lo sente.
Rumor di vento e di termuoto, e '1 tuono,
A par del suon di questo, era niente.
Con molto riferir di grazie, prese
Da la Fata licenzia il buono Inglese.
16
Lasciando il porto e l'onde più tranquille
Con felice aura ch'alia poppa spira.
Sopra le ricche e populose ville
De l'odorifera India il Duca gira.
Scoprendo a destra et a sinistra mille
Isole sparse; e tanto va, che mira
La terra di Tomaso, onde il nocchiero
I — 6. maga, magica. Petr. i, son. 69 : « Ma
: forza assai maggior che d'arti maghe ».
I — 7. libro. Avverte il Kaiua che que-
st'idea del libro per riparare agli incanti
è già iiell' Inu., dove Orlando riceve un libro
per espugnare il giardino di Falerina; II,
IV. Prima del Boiardo tale fantasia la tro-
viamo appena in qualche altro romanzo ca-
valleresco. Dei comi invece ne abbiamo mol-
tissimi nella letteratura cavalieresca, a co-
minciare dal famoso Olifant di Oi'laudo,
che però non aveva virtù magica.
— 8. Che... avesse, perché lo avesse. È il
relativo finale, imitato dai Latini «homini
natura rationem dedit, qua (ut ea) rege-
rentur animi appetitus «. (Cicer.).
14. 8. intorno; tutti quelli che sono all'in-
torno di chi lo suona.
15. 3. buono, iinperteri'ito, forte. Bocc,
nov. 17 : « Ora io vo : aspettati e sia di buon
cuore (di animo forte) ».
— 5. termuoto. È forma non registrata
dai vocabol.
— 7. riferir di grazie; V. e. vi, SI, n. 1.
16. 3. ville ; città. Dante, Inf., 23, 95 :
« Sovra '1 bel fiume d'Arno alla gran villa ».
Villa per città si trova già nel latino del v
secolo. Rut. Numaziano nell' Itinerario scri-
ve : « Xunc villae ingentes, oppida parva
prius ».
— 7, La terra di T. Il luogo non facile fu
176
ORLANDO FURIOSO
Pili a Tramontana poi volge il sentiero.
17
Quasi radendo l'aurea Chersonesso,
La bella armata il gran pelago frange:
E costeggiando i ricchi liti, spesso
Vede come nel mar biancheggi il Gange;
E Taprobane vede, e Cori appresso;
E vede il mar che trai duo liti s'ange.
Dopo gran via furo a Cechino, e quindi
Uscirò fuor dei termini degl'Indi.
18
Scorrendo il Duca il mar con si fedele
E si sicura scorta, intender vuole,
E ne domanda Andronica, se de le
Parti ch'han nome dal cader del sole.
Mai leguo alcun che vada a remi e a vele.
Nel mare orientale apparir suole;
E s'andar può senza toccar mai terra.
Chi d'India scioglia, in Francia o in Inghil-
19 [terra.
Tu dèi sapere (Andronica risponde)
Che d'ognintorno il mar la terra abbraccia;
E van l'una ne l'altra tutte l'onde.
Sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia.
chiarito dal Bolza. S. Tommaso apostolo
subì il martirio a Maliapur, nella provincia
di Maabar, sulla costa orientale della peni-
sola indiana di qua dal Gange ; ma 1 geo-
grafi antichi prima del 1550 mettevano la
provincia di Maabar e ì" isola di Taprobane
(Ceylon) assai di là dal Gange e precisa-
mente nell'odierno impero di Annam. Si ag-
giunga che in quelle carte questa penisola
scende più a Sud della penisola di Malacca
(Aurea Chersoneso). Quindi l'A. potè dire,
attenendosi a quelle carte, che Astolfo, vista
la terra di Tommaso, voltò a tramontana,
radendo l'Aurea Chers.
17. 1. a. Chersoneso. Oggi penisola di Ma-
lacca. Chersoneso fu per gli antichi nome
comune, che valeva penisola (gr. Chèrsos,
asciutto, nésos isola), e si determinava con
aggiunti diversi, come Ch. Taurica, Thra-
cica ecc. Questa fu detta aurea per l'oro
che se ne traeva.
— 3. spesso. Perché le molle bocche del
Gange si estendono per lungo tratto.
— 5. Taprobane e Taprobana era chia-
mata, latinamente, dagli antichi l'isola di
Ceylon — Cori (lat. Cory), il punto di con-
tro a Ramiseram e Ceylon.
— 6. il mar ecc. lo stretto di Manaar.
— 7. Cechino, Cochin, sulla costa di Ma-
labar.
18. Da questa stanza a tutta la 36 è una
giunta fatta per Tediz. del 1532, forse in
grazia delle buone relazioni, che passavano
allora fra Carlo V e il duca di Ferrara.
— 8. scioglia, sciolga, salpi. V. e. x, 44, 1.
19. 4. dove bolle ecc. ; dove l'acqua è calda
Ma perché qui davante si diffonde,
E sotto il Mezzodì molto si caccia
La terra d'Etiopia, alcuno ha detto
Ch'a Nettuno ir pili inanzi ivi è interdetto.
20
Per questo dal nostro Indico Levante
Nave non è che per Europa scioglia;
Né si muove d'Europa navigante
Ch'in queste nostre parti arrivar voglia.
Il ritrovarsi questa terra avante
E questi e quelli al ritornare invoglia;
Che credano, veggendola si lunga,
Che con l'altro emisperio si congiunga.
21
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire
Da l'estreme contrade di Ponente
Nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
La strada ignota in fin al di presente :
Altri volteggiar l'Africa, e seguire
Tanto la costa de la negra gente,
Che passino quel segno onde ritorno
Fa il sole a noi, lasciando il Capricorno :
per il calore del soie; i mari equatoriali —
aggiaccia; V. e. I, li, n. 1. L'A., accennando
alla comunicazione di tutti i mari, fra loro,
mostra di conoscere l'opinione di Plinio che
anche il Caspio abbia comunicazioni sot-
terranee, opinione esclusa dalla moderna
scienza.
— 6. Mezzodì; l'Equatore.
20. 2. Nave non è ecc. L'A. nel e. xxvit,
55 ammette col Boiardo, non ricordando
questo luogo, che Gradasso facesse, per ve-
nire in Francia, il giro dell'Affrica.
— 5. Il ritrovarsi ecc. Il ritrovarsi la terra
d'Etiopia cosi avanti, al di sotto dell'Equa-
tore.
21. 3. Argonauti. Furono, secondo il mito,
alcuni Greci, che sulla nave Argo, gover-
nata dal pilota Tifi, andarono nella Colchide
alla conquista del vello d'oro. Qui si accenna
ai Portoghesi e agli Spagnuoli, che si spin-
sero per i primi nell'Atlantico.
— 4. di presente, fino a quel giorno, di
cui ti parlo. Altri scrittori prima dell' A. usa-
rono pres<?« «e, riferendolo al tempo del qua-
le si parla, non a quello nel quale si parla.
Villani, 7, 21 : «Lo re Carlo si venne di Pu-
glia in Toscana ed il presente mese d'Agosto
(80 anni prima del tempo in cui il Vili, scri-
veva) con sua baronia entrò in Firenze ».
— 5. Altri; alcuni di essi. Vasco di Gama,
nel 1497 passò pel primo il capo di B. Spe-
ranza, che è al di sotto del tropico del Ca-
pricorno, e girando l'Affrica arrivò poi fino
al Malabar — volteggiar, girare attorno.
Caro, En. 3, 755: « Ma fa mestier di volteg-
giarla (l' Italia) ancora ».
— 7. Che passino, da passare. V. e. i, 38,
n. t).
CANTO XV
177
22
E ritrovar del lungo tratto il fine,
Che questo fa parer dui mar diversi;
E scorrer tutti i liti e le vicine
Isole d'Indi, d'Arabi e di Persi :
Altri lasciar le destre e le mancine
Rive che due per opra Erculea fèrsi :
E del sole imitando il camin tondo,
Ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
23
Veggio la Santa Croce, e veggio i segni
Imperiai nel verde lito eretti:
Veggio altri a guardia dei battuti legni,
Altri all'acquisto del paese eletti:
Veggio da dieci cacciar mille, e i regni
Di là da l'India ad Aragon suggetti ;
E veggio i capitan di Carlo Quinto,
Dovunque vanno, aver per tutto vinto.
24
Dio vuol ch'ascosa autiquamente questa
Strada sia stata, e ancor gran tempo stia;
Né che prima si sappia che la sesta
22. 1. del 1. tr. il f., il fine di quel lungo
tratto di terra, che riesce al capo di B. Spe-
ranza.
— 2. questo; l'oceano, che da una parte
del capo si dice Atlantico, dall'altra ludiano.
— 5. le destre e le m.. Lo Stretto di Gi-
bilterra. V'. e. IV, 61, n. 8. Dice la favola che
Ercole separò le due montagne Abila e Calpe
per mettere il Mediterraneo in comunica-
zione coH'Atlantico — Altri. Cristoforo Co-
lombo, e gli altri che continuarono l'opera
di lui. Anche il Tasso, Ger. 15, 30, disse
Crist. Colombo « vittorioso ed emulo del
Sole ».
23. 1. la Santa Cr. ; il cristianesimo por-
tato in quelle regioni — i segni Imp. ; la ban-
diera dell' imperatore Carlo V che Cortes e
Pizzarro alzarono nel nuovo mondo. Segni
per bandiere, dal lat. signa, per lo più è
poetico, ma si trova anche in prosa.
— 3. altri a sguardia ecc. Accenna, in ge-
nere, all' uso dei conquistatori del nuovo
mondo, dei quali una parte restava a guar-
dia delle navi, una parte avanzava nelle
nuove terre per riconoscerle.
— 5. Vegg. da dieci e. m. ; veggio cacciar
(esser cacciati) mille da dieci. Su questo co-
strutto, che è una proprietà della nostra
lingua, cfr. Fornaciari, Sint. p. 202-3. Fer-
nando Cortes conquistò il Messico con po-
che centinaia di uomini; ma forse l'A. ac-
cenna, in generale, alle lotte fra i pochi
conquistatori bene armati e i molti selvaggi
indigeni.
24. 3. la sesta e la 8. e. ecc. Dall' viii se-
colo, quando visse Carlo Magno, al sec. xv
e XVI, quando si fecero queste scoperte, cor-
rono sei o sette secoli. Età per secolo è la-
fi la settima età passata sia:
E serba a farla al tempo manifesta.
Che vorrà porre il mondo a monarchia
Sotto il più saggio imperatore e giusto.
Che sia stato o sarà mai dopo Augusto.
25
Del sangue d'Austria e d'Aragon io veg-
Nascer sul Reno alla sinistra riva [gio
Un Principe, al valor del qual pareggio
Nessun valor, di cui si parli o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio,
Anzi di morta ritornata viva;
E le virtù che cacciò il mondo, quando
Lei cacciò ancora, uscir per lui di bando.
26
Per questi merli la Bontà suprema
Non solamente di quel grande impero
Ha disegnato ch'abbia diadema,
Ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo ;
Ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,
Chemainéalsol né all'anno apre il aentie-
E vuol che sotto a questo Imperatore [ro:
Solo un ovile sia, solo un pastore.
27
E perch'abbian più facile successo
Gli ordini in cielo eternamente scritti,
Gli pon la somma Providenzia appi-esso
In mare e in terra capitani invitti.
tinismo usato più spesso nella nostra lingua
dai traduttori.
j — 7. il più saggio ecc. Si ricordi che dal
1526 al 1532, quando sembra scritta questa
I aggiunta, le corrispondenze politiche fra i
Duchi di Ferrara e Carlo V furono eccel-
I lenti; perciò il poeta colse l'occasione di
celebrare il Monarca, come Alfonso I di cat-
! tivarselo.
25. 1. Del sangue ecc. Carlo V era nato
a Gand in Fiandra (sul Reno) (1500) da Fi-
lippo d'Austria e Giovanna, detta la folle,
1 figliuola di Ferdinando re d'Aragona e d'Isa-
bella regina di Castiglia.
— 5. Astrea, dea della giustizia. Secondo
il mito abitava la terra nell'età dell'oro, ma
la corruzione degli uomini la obbligò a fug-
: gire in cielo.
i 26. 4. Marco, Severo; M. Aurelio, Settimio
' Sev. L'.-^. sceglie questi imperatori piutto-
sto che altri, perché alla prodezza congiun-
sero il senno. — Che, è relat. d' impero.
— 5. ogni terra ecc. ; le regioni polari,
■ dove non arriva il sole e non si alternano
le stagioni (anno). È espressione virgiliana,
I Georg', ir, 340: « lacet extra sidera tellus
I Extra anni solisque vias ».
I — 8. Solo un ovile ecc. L'A. adatta al con-
cetto politico l'espressione religiosa del van-
gelo, S. Giov. 10, 16 : « Et fìat unum ovile et
unus pastor».
Ariosto — Papinì
12
178
ORLANDO FURIOSO
Veggio Ernando Cortese, il qualeha messo
Nuove città sotto i Cesarei editti,
E regni in Oriente si remoti,
Ch' a noi, che siamo in India, non son noti.
28
Veggio Prosper Colonna, e di Pescara
Veggio nn Marchese, e veggio dopo loro
Un giovane del Vasto, che fan cara
Parer la bella Italia ai Gigli d'oro:
Veggio ch'entrare inanzi si prepara
Quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro;
Come buon corridor ch'ultimo lassa
Le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.
29
Veggio tanto il valor, veggio la fede
Tanta d'Alfonso (che '1 suo nome è questo),
Ch'in cosi acerba età che non eccede
Dopo il vigesirao anno ancora il sesto,
L'Imperator l'esercito gli crede,
27. 5. Ernando C. ; Fernando Cortes, che
conquistò il Messico, Il nome ha la forma
Spagnuola.
— 7. regni in 0. ecc.; regni posti ad
Oriente, ma cosi lontani, che neppure a noi,
che pur siamo in Oriente, son noti.
28. 1. Prosper C. (m. 1523); uno dei più
grandi capitani del seo. xv e xvi. Combatté
prima coi Francesi, poi contro di loro per
la Spagna.
— 2. nn Marchese, Francesco d'Avalos, mar-
chese di Pescara, marito di Vittoria Colonna
e celebre capitano (m. 1525).
— 3. Un giovane d. V., Alfonso d'Avalos,
cugino di Francesco e marchese del Vasto
(territorio in quel di Chieti); le cui lodi
vedi anche nel e xxxiii, 47 segg. Queste
stanze e quelle furono scritte probabilmente
dopo l'ottobre del 1531, quando l'A., man-
dato ad Alfonso d'Avalos, che comandava
le truppe imperiali a Mantova, a doman-
dare aiuto contro il papa Clemente VII che
voleva ritoglier Carpi al duca di Ferrara,
ebbe da quel generale cortesi accoglienze,
magnifici regali e una pensione annua di
cento ducati per sé e per i suoi eredi. — fan
cara P. fan parere ai Francesi troppo caro
il prezzo di tanto sangue e di tante fatiche
per toglier P Italia a Carlo V.
— 5. entrare inanzi, a correre avanti. Il
marchese del Vasto successe al Pescara nel
comando degli eserciti di Carlo V (1525) e fu
assaivaloroso; ma èpredilezionedell'A. farlo
superiore agli altri due ; predilezione, che si
spiega pensando che questi era vivente e glo-
rioso, gli altri già morti, quando il poeta scri-
veva. Per l'espress. V.c. xxxii, 59, n. 7.
— 8. Le mosse; Voce tecnica nelle corse
di cavalli per indicare il punto di partenza.
^- giunge, raggiunge: sottint. gli altri.
29. 5. gli crede; gli affida (lat. credere).
È frequente nella letteratura.
Il qual salvando, salvar non che '1 resto,
Ma farsi tutto il mondo ubidiente
Con questo capitan sarà possente.
30 [ra
Come conquesti,ovnnqueandarperter-
Sì possa, accrescerà l'imperio antico;
Cosi per tutto il mar ch'in mezzo serra
Di là l'Europa, e di qua l'Afro aprico,
Sarà vittorioso in ogni guerra,
Poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico.
Questo è quel Doria che fa dai pirati
Sicuro il vostro mar per tutti i lati.
:-51
Non fu Porapeio a par di costui degno.
Se ben vinse e cacciò tutti i corsari;
Però che quelli al più possente regno
Che fosse mai, non poteano esser pari:
Ma questo Doria sol col proprio ingegno
E proprie forze purgherà quei mari;
Si che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda
Il nome suo, tremar veggio ogni proda.
32
Sotto la fede entrar, sotto la scorta
Di questo capitan di ch'ioti parlo,
— 6. H qual salvando; salvando il qual
capitano da quella morte che gli rapirà il
Colonna e il Pescara ecc. — salvar non che;
non che a salvar. V. tali inversioni al e. xiii,
77, 5; XIV, 51, 4 ecc. Per l'omissione della
prep. a davanti a quest'infinito e al seguen-
te farsi cfr. e. i, 4, n. 1.
30. 3. ch'in mezzo ecc.; cui in m. Il Me-
diterraneo, cui serrano in mezzo l' Europa
e l'Affrica.
— 4. di qua. Andronica, che parla, è nel-
l'Oceano Indiano e per ciò dice di qua —
aprico, esposto al Sole. Persio, Sat. 5, 179,
disse aprici senes, i vecchi, che stanno a
prèndere il Sole.
— 6. Andrea Doria, che prima tenea le
parti Francesi, nel 1528 per liberare la sua
patria Genova passò a Carlo V e cacciò i
Francesi da Napoli e da Genova.
— 7. dai pirati. Il Doria con dodici sue
galee andò liberando i porti e le marine dai
pirati; e il Barbarossa, celebre corsaro del
tempo, più volte fuggi di venire alle mani
con lui e lasciò i nostri mari.
31. 7. Calpe; la ru%ie di Gibilterra. Que-
sta rupe e il Nilo sono appunto i due estremi
ovest-est del Mediterraneo.
— 8. proda; Forse prua, nave; V. e. xviii,
140, 7; 0 anche ogni lido, cioè ogni terra;
V. e. XIX, 61, 1.
32. 1. Sotto ecc. Carlo V, movendo da
Barcellona per venire in Italia a prender
la corona (alla corona) a Bologna (1529), sbar-
cò a Genova, della quale il Doria, che ne
avea cacciati i Francesi, gli aperse le porte
e lo ricevè onorevolmente.
CANTO XV
179
Veggio in Italia, ove da lui la porta
Gli sarà aperta, alla corona Carlo.
Veggio che '1 premio che di ciò riporta,
Non tien per sé, ma fa alla patria darlo:
Con prieghi ottien ch'in libertà la metta,
Dove altri a sé l'avria forse suggetta.
33
Questa pietà ch'egli alla patria mostra,
È degna di più onor d'ogni battaglia [stra
Ch'in Francia© in Spagna o ne la terra vo-
Vincesse Giulio, o in Africa o in Tessaglia.
Né il grande Ottavio, né chi seco giostra
Di par, Antonio, in più onoranza saglia
Pei gesti suoi; ch'ogni lor laude ammorza
L'avere usato alla lor patria forza.
34
Questi et ogn'altro che la patria tenta
Di libera far serva, si arrossisca;
Né dove il nome d'Andrea Doria senta.
Di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.
Veggio Carlo che '1 premio gli augumenta;
Ch'oltre quel ch'in commun vuol che frui-
Gli dà la ricca terra ch'ai Normandi [sca,
Sarà principio a farli in Puglia grandi.
35
A questo Capitan non pur cortese
Il magnanimo Carlo ha da mostrarsi.
Ma a quanti avrà ne le Cesaree imprese
Del sangue lor non ritrovati scarsi.
D'aver città, d'aver tutto un paese
Donato a un suo ledei, più rallegrarsi
Lo veggio, e a tutti quei che ne son degni.
Che d'acquistar nuov'altri imperii eregni.
3G
Cosi de le vittorie le qiial, poi
Ch'un gran numero d'anni sarà corso,
Daranno a Carlo i capitani suoi,
Facea col Duca Andronica discorso:
E la compagna intanto ai venti Eoi
Viene allentando e raccogliendo il morso;
E fa ch'or questo or quel propizio l'esce;
E come vuol., ii rainuisce e cresce.
37
Veduto nvtario intanto il mar de' Persi
''ome in ei "argo spazio si dilaghi;
, Onde vicini in pochi giorni férsi
! Al golfo che nomar gli antiqui Maghi.
Quivi pigliare il porto, e fur conversi
■ Con la poppa alla ripa i legni vaghi ;
; Quindi sicur d'Alcina e di sua guerra,
I Astolfo il suo camin prese per terra.
i 38 [SCO,
I Passòper più d'uà campo e più d'un bo-
; Per più d'un monte e per più d'una valle;
Ove ebbe spes o, all'aer chiaro e al fosco,
I ladroni or in^nzi or alle spalle.
: Vide leoni, e d/aghi pien di tosco,
: Et altre fere attraversarsi il calle ;
' Ma non si tosto avea la bocca al corno,
j Che spaventati gli fuggian dintorno,
j 39
Vien per l'Arabia eh' è detta Felice
Ricca di mirra e d'odorato incenso,
; Che per suo albergo l'unica Fenice
I Eletto s'ha di tutto il mondo immenso;
— 5. Veggio ecc. Il Doria ebbe in otterta
il principato di Genova, ma egli preferi che
l'Imperatore la mantenesse libera.
33. 4. Giulio; G. Cesare combatté in Gal-
lia per la repubblica, in Spagna contro i
Pompeiani, a Farsaglia (Tessaglia) contro
Pompeo, in Affrica di nuovo contro i Pom-
peiani. Dalla Gallia passò in Brettagna {la
terra vostra, perché Astolfo era Inglese).
34; 6. in commnn ; in comune coi suoi
concittadini godeva della libertà ottenuta.
— 7. la ricca terra, la signoria di Melfi,
in Basilicata, che occupata da Guglielmo
Normanno fu il punto fisso, donde mossero
i Normanni alla conquista della Puglia e
della Sicilia (sec. xi).
35. 2. ha da m., si mostrerà. 11 verbo avere
seguito da » o da coU'infin. significa più
comunem. dovere, ma anche azione futura.
Dante, Purg. 24, 88: «Non hanno molto a
volger queste ruote ». E l'A. al e. v, 92, 7.
— 4. Scarsi, avari. Petr. ii Son. 52: « Ilo
servito a Signor crudele e scarso ».
— 6. a un s. fedel ; È sempre, il Daria.
36. 5. venti Eoi ; venti che vengono dal-
l'Oriente. V. e. I, 7.
— 6. race, il morso ; ora li fa soffiare, ora
li raffrena. Per il modo raccogliere il m.
cfr. e. XI, 1, n. 1.
— 7. l'esce, le esce, le riesce. V. e. vii,
35, n. 8.
37. 1. mar de' P.; golfo Persico.
— 4. Al golfo ecc.; Magorum Sinus, oggi
Bahrein. Seno e porto nel golfo Persico,
che prese nome dai Maghi o Magi, antica
tribù della Persia, che formava come una
casta sacerdotale e che per qualche tempo
usurpò quel regno. — nomar, dettero il
nome.
— 5. fur conversi ecc. È immagine Vir-
giliana, En. 6, 3: « oljvertunt pelago pro-
ras ». Gli antichi, arrivati al lido, approda-
vano colla poppa rivolta a terra: cosi le
navi potevan riprendere il mare senza es-
sere altrimenti girate.
— 6 vaghi, vaganti. V. e. vii, 45, n. 3.
38. G. attraversarsi ; attraversare a sé. Re-
golami, dovrebbe dire attraversargli, per-
ché il pronome appartiene a una proposi-
zione, che ha per soggetto leoni, draghi,
ecc. V. e. xii, G6, n. 0.
39. 3. l'unica F. Ovidio, Met., 15, 373:
« Una est, quae reparet seque ipsa resemi-
net ales ». Dalle ceneri di quell' unica rina-
sce, secondo la favola, l'altra, che le succe-
ISO
ORLANDO FURIOSO
Fin che Tonda trovò vendicatrice
Già d'Israel, che per diviu consenso
Faraone sommerse e tutti i suoi:
E poi venne alla terra degli Eroi.
40
Lungo il fiume Traiano egli cavalca
Su quel destrier ch'ai mondo è senzapare,
Che tanto leggermente e corre e valca,
Che ne l'arena l'orma non n'appare:
L'erba non pur, non pur la nieve calca;
Coi piedi asciutti andar potria sul mare;
E si si stende al corso, e si s'affretta,
Che passa e vento e folgore e saetta.
41
Questo è il destrier che fu de l'Argalia,
Che di fiamma e di vento era concetto;
E senza fieno e biada, si nutria
De l'aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il Duca la sua via,
Dove dà il Nilo a quel fiume ricetto;
de. L'epiteto di imica è di OviOio, 2, Amor.
6, 54 : « Phoenix, uuica seniper avis ».
— 5. l'onda... vendic, il Mar Rosso, dove
furono sommei'si gli Egiziani che insegui-
vano gli Israeliti fuggenti.
— 8. terra degli E. Heroopolis, città del-
l'Egitto antico, sul golfo di Suez: i suoi
ruderi sono presso la moderna Abu-Key-
scheid.
40. 1. fiume Tr.; Deve intendersi l'antico
Ptolomeus canalis o Trajamix canalis. In-
cominciato da Seti I. riaperto e compiuto
da Neco, riattato da Tolomeo e poi da Tra-
iano, andava dal Nilo al golfo di Suez. Lo
dice fiume, perché cosi è desiguato nelle an-
tiche carte.
— 2. quel destrier, Rabicano. È creazione
del Boiardo, Inn. I, xiii, 4 : « di fuoco e
di favilla pura Fatta fu una cavalla a com-
pimento... Questa da poi si fé pregna di
vento. Nacque il destrier veloce a dismisura.
Ch'erba di prato né biada rodea. Ma sola-
mente d'aria si pascea ». Ucciso l'Argalia,
che ne era il padrone, fuggi nella spelonca
ove era nato, e qui era custodito da un gi-
gante. Rinaldo uccise il gigante e prese il ca-
vallo, che dette poi ad Astolfo. Cosi U Boiardo.
— 3. valca ; valici), passa da luogo a luo-
go. Dante, Pury. 27, 97, ha valco.
— 5. non pur; né pur ; ma in questo sen-
so le due parole si separano generalmente
con qualche altra. Petr. i, son. 3 : « a voi
armata non mostrar pur V arco ».
41. 6. Dove da il N. ecc.; dove il Nilo ri-
ceve il canale Traiano. Ciò dice secondo
l'opinione di alcuni geo'grafi antichi (peres.
Frane. Berlinghieri lib. IV, e. 7) che il Nilo
fosse più basso del livello del Mar Rosso e
che quindi il canale scorresse da levante al
Mio. Sappiamo invece da moderne indagini
E prima che giuguesae in su la foce,
Vide un legno venir a sé veloce.
42
Naviga in su la poppa uno Eremita
Con bianca barba, a mezzo il petto lunga,
Che sopra il legno il Paladino invita,
E : Figliuol mio, gli grida da la lunga,
Se non t' è in odio la tua propria vita.
Se non brami che morte oggi ti giunga,
Venir ti piaccia su quest'altra arena;
Ch'a morir quella via dritto ti mena.
43
Tu non andrai piiicheseimigliainante.
Che troverai la sanguinosa stanza
Dove s'alberga un orribil gigante
Che d'otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavallier né viandante
Di partirsi da lui, vivo, speranza:
Ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia ;
Molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.
44
Piacer, fra tanta crudeltà, si prende
D'una rete ch'egli ha, molto ben fatta;
Poco lontana al tetto suo la tende,
E nella trita polve in modo appiatta,
Che chi prima noi sa, non la comprende;
Tanto è sottil, tanto egli ben l'adatta:
E con tai gridi i peregrin minaccia,
Che spaventati dentro ve li caccia.
45
E con gran risa, avviluppati in quella
Se li strascina sotto il suo coperto ;
Né cavallier riguarda né donzella,
O sia di grande o sia di picciol merto;
E mangiata la carne, e le cervella
che il Mar Rosso è presso Suez un po' più
basso del Nilo.
42. 4. da la lunga, e da la lungi, dissero
i nostri scrittori per da lontano. Bocc. Nov.
75 : « Costoro dalla lungi cominciarono a
ridere di questo fatto ».
43. 3. s'alberga. La forma rifless. non è
citata dai vocabol.
44. 2. una rete. Una rete cosi invisibile
tende, xieW'Inn. I, v, Sl-84, il gigante Zam-
baldo, ucciso poi da Orlando. Quindi l'A.
ha tolto l'idea, che, forse, il Boiardo avea
tratto, alla sua volta, dalla rete invisibile
di Vulcauo.
— 5. non la compr.; non la scorge. Cosi
anche al e. xxii, 37. Dante, Purg. 31, 78:
« Posarsi quelle prime creature Da loro
aspersion l'occhio comprese ».
45. 2. coperto ; luogo coperto con tetto.
Guicciardini, St. I. 2, 43 : « Non v'era quasi
coperto alcuno ».
— 3. riguarda; ha riguardo. Bocc. Nov.
1 : «e dalla corte fu riguardato (gli fu usato
riguardo) ».
CANTO XV
181
Succhiate e '1 sangue, dà l'ossa al deserto;
E de l'umane pelli intorno intorno
Fa il suo palazzo orribilmente adorno.
46
Prendi quest'altra via, prendila, figlio,
Che fin al mar ti fia tutta sicura.
Io ti ringrazio, padre, del consiglio
(Rispose il Cavallier senza paura);
Ma non istimo per l'onor periglio,
Di ch'assai più che de la vita ho cura.
Per far ch'io passi, in van tu parli meco;
Anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.
47
Fuggendo, posso con disnor salvarmi;
Ma tal salute ho più che morte a schivo.
.S'io vi vo,alpeggiochepotrà incontrarmi,
Fra molti resterò di vita privo ;
Ma quando Dio cosi mi drizzi l'armi.
Che colui morto, et io rimanga vivo.
Sicura a mille renderò la via;
Si che l'util maggior che '1 danno fia.
48
Metto all' incontro la morte d'un solo
Alla salute di gente infinita.
Vattene in pace (rispose), figliuolo;
Dio mandi in difension de la tua vita
L'Arcangelo Michel dal sommo polo:
E benedillo il semplice Eremita.
Astolfo lungo il Nil tenne la strada.
Sperando più nel suon, che ne la spada.
49
Giace tra l'alto fiume e la palude
Picciol sentier ne l'arenosa riva:
La solitaria casa lo richiude,
D'umanitade e di commercio priva.
— 8. palazzo. È veramente un palazzo
come appare dalla St. 49, 7; ma nella st.
seg. lo dice speco perché appartato e soli-
tario come una spelonca; e una fiera, non
un uomo, l'abitava.
47. 2. a schiTo, a schifo. V. e. vii, 71,
n. 8.
— 8. l'ntil ecc. l'utile possibile sarà mag-
giore del danno possibile.
48. 1. all'ine; a confi'onto. Cosi anche
al e. xxxvi, 27, 6. AlVinconti'o si costruisce
con a e con di.
— 5. sommo polo; dall'alto cielo.
— 8. nel suon, del suo corno.
49. 1. la palude. Il Nilo colle frequenti
inondazioni rende paludoso il terreno cir-
costante.
— 3. richiAe, chiude. Petr. Ili, Son. 8 :
«richiudete... La strada (gli occhi) a' messi
suoi, ch'indi passare».
— 4. commercio, compagnia. Guicciard.
S. I. 2, 214 : « Attribuiremo alla tua virtù,
che godiamo il commercio degli uomini ».
La descrizione di questo luogo ha partico-
lari tolti dalla descrizione di Rocca crudele,
Son fisse intorno teste e membra nude
De l'infelice gente che v'an'iva.
Non v' è finestra, non v'è merlo alcuno.
Onde penderne almen non si veggia uno.
50
Qual ne le alpine ville' o ne' castelli
Suol cacciator che gran perigli ha scorsi,
Su le porte attaccar l'irsute pelli,
L'orride zampe e i grossi capi d'orsi;
Tal dimostrava il fier gigante quelli
Che di maggior virtù gli eran* occorsi.
D'altri infiniti sparse appaion l'ossa:
Et è di sangue «man piena ogni fossa.
51
Stassi Caligorante in su la porta;
Che cosi ha nome il dispietato mostro
Ch'orna la sua magion di gente morta,
Come alcun suol di panni d'oro o d'ostio.
Costui per gaudio a pena si comporta,
Come il Duca lontan se gli è dimostro ;
Ch'eran duo mesi, e il terzo ne venia,
Che non fu cavallier per quella via.
52
Ver la palude, ch'era scura e folta
j Di verdi canne, in gran fretta ne viene;
Che disegnato avea correre in volta
E uscire al Paladin dietro alle schene;
Che ne la rete, che tenea sepolta
Sotto la polve, di cacciarlo ha spene.
Come avea fatto gli altri peregrini
Che quivi tratto avean lor rei destini.
Inn., I, vili, 25; e da quella, che Vii"gilio
fa della spelonca di Caco, En. 8, 195 seg.
50. 2. ha scorsi; ha passati. È affine a
quel di Dante, Inf., 19, 68: «Che tu abbi
però la ripa scorsa (percorsa) » ; ma non è
registrato, in questo senso, nei vocabol.
— 5. dimostrava, mostrava, metteva in
mostra. Cellini, Oref., 12: « La mia forma
di figura si veniva a dimostrare ».
51. 1. Caligorante; È nome, avverte il
Raina, ispirato da quello di Calogriant o
Cologrenanz, che si trova nei romanzi della
Tavola Rotonda.
— 5. si comporta; si contiene. Cellini,
Vita, 338 : « Non mi potendo comportare
colle ribalderie di quei Francesi ». Ma è poco
usato.
52. 3. corr. in volta, girare al largo. Que-
sto senso non è registrato dai vocab.
— 6. cacciarlo; spingerlo a forza, incal-
zandolo alle spalle.
— 7. avea fatto ; avea cacciato. Spesso gli
antichi, e non di rado anche noi, invece di
ripetere il verbo, sostituiamo il verbo fare,
che, avendo significato generalissimo, può
stare in luogo di qualunque verbo.
— 8. Che; cui.
182
ORLANDO FURIOSO
53
Come venire il Paladin lo vede,
Femia il destrier, nou seuza gran sospetto
Che vada in quelli lacci a dar del piede,
Di che il buouVecchiarel gli avea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede,
E quel sonando fa l'usato effetto:
Nel cor fere il gigante che l'ascolta,
Di tal timor, ch'a dietro i passi volta.
.04
Asfolfo sjiona, e tuttavolta bada ;
Che gli par sempre clie la rete scocchi.
Fugge il fellon, né vede ove si vada;
Che, come il core, avea perduti gli occhi.
Tanta è la tema, che non sa far strada.
Che ne li proprii aguati non trabocchi:
"Va ne la rete; e quella si disserra,
Tutto l'annoda, e lo distende in terra.
55
Astolfo ch'andar giù vede il gran peso,
Già sicuro per sé, v'accorre in fretta;
E con la spada in man, d'arcion disceso.
Va per far di mill' anime vendetta.
Poi gli par che s'uccide un che sia preso,
Viltà, più che virtù, ne sarà detta;
Che legate le braccia, i piedi e il collo
Gli vede si, che non può dare un crollo.
56
Avea la rete già fatta Vulcano
Di sottil tìl d'acciar, ma con tal'arte,
Che saria stata ogni fatica in vano
Per ismagliarne la più debol parte;
Et era quella che già piedi e mano
Avea legate a Venere et a Marte.
La fé' il geloso, e non ad altro effetto,
Che per pigliarli insieme ambi nel letto.
53. 2. sospetto Che vada; sosp. di andare
Y. e, I, 38, 6.
— 4. predetto, parlato innanzi. Questo si-
gnific. e questo costrutto non sono registrati
dai vocabol.
54. 1. bada; indugia a andare avanti. V.
e. XII, 37, 5.
— (3. Che, seuza che. Il che dopo propo-
siz. negativa prende spesso questo signifìc,
anche senza il non nella prop. dipendente.
Pulci, Morg. 19, 139: «E non si parta che
prometta questo »-.
— 7. si disserra. La Crusca intende si
apre; ma, se è tesa, è già aperta. Intendi
scatta, si avventa su lui come bestia te-
nuta chiusa 0 in catena. Più che un signi-
ficato speciale è da vedervi un'immagine.
55. 6. ne s. detta. Il ne non è pleonastico,
ma una vera particella pronominale; Sarà
detta viltà da chi senta parlar di ciò.
56. 1. Avea ecc. Per questa rete vedi Odis-
sea lib. 5, 300 seg.
57
Mercurio al Fabbro poi la rete invola;
Che Cloride pigliar con essa vuole,
Cloride bella che per l'aria vola
Dietro all'Aurora, all'apparir del sole,
E dal raccolto lembo de la stola
Gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa Ninfa attese,
Che con la rete in aria un di la prese.
58
Doveentra in mare il gran fiume Et iopo,
Par che la Dea presa volando fosse.
Poi nel tempio d'Anubide a Canopo
La rete molti secoli serbosse.
Caligorante tre mila anni dopo,
Dì là, dove era sacra, la rimosse;
Se ne portò la rete il ladrone empio.
Et arse la cittade, e rubò il tempio.
59
Quivi adattolla in modo in su l'arena,
Che tutti quei ch'avean da lui la caccia,
Vi davan dentro; et era tocca a pena.
Che lor legava e collo e piedi e braccia.
Di questa levò Astolfo una catena,
E le man dietro a quel fellon n'allaccia ;
Le braccia e '1 petto in guisa gli ne fascia,
Che non può sciorsi: indi levarlo lascia,
60
Dagli altri nodi avendo] sciolto prima;
Ch'era tornato umau più che donzella.
Di trarlo seco, e di mostrarlo stima
Per ville, per cittadi e per castella.
Vuol la rete anco aver, di che né lima
Né raartel fece mai cosa più bella :
Ne fa somier colui ch'alia catena
Con pompa trionfai dietro si mena.
61
L'elmo e lo scudo anche a portar gli die-
Come a valletto, e seguitò il camino, [de,
57. 2. Cloride, o Flora, fu amante di
Zefbro. L'episodio fra Cloride e Mercurio
sembra una felice invenzione dell'A.
58. 1. fiume EtVopo, il Nilo.
— 3. Anubide o Anubi, dio Egiziano ligu-
rato con testa di cane — Canopo, antica
città Egiziana e porto principale del delta.
— 8. rubò; derubò. Dan'te, Purg. 33, 58 :
«Qualunque ruba quella (la mistica pianta)
0 quella schianta ».
59. 5. levò A. un e. Poiché sopra, st. 56,
ha detto che non si poteva smagliarne al-
cuna parte, qui si dovrà intendere una di
quelle catene aggiunte per ticare e stender
la rete; come le funi che gli uccellatori ado-
prano a tale uso,
60. 2. era tornato; era divenuto. Tasso,
Ger. 13, 20 : « Che lor si scosse e tornò ghiac-
cio il core ».
61. 2. Come a valletto. I valletti erano do-
mestici del cavaliere, ma inferiori agli scu-
CANTO XV
183
Di gaudio empiendo, ovunque metta il pie-
Ch'ir possaormai sicuro il peregrino, [de,
Astolfo se ne va tanto, che vede
Ch'ai sepolcri di Memfi è già vicino,
3Iemfi per le Piramidi famoso:
Tede all'incontro il Cairo populoso.
62
Tutto il popol correndo si traea
Per vedere il gigante smisurato.
Come è possibil (l'un l'altro dicea)
Che quel piccolo il grande abbia legato ?
Astolfo a pena inanzi andar potea:
Tanto la calca il preme da ogni iato;
E come cavallier d'alto valore
Ognun l'ammira, e gli fa grande onore.
63
Non era grande il Cairo cosi allora.
Come se ne ragiona a nostra etade :
Che '1 popolo capir, che vi dimora,
Non puon diciotto mila gran contrade;
E che le case hanno tre palchi, e ancora
Ne dormono infiniti in su le strade;
E che '1 Soldano v'abita un castello
Mirabil di grandezza, e ricco e bello;
64
E che quindici mila suoi vassalli
Che son Cristiani rinegati tutti.
dieri, ai sergebti, ai paggi. Non avevan
grado nelle armi, non assisa né distintivo ;
e servivano, generalmente, per mercede.
— 6. sep. dì Henifi; (gr. Memphis) le pira-
midi, che sorgevano appunto vicino a Menfi.
Fu questa un'antica città sulla sponda si-
nistra del Nilo. Rimangono solo alcuni avan-
zi, dove ora sorge Mitranieh.
— 8. all'incontro, di contro.
63. 2. se ne ragiona; se ne dice. Petr. II,
canz. 2, 10: « E s'egli è ver che tua potenza
sia Nel ciel si grande, come si ragiona ».
— 3. Che. È temporale: a nostra etade,
quando. Fors' anche è congiunzione della
proposizione oggettiva dipendente da un si
<Hoe cioè, che può rilevarsi dal verso pre-
dente.
— 4. diciotto mila ecc. Della grandezza
del Cairo parla anche il Tasso, Ger. 17, 17.
Ma il Fornari annota: «Il Cairo, come af-
ferma Ludovico Romano, non è gran città
come se ne parla universalmente... non è
di Roma maggiore. Ma il paese intorno è
abitato di ville innumerabili ».
— 5. tre palchi; tre piani. È significato
raro, ma si cita qualche esempio. Razzi,
Bai. I, se. 3: «la camera... in su '1 primo
palco ».
— 8. di gr. ; per gr. È di uso comune.
64. 1. s. vassalli; i Mammalucchi (arab.
raamluk, schiavo), che furono una specie
di guardia pretoriana del Sultano d'Egitto.
Instituiti nel 1227 durarono fino al 1814.
Con mogli, con famiglie e con cavalli
Ha sotto un tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder vuole ove s'avvalli,
E quanto il Nilo entri nei salsi flutti
A iJamiata ; ch'avea quivi inteso,
Qualunque passa restar morto o presQ.
65
Però ch'in ripa al Nilo in su la foce
Si ripara un ladron dentro una torre,
Ch'a paesani e a peregrini nuoce,
E fin al Cairo, ognun rubando, scorre.
Non gli può alcun resistere; et ha voce.
Che l'uom gli cerca in van la vita torre.
Cento mila ferite egli ha già avuto ;
Né ucciderlo però mai s' ò potuto.
66
Per veder se può far rompere il filo
Alla Parca, di lui, si che non viva,
Astolfo viene a ritrovare Orrilo,
(Cosi avea nome) e a Damiata arriva:
Et indi passa ove entra in mare il Nilo,
E vede la gran torre in su la riva,
Dove s'alberga l'anima incantata
Che d' un Folletto nacque e d' una Fata.
Erano, per lo più, giovani cristiani dive-
nuti maomettani.
— 5. ove s'avvalli. Alcuni credono si ac-
cenni alle cateratte del Nilo; ma è grave
abbaglio, perché queste sono molte centi-
naia di chilometri prima del Cairo. Intendi:
dove il Nilo entra nelle ultime valli Egiziane
formando il lago Mareotide, la laguna di
Burlos ecc. e poi nel mare per la bocca di
Damietta (Domiata).
— 6. quanto (lat. quantus) quanto grande.
Innam. Ili, in, 13: «Grande in quel loco
è il Nilo; assembra un mare».
65. 5. ha voce; ha fama.
— 6. gli cerca... torre ; cerca torgli. V. e. I,
47, 11. 6.
66. 3. Orrilo. Questo episodio è già co-
minciato dal Boiardo; l'A. lo continua. Nel-
Vlnnam. Ili, ii si dice che due fate sono
protettrici di Grifone e d'Aquilante, figli
d'Oliviero. Per trattenere i due giovani, pei
quali era destinato che sarebbero periti se
fossero venuti in Francia, li incitano a com-
battere contro il ladrone Orrilo, che abi-
tava una torre sulla foce del Nilo, e che
viene alla battaglia con un terribile cocco-
drillo. Orrilo non si poteva uccidere per-
ché si rappiccava le membra tagliate. Gri-
fone e Aquilante, ucciso il coccodrillo, stanno
combattendo invano contro di lui, quando
arriva un cavaliere armato, « Che avea preso
in catene un gran gigante. Ma di tal cosa
pili non dico avante ». L'A., riassunto il
Boiardo, continua immaginando che questo
cavaliere sia .\stolfo.
184
ORLANDO FURIOSO
67
Quivi ritrova che crudel battaglia
Era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.
Orrilo è solo; e si qua' dui travaglia,
Ch'a gran fatica gli puon far difesa :
E quanto in arme l'uno e l'altro vaglia,
A tutto il mondo la fama palesa.
Questi erano i dui tìgli d'Oliviero,
Grifone il bianco, et Aquilante il nero.
68
Gli è ver che '1 Negromante venuto era
Alla battaglia con vantaggio grande;
Che seco tratto in campo avea una fera,
La qual si trova solo in quelle bande:
Vive sul lito, e dentro alla rivera;
E i corpi umani son le sue vivande.
De le persone misere et incaute
Di viandanti e d'infelici naute.
69
La bestia ne la rena appresso al porto
Per man dei duo fratei morta giacea;
E per questo ad Orril non si fa torto,
S' a un tempo l' uno e l'altro gli nocca.
Pili volte r han smembrato e non mai mor-
Né per smembrarlo, uccider si potea; [to,
Che se tagliato o mano o gamba gli era,
La rappiccava, che parea di cera.
70
Or fin a' denti il capo gli divide
Grifone, or Aquilante fin al petto ;
Egli dei colpi lor sempre si ride:
fS'adiran essi, che non hanno effetto.
Chi mai d'alto cader l'argento vide.
Che gli Alchimisti hanno mercurio detto,
E spargere e raccor tutti i suoi membri,
Sentendo di costui, se ne rimembri.
68. 8. nante; (lat. nautae) naviganti. Lati-
nismo non frequente. Si cita solo un esem-
pio col plurale nauti.
69. 3. non si fa torto; non si usa soper-
chieria, se due combattono contro uno ; per-
ché egli pure era venuto coli' aiuto della
fiera che era già stata uccisa.
— 6. per sm. Il per ha senso concessivo :
ancorché si smembrasse. È d'uso frequen-
tissimo. Dante, Inf., 4, 11 : «per ficcar lo
viso al fondo Io non vi discernea alcuna
cosa ».
— 7. tagliato. Per la concordanza V. e.
v, 58, n. 5.
70. 5. d'alto; da alto, dall'alto V. e. v,
10, n. 5. — argento ; argento vivo, nome po-
polare del mercurio. Cosi anche scrittori
di scienze, ma raramente senza l'aggiunto
vivo. Magalotti, Saggi di natur. esper.
20 : « scenderà subitol'argento dalla canna ».
]J mercurio, cadendo, si divide in piccolis-
simi globi, che poi, ravvicinandosi, si riu-
niscono.
— 0. Alchimisti. V. e. VI, 59, n. 6.
71
Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,
Né cessa brancolar fin che lo trovi;
Et or pel crine et or pel naso il prende,
Lo salda al collo, e non so con che chiovi ^
Pigliai talor Grifone, e '1 braccio stende,
Nelfiumeilgetta,e non par ch'anco giovi;
Che nuota Orrilo al fondo come un pesce,
E col suo capo salvo alla ripa esce.
72
Due belle donne onestamente ornate,
L'una vestita a bianco e l'altra a nero.
Che de la pugna causa erano state.
Stavano a riguardar l'assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne Fate
Ch'avean nefriti i tìgli d'Oliviero,
Poi che li trasson teneri citelli
Dai curvi artigli di duo grandi augelli:
7.3
Che rapiti gli avevano a Gismonda,
E portati lontan dal suo paese.
Ma non bisogna in ciò ch'io mi diffonda;
Ch'a tutto il mondo è l'istoria palese.
Ben che l'autor nel padre si confonda,
Ch'unperunaltro (io non so come) prese.
Or la battaglia i duo gioveni fanno.
Che le due donne ambi pregati n'hanno.
74
Era in quel clima già sparito il giorno.
All'isole ancor alto di Fortuna:
L'ombre avean tolto ogni vedere a torno
Sotto l'incerta e mal compresa Luna ;
Quando alla rocca Orril fece ritorno.
Poi ch'alia bianca e alla sorella bruna
Piacque di differir l'aspra battaglia
Fin che 'I Sol nuovo all'orizzonte saglia.
75
Astolfo, che Grifone et Aquilante
Et all'insegne e più al ferir gagliardo,
71. 2. cessa br. ; cessa di br. V. e. i, 4,
n. 1.
— 6. non... anco; neppur. V. c.xvi,36, n. 8.
72. 5. benigne Fate. Questi particolari delle
due fate, le quali avean nutrito Aquilante
e Grifone dopo averli salvati da due grandi
uccelli, un'aquila e un grifo, che li avevan
rapiti aUa madre Ghismonda, son tolti dal
poema Uggieri il Danese. Ma ivi i due gio-
vani son detti figli di Ricciardetto, mentre
il Boiardo, che riproduce tutto l'episodio,
li dice figli d'Oliviero. L'A. accetta l'auto-
rità del Boiardo e non quella del Danese;
cfr. la st. seguente, v. 5-6.
— 7. citelli. V. e. IX, 37, n. 6.
74. 2. di Fortuna, Fortunate. V. e. xiv, 27,
n. l. Essendo molto più a ponente dell'Egitto
avevano il tramonto assai più tardi.
— 4. mal compresa; poco appariscente
nella luce crepuscolare. È senso affine » a
quello della st. 41, 5.
CANTO XV
1S5
Riconosciuto avea gran pezzo inante,
Lor non fu altiero a salutar né tardo.
Essi vedendo che quel che '1 gigante
Traea legato, era il Baroii dal Pardo
(Che cosi in corte era quel Duca detto),
Raccolser lui con non minore alletto.
76
Le donne a riposare i cavallieri
Menaro a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra vennero e scudieri
Con torchi accesi, a mezzo del camino.
Diero a chi n'ebbe cura, i lor destrieri,
Trassonsi l'arme; e dentro un bel giardi-
Trovàr ch'apparecchiata era la cena [uo
Ad una fonte limpida et amena.
77
Fan legare il gigante alla verdura
Con un'altra catena molto grossa
Ad una quercia di molt'auni dura,
Che non si romperà per una scossa;
E da dieci sergenti averne cura,
Che la notte discior non se ne possa.
Et assalirli e forse far lor danno,
Mentre sicuri e senza guardia stanno.
78
All'abondante e sontuosa mensa.
Dove il manco piacer fur le vivande,
Del ragionar gran parte si dispensa
Sopra d'Orrilo e del miracol grande.
Che quasi par un sogno a chi vi pensa,
Ch'orcapo, or braccio a terra se glimaude,
Et egli lo raccolga e lo raggiugna,
E più feroce ognor torni alla pugna.
79
Astolfo nel suo libro avea già letto.
Quel eh' agi' incanti riparare insegna.
75. 1. Lor. È complem. di salutar.
— 6. il B. dal Pardo. Astolfo, come figlio
del re d'Inghilterra avea per insegna un
pardo. V. e. x, 77.
— S. Raccolser, accolsero. V. e. vii, 9, n. 3.
76. 2. indi vie; vicino di li. Vicino si co-
struisce con a e con da o di. Oggi è più
comune la prima costr.
— 5. Diero, i cavalieri.
77. 3. di molt'anni; È complem. tempo-
rale di quercia. V. Fornaciari, Sint. p. 319.
— 4. É verso quasi eguale al 4 del e.
xxxvii, 108.
— 5. da dieci ecc. Su questo costrutto cfr.
la st. 23, n. 4 di questo canto — sergenti,
servi. V. e. XIV, 51, n. 5.
78. 3. si dispensa; s'impiega. L'A. usa, in
questo senso, tre volte dispensare in, una
volta dispensare a, e solo qui dispensare
sopra : ma forse questo costrutto ha sentito
razione del verbo ;'a^io/?«/'é', come è acca-
duto al e. VII, 21, 5; x, 113, 2, e altrove. C è
dunque fusione di due costrutti.
— 7. raggiugna, ricongiunga.
Ch'ad Orril non trarrà l'alma del petto
Fin eh' un crine fatai nel capo tegna;
Ma se lo svelle o tronca, fìa constretto
Che suo mal grado fuor l'alma ne vegna.
Questo ne dice il libro; ma non come
Conosca il crine in cosi folte chiome.
80
Non men de la vittoria si godea,
Che se n'avesse Astolfo già la palma;
Come chi speme in pochi colpi avea
Svellere il crine al Negromante e l'alma.
Però di quella impresa promettea
Tòr su gli omeri suoi tutta la salma :
Orril farà morir, quando non spiaccia
Ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.
81
Ma quei gli danno volentier l'impresa.
Certi che debbia affaticarsi in vano.
Era già l'altra aurora in cielo ascesa,
Quando calò dai muri Orrilo al piano.
Tra il Duca e lui fu la battaglia accesa:
La mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.
Di mille attende Astolfo un colpo trarne.
Che lo spirto gli sciolga da la carne.
82
Or cader gli fa il pugno con la mazza.
Or l'uno or l'altro braccio con la mano;
Quando taglia a traverso la corazza,
E quando ilvatroncandoabranoabrano:
Ma ricogliendo sempre de la piazza
79. 4. un crine f. Questo crine fatato manca
nel Boiardo, ma Va. ne ha presa l'idea dal
classicismo. lu Euripide Alceste muore per
un capello tagliatole da Mercurio; Scilla, fi-
glia del re di Megara, taglia al padre il ca-
pello sacro, da cui dipendevano le sorti di
quella città. Vedi pure Eneide, 4, 698 segg.
Nel Trionfo della morte, del Petr., la Morte
svelle dal capo di Laura un capello fatale.
La Crusca intende fatale nel senso che da
esso dipende il destino d'Orrilo, ma forse
deve intendersi per fatato come al e. xii,
79; xxvi. 83 ecc. e come in altri scrittori.
— 5. fla constretto. Il soggetto è V alma.
Per questa sconcordanza del participio cfr.
e. V, SS, n. 5. Volendo riferirlo ad Orrilo si
avrebbe un costrutto molto più strano, né
confortato da altri esempi.
— S. Conosca. È potenziale : possa cono-
scere.
80. 3. Come chi; come colui che. È il
quippe qui dei Latini.
— ó. salma, carico. V. e. x, 25, n. 4.
81. 6. La mazza. I giganti combattevano,
non colla spada, che era l'arme de' cava-
lieri, ma con mazza, con tronconi e simili
armi grossolane.
— 7. trarne. Il ne si riferisce a spada :
un colpo di spada.
82. 5. ricogliendo, raccogliendo. Anch'oggi
1S6
ORLANDO FURIOSO
Va le sue membra Orrilo, e si fa sano.
S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,
Kedintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.
83
Al fin di mille colpi un gli ne colse
Sopra le spalle ai termini del mento: '
La testa e l'elmo dal capo gli tolse,
Né fu d'Orrilo a dismontar più lento.
La sanguinosa chioma in man s'avvolse,
E risalse a cavallo in un momento ;
E la portò correndo incontra '1 Nilo
Che riaver non la potesse Orrilo.
84
Quel sciocco che del fatto non s'accorse.
Per la polve cercando iva la testa;
Ma come intese il corridor via torse,
Portare il capo suo per la foresta ;
Immantinente al suo destrier ricorse,
Sopra vi sale, e di seguir non resta.
Volea gridare: Aspetta; volta, volta;
Ma gli avea il Duca già la bocca tolta.
85
Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna
Si riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il lascia gran spazio di campagna
Quel Rabican che corre a maraviglia.
Astolfo intanto per la cuticagna
Va da la nuca fin sopra le ciglia
Cercando in fretta, se '1 crine fatale
Conoscer può, ch'Orril tiene immortale.
86
Fra tanti e innumerabili capelli,
Un pili de l'altro non si stende o torce;
Qual dunque Astolfo scieglierà di quelli.
Che per dar morte al rio ladron raccorce?
3Ieglio è, disse, che tutti io tagìi o svelli :
il popolo Toscano dice ricotto, ricolta per
raccolto, raccolta.
— 7. se... ben; sebbene. Tale separazione
vedila anche al e. v, 75, 5 ; vi, 4, 7, e altrove.
83. 1. gli ne colse. Intendono tutti cogliere
per aggiustare e la Crusca, citando questo
solo esempio, dice che è locuzione poetica.
Più semplice e più conforme agli altri usi
di questo verbo è intendere: uno di questi
collii gli (lo) colse sotto le spalle. Per il ne
pleonastico cfr. e. ii, 4, 1 ; per il complem.
gli invece di lo cfr. Bocr. Nov. 5 : « Quan-
tunque sciagura ne cogliesse ad alcuno ».
— 6. risalse. V. e. vi, 41, n. 4.
— 7. la portò, la portò seco, perché ecc.
84. 3. via torse , togliersi via di là e por-
tare ecc.
85. 1. le calcagna, per spronare.
— 5. la caticagna, la pelle di tutto il capo.
— 7. se; per vedere se. V. e. xii, 87,6.
86. 5. svelli ; svella. Avverte il .Nannucci,
(Analisi Cr. dei verbi ital.) che per unifor-
mità di cadenza colla prima coniug. anche
il pres. cong. della seconda iSL terza terminò
Né si trovando aver rasoi né force,
Ricorse immantinente alla sua spada,
Che taglia si, che si può dir che rada.
87
E tenendo quel capo per lo naso,
Dietro e dinanzi lo dischioma tutto.
Trovò fra gli altri quel fatale a caso ;
Si fece il viso allor pallido e brutto.
Travolse gli occhi, e dimostrò airoccaso
Per manifesti segni esser condntto;
E '1 busto che seguia troncato al collo,
Di sella cadde, e die l'ultimo crollo.
88
Astolfo, ove le donne e i cavallieri
Lasciato avea, tornò col capo in mano.
Che tutti avea di morte i segni veri,
E mostrò il tronco ove giacca lontano.
Non so ben se lo vider volentieri,
Ancor che gli niostrasser viso umano ;
Che la intercetta lor vittoria forse
D'invidia ai duo germani il petto morse.
89
Né che tal fin quella battaglia avesse,
Credo più fosse alle due donne grato.
Queste, perché più in lungo si traesse
De' duo fratelli il doloroso fato [se,
Che 'n Francia par ch'in breve esser doves-
Con loro Orrilo avean quivi azzuffato,
Con speme di tenerli tanto a bada,
Che la trista influenzia se ne vada.
90
Tosto che '1 castellan di Damiata
Certificossi chera morto Orrilo,
La columba lasciò, ch'avea legata
anticamente tutte e tre le persone in i. Gli
esempi che egli cita sono numerosi per la
seconda persona, pochi, e tutti molto anti-
chi, per la prima e la terza. V. e. fii, 17,
4; XX, 70, 4; xi.v, 42, 2.
— 6. force; È sincope di forbice, forse
con influenza del latino furcae. È già iu
Dante, Par. 16, 9.
87. 5. all'occaso; a morte. V, e. ix, 31, 4.
89. 5. in breve, fra breve. — esser, com-
piersi. Cosi r usò il Ce<;( HI Le Pellegrine
III, se. 7 : « Il voto dovea esser (compiersi)
cosi ».
— 8. Che la trista ecc. In queste parole
è riassunto il concetto del Boiardo, che fa
dire alle due donne III, ir, 43: « Ma pur si
puote il tempo prolungare E far col senno
forza alla fortuna : Chi fece il mondo lo
potrà mutare... Prendiam dunque partito,
se ti pare, Di ritener costor ».
90. 1. il castellan ecc. il capitano del ca..
stello di Damietta.
— 3. La columba. É antico costume quello
dei colombi messaggeri. Plinio dice che nel-
l'assedio di Modena una colomba portava
CANTO XV
187
Sotto l'ala la lettera col filo.
Quella andò al Cairo; et indi fu lasciata
Un' altra altrove, come quivi è stilo:
Si che in pochissime ore andò l'avviso
Per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.
91
Il Duca, come al fin trasse l'impresa,
Confortò molti nobili garzoni.
Ben che da sé v'avean la voglia intesa.
Né bisognavau stirauli né sproni ;
Che per difender de la santa Chiesa
E del Romano Imperio le ragioni,
Lasciasser le battaglie d'Oriente,
E cercassino onor ne la lor gente/
92
Cosi Grifone et Aquilante tolse
Ciascuno da la sua donna licenzia;
Le quali, ancor che lor n'encrebbe e dolse,
Non vi seppon però far resistenzia.
Con essi Astolfo a man destra si volse;
Che si deliberar far riverenzia
Ai santi luoghi ove Dio in carne visse.
Prima che verso Francia si venisse.
93
Potuto avrian pigliar la via mancina.
Ch'era più dilettevole e più piana,
E mai non si scostar da la marina;
Ma per la destra andaro orrida e strana,
Perché l'alta città di Palestina
Per questa sei giornate è men lontana.
Acqua si trova et erba in questa via :
Di tutti gli altri ben v' è carestia.
94
Si che prima ch'entrassero in viaggio.
Ciò che lor bisognò, fecion raccorrò ;
E carcar sul gigante il carriaggio,
Ch'avria portato in collo anco una torre.
Al finir del camino aspro e selvaggio.
Da l'alto monte alla lor vista occorre
La santa terra, ove il superno Amore
Lavò col proprio sangue il nostro errore.
95
Trovano in sn l'entrar de la cittade
Un gìovene gentil, lor conoscente,
Sansonetto da Mecca, oltre l'etade
(Ch'era nel primo fior) molto prudente;
D'alta cavalleria, d'alta boutade
Famoso, e riverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede,
E di sua man battesmo anco gli diede.
96
Quivi lo/trovan che disegna a fronte
Del Calife d'Egitto una fortezza;
E circondar vuole il Calvario monte
Di muro di duo miglia di lunghezza
Da lui raccolti fur con quella fronte
Che può d'interno amor dar più chiarezza,
E dentro accompagnati, e con grande agio
Fatti alloggiar nel suo real palagio.
97
Avea in governo egli la terra, e in vece
Dì Carlo vi reggea l' imperio giusto.
Il duca Astolfo a costui dono fece
Di quel si grande e smisurate busto.
le lettere agli alloggiamenti. Il Tasso parla
di quest'uso in Levante, Ger. 18, 49.
— 6. altrove; per altra parte, perché an-
dasse altrove. Altrove esprime tanto moto
a luogo, che stato in luogo.
91. 3. benché... T'avean. L'A. usa, nelle pro-
pos. concessive, più spesso l' indicat. che il
congiunt. come dovrebbe essere regolar-
mente. V. e. V, 11, n. 7. — intesa, rivolta (è
il latino intendere) ; significato assai fre-
quente nella letteratura nostra.
92. 3. n'encrebbe; L'ediz. del 1516 e del
'21 leggono, meglio, ne 'ncrebbe. E questo
dev'essere nient' altro che un errore di
stampa, che il Morali avrebbe potuto to-
gliere senza scrupolo.
— 6. 8i deliberar. V. e. IV, 49, n. 1. — Che
vale perche.
93. 4. per la destra. Forse l' Ariosto ac-
cenna vagamente ad una delle vie interne,
che, traversando i monti, conducono dal-
l'Egitto a Gerusalemme; e non è improba-
bile che, come crede il Pomari, avesse la
mente all' allegoria, secondo la quale la via
sinistra sarebbe la via dei vizio, la destra
quella della virtù.
— 5. l'alta e. Gerusalemme è in un alti-
piano ed è assisa sopra alcuni colli.
94. 6. Da l'alto monte. Probabilmente l'A.
non pensa a nessun monte determinato, ma
accenna in generale ai monti della Palesti-
na» e vagamente a qualcuno di essi. —
occorre (lat. occurrit) si presenta. Bocc,
yov. 41 : « e quelle (le scale) scendendo, oc-
corse lor Pasimunda ».
95. 3. Sansonetto da M. ; È un personag-
gio deìVEntrée d'Espac/ne. Ivi si dice co-
m'egli ricevesse il Imttesimo da Orlando e
lo accompagnasse in Spagna. L'A. lo fa luo-
gotenente di Carlo M. in Gerusalemme; in-
vece nella Spagna si dice che a governare
la Santa Città Orlando lasciò Ansuigi. V.
RAi>fA, Fonti, pag. 228.
96. 1. a fronte ecc. ; contro il Califfo d'E.
I Signori dell' Egitto ebbero sempre gli oc-
chi avidi sulla Siria e nel secolo undecima
la dominarono.
— 3. Calvario ; È un monticello presse Ge-
rusalemme.
— 5. raccolti. V. st. 75, 8
— 6. dar... chiarezza; dar prova o cer-
tezza. Vasaiu, Vite, 2, 504: «Come ne reii-
don cluarezza (ne fanno prova) le mone-
te ecc. ».
97. 2. giusto; È meglio riferirlo a San-
sonetto, che a imperio.
— 4. basto; Per tutta la persona fu
188
GELANDO FURIOSO
Ch'a portar pesi gli varrà per diece
Bestie da soma: tanto era robusto.
DJegli Astolfo il gigante, e diagli appresso
La rete ch'in sua forza l'avea messo.
98
Sansonetto all'incontro al Duca diede
Per la spada una cinta ricca e bella;
E diede spron per l'uno e l'altro piede,
Che d'oro avean la fìbbia e la girella;
Ch'esser del cavallier stati si crede,
Che liberò dal drago la donzella:
Al Zaffo avuti con molt'altro arnese
Sansonetto gli avea, quando lo prese.
99
Purgati di lor colpe a un monasteiio
Che dava di sé odor di buoni esempii,
De la passion di Cristo ogni misterio
Contemplando n'andar per tutti i tempii
Ch'or con eterno obbrobrio e vituperio
A gli Cristiani usurpano i Mori empii.
L'Europa è in arme, e di far guerra agogna
In ogni parte, fuor ch'ove bisogna.
100
Mentre avean quivi l'animo divoto,
A perdonanze e a cerenionie intenti.
Un peregrin di Grecia, a Grifon noto,
Novelle gli arrecò gravi e pungenti.
Dal suo primo diseguo e lungo voto
Troppo diverse e troppo differenti ;
E quelle il petto gì' infiammaron tanto.
Che gli scacciar l'orazion da canto.
101
Amava il cavallier, per sua sciagura,
Una donna ch'avea nome Orrigille:
Di più bel volto e di miglior statura
usato da altri. Anguillara, Metani. 7, 102:
« Che al padre avea ringiovanito il busto ».
— 8. in sua forza; in suo potere.
98. 4. la girella. Veramente al tempo di
Carlo M., e assai dopo, gli sproni erano a
punta, non a girella o rotella; e i cavalieri
li portavano d'oro o dorati.
— 5. cavallier ecc. S. Giorgio, del quale
la leggenda dice che pervenuto in una città,
dov'era un drago a cui si gettavano ogni
giorno vittime umane, vide esposta per es-
ser divorata la figlia del re. S. Giorgio as-
sali il drago colla lancia e lo ferì ; quindi
legato lo dette alla fanciulla, che lo trasse
per la città già mansueto.
— 8. Zaffo, laffa, l'antica loppe ; città ma-
rittima della Siria.
100. 2. perdonanze, indulgenze concedute
a chi visita luoghi pii.
— 8. scacciar.... da canto, cacciarono da
una parte, gli fecero metter da parte.
101. 2. Orrigille. Questa figura è creata
dal Boiardo, con alcuni elementi presi dal
Guiron. Grifone è innamorato di questa
donna volubile ; con lei va a Costantinopoli^
ma dopo poco parte per un torneo, che si
Non se ne sceglierebbe una fra mille;
Ma disleale e di si rea natura.
Che potresti cercar cittadi e ville.
La terra ferma e l'isole del mare,
Né credo ch'una le trovassi pare.
102
Ne la città di Constantin lasciata
Grave l'avea di febbre acuta e fiera.
Or quando rivederla alla tornata
Più che mai bella, e di goderla spera,
Ode il meschin, ch'in Antiochia andata
Dietro un suo nuovo amante ella se n'era.
Non le parendo ormai di più patire
Ch'abbia in si fresca età sola a dormire.
103
Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova.
Sospirava Grifon notte e di sempre. *
Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova.
Par ch'a costui più l'animo distempre:
Pensilo ognun, ne li cui danni prova
Amor, se li suoi strali han buone tempre.
Et era grave sopra ogni martire,
Che '1 mal ch'avea si vergognava a dire.
104
Questo, perché mille fiate inante
Già ripreso l'avea di quello amore.
Di lui più saggio, il fratello Aquilante,
E cercato colei trargli del core;
Colei ch'ai suo giudizio era di quante
Femine rie si trovin la peggiore.
Grifon l'escusa, se '1 fratel la danna;
E le più volte il parer proprio inganna.
105
Però fece pensier, senza parlarne
Con Aquilante, girsene soletto
Sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne
Colei che tratto il cor gli avea del petto ;
Trovar colui che gli l'ha tolta, e farne
Vendetta tal, che ne sia sempre detto.
Dirò, come ad effetto i pensier messe.
Ne l'altro Canto, e ciò che ne successe.
teneva in Nicosia, e lascia Orrigille amma-
lata con febbre. Fin qui il Boiardo.
— 8. trovassi; Più regolarm. troveresti,
perché è l'apodosi di un periodo ipotetico,
nel quale è sottintesa la prodosi : se tu cer-
cassi. Lo scambio è avvenuto per l' azione
del verbo credo. Forse ne abbiamo un al-
tro esempio nel e. xlii, 81, 6. — pare, pari,
eguale.
102. 2. di febbre; per f. V. e. x, 39, n. 6.
— 5. Antiochia; oggi Antahiech.
— 8. eh' abbia, d' avere. V. e. I, 38, n. 0.
103. 4. dlstempre ; guasti. V. c. XIII, 20, 3.
104. 8. E le p. v. Nota la finezza di quella
congiunzione, che viene a dire: e cosi Gri-
fone mostra una volta ancora che le più
volte ecc. Potrebbe essere anche per ma, e
sarebbe esempio più spiccato di quelli, che
citano i vocabolari. V. e. xviii, 92, S, dove
abbiamo pure e per ma.
CANTO XVI
189
CANTO XVI
Grave pene in Amor si provan molte,
Di clie patito io n'iio la maggior parte;
E quelle in danno mio si ben raccolte,
Ch' io ne posso parlar come per arte.
Però s' io dico e s' ho detto altre volte,
E quando in voce e quando in vive carte,
Ch'un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,
Date credenza al mio giudicio vero.
2
Io dico e dissi, e dirò fin ch'io viva,
Che chi si trova in degno laccio preso,
Se ben di sé vede sua donna schiva.
Se in tutto avversa al suo desire acceso :
Se bene Amor d'ogni mercede il priva.
Poscia che '1 tempo e la fatica ha speso;
Pur eh' altamente abbia locato il core,
Pianger non de', se ben languisce e muore.
3
Pianger de' quel che già sia fatto servo
Di duo vaghi occhi e d'una bella treccia.
Sotto cui si nasconda un cor protervo.
Che poco puro abbia con molta feccia.
1. 2. n'ho; Il ne è pleonastico, e d'uso
popolare. .
— 3. quelle in d. m. ecc.; q. che tian dan-
neggiato me. Ma cosi intendendo, a mio ci.,
sarebbe ripetiz. superflua. Meglio: e quelle
ho (per mio danno) cosi ben race, nella memo-
ria, che ne posso parlare, quasi in virtù di ar-
te, appresa col trattareun si fatto argomento.
— 6. in voce ; a voce. Davanzati, Dia-
logo delle cag. della perd. eloq. 36 : « Con-
veniva in voce difenderle accuse, in voce
e non in carta far le fedi pubbliche ». —
vive carte; gli scritti, che sono come carte
vive, paiianti.
— 7. Che... sia. Per il congiunt. cfr. e.
V, 67, n. S.
2. 3. di sé... schiva; sdegnosa con lui, non
facile, ritrosa.
— 4. Se; se bene. Il bene si rileva facil-
mente dal V. precedente; ma anche il solo se
fu usato cosi. Boccaccio , Dee. Nov. 74 :
« Si dispose, se morir ne dovesse, di par-
lare». L'A. usa, nelle proposiz. concessive,
più spesso l'indicat. che il cong. contro l'uso
comune: cfr. xv, 91, 7, v, li, n. 7.
3. 3. protervo; superbo e ostinato. Fa bel
riscontro allo schiva. Questo dice la genti-
lezza dell' animo unita a modestia ; quello
la durezza procedente da superbia.
Vorria il miser fuggire; e come cervo
Ferito, ovunque va, porta la freccia:
Ha di sé stesso e del suo amor vergogna,
Né l'osa dire, e in van sanarsi agogna,
4
In questo caso è il giovene Grifone,
Che non si può emendare, e il suo error
[vede:
Vede quanto vilmente il suo cor pone
In Orrigille iniqua e senza fede:
Pur dal mal'uso è vinta la ragione,
E pur l'arbitrio all'appetito cede:
Perfida sia quantunque, ingrata e ria,
Sforzato è di cercar dove ella sia.
5
Dico, la bella istoria ripigliando,
Ch' usci de la città secretaniente;
Né parlarne s'ardi col fratel, quando
Ripreso in van da lui ne fu sovente.
Verso Kania, a sinistra declinando,
Prese la via più piana e più corrente:
Fu in sei giorni a Damasco di Soria;
Indi verso Antiochia se ne già.
6
Scontrò presso a Damasco ilcavalliero
A cui donato avea Orrigille il cuore:
E convenian di rei costumi in vero,
— 5. come cervo. Viro. En. 4, 73: « Qualis
coniecta cerva sagitta.... haeret lateri le-
talis arundo ».
4. 6. arbitrio, volontà. Più comunemente
coir aggiunta di libero.
— 7. Perf. s. quantunque, quantunque sia
perfida. Abbiamo anche nel e. ir, 13, 7 e
XXXI, 38, 6 esempì spiccati di questa po-
sposizione. I vocabolari non ne fanno pa-
rola.
5. 3. s'ardi; La forma riflessa è frequente
nei buoni scrittori. — quando, poiché. V. e.
I, 18, 3.
— 5. Rama; Piccola città della Siria, oggi
Ramla.
— 6. corrente, frequentata, battuta. Tasso,
Dialog. I, 383 : « vicino a strade correnti ».
— 7. Damasco ; Città di Siria (Soria).
6. 3. convenian, si trovavan d'accordo. per
rei costumi. Avverti che si dice convenire
in una cosa e, con una cosa o jiersona;
ma qui di rei e. non è complemento del
verbo; è complem. di limitazione. I due
complementi son riuniti in questo esempio
del Boccaccio Dee. Nov. 8: « quantunque in
190
ORLANDO FUEIOSO
Come ben si convien l'erba col fiore;
Che rimo e l'altro, erau di cor leggiero,
Perfido l'uno e l'altro e traditore;
E copria l' uno e l'altro il suo difetto.
Con danno altrui, sotto cortese aspetto.
7
Come io vi dico, il cavallier venia[raato;
8' un gran destrier con molta pompa ar-
La perfida Orrigille in compagnia,
In un vestire azur d' oro fregiato,
E duo valletti, donde si servia
A portar elmo e scudo, aveva a lato;
Come quel che volea con bella mostra
Comparire in Damasco ad una giostra.
8
Una splendida festa che bandire
Fece il Re di Damasco in quelli giorni,
Era cagion di far quivi venire
I cavallier quanto potean più adorni.
Tosto che la puttana comparire
Vede Grifon, ne teme oltraggi e scorni:
Sa che l'amante suo non è si forte.
Che centra lai l'abbia a campar da morte.
9
Ma si come audacissima e scaltrita,
Ancor che tutta di paura trema,
S'acconciali viso, e si la voce aita.
Che non appar in lei segno di tema.
Col drudo avendo già l'astuzia ordita.
Corre e fingendo una letizia estrema,
Verso Grifon l'aperte braccia tende,
Lo stringe al collo, egran pezzonepende.
10
Dopo, accordando affettuosi gesti
Alla siiavità de le parole,
Dicea piangendo: Signor mio, son questi
Debiti premii a chi t'adora e cole?
molte altre cose male insieme di costumi
si convenissero ecc. », cioè: in'molte altre
cose, si trovavano per i costumi mal d'ac-
cordo.
— 5. l'nno e l'altrs; E cosi al e. xxvii,
116; XLiv, 40 quest'espressione fu riferita
a un maschile e a un femminile e perfino
a un plurale. Boccaccio, nov. 16: «L'uno
e r altro (Spina e Giannotto) s' innamorò » ;
dove il Fornaciari nota : « Più razionale
parrebbe il dire V uno e l'altra... male
due persone sono qui prese semplicemente
come individui e si prescinde dalle loro
qualità particolari per porre unicamente in
rilievo la relazione, che han fra loro ».
7. 4. aznr. Troncamento inusitato e ardito.
— 5. valletti. V. XV, 61, n. 2. — donde,
dei quali. Di donde riferito a persona non
si cita che quest'esempio dell' A.
10. 4. cole, venera. È poetico e usato
quasi solamente nel singolare del presente
indicat.
Che sola senza te già un anno resti,
E va per l'altro, e ancor non te ne duole?
E s'io stava aspettare il tuo ritorno,
Non so se mai veduto avrei quel giorno.
11
Quando aspettava che di Nicosia,
Dove tu te n'andasti alla gran corte.
Tornassi a me che con la febbre ria
Lasciata avevi in dubbio de la morte.
Intesi che passato eri in Soria:
Il che a patir mi fu si duro e forte.
Che non sapendo come io ti seguissi,
Quasi il cor di man propria mi traflSssi.
12
Ma Fortuna di me con doppio dono
Mostra d'aver, quel che non hai tu, cura:
Wandommi il fratel mio, col quale io sono
Sin qui venuta del mio ouor sicura;
Et or mi manda questo incontro buono
Di te, ch'io stimo sopra ogni avventura:
E bene a tempo il fa; che più tardando.
Morta sarei, te, Signor mio, bramando.
13
E seguitò la donna fraudolente,
Di cui l'opere fur pili che di volpe,
La sua querela cosi astutamente.
Che riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui, non che parente,
Ma che d'un padre seco abbia ossa e pol-
E con tal modo sa tesser gl'inganni, [pet
— 5. già un anno, g. da un a. V. e. I, 26,
n. 8. Nota che il pres. iresti, invece del
pass, sia restata, indica il timore che l' ab-
bandono continui, non la fiducia che sia
cessato.
— 6. va per l'altro; corre già l'altro. È
modo elegante e vivo.
— 7. stava asp. ; st. ad asp. V. e. I, 4, n. 1.
11. 1. Nicosia; Città capitale dell'isola di
Cipro.
4. Lasciata ecc. Il Boiardo, Inn. II, xx,
8, ha detto: «Ma pure essendo migliorata
alquanto », il che però non toglie che, quan-
do parti Grifone, Orrigille fosse sempre
gravemente ammalata : e in ogni modo essa,
qui ha interesse a dipingere il suo stato con
forti colori.
— 7, ti seguissi; potessi seguirti. V. c^
XV, 79. 8.
— 8. trafflssi, trafissi. L'A., colla incer-
tezza ortografica che si aveva ancora in
quel tempo, ora sciùve questa parola con
una, ora con due f. V. e. i, 30.
13. 2. l'opere ecc. Dante, Inf. 27, 74: « l'o-
pere mie Non furon leonine, ma di volpe ».
— 6. Ma che d'un p. ecc. ; ma che abbia,
con lei, ossa e polpe da un medesimo pa-
dre. Seco usò cosi il Petr. il, 257: « mai ri-
bellion l'anima santa Non senti poi eh' a
star seco (con lei) fur giunte».
CANTO XVI
191
Che men verace par Luca e Giovanni,
14
Non pur di sua perfìdia non riprende
Grifon la donna iniqua più che bella;
Non pur vendetta di colui non prende,
Che fatto s'era adultero di quella:
Ma gli par far assai, se si difende
Che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
E come fosse suo cognato vero,
D'accarezzar non cessa il cavalliero.
15
E con lui se ne vien verso le porte
Di Damasco, e da lui sente tra via,
Che là dentro dovea splendida corte
Tenere il ricco Re della Soria;
E ch'ognun quivi, di qualunque sorte,
O sia Cristiano, o d'altra legge sia.
Dentro e di fuori ha la città sicura
Per tutto il tempo che la festa dura,
16
Non però son di seguitar si intento
L'istoria de la perlida Orrigille,
Ch'a giorni suoi non pur un tradimento
Fatto agli amanti avea, ma mille e mille.
Ch'io non ritorni a riveder dugento
Mila persone, o più de le scintille
Del foco stuzzicato, ove alle mura
Di Parigi facean danno e paura.
17
Io vi lasciai, come assaltato avea
Agramante una porta de la terra.
Che trovar senza guardia si credea:
— 8. Lnca e Qiov.; due evangelisti.
14. 6. Che ; in modo che.
— 7. suo cognato v. Si può intendere co-
gnato di lei e cognato avrebbe il signili-
cato generico di parente come il lat. co-
gnatus; ma si può anclie intendere co<;wa(o
di Grifone, perché spesso agli amori fra
cavalieri e dame si applica il linguaggio
proprio della vera parentela: cfr. sopra v.
4 e e. XVII, 17, 8; xxxviii, 69, 2.
15. 2. tra via, per la via. Petr, i, son.
68: < e poi tra via m' apparve ». Bocc. nov.
16 : « ad andare fra V isola si mise ».
— 7. la città sicura; franca, sicuro asilo.
Innam. I, x, 9: « Ed era ciascheduno assicu-
rato (aveva la città franca), Che non sia tra-
ditore o rinnegato ».
16. 1. di seg... intento. Cosi pure nel e. i, 31,
5. I vocabolari citano i costrutti intento a,
in; ma non intento di.
— 3. a giorni: ai g. V. e. II, 15, n. 8.
— 7. ove alle m. ; in quel punto delle mura,
dove ecc.
17.1. Io vi lasciai, come ecc.; Maniera accor-
ciata invece di: io vi lasciai dicendo come.
— 3. Che trovar ecc. Questo verso e i
segg. 5, 8 sono quasi interamente ripetizio-
ne di quelli al e. xv, 6, 5; 8, 3-8.
Né più riparo altrove il passo serra;
Perché in persona Carlo la tenea,
Et avea seco i mastri de la guerra.
Duo Guidi, duo Angelini, uno Angeliero,
Avino, Avolio, Ottone e Berlingiero.
18
Inanzi a Carlo, inanzi al re Agramante
L'un stuolo e l'altro si vuol far vedere,
Ove gran loda, ove mercé abondante
Si può acquistar, facendo il suo dovere.
I Mori non però fèr prove tante.
Che par ristoro al danno abbiano avere;
Perché ve ne restar morti parecchi,
Ch'agli altri fur di folle audacia specchi,
19
Grandine sembran le spesse saette
Dal muro sopra gli nimici sparte.
II grido insin al ciel paura mette.
Che fa la nostra e la contraria parte.
Ma Carlo un poco et Agramante aspette;
Ch'io vo' cantar de l'Africano Marte,
Rodomonte terribile et orrendo.
Che va per mezzo la città correndo.
20
Non so. Signor, se più vi ricordiate
Di questo Saracin tanto sicuro.
Che morte le sue genti avea lasciate
Tra il secondo riparo e '1 primo muro,
Da la rapace fiamma devorate,
Che non fu mai spettacolo più oscuro.
Dissi ch'entrò d'un salto ne la terra
Sopra la fossa che la cinge e serra.
21
Quando fu noto il Saracino atroce
All'arme istrane, alla scagliosa pelle.
Là dove i vecchi e '1 popol men feroce
Tendean l'orecchie a tutte le novelle,
Levossi un pianto, un grido, un'alta voce,
Con un batter di man ch'andò alle stelle;
E chi potè fuggir non vi rimase.
Per serrarsi ne' templi é ne le case.
• 22 [de.
Ma questo a pochi il brando rio conce -
18. 3. loda. V. e. XV, 2, 1.
— 6. abbiano ay.; abb. ad avere; possano
avere. Per 1' omissione della prep, cfr. e. i,
4, 1. Per il signilicato cfr. xvii, 38, 5; xviii,
76, 1.
— 8. specchi, esempi. Cioè quelli che mo-
rivano erano esempio e incitamento di folle
audacia anche agli altri.
19. 3. Il gr. in. al ciel; il grido che arriva
sino al ciel.
20.4. secondo r, ; l'argine secondo. V.
e. XIV, 126, n. 7.
— 6. Che; cosicché. Per il racconto cfr.
e. XV, 5. — oscuro, tetro, orribile. In questo
senso non si citano esempi chiari.
21. 3. p. men feroce; le donne, i fanciulli
i vecchi ecc.
192
OKLA.NDO FURIOSO
ChMntorno ruota il Saracin robusto.
<5ui fa restar con mezza gamba un piede,
Là fa un capo sbalzar lungi dal busto:
L'un tagliare a traverso se gli vede,
Dal capo all'anche un altro fender giusto;
E di tanti che uccide, fere e caccia,
Non se gli vede alcun segnare in faccia.
23
Quel che la tigre de l'armento imbelle
Ne' campi Ircani o là vicino al Gange,
O '1 lupo de le capre e de le agnelle
Nel monte che Tifeo sotto si frange;
Quivi il crudel Pagan facea di quelle
Non dirò squadre, non dirò falange,
Ma vulgo e populazzo voglio dire,
Degno, prima che nasca, di morire.
24 [te.
Non ne trova un che veder possa in fron-
Fra tanti che ne taglia, fora e svena.
Per quella strada che vien dritto al ponte
Di san Michel, si popolata e piena.
Corre il fiero e terribil Rodomonte,
E la sanguigna spada a cerco mena:
Non riguarda né al servo né al signore.
Né al giusto ha più pietà, ch'ai peccatore.
22. 7. caccia, perseguita, dà la caccia.
23. 2. campi Ire. Ircania è 1' odierno Gur-
gan nella Persia. È regione montuosa e sel-
vaggia, famosa per le bestie feroci, special-
mente per le sue tigri. Cosi pure V Indostan
(là vicino al Gange).
— 4. Nel monte ecc. Nel monte, che sotto di
sé frange, schiaccia, Tifeo. Tifeo, gigante, se-
condo alcuni antichi fu sepolto sotto l' Etna,
ma per i più nell' isola d' Ischia, nel golfo
di Napoli. Qui deve intendersi Ischia, per-
ché l'A. sotto l'Etna pone Encelado. V. e.
XII, 1, 4, e Virgilio, En. 9, 716. L'A. nel ca-
pitolo II, 20 : « Ischia a Tifeo non è si grave ».
— 6. falange; falangi. Squadre accenna
air ordine tattico, che si sarebbe richiesto
per opporsi con vantaggio a Rodomonte,
falange accenna alla compattezza che, al-
meno, avrebbe dovuto mantenersi fra per-
sone coraggiose. Per il plur. in e cfr. e. ix,
&4, n. 1.
— 7. populazzo (frane, populace) popolo
vile e minuto. Fu usato dal Boccaccio, dal
Villani e da altri.
24. 3. ponte di S. M. Esiste anche oggi,
non lontano dall'antico, che era in legno.
É inutile dire che l'A. parla di Parigi quale
era a' suoi tempi : che al tempo di Carlo
Magno forse non esisteva neppure la cinta
delle mura.
— 6. a cerco m. V. c. XI, 7, 2. È espres-
sione Petrarchesca; App. ai Tr. 52: «Vidi
il vittorioso e gran Camillo Sgombrar l' oro
e menar la spada a cerco».
25
Religìon non giova al sacerdote,
Né la innocenzia al pargoletto giova:
Per sereni occhi o per vermiglie gote
Mercé né donna né donzella trova:
La vecchiezza si caccia e si percuote;
Né quivi il Saracin fa maggior prova
Di gran valor, che di gran crudeltade;
Che non discerne sesso, ordine, etade.
26
Non pur nel sangue uman l'ira si stende
De l'empio Re, capo e signor degli erapi.
Ma centra i tetti ancor si, che n'incende
Le belle case e i profanati tempi.
Le case eran, per quel se n'intende,
Quasi tutte di legno in quelli tempi:
E ben creder si può; ch'in Parigi ora
De le diece le sei son cosi ancora.
27 [arda,
Non par, quantunque il fuoco ogni cosa
Che si grande odio ancor saziar si possa.
Dove s'aggrappi con le mani guarda.
Si che ruini un tetto ad ogni scossa.
Signor, avete a creder che bombarda
Mai non vedeste a Padova si grossa,
Che tanto muro possa far cadere.
Quanto fa in una scossa il Re d'AIgiere.
28
Mentre quivi col ferro il maledetto,
E con le fiamme facea tanta guerra;
Se di fuor Agramante avesse astretto,
Perduta era quel di tutta la terra:
Ma non v'ebbe agio; che gli fu interdetto
25. 8. ordine, condizione, grado.
26. 3. tetti; Qui ha il signiflc. generale
di edifìci, come si vede dal verso che se-
gue. È uso notevole non registrato da' vo-
cabolari. Che tetti deve intendersi in gene-
rale per edifici, lo dice il si che, indicante,
non una dichiarazione, ma una conseguen-
za; lo dice il ne, che altrimenti sarebbe
pleonastico; e io dice la distinzione di case
e templi del v. 4.
— 5. se n' int. ; se ne sente dire. V. e. xiv,
41, n. 5.
27. 6. a Padova. Il cardinale Ippolito fu
all' assedio di Padova fatto nel 1509 dal-
l' Imperatore Massimiliano durante la lega
di Cambrai, dove si usarono bombarde gros-
sissime.
28. 3. avesse astretto; La Crusca intende
a. attaccato con gran veemenza e cita
questo solo esempio; ma forse è da inten-
dere a/vesse stretto, forzato (le mura). L'A.
usò accozzai' per cozzare; accogliere per
cogliere , allusingare per lusingare ; il
Machiav. 238, 2: affo rtiflcare, aggiungere.
— 5. T'ebbe ; n' ebbe. V. e. xi,7, 4; xtii,
21, 4.
CANTO XVI
193
Dal Paladin che venia d'InghilteiTa
Col popolo alle spalle Inglese e Scotto,
Dal Silenzio e da l'Angelo condotto.
29
Dio volse che all'entrar che Rodomonte
Fé' ne la terra, e tanto foco accese,
Che presso ai muri il fior di Chiaramonte,
Rinaldo, giunse, e seco il campo Inglese.
Tre leghe sopra avea gittato il ponte,
E torte vie da man sinistra prese,
Che disegnando i Barbari assalire,
11 fiume non l'avesse ad impedire.
30
Mandato avea sei mila fanti arcieri
Sotto l'altiera insegna d'Odoardo,
E duo mila cavalli, o più, leggieri
Dietro alla guida d'Ariman gagliardo;
E mandati gli avea per li sentieri [do,
Che vanno e vengon dritto al mar Picar-
Ch'a porta san Martino e san Dionigi
Entrassero a soccorso di Parigi.
31
I carriaggi e gli altri impedimenti
Con lor fece drizzar per questa strada.
Egli con tutto il resto de le genti
Più sopra andò girando la contrada.
Seco aveau navi e ponti et argiimenti
Da passar Senna che non ben si guada.
Passato ogn'uno, e dietro i ponti rotti,
Ne le lor schiere ordinò Inglesi e Scotti.
32
Ma prima quei Baroni e Capitani
Rinaldo intorno avendosi ridutti,
Sopra la riva eh' aita era dai piani
Si, che poteano udirlo e veder tutti,
— 7. Scotto. Gli antichi 1' usarono non di
rado pei' Scoscese.
29. 2. e tanto f. ac. Avverti l'anacoluto.
Dovrebbe dire: dove tanto f. ac.
— 3. Che. Sulla ripetizione del che cfr.
e. V, 27, 6.
— 4. giunse. Regolami, il congiunt. V.
FoRXACiARi, Siili., p. 3PS, 5. Se non è una
sottigliezza, si può osservare che l'indica-
tivo significa meglio 1' effetto immediato
della volontiX di Dio, per cui non vi è di-
stanza tra il volere e il fare.
— 7. Che; si che. Rinaldo, che si trovava
5ulla destra, era passato col forte dell'eser-
cilo sulla sinistra della Senna, tre leghe
sopra a Parigi, per arrivare improvvisa-
mente a dosso ad Agramante, mentre O-
doardo ed .\limano dovevano tenersi sulla
destra per soccorrer Parigi da questa parie.
31. 1. impedimenti (lat. iìripedimentà)\
bagagli, salmerie.
— 5. argnmenti; strumenti, mezzi. Dante,
Puìff. 2, 31: «Vedi che sdegna gli argo-
menti umani».
32. .i. la riva; V. e. xiil, 42, n. 7.
Disse : Signor, ben a levar le mani
Avete a Dio, che qui v'abbia condutti.
Acciò, dopo un brevissimo sudore.
Sopra ogni naziou vi doni onore.
33
Per voi saran dui Principi salvati,
Se levate l'assedio a quelle porte:
Il vostro Re che voi sete ubligati
Da servitù difendere e da morte.
Et uno Iraperator de' più lodati
Che mai tenuto al mondo abbiano corte,
E con loro altri Re, Duci e Marchesi,
Signori e Cavallier di più paesi.
34
Si che salvando una città, non soli
Parigini ubligati vi saranno,
Che molto più che per li propri duoli.
Timidi, afflitti e sbigottiti stanno
Per le lor mogli e per li lor figliuoli
Ch'a un medesmo pericolo seco hanno,
E per le sante vergini richiuse.
Ch'oggi non sien dei voti lor deluse:
35
Dico, salvando voi questa cittade,
Vubligate non solo i Parigini,
Ma d'ogn' intorno tutte le contrade.
Non parlo sol dei popoli vicini;
Ma non è terra per Cristianitade,
Che non abbia qua dentro cittadini:
Si che, vincendo, avete da tenere
Che più che Francia v'abbia obligo avere.
36
Se donavan gli antiqui una corona
A chi salvasse a un cittadin la vita.
Or che degna mercede a voi si dona,
Salvando multitudine infinita?
Ma se da invidia o da viltà si buona
E si santa opra rimarrà impedita.
Credetemi che prese quelle mura.
Né Italia, né Lamagua anco è sicura;
33. 3. Il vostro Re; Ottone d'Inghilterra
chiuso anch' egli in Parigi.
— 7. Duci, duchi. V. e. HI, 45, 1.
34. 2. Parigini, i Parigini. V. e. il, 15, n. 8.
— 7. richiuse, rinchiuse. V. e. xiv, 79, n. 3.
35. 5. per Crist.; per ia Crist. V. e. II,
15, n. 8.
— 8. pili che Francia; più territorio, che
non sia la sola Fr. — v'abbia... avere, v'avrà.
V. e. XV, 35, 11. 2,
36. 1. una corona; la corona detta civica.
V. XIV, 4, n. 7.
3. si dona. Avverti questo presente, che
mostra la cosa, non come futura e possi-
bile, ma come presente e in atto; e per ciò
esprime la fiducia di Rinaldo nei suoi sol-
dati.
— 8. anco; In proposiz. negativa ha colla
negazione il signific. di neppure. Cosi al
e. XVIII, 146, 2; XXIV, 381; xxv, 41, 3 e al-
Arìosto — Papi»»
13
194
ORLANDO FURIOSO
Né qualunque altra parte ove s'adori
Quel che volse per noi pender sul legno.
Né voi crediate aver lontani i Mori,
Né che pel mar sia forte il vostro regno:
Che s' altre volte quelli, uscendo fuori
Di Zibeltaro e de l'Erculeo segno, ^
Riportar prede da l'isole vostre,
Che faranno or, s'avran le terre nostre?
3S
Ma quando ancor nessuno onor, nessuno
Util v'inanimasse a questa impresa,
Comniun debito è ben soccorrer l'uno
L' altro, che militiàn sotto una Chiesa.
Ch" io non vi dia rotti i nemici, alcuno
Non sia che tema e con poca contesa;
Che gente male esperta tutta parrai,
Senza possanza, senza cor, senz'armi.
39
Potè con queste e con miglior ragioni,
Con parlare spedito e chiara voce
Eccitar quei magnanimi Baroni
Rinaldo, e quello esercito feroce:
Efn,com'òinproverbio, aggiunger sproni
Al buon corsier che già ne va veloce.
Finito il ragionar, fece le schiere
Muover pian pian sotto le lor bandiere.
40
Senza strepito alcun, senza rumore
Fa il tripartito esercito venire.
Lungo il fiume a Zerbin dona l'onore
Di dover prima i Barbari assalire;
E fa quelli d'Irlanda con maggiore
Volger di via più tra campagna gire;
E i cavallieri e i fanti d'Inghilterra
Col Duca di Lincastro in mezzo serra.
41
Drizzati che gli ha tutti al lor caiuino,
Cavalca il Paladin lungo la riva,
E passa inanzi al buon duca Zerbino,
Irove. Malmantile, e. Q, tì: « Error, che
noi farebbe anco un cavallo ».
37. 4. pel mar; per il mare, in grazia del
mare, che lo difende.
— 5. s' altre volte. I Saracini d'Affrica in
questo tempo erano veramente diventati
padroni del bacino occidentale del mediter-
raneo e cosi scorrazzavano nelle più lon-
tane regioni. Qui 1' A. non sembra accen-
nare a nessun fatto determinato.
— 0. Zibeltaro, Gibilterra; V. e. xxx, 10,
3. — Erculeo segno, sono le colonne d'Er-
cole. V. e. IV, 61, n. S.
38. 5. Ti dia rotti; vi faccia rompere. È
modo non citato dai vocab.
39. 4. feroce, fiero. V. e. i, 3;^, 2.
— 0. aggiunger sproni. É il proverbio lat.
« addere calcarla sponte currenti ». ,
40. 6. tra e. per la camp, allontanandosi
di più dalla .Senna. \^ st. 15, 2.
E a tutto il campo che con lui veniva;
Tanto ch'ai Re d' Orano e al Re Sobrino
E agli altri lor compagni sopr'arriva, [gna
Che mezzo miglio appresso a quei di Spa-
Guardavan da quel canto la campagna.
42
L'esercito Cristian che con si fida
E si sicura scorta era venuto,
Ch"ebbe il Silenzio e l'Angelo per guida.
Non potè ormai patir più di star muto:
Sentiti gli 'niniici, alzò le grida,
E de le trombe udir fé' il suono arguto;
E con l'alto rumor, ch'arrivò al cielo.
Mandò ne l'ossa a' Saracini il gelo.
43 [gè,
Rinaldo inanzi agli altri il destrier pnn-
E con la lancia per cacciarla in resta:
Lascia gli Scotti un tratto d'arco lungo;
Ch'ogni indugio a ferir si lo molesta.
Come groppo di vento talor giunge.
Che si tra' dietro un'orrida tempesta;
Tal fuor di squadra il cavallier gagliardo
Venia spronando il corridor Baiardo.
44
Al comparir del Paladin di Francia,
Dan segno i Mori alle future angosce:
Tremare a tutti in man vedi la lancia,
I piedi in staffa, e ne l'arcion le cosce.
Re Puliano sol non muta guancia,
Che questo esser Rinaldo non conosce;
Né pensando trovar si durò intoppo.
Gli muove il destrier coutra di galoppo :
45
E su la lancia nel partir si stringe,
E tutta in sé raccoglie la persona;
Poi conambogli spronili destrierspinge,
41. 7. appresso; vicino. V. e. xiv, 107-S.
42. 1. fida... sicura; che non poteva ingan-
nare... che non poteva sbagliare.
— 4. potè. V. la nota al e. vm, 52, 4. La
Principe ha -puote.
43. 2. per cacciarla; colla lancia in resta
per cacciarla, spingerla, contro i nemici.
— 4. SI 1. DI. « È questo si una particella
breve acuta penetrante, piena di spirito, che
fa brillante e animato il racconto, usata
per ciò con somma compiacenza, né senza
ragione, dai nostri antichi, che i loro rac-
conti a gran dovizia ne seminavano ». Sal-
viate V. FoiiNA< I Aiu, Sitit. p. 356, 4.
— 5. groppo di V., E anche solamente
groppo e gruppo dissero spesso gli antichi
per turbine.
— C. tra, trae. V. e. xi, 12, n. 5.
44. 2. Dan segno alle f. a. ; danno i primi
segni delle f. a. È modo nuovo e non citato
dai vocab.
45. 1. si stringe, si china, stringendosi
contro la lancia per sostener meglio l'urto.
CANTO XVI
19.J
E le redine inanzì gli abandoiia.
Da l'altra parte il suo valor non finge,
E mostra in fatti quel ch'in nome suona,
Quanto abbia nel giostrare e grazia et arte,
li ligliuolo d'Anione, anzi di Marte,
4G
Furo al segnar degli aspri colpi, pari;
Che si posero i ferri ambi alla testa:
Ma furo in arme et in virtù dispari;
Che l'un via passa, e Taltro morto resta.
Bisoguan di valor segni più chiari.
Che por con leggiadria la lancia in resta:
Ma fortuna anco più bisogna assai;
Che senza, vai virtù raro o non mai.
47
La buona lancia il Paladin racquista,
E verso il Re d'Oran ratto si spicca.
Che la persona avea povera e trista
Di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si può in lista.
Ben eh' in fondo allo scudo gli l'appicca:
E chi non vuol lodarlo, abbialo escuso.
Perché non si potea giunger più insuso.
48
Non lo ritien lo scudo, che non entre.
Ben clie fuor sia d'acciar, dentro di palma;
E che da quel gran corpo uscir pel ventre
Non faccia l' ineguale e piccola alma. '
Il destrier che portar si crcdea, mentre
— 1. inanzi, prima 4i spronarlo.
— 5. non finge, Come fosse pura spaval-
deria. Cfr., a commento di ciò, e. xlii, 18, 7.
Gli altri commentatori intendono non finge,
non dissimula, non cela: ma che K. non lo
dissimulava o celava è già chiaro dal suo
avanzarsi ardito e terribile dinanzi agli al-
tri. Qui invece ÌW. vuol dire che quel va-
lore non era da lui liuto perla circostanza,
come appunto nel canto xlii sopra citato,
Eoa era l'usato valore.
46. 1. segnar, mirare. Quanto alla mira
dei colpi, furono eguali. LiEUNi,.i/in. I, 64 :
•«Giuuselo appunto ove l'avea segnato».
— a. in arme et in v. ; nella potenza delle
aruji e nelTubilitu per maneggiarle.
— 4. via passa, nello scontro uno ferisce
e passa oltre, l'altro resta morto.
47. 1. racquista; Spesso l'A. usa anche ri-
era, ritira a sé levandola dal corpo del
nemico trafitto.
— 5, por... m lista, annoverare.
— 7. escnso, escusato, scusalo. V. e. I,
48, n. 4.
— 8. non si potea ecc.; Essendo egli quasi
gigante, non poteva ferirlo più in alto.
48. 2. fuor sia d'a. ecc. Lo scudo antico
avea la piastra e l'orlo d'acciaio, il fondo
di legno. La palma è legno durissimo.
— 5, mentre; finché, v, e. vi, 64, n. 5.
— 'j. salma, peso. Y. e. x, 25, n. 4.
Durasse il lungo di, si grave salma,
Rileri in mente sua grazie a Rinaldo,
Ch' a quello incontro gli schivò un gran
49 [caldo.
Rotta l'asta, Rinaldo il destrier volta
Tanto leggici-, che fa sembrar ch'abbiaalc;
E dove la più stretta e maggior folta
Stiparsi vede, impetuoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta.
Che fa l'arme parer di vetro frale.
Tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
Che non vada a trovar la carne viva.
50
Ritrovar poche tempre e pochi ferri ;
Pnó la tagliente spada, ove s'incappi;
Ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,
Giuppe trapun*^e, e attorcigliati drappi.
Giusto è ben d mque che Rinaldo atterri
Qualunque asi- }le, e fori e squarci e af-
Chenonpiùsid t'ende da sua spada, [frappi
Ch'erba da falce, o da tempesta biada.
51
La prima schiera era già messa in rotta,
Quando Zerbin con l'antìguardia arriva.
Il Cavallier inanzi alla gran frotta
Con la lancia arrestata ne veniva.
La gente sotto il suo penuon condotta,
Con non minor fierezza lo seguiva:
Tanti lupi parean, tanti leoni
Ch' andassero assalir capre o montoni.
52 [vallo.
Spinse a un tempo ciascuno il suo ca-
Poi che fur presso: e spari immantinente
Quel breve spazio, quel poco intervallo
Che si vedea fra 1' una o l'altra gente.
— 7. Riferì... grazie; ringraziò. V. e. vi,
SI, n. 1.
— 8, a. q. i.; con quell' ine. Dante, Par.
11, 114: «E comandò che l'amassero a
fede ». — gli schivò. V. e. xi, 57, n. 6.
49. 3. folta, folla.
— 8. Che, in modo che. Tempra di ferro
non impedisce il suo taglio, in modo che
non vada a trovar ecc.
50. 1. tempre... ferri. Figura d'endiadi:
ferri temperati, armature dei cavalieri,
— 3, Ma targhe ecc.; Intendi che pochi
erano i cavalieri, e molti i pedoni armati
di targa (cfr. e. xii, 79, n. 7), di imbottito
(giuppe tr., dall' arabo gabbali; col p. è
forma rara) e di turbanti (attorcigliati
drappi). V. e, xii, 80, 1.
— 7. Che; pronome relativo di. qualunque .
51. 5. pennon; Piccola bandiera bislunga
usata dalle milizie del M. E., come insegna
secondaria dopo il gonfalone. Significa an-
che, come qui, seniplicem. insegna mili-
tare.
-- S. and. ass. ; and. ad ass. V. e. i, 4, n. 1.
196
ORLANDO FURIOSO
Non fu sentito mai più strano ballo;
Che t'erian gli Scozzesi solamente:
Solamente i Pagani eran distrutti,
Come sol per morir fosser condutti.
53 [ciò ;
Parve più freddo ogni Pagan che ghiac-
Parve ogni Scotto più che fiamma caldo.
I Mori si credeau ch'avere il braccio
Dovesse ogni Cristian, eh' ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,
Senza aspettar che lo 'nvitasse araldo.
De l'altra squadra questa era migliore
Di capitano, d'arme e di valore.
54
D'Africa v' era la men trista gente;
Ben che né questa ancor gran prezzo va-
Dardinellasuamosse incontinente, [glia,
E male armata, e peggio usa in battaglia;
Ben eh' egli in capo avea 1' elmo lucente,
E tutto era coperto a piastra e a maglia.
Io credo che la quarta miglior fia,
Con la quale Isolier dietro venia.
55
Trasone in tanto, il buon Duca di Marra,
Che ritrovarsi all'alta impresa gode,
Ai cavallieri suoi leva la sbarra,
E seco invita alle famose lode;
Poi eh' Isolier con quelli di Navarra
Entrar ne la battaglia vede et ode.
Poi mosse Arìodante la sua schiera,
Che nuovo Duca d'Albania fatt' era.
56
L'alto rumor de le sonore trombe,
De' timpani e de' barbari stromenti (be,
Giunti al continuo suon d'archi, di from-
53. 5. avaccio (etimol. ignota); presto. É
parola frequente nel trecento, ancora viva
nel cinquecento; oggi morta affatto.
— 6. araldo; Era quello che nei duelli
dava il segnale dell' attacco. Qui è detto co-
me in tono di scherzo, quasi dicesse: con
simil gente non si trattava come con ca-
valieri.
— 8. Di cap.; per cap. V. e. va, 10, n. 6.
54. 2. né... ancor, neppure. V. st. 36, n. 8.
— 4 peggio nsa; [)eggio esercitata nella
battaglia, v. e. xx, l, 6.
— 5. Ben clie... avea. V. e. xv, 91, n. 3.
— 6. a p. e maglia; con p. e m. V. st.
48, n. 8.
55. 1. Marra; Marr. Piccolo paese marit-
timo della Scozia.
— 3. leva la sb.; li fa avanzare a com-
battere. È figura tolta dallo steccato, dove
si levava la sbarra per fare entrare i com-
battenti.
— 4. invita; Sottint. li. — lode, imprese
gloriose. V. e. xv, 2, n. 1.
— 8. Che nnovo ecc. V. e. vi, 15.
56. 2. timpani; Si usò per tamburi e per
Di machine, di ruote e di tormenti;
E quel, di che più par che '1 ciel ribombe,
Gridi, tumulti, gemiti, lamenti;
Rendeno un alto suon ch'aquel s'accorda,
Con che i vicin, cadendo, il Nilo assorda.
57 [volve,
Grande ombra d'ogni intorno il cielo in-
Nata dal saettar de li duo campi:
L'alito, il fumo del sudor, la polve
Par che ne l'aria oscura nebbia stampi.
Or qua l'un campo, or l'altro là si volve:
Vedresti, or come un segua, or come scam-
Et ivi alcuno, o non troppo diviso, [pi;
Rimaner morto, ove ha il nimico ucciso.
58 [sa,
Dove una squadra per stanchezza è mos-
Un'altra si fa tosto andare inanti.
Di qua, di là la gente d' arme ingrossa:
Là cavallieri, e qua si metton fanti.
La terra, che sostieu l'assalto, è rossa,
tiìnballi, che erano casse metalliche con
sopra una pelle distesa come i nostri tim-
pani. Erano portati specialmente dai Mori
a cavallo. V. e. xxvii, 29.
— 4. machine... tormenti. In generale val-
gono la stessa -cosa; ma qui machine sou
quelle per dare assalti, scalate ecc; tor-
menti sono le macchine per lanciar pietre
o altro (lat. tormei^ta).
— 7. s'accorda; si agguaglia.
— 8. Con che ecc. Petr. i, son. 40: « Forse,
siccome '1 Nil d'alto caggendo Col gran
suono i vicin d'intorno assorda». L'imitò
il Poliziano, st. i, 28 : « Con tal tumulto
onde la gente assorda. Dall'alte cateratte
il Nil rimbomba». L'idea fu tolta da Cice-
rone. Somn. Scip. 11: «ubi Nilus ad illa,
Catadupa nominantur, praecipitat ex altis-
simis montibus, ea g:ens quae illum locum
accolit propter magnitudinem sonitussensu
audiendi caret ».
57. 1. Grande ombra. Virgilio Eneid. 11,
610: «Fundunt... tela crebra... caelumque
obtexitur umbra»; e 12,578: « obumbrant
aethera telis ». Cosi pure il Tasso, Gerus.
18, 68.
— 4. stampi, formi, produca. Non è ci-
tato dai vocabol. e forse è nuovo. Un uso
simile ed egualmente nuovo vedilo nel Petr.
I, canz. 31 : « Simil fortuna stampa (da for-
ma e tenore) Mia vita ».
— 7. diviso, lontano. Dante, Purg. IS,
139: «Poi quando fur da noi tanto divise
(lontane) ».
58. 1. è mossa; è rimossa, è tolta via dal
capitano.
— 3. la gente d'arme; i guerrieri io ge-
nerale ; da non confondere cogli uomini
(trarrne, che era la cavalleria pesante.
à
CANTO XVI
197
Mutato bft il verde ne' sanguigni manti;
E dov' erano i fiori azzurri e gialli,
Giaceno uccisi or gli uomini e i cavalli,
59
Zerbin Iacea le più miraljil pruove
die mai facesse di sua età garzone:
L' esercito Pagau che 'ntorno piove,
Taglia et uccide e mena a destruzione.
Ariodante alle sue genti nuove
Mostra di sua virtù gran paragone;
E dà di sé timore e meraviglia
A quelli di Navarra e di Castiglia.
GO
Chelindo e Mosco, i duo figli bastardi
Del morto Calabruu Re d'Aragona,
Et un che reputato fra' gagliardi
Era, Calamidor da Barcellona,
S'avean lasciato a dietro gli stendardi;
E credendo acquistar gloria e corona
Per uccider Zerbin, gli furo addosso;
E ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.
61
Passato da tre lance il destrier morto
Cade; mailbuon Zerbinsubito è in piede:
Ch'a quei ch'ai suo cavallo han fatto torto,
Per vendicarlo va dove gli vede:
E prima a Mosco, al giovene inaccorto.
Che gli sta sopra, e di pigliar se '1 crede.
Mena di punta, e lo passa nel fianco,
E fuor di sella il caccia freddo e bianco.
62
Poi che si vide tCr, come di furto,
Chelindo il fratel suo, di furor pieno
Venne a Zerbino, e pensò dargli d'urto;
Ma gli prese egli il corridor pel freno:
Trasselo in terra, onde non è mai surto,
E non mangiò mai più biada né fieno;
Che Zerbin si gran forza a un colpo mise,
Che lui col suo signor d'un taglio uccise.
— 6. ne' sang. manti ; in sanguigno. Si è
vestita di color sanguigno.
— 8. Giaceno,- giaceano. È grafia più sem-
plice della più comune giacirno; ed è for-
ma assai frequente nei poeti.
59. 3. pio¥e ; viene alla rinfusa.
— 4. mena a destr., distrugge. Cosi I, 72
menare a fracasso, fracassare; xn, 50,
menare a straccio, stracciare.
— 6. paragone; prova. V. e. I, 61, n. 4.
61. 5. inaccorte; mal accorto. Machiav.,
Corani. 330: «cieca, sorda, inaccorta».
— (3. p. se '1 crede ; crede, si crede pi-
gliarlo. Abbiamo lo spostamento del prono-
me, tante volte avvertito.
62. 1. come di furto, senza aspettarselo,
come quando un ladro ci ruba un oggetto.
— 3. dargli d'nrto; urtarlo. Bonakr. Fiera,
1, 4: «Nello svoltar d'un canto danno di
urto ».
— 7. forza... mise; dette si gran forza a
un colpo.
< 63
Come Calamidor quel colpo mira,
Volta la briglia per levarsi in fretta;
Ma Zerbin dietro un gran fendente tira,
Dicendo: Traditore, aspetta, aspetta.
Non va la botta ove n'andò la mira,
Non che però lontana vi si metta;
Lui non potè arrivar, ma il destrier prese
Sopra la groppa, e in terra lo distese.
64
Colui lascia il cavallo, e via carpone
Va per campar, ma poco gli successe;
Che venne caso che '1 duca Trasone
Gli passò sopra, e col peso l'oppresse.
Ariodante e Lurcanio si pone
Dove Zerbino è fra le genti spesse;
E seco hanno altri e cavallieri e conti.
Che fanno ogn'opra che Zerbin rimonti.
65
Menava Ariodante il brando in giro:
E ben lo seppe Artalico e Margano :
Ma molto più Etearco e Casimiro
La possanza sentir di quella mano.
I primi duo feriti se ne giro.
Rimaser gli altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa veder quanto sia forte;
Che fere, urla, riversa e mette a morte.
66
Non crediate. Signor, che fra campagna
Piigna minor che presso al fiume sia,
Né ch'a dietro l'esercito rimagna.
Che di Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere assali questo di Spagna,
E molto ben di par la cosa già;
Che fanti, cavallieri e capitani
Di qua e di là sapean menar le mani.
67
Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,
Un duca di Glocestra, un d' Eborace:
Con lor Riccardo di Varvecia conte,
E di Chiarenza il Duca, Enrigo audace.
63. 6. lont. vi si m. ; sia messa lont. a
quel luogo. Mettere un colpo, una botta,
vale colpire, ed è espressione del linguag-
gio tecnico delle armi. — vi per ivi ; che
si usò non di rado per indi. Boccaccio,
nov. 41: «corse ad una villa ivi vicina».
7. potè; V. st. 42, n. 4.
64. 2. p. gli successe; per poco tempo gli
riusci. Lasca, Gel. 15 : « Awertisci a quel
che tu fai che ti succeda » : poco invece di
per poco-tempo è vivo e comune ancora
neir uso, in molte locuzioni.
— 3. venne e. avvenne il e.
— S. Che, perché Zerb. rimonti a cavallo.
V. e. I, 27, 8.
66. 1. fra camp. V. st. 15, n. 2; nell'in-
terno dove era Marsilio.
67. 4. Enrigo. Questo nome prese diverse
forme : Arrigo, Errico, Errigo, Enrigo.
198
ORLANDO FURIOSO
Hau Mataliata e Follicone a froq^ie,
E Baricoudo et ogni lov seguace.
Tiene il primo Almeria, tiene il secondo
Granata, tien Maiorca Baricoudo.
68
La fiera pugna un pezzo andò di pare,
Che vi si discernea poco vantaggio.
Vedeasi or l'uno or l'altro ire e tornare.
Come le biade al ventolin di Maggio,
O come sopra '1 lito un mobil mare
Or viene or va, né mai tiene un viaggio.
Poi che Fortuna ebbe scherzato un pezzo,
Dannosa ai Mori ritornò da sezzo.
69
Tutto in un tempo il Duca di Glocestra
A Matalista fa votar I' arcione:
Ferito a un tempo ne la spalla destra
Fieramente riversa Follicoue;
F l'uu Pagano e l'altro si sequestra,
E tra gl'Inglesi se ne va irigione.
E Baricoudo a un tempo /iman senza
Vita per man del Duca di Chiarenza.
70
Indi i Pagani tanto a spaventarsi,
Indi i fedeli a pigliar tanto ardire;
Che quei non facean altro che riratrsi,
E partirsi da l'ordine e fuggire;
E questi andar inanzi, et avanzarsi
Sempre terreno, e spingere e seguire:
E se non vi giungea chi lor die aiuto,
II campo da quel lato era perduto.
5-8. Per questi nomi cff. e. xiv, 13, 15.
Avverti come l'A. dimentica qui d' aver
detto in quel luogo che l'Almeria apparte-
neva a Follicone, Matalista regnava in To-
ledo e Caiatrava, mentre di Granata era re
Stordilano.
68. 6. un viaggio; un solo viaggio; cioè
non sempre avanza, né sempre si ritira.
— ^8. ritornò. È detto per rispetto alla
sconfitta avuta prima dalle altre schiere. —
da sezzo ; da ultimo (lat. sectius che vieu
dopo).
69. 1. Tutto in u. t. Nello stesso tempo
che Follicone e il duca di Chiarenza fauno
il resto. Corrisponde a a un temilo dei
vv. 3 e 7. Male dunque intendono alcuni im-
'provvismnente.
— 5. si seqnestra, si fa prigioniero. In
questo senso non è citato dai vocabolari.
70. 1. a spaventarsi; Infinito detto dai
grammatici storico. Si suol sottintendere
cominciarono.
— 4. da l'ordine ; dal loro posto. Ma'hiav.
Disc, ir, 28: « Soldati che si sappian mettere
agli ordini tosto ».
— 5. avanzarsi t. ; guadagnar terr. Si
usò ugualmente avanzare e avanzarsi
terr.
71
Ma Ferrali che sin qui mai non s'era
Dal Re Marsilio suo troppo disgiunto,
Quando vide fuggir quella bandiera,
E l'esercito suo mezzo consunto,
«prono il cavallo, e dove ardea piti fiera
La battaglia, lo spinse; e arrivò a punto
Che vide dal destrier cadere in terra.
Col capo fesso. Olimpio da la Serra;
72
Un giovinetto che col dolce cauto,
Concorde al suon de la cornuta cetra.
D'intenerire un cor si dava vanto,
Ancor che fosse più duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto
Ouor sapeasi, e scudo, arco e faretra
Aver in odio e scimitarra e lancia,
Che lo fecer morir giovine in Francia.
73
Quando lo vide Ferraù cadere,
Che solca amarlo e avere in molta estima,
Si sente di lui sol via pili dolere,
Che di miir altri che periron prima:
E sopra chi l'uccise in modo fere,
Che gli divide l'elmo da la cima
Per la fronte, per gli occhi e per la faccia,
Per mezzo il petto e morto a terra il caccia.
74 [ruota,
Né qui s'indugia; e il brando intorno
Ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia;
A chi segna la fronte, a chi la gota,
Ad altri il capo, ad altri il braccio taglia:
Or questo or quel di sangue e d'alma vota;
E ferma da quel cauto la battaglia,
Onde la spaventata ignobil frotta
Senza ordine fuggia spezzata e rotta.
72. 2 cornuta cetra. La cetra antica po-
teva avere una specie di manico come la
chitarra, ma ailche le corna come la lira,
pure avendo una cassa arjiionica. Vedi la
figura riportata dal Baumeister nei Monu-
menti di antichità classica.
— 7. Avere in o. Dipende da un sapeva,
che deve rilevarsi dal sapeasi del verso pre-
cedente.
73. 2. avere; averlo. V. e. t, 21, n. 7. —
estima, stima. Forma antica, ina non rara.
— 7. Per la f. Costrutto abbreviato, che
si può compiere : gli divide 1' elmo dalla
cima e passa per la fronte ecc.
74. 2. lorica. Era propriamente un' arma-
tura dei Romani, la quale difendeva il pet-
to; qui significa quella, che nel M. E. si
chiamava comunemente la ma^/ia. V. e. i,
17, 3.
— 6. ferma la b.; arresta i fuggenti e
quindi ferma la battaglia, che si faceva fug-
gendo e inseguendo. È forse un bel rifaci-
mento del latino sistere fugam.
CANTO XVI
lyj
Entrò ne la battaglia il Re Agramaute,
D'uccider Jjente e di far prove vago;
E seco ha Baliverzo, Farurante,
Prus'ion, Soridano e Bambirago.
Poi son le genti senza nome tante,
Che del lor sangue oggi faranno un lago;
Che meglio conterei ciascuna foglia,
<5uando l'autunno gli arbori ne spoglia.
76
Agramante dal muro una gran banda
Di fanti avendo e di cavalli tolta,
Col Ke di Feza subito li manda.
Che dietro ai padiglion piglin la volta,
E vadano ad opporsi a quei d'Irlanda,
Le cui squadre vedea con fretta molta,
Dopo gran giri e larghi avvolgimenti,
Tenir per occupar gli alloggiamenti.
77
Fu '1 Ee di Feza ad esequir ben presto ;
Ch'ogni tardar troppo nociuto avria. [sto;
Raguna in tempo il Re Agramante il re-
Parte le squadre, e alla battaglia invia.
Egli va al fiume; che gli par ch'in questo
Luogo del suo venir bisogno sia:
E da quel canto un messo era venuto
Del Re Sobrino a domandare aiuto.
78
Menava in una squadra più di mezzo
Il campo dietro; e sol del gran rumore
Tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo,
Ch'abbandonavan l'ordine e l'onore.
Zerbin, Lurcanio e Ariodante in mezzo
Vi l'estàr soli incontra a quel furore:
E Zerbin, eh' era a pie, vi peria forse;
Ma '1 buon Rinaldo a tempo se n'accorse.
79
Altrove intanto il Paladin s'avea
Fatto inanzi fuggir mille bandiere.
Or che l'orecchie la novella rea
Del gran periglio di Zerbin gli fere,
C a piedi fra la gente Cirenea
Lasciato solo aveano le sue schiere.
Volta il cavallo, e dove il campo Scotto
A'ede fuggir, prende la via di botto.
80
Dove gli Scotti ritornar fuggendo
75. 5. genti senza nome; ignobili. Cosi
anche il Caro, Kn. 9, 533: « molti senza
nome... a morte trasse «>.
— 6. Che ; le quali. Il che del v. seg. è
correlativo di tante.
77. 4. invia; le invia.
78. 8. se n'accorse. Si accorse che vi pe-
rla, per le notirie avute della fuga degli
Scozzesi.
79. 5. g. Cirenea ; di Cirene, antica città
dell' Affrica : qui sta per T Affrica in gene-
rale.
Vede, s'appara; e grida: Or dove andate?
Perché tanta viltade in voi comprendo,
Che a si vii gente il campo abbandonate?
Ecco le spoglie de le quali intendo
Ch'esser dovean le vostre chiese ornate.
Oh che laude, oh che gloriache '1 figliuolo
Del vostro Re si lasci a piedi e solo!
81 fra,
D'un suo scudier una grossa asta aflfer-
E vede Prusion poco lontano,
Re d'Al.varacchie, e adesso se gli serra,
E de l'arciou lo porta morto al piano.
Morto Agricalte e Bambirago atterra.
Dopo fere aspramente Soridano;
E come gli altri l' avria messo a morte.
Se nel ferir la lancia era più forte.
82
Stringe Fusberta,poi chel'asta è rotta,
E tocca Serpentin, quel da la Stella.
Fatate l'arme avea, ma quella botta
Pur tramortito il manda fuor di sella:
E cosi al Duca de la gente Scotta
Fa piazza intorno spaziosa e bella;
Si che senza contesa un destrier puote
Salir di quei che vanno a selle vote.
83
E ben si ritrovò salito a tempo.
Che forse noi facea, se più tardava;
Perché Agramante eDardinello a un tem-
Sobrin col Re Balastro v'arrivava, [pò.
Ma egli, che montato era per tempo,
Di qua e di là col brando s'aggirava, (no
Mandando or questo or quel giù ne l'infer-
A dar notizia del viver moderno.
84
Ilbuon Rinaldo, il qualeaporre in terra
I più dannosi avea sempre riguardo.
La spada contra il Re Agramante afferra.
Che troppo gli parca fiero e gagliardo
(Facea egli sol più che mille altri guerra);
E se gli spinse addosso con Baiardo:
Lo fere a un tempo et urta di traverso,
Si che lui col destrier manda riverso.
85
Mentre di fuor con si crudel battaglia,
Odio, rabbia, furor l'uu l'altro offende,
80. 2. s'appara; si para. Per l'aggiunta
dell' a cf. st. 28, 3.
— 5. intendo; sento dire. Con questo Ri-
naldo accenna ai loro vanti e ai loro pro-
positi prima della battaglia e glieli rinfaccia
ora che fuggono.
81. 1. D'un s. ; da un s. V. e. v, 10, n. 5.
— 3. d'Alvar; delle Alvar. V. e. ii, 15, n.8.
82. 2. tocca; colpisce. Cosi anche al e.
xviii, U3, 5. V. anche e, m, 68, n. 4. — da
la Stella. Stella è antico nome di una città
di Spagna : Kstella.
— 4. Pur, ciò nonostante.
85. 2. Odio, rabb. far. Si ha l'astratto per
200
ORLANDO FURIOSO
Rodomonte in Parigi il popò! taglia,
Le belle case e i sacri templi accende.
Carlo, eh' in altra parte si travaglia,
Questo non vede, e nulla ancor ne'nteude,
Odoardo raccoglie et Arimanno
Ne la città, col lor popol Britanno.
86
A lui venne un scudier pallido in volto
Che potea a pena trar del petto il fiato:
Ahimè! Signor, ahimè! replica molto,
Prima ch'abbia a dir altro incominciato:
Oggi il Romano imperio, oggi è sepolto;
Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato:
Il Demonio dal cielo è piovuto oggi,
Perché in questa città più non s'alloggi.
87
Satanasso (perch'altri esser non puote)
Strugge e ruiua la città infelice.
Volgiti e mira le fumose ruote
De la rovente fiamma predatrice;
Ascolta il pianto che nel ciel percuote;
E faccian fede a quel che '1 servo dice.
Un solo è quel ch'a ferro e a fuoco strugge
Xa bella terra, e inanzi ognun gli fugge.
88
Quale è colui che prima oda il tumulto,
E de le sacre squille il batter spesso.
Che vegga il fuoco a nessun altro occulto,
Ch'a sé, che più gli tocca, e gli è più presso;
Tal è il Re Carlo, udendo il nuovo insulto^
E conoscendol poi con l' occhio istesso;
Onde lo sforzo di sua miglior gente
Al grido drizza e al gran rumor che sente,
89
Dei Paladini e dei guerrier più degni
Carlo si chiama dietro una gran parte,
E ver la piazza fa drizzare i segni;
Che '1 Pagan s' era tratto in quella parte.
Ode il rumor, vede gli orribil segni
Di crudeltà, l'umane membra sparte.
Ora non più: ritorni un'altra volta
Chi volentier la bella istoria ascolta.
il concreto : Pieni di odio, rabbiosi, furi-
bondi si offendono r un 1' a.
— 7. raccoglie ; accoglie. V. e. vii, 9, n. 3.
86. 7. piovuto; Perché non sapeva come
Rodomonte fosse trapassato nella città.
E7. 7. a ferro eco; con ferro. V. st. 48, n. 8.
88. 4. che pili gli t. ; a cui più gli t., ap-
partiene, interessa. In questa espressione,
comunissima ancora nell' uso popolare, è
da notare il che nel complem. di termine ;
(cfr. e. XIII, 37, n. 5); e la ripetizione pleo-
nastica del pronome (gli). V. Fornaciari,
Sint., p. 117, dove troverai diversi esempi.
Si potrebbe anche intendere il che relativo'
di fuoco, considerando che spesso l'A. fa
questi slacchi forzati. V. e. iv, 51, n. 4. —
Avverti poi come il che del v. 3 è correla-
tivo di p}-ima del v. 1 ; e il primo che del
v. 4 è correlativo di nessun altro del v. 3.
Xeir insieme è una stanza non chiara.
— 5. insulto ; assalto all' improvviso di
un esercito nei suoi trinceramenti. Se 1' e-
sercito non è trincerato è sorpresa. (Gras-
si, Diz. Mitit.).
89. 7. ritorni. Qui l'A. ha serbato le for
me dei cantastorie popolari, che invitavano
il popolo a tornare ad udirli. V. e. i, n. 7.
CANTO XVII
Il giusto Dio, quando i peccati nostri
Hanno di remission passato il segno.
Acciò che la giustizia sua dimostri
Uguale alla pietà, spesso dà regno
A tiranni atrocissimi et a mostri,
E dà lor forza e di mal fare ingegno.
Per questo Mario e Siila pose al mondo,
E duo Neroni e Caio furibondo.
I Domiziano e l'ultimo Antonino;
E tolse da la immonda e bassa plebe,
Et esaltò all'Imperio Massimino;
E nascer prima fé' Creonte a Tebe;
E die Mezenzio al popolo Agilino,
1. 2. di rem. il s. ; il segno, oltre il quale
Don e' è più remissione, perdono.
— 6. di m. fare ing. ; virtù, attitudine a
ma] fare. Piii frequente con la prep. a.
— S. duo Ner., Tiberio verani. della fa-
miglia dei Neroni, e Domizio entratovi per
adozioue. — Caio: Caligola.
2. 1. l'n. Antonino; Eliogabalo, che fu
r ultimo,- il quale portasse il nome di Anto-
nino (M. Aurelio Antonino, m. 222 d. C).
— 3. Massimino, (e. 173-238 d. C.) figlio di
un pastore Trace, fu prode, ma crudele.
— 4. Creonte, secondo la leggenda re di
Tebe, fece seppellir viva Antigone, perché
aveva dato sepoltura ai cadaveri dei fra-
telli p;teocle e Polinice.
— 5. Hezenzio, re di Cere (Cervetri), che
dai Pelassi fu detta Agvlla. Era ferocis-
CANTO XVII
201
Che l'è di sangue iiman grasse le glebe ;
E diede Italia a tempi men rimoti
In preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.
3
Che d'Attila dirò ? che de l'iniquo
Ezzellin da Koman ? che d'altri cento ?
Che dopo un lungo andar sempre in obli-
[quo,
Ne manda Dio per pena e per tormento.
Di questo abbiàn non pur al tempo antiquo,
Ma ancora al nostro, chiaro esperimento,
Quando a noi, greggi inutili e mal nati,
Ha dato per guardian lupi arrabbiati :
4
A cui non par ch'abbi' a bastar lor fame.
Ch'abbi' il lor ventre a capir tanta carne;
E chiaraan lupi di più ingorde brame
Da boschi oltramontani a divorarne.
Di Trasimeno l'insepulto ossame,
E di Canne e di Trebbia, poco parne
Verso quel che le ripe e i campi ingrassa,
Dov'Adda e Mella e Ronco e Tarro passa.
Simo e faceva legare i vivi coi cadaveri,
perché morissero nella putredine.
3. 1. Attila. Fu per la sua crudeltà so-
prannominato itagelluiii dei. V. Dante,
Jiif. 12, 133.
— 2. Ezzellin. da R. V. e. ili, 33.
— 3. un 1. andar, dei popoli. Andare in
obliquo è uscir dal cammin dritto, cioè ope-
rare pravamente.
4. 1. A cui ecc. In questa st. si allude a
Giulio II, che, per rifarsi delia rotta di Ra-
venua, fece « da' monti a guisa di tempesta
Scendere in fretta una tedesca rabbia »
e. xxxviii, 41.
— 2. abbi. In questo e nel preced. verso,
come al e. xviii, 192, 0, abbiamcf questa
forma apostrofata, invece di abbia; altrove
è senza apostrofo in, 17, 4. Le ediz. del 1516
e 1521 hanno l'intero abbia, che l'A. scoi'ciò
per toglier l'iato abbia a bast.; questo dà
la ragione deli' apostrofo, che manca altro-
ve. V. e. XV, 86, n. 5. — clic, e che. Dipende
da par.
— 5. Di Trasimeno ecc. Sul Trasimeno, a
Canne, sulla Trebbia avvennero le tre gran-
di battaglie, in cui i Romani furou vinti
dai Cartaginesi d'Annibale. Trasimeno e
Trebbia dovrebbero regolarmente avere
r art. V. FORNAC. S. 129, 1 1. e e. ii, 15, n. 8.
— S. Dov'Adda ecc. SuU' Adda avvenne
la battaglia d'Agnadello tra Francia e Ve-
nezia (1509); sul Mella quella di Brescia
(1512), sul Ronco quella di Ravenna tra
Francia e i collegati (1512), sul Taro quella
di Fornovo tra Francesi e Italiani (U95).
— Tarro, Taro; secondo la pronunzia dia-
leliale. Kell'ediz. del 1516 si aveva Tarro
anche nel e. xiii, 60; là fu coiTetto, qui
rimase forse per svista.
i Or Dio consente che noi siàn puniti
Da popoli di noi forse peggiori,
I Per li multiplicati et infiniti
! Nostri nefandi, obbrobriosi errori.
I Tempo verrà, eh' a depredar lor liti
Andremo noi, semai sarèn migliori,
; E che i peccati lor giungano al segno,
Che l'eterna ELoiità muovano a sdegno.
6
Doveano allora aver gli eccessi loro
Di Dio turbata la serena fronte, [Moro
Che scorse ogni lor luogo il Turco è '1
Con stupri, uccisiou. rapine et onte:
Ma più di tutti gli altri dauni, foro
Gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,
E che 'n piazza venia per ritrovarlo.
7
Vede tra via la gente sua troncata,
'' Arsi i palazzi, e minati i templi,
j Gran parte de la terra desolata:
1 Mai non si vider si crudeli esempli.
j Dove fuggite, turba spaventata?
I Non è tra voi chi '1 danno suo contempli?
I Che città, che refugio più vi resta,
Quando si perda si vilmente questa?
• ^
I Dunqueunuomsoloin vostra terra pre-
Cinto di mura onde non può fuggire, [so,
' Si partirà che non l'avrete oflfeso.
Quando tutti v'avrà fatto morire?
Cosi Carlo dicea, che d'ira acceso
Tanta vergogna non ^jotea patire;
5. 1. siàn, slam. V. e. ix, 43, n. S.
— 7. E che, e se. Su questo che cfr. e. iv,
60. n. 5 e gli altri esempì là citati.
6. 1. loro; di quegli oltramontani, cioè
dei Francesi.
— 3. Che; È coi^elativo di allora: allo-
ra... quando.
— 5. Ma pili ecc. Nota 1' andamento po-
polare della sintassi: regolarm. dovrebbe
dirsi : ma più che da tutti gli altri danni
furou gr. dal f. ecc. É uno scorcio vivo
anc' oggi nel popolo.
7. 1. tra Tia. V. e. xvi, 15, n. 2. — tron-
cata, uccisa (è il lat. truncare). È di uso
poetico.
— 5. Dove fuggite ecc. L' A., ha avuto
presente in questo luogo Virgilio, En. ix,
781, dove Muesteo cosi dice ai Troiani fug-
genti dinanzi a Turno : « Quo deinde fu-
gam, quo tenditis?... Quos alios muros, quae
iam ultra moenia habetis ? Unus homo, et
vestris, o cives, undique saeptus Aggeribus,
tautas strages impune per urbem Edide-
rit?»
8. 1. preso, chiuso.
— 3. die; in modo che. V. e. i, 57, 7.
202
ORLANDO FURIOSO
E giunse dove inanti alla gran corte
Vide il Pagan por la sua gente a morte.
9
Quivi gran parte era del populazzo,
Sperandovi trovare aiuto, ascesa ;
Perché forte di mura era il palazzo,
Con muniziou da far lunga difesa.
Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo.
Solo s'avea tutta la piazza presa:
E l'una man, che prezza il mondo poco,
Ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.
10
E de la regal casa, alta e sublime,
Percuote e risonar fa le gran porte.
Gettan le turbe da le eccelse cime
E merli e torri, e si metton per morte.
Guastare i tetti non è alcun che stime;
E legne e pietre vanno ad una sorte,
Lastre e colonne, e le dorate travi
Che furo in prezzo agli lor padri e agli avi.
11
Sta su la porta il Re d'Algier, lucente
— 7. corte ; palazzo reale.
9. 1. popniazzo. Più comune è la forma
ììopolazzo: plebe.
7. che prezza il mondo p.; che stima po-
co tutta la gente. L'A. usò più volte mondo
in questo significato, come l'usarono non di
rado i nostri scrittori. Cellim, Vit. i, 34:
« Era di già tutto il mondo in arme ».
— 8. getta il fuoco, getta i fuochi artifi-
ziati per suscitare incendi.
10. 1. alta e sublime Alta si riferisce alla
misura, sublime al senso di grandiosità e
di ammirazione, che desta guardandola.
— 4. si metton p. morte; si dan per m.;
si tengono morte. Questa locuzione è citata
da qualche vocabolario, coir esempio del
solo A.
— 5. stime; curi, tema: cosi al e. xv,
46 — tetti, il palazzo (lat. tecta).
— e. legne ; Leyne si usa per il legname
da ardere: qui più propriam. legni; ma
forse il poeta ha voluto indicare che i le-
gni diversi venivano spaccati e guasti come
legna da ardere — vanno ad una s. K va-
riazione del modo hanno la .stessa sorte,
e e' è di più V idea del moto.
— 7. le dorate travi. Qui e nelle st. se-
guenti l'A. ha avuto presente 1' assalto dato
da Pirro alla magione di Priamo. Noteremo
i raffronti più spiccati. En. 2, 418 : « Aura-
tasque trabes, veterum decora alta paren-
tum, Devolvunt ».
11. 1. Sta s. p. Viro. En. ir, 469: «Ve-
stibulum ante ipsum primoque in limine
Pyrrus Exultat telis et luce coruscus ahena.
Qualis ubi in lucem coluber mala gramiaa
pastus Frigida sub terra tumidum quem
bruma tegebat, Nunc positis novus exuviis
Di chiaro acciar che '1 capo gli arma e '1
Come uscito di tenebre serpente, (busto,
Poi ch'ha lasciato ogni squalor vetusto,
Del nuovo scoglio altiero, e che si sente
Ringiovenito e più che mai robusto:
Tre lingue vibra, et ha negli occhi foco;
Dovunque passa, ogn'animal dà loco.
12
Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,
Né ciò che sopra il Saracin percuote,
Ponno allentar la sanguinosa destra
Che la gran porta taglia spezza e scuote:
E dentro fatto v'ha tanta finestra.
Che ben vedere e veduto esser puote
Dai visi impressi di color di morte,
Che tutta piena quivi hanno la corte.
13
Sonar per gli alti e spaziosi tetti
S'odono gridi e feminil lamenti:
L'afflitte donne, percotendo i petti,
Corron per casa pallide e dolenti,
E abbraccian gli usci e i geniali letti.
Che tosto hanno a lasciarea strane genti.
Tratta la cosa era in periglio tanto,
Quando il Re giunse, e suoi Baroni accau-
14 [to.
Carlo si volse a quelle man robuste
Ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.
nitidusque iuventa Lubrica convolvit, subla-
to pectore, terga Arduus ad solem et linguis
micat ore trisulcis ».
— 2. Di eh. acciar. Al c. XIV, 118 dice che
Rod. avea per usbergo una scagliosa pelle
di drago; ma forse portava su questa, per
ornamento, piastre d'acciaio simili a quelle
degli altri guerrieri.
— 5. scoglio. Si disse già dal Poliziano,
8t. I, 15 e da altri, per la pelle, ^ che getta
ogni anno il serpente. Qui ha il senso più
generale di ■pelle.
— 7. Tre lingue. K il linguis trisulcis di
Virgilio. La serpe ha una sola lingua, ma
bipartita in punta; di qui 1' antico pregiu-
dizio, che avesse tre lingue.
12. 7. impressi, che hanno in viso il col.
Veram. si dice di impronte, figure ecc.; ma
anche il Tas.'so, <ie>: i3, 57, disse: « del cal-
do del sol (le ombre) paiono impresse». (Le
ombre della notte hanno ancora del caldo
del giorno).
13. 1. Sonar ecc. A'inc. En. 486; « At do-
mus interior gemitu miseroque tumultu
Miscelar, penitusque cavae plangoribus ae-
des Femineis ululant, ferit aurea sidera
clamor. Tum pavidae tectis matres ingea-
tibus errant Amplexaeque tenent postes at-
que oscula tìguut».
— 5. geniali 1. V. e. V, 2, n. 6.
— 7. Tratta... in per.; condotta in per.
La locuz. trarre in pericolo non è registi-,
dai vocabolari.
CANTO XYII
203
Non sete quelli voi, che meco fuste
Contia Agolaiite (disse) in Aspramonte?
Sono le forze vostre ora si fruste,
Che, s'uccideste lui, Troiano e Alraonte
■Con cento mila, or ne temete un solo
Pur di quel sangue, e pur di quello stuolo ?
15
Perché debbo vedere in voi fortezza
Ora minor ch'io la vedessi allora?
Mostrate a questo can vostra prodezza,
A questo can che gli uomini devora.
Un magnanimo cor morte non prezza.
Presta o tarda che sia, purcheben muora.
Ma dubitar non posso ove voi sete,
Che fatto sempre vincitor m'avete.
Al fin de le parole urta il destriero,
Con l'asta bassa, al Saracino adosso.
Mossero a un tratto il paladino Uggiero,
A un tempo Namo et Olivier si è mosso,
Avinio, Avolio, Otone e Berlingiero,
Ch'un senza l'altro mai veder non posso:
E ferir tutti sopra a Rodomonte
E nel petto e nei fianchi e ne la fronte.
17
Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai
Di parlar d'ira, e di cantar di morte;
E sia per questa volta detto assai
Del Saracin non men crudel che forte:
Che tempo è ritornar dov'io lasciai
Grifon, giunto a Damasco in su le porte
Con Orrigille perfida, e con quello
Ch'adulter era, e non di lei fratello.
18
De le più ricche terre di Levante,
De le pili populose e meglio ornate
Si dice esser Damasco, che distante
Siede a Gerusalem sette giornate.
In un piano fruttifero e abondante,
14. 4. Centra Agol. Questi fatti son materia
del poema Aspromonte. È notevole che
queste imprese furono compiute principalm.
da Orlando (v. e. i, 28), ora assente^ ma
Carlo M. vuol lusingare 1' amor proprio dei
suoi paladini.
— S. Pur di q. sangue ecc. ; affricano e
nemico di Cristo come loro. j
16. 4. Namo. Nel c. I, 9 si dice che Namo
era stato fatto prigioniero, ora comparisce |
qui senza che si sappia come ha riacqui- j
stato la libertà.
— 6. non posso, non riesco. V. e. xv, 8, I
n. 8. j
— 7. ferir... sopra; menar colpi... s. Si dice |
anche ferir contro, in. V. uso affine nel
e. II, 76, 3. j
17. 5. ritornar, di ritornar.
18. 4. giornate. É d'uso comune per in-
dicare il cammino, che un uomo può fare |
iu un giorno. i
Non men giocondo il verno, che l'estate.
A questa terra il primo raggio folle
De la nascente aurora un vicin colle.
19
Per la città duo fiumi cristallini
Vanno inafiiando per diversi rivi
Un numero infinito di giardini.
Non mai di fior, non mai di fronde privi.
Dicesi ancor, che macinar molini
Potrian far l'acque lanfe che son quivi;
E chi va per le vie vi sente fuore
Di tutte quelle case uscire odore.
20
Tutta coperta è la strada maestra
Di panni di diversi color lieti,
E d'odorifera erba, e di silvestra
Fronda la terra e tutte le pareti.
Adorna era ogni porta, ogni finestra
Di finissimi drappi e di tapeti.
Ma pili di belle e ben ornate donne
Di ricche gemme e di superbe gonne.
21
Vedeasi celebrar dentr'alle porte,
In molti lochi, solazzevol balli;
Il popol, per le vie, di miglior sorte
Maneggiar ben guarniti e bei cavalli,
Facea più bel veder la ricca corte
De' Signor, de' Baroni e de' vassalli
Con ciò che d'India e d'Eritree maremme
Di perle aver si può, d'oro e di gemme.
22
Venia Grifone e la sua compagnia
Mirando e quinci e quindi il tutto adagio,
Quando fermolli un cavalliero in via
19. 1. duo fiumi. Veramente il solo fiume
che passa per Damasco è il Baradà, sulle
cui rive la città è disposta; ma presso vi
scorre anche l'Avai,
— 6. acque lanfe. Lanfa o nanfa (arab.
nafha, odore) è attributo di acqua odorosa
distillata dall' arancio.
20. 8. Di ricche g. È complemento di or-
nate.
21. 1. celebrar... balli. È imitaz. dei La-
tini che usarono celebrare per peragere,
fare; conviviuni celebrare, liidos ecc. —
Vedeaai. Su quest' uso impersonale, invece
del plurale, cfr. Fornaciaiu, Sint. p. ^0.
— 3. di miglior s., di migliori fortune.
Riferiscilo a popolo. Mentre il popolo basso
ballava, il popolo di miglior fortuna anda-
va a cavallo. Alcuni, malamente, lo riferi-
scono a vie.
— 7. d' Eritr. maremme, dalle spiagge del
mar Rosso (maremma dal lat. maritima,
luoghi vicini al mare). Per la omissione
dell' artic. cfr. e. ii, 15, n. 8.
22. 2. adagio; con agio, comodamente.
G.ViLLAM,25 : « E capeavi adagio gran mol-
titudine ». È strano che la N.. Crusca non
204
ORLANDO FURIOSO
E li fece smontare a uu suo palagio;
E per l'usanza e per sua cortesia
Di nulla lasciò lor patir disagio:
Li fé' nel bagno entrar, poi con serena
Fronte gli accolse a sontuosa cena.
23
E narrò lor come il Re Norandino,
Re di Damasco e di tutta Soria,
Fatto avea il paesano e '1 peregrino,
Ch'ordine avesse di cavalleria,
Alla giostra invitar, ch'ai matutiuo
Del di sequente in piazza si faria;
E che s'avean valor pari al sembiante,
Potriau mostrarlo senza andar più inante.
24
Ancor che quivi non venne Grifone
A questo effetto, pur lo 'nvito tenne;
Che qual volta se n'abbia occasione,
Mostrar virtude mai non disconvenne.
InterrogoUo poi de la cagione
Di quella festa, e s'ella era solenne
registri questo signific. cosi comune negli
antichi. j
— 4. li fece smont. Nota il Raina che ciò !
è secondo il costume costantemente esser- |
vato dai cavalieri della Tavola rotonda.
23. 1. Norandino. L' A. riprende e compie |
un episodio dal Boiardo incominciato e in- j
terrotto. Lucina figlia di Tibiano re di Cipri i
era bellissima; il padre bandisce un torneo ;
per sceglierle uu marito degno di lei. Vi cor-
rono i migliori cavalieri, specialmente Co- :
stanzo, imperatore di Costantinopoli, e No- j
randino re di Damasco, che amava, ria- i
jnato, Lucina, si combatte nel torneo un 1
giorno intero tra le due fazioni guidate da
Costanzo e da Norandino; a notte s' inter-
rompe il torneo. Il B., per tener dietro a
Orlando, interrompe dicendo : « Quel che
si fosse poi di Norandino Né di Costanzo non
saprebb'io dire», Inn. II, xix, xx. Ma di
Lucina dice (IH, iii, 21 seg.) che, presa e
legata dall' Orco (non si sa come né perché)
vien liberata da Mandricardo e da Gra-
dasso. Si ricovra sulle navi del padre, che
n' era venuto in cerca, ma da una tempesta
è- gettata al capo della Runa. E neppur di
Lucina si sa più nulla. L' A. raccoglie que-
sti frammenti e ne ricostruisce il beli' epi-
sodio.
24. 1. Ancor che... non venne. V. c. v, 11,
D. 8.
— 3. qual volta. V. e. v, n. 8.
— 6. solenne Usata; solenne usanza an-
nuale. Dante, Purg. 22, 81 : « Ond' io a visi-
tarli presi usata ». Si potrebbe anche inten-
dere : se essa festa era usata, si usava, ogni
anno, cosi solenne. Ma impresa nuova, che
vi si contrappone, consiglia, per il paral-
lelismo, la prima interpretazione.
Usata ogn'anno, o pure impresa nuova
Del Re eh' i suoi veder volesse in pruova.
25
Rispose il Cavallier: La bella festa
S'ha da far sempre ad ogni quarta Luna:
De l'altre che verran, la prima è questa:
Ancor non se n'è fatta più alcuna.
Sarà in memoria che salvò la testa
Il Re in tal giorno da una gran fortuna,
Dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti
Sempre era stato, e con la morte inanti.
26
Ma per dirvi la cosa pienamente.
Il nostro Re, che Norandln s'appella,
Molti e molt'anni ha avuto il core ardente
De la leggiadra e sopra ogn'altra bella
Figlia del Re di Cipro: e finalmente
Avutala per moglie, iva con quella.
Con cavallieri e donne in compagnia;
E dritto avea il cara in verso Soria.
27
Ma poi che fummo tratti a piene vele
Lungi dal porto nel Carpazio iniquo,
La tempesta saltò tanto crudele,
Che sbigotti sin al padrone antiquo.
Tre di e tre notti andammo errando ne le
Minacciose onde per camino obliquo.
Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,
Tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.
28
Piantare i padiglioni, e le cortine
Fra gli arbori tirar facemo lieti.
S'apparecchiano i fuochi e le cucine;
Le mense d'altra parte in su tapeti.
In tanto il Re cercando alle vicine
25. 4. pili alcuna; alcun'altra. Cosi spesso
nella nostra lingua. Boccaccio, nov. 28:
* Non c'è egli più persona che noi due?»
— 6. fortuna, disgrazia. È comune nella
nostra lingua.
26. S. dritto, indirizzato. V. e. xiii, 83,
n. 6.
27. 2. Carpazio in. Mare, che prese nome
da Carpathus (oggi Scarpanto), isola fra
Candia e Rodi. Lo dice iniquo, perché suo-
le essere spesso burrascoso.
j — 3. saltò. V. e. XIII, 15, n. 5.
I — 4. sin' al padr. a.; il vecchio capitano
j della nave. Cosi anche al e. xviii, 145 e cosi
comunemente gli antichi — sino al, fino il.
I Cfr. e. Il, 28, n. 8.
— 5. Tre di' ecc. Virgilio, Eh. ih, 203;
■« Tres adeo incertos cacca caligine soles
Krramus pelago, totidem sine sidere noc-
tes ».
— 7. Uscimo, usciamo. Uscimo, facemo,
aspettamo, vedemo, son forme popolari
del pres. indie, antiquate nella letteratura,
ma vive ancora in qualche luogo di To-
' scana.
fj
CANTO XVII
205
Valli era andato e a' boschi più secreti,
Se ritrovasse capre o daini o cervi;
E l'arco gli portar dietro duo servi.
29 [dendo,
Mentre aspettamo, in gran piacer se-
Che da cacciar ritorni il Signor nostro,
Vedemo l'Orco a noi venir correndo
Lungo il lito del mar, terribil mostro.
Dio vi guardi, Signor, che '1 viso orrendo
De l'Orco agli occhi mai vi sia dimostro.
Meglio è per fama aver notizia d'esso,
Ch'andargli si, che lo reggiate, appresso.
30
Non gli può comparir quanto sia lungo:
Si smisuratamente è tutto grosso.
In luogo d'occhi, di color di fungo
Sotto la fronte ha duo coccole d'osso.
Verso noi vien, come vi dico, lungo
Il lito, e par eh' un monticel sia mosso.
Mostra le zanne fuor, come fa il porco;
Ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.
31
Correndo viene, e '1 muso a guisa porta.
Che '1 bracco suol, quando entra in su la
[traccia.
Tutti che lo veggiam, con faccia smorta
In fuga andamo ove il timor ne caccia.
Poco il veder lui cieco ne conforta,
Quando, fiutando sol, par che più faccia,
Ch'altri non ta, ch'abbia odorato e lume:
E bisogno al tuggire eran le piume.
32
Corron chi qua, chi là; ma poco lece
Da lui fuggir, veloce più che '1 Noto.
Di quaranta persone, a pena diece
28. 7. Se ritr., per vedere se r. V. e. xii,
S7, n. 6.
29. 3. l'Orco. Questa figura è già trat-
teggiata dal Boiardo, Inn. Ili, ih, che la
tolse dalle fiabe popolari e l' arricchì a
spese del Polifemo Omerico e Virgiliano.
L' A. prende diversi tratti dal Boiardo, ma
si attiene più da vicino a Omero, Odiss.
lib. IX.
30. 1. Non gli può e. ecc. Non può apparire
in lui. Modo, nota il Nisiely, assai strano.
Si può anche intendere cotnparire per far
comparsa^ far buoita mostra : la lunghez-
za non gli fa comparsa. Innam. Ili, hi 2S:
■« Grande non è, ma per sei altri è grosso ».
— 4. Sotto 1. fr. Innam. 1. e. 28, 5: «In
loco d' occhi ha due coccole d' osso ».
— 7. Mostra ecc. lanatn. 1. e. 38, 5: «I
denti ha fuor di bocca come il porco ».
31. 2. quando ent. ecc. ; quando trova la
traccia delta fiera e vi si mette dietro, spor-
gendo il muso e odorando.
— 8. E bisogno ecc. ; e per fuggire eran
bisogno, eran necessarie le ali.
32. 2. Noto. V. e. VI, 42, n. 3.
Sopra il navilio si salvaro a nuoto.
Sotto il braccio uu fastel d'alcuni fece;
Né il grembo si lasciò né il seno voto :
Un suo capace zaino empissene anco,
Che gli pendea, come a pastor, dal fianco.
33
Portocci alla sua tana il mostro cieco.
Cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.
Di marmo cosi bianco è quello speco.
Come esser soglia ancor non scritto foglio.
Quivi abitava una matrona seco,
Di dolor piena in vista e di cordoglio;
Et avea in compagnia donne e donzelle
D'ogni età, d'ogni sorte, e brutte e belle.
34
Era presso alla grotta in ch'egli stava.
Quasi alla cima del giogo superno.
Un'altra non minor di quella cava,
Dove del gregge suo facea governo.
Tanto ii'avea, che non si numerava;
E n'era egli il pastor l'estate e '1 verno.
Ai tempi suoi gli apriva, e tenea chiuso
Per spasso che n'avea, più che per uso.
35
L'umana carne meglio gli sapeva;
E prima il fa veder ch'all'antro arrivi;
Che tre de' nostri giovini ch'aveva.
Tutti li mangia, anzi trangugia vivi.
Viene alla stalla, e un gran sasso ne leva:
Ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.
Con quel sen va dove il suol far satollo.
Sonando una zampogna ch'avea in collo.
— 4. navilio, nave. V. e. xx, 41, n. 5.
33. 2. in lito a. m. Espressione fatta sulla
più comune: in riva al mare: cosi al e.
XX, 22.
— 4. Come... soglia. Regolami, ci vuole
l'indie; ma qui ha influito forse sul co-
strutto T altra espressione comune : come
sia, quasi sia un foglio ancora non scritto.
— 5. Quivi ecc. V Orco del Boiardo è
solo, solo è Polifemo. L'a., osserva il Raina,
deve aver tolto questo particolare pietoso
dai racconti popolari, che danno spesso di
queste infelici e buone compagne all'Orco.
— S. d' ogni sorte, d' Ogni condizione.
34. 2. giogo sup.; alto scoglio.
— 7. Ai tempi s.; a SUO tempo; a tempo
opportuno, si disse anche ai suoi tempi.
— gli apriva. Più comunem. si disse e si
dice aprire il gregge; ma -anche al gregge,
souintendendo la stalla.
— 8. per U30, per l'usanza seguita dai
pastori.
35. 1. meglio gli sap.; gli sapeva miglior.",
avea per lui miglior sapore.
— 8. in collo; al collo, appesa al e. Non
è frequente. SiGOLi, Viagg. al Monte Sinai,
42: « \ costui fu messo un asciugamano in
collo ».
20G
ORLANDO FURIOSO
11 Signor nostro in tanto ritornato
Alla marina, il suo danno comprende;
Che trova jrran silenzio in ogni lato,
Voti frascati, padiglioni e tende.
Né sa pensar chi si Tahbia rubato;
E pien di gran timore al lito scende.
Onde i nocchieri suoi vede in disparte
Sarpar lor ferri, e in opra por le sarte.
37
Tosto ch'essi lui veggiono sul lito.
Il palischermo mandano a levarlo :
Ma non si tosto ha Norandino udito
1)6 l'Orco che venuto era a rubarlo.
Che, senza pili pensar, piglia partito,
Dovunque andato sia, di seguitarlo.
Vedersi tór Lucina si gli duole,
Ciro racqnistarla, o non più viver vuole.
y,s
Dove vede apparir lungo la sabbia
La fresca orma, ne va con quella fretta
Con che lo spinge l'amorosa rabbia,
Fin che giunge alla tana ch'io v'ho detta,
Ove con tema la maggior che s'abbia
A pi'tir mai, l'orco da noi s'aspetta.
Ad Jgni suono di sentirlo parci.
Ch'affamato ritorni a divorarci.
39
Quivi Fortuna il Re da tempo guida.
Che senza l'Orco in casa era la moglie.
Come ella '1 vede: Fuggine, gli grida:
Misero te, se l'Orco ti ci coglie!
Coglia (disse) o non coglia, o salvi o uccida,
Che miserrimo i' sia non mi si toglie.
Disir mi mena, e non error di via,
C ho di morir presso alla moglie mia.
40
Poi segui, dimandandole novella
Di quei che prese l'Orco in su la riva;
Priina degli altri, di Lucina bella.
Se l'avea morta, o la tenea captiva.
La donna umanamente gli favella,
E lo conforta, che Lucina è viva,
E che non è alcun dubbio eh' ella rauora;
Che mai femina l'Orco non divora.
41
Esser di ciò argumento ti poss'io,
E tutte queste donne che son meco:
Né a me né a lor mai l'Orco è stato rio.
Pur che non ci scostiàn da questo speco.
A chi cerca fuggir, pon grave fio ;
Né pace mai puon ritrovar più seco :
O le sotterra vive, o l'incatena,
O fa star nude al sol sopra l'arena.
42
Quando oggi egli portò qui la tua gente.
Le temine dai maschi non divise;
Ma, si come gli avea, confusamente
Dentro a quella spelonca tutti mise.
Sentirà a naso il sesso differente;
Le donne non temer che sieno uccise :
Gli uomini, Siene certo ; et empieraune
Di quattro, il giorno, o sei l'avide canne.
43
Di levar lei di qui non ho consiglio
Che dar ti possa; e contentar ti puoi,
Che ne la vita sua non è periglio:
Starà qui al ben e al mal eh' avremo noi.
Ma vattene, per Dio, vattene, figlio.
Che l'Orco non ti senta e non t'ingoi.
Tosto che giunge, d'ognintorno annasa,
E sente sin a un topo che sia in casa.
36. 4. frascati, coperte fatte di frasche,
aperte ai lati e perciò differenti dalle ca-
panne.
— 5. rubato, derubato della sua donna.
V. e. XV, 58, n. 8.
— 7. in disparte; in lontananza; uso ana-
logo, ma differente da quel del Petr. Canz.
Italia mia ; « e 'n disparte (fuori d' Italia)
Cercar gente » ed ugualmente nuovo.
— 8. sarpar 1. ferri; Oggi più comunem.
Salpare, senz' altro. È neutro e transitivo.
BUONARROTI. Fiera 3, 2, 13: « Sarpa tu 'l
ferro», cioè le ancore — sarte, sartie. Già
Dante, Inr., 21, 14. j
38. 5. 8' abbia a. p. ; si possa patir. V. e. '
XVI, 18, n. 6.
39. 1. da tempo, nel tempo. Ha per corre- ,
lativo il seguente che. Cosi anche al c.xvni.
17. I vocab. non citano questo modo. Forse
è da raffrontare colle espressioni di tempo:
da priì, laverà x\, 65, 2; da mezzo giorno^
xi.vi. 79, 2. Più comunem. si usa nel tempo
che. V. e. XVII, lls, 7. I
40. 6. lo conf., che; lo conf. dicendogli che.
— 8. Che mai ecc. Nota il Barotti : « Ame-
rigo Vespucci nella lettera a Lorenzo dei
Medici intorno al suo secondo viaggio dice
che certi popoli, eh' egli chiama camballi
(cannibali) o tutti o la maggior parte vi-
vono di carne umana, ma non mangiano
femmina nessuna ». Forse la voce diffusa
giunse fino all' A.
41. 1. argumento, (lat. argumentum)
prova.
— 4. scostiàn. V. e. IX, 43, n. 8.
— 5. fio; tributo penale. È significato af-
fine a quello dell'espressione pagare il ft^o,
ma più determinato. Per questa locuzione
si cita solamente il luogo dell' A. V. e. xxvii,
119, 3.
— 6. puon. V. e. X, 61, n. 6.
42. 5 a naso, col naso. Cfr. i modi simili
a mano, a vela, a piedi ecc.
— 7. Siene; siine. V. e. xiii, 52, n. 2.
43. 1. Di levar. È complem. di limitazione :
qitanto a levar lei di qvA, V. e. vii, 10, n. 0.
— S. sin a nn t. V. e. Il, 2S, n. S.
CANTO XVII
207
44
Risponde il Re, non si voler partire,
Se non vedea la sua Lucina prima;
E che pili tosto appresso a lei morire,
Che viverne lontan, taceva stima.
Quando vede ella non potergli dire
Cosa che '1 muova da la voglia prima,
Per aiutarlo fa nuovo disegno, [gegno.
E ponvi ogni sua industria, ogni suo in-
45 [pese.
Morte avea in casa, e d'ogni tempo ap-
Con lor mariti, assai eapre et agnelle.
Onde a sé et alle sue facea le spese;
E dal tetto pendea più d'una pelle.
La donna fé' che '1 Re del grasso prese,
Ch'avea un gran becco intorno alle budella
E che se n'unse dal capo alle piante,
Fin che l'odor cacciò ch'egli ebbe inante.
46
E poi che '1 tristo puzzo aver le parve.
Di che il fetido becco ognora sape,
Piglia l'irsuta pelle, e tutto entrarve
Lo fé' ; ch'ella è si grande che lo cape.
Coperto sotto a cosi strane larve,
Facendol gir carpon, seco lo rape I
Là dove chiuso era d'un sasso grave
De la sua donna il bel viso soave.
47
Norandino ubidisce; et alla buca
De la spelonca ad aspettar si mette,
Acciò col gregge dentro si conduca;
E fin a sera disiando stette.
Ode la sera il suou de la sambuca.
Con che 'nvita a lassar l'umide erbette,
E ritornar le pecore all'albergo
Il tìer pastor che lor venia da tergo.
48
Pensate voi, se gli tremava il core,
Quando l'Orco senti che ritornava,
E che '1 viso crudel pieno d'orrore
Vide appressare all'uscio de la cava:
44. 4. faceva stima, faceva disegno, pen-
sava. Casa, Leu. 215: «Avrei caro sapere
se V. s. fa stima d' andare a Corte ».
45. 3. alle sue.; Sottiut. donne.
46. 1. aver le parve; le parve che avesse
;V. e. I, 48, n. 4.
— 2. di che... sape. Sulle locuz. comun
saper odore, saper di mille odori è fog
giata questa saper di puzzo, mandar puzzo
— 5. larve. 11 Buti, commento a Dante
Purg. 15, 129 : « Larva significa vesta con
traffatta come si vestono gli uomini, che
non vogliono esser conosciuti ».
— 6. rape. La forma rapere è poetica an-
che negli antichi.
— 7. d' nn, con un.
. 47. 5. sambuca (gr. sambvke) strumento
pastorale da fiato.
48. 3. E che, e quando. V.c. iv, 60, 5.
Ma potè la pietà più che 'I timore.
S ardea, vedete, o se fingendo amava.
Vien l'Orco inanzi, e leva il sasso, et apre:
JNorandino entra fra pecore e capre.
4»
Entratoilgregge,rOrcoanoi descende ;
Ma prima sopra sé l'uscio si «hiude.
Tutti ne va fiutando: al fin duo prende;
Che vuol cenar de le lor carni crude.
Al rimembrar di quelle zanne orrende,
Aon posso far ch'ancor non trieine e sude
Partito l'Orco, il Re getta la gonna
Ch avea di becco, e abbraccia la sua donna.
50
Dove averne piacer deve e conforto
( Vedendol quivi), ella n' ha affanno e noia •
j Lo vede giunto ov' ha da restar morto ;
! E non può far però ch'essa non muoia.
Con tutto '1 mal(diceagli) ch'io supporto,
bignor, sentia non mediocre gioia.
Che ritrovato non t'eri con nui.
Quando da l'Orco oggi qui tratta fui.
51
Che se ben il trovarmi ora in procinto
D uscir di vita, m'era acerbo e forte;
Pur mi sarei, come è commune instinto,
Doghuta sol de la mia trista sorte:
Ma ora, o prima o poi che tu sia estinto,
Più mi dorrà la tua, che la mia morte.
E seguitò, mostrando assai più affanno
Di quel di Norandin, che del suo danno.
52
La speme (disse il Re) mi fa venire,
C ho di salvarti, e tutti questi teco :
E s'io noi posso far, meglio è morire.
Che senza te, mio Sol, viver poi cieco.
Come io ci venni, mi potrò partire;
E voi tutt' altri ne verrete meco,
Se non avrete, come io non ho avuto,
— 5. potè. V. e. VII, 52, 4. La Principe
ha puote.
49. 6. trieme, sude. Questa terminazione
della 1' e 3* pers. cong. della 1* coniug. in
antico si trova anche in prosa; ora è solo
poetica.
— 7. gonna; Per veste in generale l'usò
già il Petr. I, canz. 4. 34; e Dante, Par.
32, IJl : « com' egli ha del panno fa la
gonna ».
51. 2. acerbo e forte; aspro e duro. Petr.
I, canz. 35, 73 : « oh mia forte ventura, a
che m' adduce! ».
— 4. Doglinta, doluta. Dall' antico doglie-
re, che ora si usa soltanto in poesia e in
alcune pers. dell'indicativo e sogg.
52. 4. Senza te ecc. Concettino comune
nella poesia petrarchesca.
— 6. voi tutt' altri; Trasposizione non co-
mune. Comunem. tutti voi altri, o voi al-
tri tutti.
208
ORLANDO FURIOSO
Schivo a pigliar odor d'animai bruto.
53 [naso
La fraude insegnò a noi, che contra il
De rOrco insegnò a lui la moglie d'esso;
Di vestirci le pelli, in ogni caso
Ch'egli ne palpi ne T uscir del fesso.
Poi che di questo ognun fu persuaso;
Quanti de l'un, quanti de l'altro sesso
Ci ritroviamo, uccidiàn tanti becchi,
Quelli che più fetean, ch'eran più vecchi.
54
Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo
Che ritroviamo all'intestina intorno,
E de l'orride pelli ci vestimo:
In tanto usci da l'aureo albergo il giorno.
Alla spelonca, come apparve il primo
Raggio del sol, fece il pastor ritorno;
E dando spirto alle sonore canne.
Chiamò il suo gregge fuor de le capanne.
55
Tenea la mano al buco de la tana,
Acciò col gregge non uscissin noi:
Ci prendea al varco; e quando pelo o lana
Sentia sul dosso, ne lasciava poi.
Uomini e donne uscimmo per si strana
Strada, coperti dagl'irsuti cuoi :
E l'Orco alcun di noi mai non ritenne,
Fin che con gran timor Lucina venne.
56
Lucina, o fosse perch'ella non volle
Ungersi come noi, che schivo n'ebbe;
O ch'avesse l'andar più lento e molle,
Che l'imitata bestia non avrebbe;
O quando l'Orco la groppa toccolle,
Gridasse per la tema che le accrebbe ;
O che se le sciogliessero le chiome;
Sentita fu, né ben so dirvi come.
^ 57
Tutti eravam si intenti al caso nostro.
Che non avemmo gli occhi agli altrui fatti.
Io mi rivolsi al grido; e vidi il mostro
— 8. Schivo, schifo. V. e. vii, 71, n. 8.
53. 8. fetean ; Da fètere usato soltanto nel
pres. è imperfet. indicai.; e oggi soltanto
in poesia.
54. 1. ungemo e più sotto vesthno. V. st. 27,
n. 6.
— 2. intestina e intestini usarono al plu-
rale gli antichi.
— 7. dando spirto ecc.; dando fiato alla
sambuca.
— 8. capanne. Qui è detto con estensione
di significato per il luogo, ove stava il greg-
ge. Era propriamente una caverna.
55. 2. uscissin, uscissim, uscissimo. V. e.
IX, 43, n. S.
— 3. pelo 0 lana, pelo delle capre, lana
delle pecore,
56. 6. 1« accrebbe, le crebbe. V, e. xvi,
28, n. 3.
Che già gl'irsuti spogli le avea tratti,
E fattola tornar nel cavo chiostro.
Noi altri dentro a nostre gonne piatti
Col gregge andamo ove '1 pastor ci mena,
Tra verdi colli in una piaggia amena.
58 [bra
Quivi attendiamo infin che steso all'om-
D'un bosco opaco il nasuto Orco dorma.
Chi lunffo il mar, chi verso '1 monte sgom-
[bra:
Sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.
L'amor de la sua donna si lo 'ngombra,
Ch'alia grotta tornar vuol fra la torma.
Né partirsene mai sin alla morte,
Se non racquista la fedel consorte:
59
Che quando dianzi avea all'uscir del
Vedutala restar captiva sola, [chiuso
Fu per gittarsi, dal dolor confuso,
Spontaneamente al vorace Orco in gola:
E si mosse, e gli corse infino al muso,
Né fu lontano a gir sotto la mola:
Ma pur lo tenne in mandra la speranza,
Ch'avea di trarla ancor di quella stanza.
60
La sera, quando alla spelonca mena
Il gregge l'Orco, e noi fuggiti sente,
E e' ha da rimaner privo di cena.
Chiama Lucina d'ogni mal nocente,
E la condanna a star sempre in catena
Allo scoperto in sul sasso eminente.
Vedela il Re per sua cagion patire;
E si distrugge, e sol non può morire.
61
Matlna e sera l'infelice amante
La può veder come s'affligga e piagna;
Che le va misto fra le capre avante,
57. 4. spogli. Spoglio per spoglia è fre-
quente negli antichi, ma poetico.
— 5. fattola. Per questo participio asso-
luto cfr. e. v, 58, n. 5. — chiostro {claustrum,
luogo chiuso) la tana dell'Orco.
— 6. piatti; nascosti; cosi anche al e.
XIX, 27. È usato spesso dagli antichi. Dan-
te, Inf. 19, Tó : « Per la fessura della pietra
piatti».
— 7. andamo. V. st. 27, 6.
58. 3. sgombra ; va. fugge. Tra i molti si-
gnificati di sgombrare, questo manca o è
mal dichiarato nei vocabolari.
59. 1. avea... vedutala; T avea veduta. V.
e. I, 47, n. 6.
— u. mola, macina : i denti dell'Orco.
60. 4. nocente; colpevole. V. e. v, 63, n. 5.
— 8. sol ; da solo, lasciando in vita Lue.
Il desiderio di salvarla lo tiene in vita suo
malgrado.
61. 1. Matina. L'A. usa sempre questa
I forma più vicina al latino 'matutina, e
! molto amata dagli antichi.
CANTO XVII
209
Torni alla stalla, o torni alla campagna.
Ella con viso mesto e supplicante
Gli accenna che per Dio non vi rimag:na,
Perché vi sta a gran rischio de la vita,
Né però a lei può dare alcuna aita.
Cosi la moglie ancor de l'Orco priega
Il Re, che se ne vada; ma non giova;
Che d'andar mai senza Lucina niega,
E sempre più constante si riti'ova.
In questa servitude, in che lo lega
Pietate e Amor, stette con lunga prova
Tanto, eh' a capitar venne a quel sasso
Il figlio d'Agricane e '1 Re Gradasso.
6.3
Dove con loro audacia tanto fenno,
Che liberaron la bella Lucina;
Ben che vi fu avventura più che senno :
E la portar correndo alla marina;
E al padre suo, che quivi era, la denno:
E questo fu ne l'ora raatutina,
Che Norandin con l'altro gregge stava
A ruminar ne la montana cava.
64
Ma poi che '1 giorno aperta fu la sbarra,
E seppe il Re la Donna esser partita
(Che la moglie de l'Orco gli lo narra),
E come a punto era la cosa gita;
Grazie a Dio rende, e con voto n' inarra,
Ch'essendo fuor di tal miseria uscita,
Faccia che giunga onde per arme possa.
Per prieghi o per tesoro esser riscossa.
65
Pien di letizia va con l'altra schiera
Del Simo gregge, e vien ai verdi paschi ;
E quivi aspetta fin ch'all'ombra nera
Il mostro per dormir ne l'erba caschi.
Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera-
fi al fin sicur che l'Orco non lo 'ntaschi'
Sopra un navilio monta in Satalia;
E sontre mesi ch'arrivò in Soria.
66
In Rodi, in Cipro, e per città e castella
E d Africa e d'Egitto e di Turchia,
Il Re cercar fé' di Lucina bella;
Né fin l'altrieri aver ne potè spia.
L'altrier n'ebbe dal suocero novella,
Che seco l'avea salva in Nicosia,
Dopo che molti di vento crudele
Era stato contrario alle sue vele.
67
Per allegrezza de la buona nuova
Prepara il nostro Re la ricca festa;
E vuol ch'ad ogni quarta Luna nuova.
Una se n'abbia a far simile a questa:
Che la memoria ri trescar gli giova
Dei quattro mesi che 'n irsuta vesta
Fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno,
Sara dimane, usci di tanto male, [quale
68
Questo ch'io v'ho narrato,in parte vidi,
In parte udì' da chi trovossi al tutto;
Dal Re, vi dico, che caieude et idi
62. 3. niega. Ha, come il latino negare,
il significato di dice di non; cosi al e. x,
SS, 8, e cosi spesso nella lingua letteraria.
— 8. Il f. d'Ag., Mandricardo. V. Innam.
IH, III.
63. 3. vi fu avventura. L' Orco cadde per
caso in un burrone, e cosi Maudricardo se
ne liberò, v. inn. IH, in, 48.
— 5. denno ; diedero. È forma popolare
analoga ad a.monno per amarono ; par-
Unno -^qv partirono; vive ancora nel vol-
go, in qualche luogo di Toscana. Già il
Petr. ir, son. 31 : « che al corso del mio
viver lume denno ». V. e. xx, 105, n. 4.
— 8. a ruminar. Le bestie ruminano l'erba,
egli ruminava i propri pensieri. — montana
cava, caverna montana. V. e. ii, 71,
64. 1. la sbarra; Qui sta per c/imswra in
genere. V. e. xxiv, no. Dante, Partj. 33,
42, ha sbarra per impediìnento.
— 5. n' Inarra. La Crusca e il Tommaseo
intendono : col voto impegna Dio che fac-
cia ecc. Il Tommaseo però nota: « non c'è
chiara ragione del ne ». Meglio intendere
col Bolza ne implora; sebbene di questo
significato non si citi altro esempio. L' A.
l'usò anche nel e. xxiv, no, 5; dove mal
si potrebbe intendere come vuole la Crusca.
AmosTo — Papini
0.5. I. con l'altra schiera; col rimanente
della schiera. V. e. vu, 51. n. s. Si rammenti
che Norandino era camufTato da becco.
— 2. Simo; (lat. simus) si disse propr. di
pecore e capre, e, per estensione, anche di
uomini. Vale: che ha il naso schiacciato.
— 3. 0. nera; o. fitta del bosco.
— 5. ne vien, ne va, cammina.
— 6. lo 'ntaschi ; lo ponga nel capace
zaino, di cui alla st. 32.
— 7. Satalia; Più comunem. Atalia; città
e golfo dell'AnJitolia (Turchia d'Asia).
66. 4. fin l'altrieri. Fino più Comunem
si costruisce colla prepos. a e anche in,
presso; raramente senza preposiz.
— 5. L'altrier ecc. Veramente significa
ierlaltro; ma qui deve intendersi alcuni
giorni addietro, perché in un giorno No-
randino non avrebbe potuto preparar tante
feste e invitare alla giostra il pagano e il
pellegrino. Cosi 1' usò Dante, Purg. xxm,
119; e cosi usa comunem. il popolo toscano
l'altro giorno.
67. 7. quale ecc. ; T ultimo giorno dei
quattro mesi, come è appunto domani.
68. 3. calende et idi; mesi interi. Presso
i Romani le calende cadevano il primo del
mese, gli idi il 13 o il 15 secondo i mesi.
Queste due parole latine usarono spesso i
210
ORLANDO FURIOSO
Vi stette, fin che volse in riso il lutto:
E se n'udite mai far altri gridi,
Direte a chi gli fa, che mal n"è instrutto.
11 gentiluomo in tal modo a Grifone
De la festa narrò l'alta cagione.
60
. Un gran pezzo di notte si dispensa
Dai cavallieri in tal ragionamento;
E conchindon ch'amore e pietà immensa
Mostrò quel re con grande esperimento.
Andaron, poi che si levar da mensa,
Ove ebbon grato e buono alloggiamento.
Nel seguente matin sereno e chiaro
Ai suon de l'allegrezze si destaro.
70
Vanno scorrendo timpani e trombette,
E ragunando in piazza la cittade.
Or, poi che di cavalli e di carrette
E rimbombar di gridi odon le strade,
Grifon le lucide arme si rimette.
Che son di quelle che si trovan rade;
Che l'avea impenetrabili e incantate
La Fata bianca di sua man temprate.
71
Quel d'Antiochia, più d'ognaltro vile,
Arraossi seco, e compagnia gli tenne.
Preparate avea lor l'oste gentile
Nerbose lance, e salde e grosse antenne,
E del suo parentado non umile
nostri scrittori; l'A. T ha. combinate in una
locuzione nuova, con nuovo significato.
— 5. gridi; racconto, narrazione. Per
questo signific. si cita solo questo luogo
dell' A.
69. 8. s. d. V allegrezze, suono (di stru-
'menti. campane ecc.) proprio dei giorni di
allegrezza, di pubbliche feste. V. e. xxi,
9, 6.
70. 1. vanno se. Il soggetto è timpani e
tr.
— 1. odon. Grifone e i suoi compagni.
— 7. impenetr. e ine. Cosi impenetr. e
ine. com'erano, le avea temprate la Fata b.
71. 1. Q. d'Antiochia; Martano.
— 3. oste; ospite. I vocabol. citano solo
esempi del significato chi alberga ijer da-
nari; la N. Crusca citerà certo a suo tem-
po questo luogo dell'A. e 1' altro del Tasso,
Ger. 9, 4: « oste gli fu magnanimo e cor-
tese». È uso latino: Servio in Vino. En.
4, 424: « Nonnulli iuxta veteres hostem prò
hospite dictum accipiunt ».
— 4. lance... antenne ; Le lance sono più
leggere delle antenne; ma indicano lo stesso
oggetto. Spesso le due parole si scambiano.
Cosi il Salvim, 11. in, 561, traduce la stessa
parola omerica una volta lancia una volta
antenna nel medesimo periodo.
— 5. non u. comp. Alle giostre, ai duelli i
fcavalieri solevano andare con un seguito
Compagnia tolta ; e seco in piazza venne ;
E scudieri a cavallo, e alcuni a piede,
A tal servigi attissimi, lor diede.
72 [sparte
Giunsero in piazza, e trassonsi in di-
Né pel campo curar far di sé mostra.
Per veder meglio il bel popol di Marte,
Ch'aduno,oa dna, o a tre veniano in gio-
chi con colori acconipairnati ad arte, [stra.
Letizia o doglia alla sua Donna mostra;
Chi nel cimier, chi nel dipinto scudo
Disegna Amor, se l'ha benigno o crudo.
73
Soriani in quel tempo aveano usanza
D'armarsi a questa guisa di Ponente.
Forse ve gli indncea la vicinanza
Che de' Franceschi avean continuamente,
Che quivi allor reggean la sacra stanza
Dove in carne abitò Dio omnipotente;
Ch'ora i superbi e miseri Cristiani,
Con biasrao lor, lasciano in man de' cani.
74
Dove abbassar dovrebbono la lancia
In augumento de la santa Fede,
Tra lor si dan nel petto e ne la pancia
A destruzion del poco che si crede.
Voi, gente Ispana, e voi, gente di Francia,
Volgete altrove, e voi, Svizzeri, il piede,
E voi, Tedeschi, afarpiudegno acquisto;
Che quanto qui cercate è già di Cristo.
più 0 meno nobile e numeroso, secondo il
loro grado. Allo straniero forniva 1' ospite
questo seguito.
72. 3. pop. di Marte; i guerrieri combat-
tenti.
— 4. ad uno ecc.; Le giostre come i duelli
si potevan fare fra due, come fra più, ma
in numero eguale da ambe le parti.
— !S. Disegna; mostra, con colori, con
fregi o altro, Bocc. nov. 35 : « E disegna-
tole il luogo dove sotterrato l'aveano ». Av-
verti pure una certa anticipazione del com-
pleni. Dovrebbe dire: disegua se ha beni-
gno o crudo amore. Ed è maniera comune
del parlar familiare.
73. 1. Soriani. Per l' omissione dell' artic.
cfr. e. II, 15, n. 8.
— 5. reggean. Era credenza comune nel
JL E. che Carlo M. (Franceschi, Franchi)
avesse liberato il Santo Sepolcro, il che non
è vero. V. e. xiv, 71, n. 6.
— 7. i snperbi ecc. Petr. Tr. Fama, 2,
142: «Ite superbi, o miseri cristiani. Con-
sumando 1' un r altro e non vi caglia Che
il Sepolcro di Cristo è in man de' cani ».
74. 1. del poco che s. e. ; del poco, che an-
cora è creduto; ossia della poca fede che ri-
mane. È qui r astratto fede per il concreto
fedeli, credenti.
CANTO XVII
211
Se Cristianissimi emer voi volete,
E voi altri Cattolici nomati,
Perché di Cristo gli uomini uccidete?
Perché de' beni lor son dispogliati ?
Perché Gernsalem non riavete,
Che tolto è stato a voi da rinegati?
Perché Coustantinopoli, e del mondo [do?
Li miglior parte occupa il Turco immon-
70
Xon hai tu, .Spagna, l'Africa vicina.
Che t'ha via più di questa Italfa offesa ?
E pur, per dar travaglio alla meschina.
Lasci la prima tua si beila impresa.
O d'ogni vizio fetida sentina,
Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa
Ch'ora di questa gente, ora di quella
Che già serva ti fu, sei fatta ancella?
77
Se '1 dubbio di morir ne le tue tane,
Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,
E tra noi cerchi o chi ti dia del pane,
O, per nscir d'inopia, chi t'uccida;
Le ricchezze del Turco hai non lontane:
Cacciai d'Europa, o alraen di Grecia snida :
Cosi potrai o del digiuno trarti,
0 cader con più mertoin quelle parti.
78
Quel ch'a te dico, io dico al tuo vicino
Tedesco ancor: là le ricchezze sono,
Che vi portò da Koma Costantino:
Portonne il meglio, e fé' del resto dono.
Fattolo et Ermo, onde si tra l'or fino,
75. 1. Cristianissimi. Fu titolo dei re di
Francia dal H69; cattolici fu titolo dei re
di Spagna da quando scacciarono i Mori
di Granata.
— 6. rinegati; L' Islamismo è considerato
quasi come uno scisma : anche Dante pone
Maometto fra gli scismatici. — stato tolto.
Gerusalemme è fatta maschile.
76. 2. Che t'ha ecc. Gli arabi conquista-
rono la Spagna nel 711 e vi tennero domi-
nio fino al sec. xni. Nel 1492 i Mori ne fu-
rono completamente cacciati. L'A. accenna
a questo nel v. 4.
77. 0. cacciai d'Europa; I Turchi nella se-
conda metà del sec. xv e nella prima del
XVI fecero, specialmente con Maometto II,
con Baiazet e con Solimano, estese conqui-
ste in Europa ; e sulla Grecia gravarono più
direttamente la mano. — snida, snidalo.
78. 4. fé' del r. d. L' A. mostra di cre-
dere, come Dante, (Inf. ly, 115) alla famosa
donazione fatta da Costantino a papa Sil-
vestro (314-336); quantunque il Valla avesse
dimostrato da più di mezzo secolo che era
una favola.
— 5. Pattalo ... Ermo; Due fiumi della Li-
dia neir.\sia minore (ora Sarabath e Ghe-
Migdonia e Lidia, e quel paese buono
Per tante laudi in tante istorie noto,
Non è, s'andar vi vuoi, troppo remoto.
79
Tu, gran Leone, a cui premon le terga
De le chiavi del ciel le gravi some.
Non lasciar che nel sonno si sommerga
Italia, se la man l'hai ne le chiome.
Tu sei Pastore; e Dio t'ha quella verga
Data a portare, e scelto il fiero nome.
Perché tu ruggi, e che le braccia stenda.
Si che dai lupi il gregge tuo difenda.
80
Ma d'un parlar ne l'altro, ove son ito
Si lungi dal cimin ch'io faceva ora?
Non lo credo . ero si aver smarrito.
Ch'io non lo i ippia ritrovare ancora.
Io dicea ch'in Sona si tenea il rito
D'armarsi, che i Franceschi aveano allora:
Si che bella in Damasco era la piazza
Di gente armata d'elmo e di corazza.
81
Le vaghe donne gettano dai palchi
Sopra i giostranti tìor vermigli e gialli.
Mentre essi fanno a suon degli oricalchi
Levare assalti, et aggirar cavalli.
Ciascuno, o bene o mal ch'egli cavalchi,
Vuol far quivi vedersi, e sprona e dalli :
; diz Ciai) creduti auriferi dagli antichi. —
i tra, trae. V. e. xi, 12, n. 5.
— 6. Migdonia. Tre erano le Migdouie;
I una in Macedonia, l'altra in Mesopotamia, la
terza nella Frigia maggiore, prossima alla
Lidia, e celebrata per la sua ricchezza.
L' A. parla di questa. — quel p. buono; Forse
la Palestina o Terra promessa.
79. 1. Leone; Leone X. Questo luogo deve
essere stato aggiunto dallW. mentre dava
r ultima mano al poema. Leone assunse il
pontificato nel 1513.
— 2. De le chiavi ecc. È l' espressione di
Isaia, 22, 22: « Dabo clavera domus David
super humerum eius ».
— 4. se, poiché. Cosi l'usò il Pulci, 5, iS,:
« Colui correva come leopardo, .'i.nzi più
forse s' egli avea Baiardo ». Uso assai raro.
— la man. Peti;, canz. Spirto gentil :•« Fon
mano in quella venerabil chioma ». — l'hai,
le hai. V. e. vii, 33, n. ^.
— 7. ruggi; rugga. V. e. xv. So, n. 5.
81. 3. a suon d. o. I momenti principali
della giostra e del duello erano regolati da
suoni di tromba dati dall' araldo o trom-
betta (oricalco, dal gr. oreichalkos, ottone).
— 4. Levare assalti. L' ediz. del '16 e del
'21 hanno a salti. Levare assalti è espres-
sione nuova e ardita, ma d:\ l' immagine
del cavallo, che si alza, nel dare 1' assalto.
— 6. dalli ; gli dà, si affatica a mostrarsi
in tutto cavaliere valente. Bai^e col pronome
212
ORLANDO FUEIOSO
Di ch'altri ne riporta pregio e lode ;
Muove altri a riso, e gridar dietro s'ode.
82
De la giostra era il prezzo un' armatura
Che fu donata al Re pochi di inante,
Che su la strada ritrovò a ventura,
Ritornando d'Armenia, un mercatante.
Il Re di nobilissima testura
Le sopraveste all'arme aggiunse, e tante
Perle vi pose intorno e gemme et oro,
Che la fece valer molto tesoro.
83
Se conosciute il Re quell'arme avesse,
Care avute l'avria sopra ogni arnese ;
Né in premio de la giostra l'avria messe.
Come che liberal fosse e cortese.
Lungo saria chi raccontar volesse
Chi l'avea si sprezzate e vilipese.
Che 'n mezzo de la strada le lasciasse.
Preda a chiunque o inanzi o indietro an-
84 [dasse.
Di questo ho da contarvi più di sotto :
Or dirò di Grifon, ch'alia sua giunta
Un paio e più di lancie trovò rotto.
Menato più d'un taglio e d'una punta.
Dei più cari e più fidi al Re fur otto
Che quivi insieme avean liga congiunta;
Gioveni, in arme pratichi et industri,
Tutti 0 Signori o di famiglie illustri.
85
Quei rispondean ne la sbarrata piazza
gli, per lo più proclitico, significa fare con
insistenza una o più azioni già accen-
nate.
82. 1. prezzo, premio, come talvolta il
pretium dei Latini. L' A. usò più sotto in
questo senso pregio ; V. st. 97 e 130. —
nn' armatura. Sono le armi di Marfisa. Il
BOIARDO, ir, V, 41, avea detto che Marfisa
derubata della spada da Brunello, mentre
stava riposandosi da un duello, si mette a
correr dietro ai ladro, ma per correr più
spedita lascia nella strada le armi (II, xvi,
6); queste poi, secondo l' A., furon trovate
da un mercatante Armeno.
— 3. a ventura, a caso.
— 8. Che; Può riferirsi soltanto a ore-
ma. meglio se lo intendiamo per il che, la
qual cosa. V. e. xxxiv, 26, u. 5.
84. 4. taglio, colpo di taglio ; punta pun-
tata, o colpo di punta.
— 8. Signori, che avevano dominio e si-
gnoria.
85. 1. Nota il Casella: « Quelli che solevano
cosi accettare la battaglia da chiunque si
presentasse nella lizza eran detti mante-
nitori». Avverti poi che in questa stanza la
descrizione in passato si riferisce al mo-
mento, in cui Grifone e Martano arrivano
nella piazza. In quel momento vi eran già
Per un di, ad uno a uno, a tatto '1 mondo,
Primacon lancia, e poi con spada o mazza,
Fin ch'ai Re di guardarli era giocondo;
E si foravan spesso la corazza:
Per gioco in somma qui facean, secondo
Fan li nimici capitali, eccetto
Che potea il Re partirli a suo diletto.
86
Quel d'Antiochia,unuom senza ragione,
Che Martano il codardo nominosse,
Come se de la forza di Grifone,
Poi ch'era seco, participe fosse.
Audace entrò nel marziale agone;
E poi da canto ad aspettar fermosse.
Sin che finisse una battaglia fiera
Che tra duo cavallier cominciata era.
87
Il Signor di Seleucia, di quell'uno,
Ch'a sostener l'impresa aveaiio tolto,
Combattendo in quel tempo con Ombruno,
Lo feri d'una punta in mezzo '1 volto,
Si, che l'uccise; e pietà n'ebbe ognuno,
Perché buon cavalier lo tenean molto;
Et oltra la boutade, il più cortese
Non era stato in tutto quel paese.
88
Veduto ciò, Martano ebbe paura
Che parimente a sé non avenisse ;
E ritornando ne la sua natura,
A pensar cominciò come fuggisse, [cura,
Grifon che gli era appresso, e n'avea
Lo spinse pur, poi ch'assai fece e disse,
Centra un gentil guerrier che s'era mosso,
Come si spinge il cane al lupo adesso,
89
Che dieci passi gli va dietro o venti,
E poi si ferma, et abbaiando guarda
Come digrigni i minacciosi denti.
Come negli occhi orribil fuoco gli arda.
Quivi ov' erano e Principi presenti,
E tanta gente nobile e gagliarda,
quei cavalieri, che fin dal mattino facevano
quel che quivi si dice.
— 2. a tutto '1 m. ; a tutta la gente, a
chiunque si presentasse. V. st. 9, 7.
— 7. nimici capitali, uimici mortali È il
latino inimici capitales, che si trova iu
Plauto, Poe». 3, 1.
86. 2. Martano il e. V. e. Xiv, 30, 8, e
xvm, 99, 1.
87. 1. di quell'uno; uno di quelli. I';lisioii'\
che produce oscurità. Nella edizione P. era ;
scritto ijuelli. È questo uno degli/ esempì, |
che mostrano non sempre buone le corre-
zioni fatte dall' A.
— 4. in mezzo '1 t. V. c. vi, 23, n. 8.
— 7. il più e. ; uno più cortese. V. e. vr,
20, m. 1.
88. 6. pur; finalmente, dopoché ebbe detto
e fatto assai. Per il tempo cfr. xni, 74, n. 1.
CANTO XVII
213
Fuggi lo 'ncontro il timido Martano,
E torse '1 freno e '1 capo a destra mano.
90
Pur la colpa potea dar al cavallo,
Chi di scusarlo avesse tolto il peso;
Ma con la spada poi le' si gran fallo,
Che non l'avria Demostene difeso.
Di carta armato par, non di metallo:
Si teme da ogni colpo esser olìeso.
Fuggesi al fine, e gli ordini disturba,
Kidendo intorno a lui tutta la turba.
91
Il batter de le mani, il grido intorno
Se gli levò del populazzo tutto.,
Come lupo cacciato, iW ritorno
Martano in molta fretta al suo ridutto.
Resta Grifone; e gli par de lo scorno [to.
Del suo compagno esser macchiato e brut-
Esser vorrebbe stato in mezzo il foco
Pili tosto che trovarsi in questo loco.
92
Arde nel core, e fuor nel viso avvampa,
Come sia tutta sua quella vergogna;
Perché l'opere sue di quella stampa
Vedereaspetta il popolo et agogna:
Si che rifulga chiara più che lampa
Sua virtù, questa volta gli bisogna;
Ch'nn'oncia. un dito sol d'errorche faccia.
Per la mala impressiou parrà sei braccia.
93
Già la lancia av«a tolta su la coscia
Grifon, ch'errare in arme era poco uso:
Spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia
Ch'alquanto andato fu, la messe suso,
E portò nel ferire estrema angoscia
Al Barou di Sidonia, ch'andò giuso.
Ognun maravigliando in pie si leva;
Che '1 contrario di ciò tutto attendeva.
90. 7. gli ordini ; 1" ordine, la disposizione
dei combattenti e degli spettatori.
91. 4. al 8. ridutto. Ila detto sopra, st.
72, 1, eh' egli e Grifone si erano traiti in
disparte: ora M. torna a quel luogo.
92. 5. SI che rifulga ecc. ; È omesso un che :
si che gli bisogna che rifulga ecc. Omis-
sione frequente anclie iu prosa.
— 7. oncia. V. e. xiv, 72, n. 2. È anche
misura di lunghezza e vale la dodicesimu
parte del piede. — dito, misura popolare
ancora in uso.
93. 4. la messe suso; sulla resta. Il cava-
ìiei'e, prendendo la lancia dallo scudiero,
nel primo tempo V appoggiava col calcio
alla coscia, tenendola dritta colla mano, m
un secondo tempo la metteva sulla resta. V.
e. I, 61.
— 6. Sidonia; oggi Said, città della Fe-
nicia.
— 8. '1 contrario... tutto; tutto il contrario.
Trasposiz. non comune.
94
Tornò Grifon con la medesma antenna
Che 'ntiera e ferma ricovrata avea;
Et in tre pezzi la roppe alla penna
De lo scudo al Signor di Lodicea. [na.
Quel per cader tre volte e quattro accen-
Che tutto steso alla groppa giacca:
Pur rilevato al fin la spada strinse.
Voltò il cavallo, e ver Grifon si spinse.
95 [basta
Grifon, che '1 vede in sella, e che non
Si fiero incontro, perché a terra vada.
Dice fra sé : Quel che non potè l'asta.
In cinque colpi o 'u sei farà la spada:
E su la tempia subito l'attasta
D'un dritto tal, che par che dal ciel cada;
E un altro gli accompagna e un altro ap-
[presso,
Tanto che l'ha stordito e in terra messo.
96
Quivi eran d'Apamia duo germani.
Soliti in giostra rimaner di sopra,
Tirse e Corimbo; et ambo per le mani
Del figlio d'Ulivier cadder sozzopra.
L'uno gli arcion lascia allo scontro vani:
Con l'altro messa fu la spada in opra.
94. 2. ricovrata; ricuperata, ritirata in-
dietro dalla ferita. V. e. ii, 43, n. S, e e.
XIV, 42.
— 3. penna de lo scudo ; V. e. XII, S3, n. 1.
— Laodicea, città della Siria, ora Latakiech.
— 5. per e... accenna; Comunem. accen-
nare di o a fare qualcosa. Di tal costrutto
non si cita altro esempio.
— 0. alla gr. , sulla groppa del cavallo.
I Cosi Dante. Inf. Il, Vi.i: « Perchè ci ap-
i par pure a (su) questo vivagno ? ».
I 95. 1. che... e che. Avverti che il primo
; Che è pron. relat., il secondo congiunz. Bi-
I sogna dunque compiere la struttura cosi :
I che lo vede in sella e vede che ecc.
! — 3. potè. V. e. vili, 52, n. 4. La Pr. ha
I puote.
; — 5. l'attasta; lo tasta. Per la forma
cfr. e. XVI, 2S, 3. Per il significato si accosta
al toccare del e. in, 68; xvi, 82.
— 6. dritto. L' A. V usa per il comune
termine tecnico di scherma -mandritto.
Dorè. Tratt. òClier. 45: « I nomi de' colpi
I principali son questi: punta, mandritto, ro-
vescio, ecc. ». — dal e. cada. Un colpo quan-
to più cade dall' alto, tanto è più violento.
— 7. un a. gli acc. Può intendersi : e a
quel dritto (gli) accompagna un altro dritto,
ossia dà un altro dritto eguale al primo.
Oppure.: e uu altro dritto accompagna a
lui; aggiunge al signor di Lodicea un altro
dritto. .Meglio la prima interpretazione.
96. 1. Apamia, Apamea, città della Siria,
oggi llamah.
214
ORLANDO FURIOSO
Già per commun giudicio si tien certo
Che di costui fia de la giostra il merto.
97
Ne la lizza era entrato Salinterno,
Gran IJiodarro e Maliscalco regio,
E che di tutto '1 regno avea il governo,
E di sua mano era guerriero egregio.
Costui, sdegnoso ch'uri guerriero esterno
Debba portar di quella giostra il pregio,
Piglia una lancia, e verso Grifon grida,
E molto minacciandolo lo sfida.
98
Ma quel con un laiicion gli fa risposta,
Ch'avea per lo miglior fra dieci eletto,
E per non far error, lo scudo apposta,
E ria lo passa e la corazza e '1 petto:
Passa il ferro crudel tra costa e costa,
E fuor pel tergo un palmo esce di netto.
Il colpo, eccetto al Re, fu a tutti caro;
Ch'ognuno odiava .Salinterno avaro.
99
Grifone, appresso a questi in terra getta
Duo di Damasco, Ermofilo Carmondo.
La milizia del Re dal prime è retta :
Del margrandeAlmiraglio è quel secondo.
Lascia allo scontro l' uu la sella in fretta :
Adosso all'altro si riversa il pondo
Del rio destrier, che sostener non puote
L'alto valor con che Grifon percuote.
100
Il Signor di Seleucia ancor restava.
Miglior guerrier di tutti gli altri sette;
E ben la sua possanza accompagnava
Con destrier buono e con arme perfette.
— 8. di costui, di Grifone. — metto, pre-
mio. V. e. n, 16, n. 3.
97. 2. Diodarro (dall' arabo-persiano der-
vàdàr. che porta il calamaio). Era una spe-
cie di prefetto di palazzo nel governo dei
Sultani. — Maliscalco (arabo wara/i cavallo;
scale, servo; servo che attende ai cavalli).
Fu poi alta carica di grande scudiere di
corte.
— 4. di sua mano, e quanto alla sua mano,
al suo braccio. Compleai. di limitazione.
V. e. VII, 10, n. 6. Viene a dire che, se era
uomo di governo, era anche uomo d'armi.
— 6. pregio, premio. Non comune. Sax-
NAZZARO, Arcad. pros. 11: «Mi diede per
pregio un bel cavriuolo ».
98. 3. apposta, prende di mira.
99. 4. almiraglio (arab. al-amtr, che nel
latino medievale divenne admiralins). Ara-
'miraglio si diceva anche un governatore
di città e Provincie nei paesi musulmani
(V. Cinque Canti I, 106); perciò qui s'ag-
giunge del tnar. Ed ha il significato mo-
derno.
— 7. rio, a lui dannoso. Significato fre-
quente negli scrittori.
Dove de l'elmo la vista si chiava,
L'asta allo scontro l'uno e l'altro mette:
Pur Grifon maggior colpo al Pagan diede,
Che lo fé' staffeggiar dal manco piede.
101
Gittaro i tronchi, e si tornaro adosso
Pieni di molto ardir coi brandi nudi.
Fu il Pagan prima da Grifon percosso
D'un colpo che spezzato avria gl'incudi.
Con quel fender si vide e ferro et osso
D'un ch'eletto s'avea tra mille scadi:
E se non era doppio e fin l'arnese.
Feria la coscia ove cadendo scese.
102
Feri quel di Seleucia alla visera
Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,
Che l'avria aperta e rotta, se non era
Fatta, come 1 altr'arme, per incanto ;
Glièuuperdertempo, che'l Pagan più fe-
Cosi son l'arme dure in ogni cauto: [ra;
E 'u pili parti Grifon già fessa e rotta
Ha l'armatura a lui, né perde botta.
103
Ognun potea veder quanto di sotto
Il Signor di Seleucia era a Grifone;
E se partir non li fa il Re di botto.
Quel che sta peggio, la vita vi pone.
Fé' Norandino alla sua guardia motto
Ch'entrasse a distaccar l'aspra tenzone.
Quindi fu l'uno, e quindi l'altro tratto;
E fu lodato il Re di si buon atto.
104 [presa,
Gli otto che dianzi avean col mondo ira-
E non potuto durar poi centra uno.
Avendo mal la parte lor difesa,
Usciti eran del campo ad uno ad uno.
100. 5. Dove ecc.; dove è fermata con
chiodi la visiera all' elmo.
— 8. staffeggiar, e anche staffar; perder
la staffa.
101. 4. gì' inondi. V. e. I, 17, 4.
— 5. e ferro et o. V. e. XII, 83, n. 1.
— 7. arnese. V. e. xxvii, 78, n. 5.
102. 1. visera. Cosi l'A. ha usato le foni.
più rare schena, invera.
— 2. tanto, (lat. tantus) tanto grande.
103. 5. alla sua g.; alla guardia del cam-
po, che erano diversi gentiluomini iucar:
cati di tenere l'ordine, e di far rispettar.
le ingiunzioni del principe, le regole '^ava -
leresche ecc. V. e. v, 81. — Pe... motto che
disse che. Far motto con proposiz. dipen-
dente è costrutto non registrato dai voca-
bolari.
104. 1. aveano... impr. Avere impreca nel
linguaggio cavalleresco significa aver pre-
so a combattere. — col mondo. V. st. 85.
n. 2.
— 2. E non potuto. Bisogna sottintendere
V avean del v. preced.
CANTO XVII
215
Gli altri ch'eran venuti a lor contesa,
Quivi restar senza contrasto alcuno,
Avendo lor Grit'on, solo, interrotto [otto.
Quel che tutti essi avean da far centra
105
E durò quella festa cosi poco,
Ch'in men d' un'ora il tutto fatto s"era:
Ma Norandin per far più lungo il giuoco,
E per continuarlo iufìno a sera.
Dal palco scese, e fé' sgombrare il loco;
E poi divise in due la grossa schiera;
ludi, secondo il sangue e la lor prova,
Gli andò accoppiando, e fé' una giostra
106 [nuova.
Grifone in tanto avea fatto ritorno
Alla sua stanza, pien d'ira e di rabbia:
E più gli preme di Martau lo scorno.
Che non giova l'onor ch'esso vinto abbia.
Quivi per tór l'obbrobino ch'avea intorno,
Martano adoprale mendaci labbia:
E l'astuta e bugiarda meretrice,
Come meglio sapea, gli era adiutrice.
107
O si 0 no che '1 giovin gli credesse.
Pur la scusa accettò, come discreto;
E pel suo meglio allora allora elesse
Quindi levarsi tacito e secreto,
Per tema che se '1 popolo vedesse
Martano comparir, non stesse cheto.
Cosi per una via nascosa e corta
Uscirò al camin lor fuor de la porta.
108
Grifone, o ch'egli o che '1 cavallo fosse
Stanco, 0 gravasse il sonno pur le ciglia.
Al primo albergo che trovar, fermosse.
Che non erano andati oltre adua miglia.
Si trasse l'elmo, e tutto disarmosse.
— 5. a lor contesa ; per contender con
loro. Significato molto notevole dell'espres-
sione venire a contesa, e notevole anche
l'uso del pron. loro, che qui vale con loro.
Potrebbe anche intendersi : eran venuti per
la loro propria contesa; cioè a giostrare
ciascuno per conto suo con gli otto.
105. 6. la gr. schiera, di coloro che erano
venuti per combattere con gli otto.
— 7. prova; fuma di prodezza. Differente
perciò dal plur. prove, atti di valore. Cfr.
e. XX, 7: XL, 54.
106. .3. gli preme; gli pesa, l'opprime.
L'A. l'usò generalm. col compi, indiretto
e. XI, 14, 4: ma per lo più ha il complem.
diretto. Cosi trovasi al e. xi, 72, 8.
— 4. ch'esso... abbia, d'aver. V. e. i, 38,
u. 6.
107. 3. suo, di Martano.
108. 2. 0 ... pur. V. e. VI, 4, n. 7. — gra-
vasse; sottintendi {/li.
— 4. Che; quando. È comune ancora
neir uso.
E trar fece a' cavalli e sella e briglia ;
E poi serrossi in camera soletto,
E nudo per dormire entrò nel letto.
109
Non ebbe cosi tosto il capo basso,
Chechiusegli occhi, e fu dal sonno oppres-
Cosi profundamente, che mai tasso [so
Né ghiro mai s'addormentò quanto esso.
Martano intanto et Orrigiile a spasso
Entraro in un giardin ch'era li appresso;
Et un inganno ordir, che fu il più strano
Che mai cadesse in sentimento umano.
110
Martano disegnò tórre il destriero,
I panni e l'arme che Grifon s'ha tratte;
E andare inanzi al Re pel cavali iero
Che tante prove avea giostrando fatte.
L'efletto ne segui, fatto il pensiero:
ToUe il destrier più candido che latte,
Scudo e cimiero et arme e sopraveste,
E tutte di Grifon l'insegne veste.
Ili
Con gli scudieri e con la donna, dove
Era il popolo ancora, in piazza venne;
E giunse a tempo che tìnian le prove
Di girar spade, e d'arrestare antenne.
Comanda il Re che '1 cavallier si trove.
Che per cimier avea le bianche penne.
Bianche le vesti, e bianco il corridore;
Che '1 nome non sapea del vincitore.
112
Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,
Come l'asino già quel del leone,
109. 1. Non ebbe... il e. b. ; non fu sdraiato.
È modo notevole, non registrato dai voca-
bolari.
— 3. tasso. È un mammifero carnivoro,
che vive nei boschi, entro tane, dove dorme
r intera giornata. Di qui il modo di dire
comune : dormire come un tasso.
— 8. cadesse iu sent.; cadesse in mente.
Spesso è usato, specialmente dagli antichi,
sentimento per animo, ìjensiero; e forse
la maniera e. in sentimento è foggiata su
le altre simili: cadere in animo, in pen-
siero.
110. 2. s' ha tratte, di dosso. Sebbene il
motivo di questo episodio sia preso dal Bo-
iardo, come si è detto, pure per la conti-
nuazione r A. si servi specialmente del ro-
manzo Meliadus. Meliadus è tradito dalla
sua donna come Grifone; anch' egli vince
in un torneo, e il vile rivale, rubategli quasi
nello stesso modo le armi, se ne attribuisce
la gloria. Meliadus è esposto agli insulti
del popolo, ma non riesce come Grifone a
vendicarsi del tradimento. Raina. F. p. isi.
IH. 4. arrestare, por sulla resta. V. e. u,
59, 5.
112. 2. Come l'asino ecc. Racconta Esopo
216
ORLANDO FURIOSO
Chiamato se n'andò, come attendeva,
A Norandiiio, in loco di Grifone.
Quel Re cortese incontro se gVi leva,
L'abbraccia e bacia, e allato se lo pone:
Né gli basta onorarlo e dargli loda,
Che vuol che '1 suo valor per tutto s'oda.
113
E fa gridarlo al suon degli oricalchi
Vincitor de la giostra di quel giorno.
L'alta voce ne va per tutti i palchi,
Che '1 nome indegno udir fa d'ognintorno.
Seco il Re vuol ch'a par a par cavalchi.
Quando al palazzo suo poi fa ritorno;
E di sua grazia tanto gli coniparte.
Che basteria, se fosse Ercole o Marte.
114
Bello et ornato alloggiamento dielll
In corte, et onorar fece con lui
Orrigille anco; e nobili donzelli
Mandò con essa, e cavallieri sui.
Ma tempo è ch'anco di Grifon favelli,
Il qualné dal compagno né d'altrui.
Temendo inganno, addormentato s'era,
Né mai si risvegliò fin alla sera.
115
Poi che fu desto, e che de l'ora tarda
S'accorse, usci di camera con fretta,
Dove il falso cognato e la bugiarda
Orrigille lasciò con l'altra setta;
E quando non li trova, e che riguarda
Non v'esser l'arme né i panni, sospetta;
Ma il veder poi più sospettoso il fece
L'insegne del compagno in quella vece.
116
Sopravien l'oste, e di colui l'informa
Che già gran pezzo di bianch'arme adorno
Con la donna e col resto de la torma
fav. 113 che un asino trovata una pelle di
leone se ne vesti spaventando in tal modo
le fiere. Ma la volpe, sentitolo ragliare, lo
derise. Qui dunque cuoio è una metafora
per armi.
— 7. loda, lode. Già Dante, Par. 30, 17.
113. 1. d. oricalchi. V. st. 81, 3.
— 4. '1 nome ind. Martano e Grifone a-
vean combattuto coperti e perciò scono-
sciuti : ora Martano viene a faccia scoperta
e dice il nome.
— 5. a par a p. ; non restando un poco
indietro, come sogliono gli inferiori.
114. 6. d' altrui, da altrui. V. e. v, 10, n. 5.
115. 2. USCI di e. dove; usci di camera
andando dove ecc. Vedi eguale brachilogia
al e. ni, 16, 2.
— 4. setta, seguaci, compagni. Cosi Dan-
te, Par. 3, 105: « E promisi la via della sua
setta ».
— 5. e che. V. e. Il, 60, n. 5.
116. 2. già gran p. ; già da gran p. V. e.
I, 20, n. 8.
Avea ne la città fatto ritorno.
Trova Grifone a poco a poco l'orma
Ch'ascosagli aveaAmorfinaquel giorno :
E con suo gran dolor vede esser quello
Adulter d' Orrigille, e non fratello.
117
Di sua sciocchezza indarno ora si duole,
Ch'avendo il ver dal peregria udito,
Lasciato mutar s'abbia alle parole
Di chi l'avca più volte già tradito.
Vendicar si potea, né seppe: or vuole
L'inimico punir, che gli è fuggito;
Et è constretto con troppo gran fallo
A tòr di quel vii uom l'ai'me e '1 cavallo.
118
Eragli meglio andar senz'arme e nudo
Che porsi in dosso la corazza iudegna,
0 ch'imbracciar l'abominato scudo,
0 por su l'elmo la beffata insegna:
Ma per seguir la meretrice e 'Idrudo,
Ragione in lui pari al disio non regna.
A tempo venne alla città, ch'ancora
Il giorno avea quasi di vivo un'ora.
119
Presso alla porta ove Grifon venia.
Siede a sinistra un splendido castello,
Che, più che forte e ch'a guerra atto sia,
Di ricche stanze è accomodato e bello.
1 Re, i Signori, i primi di Seria
Con alte donne in un gentil drappello
Celebravano quivi in loggia amena
La real sontuosa e lieta cena.
120
La bella loggia sopra '1 muro usciva
Con l'alta rocca fuor de la cittade;
E lungo tratto di lontan scopriva
I larghi campi e le diverse strade.
Or che Grifon verso la porta arriva
Con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,
— 5. orma. Trovar forma è espressione
foggiata dall'A. sulla più comune trovar
la via, raccapezzarsi in una cosa.
117. 7. con tr. g. fallo ; commettendo trop-
po grave errore.
118. 7. A tempo... che; nel tempo che. V.
st. 39, 1.
119. 2. un s. castello. Alle principali porte
delle città erano castelli per difesa.
— 4. accomodato; fornito. Non si cita che
questo esempio dell' A.
— • 7. Celebravano ecc. V. st. 21, n. 1.
120. 1. sopra '1 muro usciva; si sollevava,
insieme colla rocca (cfr. e. ii. 41, n. 7), al
di sopra delle mura e dominava la città. ,
— muro. V. e. XIV, 101, n. 8.
— 3. lungo tratto ; per lungo tratto. Com-
plem. di limitazione. V. Fornaciari, Sint.
p. 349. — scopriva, lasciava vedere: xxxii, 14-
— 6. arme d'obb.; arme proprie dell'obb.
CANTO XVII
217
Fn con non troppa avventurosa sorte
Dal Re veduto e da tutta la corte;
1-21
E riputato quel di eh'avea insegna,
Mosse le donne e i cavallieri a riso.
Il vii Martano, come quel che regna
In gran favor, dopo '1 Keè 1 primo assiso,
E presso a lui la donna di sé degna,
Dai quali Norandin con lieto viso
Volse saper chi fosse quel codardo,
Che cosi avea al suo onor poco riguardo-
122
Che dopo nna si trista e brutta prova,
Con tanta fronte or gli tornava inante.
Dicea: Questa mi par cosa assai nova.
Ch'essendo voi guerrier degno e prestante,
Costui compagno abbiate, che non trova,
Di viltà, pari in terra di Levante.
Il fate forse per mostrar maggiore,
Per tal contrario, il vostro alto valore.
123
Ma ben vi giuro per gli eterni Dei,
Cho se non fosse ch'io riguardo a vui,
La pubblica ignominia gli farei,
Ch'io soglio fare agli altri pari a lui.
Perpetua ricordanza gli darei,
Come ognor di viltà nimico fui.
Ma sappia, s' impunito se ne parte,
Grado avoiche'l menaste inquestaparte.
124
Colui che fu di tutti i vizii il vaso.
Rispose: Alto signor, dir non sapria
Chi sia costui: ch'io l' ho trovato a caso.
Venendo d'Antiochia, in su la via.
Il suo sembiante m'avea persuaso
Che fosse degno di mia compagnia;
Ch'intesa non n'avea prova, né vista,
Se non quella che fece oggi assai trista:
125
La qual mi spiacque si, che restò poco,
Che, per punir l'estrema sua viltade.
Non gli faee^isi allora allora un giocò,
Che non toccasse più lance né spade.'
Ma ebbi, piii ch'a lui, rispetto al loco,
j E nverenzia a vostra Maestade.
j Né per me voglio che gli sia guadagno
L'essermi stato un giorno o duacomp^a^no •
' 126 ■ "
I Di che contaminato anco esser parme-
I E sopra il cor mi sarà eterno peso,
I Se, con vergogna del mestier de Tarme
I Io lo vedrò da noi partire illeso:
; E meglio che lasciarlo, satisfarme
i Potrete, se sarà d'un merlo irapeso:
E fia lodevol opra e signorile (vile.
Perch'el sia esempio e specchio ad cni
127
Al detto suo Martano Orrigille have.
Senza accennar, confermatrice presta'.
Non son (rispose il Re) l'opre si prave,
Ch'ai mio parer v'abbia d'andar la testa.
Voglio per pena del peccato grave.
Che sol rinuovi al popolo la festa:
E tosto a un suo Baron, che fé' venire,
Impose quanto avesse ad esequire.
128
Quel Baron molti armati seco tolse.
Et alla porta della terra scese;
E quivi con silenzio li raccolse,
E la venuta di Grifone attese:
E ne l'entrar si d'improviso il colse,
Che fra i duo ponti a salvamento il prese,
E Io ritenne con beffe e con scorno
In una oscura stanza in sin al giorno.
129
Il Sole a pena avea il dorato crine
e della viltate; cioè proprie di uomo obbro-
brioso e vile.
121. 1. di eh'. Le edizioni del 1516 e del 1521
hanno intero di chi: e cosi dovremo quindi
intenderlo in questo luogo; chi per cui nei
compleni. è frequente nella letteratura an-
tica, e non raro, ma poetico, nella moderna.
— 5. di sé, di lui. V. e. XII, 66, n. 7.
122. 2. Con tanta fronte, con tanta sfron-
tatezza. Dal lat. frons, che ebbe pure questo
signitìc. CicEK. Pis. 1 : « Quae sit hominum
querela frontis tuae (per la tua sfacciatag-
gine) ». Cosi il Boiardo, Inn. 59, 36: « Dov'è
l'ardir ch'avevi, ov'è la fronte?» ma qui
vale piuttosto baldanza.
123. 3. La p. ignominia, il vituperio fatto
in pubblico. Far la pubblica ign. è locu-
zione non registrata nei vocabolari.
124. 7. né vista, né ne aveva vista prova.
125. 1. restò poco. Restar poco o di poco
Che è modo elegante, che vale mancar
' poco che.
! — 3. nn gioco che, un tal gioco che.
; — 7. per me; quanto a me, per quanto
I dipende da me.
I 126. 6. d'un merlo; da un m. V. e. v,
I 10, 5. — impeso, sospeso, impiccato. É da
: impendere, arcaico e poetico. Più spesso
■ che con da si costruisce con a.
j — 8. el; egli. V. e. II, 15, 4. — esempio
1 da seguire ; specchio per confrontarvi le
proprie azioni.
127. 2. Senza acc; senza bisogno che Mart.
le faccia cenno.
— 4. v' abbia; ne abbia. Il ne si riferisce
a Grifone. V. e. vii, 2, n. 1. — d'andar; da
and. V. e. V, 10, n. 5.
128. 6. fra 1 d. ponti. 1 castelli avevano
spesso più d' una cinta e perciò più d' una
fossa; ogni fossa aveva il suo ponte leva-
toio. — a salvamento, a man salva, senza ri-
ceverne danno. Pulci, Morg. 9, 72.: «E si
pensò pigliarlo a salvamento ». '
218
ORLANDO FURIOSO
Tolto di grembo alla nutrice antica,
E cominciava da le piagge alpine
A cacciar l'ombre, e far la cima aprica:
Quando temendo il vii Martan ch'ai line
Grifone ardito la sua causa dica,
E ritorni la colpa ond'era uscita,
Tolse licenzia, e fece indi partita.
130
Trovando idonia scusa al priego regio,
Che non stia allo spettacolo ordinato.
Altri doni gli avea fatto, col pregio
De la non sua vittoria, il Signor grato;
E sopra tutto un ampio privilegio,
Dov'era d'alti onori al sommo ornato.
Lasciànlo andar; ch'io vi prometto certo,
Che la mercede avrà secondo il merto.
131 [piazza.
Fu Grifou tratto a gran vergogna in
Quando più si trovò piena di gente.
Gli avean levato l'elmo e la corazza,
E lasciato in farsetto assai vilmente;
E come il conducessero alla mazza,-
Posto l'avean sopra un carro eminente,
Che lento lento tiravan due vacche
Da lunga fame attenuate e fiacche.
129. 2. alla nutrice a., Teli, dea del mare,
qui per il mare stesso. Cosi al e. xxxi, 50
e più chiaramente al e. xxxii, 63. Anche
Virgilio, Geor. iv, 382, dice 1' oceano jjo-
trem rerum, secondo T antica idea di Ta-
lete, rinnovata in certo modo dai nettunisli,
che dall' acqua avessero origine e nutri-
mento tutte le cose.
— 6. la sua causa d. ; la s. causa difenda.
È il latino causam dicere. S. Caterina,
Leu., 105; «La causa sua lascerò dire a
lei ».
130. 1. idonia; idonea. É forma popo-
lare. Ant. Pucci nel Gentil. 1' usò più volte
in rima e fuori di rima.
— 2. Che, perché.
— 3. pregio ; premio. V. st. 97, 6. Le armi
di Mar lisa.
— 5. privilegio; una carta dov' erano re-
gistrati i privilegi concessigli. M. Polo 115:
« Hanno privilegi, ov'è scritto tutto ciò, che
debbono fare ».
131. 4. lasciato. Rileva dal contesto: l'a-
vean lasciato.
— 5. alla mazza; al macello. Le bestie
vaccine si uccidono per lo più a colpi di
mazza.
— 8. attenuate, estenuate. Dal lat. atte-
132
Venian d'intorno alla ignobil quadriga
Vecchie sfacciate e disoneste putte.
Di che n'era una et or un'altra auriga,
E con gran biasmo lo mordeano tutte.
Lo poneano i fanciulli in maggior briga,
Che oltre le parole infami e brutte,
L'avrian coi sassi insino a morte offeso.
Se dai più saggi non era difeso.
133
L'arme che del suo male erano state
Cagion, che di lui fèr non vero indicio,
Da la coda del carro strascinate
Patian nel fango debito supplicio.
Le ruote inanzi a un tribunal fermate
Gli fero udir de l'altrui maleficio
La sua ignominia, che 'n sugli occhi detta
Gli fu, gridando un pubblico trombetta.
134
Lo levar quindi e lo mostrar per tutto
Dinanzi a templi, ad officine e a case,
Dove alcun nome scelerato e brutto.
Che non gli fosse detto, non rimase.
Fuor de la terra all'ultimo condutto
Fu da la turba, che si persuaso
Bandirlo e cacciare indi a suon di busse,
Non conoscendo ben ch'egli si fusse.
135
Si tosto a pena gli sferrar© i piedi,
E liberargli l'uua e l'altra mano.
Che tór lo scudo, et impugnar gli vedi
La spada che rigò gran pezzo il piano.
Non ebbe contra se lance né spiedi;
Che senz'arme venia il popolo insano.
Ne l'altro Canto differisco il resto,
Che tempo è omai. Signor, di finir questo.
nuatus. Vite SS. PP. 1, 83: «Li quali ve-
dendo magri e attenuati di fame ».
133. 5. un tribunal (lat. tribunal) un luogo
elevato, donde il trombetta parlò al popolo.
Per luogo elevato V usarono anche altri
scrittori. Guicciardini, S, I., 7, 343.
— 8. gridando u. p. tr., da un pubbhco
tromb. che gridò. È modo corrispondente
all'ablativo assoluto dei Latini. Cfr. e. xii,
76, 3-4.
134. 6. si persuase ; si risolvette. È signi-
ficato non registrato dai vocabolari.
— 7. cacciart ; Sottint. lo. V. e. I, 21, 7.
— 8. eh' egli; chi egli. Elisione insolita e
oscura. Cosi al e. xix, 47, 6.
135. 1. Si tosto a pena. Ridondanza di
congiunzioni, che però fa spiccare mag-
giormente la celerità di Grifone.
CANTO XVIII
219
CANTO XVIII
Magnanimo Signore, ogni vostro atto
Ho sempre con ragion landato e laudo;
Ben che col rozzo stil duro e mai atto
Gran parte de la gloria vi defraudo.
Ma più de l'altre una virtii m'ha tratto,
A cui col core e con la lingua applaudo;
Che s'ognuu trova in voi ben grata udien-
Non vi trova però facil credenza. [za
2
Spesso in difesa del biasmato absente
Indur vi sento una et un'altra scusa,
O riserbargli almen,fìn che presente
Sua causa dica, l'altra orecchia chiusa;
E sempre, prima che dannar la gente,
Vederla iu faccia, e udir la ragion ch'usa,
Ditìerlr anco e giorni e mesi et anni,
Prima che giudicar negli altrui danni.
3
Se Norandino il simil fatto avesse,
Fatto a Grifon non avria quel che fece.
A voi utile e onor sempre successe:
1. 1 Magnanimo S. Parla al cardinale Ip-
polito.
— 5. tratto; attratto, allettato. Esempio
notevole, perché il verbo è assoluto senza
alcun complem., mentre tutti quelli, clie si
citano, lo hanno.
— 7. grata, benevola. V. e. xiv, 59, n. 8.
2. 2. Indur, addur. Fior. It. 122: « A
provar questo induce Galieno Socrate in
esempio ». È latinismo. Cic. Fat. 10: « liane
rationem Epiciirus inducit».
— 3. 0 riserbargli ecc. Per questo e per
gli altri infiniti vederla, udir, difTerir bi-
sogna rilevar dal contesto altri verbi, che
li reggano, come: si vede, so che volete e
simili.
— 4. S. causa dica, s. c. difenda. V. e.
XVII, 129, n. fi. — l'altra or. chiusa. Nota il
FORXARi « Solevano i scultori le statue
de' giustissimi principi cosi alle volte for-
mare che una mano tenevano a una orec-
chia supposta a dinotare che si riservava-
no, per più diritta sentenza darne, d'ascol-
tare anche la contraria parte ». E il l.vve-
zuola: «Accenna all'usanza d'Alessandro
Magno nel tener sempre chiusa un'orecchia
per quelli, che venivano accusati».
— 6. ch'usa, che adduce. È latinismo.
3. 3. successe, derivò. Dante, Par. 6, 114:
« Perché onore e fama gli succeda ». E si
usa anche in prosa.
Denigro sua fama egli più che pece.
Per lui sue genti a morte furon messe;
Ghe fé Grifone in dieci tagli, e iu diece
Punte che trasse pien d'ira e bizzarro,
t^he trenta ne cascaro appresso al carro.
Van gli altri in rotta ove il timor li cac-
Ghi qua, chi la pei campi e per le strade-
^ chi d entrar ne la città procaccia,
E 1 un su l'altro ne la porta cade.
Grifon non fa parole, e non minaccia-
Ala lasciando lontana ogni pietade
Mena tra il vulgo inerte il ferro intorno
Hi gran vendetta fa d'ogni suo scorno '
5
Di quei che primi giunsero alla porta,
Ghe le piante a levarsi ebbeno pronte
Parte, al bisogno suo molto piii accorta
Ghe degli amici, alzò subito il ponte-
1 langendo parte, o con la faccia smorta
1 uggendo andò senza mai volger fronte-
E ne la terra per tutte le bande
Levò grido e tumulto e rumor grande
6
Grifon gagliardo duo ne piglia in quella
Ghe 1 ponte si levò per lor sciagura,
bparge de l'uno al campo le cervella
Ghe lo percuote ad una cote dura:
— 4. Denigrò: fece nera. Qui è riunito il
significato figurato e il proprio; ma nel
senso proprio non si usa.
— 6. che, perché.
— 7. bizzarro; (etimolog. incerta. Non da
bizza, che anzi ne pare un derivato, per-
ché arra non è suffisso italiano); antica-
mente significò, o\iv&Q,\\é stravagante come
oggi, anche iracondo. Dantk, Inf. 8, 62;
«Il Fiorentino spirito bizzarro».
— S. Che; É correlativo di fé : Fece si che.
4. 4. ne la p. ; su la p. Petr. Tr. Mort.
Il, 17: « s'assise e seder femmi in una riva ».
5. 3. accorta; attenta, o forse pronta
al suo bisogno. Dante, Inf. IS, 20: « Si non
furo accorte Le gambe tue alla giostra del
Toppo ».
— 4. il ponte; il p. levatoio, che passava
sul fosso di cinta nelfe città fortificate.
6. 1. in quella che ; mentre che. Si è detto
anche in questa, ia questo, in quello. I
grammatici avvertono di sottintendere ora,
punto, tempo ecc.
— 4. Che, poiché.
220
OIM.ANDO FURIOSO
Prende l'altro nel petto e l'arrandeila
In mezzo alla città sopra le mura.
.Scórse per l'ossa ai terrazzani il gelo,
Quando vider colui venir dal cielo.
7
Fnr molti die temer che '1 fier Grifone
Sopra le mura avesse preso un salto.
Non vi sarebbe più confusione,
8' a Damasco il Soklan desse l'assalto.
Un muover d'arme, un correr di persone,
E di Talacimanni un gridar d'alto;
E di tamburi un suon misto e di trombe
Il moudo assorda, e '1 ciel par ne ri mbombe.
8
Ma voglio a un'altra volta differire
A ricontar ciò che di questo avvenne.
Del buon Re Carlo mi convien seguire,
Che centra Kodomonte in fretta venne,
Il qual le genti gli facea morire.
10 vi dissi ch'ai Re compagnia tenne
11 gran Danese e Namo et Oliviero
E Avino e Avolio e Otone e Berlingiero,
9
Otto scontri di lance, che da forza
Di tali otto guerrier cacciati foro,
— 5. 1' arrand. ; lo scaglia come un ran-
dello.
— 7. terrazzani; abitatori di terra mu-
rata o castello ; cosi detti dalle terrazze, che
erano sulle mura e sulle torri.
7. 2. av. preso nn s. ; av. spiccato un sal-
to. È modo ancor vivo.
— 6. Talacimanni (arab. Tellal, araldo;
Iman, sacerdote) Coloro, che, in paesi .Mao-
mettani, chiamano dai Minareti il popolo
alla preghiera con alte grida, o avvertono
di falli gravi, che avvengano intorno alla
città.
8. 2. A ricontar. V. c. XI, 83, n. 7, e avverti
la varietà dei due costrutti: là difTer. a dire
un'altra v.; qui a un'altra: certo per
l'azione che il verbo differire ha avuto sul
compi, di tempo: (differisco a un' al. v. il
dire). _ ricontar, raccontar. V. e. ix, 85,
n. 6. Cosi r A. usa ricogliere per racco-
filiere, rifrescare per raffrescare. — di que-
sto, quanto a questo argomento. Complem.
di limitazione.
— 3. seguire; continuare; sottint. a par-
lare. Cosi nel e. XXII, 5. V. e, ii, 76, n. 8.
9. 1. da forza; dalla forza. Per l'omis-
sione dell' artic. cosi frequente neh' A. cfr.
e. Il, 15, n. 8. — scontri. Qui ha il signili-
cato di colpi scambievoli cacciati nello
scontro.
— 2. cacciati; fatti. L'A. nel e. xxxvi,
57, 7, dice cacciare una punta (una pun-
tata) dar con forza una puntata. Ma qui
l'espressione cacciare uno scontro è an-
che più ardita.
Sostenne a un tempo la scogliosa scorza
Di ch'avea armato il petto il crudo Moro.
Come legno si drizza, poi che l'orza
Lentail nocchier che crescer sente il Coro ;
Cosi presto rizzossi Rodomonte
Dai colpi che gittar doveano un monto.
10
Guido, Banier, Ricardo, Salamene,
Ganelon tradito:', T^u-pin fedele,
Angioliero, Angioliuo, Ughetto, Ivone,
Marco e Matteo dal pian di san Michele,
Ya gli otto, di che dianzi fei menzione,
Son tutti intorno al Saracin crudele,
Arimanno e Odoardo d'Inghilterra,
Ch' entrati eran pur dianzi ne la terra.
11
Non cosi freme in su lo scoglio alpino
Di ben fondata rocca alta parete,
Quando il furor di Borea o di Garbino
Svelle dai monti il frassino e l'abete;
Come freme d'orgoglio il Saracino,
Di sdegno acceso e di sanguigna sete:
E com'a un tempo è il tuono e la saetta,
Cosi l'ira de l'empio e la vendetta.
— 5. l'orza lenta ecc. Orza è quella corda
che si lega al carro dell'antenna e serve a
girare il carro e con esso la vela dal lato
di sopravvento. Quando il vento soffia forte
i marinai allentando l' orza abbassano la
vela; cosi la nave, non più piegata dal vento,
si raddrizza.
— 6. Coro (Corus); Cosi detto dai Greci
e Latini il vento di Ovest-nord-ovest.
— 8. gittar; gittare a terra. Bembo, St.
5. 55: « I nemici a gittar il muro della città...
si diedero v.
10. 1. Gnido di Borgogna; Riccardo duca
di Normandia, (che sembra personaggio sto-
rico e che alcune fonti mettono fra i do-
dici paladini di Carlo M.) ; Salomone re di
Bretagna; Ganelone di Maganza e gli altri,
che seguono, figurano tutti negli amichi
poemi cavallereschi. Quanto alla forma Ga-
nelone avverti che essa deriva dal caso
dell' oggetto, che il francese antico distin-
gueva dal soggetto; cosi Gaines, soggetto,
dette Gano: Guenelon, oggetto, dette Ga-
nelone. E cosi pure da Marsilies, Marsilio;
da. Marsilion Mdivsilione; da Charles, Car-
lo; da Charlon, Carlone. E non devesi ve-
dere in queste forme nessuna intenzione
dispregiativa.
— 7. Arim. e Odoardo V. e. X, 81, 82.
11. 3. Garbino; vento di sud-ovest, cosi
detto dal Garbo, regioned'Africa.V. e. xi v, 66.
— 6. 8. sanguigna; s. di' sangue. Uso ed
esempio non registrato dai vocab. Il Da-
VANZATi, St. 3, 321 disse sanguigno per as-
setato di sangue.
CANTO XVIII
221
12 [so,
Mena alla testa a quel che gli èpiupres-
Che gli è il misero Ùghetto di Dordona:
Lo pone in terra insino ai denti fesso,
Come che 1' elmo era di tempra buona.
Percosso fu tutto in un tempo anch'esso
Da molti colpi in tutta la persona;
Ma non gli fan più che all'incude l'ago:
8i duro intorno ha lo scaglioso drago.
13
Furo tutti i ripar, fu la cittade
D'intorno intorno abandonata tutta;
Che la gente alla piazza dove accade
Maggior bisogno, Carlo avea ridutta.
Corre alla piazza da tutte le strade
La turba, a chi il fuggir si poco fratta.
La persona del re si i cori accende,
Ch' ognun prend'arme, ognuno animo
14 [prende.
Come se dentro a ben rinchiusa gabbia
D'antiqua leonessa usata in guerra,
Perch'averne piacere il popol abbia,
Talvolta il tauro indomito si serra;
I leoncin che veggon per la sabbia
Come altiero e mugliando animoso erra,
E veder si gran corna non sou usi,
fc- tanno da parte timidi e confusi:
15
Ma se la fiera madre a quel si lancia,
E ne r orecchio attacca il crudel dente,
Vogliono anch'essi insanguinar la guan-
E vengono in soccorso arditamente; [eia.
Chi morde al tauro il dosso, e chi la pancia:
Cosi contra il Pagan fa quella gente;
Da tetti e da finestre e più d'appresso
Sopra gli piove un nembo d'arme e spesso.
12. 2. gli è; egli è. Egli è riempitivo, co-
munissimo nei nostri scrittori, specialm.
Toscani, e vivo ancora nell' uso. Fornacia-
Ri, Sitit. p. 55, 13.
— 4. Come che... era. Più comunem. si
usa col cong. Bocc. nov. 18: «la quale il
giovane focosamente ama, come che ella
non se n' accorge ».
— 8. scaglioso dr. pelle scagliosa del dra-
go. V. e. XIV, 118.
13. 2. D'int. int. Più comunem. si ripete
senza preposiz. La N. Cr. non cita questo
modo; e quei che lo citano dan l'esempio
di un testo a penna e dimenticano V A.
— 3. accade ; si presenta. V. e. ii, 67, n. 7.
— 6. a chi; a cui. V. e. II, 20, u. 8.
14. 3. averne... abbia; abbia ad averne;
possa averne. Cosi nel e. xvi, 18, 6; xviii,
38, 5, ecc.
15. 8. nn n. d'ar. e sp. L' e parrebbe su-
perfluo; ma nembo è da intendere in senso
di quantità grande : una quantità gran-
de e spessa di armi: un nembo, e anche
un nembo fitto, di armi.
16
Dei cavallieri e de la fanteria
Tanta è la calca, ch'a pena vi cape.
La turba che vi vien per ogni via.
V'abbonda ad or ad or spessa come ape
Che quando, disarmata e nuda, sia
Più facile a tagliar, che torsi o rape.
Non la potria, legata a monte a monte,
In venti giorni spenger Rodomonte.
17
Al Pagan, che non sa come ne possa
Venir a capo, ornai quel giuoco iucresce.
Poco, per far di mille, o di più, rossa
La terra intorno, il popol discresce.
Il fiato tuttavia più se gl'ingressa,
Si che comprende al fin che, se non esce
Or e' ha vigore e in tutto il corpo è sano.
Vorrà da tempo uscir, che sarà in vano.
18
Rivolge gli occhi orribili, e pon mente
Che d'ognintorno sta chiusa 1' uscita;
Ma con mina d' infinita gente
L'aprirà tosto, e la farà espedita.
Ecco vibrando la spada tagliente,
Chevien quell'empio, oveitfurorlo'nvita,
Ad assalire il nuovo stuol Britanno,
Che vi trasse Odoardo et Arimanno.
19
Chi ha visto in piazza rompere steccato
A cui la folta turba ondeggi intorno,
Immansueto tauro accaneggiato,
Stimuiato e percosso tutto '1 giorno;
Che '1 popol se ne fugge ispaventato.
Et egli or questo or quel leva sul corno;
Pensi che tale o più terribil fosse
Il crudel African, quando si mosse.
20
Quindici 0 venti ne tagliò a traverso,
Altri tanti lasciò del capo tronchi,
16. 4. ape. Forse è sing. come al e. xx,
82, 7 : ma potrebbe anche essere plur. V.
e. IX, 84, n. 1. L' A. ha tanti di questi plur.
della quarta deci., che è strano ricorrere,
come fanno alcuni, all' antiquato apa.
— 5. quando... sia; quantunque... sia. V.
e. IV, 31, n. 7.
17. 3. per far; per quanto faccia. Dante,
Inr. 4, 11 : « per ficcar lo viso al fondo Io
non vi discernea alcuna cosa ». E cosi
spesso.
— 4. discresce: decresce. Cosi era nella
ediz. del '16: l' A. lo cambiò, forse credendo
l'altra forma più comune nella letteratura.
Infatti è usata spesso dagli antichi.
— 8. da tempo... che; in tempo che. V,
e XVII, 39, n. 1.
19. 5. Che; cosi che.
20. 2. Altri tanti; Più comunem., anche
presso gli antichi, altrettanti.
222
ORLANDO FURIOSO
Ciascun d'un colpo sol dritto o riverso;
Che viti 0 salci par che poti e tronchi:
Tutto di sangue il fier pagano asperso,
Lasciando capi fessi e bracci monchi,
E spalle e gambe et altre membra sparte,
Ovunque il passo volga, al fin si parte.
21
De la piazza si vede in guisa torre.
Che non si può notar ch'abbia paura;
Ma tutta volta col peusier discorre.
Dove sia per uscir via pili sicura.
Capita al fin dove la Senna corre
Sotto l'isola e va fuor de le mura.
La gente d' arme e il popol fatto audace
Lo stringe e incalza, e gir noi lascia in
^ , ^"^ [pace.
Qual per le selve Nomade o Massile
Cacciata va la generosa belva,
Ch'ancor fuggendo mostra il cor gentile,
E minacciosa e lenta si rinselva;
Tal Rodomonte, in nessun atto vile,
Da strana circondato e fiera selva
D'aste e di spade e di volanti dardi.
Si tira al fiume a passi lunghi e tardi.
— 3. Ciascun ecc.; e ciascuno egli tagliò
o lasciò tronco del capo con un solo colpo
dritto o rovescio.
— 4. che; cosi che. V. e. i, 57, n. 7.
21. 1. torre; togliersi. L'omissione della
particella prouom., che dovrebb' esserci, è
stata causata forse dalla vicinanza dell'al-
tro si.
~ 6. l' isola ; L'ile eie palaìs o de cité,
che era la sola isola anticam. famosa. Oggi
C è anche l' isola St. Louis, che fu fabbrica-
ta solamente sotto Luigi XIIL V. e. xiv, 101.
2<}. 1. Nomade o Mass. ; della Numidia (oggi
Algeria) o della Massilia (i Massili abitavan
parte della Numidia). Nomadi è la forma
greca Nomades, che latinamente, divenne
jS'umidae. Nomades disse i Numidi Silio
Italico I, 215. La comparaz. è imitata da Vjrt-
GiL., En.9,m: «Ceu saevum turba leo-
nem Cum telis premit infensis, at territus
ille, Asper, acerba tueus retro redit et ne-
que terga Ira dare aut virtus patitur nec
tendere contra Ille quidem, hoc cupiens,
polis est per tela virosque ». L' imitò già il
BOIARDO, Inn. I, XI, 44. — Qui selve va in-
teso nel significato complesso di luoghi
(love si trovano numerose selve; infatti
r A., seguendo Plinio, st.. N. 8, 16, ritiene j
che il leone mostri questa generosità nei
luoghi aperti, mentre, quando è nel folto, |
fugge precipitosamente. Ciò apparisce chia- i
ro dal quarto verso: se si rinselva, ciò 1
che è detto prima accade fuori della selva. |
— 3. gentile, generoso. Dante, Inf. 20,
60 : * de' Romani il gentil seme ». Petr. iv,
canz. 4: «Latin sangue gentile».
1 . 23
I E si tre volte e piii l'ira il sospinse,
! Ch essendone già fuor, vi tornò in mezzo,
Ove di sangue la spada ritinse, ^'- '""'''
E pili di cento ne levò di mezzo. .-• , d a^-v.-***'
Ma la ragione al fin la rabbia vinse
I Di non far si, ch'a Dio n' andasse il lezzo:
L da la ripa, per miglior consiglio,
Si gittò all'acqua, e usci di gran periglio
24
Con tutte l'arme andò per mezzo l'ac-
Come s'interno avesse tante galle, [que.
Africa, in te pare a costui non nacque
Ben che d'Anteo ti vanti o d'Anniballe.
Poi che fu giunto a proda gli dispiacque
Che si vide restar dopo le spalle ..
Quella città ch'avea trascorsa tutta,
E non l'avea tutt'arsa né distrutta.
25
_E si lo rode la superbia e l' ira.
Che per tornarvi un'altra volta, guarda,
E di profondo cor geme e sospira.
Ne vuoine uscir, che non la spiani et arda.
Ma lungo il fiume, in questa furia, mira
23. 4. ne levò di m., ne uccise. È il latino
de medio tollere, entrato nella lingua co-
mune.
— 6. Di non f. si' ecc. Mi par da inten-
dere: La ragione alfine vinse la rabbia in
modo da non far *si (che Ij. non fece sf,
non si spinse a tale eccesso) che a Dio ecc!
Ed abbiamo un uso del di per da come al
e. I, 51, 6; VITI, 16,-2; e più chiaram. Cinq.
Canti, II, 74, 6. Uso analogo del di è nei
modi : fai di ritornar presto ; farò in modo
di contentarti e simili. Per l'immagine ri-
corda Petr. IV, 14: «Or vivi si che a Dio
ne venga il lezzo >•.
24. 1. p. mezzo 1' a. V. e. vi, 23, n. 8.
— 2. galle. Sono piccole concrezioni ro-
tonde formatesi sulle foglie delle querci per
: effetto delle punture di alcuni insetti. « Le
galle si legano, come feggei-issime che sono,
all' estremità delle reti per farle star so-
spese al sommo dell'acqua ». Fornari.
— 4. Anteo, gigante mitologico di Libia.
— tì. Che si vide; Può essere la propos.
soggettiva o anche perché si vide.
25. 3. di pr. e. Abbiamo forse la fusione
di due maniere comuni gemere di cuore,
gemere dal profondo del cuore. Cosi nel
e. XXIII, 7, 1.
— 4. che; senza che. V. e. xv, 54, n. 6.
Questa ritirata di Rodomonte è imitazione
della ritirata di Turno, En. 9, 789 segg., e
in parte anche della ritirata di Agricane,
Ina. I, XI, 44-45. Tutti poi han preso da
Omero 11. xi. Monti, 731, segg.; anche la
comparazione della belva che si ritira lenta
e dignitosa.
CANTO XVIII
223
Venir chi l'odio estingue, e l'ira tarda.
. Chi tosse io vi farò ben tosto udire;
Ma prima un'altra cosa v'ho da dire.
'JG
Io v' ho da dir de la Discordia altiera,
A cui l'Angel Michele avea commesso,
Ch'a battaglia accendesse e a lite fiera
Quei che più torti avea Agramante ap-
Usci de' frati la medesma sera, [presso
Avendo altrui l'ufficio suo commesso:
Lasciò la Fraude a guerreggiare il loco.
Fin che tornasse, e a mantenervi il foco,
27
E le parve ch'andria con più possanza.
Se la Superbia ancor seco menasse:
E perché stavan tutte in una stanza.
Non fu bisogno eh' a cercar l'andasse.
La Superbia v'andò, ma non che sanza
La sua vicaria il monaster lasciasse:
Per pochi di che credea starne absente.
Lasciò l'Ipocrisia locotenente.
L'implacabil Discordia in compagnia
De la Superbia si messe in camino,
E ritrovò che la medesma via,
Facea per gire al campo Saracino,
L^afflitta e sconsolata Gelosia;
E venia seco un Nano Piccolino,
Il qual mandava Doralice bella
Al Re di Sarza a dar di sé novella.
29 [mano
Quando ella venne a Mandricardo in
(Ch'io v'ho già raccontato e come e dove),
Tacitamente avea commesso al Nano,
Che ne portasse a questo Ke le nuove.
Ella sperò che noi saprebbe in vano,
Ma che far si vedria mirabil prove,
Per riaverla con crudel vendetta
Da quel ladron che gli l'avea intercetta,
ao
La Gelosia quel Nano avea trovato;
— 6. tarda; trattiene; cf. .st. 62, 3. È si-
gnificato notevole non registrato dai voca-
bolari.
26. 5. V. de' frati; u. di convento. Andar
ne' frati, andar ne' soldati e simili, sono
espressioni comuni ancora per entrare in
convento, neW esercito ecc.
— 6. commesso. Differisce dal commesso
del secondo verso solo per una sfumatura
di significato: qui significa a/Ac/afo, là or-
dinato.
27. 5. sanza, più volentieri che sema dis-
pero gli antichi ; T a. generalm. senza.
28. 6. nn Nano. Osserva il Casella che i
Nani e le donzelle negli antichi romanzi di
cavalleria son quelli, che fanno spesso da
messaggi.
29. 2. Il racconto è nel e. xiv, 64.
— 8. gli l'aT. V. e, v, 89, n. 4.
E la cagion del suo venir compresa,
A caminar se gli era messa allato.
Parendo d'aver luogo a questa impresa.
Alla Discordia ritrovar fu grato ^
La Gelosia, ma più quando ebbe intesa
La cagion del venir, che le potea
Molto valere in quel che far volea.
31
D'inimicar con Rodomonte il figlio
Del Re Agrican le pare aver suggetto;
Troverà a sdegnar gli altri altro consiglio ;
A sdegnar questi duo questo è perfetto.
Col Nano se ne vien dove l'artiglio
Del fier Pagano avea Parigi astretto;
E capitaro a punto in su la riva,
Quando il crudel del fiume anuoto usciva.
32
Tosto che riconobbe Rodomonte,
Costui de la sua Donna esser messaggio,
Estinse ogn'ira, e serenò la fronte,
E si senti brillar dentro il coraggio.
Ogn'altra cosa aspetta che gli conte
Prima ch'alcuno abbia alci fatto oltraggio.
Va contra il Nano, e lieto gli domanda:
Ch'è de la Donna nostra? ove ti manda?
. 33
Rispose il Nano: Né più tua né mia
Donna dirò quella eh' è serva altrui.
Ieri scontrammo un cavallier per via.
Che ne la tolse, e la menò con lui.
A quello annunzio entrò la Gelosia,
Fredda come aspe, et abbracciò costui.
Seguita il Nano, e narragli in che guisa
Un sol l'ha presa, e la sua gente uccisa.
30. 4. Parendo; Sott. le. V. e. i, 21, n. 7.
— 7. che; perché.
31. 4, perfetto ; (lat. perfectus) fatto: que-
sto consiglio è fatto, questa deliberazione è
presa per sdegnar gli altri d. — sdegnar,
muovere a sdegno. É significato frequen-
tissimo.
— 6. astretto; stretto. V. e. r, 62, 2.
82. 4. il coraggio ; il core. Cosi st.- 94 e
XXXVIII, 19. Fu usato spesso dagli ant. spe-
cialm. nel trecento. É il provenzale corale,
Petr. I, sou. 152: «sforzati al cielo, o mio
stanco coraggio ». Novelle ant. 99, 11: «Ma-
donna Isotta v'ama di buon coraggio ».
— 6. Prima ch'a.; fuorché a. 6i citano
esempì di i^rima che per iJtù tosto che ;
ma questo significato più esclusivo non pare
che sia registrato dai vocabol. Eppure è
d' uso comune. « Tutto m' aspettavo prima
che questo» si dice comunemente. Nota poi
la fusione dei due che, uno della congiun-
zione e uno della proposiz. oggettiva.
33. 4. con lui ; con sé. V. e. IV, 6, 3.
— 6. aspe, aspide. Forma esclusivam. poe-
tica, che usò già il Petr. I, son. 156: «Che
sol trovò pietà sorda com' aspe ».
224
ORLANDO FURIOSO
34
L'acciaio allora la Discordia prese,
E la pietra focaia, e picchiò un poco,
E l'esca sotto la Superbia stese,
E fu attaccato in un momento il foco:
E si rti questo l' anima s'accese
Del Saracin, che non trovava loco:
Sospira e freme cou si orrihil faccia,
Che gli elementi e tutto il eiel minaccia.
85
Come la tigre, poi ch'invan discende
Nel voto albergo, e per tutto s'aggira,
E i cari figli all' ultimo comprende
Essergli tolti, avvampa di tant'ira,
A tanta rabbia, a tal furor s'estende.
Che né a monte, né a rio, né a notte mira;
Né lunga via, né grandine raffrena
L'odio che dietro al predator la mena;
36
Cosi fureudo il Saracin bizarro.
Si volge al Nano, e dice: Or là t'invia;
E non aspetta né destrier né carro,
E non fa motto alla sua compagnia.
Va con più fretta, che non va il ramarro,
Quando il ciel arde, a traversar la via.
Destrier non ha, ma il primo tòr disegna
(Sia di chi vuol) ch'ad incontrar lo vegna.
37
La Discordia ch'udi questo pensiero,
Guardò, ridendo, la Superbia, e disse
Che volea gire a trovare un destriero.
Che gli apportasse altre contese e risse;
E far volea sgombrar tutto il sentiero,
34. 1. L'acciaio, racciarino, il focile. Bocc.
nov. 3, 57 : « Fatto colla pietra e coU' ac-
ciaio un poco di fuoco ».
— 8. gli elementi; la terra.
35. 1. Come ecc. Questa comparazione fu
molto usata dai poeti: Omi.ro, 11. (Monti) 18,
432; Stazio, Teb. iv, 315; Pouz. st. i, 39:
« Qual tigre a cui dalla petrosa tana Ha
tolto il cacciator suoi cari figli, Rabbiosa il
segue per la selva Ircana, Che tosto crede
insanguinar gli artigli ». Ma questa dell'A.
è più piena e completa di tutte.
— 5. 8' estende; arriva. La N. Crusca cita
il solo esempio dell'A.; ma spiega male il
vocabolo con lasciarsi vincere dall'ira.
36. 1. furendo; Dall' inusit. fUrere (lat.
furere) usato solo nel gerundio (poetico) e
nel partic. pres.
— 5. il ramarro. È immagine dantesca.
Inf. 25, 79: « Come il ramarro sotto la gran
ferza Dei di canicular cangiando siepe Fol-
gore pare se la via traversa ».
— 6. a traversar ; traversando. V. e. iv,
n. 1.
— 8. di chi vnol. Espressione vivissima
e efficacissima nella nostra lingua: è ellit-
tica e vale sia di chiunque vuole essere.
Ch'altro che quello in man non gli venis-
E già pensato avea dove trovarlo, [se:
Ma costei lascio, e torno a dir di Carlo.
38
Poi ch'ai partir del Saracin s'estinae
Carlo d'intorno il periglioso fuoco.
Tutte le genti all'ordine restrinse.
Lascionne parte in qualche debol loco:
Adosso il resto ai Saracini spinse,
Per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuo-
E li mandò per ogni porta fuore, [co;
Da san Germano in fin a san Vittore.
39
E comandò ch'a porta san Marcello,
Dov' era gran spianata di campagna.
Aspettasse l' un l'altro; e in un drappello
Si ragunasse tutta la compagna:
Quindi animando ognuno a far macello
Tal, che sempre ricordo ne rimagna,
Ai lor ordini andar fé' le bandiere,
E di battaglia dar segno alle schiere.
40 [sella.
Il Re Agraraante in questo mezzo in
Malgrado dei Cristian, rimesso s'era;
37. 6. Cli' altro; cosi che al.
38. 1. s' estinse; est. intorno a sé. Infatti
fu Carlo, che, per la sua prudenza e pel
suo coraggio aveva fatto partire Rodo-
monte e cosi avea estinto il combattimento.
Ma sarebbe più semplice intendere si estin-
se d' intorno a Carlo. In tal caso vi è da
notare 1' omissione della prepos. Si direbbe
comunemente a Carlo d'intorno; e non
Carlo d'intorno; ma questa omissione non
sarebbe dei maggiori ardimenti dell'A.
— 3. all' ordine r. ; raccolse, riunì in schie-
ra. V. e. XVI, 70, 4.
— 6. P. d. 1. scacco ; p, d. 1. sconfìtta. E-
spressione tolta dal giuoco degli scacchi e
ancora comune.
— 8. Da s. Germ. ecc.; da tutte le porte,
a cominciare da quella di S. Germano a
quella di 8. Vitt. Oggi questi nomi delle an-
tiche porte son rimasti ad alcune borgate.
S. derni, era a ovest, S. Vittore a sud-est;
S. Marcello a sud; tutte al di qua della
Senna, secondo ciò che l'A. ha detto nel e.
XIV, 105. Da ciò può valutarsi l' importanza
di questi ordini dati da C. Magno.
39. 4. compagna; compagnia. V. e. iv,
39, 4.
— - 5. Quindi ; dopo che si furon tutti rac-
colti a porta S. Marcello.
— 7. Ai 1. ordini ecc. ; fece andare cia-
scuna bandiera alla sua schiera; cioè or-
dinò le schiere sotto diverse bandiere. Nella
confusione, dispersi gli ordini, si erau di-
spersi anche i vessilli.
40. 2. Malgr. dei Cr.; in danno dei Cri-
stiani. Cosi anche nel e. xxvii, 17, 7. In-
CANTO XVIII
225
E con l'inamorato d'Isabella
Facea battaglia perigliosa e fiera:
Col Re Sobrin Lurcanio si martella :
Einaldo incontra avea tutta una schiera,
E con virtude e con fortuna molta
L'urta, l'apre, ruina e mette in volta.
41
Essendo la battaglia in questo stato,
L'imperatore assalse il retroguardo
Dal canto ove Marsilio avea fermato
Il fior di Spagna intorno al suo stendardo.
Con fanti in mezzo e cavalieri allato,
Ee Carlo spinse il suo popol gagliardo
Con tal rumor di timpani e di trombe,
Che tutto '1 mondo par che ne rimbomba.
42
Cominciavan le schiere a ritirarse
De' Saracini, e si sarebbon volte
Tutte a fuggir, spezzate, rotte e sparse,
Per mai più non potere esser raccolte;
Ma '1 Re Grandonio e Falsirou comparse,
Che stati in maggior briga eran più volte,
E Balugante e Serpentin feroce,
E Ferraù che lor dicea a gran voce:
43
Ah (dicea) valentuomini, ah compagni.
Ah fratelli, tenete il luogo vostro.
I nimici faranno opra di ragni,
Se non manchiamo noi del dover nostro.
vece nel e. xxxiv, 35, 5, 1' abbiamo senza
pi'epos. : malgrailo lor tutti.
— 3. l'in. d'l3ab.; Zerbino.
41. 2. retroguardo ; Fu usato dagli antichi
al pari di retroguardia. Carlo M. dunque
condusse i suoi dalla parte dov' era Mar-
silio, lo prese alle spalle e ne assali la re-
troguardia.
— 5. Con f. in m. « Secondo l'ordine della
militar disciplina il Poeta fa che Carlo dalle
bande chiuda in mezzo i pedoni coi caval-
li » Forìiari.
— 7. timpani; V. e. XVI, 56, 2.
42. 3. spezzate; in grandi parti; rotte in
piccoli frammenti; e anche questi, sparsi,
dispersi.
— 4. Per m. pili. Il senso richiederebbe
che si intendesse il per come in modo da.
Infatti nelle altre due ediz. del '16 e del '21
si aveva: « SI che mai più non si sarian
raccolte ». Ma con quale autorità possiamo
interpretare cosi? Secondo l'uso comune di
per intendi: si sparpagliavano, affinché nes-
suno potesse più raccoglierli e ricondurli
al pencolo.
— 5. comparse; È forma molto frequente
negli antichi, specialmente in poesia; ma
meno di compaì've.
43. 4. del d. n.; Più comunem. ai dover
nostro. GELLt, Err. 3, 3: «che io abbia
mancato dell' ufficio del vero amico ».
^ Gualcate 1 alto onor, gli ampli guadagni
\ Che Fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro:
Guardate la vergogna e il danno estremo,
Ch essendo vinti a patir sempre avremo.
rp ,, . '^'^ [avea,
iolto in quel tempo una gran lancia
E contro Berlingier venne di botto,
Che sopra l'Argaliffa combattea,
E l'elmo ne la fronte gli avea rotto:
Gittollo in terra, e con la spada rea
Appresso a lui ne fé' cader forse otto.
Per ogni botta almanco, che disserra.
Cader fa sempre un cavalliero in terra.
45
In altra parte ucciso avea Rinaldo
Tanti Pagan, ch'io non potrei contarli.
Dinanzi a lui non stava ordine saldo :
Vedreste piazza in tutto '1 campo darli.
NonmeiiZerbin, non menLurcanio è caldo :
Per modo fan, ch'ognun sempre ne parli:
Questo di punta avea Balastro ucciso,
E quello a Finadur l'elmo diviso.
46
L' esercito d'Alzerbe avea il primiero,
Che poco inanzi aver solca Tardocco:
L'altro tenea sopra le squadre impero
Di Zamor e di Sarti e di Marocco.
Non è tra gli Africani un cavalliero
Che di lancia ferir sappia o di stocco?
Mi si potrebbe dir: ma passo passo
Nessun di gloria degno a dietro lasso,
47
Del Re de la Zumara non si scorda
Il nobil Dardinel figlio d'Almonte,
Che con la lancia Uberto da Mirforda,
Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte,
44. 3. l'Arg. V. e, XI v, 16, 3.
— 5. rea, dannosa; come al e. xvii, 99,
destriero rio.
— 7. disserra, vibra. V. e. iv, 20, n. 5.
46. 1. Alzerbe; Isoletta dell'Affrica, posta
fra le due Sirti, detta Gerba dagli antichi,
ora Gerbe.
— 4. Zamora. Non è Zam. di Spagna, per-
ché qui si parla dell' esercito Affricano ; ma
un' antica città sulle coste di Barberia. —
Saffi; Alcuni intendono Sarfand nella Siria,
altri, meglio, Sapia, città della Barberia.
47. I. non si scorda. È usato impers. per
non mi scordo ; come nel e. vii, 68, 3; ma
i-egolarmente avrebbe dovuto dire ìion mi
scorda. É chiara la fusione di due costrutti :
Il re della Z. non si scorda (non viene da
me dimenticato); e Del re della Z. non mi
scordo. O anche: il nobii Dardin. figlio
d'Alm. non si scorda della dignità di ra
della Zumara, che egli irapersona.
— 3. Mirforda; Mitford, città d'Inghil-
terra.
Abiosto — Papini
15
22G.
ORLANDO FUEIOSO
E con la spada Anselmo da Stanforda,
E da Londra Raimondo e Pinamonte
Getta per terra (et erano pur forti),
Dui storditi, un piagato, e quattro morti.
48
Ma con tutto '1 valor che di sé mostra,
Non può tener si ferma la sua gente.
Si ferma, ch'aspettar voglia la nostra
Di numero miuor, ma pili valente.
Ha pili ragion di spada e pili di giostra
E d'ogni cosa a guerra appertinente.
Fugge la gente Maura, di Zumara,
Di Setta, di Marocco e di Canara.
49
Ma più degli altri fuggon quei d'Alzerbe,
A cui s'oppose il nobil giovinetto;
Et or con prieghi, or con parole acerbe
Ripor lor cerca l'animo nel petto.
S'Almonte meritò eh' in voi si serbe
Di lui memoria, or ne vedrò l'effetto:
Io vedrò (dicea lor) se me, suo figlio,
Lasciar vorrete in cosi gran periglio.
50
State, vi priego per mia verde etade,
In cui solete aver si larga speme:
Deh non vogliate andar per fil di spade.
Ch'in Africa non torni di noi seme.
Per tutto ne saran chiuse le strade.
Se non andiam raccolti e stretti insieme :
Troppo alto muro, e troppo larga fossa
È il monte e il mar, pria che tornar si pos-
51 [sa.
Molto è meglio morir qui, ch'ai supplici
— 5. Stanforda; Stafiford; contea e città
dell' Inghilterra occid.
48. 3. Si ferma. V. e. I, 47, n. 1.
— .5. ragion; perizia. Cosi pure nel e.
XLV, 81, 5. È il ratio dei Latini, Lucrezio,
v, 104, dice naviga ratio, l'arte di navi-
gare.
— 6. appertinente. Dall' inusit. apperte-
nere. Il Bocc. nov. 59 ha pertinente; forma
che è ancora nell'uso. V. e. xlvi, 103, 4.
— 8. Canara, Canaria. Cosi il Boiardo
Jnn. II, XXIX, 12.
49. 3. Et or. ecc. In questo luogo Dardi-
nello è imitazione del Fallante virgiliano
(En. X, 362-375), del quale son tradotti pen-
sieri ed espressioni. « Nunc prece nunc
dictis virtutem accendit amaris ».
— 'o. S'Almonte ecc. Eneid. 1. e. «Per du-
ci.? Evandri nomen devictaque bella Spem-
que meam ».
— 6. l'effetto; la prova. V. e. v, 17, n. 5.
50.3. andar p. f. d. s.; Nella st. 162, 6,
mettere p. f. <l. s. Più comunem. andare,
mettere a f. d. sp.
— 4. Ch'in A.; cosi che A.
— s. il monte e il m. ; i Pirenei per tor-
nare in Spagna, e lo stretto di Gibilterra
Darsi e alla discrezion di questi cani.
State saldi, per Dio, fedeli amici.
Che tutti son gli altri rimedi vani.
Non han di noi pili vita gl'inimici:
Più d'un' alma non han, più di due mani.
Cosi dicendo, il giovinetto forte
Al Conte d'Otonlei diede la morte.
52
Il rimembrare Almonte cosi accese
L'esercito African che fuggia prima.
Che le braccia e le mani in sue difese
Meglio, che rivoltar le spalle, estima.
Guglielmo da Burnich'era uno Inglese
Maggior di tutti, e Dardinello il cima,
E lo pareggia agli altri; e appresso taglia
Il capo ad Aramon di Cornovaglia.
53
Morto cadea questo Aramone a valle;
E v'accorse il fratel per dargli aiuto:
Ma Dardinel l'aperse per le spalle
Fin giù dove lo stomaco è forcuto.
Poi forò il ventre a Bogio da Vergalle,
E lo mandò del debito assoluto:
Avea promesso alla moglier fra sei
Mesi, vivendo, di tornare a lei.
54
Vide non lungi Dardinel gagliardo
Venir Lurcanio, eh' avea in terra messo
Dorchin, passato ne la gola, e Gardo
Per mezzo il capo e in sin ai denti fesso ;
E ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo,
Alteo ch'amò quanto il suo core istesso;
Che dietro alla collottola gli mise
Il fier Lurcanio un colpo che l' uccise.
per passare quindi in Affrica. Eneid. 1. e.
377 : « Ecce maris magna claudit nos obice
pontus ».
51. 6. Pili d' un' al. ecc. Eneid. 1. e. 376 :
« totidem nobis animaeque manusque ».
52. 3. Che le braccia; Che rivoltar le brac-
cia ecc.
— 5. Burnich. Non sappiamo che paese
intendere sotto questo nome.
— 6. il cima; gli taglia la testa. Cimare,
vivo ancora, è vocabolo tecnico dell'agri--
coltura e significa spuntar la cima deUe
piante.
53. 1. a valle; al basso. Dante, Inf. 20,
35 : « Ma non restò di ruinare a valle ».
— 4. dove lo st. ecc.; Sino alla forcella
dello stomaco.
— 6. lo mandò ecc. ; lo liberò dal debito
contratto con sua moglie, di tornare.
— 7. moglier, mogliere. Lo abbiamo in-
tero nel e. xxxvii, 20, 5, ed è già nel Boc-
caccio e nel Petr. È il lat. rnulierem.
54. 5. E che. Dipende dal vide del v. 1.
— 7. Che ; poiché. Spiega il fu tardo del
verso 5. Sarebbe più chiaro mettendo fra
parentesi il v. 6. — gli mise : mettere un
CANTO xvm
227
Piglia una lancia, e va per far vendetta,
Dicendo al suo Macon (s'udir lo puote)
Che se morto Lurcanio in terra getta,
Ne la Moschea ne porrà l'arme vote.
Poi traversando la campagna in fretta,
Con tanta forza il fianco gli percuote.
Che tutto il passa sin all'altra banda;
Et ai suoi, che lo spoglino, comanda.
.06
Non è da domandarmi, se dolere
Se ne dovesse Ariodante il frate;
Se desiasse di sua man potere
Por Dardinel fra l'anime dannate;
Ma noi lasciau le genti adito avere,
Non men de le 'nfedel le battezzate.
Vorria pur vendicarsi e con la spada
Di qua di là spianando va la strada.
57 [de
Urta, apre, caccia, atterra, taglia e fen-
Qualungue lo 'rapedisce o gli contrasta.
E Dardinel che quel disire intende,
A volerlo saziar già non sovrasta:
Ma la gran moltitudine contende
Con questo ancora e i suoi disegni guasta.
Se Mori uccide l'un, l'altro non manco
Gli Scotti uccide e il campo Inglese e '1
58 I Franco.
Fortuna sempre mai la vialor tolse,
Che per tutto quel di non s' accozzare.
A pili famosa man serbar l'un volse;
Che r uomo il suo destin fugge di raro.
Ecco Rinaldo a questa strada volse,
Perch' alla vita d' un non sia riparo:
Ecco Rinaldo vien: Fortuna il guida
Per dargli onor, che Dardinello uccida.
colpo, una botta (e. ix, 30) è modo nuovo
non registrato dai vocabolari.
55.4. vote; vuote. È epiteto puramente
descrittivo. Qualcuno intende vote per vo-
tate (lat. votila, offerto in voto); ma a to-
gliere ogni dubbio vengono le edizioni del
'16 e del '21, che leggono vuote. L'idea del
vóto è già neh' espressione 2}or nella •mo-
schea.
— S. che lo spoglino; Per offrir le armi
vuote.
56, 5. adito avere, entrare fra loro per
andare a Dardinello.
57.4. non sovrasta; non indugia, Di que-
st'uso sono esempi anche in prosa: Bocc.
Dee. giorn. 6, prol. « Delle sette volte le sei
soprastanno tre o quattro anni più che non
debbano a maritarle ».
58. 2. Che ; o è relativo a lor, o è per
cos'i che. — s'accozzare; si cozzarono (V. e. i,
G2, 2), si urtarono.
— 3. l'un; Dardinello; come si rileva da
ciò che segue.
— 5. volse; o dipende da Fortuna o da j
Rinaldo, e in questo caso significa si volse. \
59
Ma sia per questa volta detto assai
Dei gloriosi fatti di Ponente.
Tempo è eh' io torni ove Grifon lasciai,
Che tutto d'ira e di disdegno ardente '
Facea, con piii timor ch'avesse mai,
Tumultuar la sbigottita gente.
Re Norandino a quel rumor corso era
Con più di mille armati in una schiera
60
Re Norandin con la sua corte armata.
Vedendo tutto '1 popolo fuggire.
Venne alla porta in battaglia ordinata,
E quella fece alla sua giunta aprire.
Grifone intanto avendo già cacciata
Da sé la turba sciocca e senza ardire,
La sprezzata armatura in sua difesa
(Qual la si fosse) avea di nuovo presa-
I ^^
E presso a un tempio ben murato e forte
Che circondato era d'un' alta fossa,
In capo un ponticel si fece forte.
Perché chiuderlo in mezzo alcun non pos-
Ecco, gridando e minacciando forte, [sa.
Fuor de la porta esce una squadra grossa.
L'animoso Grifon non muta loco,
E fa sembiante che ne tema poco.
62
E poi ch'avvicinar questo drappello
Si vide, andò a trovarlo in su la strada;
E molta strage fattane e macello
(Che menava a due man sempre la spada),
Ricorso avea allo stretto ponticello,
E quindi li tenea non troppo a bada :
Di nuovo usciva, e di nuovo tornava;
E sempre orribil segno vi lasciava.
6.3
Quando di dritto e quando di riverso
Getta or pedoni or cavallieri in terra.
II popol centra lui tutto converso
Più e più sempre inaspera la guerra.
Teme Grifone al fin restar sommerso :
>Si cresce il mar che d'ognintorno il serra;
E ne la spalla e ne la coscia manca
60. 3. in battaglia ord.; in perfetto ordine
di battaglia. In battaglia significa in or-
dine di battaglia; battaglia ordinata è
quella che si fa mantenendo ordine e disci-
plina. Di qui il modo in b. ord.
— 4. ginnta; arrivo. Dante, Inf. 24, 45:
« Anzi mi assisi nella prima giunta ».
— 8. Qnal; qualunque. Peth.. iv, canz. 4 :
« Ivi fa' eh' il tuo vero (Qual io mi sia) per
la mia lingua s' oda ».
61.3. In capo un; in capo • un. V. e. vi,
23, n. 8.
62.5. Ricorse avea; faceva ricorso ; si ri-
fugiava.
63. 4. inaspera; inaspra, rende aspra e
crudele.
228
ORLANDO FURIOSO
È già ferito, e pur la lena manca.
64
Ma la Virtù, ch'ai suoi spesso soccorre,
Gli fa appo Norandin trovar perdono.
Il Re, mentre al tumulto in dubbio corre,
Vede che morti già tanti uè sono;
Vede le piaghe che di man d'Ettorre
Pareano uscite: un testimonio buono,
Che dianzi esso avea tatto indegnamente
Vergogna a un cavallier molto eccellente.
65 [fronte
Poi, come gli è più presso e vede in
Quel che la gente a morte gli hacondutta,
E fattosene avanti orribil monte,
E di quel sangue il fosso e l'acqua brutta;
Gli è avviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol contra Toscana,tutta:
E per suo onore, e perché gli ne 'ncrebbe,
Ritrasse i suoi, né gran fatica v' ebbe;
66
Et alzando la man nuda e senz'arme,
Antico seguo di tregua o di pace,
Disse a Grifon:Non so, se non chiamarme
D'avere il torto e dir che mi dispiace:
Ma il poco mio giudicio, e lo instigarme
Altrui cadere in tanto error mi face.
Quel che di fare io mi credea al più vile
— 8. pur, anche.
64. 1. a' suoi; ai suoi protetti; ai virtuosi.
— 3. in dnl)l)io, che fosse vero ciò che
avea udito di Grifone.
— 6. un test. b. Apposizione di piaghe.
65. 6. Orazio ecc. Verso .famoso, che è
bel rifacimento di un luogo del Petr. Tr.
F. I, 81 : « quel che solo Contro Toscana
tutta tenne il ponte ».
— 7. per suo onore; Si può intendere in
più modi: Per non esporre il suo onore a
ima sconfìtta. — Per provvedere al suo
onore riparando V ingiuria fatta a Gr. —
Per onore di Grif. ; cioè per onorare il suo
merito. — gli ne 'ncr. ; gli increbbe di Gri-
fone, che era stalo ingiustamente offeso.
66. 1. Et alzando ecc. Petr, iv, canz. 4:
« Alzando il dito (come segno di i-esa) con
la morte scherza ». "V. la dotta nota del
Carducci nelle iìOne pubblicate dal Sansoni.
E lo stesso Petr. n, canz. 5: «Or, lasso,
alzo la mano e 1' arnie rendo ». È forse uso
tolto dai gladiatori, che, vinti, con alzare
il dito (tollerc digitum) domandavano gra-
zia al popolo.
— 3. chiamarme; dichiarare. Uso molto
notevole, che trovasi anche nel e. xliv, 21,
3; e Cinque Canti iv, 3; dove il Polidori av-
verte : significazione non nuova (chiamarsi
in colpa ecc.), ma nuovo il costrutto.
— 6. mi face. Questo pres. invece del
pass, indica che l' effetto dell' errore dura
ancora. V. Fornaciari, Sint. p. 406, 20.
Guerrier del mondo, ho fatto al più gentile.
67
E se bene alla ingiuria et a quell' onta
Ch'oggi fatta ti fu per ignoranza,
L'onor che ti fai qui, s'adegua e sconta,
O (per più vero dir) supera e avanza;
La satisfazi'on ci sarà pronta
A tutto mio sapere e mia possanza,
Quando io conosca di poter far quella
Per oro o per cittadi o per castella.
68
Chiedimi la metà di questo regno,
Ch'io son per fartene oggi possessore;
Che l'alta tua virtù non ti fa degno
Di questo sol, ma ch'io ti doni il core:
E la tua mano, in questo mezzo, pegno
Di fé' mi dona e di perpetuo amore.
Cosi dicendo da cavallo scese,
E ver Grifon la destra mano stese.
69
Grifon, vedendo il Re fatto benigno
Venirgli per gittar le braccia al collo.
Lasciò la spada e l'animo maligno,
E sotto l'anche et umile abbraeciollo.
Lo vide il Re di due piaghe sanguigno,
E tosto fé' venir chi medicoUo,
Indi portar nella cittade adagio,
E riposar nel suo real palagio.
70
Dove, ferito, alquanti giorni, inante
Che si potesse armar, fece soggiorno.
Ma lascio lui, ch'ai suo frate Aquilante
Et ad Astolfo in Palestina torno,
Che di Grifon, poi che lasciò le sante
Mura, cercare han fatto più d'un giorno
In tutti i lochi in Solima devoti,
E in molti ancor da la città remoti.
— 8. gentile. V. st. 22, 3.
67. 1. se bene... s'adegua. V. C. xvi, 2, 4,
— 3. s'adegua e sconta; si pareggia in
grandezza e la sconta, la estingue nei suoi
effetti, cioè nel disonore che essa produce.
— 4. supera... avanza: supera in gran-
dezza, e si riferisce al precedente s'ade^Twa;
avanza in valore, e si riferisce a sconta ;
cioè la sconta, e avanza pur qualche cosa.
— 5. ci sarà, ne sarà. V. e. vii, 2, n. 1.
— 6. & tutto ecc. ; secondo tutto il mio ecc.
— 8. Per oro ecc. È un verso del Pe-
trarca I, canz. IT), 47.
68. 5. In questo m. intanto. Bocc. nov. 24 :
« Ti converrebbe in questo mezzo dire certe
orazioni ».
69. 2. Venirgli p. g.; venire p. gittargli.
V*. e. r, 47, 1.
— 4. Sotto l'anche; É immagine Dante-
sca; Purg, 7, 15: «Ed abbraeciollo ove il
minor s' appiglia ».
— 7. portar; portarlo.
70.7. devoti; onorati devotamente. Pltr..
CANTO XVIII
229
71
Or né l'uno né l'altro è si indovino,
Che di Grifon possa saper che sia:
Ma venne lor quel Greco peregrino,
Nel ragionare, a caso a darne spia,
Dicendo ch'Orrigille avea il camino
Verso Antiochia preso di Soria,
D'un nuovo drudo, ch'era di quel loco,
Di subito arsa e d'iniproviso foco.
72
Dimandògli Aquilante, se di questo
Cosi notizia avea data a Grifone;
E come l'affermò s'avvisò il resto,
Perché fosse partito, e la cagione.
Ch'Orrigille ha seguito è manifesto
In Antiochia, con intenzione
Di levarla di man del suo rivale
Con gran vendetta, e raeraorabil male.
73
Non telerò Aquilante che '1 fratello
Solo e senz'esso a quell'impresa andasse ;
E prese l'arme, e venne dietro a quello:
Ma prima pregò il Duca che tardasse
L'andata in Francia et al paterno ostello,
Finch' esso d'Antiochia ritornasse.
Scende al Zaffo, e s'imbarca; che gli pare
E più breve e miglior la via del mare.
74
Ebbe un Ostro silocco allor possente
Tanto nel mare, e si per lui disposto.
Che la terra del Surro il di seguente
Vide, e Saffetto, un dopo l'altro tosto.
Passa Barutti e il Zibeletto, e sente
Che da man manca gli è Cipro discosto.
A Tortosa da Tripoli, e alla Lizza,
E al golfo di Laiazzo il camin drizza.
IV, canz. 2: « a' lor tetti (le chiese) Che fur
già si devoti ».
71.3. quel Gr. p.; V. e, XV, 100.
— 4. spia; indizio. V. e. vii, 34, n. 8.
72.3. 8' avvisò; s'immaginò.
73.5. al paterno o.; al padre Ottone, che
combatteva iu Francia.
— 7. Zaffo; Oggi Giaffa. V. e. xv, 98.
74. 1. Ostro sii.; vento di sud-sud-est, in-
termedio fra l'austro (mezzogiorno) e lo
scirocco. — scilocco. (arabo shoruq) o si-
rocco, scirocco.
— 3. Snrro; Sur, o Tsur: l'antica Tiro,
città potentissima della Fenicia.
— 4. Saffetto; oggi Sarafend, fra Tiro e
Sidone.
— 5. Baratti, Berutti, la Berythus degli
antichi. — Zibeletto ; Forse l'odierno Diebail.
Alcuno crede che sia l'antico Byblos nella
Fenicia, oggi Gebail. — sente, conosce.
Dajnte, Purg. 27, 68: «il sol corcar... Sen-
timmo dietro ».
— 7. Tortosa, antica città di Siria, che
«ra famosa come piazza forte. — Tripoli,
75
Quindi a Levante fé' il nocchier la fron-
Del navilio voltar snello e veloce; [te
Et a sorger n'andò sopra l'Oronte,
E colse il tempo, e ne pigliò la foce.
Gittar fece Aquilante in terra il ponte,
E n'usci armato sul destrier feroce; .
E contra il fiume il camin dritto tenne
Tanto ch'in Antiochia se ne venne.
76
Di quel Martano ivi ebbeadinformarse;
Et udi ch'a Damasco se n'era ito
Con Orrigille, ove una giostra farse
Dovea solenne per reale invito.
Tanto d'andargli dietro il desir l'arse.
Certo che '1 suo german l'abbia seguito.
Che d'Antiochia anco quel di si tolle;
Ma già per mar più ritornar non volle.
77
Verso Lidia e Larissa il camin piega:
Resta più sopra Aleppe ricca e piena.
Dioper mostrar ch'ancordiquanonniega
Mercede al bene, et al contrario pena,
Martano appresso a Mamuga una lega
Ad incontrarsi in Aquilante mena.
^Martano si facea con bella mostra
Portare inanzi il pregio de la giostra.
78
Pensò Aquilante al primo comparire,
Che '1 vii Martano il suo fratello fosse;
Che l'ingannaron l'arme e quel vestire
Candido più che nievi ancor non mosse:
E con queir oh, che d'allegrezza dire
Si suole, incominciò; ma poi cangiosse
Tosto di faccia e di parlar, ch'appresso
S'avvide meglio, che non era desso.
79
Dubitò che per fraude di colei
città di Siria a N. O. di Damasco oggi Ta-
ràbulus. — Iiizza, T antica Laodicea, oggi
Latakia; detta cosi dal fiume Lycus, su cui
è posta.
— 8. di Laiazzo, di Alessandretta. V. e.
XIX, 54, n. 1.
75. 3. sorger. V. e. iv, 51. n. 5 — Oronte,
fiume della Siria; oggi Nahr-el-Asi.
— 6. feroce. V. e. i, 32, n. 2.
76.1. ebbe ad inf.; potè inf. Cosi anche
al e. XVI, 18, 6.
— 7. anco quel di', quello stesso giorno.
Così l'A. usò anco o anche nel e. xiv, 115,
8; XXII, 7, 8; xxv, 40, 4.
77. 1 Lìdia, Larissa, Mamnga; Tre città an-
tiche suir Oronte tra Antiochia e Damasco,
rammentate da Tolomeo.
— 2. Aleppe, Aleppo, ricca e piena, per-
ché « è famoso mercato, dice ii Pomari,
de' Persi et Azamj, et ivi è il passo, chi
vuol ire ai Turchi e Soriani ».
— 8. pregio. V. e. XVII, 97, n. G.
230
ORLANDO FURIOSO
Ch'era con lui, Grifon gli avesse iicciso;
E: Dimmi (gli gridò) tu ch'esser dei
Un ladro e un traditor, come n'hai viso,
Onde hai quest'arme avute? onde ti sei
Sul buon rtestrier del mio fratello assiso?
Dimmi se '1 mio fratello è morto o vivo-.
Come de l' arme e del destrier l'hai privo.
80
Quando Orrigille udi l' irata voce,
A dietro il palafren per fuggir volse;
Ma di lei fu Aquilante più veloce,
E fecela fermar, volse o non volse.
Martano al minacciar tanto feroce
Del cavallier che si improviso il colse,
Pallido triema, come al vento fronda,
Né sa quel che si faccia, o che risponda.
81
Grida Aquilante, e fulminar non resta,
E la spada gli pon dritto alla strozza;
E giurando minaccia che la testa
Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza,
Se tutto il fatto non gli manifesta.
Il mal giunto Martano alquanto ingozza,
E tra sé volve, se può sminuire
Sua grave colpa, e poi comincia a dire:
82
Sappi, Signor, che mia sorella è questa.
Nata di buona e virtuosa gente,
Ben che tenuta in vita disonestà
L'abbia Grifone obbrobriosamente:
E tale infamia essendomi molesta.
Neper forza sentendomi possente
Di tòrla a si grande uom, feci disegno
D'averla per astuzia e per ingegno.
83
Tenni modo con lei, ch'avea desire
Di ritornare a più lodata vita.
Ch'essendosi Grifon messo a dormire,
Chetamente da lui fesse partita.
Cosi fece ella; e perché egli a seguire
79. 5. onde ti sei; in che modo t. s. Anche
il primo onde forse ha questo senso. I vo-
cabolari o non citaao questo significato o
lo citano con esempi sbagliati.
80.2. palafren. V. e. I, 13, 1.
— 4. volse 0 non volse ; Modo analogo al
comune voglia o non voglia. Anche nei
Cinque Canti ii, 63. È notevole l'indicativo
invece del cong. I vocabol. non citano que-
sto modo.
81. 1. falmin. non resta; non resta di ful-
minar, di operar con gran furia: cfr. xii,
9, 1. Dante, Par. 6, 70: « Da onde d'aquila
romana) venne folgorando a oiuba ».
— 6. Ingozza. Dicesi di chi preso da con-
fusione o paura stenta a parlare e sembra
che ingozzi saliva o altro.
83. 1. Tenni modo; feci in modo, procu-
rai. Il solo Glierarditii cita questo modo
con due esempi del Chiabrera.
Non n'abbia et a turbar la tela ordita,
Noi Io lasciammo disarmato e a piedi;
E qua venuti siàn, come tu vedi.
84
Roteasi dar di somma astuzia vanto.
Che colui facilmente gli credea;
E,fuor che 'n torgli arme e destrier e quan-
Tenesse di Grifon, non gli nocca; [to
Se non volea pulir sua scusa tanto,
Che la facesse di menzogna rea.
Buona era ogni altra parte, se non quella
Che la femina a lui fosse sorella.
85
Avea Aquilante in Antiochia inteso
Essergli concubina da più genti;
Onde gridando, di furore acceso:
Falsissimo ladron, tu te ne menti:
Un pugno gli tirò di tanto peso.
Che ne la gola gli cacciò duo denti;
E senza più contesa, ambe le braccia
Gli volge dietro, e d'una fune allaccia.
86
E parimente fece ad Orrigille,
Ben che in sua scusa ella dicesse assai.
Quindi li trasse per casali e ville,
Né li lasciò fin a Damasco mai;
E de le miglia mille volte mille
Tratti gli avrebbe con pene e con guai,
Fin ch'avesse trovato il suo fratello.
Per farne poi come piacesse a quello.
87
Fece Aquilante lor scudieri e some
Seco tornare, et in Damasco venne,
E trovò di Grifon celebre il nome
Per tutta la città batter le penne.
Piccoli e grandi ognun sapea già, come
Egli era, che si ben corse l'antenne,
— S. siàn; siamo. V. e. ix, 43, n. 8.
84. 1. Poteasi ecc. Intendi: Se non avesse
voluto affinar troppo la sua scusa con molti
particolari, si sarebbe potuto dar vanto di
somma astuzia, perché Aquil. facilm. gli
Jwrrebbe creduto; e non gli avrebbe nociuto
in nulla, fuorché in togliergli a. e d. ecc.
Per l'indie, invece del cong. e del condiz.
cfr. FoKXACiARi, Sint. p. 412, 30.
— 7. se non, fuorché. Cosi nel e. xlhi,
13, 6. Bocc. Nov. 25: «D'ogni cosa fornito
s' era se non d' un palafreno ».
85. 4. tn te ne m. V. e. II, 4, n. 1.
86.5. E de la miglia ecc. Regolarmente
senza prep. e senza articolo. Innam. I, x,
40: « Questo ha quaranta mila di persone »;
e Innam. 1, v, 26: « E delle volte lo baciò
da cento ».
— 8. farne... come; trattarli... come. Più
comunem. ; farne Quel che a uno piace.
87.5. come; che. Sapevamo tutti che era
stato lui, il quale si bene ecc.
— 6. corse l' a. Modo analogo ai più co-
CANTO XVIII
231
Et a cui tolto fu con falsa mostra
Dal compagno la gloria de la giostra.
88
Il popol tutto al vii Martano infesto,
L'uno all'altro additandolo, lo scuopre.
Non è (dicean) non è il ribaldo qnesto,
Che si fa laude con l'altrui buone opre?
E la virtù di chi non è ben desto,
Con la sua infamia e col suo obbrobrio co-
Non è l'ingrata femina costei, [pre '?
La qual tradisce i buoni e aiuta i rei ?
89
Altri dicean: Come stan bene insieme
Segnati ambi d'un marchio e d'una razza!
Chi li bestemmia, chi lor dietro freme,
Chi grida: Impicca, abrucia, squarta, am-
La turba per veder s'urta, si preme [mazza.
E corre inanzi alle strade, alla piazza.
Venne la nuova al Re, che mostrò segno
D'averla cara più ch'uu altro regno.
90
Senza molti scudier dietro o davante,
Come si ritrovò, si mosse in fretta,
E venne ad incontrarsi in Aquilante,
Ch'avea del suo Grifon fatto vendetta;
E quello onora con gentil sembiante.
Seco lo 'nvita e seco lo ricetta;
Di suo consenso avendo fatto porre
I duo prigioni in fondo d'una torre.
91
Audaro insieme ove del letto mosso
Grifon non s'era, poi che fu ferito.
Che vedendo il fratel, divenne rosso;
Che ben stimò ch'avea il suo caso udito.
E poiché motteggiando un poco adosao
Gli andò Aquilante, messero a partito
ranni correr Vasta, correr la lancia. V.
e. IV, 22, 4; 17, 5.
— 7. tolto fu... la gloria. V. e. v, 58, n. 5.
88. 5. di chi n. è b. d. V. e. xvii, 108.
89. 2. d'nna razza. Se non vogliamo dare
a ra;za un significato speciale, che manca
nei vocab., possiamo intendere : ambi se-
gnati d'un m. e ambi di una razza; cioè
appartenenti ad una stessa razza. Il mar-
chio è l' impronta che si segna nel collo o
nella coscia dei cavalli per indicare la
razza.
— 7. mostrò segno, mostrò, dette segno.
È locuzione non registrata nei vocabol.
90. 7. Di suo e: col s. cons. Ricorda i
modi risponder di sua bocca, lavorar di
voglia, tirar di petto e simili.
91. 5. poi che... gli andò; p. che gli fu an-
dato. V. e. XIII, 74, 1. — andare adesso; as-
salir con parole, è locuzione non registrata
dai vocabol.
— 6. mossero a p. Alcuni intendono de-
liberarono ; ma in questo senso non si cita
che l'esem. dell'A. Inoltre la deliberazione
Di dare a quelli duo giusto martòro.
Venuti in man degli avversari loro.
92
Vuole Aquilante, vuole il Re che mille
Strazii ne sieno fatti; ma Grifone
(Perché non osa dir sol d'Orrigille)
All'uno e all'altro vuol che si perdone.
Disse assai cose, e molto bene ordille:
Fugli risposto: Or per conclusione
Martano è disegnato in mano al boia.
Ch'abbia a scoparlo e non però che moia.
93
Legar lo fanno, e non tra' fiori e l'erba,
E per tutto scopar l' altra matina.
Orrigille captiva si riserba
Fin che ritorni la bella Lucina,
Al cui saggio parere, o lieve o acerba,
Riraetton quei Signor la disciplina.
Quivi stette Aquilante a ricrearsi
Fin che '1 fratel fu sano, e potè armarsi.
94
Re Norandin, che temperato e saggio
Divenuto era dopo un tanto errore.
Non potea non aver sempre il coraggio
Di penitenzia pieno e di dolore,
D'aver fatto a colui danno ed oltraggio.
Che degno di mercede era e d'onore:
Si che di e notte avea il pensiero intento
Per farlo rimaner di sé contento.
95
E statui nel publico conspetto
De la città, di tanta ingiuria rea.
Con quella maggior gloria ch'a perfetto
Cavallier per un Re dar si potca.
Di rendergli quel premio eh' intercetto
Con tanto inganno il traditor gli avea:
E perciò fé' bandir per quel paese,
Che faria un'altra giostra indi ad un mese.
viene nella st. seg. È meglio intendere la
espressione nel suo significato comune: mi-
sero in discussione, si consigliarono di da-
re ecc.
— 8. Venuti ecc. Dante, Inf. 22, 45: * Ve-
nuto a man degli avversari suoi ».
92.7. disegnato; designato. Cosi nel e.
XXXIX, 2, e cosi altri scrittori.
— 8. scoparlo; percuoterlo con scopa.
Era una specie di gastigo infame; quasi lo
stesso che frustare. — e, ma. V. e. xv, 104,
n. 8.
93. 1. e non tra' ecc. Parodia d'un v. del
Petr. Tr. Am. i, 90 : « Cleopatra legò tra i
fiori e r erba ».
— 6. disciplina; punizione. V. e. vi, 49, 4.
94. 3. coraggio ; core. V. st. 32, 4.
— • 7. intento ; attento ; Sottintendi a far
di tutto. Il senso non concede di intendere
il V. 8 come complem. di intento; come se
dicesse: intento a farlo rimaner ecc. Inol-
tre il costrutto intento per sarebbe nuovo.
232
ORLANDO FURIOSO
96
Di ch'apparecchio fa tanto solenne,
Quanto a pompa real possibil sia:
Onde la Fama con veloci penne
Portò la nuova per tutta Soria;
Et in Fenicia e in Palestina venne,
E tanto, ch'ad Astolfo ne die spia.
Il qual col Viceré deliberosse
Che quella giostra senza lor non fosse.
97
Per guerrier valoroso e di gran nome
La vera istoria Sansonetto vanta.
Gli die battesmo Orlando, e Carlo (come
V ho detto) a governar la Terra santa.
Astolfo con costui levò le some.
Per ritrovarsi ove la fama canta,
Si che d'intorno n'ha piena ogni orecchia,
Ch' in Damasco la giostra s'apparecchia.
98
Or cavalcando per quelle contrade
Con non lunghi viaggi agiati e lenti.
Per ritrovarsi freschi alla cittade
Poi di Damasco il di de' torniamenti,
Scontrar© in una croce di due strade
Persona eh' al vestire e a' movimenti
Avea sembianza d'uomo, e femin' era,
Ne le battaglie a maraviglia fiera.
99
La vergine Marfisa si nomava.
Di tal valor che con la spada in mano
96. 1. DI che; della quale.
— 3. Onde; della qual cosa.
— 6. spia, notizia. V. e. vii, 34, 8,
— 7. deliberosse, deliberossi. V. e. iv,
49, a. 1.
97. 5. levò le s.; fece partenza. Pulci,
Morg. I, 82 ha drizzò le some, s'avviò,
andò.
— 6. ove ecc. ; là dove la fama canta, dice
che s'apparecchia la g., cioè in Damasco.
Avverti che la dichiarazione in Damasco
risulta, nella sintassi del periodo, pleona-
stica.
99. 1. La T. Mar. 8. n. ; si chiamava la v.
Marf. V. e. XIV, 30, n. 8; xvir, 86, 2. Marfisa
è bella creazione del Boiardo, il quale ne
fa un tipo rude, fiero, che di donna ha so-
lamente il nome e la bellezza. Era una re-
gina dell'India, che conduceva la seconda
schiera dell'esercito di Galafrone contro
Agricane e contro i difensori d' Angelica
rinchiusa in Albracca. Combatte valorosa-
mente contro i più prodi, ma Brunello gli
ruba le armi, essa lo insegue lungamente;
quando « Trovò dei eh' enno armati a scudo
e lanza Sopra due gran ronzoni alla pia-
nura. Costor fur quei che la raenarno in
Pranza >, Jnn. II, xix, 15. E il B. non ne
dice altro. L'A. prende motivo da questo
cenno per introdurre sulla scena questa
Fece più volte al gran Signor di Brava
Sudar la fronte, e a quel di Montalbano ;
E '1 di e la notte armata sempre andava
Di qua di là cercando in monte e in piano
Con cavalieri erranti riscontrarsi,
Et immortale e gloriosa farsi.
100
Com'ella vide Astolfo e Sansonetto,
Ch'appresso le veniancon l'arme indosso,
Prodi guerrier le parvero all'aspetto;
Ch'erano ambedue grandi e di buono osso :
E perché di provarsi avria diletto.
Per isfidarli avea il destrier già mosso;
Quando, affissando l'occhio più vicino.
Conosciuto ebbe il Duca paladino.
101
De la piacevolezza le sovvenne
Del cavallier, quando al Catai seco era:
E lo chiamò per nome, e non si tenne
La man nel guanto, e alzossi la visiera;
E con gran festa ad abbracciarlo venne.
Come che sopra ogn'altra fosse altiera.
Non men da l'altra parte riverente
Fu il Paladino alla Donna eccellente.
102
Tra lor si doraandaron di lor via:
E poi ch'Astolfo, che prima rispose,
Narrò come a Damasco se ne già,
Dove le genti in arme valorose
Avea invitato il Re de la Soria
A dimostrar lor opre virtuose;
Marfisa, sempre a far gran prove accesa.
Voglio esser con voi, disse, a questa im-
103 [presa.
Sommamente ebbe Astolfo grata questa
Compagna d'arme, e cosi Sansonetto.
Furo a Damasco il di innanzi la festa,
E di fuora nel borgo ebbon ricetto :
E sin all'ora che dal sonno desta
L'Aurora il vecchiarel già suo diletto.
Quivi si riposar con maggior agio.
Che se smontati fossero al palagio.
guerriera, che egli ingentilisce e raffina mi-
rabilmente.
— 3. S. di Brava; Orlando. V. e. vi, 34, 5.
— 5. E '1 di' ecc. Aveva fatto il voto di
non spogliar mai le armi né giorno né
notte, finché non avesse preso in battaglia
Gradasso, Agricane e Carlo Magno. Innam.
I, XVI, 29; XX, 50.
100.4. d. b. osso; robusti. Si cita questo
solo esempio dell'A.
— 8. paladino; V. e. vii, 33, n. 1.
101. 2. quando al C. ecc. V. Inn. I, X, 21 ;
XXVI, 23 seg.
— . 4. La man nel g. ecc. La mano senza
guanto e la visiera alzata, in un cavaliere
armato, erano segni di confidenza intima.
103. 6. il vecchiarel, Titone (V. e. xi 32),
che sveglia l'Aurora. — già s. d.; prima cha
diventasse decrepito.
CANTO XVIII
233
104
E poi che "1 nuovo sol lucido e chiaro
Per tutto sparsi ebbe i fulgenti raggi.
La bella donna e i duo guerrier s'armaro,
Mandato avendo alla città messaggi
Che, come tempo fu, lor rapportaro
Che, per veder spezzar frassini e faggi,
Re Norandino era venuto al loco
Ch'avea constituito al fiero gioco.
105
Senza più indugio alla città ne vanno,
E per la via maestra alla gran piazza.
Dove aspettando il real segno stanno
Quinci e quindi i guerrier di buona razza.
I premii che quel giorno si daranno
A chi vince, è uno stocco et una mazza
Guerniti riccamente, e un destrier, quale
Sia convenevol dono a un Signor tale.
106
Avendo Norandin fermo nel core
Che, come il primo pregio, il secondo anco,
E d'ambedue le giostre il sommo onore
Si debba guadagnar Grifone il bianco;
Per dargli tutto quel ch'uom di valore
Dovrebbe aver, né debbe far con manco,
Posto con l'arme in questo ultimo pregio
Ha stocco e mazza e destrier molto egre-
107 [gio.
L'arme che ne la giostra fatta dianzi,
Si doveano a Grifon che '1 tutto vinse,
E che usurpate avea con tristi avanzi
Martano che Grifone esser si finse,
Quivi si fece il Re pendere inanzi,
E il ben guernito stocco a quelle cinse,
E la mazza all' arcion del destrier messe,
Perché Grifon l'un pregio e l'altro avesse.
108
Ma che sua intenzìon avesse effetto
Vietò quella magnanima guerriera,
104. 6. frassini e f.; lance, che per lo più
erano fatte di questi legni.
105. 2. per la v. m.; per la via principale
della città vanno alla gran piazza del com-
battimento.
— 5. I premi!... è ecc. Regolarmente do-
vrebbe dirsi L prema sono o il premio è.
È una bizzarria simile a quella notata nel
e. IX. 82, n. 8.
106. 2. pregio. V. e. xvii, 07, n. 6.
— 4. il bianco. V. e. xv, 67.
— 7. con l'arme; con le armi che si era
usurpato Martano.
107. 3. e. tr. avanzi ; con tristi guadagni.
Di questa usurpazione aveva avanzato sol-
tanto lo scorno. È immagine tolta dal com-
mercio e dalla economia domestica.
— 6. cinse. L'armatura, composta di u-
sbergo, schinieri, bracciali ecc. ha la figura
d' un uomo armato; per ciò l'A. dice ; cinse
all'armatura lo stocco.
Che con Astolfo e col buon Sansonetto
In piazza nuovamente venuta era.
Costei, vedendo l'arme ch'io v'ho detto,
Subito n'ebbe conoscenza vera:
Però che già sue furo e l'ebbe care
Quanto si suol le cose ottime e rare;
109
Ben che l'avea lasciate in su la strada
A quella volta che le tur d'impaccio,
Quando per riaver sua buona spada
Correa dietro a Brunel degno di laccio.
Questa istoria non credo che m'accada
Altrimenti narrar; però la taccio.
Da me vi basti intendere a che guisa
Quivi trovasse l'arme sue Marfisa.
110
Intenderete ancor che, come l'ebbe
Riconosciute a manifeste note.
Per altro che sia al mondo, non l'avrebbe
Lasciate un di di sua persona vote.
Se più tenere un modo o un altro debbe
Per racquistarle, ella pensar non puote;
Ma se gli accostaa un tratto, e la man sten»
E soiz'altro rispetto se le prende: [de,
111
E per la fretta ch'ella n'ebbe, avvenne
Ch'altre ne prese, altre mandonne in terra.
Il Re, che troppo offeso se ne tenne,
Con uno sguardo sol le mosse guerra;
Che '1 popol che l' ingiuria non sostenne,
Per vendicarlo e lance e spada afferra.
Non rammentando ciò eh' i giorni inanti
Nocque il dar noia ai cavallieri erranti.
112
Né fra vermigli fiori, azzurri e gialli
Vago fanciullo alla stagion novella,
Né mai si ritrovò fra suoni e balli
Più volentieri ornata donna e bella;
Che fra strepito d'arme e di cavalli,
E fra punte di lance e di quadrella.
Dove si sparga sangue, e si dia morte.
Costei si trovi, oltre ogni creder forte.
109. 1. Ben che ecc. V. e. xvil, 82.
— 2. A q. volta, quella volta. Fu maniera
molto amata dagli antichi; p. es. dal Pulci,
Morg. 10, 61: « A questa volta fa' che sia
contento ».
— 5. m'accada; mi occorra. È comune
ancora ueir uso.
110. 7. gli; ad esse. V. Fornaciari, Sint.
pag. 53.
111. 2. mandonne in t. ; gettonne in t. Que-
sta locuzione si cita solo nel senso di at-
terrare, abbattere (città, castelli ecc.).
— 4. con uno s. s. ecc. , con uno sguardo
minaccioso suscitò il suo popolo a guerra
contro di lei.
— 5. Che, cosi che.
— 7. ciò che... nocqne; ciò in cui... uoc-
que. V. e. xiii, 37, n. 5.
234
ORLANDO FURIOSO
113
Spinge il cavallo, e ne la turba sciocca
Con l'asta bassa impetuosa fere;
E chi nel collo e chi nel petto imbrocca,
E fa con l'urto or questo or quel cadere:
Poi con la spada uno et un altro tocca,
E fa qual senza capo rimanere,
E qual con rotto, e qual passato al fianco,
E qaal del braccio privo o destro o manco.
114
L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto,
Ch'avean con lei vestita e piastrae maglia,
Ben che non venner già per tale effetto,
Pur, vedendo attaccata la battaglia,
Abbassan la visiera de l'elmetto.
E poi la lancia i)er quella canaglia;
Et indi van con la tagliente spada
Di qua di là facendosi far strada.
115
I cavallieri di nazion diverse,
I Ch'erano per giostrar quivi ridutti,
Vedendo l'arme in tal furor converse,
E gli aspettati giuochi in gravi lutti
(Che la cagion ch'avesse di dolerse
La plebe irata, non sapeano tutti.
Né ch'ai Re tanta ingiuria fosse fatta),
Stavaa con dubbia mente e stupefatta.
116
Di ch'altri a favorir la turba venne,
Che tardi poi non se ne fu a pentire;
Altri a cui la città più non attenne
113. 5. tocca; colpisce. V. e. xvi, 82, 2.
— 7. q. ctn rotto; Sott. il capo.
114. 2. ch'avean e. 1. ecc. ; che erano ve-
nuti qui suoi compagni d'ai-me.
— 5. Abbassan ecc. Era obbligo che i ca-
valieri entrassero nella sbarra a visièra
calata.
— 6. per q. e; per mezzo a quella can.
— 7. Et indi ; dopo rotta la lancia.
115. 3. in t. f. converse, le armi, che do-
vevan servire alla giostra, mutate in stru-
tnenti di tal furore.
— 4. in gr. 1.; Rileva un conversi dal v.
preced.
— 7. Né che; Dipende da sapeano.
116. 1. Di che; per la qual cosa. È ma-
niera frequente ed elegante in prosa e in
verso.
— 2. Che tardi ecc. ; Che (riferiscilo a al-
tri) poi non fu tardo a pentirsene. Nota il
solito spostamento dei pron. (e. i, 47, n. 0).
Tardi è l'avverbio invece dell'aggettivo
tardo. Favol. Esop.34: «La tua contrizio-
ne è tardi ».
— 3. attenne ; stette a cuore. Frequentis-
simo nel Cinquecento. Deputati al Dee. an-
not. 15: « Tra' molti significati che ha que-
sto verbo tenere... questo per avventura è
uno; per E-isere a cuore vna cosa... il
Che gli stranieri, accorse a dipartire;
Altri più saggio, in man la briglia tenue,
Mirando dove questo avesse a uscire.
Di quelli fu Grifone et Aquilante,
Che per vendicar l'arme andaro inaute.
117
Essi, vedendo il Re che di veneno
Avea le luci inebriate e rosse.
Et essendo da molti instrutti a pieno
De la cagion che la discordia mosse,
E parendo a Grifon che sua, non meno
Che del Re Norandin, l'ingiuria fossje;
.S'avean le lance fatte dar con fretta,
E venian fulminando alla vendetta.
118
Astolfo d'altra parte Rabicano
Venia spronando a tutti gli altri inante.
Con l'incantata lancia d'oro in mano,
Ch'ai fiero scontro abbatte ogni giostrante.
Feri con essa e lasciò steso al piano
Prima Grifone, e poi trovò Aquilante;
E de lo scudo toccò l'orlo a pena.
Che lo gittò riverso in su l'arena.
119
I cavallier di pregio e di gran prova
Votan le selle inanzi a Sansonetto.
L'uscita de la piazza il popol trova:
Il re n'arrabbia d'ira e di dispetto.
Con la prima corazza e con la nuova
Marfisa intanto, e l'uno e l'altro elmetto^
Poi che si vide a tutti dare il tergo,
Vincitrice venia verso l'albergo.
120
Astolfo e Sansonetto non fur lenti
A seguitarla, e seco a ritornarsi
Verso la porta (che tutte le genti
Gli davan loco), et al rastrel fermarsi.
Aquilante e Grifon, troppo dolenti
Di vedersi a uno incontro riversarsi,
Tenean per gran vergogna il capo chino.
Né ardian venire inanzi a Norandino.
che pienamente si dice oggi attenere ». Cfr.
il lat. ad me aWnet.
— 5. in m. 1. br. t,; pronto per fuggire.
— 7. Di qnelli; di quelli indicati nel pri-
mo verso ; come si rileva da ciò che segue.
Ma non è chiaro.
— 8. vendicar 1' a. ; vendicar 1' onta fatta
air arme. O anche, forse meglio, riconqui-
stare l'arme nel senso del vindicare la-
tino. Cosi l'A. nel Frammento 1, 82: «vedi
alquanti Vendicarsi le terre che già foro
Da Cesar date alla custodia loro ».
117. 2. inebriate, accese come ha chi è
ebbro. Veleno per ira è ancora comune e
popolare.
118. 3. lancia d'oro; la lancia incantata
dell'Argalia. V. e. viii, 17.
120. 4. Gli ; loro. V. st. Ili, 7. — rastrel;
V. e vili, 3, n. 6.
— 6. a uno: a un solo.
CANTO XVIII
235
121
Presi e montati c'hanno i lor cavalli,
Spronano dietro a gl'inimici in fretta.
Li segue il Re con molti suoi vassalli,
Tutti pronti o alla morte o alla vendetta.
La sciocca turba grida; Dalli, dalli;
E sta lontana, e le novelle aspetta.
Grifone arriva ove volgean la fronte
I tre compagni, et avean preso il ponte.
122
A prima giunta Astolfo raffigura,
Ch'avea quelle medesime divise,
Avea il cavallo, avea quella armatura
Ch'ebbe dal di ch'Orril fatale uccise.
Né miratol, né posto gli avea cura.
Quando in piazza a giostrar seco si mise :
Quivi il conobbe, e salutollo; e poi
Gli domandò de li compagni suoi,
123 [ra,
E perché tratto avean quell'arme a ter-
Portando al Re si poca riverenza.
Di suoi compagni il Duca d'Inghilterra
Diede a Grifon non falsa conoscenza:
De l'arme ch'attaccate avean la guerra,
Disse che non n'avea troppa scienza;
Ma perché con Marfisa era venuto.
Par le volea con Sansonetto aiuto.
121
Quivi con Grifon stando il Paladino,
Viene Aquilante, e lo conosce tosto
Che parlar col fratel l'ode vicino,
E il voler cangia, ch'era mal disposto.
Giungean molti di quei di Norandino,
Ma troppo non ardian venire accosto;
E tanto più vedendo i parlamenti,
Stavano cheti, e per udire intenti.
125
Alcun ch'intende quivi esser Marfisa,
Che tiene al mondo il vanto in esser forte,
Volta il cavallo e Norandino avvisa
Che s'oggi non vuol perder la sua corte,
Proveggia, prima che sia tutta uccisa,
121. 7. volgean la fronte; si rivoltavano
verso coloro, che li inseguivano e già dal
rastrello erano tornati sul ponte, e quello oc-
cupavano, pronti a resistere alle violenze.
122. 2. divise; insegna.
— 4. dal di; fin da quel di ecc. Grifone
anche allora lo riconobbe all' insegne. V. e.
XV, 75, 2. — fatale. V. e. xv, 79.
— 5. cura; attenzione. Dante, Piirg. 10,
135 : « Vid' io color quando posi ben cura ».
123. 2. Portando... river. , Generalmente
significa riverire, rendere onore; qui in-
vece vale portar rispetto.
— 3. di suoi ; dei s. V. e. il, 15, n. 8.
— 5. attaccate, attaccato. V. e. vr, 34,
n. 5.
124. 8. per n. intenti; V. st. 94, 7.
125. 5. Proveggia... di m. tr. È omessa la
prep. di che dovrebbe i-eggere l'infinito
Di man trarla a Tesifone e alla Morte;
Perché Marfisa veramente è stata,
Che l'armatura in piazza gli ha levata.
126
Come Re Norandino ode quel nome.
Cosi temuto per tutto Levante, [me,
Che facea a molti anco arricciar le chio-
Ben che spesso da lor fosse distante,
E certo che ne debbia venir come
Dice quel suo, se non provede inaute;
Però gli suoi, che già mutata l'ira
Hanno in timore, a sé richiama e tira.
127
Da l'altra parte i tìgli d'Oliviero
Con Sansonetto e col figliuol d'Otone,
Supplicando a Marfisa, tanto fero.
Che si die fine alla crudel tenzone.
Marfisa giunta al Re, con viso altiero
Disse: Io non so, Signor, con che ragione
Vogli quest'anne dar, che tue non sono.
Al vincitor delle tue giostre in dono.
128
Mie sono l'arme, e 'n mezzo de la via
Che vien d'Armenia, un giorno le lasciai,
Perché seguire a pie mi couvenia
Un rubator che m'avea offesa assai:
E la mia insegna testimon ne fia.
Che qui si vede, se notizia n'hai;
E la mostrò ne la corazza impressa.
Ch'era in tre parti una corona fessa.
129
Gli è ver (rispose il Re) che mi fur date,
Son pochi di, da un mercatante Armeno;
E se voi me l'avesse domandate,
L'avreste avute, o vostre o no che sieno;
Ch'avvenga ch'a Grifon già l'ho donate.
Ho tanta fede in lui, che, non di meno,
Acciò a voi darle avessi anche potuto,
Volentieri il mio don m'avria renduto.
130
Non bisogna allegar, per farmi fede
Che vostre sien, che tengan vostra inse-
Basti il dirmelo voi; che vi si crede [gna:
trarla: V. e. a, 72, n. 3. O forse abbiamo
l'uso notato nel e. i, 4. u. 1. — Tesifone;
una delle tre furie (Megera, Aletto). Qui per
le Furie in generale.
126. 5. debbia. È forma frequente nei tre-
centisti, anche in prosa. In verso si trova
specialmente per la rima. — venir, avvenir.
127. 3. Snpplic. a M. È costrutto cosi co-
mune come supplicare loio.
— 7. Vegli. Questa forma, nota il Mastro-
fini, era, più che voglia, cara agli antichi ;
e l'Alfieri, che l'antichità rinnovava, tieu
cara e familiare tal voce.
129. 3. avesse; aveste. V. e xil, 42, n. 3.
— 5. avvenga che l'ho. Questa cong. si
usa e si usò comunem. col congiuntivo.
Dante, Riìn. 28 : « a vvegna che men dole ».
236
ORLANDO FURIOSO
Più ch'a qual altro testimonio vegna.
Che vostre sian vostr'arme si concede
Alla virtù di maggior premio degna.
Or ve l'abbiate, e più non si contenda;
E Grifon maggior premio da me prenda.
131
Grifon che poco a core avea quell'arme,
Ma gran disio che '1 Re si satisfaccia.
Gli disse: Assai potete corapensarnie,
Se mi fate saper ch'io vi compiaccia.
Tra sé disse Marfisa: Esser qui parme
L'onor mio in tutto : e con benigna faccia
Volle a Grifon de l'arme esser cortese;
E finalmente in don da lui le prese.
132
Ne la città con pace e con amore
Tornaro, ove le feste raddoppiarsi.
Poi la giostra si fé', di che l'onore
E 'I pregio Sausonetto fece darsi;
Ch'Astolfo e i duo fratelli e la migliore
Di lor Marfisa non volson provarsi,
Cercando, come amici e buon compagni,
Che Sansonetto il pregio ne guadagni.
133
Stati che sono in gran piacere e in festa
Con Norandino otto giornate o diece,
Perché l'amor di Francia gli molesta,
Che lasciar senza lor tanto non lece,
Tolgou licenzia: e Marfisa, che questa
Via disiava, compagnia lor fece.
Marfisa avuto avea lungo disire
Al paragon dei Paladin venire,
134
E far esperienza se l' effetto
Si pareggiava a tanta nominanza.
Lascia un altro in suo loco Sansonetto,
Che di Gerusalem regga la stanza.
Or questi cinque in un drappello eletto.
Che pochi pari al mondo han di possanza.
Licenziati dal Re Norandino,
Vanno a Tripoli e al mar che v' è vicino.
135
E quivi una caracca ritrovaro.
Che per Ponente mercanzie raguna.
Per loro e pei cavalli s'accordaro
130. 4. qual al. ; qualunque al. V. e. v, 9,
n. 8.
131. 5. Esser q. p. ecc.; parmi che qui il
mio onore sia tutto salvo. Diciamo ancoi-a:
Qui c'è o non c'è il mio onore.
132. 8. pregio; premio. V. e. xvii, 97, n. 6.
133. S. venire; di venire. V. e. i, 4. n. 1.
134. 4. stanza; il regno. È significato as-
cai notevole e non registrato dai vocabol.
— 8. Tripoli, di Siria.
135. 1. caracca (forse dall'arab. Ilarraka,
nave incendiaria); una nave per lo più da
carico, talvolta da guerra, usata da tutte le
nazioni, ma più dai Genovesi e dai Porto-
ghesi.
Con un vecchio patron ch'era da Luna.
Mostrava d'ognintorno il tempo chiaro,
Ch'avrian per molti di buona fortuna.
Sciolser dal lito, avendo aria serena,
E di buon vento ogni lor vela piena.
136
L'isola sacra all'amorosa Dea
Diede lor sotto un'aria il primo porto.
Che non ch'a offender gli uomini sia rea.
Ma stempra il ferro, e quivi è '1 viver corto.
Cagion n'è un stagno: e certo non dovea
Natura a Famagosta far quel torto
D'appressarvi Costanza acre e maligna,
Quando al resto di Cipro è si benigna.
137
Il grave odor che la palude esala
Non lascia al legno far troppo soggiorno.
Quindi a un Greco Levante spiegò ogni
[ala,
Volando da man destra a Cipro intorno,
E surse a Pafo, e pose in terra scala;
E i naviganti uscir nel lito adorno,
Chi per merce levar, chi per vedere
La terra d'amor piena e di piacere.
138
Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco
Si va salendo in verso il colle ameno.
— 4. patron, padrone; qui sta per noc-
chiero. È forma veneta. Alcuna volta i pa-
droni imbarcavano e prendevano essi il co-
mando della nave. — luna. Luni; città sulla
sinistra della Magra, oggi completamente
distrutta.
136. 1. L'isola ecc.; Cipro sacra a Ve-
nere.
— 2. Diede ecc.; offerse loro il primo
porto (il porto di Famagosta) sotto un'aria
cosi cattiva che ecc. Il Corazzini {Rivista
maritt. giugno 1899) intende in senso ma-
rinaresco aria di vento ; ma è evidente-
mente interpretazione errata.
— 4. stempra il f. Modo iperbolico per
dire che nessuna fibra le resiste.
— 7. Costanza, Città di Cipro sulle ruine
dell'antica Salamis, oggi Eski-Famagosta.
È suir imboccatura del Pedio (oggi Pedias),
che povero di acque s' impaluda. Non vi
sono che le rovine.
137. 3. Greco Lev. ; vento di est-nord-est.
— 5. snrse. V. e. iv, 51, n. 5. — Pafo (oggi
Baff'o o Bafa). Vi erano due città di questo
nome : la Pafo antica posta sopra un monte
a distanza dal mare, e famosa per le sue
bellezze e per il tempio di |Fenere ; la Pafo
nuova, distante dall' altra circa sette miglia
e mezzo posta sul mare con un bel porto.
I guerrieri approdarono a Pafo nuova, e
quindi salirono a Pafo antica. — pose... sca-
la, prese porto. La locuz. più comune è fare
scala. V. e. IX, 93. Poì^re scala non è citato
dai vocabol.
CANTO XVIII
237
Mirti e cedri e naranci e lauri il loco,
E mille altri soavi arbori lian pieno.
Serpillo e persa e rose e gigli e croco
Spargon da T odorifero terreno
Tanta suavità, cb'in mar sentire
La fa ogni vento che da terra spire.
139
Da limpida fontana tutta quella
Piaggia rigando va un ruscel fecondo.
Ben si può dir che sia di Vener bella
Il luogo dilettevole e giocondo;
Che v'è ogni donna affatto, ogni donzella
Piacevol pili ch'altrove sia nel mondo:
E fa la Dea che tutte ardon d'amore,
Giovani e vecchie, infino all'ultime ore.
140
Quivi odono il medesimo ch'udito
Di Lucina e de l'Orco hanno in Soria,
E come di tornare ella a marito
Facea nuovo apparecchio in Nicosia.
Quindi il padrone (essendosi espedito,
E spirando l)uon vento alla sua via)
L'ancore sarpa, e fa girar la proda
Verso Ponente, et ogni vela snoda.
141
Al vento di Maestro alzò la nave
Le vele all'orza, et allargossi in alto.
Un Ponente Libecchio, che soave
138. 3. naranci ; È la forma forse più usata
dagli antichi e più vicina al persiano na-
ram donde deriva.
— 5. Serpillo (timus serpillus) il timo;
persa 0 iiersia, maggiorana ; croco ; zaffe-
i*ano.
— 7. Tanta s. È noto che, per T abbon-
danza dei suoi fiori, Cipro fu detta dai Greci
evòdis, odorosa.
139. 1. Da 1. f. Sott. nascendo: un ru-
scello, nascendo da 1. f., ecc.
— 2. fecondo ; fecondatore. Cosi nel e.
XLii, 96, e cosi altri scrittori spesso.
— 5. affatto; senza bisogno di scelta.
— 8. all'nitim' o. della loro vita.
140. 3. a marito; al mar. V. e. li, 15, n. S.
Per il fatto cfr. e. xvii, 66.
— 4. Facea ecc. ; faceva un apparecchio
recente, si apparecchiava da poco tempo
per tornare. Il di invece del più comune
■per si deve all'azione del sostantivo appa-
recchio.
— 6. alla sua ria; Oggi si direbbe alla sua
rotta. Fors'anche è via per viaggio.
— 7. V ano. sarpa. V. e. xvii, 6. n. 8.
141. 1. alzò le T. all'orza; alzò le vele or-
zando, andando a orza; cioè piegando la
prua verso la parte donde veniva il vento,
come gli bisognava per venire da Cipro in
Francia col Maestrale.
— 2. in alto. V. e. vili, 36, n. 4.
— 3. Ponente L. Vento di ovest-sud-ovest.
Parve a principio e finche'} sol stette alto,
E poi si fé' verso la sera grave,
Le leva incontra il mar con fiero assalto,
Con tanti tuoni e tanto ardor di lampi.
Che par che '1 ciel si spezzi e tutto avvam-
142 [pi.
Stendon le nubi un tenebroso velo,
Che né sole apparir lascia né stella.
Di sotto il mar, di sopra mugge il cielo.
Il vento d'ognintorno, e la procella
Che di pioggia oscurissima e di gelo
I naviganti miseri flagella:
E la notte più sempre si diffonde
Sopra l'irate e formidabil'onde.
143
I naviganti a dimostrare effetto
Vanno de l'arte in che lodati sono:
Chi discorre fischiando col fraschetto,
E quanto bah gli altri a far, mostra col suo-
Chi l'ancore apparecchia da rispetto, [no ;
E chi al mainare echi allascottaèbuono;
Chi '1 timone, chi l'arbore assicura.
Chi la coperta di sgombrare ha cura.
144
Crebbe il tempo crudel tutta la notte,
Caliginosa e piti scura ch'inferno.
Tien per l'alto il padrone, ove men rotte
Crede l'onde trovar, dritto il governo;
E volta ad or ad or contra le botte
Del mar la proda, e de l'orribil verno,
— 7. ardor, fulgore (lat. ardor ignis, stel-
larum ecc.). I vocab. citano questo senso
per il verbo ardere, non per il sostantivo.
142. 5. oscurissima; Cosi p'areva nel gran
buio. — gelo; grandine. Cosi spesso.
143. 1. dimostr. effetto ; mostrar prova, far
prova. V. e. V, 17, n. 5.
— 3. discorre; corre qua e là. — fra-
schette; Più comuneni. fischietto; fischio,
col quale il comandante della ciurma dava
sulle navi i principali ordini. Il nostromo
l'usa anche oggi, specialm. nelle barche a
vela. Non è registrato dalla Crusca.
— 5. ancore da rispetto o di rispetto o di
riserva o di ricambio sono quelle tenute in
serbo per esser messe \n luogo o rinforzo
delle altre.
— 6. mainare (forse da menare, tirare
a sé). È meno comune di ammainare. —
Scotta (ant. alto ted. scòz, lembo); quel cavo,
che serve a tirare gli angoli inferiori delle
vele per distenderli al vento.
— 7. assicura, con funi perché il vento
non lo fiacchi.
144. 4. il governo ; il timone. Petr. r ,
son. 125; «Quasi senea governo e senza
antenna Legno in mar ».
— 6. la proda; la prua: e ciò fa per non
offrire il fianco alle onde, che avrebbero
potuto rovesciar la nave. Per la forma prò-
238
ORLANDO FURIOSO
Non senza speme mai che, come aggiorni,
Cessi Fortuna, o più placabil torni.
145
Non cessa e non si placa,' e più furore
Mostra nel giorno, se pur giorno è questo,
Che si conosce al numerar de l'ore.
Non che per lume già sia manifesto.
Or con minor speranza e più timore
.Si dà in poter del vento il padron mesto:
Volta la poppa all'onde, e il mar crudele
.Scorrendo se ne va con umil vele.
146
MentreFortuna in mar questi travaglia,
Nonlasciaanco posar quegli altri in terra.
Che sono in Francia, ove s'uccide e taglia
Coi Saracini il popol d'Inghilterra.
Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia
Le schiere avverse, e le bandiere atterra!
Dissi di lui, che il suo destrier Baiardo
Mosso avea contra a Dardinel gagliardo.
147
Vide Rinaldo il segno del quartiero.
Di che superbo era il figliuol d'Alraonte;
E lo stimò gagliardo e buon guerriero.
Che concorrer d'insegna ardia col Conte.
Venne più appresso, e gli parca più vero;
Ch'avea d'intorno uomini uccisi a monte.
Meglio è (gridò) che prima avella e spenga
da, nota il Buxi, Inf. 31, 2. « Proda è la
parte dinanzi del legno e poppa quella di
i-etro ». — verno; tempesta, come il latino
hyems. Cosi nel e. xix, 44 e xli, 15; e cosi
altri scrittori. Petr. i son. 179: « Ch'è nel
mio mar orribil' notte e verno ».
145. 8. umil V. vele basse, ammainate.
Nel e. XXII, 8, disse vele alte per vele spie-
gate. V. e. II, 30, 3. Ma forse qui e nel e. ii
è meglio intendere : Con una velatura ri-
dotta per numero e dimensioni al minimo
possibile, e appena sufficiente a governare
la nave.
.146. 2. Non... anco; neppure. V. e. xvi,
36, n. 8.
147. 4. concorrer d'in. ecc. ; ardiva di ac-
cordarsi, nell'insegna, con Orlando, d'avere
cioè la stessa insegna d'Orlando. Cosi credo
che debbasi intendere concorrer, come l'usò
anche il Borghini : Arm. Fam. 44 : « Altre
famiglie se ne troverà concorrere con altri
(cioè portare le medesime arme) ». Orlando
tolse quest' arme ad Almonte : V. e. vni, 85.
Si ricordi che i valorosi cavalieri non per-
mettevano ad altri di portare le loro stesse
insegne, se non erano della stessa gesta (di-
scendenza) o se non eraa vinti in duello
dal competitore. V. Jnnam. Ili, vi, 40, 41. La
morte di Dard. per ragion dello scudo è
predetta già neh' Inn. II, xxix, 14. : « Ma
ad un di lor portarla (quesf insegna) costò
cara». Su questo cenno lavora l'A.
Questo mal germe, che maggior divenga.
148
Dovunque il viso drizza il Paladino,
Levasi ognuno, e gli dà larga strada;
Némen sgombra il Fedel, che '1 Saracino:
Si reverita è la famosa spada.
Rinaldo, fuor che Dardinel meschino.
Non vede alcuno, e lui seguir non bada;
Grida: Fanciullo, gran briga ti diede
Chi ti lasciò di questo scudo erede.
149
Vengo a te per provar, se tu m'attendi,
Come ben guardi il quartier rosso e bian-
che s'ora contra me non lo difendi, [co;
Difender contra Orlando potrai manco.
Rispose Dardinello: Or chiaro apprendi
Che s'io lo porto, il so difender anco;
E guadagnar più onor, Che briga, posso
Del paterno quartier candido e rosso.
150
Perché fanciullo io sia,noncrederfarme
Però fuggire, o che '1 quartier ti dia:
La vita mi terrai, se mi toi l'arme;
Ma spero in Dio ch'anzi il contrario fia.
Sia quel che vuol, non potrà alcun bia-
[smarme
Che mai traligni alla progenie mia.
Cosi dicendo con la spada in mano
Assalse il cavallier da Montalbano.
151 [se,
Un timor freddo tutto '1 sangue oppres-
Che gli Africani aveano intorno al core,
Come vider Rinaldo che si messe
Con tanta rabbia incontra a quel Signore,
Con quanta andria un leon ch'ai prato
[avesse
Visto un torel ch'ancor non senta amore.
Il primo che feri, fu '1 Saracino;
Ma picchiò in van su l'elmo di Mambrino.
148. 6. e 1. seg. non bada, e non indugia
di seguirlo. V. e. xii, 37, n. 5.
149. 8. Del p. q.; dal p. q.
150. 1. Perché; benché. Petr. i, ball. 4 :
« Perché quel che mi trasse ad amar prima
Altrui colpa mi toglia. Del mio fermo voler
già non mi svoglia » dove il cinquecentista j
G. B. da Castiglione dichiara « appresso i . j
Toschi oggi nel loro parlare ancor riceve
tal senso».
150. 3. toi. togli. Gli antichi l' usarono
anche in prosa; Bocc. nov. 72: «Dunque
toi tu ricordanza al Sere ».
— 6. traligni alla, É costrutto citato con
questo solo es. Comunem. tralignare da.
151. 1. oppresse Strinse, gelò; significato
tolto dal latino opprimere, premere; ma
non citato dai vocab. Virgilio, En. 3, 29 ;
« coit formidine sanguis ».
— 6. non senta a. ; Cioè giovinetto.
— S. di Mambr. V. c. I, 28, n. 5.
CANTO xvm
239
152
Rise Rinaldo, e disse: Io vo'tu senta,
S"io so meglio di te trovar la vena.
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia
[allenta,
E d'una punta con tal forza mena,
D'una punta ch'ai petto gli appresenta.
Che gli la fa apparir dietro alla schena.
Quella trasse, al tornar, l'alma col sangue :
Di sella il corpo usci freddo et esangue.
153
Come purpureo fior languendo muore,
Che '1 vomere al passar tagliato lassa;
O come carco di superchio umore
II papaver ne l'orto il capo abbassa:
Cosi, giù de la faccia ogni colore
Cadendo, Dardinel di vita passa;
Passa di vita, e fa passar con lui
L'ardire e la virtù di tutti i sui.
154
Qual soglion l'acque per umano ingegno
Stare ingorgate alcuna volta e chiuse.
Che quando lor vien poi rotto il sostegno.
Cascano, e van con gran rumor difuse;
•Tal gli African ch'avean qualche ritegno.
Mentre virtù lor Dardinello infuse, [quella.
Ne vanno or sparti in questa parte e in
Che l'han veduto uscir morto di sella.
155
Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa.
Et attende a cacciar chi vuol star saldo.
Si cade ovunque Ariodante passa.
Che molto va quel di presso a Rinaldo.
Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa,
A gara ognuno a far gran prove caldo.
Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero,
Turpino e Guido e Salamone e Uggiero.
156
I Mori fur quel giorno in gran periglio
152. 2. trov. la vena ; ferire in modo da
fare uscir sangue. È modo assai notevole.
— 4. punta; puntato. V. e. IX, 70, 3.
— 7. Quella; la spada, o la punta della
sp. È una specie di sillessi ; perché nel v.
4, punta vale colpo di punta.
153. 1. Come ecc. La similitudine è d'O-
mero, ampliata da Virgilio, donde l'ha imi-
tata l'A. Iliade 8, 306: «Come carco ta-
lor del proprio frutto E di troppa rugiada
a primavera II papaver nell' orto il capo
abbassa Cosi la testa dell' elmo gravata
Sulla spalla chinò queir infelice ». En. ix,
434 : « in humeros cervix collapsa recumbit,
Purpureus veluti cura flos succisus aratro
Languescit moriens lassove papavera collo
Demisere caput pluvia cum forte gravan-
tur ».
— 7. con lui ; con sé. V. e. iv, 6, n. 3.
155. 4. Tft... presso; si avvicina per va-
lore.
Che 'n Pagania non ne tornasse testa;
Ma '1 saggio Re di Spagna dà di piglio,
E se ne va con quel che in man gli resta.
Restar in danno tien miglior consiglio,
Che tutti i denar perdere e la vesta :
Meglio è ritrarsi e salvar qualche schiera,
Che, stando, esser cagion che'l tutto pera.
157
Verso gli alloggiamenti i segni invia,
Ch'eron serrati d'argine e di fossa,
Con Stordilan, col re d'Andologia,
Col Portughese in una squadra grossa.
Manda a pregar il Re di Barbarla,
Che si cerchi ritrar meglio che possa;
E se quel giorno la persona e '1 loco
Potrà salvar, non avrà fatto poco.
158
CJuel Re che si tenea spacciato al tutto,
Né mai credea più riveder Biserta,
Che oon viso si orribile e si brutto
Unquanco non avea fortuna esperta,
S'allegrò che Marsilio avea ridutto
156. 2. Pagania; Cosi comunemente son
chiamate dagli antichi tutte le regioni abi-
tate dai Maomettani, detti spesso pagani,
perché si confusero con gli idolatri.
— 3. da di p. Si dice comunem. piglia
su e se ne va, oppure piglia le sue cara-
battole e se ne va. In questo senso l'A. ha
usato dar di piglio, che generalmente vuol
dire aff'errare.
— 4. gli resta; d'uomini e d'armi.
— 5. Restar in danno; partir con perdita.
È espressione tolta dal giuoco, come le im-
magini del verso seguente.
157. 1. i segni; le insegne. V. e. xv, 23, n. 1.
— 2. eron. Se non fallisce la memoria è
questo l'unico esempio di tal forma nella
edizione del 1532. Ma gli antichi, special-
mente i Fiorentini, usarono qualche volta
questa terminazione della terza persona pi.
imperf. ind. pur nei verbi di prima coniu-
gazione. Vedine gli esempì nel Nannucci,
Anal. cr. p. 150.
— 3. Andologia o Andalogia o Andalosia
chiamarono gli antichi l'Andalusia. Re di
And. è Madarasso. V. e. xiv, 12.
— 4. Portughese, Tesira. V. e. xiv, 13.
— 5. Barbarla, Barberia ; la costa setten-
trionale dell'Affrica; ma qui sta per tutta
l'Affrica. Re di B. è Agramante.
— 7. e '1 loco ; il territorio occupato.
158. 4. Unquanco; mai fin ora. Si scrisse
anche, separato, unq' anco. V usarono più
volte Dante il Petrarca e il Boccaccio; ma
nel cinquecento sembrava parola affettata.
Berni, Gap. a Fr. Basi. « Tacete unquanco,
pallide viole e liquidi cristalli e fere snel-
le ». — esperta; sperimentata. V. e. viii, 11,
n. 3. . ;
240
ORLANDO FURIOSO
Parte del campo in sicurezza certa:
Et a ritrarsi cominciò, e a dar volta
Alle bandiere, e te' sonar raccolta.
lo9
Ma la più parte de la gente rotta
Né tromba né tambur né segno ascolta:
Tanta tu la viltà, tanta la dotta,
Ch'in Senna se ne vide affogar molta.
Il Re Agramante vuol ridur la frotta:
Seco ha Sobrino,evanscoireudo involta;
E con lor s'affatica ogni buon duca,
Che nei ripari il campo si riduca.
160
Ma né il Re, né Sobrin, né duca alcuno
Con prieghi, con minacce, con affanno
Ritrar può il terzo, non ch'io dica ognuno,
Dove l'insegne mal seguite vanno.
Morti 0 fuggiti ne son dna, per uno
Che ne rimane, e quel non senza danno:
Ferito è chi di dietro e chi davanti;
Ma travagliati e lassi tutti quanti.
161
E con gran tema fin dentro alle porte
Dei forti alloggiamenti ebbon la caccia:
Et era lor quel luogo anco mal forte,
Con ogni prò veder che vi si faccia
(Che ben pigliar nel crin !a buona sorte
Carlo sapea, quando volgea la faccia),
Se non venia la notte tenebrosa,
Che staccò il fatto, et acquetò ogni cosa,
162
Dal Creator accelerata forse,
Che de la sua fattura ebbe pietade.
Ondeggiò il sangue per campagna, e corse
Come un gran fiume, e dilagò le strade.
Ottanta mila corpi nuraerorse,
— 8. sonar raccolta ; lo stesso che sonare
a o la race.
159. 3. dotta, dall' ant. dottare (lat. dubi-
tare); paura. Dante, Inf. 31, 109: « E non
v' era mestier più che la dotta ».
— 5. ridur, dentro i ripari.
161. 4. Con 0. p. ; nonostante o. p. É di
uso comune.
— 5. pigliar nel crin. L'A.. avea forse pre-
sente il detto famoso di Catone, Distich. 2,
62: «Fronte capillata post est occasio cal-
va ». Il Boiardo figura ciò in Morgana.
— 8. staccò il fatto; interruppe il fatto
d'armi. Machiavelli, Lett. 128, ha staccare
le pratiche, interromperle.
162. 3. per e; per la camp. V. e. ii, 15,
n. 8.
— 5. nomerorse ; si numererò. Come da
numerarono si fece poeticam. numeraro,
cosi da numerarono numeroro. Dante ha,
Inf. 26, 36, levarsi, il Pulci e altri Toscani
spessissimo la forma in orno, che è abbre-
viazione più comune e non ancora morta
di orono.
Che fur quel di messi per fil di spade,
villani e lupi uscir poi de le grotte
A dispogliarli e a devorar la notte.
163
Carlo non torna più dentro alla terra,
Ma coiitra gli nimici fuor s'accampa,
Et in assedio le lor tende serra.
Et alti e spessi fiioclii intorno avvampa.
Il Pagan si provede, e cava terra.
Fossi e ripari e bastioni stampa:
Va rivedendo, e tien le guardie deste,
Né tutta notte mai l'arme si sveste.
164
Tutta la notte per gli alloggiamenti
Dei mal sicuri Saracini oppressi
Si versan pianti, gemiti e lamenti.
Ma quanto più si può, cheti e soppressi.
Altri, perché gli amici hanno e i parenti
Lasciati morti, et altri per sé stessi,
Che son feriti, e con disagio stanno:
Ma più è la tema del futuro danno.
165
Due Mori ivi fra gli altri si trovato.
D'oscura stirpe nati in Tolomitta;
De' quai l'istoria, per esempio raro
Di vero amore, è degna esser descritta.
— 6. messi per f. d. s. V. st. 50, n. 3.
— 8. devorar; devorarli. V. e. i, 21, n. 7.
163. 4. avvampa, accende. In questo senso
citasi questo solo esempio dell'A.
— 6. stampa; fa in un momento. È po-
polare anche oggi.
— 7. Va rivedendo. Rivedere è termine
militare, che vale esaminare e riscontrare
il numero dei soldati, il loro ordina-
mento ecc. ; e anche assicurarsi della di-
ligenza dei corpi di guardia, delle poste,
delle guarnigioni ecc.; e anche esaminar
le fortificazioni d'una piazza.
164. 4. soppressi, sommessi. Si cita solo
questo luogo dell'A.
— 8. Ma più ecc. Petr. Tr. morte, 2, 48 :
« Ma più la tema dell' eterno danno ».
165. 2. Tolomitta; Oggi Tolmita o Tol-
meita. L'antica Tolemaide, di cui non re-
stano che ruine.
— 4. è degna esser; è d. di esser. V. e.
I, 4, n. 1. Questo episodio in parte è imitato
da Virgilio, in parte da Stazio ; in parte ha
elementi originali. Nell'^u. ix, 176, segg.
si dice che Niso, fortissimo in armi, per
desiderio di illustrarsi, domanda di andare
attraverso al campo nemico, a portar mes-
saggi a Enea lontano. Eurialo, suo compa-
gno ed amico, sebbene da lui sconsigliato,
vuol seguirlo. Vanno, la notte, e fanno
strage dei nemici. Sorpresi dalla schiera
di Volscente si danno alla fuga e si trovano
disgiunti. Niso, addolorato, va cercando il
compagno e lo vede accerchiato dai nemici.
CANTO XVIII
241
Cloridano e Medor si iiominaro,
Ch'alia fortuna prospera e alla afflitta
Aveano sempre amato Dardiuello,
EtorpassatoinFrauciailmarcon quello,
166
Cloridan, cacciator tutta sua vita,
Di robusta persona era et isnella-.
Medoro avea la guancia colorita
E bianca e grata ne la età novella;
E fra la gente a quella impresa uscita,
Non era faccia più gioconda e bella:
Occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:
Angel parea di quei del sommo coro.
167
Erano questi duo sopra i ripari
Con molti altri a guardargli alloggiamen-
Quando la notte fra distanze pari [ti,
Mirava il ciel con gli occhi sonnolenti.
Medoro quivi in tutti i suoi parlari [menti.
Non può far che '1 Signor suo non ram-
Dardinello d'Almonte, e che non piagna
Che resti senza onor ne la campagna.
168
Volto al compagno, disse: 0 Cloridano,
Io non ti posso dir quanto m'incresca
Invoca allora la luce lunare e comincia, non
visto, a scagliar dardi contro di loro. Vol-
scente, maravigliato e irritato, si vendica
su Eurialo e V uccide. Niso, che per sal-
varlo era accorso a confessarsi colpevole,
si volge allora contro Volscente e lo ferisce
a morte, ma, sopraflfatto dai nemici, soc
combe egli stesso. Nella Tebaide di stazio,
lib. X, Opleo e Dimante trovandosi di notte
sul campo di battaglia, han desiderio di
dar sepoltura ai cadaveri dei loro re. Di-
mante prega la luna di mostrargli dov'essi
giacciano. Ritrovatili, se li caricano sulle
spalle, ma sorpresi da Anfione, Opleo è uc-
ciso. Dimante, ferito, è invitato a rivelare j
i piani di guerra degli Argivi ; ma, inorri- '
dito della proposta, si uccide. Da questo
breve riassunto puoi vedere le principali
somiglianze e differenze tra le fonti e l'A.
166. 1. Cloridano corrisponde al Niso di
V'irgilio, acerrimus armis, ix, 176.
— 3. Medoro somiglia a Eurialo quo pul-
chrior alter Son fuit Aeneadum. Ora
puer prima signans intonsa inventa. En.
IX, 179.
— 8. del sommo e, dei Serafini, che se-
condo il concetto teologico, seguito anche
da Dante, erano l'ordine più alto degli spi-
riti celesti.
167. 3. fra dist. pari. La notte è personi-
ficata e descritta mentre traversa il cielo.
Era dunque a mezzo il suo corso, a distanze
eguali da Oriente ad Occidente.
168. I. Volto ecc. In Virgilio è il forte
Niso che fa la proposta, qui è il giovinetto
Medoro. Avverti con quanto vantaggio.
Ariosto — P.\pini
' Del mio Signor che sia rimaso al piano,
Per lupi e corbi, oiraè I troppo degna esca.
I Pensando come sempre mi fu umano
j Mi par che quando ancor questa anima
In onor di sua fama, io non compensi [esca
Ne sciolga verso lui gli oblighi immensi.
I 169
I lovoglio andar perché non sia insepulto
In mezzo alla campagna, a ritcovarlo-
E torse Dio vorrà ch'io vada occulto
Là dove tace il campo del Re Carlo.
Tu rimarrai ; che quando in ciel sia acuito
Ch io vi debba morir, potrai narrarlo •
Che se Fortuna vieta si bell'opra,
Per fama almeno il mio buon cuor'si scuo-
170 [pra
Stupisce Cloridan. che tanto core
Tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo •
E cerca assai perché gli porta amore.
Di fargli quel pensiero irrito e nullo;
Ma non gli vai, perch'un si gran dolore
Non riceve conforto né trastullo.
Medoro era disposto o di morire,
0 ne la tomba il suo Signor coprire.
171
Veduto che noi piega e che noi muove
Cloridan gli risponde: E verrò anch'io,
Anch'io vo' pormi a si lodevoi pruove,'
Anch'io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sarà mai che piti mi giove.
S'io resto senza te, Medoro mio?
Morir teco con l'arme è meglio molto.
Che poi di duol, s'avvien che mi sii tolto
172
Cosi disposti, messere in quel loco
Le successive guardie, e se ne vanno.
Lascian fosse e steccati, e dopo poco
Tra nostri son, che senza cura stanno.
II campo dorme, e tutto è spento il fuoco.
Perché dei Saracin poca tema hanno.
Tra l'arme e carriaggi stan roversi.
Nel vin, nel sonno insino agli occhi im-
_, . 173 [mersi.
kermessi alquanto Cloridano, e disse:
Non son mai da lasciar l'occasioni.
Di questo stuol che '1 mio Signor trafisse.
Non debbo far, Medoro, occisioni ?
Tu, perché sopra alcun non ci venisse.
— 7. In onor di s. f. ; per rendere onore
alla sua fama di bravo e di buono.
169. 7. Che; cosi che. V. e. i, 57, n. 7.
172. 4. Tran.; tra i n.; tra i Cristiani*.
— 7. carriaggi. Vi è la solita omissione
dell' articolo. — roversi, riversi.
— 8. inaino a. o. imm. Immergersi fino
agli occhi in una cosa è espressione co-
mune per mettet^visi tutto; ma qui detto
del sonno è immagine uà po' strana. Viro.
En. IX, 189: « Somno vinoque soluti (Ru-
tuli) ..
16
242
ORLANDO FURIOSO
Gli occhi e l'orecchi in ogni parte poni;
Ch'io m'offerisco farti con la spada
Tra gl'inimici spaziosa strada.
174
Cosi disse egli, e tosto il parlar tenne,
Et entrò dove il dotto Alfeo dormia.
Che l'anno inauzi in corte a Carlo venne,
Medico e Mago e pien d'Astrologia:
Ma poco a questa volta gli sovvenne;
Anzi gli disse in tutto la bugia.
Predetto egli s'avea che d'anni pieno
Dovea morire alla sua moglie in seno:
175
Et or gli ha messo il cauto Saracino
La punta de la spada ne la gola.
Quattro altri uccide appresso all'indo vi no
Che non hau tempo a dire una parola:
Menzion dei nomi lor non fa Turpino,
E '1 lungo andar le lor notizie invola :
Dopo essi Palidon da Moncalieri,
Che sicuro dormia fra duo destrieri.
176
Poi se ne vien dove col capo giace
Appoggiato al barile il miser Grillo ;
Avealo voto, e avea creduto in pace
Godersi un sonno placido e tranquillo.
Troncògli il capo il Saracino audace :
Esce col sangue il vin per uno spillo,
Di che n'ha in corpo più d'una bigoncia ;
E di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.
177 [sco
E presso a Grillo un Greco et un Tede-
Spenge in dui colpi, Andropono e Conra-
Che de la notte avean goduto al fresco [do,
174. 1. il parlar tenne, il p. trattenne. En.
IX, 324: «Sic memorai vocemque premit
(Xisus) ».
— 2. Notano alcuni che Ta. voglia ac-
cennare a quel Pietro da Pisa (detta dai
Latini Alphea. V. En. 10, 179), che per la
sua dottrina Carlo M. chiamò in Francia
alla sua corte.
— 5. Ma poco ecc. Cosi neìVEn. 9, 237, è
ucciso, da Xiso, Ramnete « Turno gratissi-
mus augur; Sed non augurio potuit depel-
lere pestem ». — a questa yolta ; Più comune
^enza preposiz. a. L' usa molto spesso il
Pulci nel Morgante.
176. 2 appoggiato al b. Cosi Reto. En. 9,
316: «se post cratera tegebat».
— 3. voto, votato. V. e. I, 48, n. 4.
— 6. per nno spillo; per uno stesso spillo.
spillo è veramente un foro piccolo, donde
esce il vino della botte ; qui si giuoca sulla
parola. Cosi Reto, En. 9, 349 : « Purpuream
vomit . . . animam et cum sanguine mixta
Vina l'efert moriens ».
— 8. lo sconcia; lo uccide malamente.
Manca affatto, nei vocabolari, questo signi-
ficato.
Gran parte, or con la tazza, ora col dado .
Felici, se, vegghiar sapeatto a deS(ì(J ' ' '
Fin che de l'Indo il sol passassi il guado.
Ma non potria negli uomini il destino.
Se del futuro ognun fosse indovino.
178
Come impasto leone in stalla piena, [to, (
Che lunga fame abbia smacrato e ascitit-'-'^^
Uccide, scanna, mangia, a strazio mena
L'infermo gregge in sua balia condutto;"!*
Cosi il crudel Pagan nel sonno svena -"^'
La nostra gente, e fa macel per tutto.
La spada di Medoro anco non ebe;
Ma si sdegna ferir l'ignobil plebe.
179
Venuto era ove il Duca di Labretto
Con una dama sua dormia abbracciato;
E l'un con l'altro si tenea si stretto.
Che non saria tra lor l'aere entrato.
Medoro ad ambi taglia il capo netto.
Oh felice morire! o dolce fato!
Che come erano i corpi, ho cosi fede.
Ch'andar l'alme abbracciate alla lor sede.
180
Malindo uccise e Ardalico il fratello,
Che del Conte di Fiandra erano figli;
E l'uno e l'altro cavallier novello [gigli.
Fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme i
177. 5. Felici ecc. En. 9, 335; « (Serranus)
plurima nocte Luserat... Felix si protenus
illum Aequasset noeti ludum in lucemque
tulisset».
— 6. passassi il g. Per la forma verbale
cfr. e. II, 40, n. 8. Per T immagine avverti
che l'A. piglia spesso il fiume ludo per
significare l'estremo Oriente (iii, 17; iv, 61,
perciò passare il guado de l'I. vale appa-
rire in Oriente. I vocabolari non citano
l' espressione ìjassare il g. ; che pure è co-
munissima. Avverti che qui significa sem-
plicemente passare.
178. 1. Come impasto ecc. Viro. En. 9,
339 : « Impastus ceu piena leo per ovilia
turbans, Suadet euim vesana fames, mandit-
que trabitque Molle pecus mutumque metu,
fremii ore cruento ». In Stazio, Teb. lib. io,
è una tigre: « Caspia non aliter magnorum
in strage iuvencum Tigris ».
— 3. a strazio mena; strazia. Nel e. i, 72,
7, si ha menare a fracasso ; fracassare.
— 4. infermo; debole. Latinismo (infir-
mus) già usato da Dante, Purg. 10, 122, dal
Petrarca e da altri.
— 7. anco non ebe; neppure (V. e, xvi,
30, n. 8) la spada di M. è ottusa (lat. hebe-
re); e inetaforicam. è inoperosa. Petk. Tr.
F. i, 92: « E se non che '1 suo lume all'
estremo. ebe (si indebolisce)». .Non è usata
che questa terza persona.
CANTO XVIII
243.
Perché il giorno amendui d'ostil macello
Con gli stocchi tornar vide vermigli: .
E terre in Frisa avea promesso loro,
E date avria; ma lo vietò Medoro.
181
Gl'insidiosi ferri eran vicini
Ai padiglioni che tiraro in volta
Al padiglion di Carlo i Paladini,
Facendo ognun la guardia la sua volta;
Quando da Tempia strage i Saracini
Trasson le spade, e diero a tempo volta-
Ch impossibil lor par, tra si gran torma',
Che non s'abbia a trovar un che non dor-
182 [ma
E ben che possan gir di preda carchi,
Salvin pur sé, che fanno assai guadagno.
Ove pili crede aver sicuri i varchi
Va Cloridano e dietro ha il suo compagno
V engon nel campo ove fra spade et archi
E scudi e lance, in un vermiglio stagno
Giaccion poveri e ricchi, e Re e vassalli,
E sozzopra con gli uomini i cavalli.
183
Quivi dei corpi l'orrida mistura.
Che piena avea la gran campagna intor-
«*^ Potea' far vaneggiar la fedel cura [no,
^ Dei duo compagni insino al far del giorno,
Se non traea fuor d'una nube oscura
A prieghi di Medor, la Luna il corno.
Medoro in ciel divotamente fìsse
Verso la Luna gli occhi, e cosi disse:
184
0 santa Dea, che dagli antiqui nostri '
Debitamente sei detta triforme;
Ch'in cielo, in terra e ne l'inferno mostri
L'alta bellezza tua sotto più forme,
E ne le selve, di fere e di mostri
A ai caceiatrice seguitando l'orme;
180. 5. d'ostil; per ostil. V. e. xm, 33,
lì. 3.
181. 2. in volta; in giro, intorno. Behni,
Jan. 3, 37 : « Quantunque andasse in volta
alla ventura ».
183. 8. sozzopra. V. e. xiv, 128, n. 8.
183. 3. vaneggiar, riuscir vana. Si cita
questo solo esempio dell'A. È estensione di
signifìc. simile a quella di spirtale, IH, 67;
celeste. II, 55, vocale VII, 38.
184. 1. 0 santa D. Anche in Stazio, Teb. x,
364-77, Dimante prega la luna triforme che
gli mostri il cadavere di Tideo, il quale fu,
vivente, amante della caccia e dei boschi,
alunno di Diana. Avverti la libertà con cui
l'A, imbevuto di classicismo, mette un ri-
cordo classico in bocca d' un pastore Affri-
cano. Cosi nel e. vi, 29, 8.
— 2. triforme. La'stessa divinità era detta
luna in cielo, Diana (dea dei boschi e della
caccia) in terra, Ecate nell' inferno.
— 8. imitò ecc. coltivò la caccia.
Mostrami ove '1 mio Re giaccia fra tanti»
Che vivendo imitò tuoi studi santi.
185
La Luna a quel pregar, la nube aperse,
O fosse caso o pur la tanta fede;
Bella come fu allor ch'ella s'offerse,
E nuda in braccio a Endimion si diede.
Con Parigi a quel lume si scoperse
L'un campo e l'altro; e '1 monte e '1 pian
Si videro i duo colli di lontano, [si vede:
Martire a destra, e Leri all'altra mano
I Rifulse lo splendor molto più chiaro,
: Ove d'Almonte giacca morto il tìglio.
t :\ledoro andò, piangendo, al Signor caro;
•Jhe conobbe il quartier bianco e verrai-
E tutto '1 viso gli bagnò d'amaro (gì io :
i Pianto (cne n'avea un rio sotto ogni ciglio),
In si dolci atti, in si dolci lamenti,
I Che potea ad ascoltar fermare i venti;
■- 187
I Ma con sommessa voce e a pena udita ;
Non che riguardi a non si far sentire,
Perch'abbia alcun pensier de la sua vita
(Più tosto l'odia, e ne vorrebbe uscire);
Ma per timor che non gli sia impedita
L'opera pia che quivi il fé' venire.
Fu il morto Re sugli omeri sospeso
Di tramendui, tra lor partendo il peso.
188
Vanno affrettando i passi quanto ponno.
Sotto l'amata soma che gl'ingombra.
E già venia chi de la luce è donno
Le stelle a tor del ciel di terra l'ombra;
Quando Zerbino, a cui del petto il sonn i
L'alta virtude, ove è bisogno, sgombra,
Cacciato avendo tutta notte i Mori,
Al campo si traea nei primi albóri.
189
E seco alquanti cavallicri avea,
Che videro da Innge i dui compagni.
Ciascuno a quella parte si traea.
Sperandovi trovar prede e guadagni.
Frate, bisogna (Cloridan dicea)
Gittar la soma, e dare opra ai calcagni;
Che sarebbe?»pensier non troppo accorto,
Perder duo vivi per salvar un morto.
186. 8. ad ascoltar ; potea fermare i venti
ad ascoltarlo.
187. 1. con somm. v. Stazio, Teb. x, 384.
— 8. tramendui; ambedue. Usò questa
forma anche il Firenzuola, Disc. An. 62:
« tramendui d' accordo andarono alla volta
sua».
188. 3. E già venia ecc; sorgeva il sole.
È particolare tolto da Stazio. Teb. x, 436.
— 6. ove; quando.
189. 3. Ciascuno. Riferiscilo a Zerbino e
a' suoi.
244
ORLANDO FURIOSO
190
E gittò il carco, perché si pensava
Che '1 suo Medoro il simil far dovesse:
Ma quel meschin che '1 suo Signor più ama -
Sopra le spalle sue tutto lo resse. [va,
L'altro con molta fretta se n'andava,
Come l'amico a paro o dietro avesse:
Se sapea di lasciarlo a quella sorte,
Mille aspettate avria, non ch'una morte.
191
Quei cavallier, con animo disposto
Che questi a render s'abbino o a morire,
Chi qua chi là si spargono, et han tosto
Preso ogni passo onde si possa uscire.
Da loro il capitan poco discosto,
Più degli altri è sollecito a seguire;
191. 6. seguire ; inseguire, inseguirli. Ma-
CHIAV. Arte della guerra, 2, 39 : « (I cavalli)
Ch'in tal guisa vedendoli temere,
Certo è che sian de le nimiche schiere.
192
Era a quel tempo ivi una selva antica,
D'ombrose piante spessa e di virgulti, *
Che, come labirinto, entro s'intrica
Di stretti calli e sol da bestie culti.
Speran d'averla i duo Pagan si amica,
Ch'abbi'atenerlientro a'suoi rami occulti.
Ma chi del canto mio piglia diletto,
Un'altra volta ad ascoltarlo aspetto.
son più utili a seguire il nemico, rotto che
egli è ».
192. 4. culti; abitati (dal lat. colere, che
vale anche abitare). È citato col solo esera-
pio dell' A.
— 6. abbi'. V. e. xvn, 4. n. 2.
CANTO XIX
Alcun non può saper da chi sia amato.
Quando felice in su la ruota siede;
Però ch'ha i veri e i tìnti amici a lato,
Che mostrau tutti una medesma fede.
Se poi si cangia in tristo il lieto stato,
Volta la turba adulatrice il piede;
E quel che di cor ama, riman forte,
Et ama il suo Signor dopo la morte.
2
Se, come il viso, si mostrasse il core,
Tal ne la corte è grande e gli altri preme,
E tal è in poca grazia al suo Signore,
Che la lor sorte muteriano insieme.
Questo umil diverria tosto il maggiore:
Starla quel grande in fra le turbe estreme.
1. 2. in sn la r. s.; sulla ruota della For-
tuna. Per indicare la instabilità delle cose
umane la Fortuna fu dagli antichi rappre-
sentata sopra una ruota, o su di un globo.
Gli uomini si figurano ora al colmo di que-
sta ruota presso la fortuna, ora sotto e in
basso. Quindi le espressioni esser nel colmo
della ruota, cader sotto la ruota, andare
a fondo ecc. Sacchetti, nov. 193: « Io veg-
gio troppo bene che tu se' nel colmo della
rota, e non ti puoi movere che tu non scenda
o capolevi ».
— 8. dopo la m.; Più completo sarebbe:
anche dopo la morte.
2. 2. Tal... tal; O significa alcuno, come
in questo luogo del Boccaccio, Ftloc. 7:
« Tal rise degli altrui danni, che de' suoi
Ma torniamo a Medor fedele e grato,
Che 'n vita e in morte ha il suo Signore
3 [amato.
Cercando già nel più intricato calle
Il giovine infelice di salvarsi;
Ma il grave peso ch'avea su le spalle,
Gli facea uscir tutti i partiti scarsi.
Non conosce il paese, e la via falle;
E torna fra le spine a invilupparsi.
Lungi da lui tratto al sicuro s'era
L'altro ch'avea la spalla più leggiera.
4
Cloridan s'è ridutto ove non sente
Di chi segue lo strepito e il rumore;
Ma quando da Medor si vede absente.
Gli pare aver lasciato a dietro il core.
Deh, come fui (dicea) si negligente.
Deh, come fui si di me stesso fuore.
Che senza te, Medor, qui mi ritrassi.
Né sappia quando o dove io ti lasciassi!
dopo picciol tempo pianse » ; o è relativo
di qualità: uomo di tal fatta. É preferibile
la prima interpret.
3. 4. uscir; riuscire. — scarsi, manche-
voli all'intento.
— 5. falle; fallisce, da fallire v&go\?irm .
come tugge da fuggire. Pktr. i, son. 28:
« Amor, io fallo, e veggio il mio fallire ».
Cfr. anche il e. XLii, 27.
4. 3. absente. Forma più vicina al latino
absentem,.
— 7. mi ritrassi... né sappia. Dopo una
propos. interrogai., l' indicativo accenna a
CANTO XIX
245
Cosi dicendo ne la torta via
De l'intricata selva si ricaccia;
Et onde era venuto si ravvia,
E torna di sua morte in su la traccia.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
E la nimica voce che minaccia:
All'ultimo ode il suo Medoro, e vede
• Che tra molti a cavallo è solo a piede.
6
Cento a cavallo, e gli sou tutti intorno :
Zerbin comanda e grida che sia preso.
L'infelice s'aggira com'un torno,
E quanto può si tien da lor difeso,
Or dietro quercia, or olmo, or faggio, or
^Né si discosta mai dal caro peso: |orno;
L'ha riposato altìn su l'erba, quando
Regger noi puote, e gli va intorno errando,
7
Come orsa, che l'alpestre cacciatore ■
Ne la pietrosa tana assalita abbia,
Sta sopra i figli con incerto core,
E freme in suono di pietà e di rabbia:
Ira la 'nvita e naturai furore
Aspiegar l'ugneeainsanguinar le labbia;
Amor la 'ntenerisce, e la ritira
A riguardare ai figli in mezzo l'ira.
8
Cloridau, che non sa come l'aiuti,
E ch'esser vuole a morir seco ancora.
Ma non ch'in morte prima il viver muti.
Che via non trovi ove più d'un ne mora;
Mette su l'arco un de'suoi strali acuti,
E nascoso con quel si ben lavora,
un fatto reale indipendente dalla prepos.
che lo regge, il cong. accenna a stretta di-
pendenza fra la prop. reggente e la dipen-
dente. Il non sapere è strettamente con-
nesso coir essere stato fuori di sé; l'esser
re liuto qui, no. Fornaciahi, Sint. p. 404.
6. .'<. torno, tornio.
7. 1. Come orsa ecc. Questa comparazione
è imitata da Stazio, Tei. vii, 414-19: « Ut
lea, quam saevo foetam pressere cubili Ve-
jiantes Numidae natos erecta superstat
Mente sub incerta torvum ac miserabile
frendens. Illa quidem turbare globos et
frangere morsu Tela queat, sed prolis amor
crudelia vincit Pectora et in me Ha catu-
los circunispicit ira ». Hanno la stessa com-
paraz. il Berni, Ori. Inn. xv, 2ì; il Grossi,'
Lomb. X, 16. L'A. supera tutti.
8. 3. Ma non ecc.; ma non vuol mutare
il vivere in morte prima che trovi (prima
d'aver trovato) via, nella quale (come) più
d'uno ne muoia. Osserva che il ìion del
V. 4 è superfluo; ma l'A. lia seguito, per la
cong. prima che, l'analogia di finché, che
ri userebbe col non. Y. Fornaciari 5.
r<. 371.
Che fora ad uno Scotto le cervella,
E senza vita il fa cader di sella.
9
Volgonsi tutti gli altri a quella banda,
Ond'era uscito il calamo omicida.
Intanto un altro il Saracin ne manda.
Perché '1 secondo a lato al primo uccida;
Che mentre iu fretta a questo e a quel do-
-manda
Chi tirato abbia l'arco, e forte grida,
Lo strale arriva, e gli passa la gola,
E gli taglia pel mezzo la parola.
10
Or Zerbin, ch'era il capitano loro.
Non potè a questo aver più pazienza.
Con ira e con furor venne a Medoro,
Dicendo: Ne farai tu penitenza.
Stese la mano in quella chioma d'oro,
E trascinollo a sé con violenza:
Ma come gli occhi a quel bel volto mise,
Gli ne venne pietade, e non l'uccise.
11
Il giovinetto si rivolse a'prieghi,
E disse: Cavallier, per lo tuo Dio,
Non esser si crudel che tu mi nieghi
Ch'io sepelisca il corpo del Ke mio.
Non vo' ch'altra pietà per me ti pieghi,
Né pensi che di vita abbi disio:
Ho tanta di mia vita, e non più, cura.
Quanta ch'ai mio Signor dia sepoltura.
12
E se pur pascer vuoi fiere et augelli.
Che 'n te il furor sia del teban Creonte,
Fa lor convito di miei membri, e quelli
Sepelir lascia del tìgliuol d'Almonte.
Cosi dicea Medor con modi belli,
E con parole atte a voltare un monte;
! E si commosso già Zerbino avea,
I Che d'amor tutto e di pietade ardea.
! 13
I In questo mezzo un cavallier villano,
i Avendo al suo Signor poco rispetto,
! Feri con una lancia sopra mano
Al supplicante il delicato petto.
9. 2. calamo, strale. L' asticella delle saet-
te spesso era fatta di canna (lat. calamus).
— 5. Che; Pronome che si riferisce a se-
condo, e che, con un costrutto popolare, è
soggetto della proposizione temporale che
segue. V. e. XII, 5, n. 6.
10. 2. potè. Questo presente è confermato
dalla Principe, che ha puote. Del resto v.
e. I, 81, n. i.
H. 6. abbi; cosi le tre ediz. curate dal-
l'A. Perché il Morali corresse abbia?
— 8. (Quanta eh. ; q. occorre perché.
12. 2. Che.^ sia, perché in te sia il fu-
rore ecc.
13. 3. sopra mano; Colpo dato alzandola
mano più su della spalla.
246
ORLANDO FURIOSO
Spiacque a Zerbin l'atto crudele e strauo;
Tanto pili, che del colpo il giovinetto
Vide cader si sbigottito e smorto,
Che 'n tutto giudicò che fosse morto.
14
E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse,
Che disse: Invendicato già non fia;
E pien di mal talento si rivolse
Al cavallier che te' l'impresa ria:
Ma quel prese vantaggio, e se gli tolse
Dinanzi in un momento, e fuggi via.
Cloridau, che Medor vede per terra.
Salta del bosco a discoperta guerra:
15
E getta l'arco e tutto pien di rabbia
Tra gli inimici il ferro intorno gira,
Più per morir, che per peusier ch'egli abbia
Di far vendetta che pareggi l'ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
Fra tante spade, e al fin venir si mira:
E tolto che si sente ogni potere.
Si lascia a canto al suo Medor cadere.
16
Seguon gli Scotti ove la guida loro
Per l'alta selva alto disdegno mena,
Poi che lasciato ha l'uno e l'altro Moro,
L'un morto in tutto, e l'altro vivo a pena.
Giacque gran pezzo il giovine Medoro,
Spicciando il sangue da si larga vena.
Che di sua vita al fin saria venuto.
Se non sopravenia chi gli die aiuto.
17
Gii sopravvenne a caso una donzella,
Avvolta in pastorale ed umil veste,
Ma di real presenza e in viso bella.
D'alte maniere e accortamente oneste.
Tanto è ch'io non ne dissi pili novella,
Ch'a pena riconoscer la dovreste:
Questa, se non sapete. Angelica era.
Del gran Can del Catai la figlia altiera.
18
Poi che '1 suo annello Angelica riebbe,
Di che Brunel l'avea tenuta priva.
In tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
Ch' èsser parca di tutto '1 mondo schiva.
Se ne va sola, e non si degnerebbe
Compagno aver guai più famoso viva:
15. 6. mira. Figura di zeugma, per cui
intra regge rosseggiare e venire al fine
(della vita) ; per questa seconda espressione
si richiederebbe un .si sente.
16. 6. Spicciando ecc. ; mentre il sangue
spicciava. Somiglia all'ablat, assol. dei La-
tini. Cfr. e. XII, 76, n. 4. Avverti che nei
modelli sopra citati muoiono ambedue: far
sopravvivere Med. è bella variante dell' A.
17. 4. accortamente o.; che mostravano
una modestia voluta, più tosto che natu-
i-ale. Si riprende il racconto interrotto al
e. XI, 1?.
Si sdegna a rimembrar che già suo amante
Abbia Orlando nomato, o Sacripante.
19
E sopra ogfTaltro error via più pentita
Era del ben che già a Rinaldo volse.
Troppo parendole essersi avvilita,
Ch'a riguardar si basso gli occhi volse.
Tant'arroganzia avendo Amor sentita.
Più lungamente comportar non volse.
Dove giacca Medor, si pose al varco,
E l'aspettò, posto lo strale all'arco.
20
Quando Angelica vide il giovinetto
Languir ferito, assai vicino a morte,
Che del suo Re che giacca senza tetto,
Più che del proprio mal si dolca forte;
Insolita pietade in mezzo al petto
Si senti entrar per disusate porte,
Che le fé' il duro cor tenero e molle,
E più, quando il suo caso egli narrolle.
21
E rivocando alla memoria l'arte
Ch'in India imparò già di chirurgia,
(Che par che questo studio in quella parte
Nobile e degno e di gran laude sia;
E senza molto rivoltar di carte,
Che '1 patre ai figli ereditario il dia).
Si dispose operar con succo d'erbe,
Ch'a più matura vita lo riserbe.
22
E ricordossi che passando avea
Veduta un'erba in una piaggia amena;
Fosse dittamo, o fosse panacea,
O non so qual di tal effetto piena,
Che stagna il sangue, e de la piaga rea
Leva ogni spasmo e perigliosa pena.
La trovò non lontana, e quella colta.
Dove lasciato avea Medor, die volta.
23
Nel ritornar s'incontra in un pastore.
Ch'a cavallo pel bosco ne veniva
21. '3. Che par ecc. Tutti i romanzi di ca-
valleria rammentano figlie di re e gentili
donne istrutte nell'arte di medicare. Era
una parte dell' educazione solita darsi alle
nobili donzelle. Tasso, Ger. vi, 67: «Arte,
che per usanza in quel paese Nelle figlie
dei re par che si serbe ».
— 8. Che ; Può esser pronome relativo a
succo e anche congiunz. Si dispose a ope-
rare (far si) che ecc.
22. 3. dittamo. Il dittamo, dice Plinio, S.
S. 26, 14, « sagittas pellit et alia tela extra-
hit... suppurationes discutit ». — panacea
(gr. panakeia, che tutto guarisce). In ita-
liano si chiamò cosi una certa erba, delibi
famiglia delle araliacee, la cui radice gli
antichi credevano rimedio di tutti i mali;
donde il nome. V. Plinio, 5. N. 25, 11.
— 4. effetto, efficacia.
CANTO XIX
247
Cercando una giovenca, che già fuore
Duo di di mandra e senza guardia giva.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva:
E già n'avea di tanto il terren tinto,
Ch'era ornai presso a rimanere estinto.
24
Del palafreno Angelica giti scese,
E scendere il pastor seco fece anche.
<i-Pestò con sassi l'erba, indi la prese,
E succo ne cavò fra le man bianche:
Ne la piaga n'infuse, e ne distese
E péT petto e pel ventre e fin a l'anche;
E fu di tal virtù questo liquore,
Che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore:
25
E gli die forza, che potè salire
Sopra il cavallo che 'l pastor condusse.
Non però volse indi Medor partire
Prima ch'in terra il suo Signor non fusse.
E Cloridan col Re fé' sepelire; ,
E poi dove a lei piacque si ridusse:
Et ella per pietà ne l'umil case
Del cortese pastor seco rimase.
26
Né fin che noi tornasse in sanitade,
Volea partir: cosi di lui fé' stima:
Tanto si inteneri de la pietade
Che n'ebbe, come in terra il vide prima.
Poi vistone i costumi e la beltade.
Roder si senti il cor d'ascosa lima;
Roder si senti il core, e a poco a poco
Tutto infiammato d'amoroso fuoco.
27
Stava il pastore in assai buona e bella
Stanza, nel bosco infra duo monti piatta.
Con la moglie e coi tìgli; et avea quella
Tutta di nuovo e poco inanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la Donzella
La piaga in breve a sanità ritratta:
Ma in minor tempo si senti maggiore
Piaga di questa avere ella nel core.
28
Assai pili larga piaga e più profonda
Nel cor senti da non veduto strale,
Che da' begli Sechi e da la testa bionda
Di Medoro avventò 1 Arcier c"ha l'ale.
Arder si sente, e sempre il fuoco abonda,
26. 3. si inten. Nelle ediz. preced. del '16 e
del '21 si aveva molte volte il sé proclit. in-
vece di si ; uso non raro negli antichi (Dante,
Par. 28, 7); nell'ed. del '32 ne rimase appena
qualcuno; il Morali li corresse tutti fuorché
tre (XL, 61, 4 ; xli, 8, 2), certam. per svista.
27. 2. piatta; nascosta. V. e. xi, 36, n. 6.
— 6. a ganità ritr.; Locuzione poetica, che
vale sanala.
28. 4. l'Arcier e' ha l'a.; Amore, cosi flg"u-
rato dal mito.
E più cura l'altrui che '1 proprio male.
Di sé non cura; e non è ad altro intenta,
Ch'a risanar chi lei fere e tormenta.
29
La sua piaga più s'apre e più incrudisce,
Quanto più l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si sana: ella languisce
Di nuova febbre, or agghiacciata or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce:
La misera si strugge, come falda
Strugger di nieve intempestiva suole.
Ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.
30
Se di disio non vuol morir, bisogna
Che senza indugio ella sé stessa aiti:
E ben le par che di quel ch'essa agogna.
Non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.
Dunque, rotto ogni freno di vergogna.
La lingua ebbe non men che gli occhi ar-
E di quel colpo domandò mercede, [diti ;
Che, forse non sapendo, esso le diede.
31
0 conte Orlando, o re di Circassia,
Vostra inclita virtù, dite, che giova?
Vostro alto onor, dite, in che prezzo sia?
0 che mercé vostro servir ritruova?
Mostratemi una sola cortesia.
Che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova.
Per ricompensa e guidardone e merto
Di quanto avete già per lei sofferto.
32
Oh se potessi ritornar mai vivo,
Quanto ti parria duro, o Re Agricane!
Che già mostrò costei si averti a schivo
Con repulse crudeli ed inumane.
0 Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo.
Ch'avete fatto mille pruove vane
Per questa ingrata, quanto asjìro vi fora
S'a costa' in braccio voi la vedesse ora!
29. 7. intempestiva; rimasta per caso,
quando non e più il suo tempo, in luogo
dove batte sole.
— 8. scoperta: indica che prima quella
neve era riparata dal sole, come Angelica,
per la sua alterezza era stata finora ripa-
rata dall'amore.
30. 3. di quel; quanto a quel. È compi,
di limitazione.
31. 3. siaì Gli indicativi giova, ritruova
accennano ai fatti, il cong. sia accenna al
pensiero d'Orlando e di Sacr. ; quasi di-
cesse: in qual prezzo credete voi che sia?
— 7. ricompensa è correspettivo di spese
0 fatiche ; guiderdone è premio di buone
azioni in quanto è dato ; inerito è premio
di buone azioni in quanto è meritato.
32. S. vedesse; vedeste. L'A. ha amato
queste forme antiquate che usa più volte;
cfr. e. XII, 12, n. 3. E avverti che nelle ediz.
248
ORLANDO FURIOSO
33
Angelica a Medor la prima rosa
Coglier lasciò, non ancor tocca inante:
Né persona fu mai si avventurosa,
Ch'in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
8i celebrò con cerimonie sante
Il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
E pronuba la moglie del pastore.
34
Fèrsi le nozze sotto all'urail tetto
Le più solenni che vi potean farsi;
E più d'un mese poi stero a diletto
I duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più lunge non vedea del giovinetto
La donna, né di lui potea saziarsi:
Né, per mai sempre pendergli dal collo,
II suo disir sentia di lui satollo.
35
Se stava all'ombra o se del tetto usciva,
Avea di e notte il bel giovine a lato:
Matino e sera or questa or quella riva
Cercando andava, o qualche verde prato:
Nel mezzo giorno un antro li copriva.
Forse non men di quel commodo e grato,
Ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido,
De' lor secreti testimonio fido.
36
Fra piacer tanti, ovunque un arbor drit-
Vedesse ombrare o fonte o rivo puro, [to
V'avea spillo o coltel subito fitto;
Cosi, se v'era alcun sasso men duro.
Et era fuori in mille luoghi scritto,
E cosi in casa in altri tanti il muro,
Angelica e Medoro, in vari modi
Legati insieme di diversi nodi.
del '16 e del ':ìì1 si leggevano le forme più
regolari vedeste, [uste.
33. 5. adombrare ; abbuiare. Tasso, Ger.
r>, 24: «adombrando con mararti il vero».
— 7. auspice, era presso i Latini colui, che
conciliava il matrimonio e assisteva l'uomo
nella celebrazione di esso; per la donna fa-
ceva lo stesso ufficio la pronuba.
34. 2. Le più sol. Sebbene nel sup. relativo,
regolarmente, non si ripeta l'articolo, pui'e
si hanno buoni esempì del contrario in
ogni secolo. Pulci, Morg.2,i, 150: «Veggo
tutte le ninfe le più belle ». — vi potean
farsi, vi si pot. fare. V è il solito sposta-
mento di pronomi.
35. 7. Enea e Dido. V. En. 4, 165 segg.
36.."). fuori; Solt. il muro; cioè: il muro
dalla parte di fuori era scritto, coperto di
scrittura.
— 7. Angelica e M. Dipende, un po' libe-
ramente, dalla proposiz. precedente. In-
tendi: le mura di fuori e di dentro erau
coperte di scrittura, la quale consisteva
37
Poi che le parve aver fatto soggiorno
Quivi più ch'a bastanza, fé' disegno
Di fare in India del Catai ritorno,
E Medor coronar del suo bel regno. , _«.
Portava al braccio un cerchio d'oro,adorno )
Di ricche gemme, in testimonio e segno
Del ben che '1 conte Orlando le volea;
E portato gran tempo ve l'avea.
38
Quel donò già Morgana a Zilìante,
Nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
Et esso, poi, ch'ai padre Monodante
Per opra e per virtù d'Orlando venne, [te.
Lo diede a Orlando: Orlando ch'era aman-
Di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne.
Avendo disegnato di donarlo
Alla Regina sua di ch'io vi parlo.
39
Non per amor del Paladino, quanto
Perch'era ricco e d'artificio egregio,
Caro avuto l'avea la donna tanto, ^ ,
Che più non si può aver cosa di pregio.
Se lo serbò ne l'isola del pianto.
Non so già dirvi con che privilegio.
Là dove esposta al marin mostro nuda
Fu da la gente inospitale e cruda.
40
Quivi non si trovando altra mercede,
Ch'ai buon pastore et alla moglie dessi
Che serviti gli avea con si gran fede
Dal di che nel suo albergo si fur messi;
Levò dal braccio il cerchio, e gli lo diede,
E volse per suo amor che lo tenessi:
Indi saliron verso la montagna
Che divide la Francia da la Spagna.
41
Dentro a Valenza o dentro a Barcellona
Per qualche giorno avean pensato porsi.
tutta in queste parole Angelica e Medoro
legate insieme ecc.
37. 3. in India del C. in quella parte del-
l'India che formava il Catai.
— 4. coronar d. s. b. r. ; dar la corona
del suo regno. IJocc. nov. 13: «Conquistò
la Scozia e funne coronato ».
38. 1. Morgana ecc. V. Inn. II, xiii ; dove
si racconta la storia del giovanetto Ziliante,
che Orlando liberò dai lacci amorosi della
fata Morgana, la quale lo teneva nascosto in
un- luogo incantato, al disotto di un lago.
11 giovinetto fu restituito da Orlando al
padre Monodante; ma il dono di questa
gemma è un' invenzione dell'Ariosto.
39. G. con che privil. ; per qual privilegio
glielo lasciarono al braccio, quando fu espo-
sta all'orca nell'isola d' Ebuda.
40. 5. gli lo d. ; lo diede a lei. V. Fokn.
Sint. p. 53; e e. v, S9, n. 4.
— 7, ìa montagna ecc. ; i Pirenei.
CANTO XIX
249
Fin che accadesse alcuna nave buona,
Che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona
Ne lo smontar giù dei montani dorsi;
E costeggiando a man sinistra il lito,
A Barcellona andar pel camin trito.
42
Ma non vi giunser prima ch'unuom paz-
Giacer trovaro in su l'estreme arene, [zo
Che, come porco di loto e di guazzo
Tatto era brutto, e volto e petto e schene.
Costui si scagliò lor, come cagnazzo
Ch'assalir forestier subito viene;
E die lor noia, e tu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontarvi torno.
43 ♦
Di Marfisa, d'Astolfo, d'Aquilante,
Di Grifone e degli altri io vi vo' dire,
Che travagliati, e con la morte inante.
Mal si poteano incontra il mar schermire :
Che sempre più superba e più arrogante
Crescea Fortuna le minacce e l'ire;
E già durato era tre di lo sdegno.
Né di placarsi ancor mostrava segno.
44
Castello e baliador spezza e fracassa
Londa nimica e '1 vento ognor più fiero:
Se parte ritta il verno più ne lassa.
La taglia, e dona al mar tutta il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa
Su la carta appuntando il suo sentiero
A lume di lanterna piccolina,
E chi col torchio giù ne la sentina.
45
Un sotto poppe, un altro sotto prora
Si tiene innanzi l'oriuol da polve;
E torna a rivedere ogni mezz'ora.
Quanto è già corso, et a che via si volve.
Indi ciascun con la sua carta fuora
A mezza nave il suo parer risolve,
Là dove a un tempo i marinari tutti
Sono a consiglio dal padron ridutti.
46
Chi dice: Sopra Limissò venuti
41.3. accadesse; si presentasse. V. e. il,
67, n. 7. — buona; pi'opizia. Si dice per lo
più di fortuna, di vento ecc. Qui è forse
predicato: accadesse buona, venisse pro-
pizia, opportuna. Cfr. e. ii, 67, 7.
— 4. apparecchiasse a sciorsi ; si appa-
recchiasse a sciogliere. Di spostamento del
pronome abbiamo notato esempì arditis-
simi. V. e. XI, 49, 5. Non ammettendo questo
spostamento dobbiamo avvertire che di ap-
parecchiare per apparecchiarsi e di scio-
gliersi per sciogliere (v. e. x, 44, n. 1) non
ti citano esempi,
— 5. scoprir; scoprirsi, apparire. Si ha
uu altro esempio al e. x, 48, 1. — Girona;
città della Spagna non lungi da Barcellona.
— 8. trito, battuto. V. e. xii, 56, n. 4.
42. 1. prima che... trovare. V. e. v, 26, n. 7.
— 3. guazzo, l'acque onde uno è molle.
Bembo. Asol. 57 : « L'altra (colomba)... schia-
mazzatasi nella fonte... alla line malagevol-
mente uscita fuori, sbigottita e debole e
tutta del guazzo grave »,
— 4. volto ecc.; Son complem. di limi-
tazione. V. Fornaci A RI Sint. p. 349.
— 5. cagnazzo; Forma dialettale per ca-
gnaccio; maentrata assai presto nella lingua.
— 6. assalir v.; viene ad assai. V. e. i,
4, n. 1.
— 8. ricontarvi; raccontarvi. V. e. ix,
85, 6. Per il racconto vedi e. xviii, 145.
44. 1. Cast, e baliador. Per castello cfr. i
c. xiii, 16, n. 2. — baliador, più coraunem. I
ballatoio (forse da bellatorium, come si
trova nel Liinig, Contract. Regis Galliae
cura Venetis, 1268: naves habeant bellato-
rium de retro puppim). È un terrazzino
sporgente intorno alla poppa, per indi com-
battere. K notevole l' uso abbondante di
voci tecniche nella descrizione delle bur-
rasche; la qual cosa mostra o che 1' A. ne
fece uno studio speciale o che ricorse a
persone del mestiere. Lo stesso troviamo
nel Pulci, non già nel Boiardo.
— 3. il verno, la tempesta. V. e. xviu,
144, n. 6.
— 5. chino in n. e. Chino in, invece di
chino su o a non è citato dai vocab. Solo
il Tommaseo cita la Regola di S. Ben. 2,
2: « chinandoci nel male ». — cassa. Dentro
o sopra una cassa stava la carta geografica
per esser consultata dai marinari. Si po-
trebbe anche intendere la cassa dov' è la
bussola, sulle indicazioni della quale stu-
diano il loro viaggio, e prendono note.
— 6. appuntando; Riferito a carte geo-
grafiche, topografiche ecc. vale notare su
di esse i punti del viaggio. Galil. Galilei,
Sist. Ili : « Si fecero osservazioni... appun-
tando sopra la carta i luoghi di giorno in
giorno, ueir ora che il sole si trovava nel
meridiano»; e cosi la Crusca intende il
verso dell'A.; ma qui forse vuol dire pren-
dere appunti, oome appare dal v. 5 della
st. seguente.
— 8. E chi e. torchio ecc.; chi va a ve-
dere quant' acqua si è raccolta nella sen-
tina, che è la parte più bassa e buia della
nave.
45. 1. poppe; poppa. V. e. ix, n. 6.
— 6. A mezza nave; Quelli, che sotto poppa
e sotto prora banno indugiato qualche tem-
po, escono e si riuniscono nel mezzo della
nave in coperta e fanno, con gli appunti
presi, le loro osservazioni.
46. 1. Limissò ; Limisso, città di Cipro.
250
ORLANDO FURIOSO
Siamo, per quel ch'io trovo, alle seccagne;
Chi: Di Tripoli appresso 1 sassi acuti,
Dove il mar le più volte 1 legni fragne.
Chi dice: Siamo in Satalia perduti.
Per cui piud'unnocchiersospiraepiagne.
Ciascun secondo il parer suo argomenta,
Ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
47
Il terzo giorno con maggior dispetto
Gli assale il vento, e il mar più irato freme
E l'un ne spezza e portane il trinchetto,
E '1 timon l'altro, e chi lo volge insieme,
Ben è di forte e di marmoreo petto,
E più duro ch'acciar, ch'ora non teme.
Marfisa, che già fu tanto sicura,
Non negò che quel giorno ebbe paura.
48
Al monte Sinai fu peregrino,
A Gallizia promesso, a Cipro, a Roma,
Al Sepolcro, alla Vergine d'Ettino,
— 5. Satalia; città della Turchia asia-
lica, ora Satalieh. Sta sopra un golfo molto
pericoloso. V. e. xvii, 65.
47. 3. il trinchetto, (forse dal lat. trique-
trus, triangolare); Albero verticale delle
navi, che sorge vicino a prua; e anche la
vela di quest'albero (che in origine era
triangolare).
— 6. ch'ora; chi ora. Elisione insolita,
che si trova in altri tre luoghi del F., pur
nelle edizioni del 1516 e del 1521.
48. 1. fu peregrino... promesso; furon fatti
voti di pellegrinaggi. Nota il Barotti che
Amerigo Vespucci nel suo viaggio ITI dice :
« vi ricrebbe tanta tormenta, che dubitam-
mo perderci e avemmo di fare iieregrini
e altre ceremonie, come è usanza de' ma-
rinai per tali tempi». L'abate Ang. Maria
Bandini nelle sue note al Vespucci spiegò
far 2je7^egrini dicendo: «In occasione di
gran tempesta e rischio di navigare soglio-
no i marinai e i passeggieri ancora tirare
a sorte i nomi di quelli, che per pubblico
voto si obbligano a dover fare i tali e tali
altri pellegrinaggi devoti a' Santuari più ce-
lebri... Questo dicesi fare i ■pellegrini*. I
vocabolari non citano questa espressione.
Il monte Sinai fu celebre per il mona-
stero e per la chiesa di Santa Caterina,
presso il quale vi sono molti luoghi famosi
per sacre tradizioni e perciò visitati dai
peUegrini. — Oallizia, il famoso santuario
di s. Iacopo.
— 3. alla V. d'Ettino; Alcuni intendono
Tines in Candia, altri la fortezza di Utino
(Utinea) nel FriuU, altri finalmente Udine
(Utinum). Tutti questi luoghi avevano san-
tuari; ma lo stesso Porcacchi, che visse
poco dopo l'A. (1530-82), non sa qual luogo
intenda il Poeta. Il che mostra che la indi-
cazione non è chiara.
E se celebre luogo altro si noma.
Sul mare in tanto, e spesso al ciel vicino
L'afflitto e conquassato legno toma,
Di cui per men travaglio avea il padrone
Fatto Tarbor tagliar de l'artimone.
49
E colli e casse e ciò che v'è di grave
Gitta da prora e da poppe e da sponde;
E fa tutte sgombrar camere e giave,
E dar le ricche merci all'avide onde.
Altri attende alle trombe, e a tor di nave
L'acque importune, e il mar nel mar ri-
[fonde:
Soccorre altri in sentina, ovunque appare
Legno da legno aver sdrucito il mare.
50
Stero in questo travaglio, in questa pena
Benquattro giorni, enon avean più scher-
E n'avria avuto il mar vittoria piena, [mo ;
Poco più che '1 furor tenesse fermo;
Ma diede speme lor d'aria serena
La disiata luce di santo Ermo,
Ch'in prua s'una cocchina a por si venne;
Che più non v'erano arbori né antenne.
— 6. toma; Forse è significato affine a
quel di Dante, Inf. 32, 102: « Se mille fiate
in sul capo mi tomi »; cioè: mi picchi (col
piede) con violenza, abbandonandoti con
tutto il peso del corpo. Cosi il legno con
tutto il suo peso piccina sul mare, pur tro-
vandosi spesso, per causa dei flutti, vicino
al cielo.
— S. artimone (g. artémon) ; la vela del-
l'albero maggiore della nave.
49. 1. colli (ingl. coil, gomitolo di corda),
faldelli di mercanzia, nel senso moderno.
— 2, poppe; V. e. XI, 29, n. 4, e e. ix, 9,
n. 6. — sponde, il parapetto della nave.
— 3. giave (forse dal lat. cavea, attra-
verso il dial. veneto) ; stanze buie nella nave,
al disotto del secondo ponte, per depositi
speciali. Nel sec. xvii passò a significare
la stanza del capitano.
— 7. altri; Sono i calafati.
50. 6. Santo Ermo e Sant' Elmo (il Gu-
glielmotti lo fa derivare da S. Telmo, che
anticamente fu venerato dai marinai). K
una meteora elettrica, che apparisce tal-
volta, nelle burrasche, in cima agli alberi
o in basso vicino alla nave. Il pregiudizio
gli attribuiva, già nell'antichità classica,
origine soprannaturale; e si credeva che
annunziasse il finire della tempesta, se ap-
pariva in cima agli alberi, o con una fiam-
mella sola; il principio, se appariva vicino
alla nave o con due fiammelle.
— 7. cocchina; Una specie di vela piccola
e forte, simile a quelle che si mettevano
alle cocche (navi di grande scafo) e che si
alzava in qualche modo nell' estrema ne-
CANTO XIX
251
51
Veduto fiammeggiar la bella face,
S'inginocchiaro tutti i naviganti;
E domandaro il mar tranquillo e pace
Con umidi occhi e con voci tremanti.
La tempesta criidel, che pertinace
Fu sin allora, noo andò più inanti:
Maestro e Traversia pili non molesta,
E sol del mar tirau Libecchio resta.
52
Questo resta sul mar tanto possente,
E da la negra bocca in modo esala,
Et è con lui si il rapido torrente
De l'agitato mar ch'in fretta cala,
Ohe porta il legno più velocemente,
Che pellegrin falcou mai facesse ala.
Con timor del nocchier ch'ai fin del mondo
Non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo.
53 [trova
Eiraedio a questo il buon nocchier ri-
Che comanda gittar per poppa spere.
cessila in caso di tempesta, quando si erau
tolte le vele grandi, per dirigere alla meglio
la nave; e anche il pennone di detta vela,
come pare si debba intendere in questo
luogo, e coni' è nel Morgante, 20, 34 ; « Ed
albera un'antenna di rispetto Ed a mez-
z'asta una cocchina pone ».
51. 7. Traversia; Quel vento che soffiaper-
pendicolare al lido d' un luogo destinato e
che quindi spinge nell' opposta parte.
— S. tiran; Gli antichi rimproverarono
al poeta questo e altri troncamenti insoliti
(V. Nisiely, Pvog. V.). — Libecchio, libeccio;
vento di ovest-sud-ovest; detto cosi perchè,
f per noi, spira di verso la Libia.
52. 2. da la n. bocca. I venti eran figurati
dalle arti del diseguo colla bocca semi-
aperta 0 solììanti in una tromba. Euro era
figurato nero, perché spira dalla Etiopia.
Per questo o per i nuvoloni neri 1' A. ha
detto negra b.
— 6. pellegrin f. Il falcon pellegrino (si
chiamava cosi perché era uccello di passo), t
tra le molte specie di falconi usati nelle cacce ì
del medio evo, era il più comune e il più
adoperato. Intendi : più velocemente di quan- '
to mai ala portasse p. f. Alcuni, come il Ca-
sella, franteudoiio questo verso, ingannati ,
dal verbo facesse (per cui cfr. e. xv, 52, 1
n. 7) e spiegano fare ala per volare. \
53. 2. spere ; (il Guglielmotti lo fa deri-
vare da sperare). Fasci di tavole, di legna, '
di materassi e simili, che, legati con una
fune si gettavano in mare da poppa, e che, ;
rimorchiati, servivano a trattener la corsa '
della nave; ma soprattutto servivano ad ■
impedire che la nave si traversasse (vedi
il fenomeno descritto nel e. xli, 13) ; cioè
presentasse la sua sponda normalmente al-
E caluma la goraona, e fa pruova
Di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio, e più l'augurio giuova
Di chi avea acceso in proda le lumiere:
Questo il legno salvò, che peria forse,
E fé' ch'in alto mar sicuro corse.
54
Nel golfo di Laiazzo in ver Scria
Sopra una gran città si trovò sorto,
E si vicino al lito, che scopria
L'uno e l'altro Castel che serra il porto.
Come il padron s'accorse,de la via
Che fatto avea, ritornò in viso smorto;
Che né porto pigliar quivi volea,
Xè stare in alto, né fuggir potea.
55
Né potea stare in alto, né fuggire;
Che gli arbori e 1' antenne avea perdute.
Eran tavole e travi pel ferire
Del mar sdrucite, macere e sbattute.
E '1 pigliar porto era un voler morire,
0 perpetuo legarsi in servitnte;
Che riman serva ogni persona, o morta,
Che quivi errore o ria fortuna porta.
56
E '1 stare in dubbio era con gran periglio
Che non salisser genti de la terra
Con legni armati, e al suo desson di piglio,
l'impeto dell'onde. Cfr. Rivista marittima,
giugno 1899, p. 567.
— 3. caluma la gomena; cala a poco a
poco la goraena, a cui sono attaccate le an-
core di rispetto. E parol. tecn. da calare u<l
hu/uwm, e. a terra: cfr. adimare (adimurii).
— 4. di d. t. del corso r. ; di ritenere due
terzi del corso.
— 6. le lumiere; i lumi di S. Ermo. Lu-
miera per lume usò anche Dante, Inr'
4, 103.
54. 1. golfo di Laiazzo; l'antico Simis Isst-
cus ; oggi golfo di Alessandretta. Laiazzo o
Aiazzo (oggi Aias) è piccola città sulla riva
settentrionale del golfo d'Alessandretta.
— 2. sorto. Fermato dalle ancore, che
trovarono fondo. V. e. iv, 51, 5.
— 6. ritornò; come era stato durante la
tempesta.
55.4. sdrucite accenna all'insieme delle
tavole, che stavano mal connesse; macere
alla fibra logora del legno, che per ciò mal
poteva raccomodarsi ; sbattute alle singole
tavole, che non stavan più ferme al loro
posto, ed erano scoìiquassate.
56.2. salisser; saltassero SU, si sollevas-
sero. Ma in questo senso non si citano e-
sempi. Può anche intendersi; salissero nelf^'
loro navi e dessero con esse, di piglio alla
sua. Cosi avremmo un leggero spostamento
del con legni armati. È preferibile questa
seconda interpretazione.
252
ORLANDO FURIOSO
Mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
Fu domandato da quel d'Inghilterra,
Chi gli tenea si l'animo suspeso,
E perché già non avea il porto preso.
57
Il padron narrò lui che quella riva
Tutta tenean le temine omicide,
Di quai l'antiqua legge ognun ch'arriva.
In perpetuo tien servo, o che l'uccide:
E questa sorte solamente schiva
Chi nel campo dieci uomini conquide,
E poi la notte può assaggiar nel letto
Diece donzelle con carnai diletto.
58
E se la prima pruova gli vien fatta,
E non fornisca la seconda poi,
Egli vien morto, e chi è con lui si tratta
Da zappatore o da guardiau di buoi.
Se di far l' uno e l'altro è persona atta.
Impetra libertade a tutti i suoi;
A sé non già, e' ha da restar marito
Di diece donne, elette a suo appetito.
59
Non potè udire Astolfo senza risa
De la vicina terra il rito strano.
Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa,
Indi Aquilante, e seco il suo germano.
Il padron parimente lor divisa
— 6. q. d' Ingh. Astolfo.
— 7. Chi ; che cosa. Riferito a cosa an-
che nel e. xxviii, 32, 8. Alamanni, Coltiv.
Ili, 71 : « E vau tessendo chi le scaldi e
copra ».
57. 3. Di qnai, delle quali. V. e. il, 15. n. 8.
— 4. 0 che; V. e. iv, 35, n. 5. — l' ucci-
de; lo fa uccidere, lo condanna a morte.
Per le fonti di questo racconto cfr. e. xx,
13 e 27 n.
— C. nel campo; nella piazza d'armi, in
battaglia singolare.
58. 3. si tratta ecc. Veramente trattare
uno da vuol dire tenerlo come se fosse; ma
qui, con estensione di significato non citata
dai vocab., vuol dire adoprare per (zap-
pare la terra o guardare i buoi) . Ciò s' in-
tende di chi non vuol cimentarsi al doppio
combattimento.
— 5. di far... atta. Di questo costrutto
non si citano esempi. Comunemente atto a ;
e raramente atto per.
— 8. a suo appetito ; a sua voglia, a suo
talento.
59. 2. rito. Comunemente si riferisce a
ceremonie religiose ; ma per usanza è già
nel Boccaccio. Fianim. 13: «i quali (Vir-
gilio e Omero) tanti riti di Greci di Troiani
d' Italici ne' loro versi descrissero ».
— 5. divisa; espojie. E frequentissimo
nella letteratura.
La causa che dal porto il tien lontano:
Voglio (dicea) che inanzi il mar m'affoghi,
Ch'io senta mai di servitude i gioghi.
60
Del parer del padrone i marinari
E tutti gli altri naviganti furo:
Ma Marfisa e compagni eran contrari.
Che, più che l'acque il lito avean sicuro.
Via più il vedersi intorno irati i mari.
Che cento mila spade, era lor duro.
Parca lor questo e ciascun altro loco
Dov'arme usar potean, da temer poco.
61
Bramavano i guerrier venire a proda,
Macon maggior baldanza il ducainglese;
Che sa, come del corno il rumor s'oda,
Sgombrar d'intorno si farà il paese.
Pigliare il porto l'una parte loda,
E l'altra il biasma, e sono alle contese;
Ma la più forte in guisa il padron stringe,
Ch'ai porto,suomalgrado,illegao spinge.
62
Già, quando prima s'erano alla vista
De la città crudel sul mar scoperti,
Veduto aveano una galea provista
Di molta ciurma e di nocchieri esperti
Venire al dritto a ritrovar la trista
Nave, confusa di consigli incerti;
Che, l'alta prora alle sue poppe basse
Legando, fuor de l'empio mar la trasse.
63
Entrar nelportoremorchiando, e a forza
Di remi più che per favor di vele:
Però che l'alternar di poggia e d'orza
60. 4. avean s. ritenevano sicuro. Berm,
Jan. 34, 66: « Quella gente villana Che ci ha
si vili ». È il lat. habere, che ha pure questo
significato.
62.1. quando pr. ; subito che. È il cum
primum dei Latini. Sallustio, Cateti. 44:
« Quando prima vide gli ambasciatori ».
— 2. sul mar scoperti; erano apparsi sul
mare in vista della città.
— 1. ciurma (etimolog. oscura) ; indicò
dapprima tutto 1' equipaggio; nel sec. xvn
fu limitata a significare i forzati rematori.
— 7. Che; Riferiscilo &\\2l galea. Si con-
trappone Yalta prora della nave forestiera
alle poppe basse della galea, perché la prua
suole essere più elevata della poppa; o for-
s' anche perché la caracca, come nave da
carico, era più alta della galea. Per il plur.
poppe cfr. e. XI, 29, n. 4.
63.3. l'alternar ecc. Petr. I, son, 128:
« Senz' alternar poggia con orza Dritto per
r aure al suo desir seconde »; e il Carducci,
seguendo il Castelvetro, annota: « senza
piegar dall' una parte all' altra e dall'altra
all' una. Poggia ed orza son voci dell'arte
marinarésca significanti i lati della nave,
CANTO XIX
253
Avea levato il vento lor crudele.
Intanto ripigliar la dura scorza
I cavallieri, e il brando lor fedele;
Et al padrone et a ciascun che teme,
Non cessan dar con lor conforti speme.
64
Fatto è '1 porto a sembianza d'una luna
E gira più di quattro miglia intorno :
Seicento passi è in bocca, et in ciascuna
Parte una rocca ha nel finir del corno.
Non teme alcun assalto di fortuna.
Se non quando gli vien dal Mezzogiorno.
A guisa 'di teatro se gli stende
La città a cerco, e verso il poggio ascende.
65
Non fu quivi si tosto il legno sorto
(Già ravviso era per tutta la terra),
Che fur sei mila temine sul porto,
Con gli archi in mano, in abito da guerra;
E per tòr de la fuga ogni conforto.
Tra runa rocca e l'altra il mar si serra:
Da navi e da catene fu rinchiuso,
Che tenean sempre instrutte a cotal uso.
66
Una che d'anni alla Cumea d'Apollo
Potè uguagliarsi e alla madre d'Ettorre,
Fé' chiamare il padrone e domandoUo
Se si volean lasciar la vita tórre,
O se voleano pur al giogo il collo,
Secondo la costuma, sottoporre.
Degli dua l'uno aveano a torre: o quivi
Tutti morire, o rimaner captivi.
67
Gli è ver (dicea) che s'uom si ritrovasse
Tra voi cosi animoso e cosi forte,
Che contra dieci nostri uomini osasse
Prender battaglia, e desse lor la morte,
E far con diece temine bastasse
Per una notte ufficio di consorte;
Egli si rimarria principe nostro,
E gir voi ne potreste al camin vostro,
68
E sarà in vostro arbitrio il restar anco.
che non ha il vento diritto». Dunque l'A.
vuol dire che il vento spirava cosi contra-
rio, che impediva di bordeggiare.
— 5. 1. d. scorza; l'armatura.
64. 1. Fatto ecc. Questo porto d'Alessan-
dretta, descritto stupendamente dall'A. era,
prima della scoperta del Capo di Buona
Speranza, importantissimo emporio delle
Indie; oggi ha pochissima importanza.
— 5. fortuna, tempesta.
65. 8. instrutte ; apparecchiate (lat. in-
structus). Cosi Cic. 4. Verr. 34: «domum
exornatam et instructam ».
66. 1. Carnea ecc. V. e. vii, TA.
. — 6. costuma, costume. Già Dante, Inf.
29, 127: «E Niccolò, che la costuma ric-
ca ecc. ».
Vogliate 0 tutti o parte; ma con patto
Che chi vorrà restare, e restar franco,
Marito sia per diece temine atto.
Ma quando il guerrier vostro possa manco
Dei dieci che gli fian nimici a un tratto,
O la seconda prova non fornisca;
Vogliàn voi siate schiavi, egli perisca.
69
Dove la vecchia ritrovar timore
Credea nei gavallier, trovò baldanza;
Che ciascun si tenea tal feritore.
Che fornir l'uno e l'altro avea speranza:
Et a Marfisa non mancava il core.
Ben che mal atta alla seconda danza;
Ma dove non l'aitasse la natura.
Con la spada supplir stava sicura.
70
Al padron fu commessa la risposta.
Prima conchiusa per commun consiglio:
Ch' avean chi lor potria di sé a lor posta
Ne la piazza e nel letto far periglio.
Levan l'otfese, et il nocchier s'accosta,
Getta la fune e le fa dar di piglio;
E fa acconciare il ponte onde i guerrieri
Escono armati, e tranno i lor destrieri.
71
E quindi van per mezzo la cittade,
E vi ritrovan le donzelle altiere.
Succinte cavalcar per le contrade.
Et in piazza armeggiar come guerriere.
Né calciar quivi spron, né cinger spade.
Né cosa d'arme pon gli uomini avere.
Se non diece alla volta, per rispetto
De l'antiqua costuma ch'io v'ho detto.
72
Tutti gli altri alla spola, all'aco, al fuso,
Al pettine et all'aspo sono intenti,
Con vesti femraiuil che vanno giuso
Insin al pie, che gli fa molli e lenti.
Si tengono in catena alcuni ad uso
68. 6. a un tratto; in un medesimo tempo.
70.3. lor... di sé... far p.; far con loro
prova di sé. È il latino pertculum facere.
Fu modo amato molto dal Monti, Mascher.
I, 85; Bardo v, 74; II. v, 288.
— 5. Levan le off. ; quei della città tol-
gono l'offensiva. Meno bene, sembra, la Cru-
sca : convengono di non s' offendere. Non
cita altri esempì.
— 8. tranno ; traggono. È il plur. di tra
da trare: V. e. xi, 12, n. 5; come danno,
da dare, fanno da fare.
71. 5. calciar, calzar; secondo il latino
calceare. Si cita questo solo es. dell' A.
— 6. pon; ponno.
72. 4. che gli fa; il che gli fa. Per quest'uso
del che cfr. e. xx, 129, n. 6. Può essere an-
che relativo di vesti; e in tal caso, per il
verbo al sing., cfr. e. xi, 82, n. 8.
— 5. si t. in catena ; si t. colla catena ai
piede.
254
ORLANDO FURIOSO
D'arar la terra, o di guardar gli armenti.
Son pochi i maschi, e non son ben, per
Femine, cento, fra cittadi e ville, [mille
73
Volendo tórre i cavallìeri a sorte
Chi di lor debba per commune scampo
L'ima decina iu piazza porre a morte,
E poi l'altra ferir ne l'altro campo;
Non disegnavan di Marfisa forte,
.Stimando che trovar dovesse inciampo
Ne la seconda giostra de la sera;
Ch'ad averne vittoria abil non era:
74
Ma con gli altri esser volse ella sortita.
Or sopra lei la sorte in somma cade.
Ella dicea: Prima v'ho a por la vita,
Che v'abbiate a por voi la libertade.
Ma questa spada (e lor la spada addita,
Che cinta avea) vi do per securtade
Ch'io vi sciorrò tutti gl'intrichi al modo
Che fé' Alessandro il Gordiano nodo.
75
Non vo' mai pili che forestier si lagni
Di questa terra, fin che '1 mondo dura.
Cosi disse; e non poterò i compagni
Tórle quel che le dava sua avventura.
Dunque 0 ch'in tutto perda, o lor guadagni
La libertà, le lasciano la cura. .
Ella di piastre già guernita e maglia
iS'appresentò nel campo alla battaglia.
76
Gira una piazza al sommo de la terra,
Di gradi a seder atti intorno chiusa;
Che solamente a giostre, a simil guerra,
A caccie, a lotte e non ad altro s'usa:
Quattro porte ha di bronzo, onde si serra.
73.5. Non disegnavan ecc.; non facevano
assegnamento sulla forte Marfisa. In questo
.senso il Machiavelli Leg. 3, 401, usò dise-
gnare su\ il Caro, iett. 1, 254, disegnare
in. Il costrutto disegnare di non è citato
dai vocabol.
74. 1. sortita, sorteggiata ; cosi nel e. xxx,
21, 3, Caro, Eìi. 5, 190: « Indi, sortiti i lochi,
al suo ciascuno Si pose in fila ».
— 2. in somma; in conclusione, per dir
tireve.
— 8. Che fé' Aless. Aless. non riuscendo
a sciogliere il nodo del re di Frisia, Gordio,
(scioghmento dal quale dipendeva, secondo
un oracolo, l'impero dell'Asia), lo recise
colla spada.
75. 3. potere; È forma rarissima negli
antichi, che lo scrissero comunemente pòt'
zero. V. N ANN UCCI, An. Cr. p. 648.
76. 1. al sommo d. 1. 1. ; nella parte più alta
della città. V. st. 61, 8.
— 3. a simil g. ; a questa guerra, che si
fa ogni volta che qualcuno arriva di fuori.
— 5. onde ; colle quali. È d' uso fre-
quente.
Quivi la moltitudine confusa
De l'armigere femine si trasse;
E poi fa detto a Marfisa ch'entrasse.
77
Entrò Marfisa s'un destrier leardo.
Tutto sparso di macchie e di rotelle,
Di piccol capo e d'animoso sguardo,
D'andar superbo e di fattezze belle.
Pel maggiore e più vago e più gagliardo,
Di mille che n'avea con briglie e selle,
Scelse in Damasco, e realmente ornollo,
Et a Marfisa Norandin donollo.
78
Da Mezzogiorno e da la porta d'Austro
Entrò Marfisa; e non vi stette guari.
Ch'appropinquare e risonar pel claustro
Udi di trombe acuti suoni e chiari:
E vide poi di verso il freddo plaustro
Entrar nel campo i dieci suoi contrari.
Il primo cavali ier ch'apparve inante.
Di valer tutto il resto avea sembiante.
79 [striero
Quel venne in piazza sopra un gran de-
che, fuor ch'in fronte e nel pie dietro man-
Era, più che mai corbo, oscuro e nero : [co.
Nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavalliero
Vestito, volea dir che, come manco
77. 1. leardo; (ant. frane, liart, d'etimol.
ignota), grigio pomellato.
— 2. rotelle; macchie tonde. Dante, Inf.
17, 15.
— 6. Di mille ; fra m. Bocc, Filoc, 6 :
« Cortesissimo giovane è costui, di quanti
mai io vedessi ». É il costrutto del superi,
latino.
— 7. Scelse; Sottint. lo. — realmente, re-
galmente.
78. 1. Da mezzogiorno; a mezzogiorno, nel-
l' ora di mezzogiorno. V. e. viii, 86, 1 ; 2.
— da la p. d'A. Le porte o entrature delle
piazze d' armi guardavano i quattro punti
cardinali. Gli avversari entravano per le
due opposte. Cosi Marfisa entra dalla porta
di mezzogiorno (Austro), i nemici da quella
di settentrione.
— 3. clanstro (lat. claustrum, luogo chiu-
so); campo chiuso, piazza d'arme. È un
uso poetico e notevole.
— 1. di trombe ecc. Erano gli araldi, che
precedevano i combattenti.
— 5. freddo plaustro (latino ìHaustrum,
carro), il carro dell' Orsa, settentrione.
79.6. come manco ecc. L'ediz. del '16 e
del '21 leggono : « come manco Era il chiaro
che '1 scuro ». Credono alcuni commenta-
tori che l'A., per toglier la durezza, non
avvertisse l'errore di senso. Ma perché non
potremmo intendere manco per manche-
vole, come nel e. xxvi, 43, 6? e interpre-
CANTO XIX
255
Del chiaro era l' oscuro era altretauto
Il riso in lui verso l'oscuro pianto.
80
Dato che fu de la battaglia il segno,
Nove guerrier l'aste chinare a un tratto:
Ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sde-
Si ritirò, né di giostrar fece atto, [gno ;
Vuol ch'alle leggi inanzi di quel regno,
Ch'alia sua cortesia sia contrafatto.
Si tra' da parte, e sta a veder le prove
Ch'una sola asta farà centra a nove.
81
11 destrier, ch'avea andar trito e soave,
Portò all'incontro la Donzella in fretta,
Che nel corso arrestò lancia si grave.
Che quattro uomini avriano a pena retta.
L'avea pur dianzi al dismontar di nave
Per la più salda in molte antenne eletta.
Il tìer sembiante con ch'ella si mosse.
Mille faccio imbiancò, mille cor scosse.
S2
Aperse al primo che trovò, si il petto,
Che fora assai che fosse stato nudo:
tare: come manchevole di chiaro era roscu-
ro, cosi il riso era poco, manchevole, nel
pianto di lui.
— S. oscuro p. ; malinconico p. Petr. ii,
16: «oscuro e grave cuore». E Lor. Med.
Rime, 2: «Onde ch'ogni mio gaudio è con-
vertito In pianto oscuro ».
80. 1. il segno. Gli araldi davano tre se-
guali di tromba, al terzo i combattenti si
azzuffavano.
— 3. q. dal nero; q. dal vestimento nero.
Espressione ardita, che lùcorre in altro
luogo; e. XIV, 38.
— 6. alla sua cortes. I buoni cavalieri non
combattevano mai contro avversari infe-
riori per numero e per altre circostanze
indipendenti dal valor personale. V. st. 8S.
— s. contraffatto, sia disubbidito; o anche:
sia fatto contro. È usato in ambedue i sensi.
— 7. tra' ; V. e. XI, 12, n. 5.
81. 1. trito. Detto di passo o simili, signi-
fica piccolo e frequente . — soave, pari, senza
scosse. V. e. xxxi, 88. Queste circostanze fa-
voriscono l'aggiustatezza del colpo.
— 2. all' incontro, allo scontro. Cosi nel
e. XVII, 89; XXX, 48 e altrove.
— :j. arrestò ; mise in resta. V. e. ii, 50,
u. :..
— 4. avriano; Sottin. la.
— 6. in m. a; fra m. a. Questo signifi-
cato dell' in passò dal latino nella nostra
bugna. Dante, Purg. 29, 85: «benedetta
tue Nelle figlie d'.\damo ».
82. 2. fora assai che; f. ass. se fosse st. u.
Questo che ipotetico è assai notevole. Se ne
cita qualche esempio antico ; Volgarizzam.
delle Pistole d'Ovidio, 199: « Avvegnaché io
sia in dubbio eh' io ti pigli ».
Gli passò la corazza e il soprapetto.
Ma prima un ben ferrato e grosso scudo.
Dietro le spalle un braccio il ferro netto
Si vide uscir: tanto fu il colpo crudo.
Quel fitto ne la lancia a dietro lassa,
E sopra gli altri a tutta briglia passa:
83
E diede d'urto a chi venia secondo,
Et a chi terzo si terribil botta,
Che rotto nella schena uscir dei mondo
te l'uno e l'altro, e de la sella a un'otta:
Si duro tu l'incontro e di tal pondo.
Si stretta insieme ne venia la frotta.
Ho veduto bombarde a quella guisa
Le squadre aprir, che fé' lo stuol Marfisa.
84
Sopra di lei più lance rotte furo;
Ma tanto a quelli colpi ella si mosse.
Quanto nel giuoco de le caccie un muro
Si muova a colpi de le palle grosse.
L usbergo suo di tempra era si duro,
Che non gli potean centra le percosse;
E per incanto al foce de l'inferno
Cotto, e temprato all'acque fu d'Averne.
85
Al fin del campo il destrier tenne, e volse,
E termo alquante: e in fretta poi le spinse
Incontragli aItri,esbarragliolli e sciolse,
E di lor sangue insin all'elsa tinse.
All'une il capo, all'altro il braccio tolse ;
E un altro in guisa con la spada cinse.
— 3. soprapetto; Veste imbottita di lana,
che si portava sotto la corazza per non a-
verne ammaccato il petto.
83. 1. diede d'urto; urtò con una nuova
lancia. È noto che gli scudieri fornivano al
cavaliere nuove lance, quando ne aveva bi-
sogno. Più spesso però, rotta la lancia, ve-
nivau tosto alla spada. Qui 1' urto, il rom-
lìerli nella schena, e il gettarli di sella,
accennano all'azione della lancia piuttosto
che della spada : e sembra che una stessa
lancia infilasse il secondo ed il terzo.
— 5. di t. pondo; di tal gravità.
-— 8. che fé; che apri, come apri. V. e.
XV, 52, n. 7.
84. 3. n. giuoco d. caccie; Antico giuoco
fiorentino, che si faceva scagliando un pal-
lone a vento colla mano o col piede : e cac-
cia era il cacciare una volta la palla fuori
dello 'steccato. V. Giov. de' Bardi. Giuoco
del Calcio.
— 4. a colpi; ai e. V. e. ii, 15, n. 8.
— 7. per incanto ecc. Cosi pure neWlnn.
I, XVIII, 5.
85. 3. sciolse, disunì.
— 4. insin all'elsa; fino l'elsa. V. e. i,
28, n. 8.
— 6. cinse, colpi in pieno. Cosi anche al
e. XXV, 11. È vivo ancora in certe locu-
zioni: cingere uìia bastonata, un pugno;
*256
ORLANDO FURIOSO
Che '1 petto in terraandò col capo et ambe
Le braccia, e in sella il ventre era e le gam-
86 Lbe.
Lo parti, dico, per dritta misura,
De le coste e de 1 anche alle confine,
E lo fé' rimaner mezza figura,
Qual dinanzi all'imagini divine.
Poste d'argento, e più di cera pura
Son da genti lontane e da vicine,
Ch'a ringraziarle, e sciorre il voto vanno
De le domande pie ch'ottenute hanno.
87
Ad uno che fuggia dietro si mise,
Né fu a mezzo la piazza, che lo giunse,
E '1 capo e '1 collo in modo gli divise.
Che medico mai più non lo raggiunse.
In somma tutti, un dopo l'altro, uccise,
O feri si ch'ogni vigor n'emunse;
E fu sicura che levar di terra
Mai più non si potrian per farle guerra.
88 [to,
Stato era il cavallier sempre in un can-
Che la decina in piazza avea condutta;
Però che centra un solo andar con tanto
Vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per una man tórsi da canto
Vide si tosto la compagna tutta,
Per dimostrar che la tardanza fosse
Cortesia stata e non timor, si mosse.
89
Con man fé' cenno di volere, inanti
Che facesse altro, alcuna cosa dire;
E non pensando in si viril sembianti
Che s'avesse una vergine a coprire.
Le disse: Cavalliero, omai di tanti
Esser dèi stanco, ch'hai fatto morire;
E s'io volessi, più di quel che sei.
Stancarti ancor, discortesia farei.
90
Che ti riposi insino al giorno nuovo,
E doman torni in campo ti concedo.
Non mi fia onor se teco oggi mi prnovo,
Cile travagliato e lasso esser ti credo.
Il travagliare in arme non m'è nuovo,
Né per si poco alla fatica cedo
(Disse Marfisa); e spero ch'a tuo costo
Io ti farò di questo avveder tosto.
91
De la cortese offerta ti ringrazio;
Ma riposare ancor non mi bisogna;
E ci avanza del giorno tanto spazio,
Ch'a porlo tutto in ozio è pur vergogna.
Rispose il cavallier: Fuss'io si sazio
D'ognaltra cosa che 'l mio core agogna,
Come t'ho in questo da saziar; ma vedi
Che non ti manchi il di più che non credi.
92
Cosi disse egli, e fé' portare in fretta
Due grosse lance, anzi due gravi antenne;
Et a Marfisa dar ne fé' l'eletta:
Tolse l'altra per sé, ch'indietro venne.
Già sono in punto, et altro non s'aspetta
Ch'unalto suonchelorlagiostra accenne.
Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba
Nel mover loro al primo suon di tromba.
93
Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi
Non si vedea de' riguardanti alcuno:
Tanto a mirare a chi la palma tocchi
Dei duo campioni, intento era ciascuno.
Marfisa, acciò che de l'arcion trabocchi
Si, che mai non si levi il guerrier bruno.
Drizza la lancia; e il guerrier bruno forte
Studia non men di por Marfisa a morte.
94
Le lancieambe di secco e suttil salce,
Non di Cerro sembrar grosso et acerbo;
€ anche cingere uno con una bastonata,
un pugno ecc.
86. 1. dritta m. ; giusta m. Dante, Inf. 18,
4: « Nel dritto mezzo del campo maligno ».
— 2. alle confine (dal plur. latino confi-
nia). È forma usala non di rado dagli an-
tichi.
— 4. Qnal ; quali, d' argento o di cera,
son poste dinanzi ecc. Accenna alle statuette
votive, che figurano il santo, a cui si ren-
dono grazie. Su quest' uso cfr. Sacchetti,
Nov. 109.
— 8. De le d. pie. Dipende da ringra-
ziarle e per figura di zeugma da sciorre
il voto.
87. 4. ragginnae, ricongiunse.
— 6. n'emunse. V. e. Ili, 27, n. 6.
88. 6. compagna, compagnia. V. e. IV, 39,
n. 4.
90. 7. a tuo costo ; a tue spese. È anche
della prosa. Cecchi, Comm. ined. 434: « Gli
imparerà a suo costo ».
91. 4. porlo, consumarlo. Bocc, Lett. Pin.
Rossi : « Non solo 1' avere, ma anche le per-
sone avete poste ».
— 7. t'ho... da 8. ; ho da saziarti, posso
saziarti. Vi è il solito spostamento del pro-
nome.
92. 3. l'eletta, la scelta. Dar l'eletta del-
l'arnie era espressione tecnica del duello.
Allo sfidato toccava, di regola, 1' eletta.
— 6. accenne, dia il segno. In questo
senso non è registrato dai vocab,
— 8. al primo suon d. t. Al primo dei tre
squilli di tromba dati dall' araldo (cfr. e. v,
88, 3 ) i combattenti andavano a prendere
il posto, donde avevano a partire; al se-
condo prendevan le lance, al terzo si slan-
ciavano nello steccato, e si azzulTavano.
93. 7. forte, non men forte, non meno
ardentemente.
94. 2. acerbo, verde. Il cerro verde è più
pieghevole, quantunque più fragil del secco.
Potrebbe anche intendersi per giovane e
CANTO XIX
257
Cosi n'andaro in tronchi fin al calce;
E rincontro ai destrier fu si superbo,
Che parimente parve da una l'alce
De le gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Cadero arabi ugualmente; ma i campioni
Fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.
95
A mille cavallieri, alla sua vita,
Al primo incontro avea la sella tolta
Marfisa, et ella mai non n'era uscita;
E n'usci, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita,
Ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavallier dal nero,
Che non solea cader già di leggiero.
96
Tocca avean nel cader la terra a pena.
Che furo in piedi, e rinovàr l'assalto.
Tagli e punte a furor quivi si mena:
Quivi ripara, or scudo, or lama, or salto.
Vada la botta vota, o vada piena,
L'aria ne stride, e ne risuona in alto.
(Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi
Mostrar ch'erano saldi più ch'incudi.
97
Se de l'aspra donzella il braccio è grave.
Né quel del cavallier nimico è lieve.
Ben la misura ugual l'un da l'altro bave:
Quanto appunto l'un dà, l'altro riceve.
Chi vuol due fiere audaci anime brave,
Cercar i)iù là di queste due non deve,
Né cercar più destrezza né più possa;
Che n'han tra lor quanto più aver si possa
perciò più sano e forte ; ma la prima inter-
pretazione è confermata dalla Principe. « K
non di verde fi'assino superbo ».
— 3. calce; Forma frequente negli an-
tichi per calcio (della lancia, dell'arcbibuso).
— 4. superbo ; aspro. Cosi al e. xxvi, 82.
Si citano questi soli luoghi dell'A.
— 7. Cadere, caderono, caddero. È il per-
fetto regolare cadei, (Tasso, Ger. 8, 25),
che ora non si usa più. Cosi anche nel
canto XXXII, 79.
95. 1. alla sua vita; in vita sua. È modo
molto usato dagli antichi, specialmente dal
Pulci Morg. 7, 7 ; 1 1, 45. L'A. l' usò anche nel
e. xxvii, 88; XXVIII, 9.
— 4. a questa volta. Cosi anche nel e.
XXXIII, 118. È frequentissimo nel Pulci,
Morg. 10, 64; 26, 1.
— 6. stolta; stordita. Questo senso non è
registrato dai vocab.
— 7. e. dal nero. V. e. xiv, 38, 2; ma là
si riferisce a Orlando, qui a Guidon Sel-
vaggio.
96. 3. si mena ; si menano tagli e puntate.
Sul verbo al sing. cfr. e. ix, 82, n. 8.
— 4. ripara; serve di riparo ai colpi.
97.2. He; neppure. V. e. ii, 41. n. 4.
Ariosto — Papini
98
Le donne che gran pezzo mirato hanno
Continuar tante percosse orrende
E che nei cavallier segno d'alìfanno
E di stanchezza ancor non si comprende
Dei duo miglior guerrier lode lor danno'
Che sien tra quanto il mar sua braccia
D 1 i_ [estende.
Par lor che, se non fosser più che forti
Esser dovriau sol del travaglio morti '
99
Ragionando tra sé, dicea Marfisa:
Buon fu per me, che costui non si mosse-
Ch andava a risco di restarne uccisa,
Se dianzi stato coi compagni fosse,
Quando io mi trovo a pena a questa'guisa
Di potergli star contra alle percosse
Cosi dice Marfisa; e tutta volta
Non resta di menar la spada in volta
100
Buon fu per me (dicea quell'altro anco-
Che riposar costui non ho lasciato, fra)
Difender me ne posso a fatica ora
Che de la prima pugna è travagliato.
Se fin al nuovo di facea dimora
A ripigliar vigor, che saria stato?
Ventura ebbi io, quanto più possa aversi
Che non volesse tòr quel ch'io gli oflfersi'
101
La battaglia durò fin alla sera:
Né chi avesse anco il meglio era palese:
Né l'un né l'altro più senza lumiera
Saputo avria come schivar l'oft'ese.
Giunta la notte, all'inclita guerriera
P'u primo a dir il cavallier cortese:
Che farèn, poi che con ugual fortuna
N ha sopragiunti la notte importuna?
102
Meglio mi par che '1 viver tuo prolunghi
Almeno insino a tanto che s'aggiorni.
Io non posso concederti che aggiunghi
Fuor ch'una notte piccìola ai tua giorni ;
98.3. che; Dipende da mirato hanno,
ma dal contesto bisogna rilevare un pre-
sente mirano.
— 6. sua; sue. Sua, tua, mia per il
plur. suoi, sue, ecc., usarono spesso gli an-
tichi Toscani ed è vivo ancora nella plebe.
— sien tra quanto; sieno per tanta terra fra
quanta ecc. Qui dunque il tra ha, oltre il
significato comune, anche 1' altro notato al
e. XVI, 15, n. 2.
99.5. Quando; poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— 6. Di potergli. II costrutto trovarsi di
fare una cosa non é citato dai vocab. che
citano solo trovarsi a, o il solo infinito di-
pendente senza prep.
101. 7. farèn; V. e, ix, 43, n. 8.
102. 3. aggiunghi; aggiunga. V. e. xv,
86, n. 5
17
258
ORLANDO FURIOSO
E di ciò che non gli abbi aver più lunghi,
La colpa sopra me non vo' che torni:
Torni pur sopra alla spietata legge
Del sesso l'eminil che '1 loco regge.
103
Se di te duolmi e di quest'altri tuoi,
Lo sa colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco tu puoi:
Con altri non avrai stanza sicura;
Perché la turba a cu' i mariti suoi
Oggi uccisi hai, già contra te congiura.
Ciascun di questi a cui dato hai la morte,
Era di diece femine consorte.
104
Del danno ch'han da te ricevut'oggi,
Disian novanta femine vendetta:
yi che, se meco ad albergar non poggi.
Questa notte assalito esser t'aspetta.
Disse Marfisa: Accetto che m'alloggi,
Con sicurtà che non sia meu perfetta
In te la fede e la bontà del core,
Che sia l'ardire e il corporal valore.
105 [dere.
Ma che t'incresca che m'abbi ad ucci-
Ben ti può increscere anco del contrario.
Fin qui non credo che l'abbi da ridere.
Perch'io sia men di te duro avversario.
O la pugna seguir vogli o dividere,
— 5. abbi aver; abbia ad aver. Y. e. i, 4,
n. 1.
105. 1. Ma che fin. È detto assolutamente
e vale: ma quanto a ciò che dici, che, cioè,
t' incresca ecc.
— 2. Ben ti p. ecc. ; Può essere ancora
che ti incresca del contrario, cioè di do-
vere essere ucciso da me, e che le tue pa-
role non sieno se non mentita iattanza. Può
anche intendersi detto ironicamente : Ti
lascio libero di sentir rincrescimento pur
del contrario.
— 3. l'abbi d. r. ; tu l'abbia da giuoco,
per cosa di nessun conto.
^ 5. dividere la pugna; interromperla.
Si cita dalla Crusca questo solo es. dell'A.
0 farla all'uno o all'altro lurainario;
Ad ogni cenno pronta tu m'avrai,
E come et ogni volta che vorrai.
106
Cosi fu differita la tenzone.
Fin che di Gange uscisse il nuovo albore;
E si restò senza conclusione
Chi d'essi duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilaute venne et a Grifone,
E cosi agli altri il liberal Signore:
E li pregò che fin al nuovo giorno
Piacesse lor di far seco soggiorno.
107
Tenner lo 'nvito senza alcun sospetto :
Indi, a splendor di bianchi torchi ardenti,
Tutti salirò ov'era un real tetto
Distinto in molti adorni alloggiamenti.
I Stupefatti al levarsi dell'elmetto,
1 Mirandosi restaro i combattenti;
I Che 'ICavallier, per quanto appareafuora,
I Non eccedeva i diciotto anni ancora.
j 108
Si maraviglia la Donzella, come
In arme tanto un giovinetto vaglia;
Si maraviglia l'altro, ch'alle chiome
S'avvede con chi avea fatto battaglia:
E si domandan l'un con l'altro il nome;
E tal debito tosto si ragguaglia.
Ma come si nomasse il giovinetto
I Ne l'altro canto ad ascoltar v'aspetto.
j — 6. luminarie; il sole e la luna. In que-
sto senso si cita questo solo esempio.
-- 7. pronta. Al poeta sfugge questo fem-
minile, come sarebbe certo sfuggito a Gui-
don Selvaggio se lo avesse udito.
106. 2. di Gange. Il Gange, fiume dell'In-
dia, essendo a oriente, si può dire che il
' sole esca da esso. Cosi Dante, Par. 11, 51:
« nacque al mondo un sole, Come fa questo
talvolta di Gange ».
108. 0. tal debito ecc. ; Quando i cavalieri
si domandavano il nome era debito di cor-
tesia dirlo; quindi si pareggia fra loro que-
L sto debito reciproco.
CANTO XX
269
CANTO XX
1
Le donne antique hanno mirabil cose
Fatto ne l'arme, e ne le saere Muse;
E di lor opre belle e gloriose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose,
Perché in battaglia erano esperte et use :
Saffo e Corinna, perché furon dotte,
Splendono illustri e mai non veggon notte.
2
Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun'arte, ove hanno posto cura;
E qualunque all'istoria abbia avvertenza,
Ne sente ancor la fama non oscura.
Se '1 mondo n' è gran tempo stato senza,
Non però sempre il mal'iuflusso dura;
E forse ascosi han lor debiti onori
L'invidia, o il non saper degli scrittori.
;{
Ben mi par di veder eh' al secol nostro
Tanta virtii fra beile donne emerga,
Che può dare opra a carte et ad inchiostro,
1. 2. ne le s. muse; nella poesia. Musa
e Muse si usò in poesia per composizione
poetica, ed è derivazione dal latino. Vir.g.
egl. i: « SiLvestrem tenui Musam meditaris
avena ».
— 5. Arpalice, figlia di ArpaUco re di
Tracia, difese il regno del padre contro
Neottolemo, figlio di Achille. — Camilla è
la famosa guerriera dell' jBneicZe.
— 6. use, esercitate. V. e. xvr, 54, n. -ì.
— 7. Saffo ; celebre poetessa di Lesbo
(628-568 a C). — Corinna, di Tanagra (Beo-
zia) poetessa, che si dice vincesse Pindaro.
— 8. notte, la notte dell'oblio. Orazio
disse nello stesso senso, Od. ix, 9, 28: «igno-
tique longa uocte »,
2. 1. in eccellenza, alla eccellenza, alla
perfezione. È modo analogo agli altri ve-
nire in conoscimento, in notizia, in dub-
bio di una cosa.
— 5. n'è... st. senza; senza donne cele-
bri. L'aggettivo deve rilevarsi dal contesto.
— 7. han. Regolarmente ha perché i
soggetti sono separati dalla disgiuntiva o.
V. FORNACiARi, Sint. p. 302.
— 8. il non sap. Accenna all' ignoranza
degli scrittori medioevali, che non han sa-
puto rilevare e apprezzare r ingegno delle
donne in quel lungo periodo.
3. 3. dare opra, dar materia agli scritti.
Perché nei futuri anni si disperga,
E perché, odiose lingue, il mal dir vostro
Con vostra eterna infamia si sommerga:
E le lor lode appariranno in guisa.
Che di gran lunga avanzeran Marfiaa.
4
Or pur tornando a lei, questa donzella
Al cavallier che l'usò cortesia.
De l'esser suo non niega dar novella,
Quando esso a lei voglia contar chi sia.
.sbrigossi tosto del suo debito ella:
Tanto il nome di lui saper disia.
Io son (disse) Marfìsa: e fu assai questo;
Che si sapea per tutto '1 mondo il resto.
5
L'altro comincia, poi che tocca a lui,
Con pili proemio a darle di sé conto.
Dicendo: Io credo che ciascun di vui
Abbia de la mia stirpe il nome in pronto ;
Che non pur Francia e Spagna e ivicin sui,
Ma l'India, l'Etiopia e il freddo Ponto
Han chiara cognizion di Chiaramonte,
Onde usci il cavallier ch'uccise Almonte,
0
E quel ch'a Chiari'ello e al re Mambrino
Diede là morte, e il regno lor disfece.
Di questo sangue, dove ne l'Eusino
È significato affine a quello del e. xviii,
189, « dare opra ai calcagni ».
— 4. si disperga, si divulghi. Si cita solo
quest'es. dell'A. È un uso affine al latino:
« Dispergere rumorem » divulgar la voce.
— 6. si sommerga, cada nel disprezzo e
neiroblio. Tra i significati metaforici citati
dai vocabolari manca questo.
4. 2. l'usò, le usò. V. e. VII, 35, n. 8.
5. 4. Abbia... in pr.; abb. presente. È il
modo latino habere in promptu, che si-
gnifica anche aver chiaro, facile a cono-
scere.
— 5. i vicin sui, i loro vicini, cioè le al-
tre parti di Europa.
— 6. Ponto ; Antico regno sufi' Bussino
(mar Nero). .Nel M. E. vi fu fondato l' im-
pero di Trebisonda ; e finsero i romanzi che
Rinaldo e altri Paladini vi facessero gran
prove di valore.
— 7. Chiaramente. V. e. Il, 67, ii. 1.
— 8. il cavallier ecc. Orlando, V. e. xil,
31, n. 2.
6. 1. E quel ecc. Rinaldo.
260
ORLANDO FURIOSO
L'Istro ne vien con otto corna o diece, I
Al duca Amone, il qual già peregrino
Vi capitò, la madre mia mi fece:
E l'anno è ormai, ch'io la lasciai dolente,
Per gire in Francia a ritrovar mia gente.
7
Ma non potei finire il mio viaggio;
Che qua mi spinse un tempestoso Noto.
Son dieci mesi o più, che stanza v'aggio;
Che tutti i giorni e tutte l'ore noto.
Nominato son io Guidon Selvaggio,
Di poca prova ancora e poco noto.
Uccisi qui Argilon da Meli bea.
Con dieci cavallier che seco avea.
8
Feci la prova ancor de le donzelle:
Cosi n'ho diece a' miei piaceri allato;
Et alla scelta mia son le più belle,
E son le più gentil di questo stato.
E queste reggo e tutte l'altre; ch'elle
Di sé m'hanno governo e scettro dato:
Cosi daranno a qualunque altro arrida
Fortuna si, che la decina ancida.
9
I caTallier domandano a Guidone
Com'ha si pochi maschi il tenitoro,
E s'alle moglie hanno suggezione.
Come esse l'han negli altri lochi a loro.
Disse Guidon: Più volte la cagione
Udita n'ho da poi che qui dimoro;
E vi sarà, secondo ch'io l'ho udita,
Da me, poi che v'aggrada, riferita.
— 4. latro (lat. Ister), Danubio. — corna,
è il latino cornua^ che pur vale bocche
d'un fiume, anche in prosa. — otto e. Gli
antichi danno al Danubio sette bocche al
più; oggi pure sono otto gli sbocchi prin-
cipali.
— 5. Al duca A. 11 solo Ariosto fa Guidon
Selvaggio bastardo di Amone; altrove è
sempre detto figlio di Rinaldo e di una re-
gina Costanza. Il Raina crede che ciò sia
per non dare a Rinaldo, che nel poema fa
le parti di pi-irao amoroso, un figlio già
adulto.
7. 2. Noto. V. e. VI, 42, n. 3.
— 5. Guidon S. È personaggio molto noto
agli autori dei poemi cavallereschi popo-
lari. L'A. per ciò scelse lui per addossargli
tante avventure.
— 6. Di p. prova. V. e. xvii, 105, n. 7,
— 7. Melibea ; antica città situata sulla
costa del mare tra le falde dell'Ossa e del
Pelio.
8. 3. alla scelta m., secondo il mio gusto.
Boccaccio, nov. 77 : « Essendosi ella d' un
giovinetto bello e leggiadro a sua scelta,
innamorata». Nell'espressione dell'A. c'è
di più l'articolo come nell'espressione al
mio parer e simili.
9. 2. tenitoro. V. e. iv, 56, n. 6.
10
Al tempo che tornar dopo anni venti
Da Troia i Greci (che durò l'assedio
Dieci, e dieci altri da contrari venti
Furo agitati in mar con troppo tedio),
Trovar che le lor donne agli tormenti
Di tanta absenzia avean preso rimedio:
Tutte s'avean gioveni amanti eletti,
Per non si raffreddar sole nei letti.
11
Le case lor trovaro i Greci piene
De l'altrui figli: e per parer comraune
Perdonano alle mogli ; che san bene
Che tanto non potean viver digiune.
Ma ai figli degli adulteri conviene
Altrove procacciarsi altre fortune;
Che tolerar non vogliono i mariti
Che più alle spese lor sieno notriti.
12
Sono altri esposti, altri tenuti occulti
Da le lor madri, e sostenuti in vita.
In varie squadre quei ch'erano adulti,
Feron, chi qua, chi là, tutti partita.
Per altri l'arme son, per altri culti
Gli studi e l'arti; altri la terra trita;
Serve altri in corte; altri è guardian di
[gregge.
Come piace a colei che qua giù regge.
13
Parti fra gli altri un giovinetto, figlio
Di Clitemnestra, la crndel Regina,
Di diciotto anni, fresco come un giglio,
0 rosa colta allor di su la spina.
Questi, armato un suo legno, a dar di piglio
Si pose e a depredar per la marina
In compagnia di cento giovinetti
Del tempo suo, per tutta Grecia eletti.
14
I Cretesi, in quel tempo che cacciato
Il crudo Idomeneo del regno aveano,
E per assicurarsi il nuovo stato,
12. 6. trita, lavora. Significato non regi-
strato dai vocab.
— 8. colei ecc. la fortuna.
13. 1. un giovinetto. Qui l'A. rifa la leg-
genda di Falanto (Giustino I. Ili, 6), varian-
dola e introducendovi casi di sua inven-
zione. Falanto, secondo la leggenda, fu capo
dei partenii (bastardi) nati a Sparta durante
la prima guerra messenica (743-724 a. C.)
dalle donne Spartane e dagli schiavi iloti.
Falanto condusse i partenii in Italia e fondò
Taranto (lat. Tarentum). Non nacque dun-
que da Clitemnestra.
— 5. dar di p. ; predare. Di quest'uso sen-
za complemento si cita solo l'es. dell'A.
14. 2. Idomeneo, nipote di Minosse e re di
Creta, tornato da Troia sacrificò a Nettuno
il proprio figlio per voto fatto d'immolare
il primo, che incontrasse tornando in pa-
CANTO XX
261
D'uomini e d'arme adunazion faceano;
Fero con buon stipendio lor soldato
Falanto (cosi al giovine diceano),
E lui con tutti quei che seco avea,
Poser per guardia alla città Dictea.
Fra cento alme città ch'erano in Creta,
Dictea più ricca e pili piacevol'era,
Di belle donne et amorose lieta,
Lieta di giochi da matino a sera:
E com'era ogni tempo consueta
D'accarezzar la gente forestiera,
Fé' a costor si, che molto non rimase
A farli ancor signor de le lor case.
16
Eran gioveni tutti e belli affatto;
Che '1 fior di Grecia avea Falanto eletto :
Si ch'alle belle donne, al primo tratto
Che v'apparir, trassero i cor del petto.
Poi che non mea che belli, ancora in fatto
Si dimostrar buoni e gagliardi al letto;
Si fero ad esse in pochi di si grati.
Che sopra ogn'altro ben n'erano amati.
17
Finita che d'accordo è poi la guerra
Per cui stato Falanto era condutto,
E lo stipendio militar si serra.
tria, per lo che, scoppiata la peste, fu dai
Cretesi cacciato.
— 4. adunazione. Guicciardini St. 3, 270:
«al rumore della quale adunazione»; ma
è raro.
— 6. al g. diceano; lo chiamavano. Boc-
caccio, nov. 60: «E chi gli dicea Guccio
porco ». É modo ancor vivo in Toscana.
Neil' uso letterario è più frequente col com-
plem. diretto.
— 8. Dictea, città di Creta a pie del monte
Ditte nominata appena da qualche antico
scrittore e chiamata piuttosto Dieta.
15. 1. Fra cento ecc. Per questo ebbe an-
che il nome di Ecatompolis. Plinio iv, 12;
Omero n. 2, 649.
— 5. ogni tempo; in ogni t. ; espressione
foggiata sulle altre ogni giorno, ogni an-
no ecc., e per l'azione del latino oìnni
tempore. V. e. 43, 161: ogni modo.
— 7. non rimase; non tardò. Significato
non registralo dai vocab.
— 8. d. 1. lor case. Sillessi o costruzione a
senso. Il soggetto è Dictea, ma l'A. ha in
mente gli abitanti, a cui riferisce il lor.
17.2. stato... era e. era stato assoldato. È
il latino conciucere militem.
— 3. si serra; finisce. Forse questo signi-
ficato si connette coli' idea dello scrigno.
Quanto al costrutto è da sottintendere poi-
ché (e poiché si serra; e poiché, per que-
sto, lasciar vogliono ecc.) come abbiamo
detto al e. xii, 38, n. 3.
Si che non v'hanno i gioveni più frutto,
E per questo lasciar voglion la terra;
Fan le donne di Creta maggior lutto,
E perciò versan più dirotti pianti,
Che se i lor padri avesson morti avanti.
18
Da le lor donne i gioveni assai foro,
Ciascun per sé, di rimaner pregati:
Né volendo restare, esse con loro
N'andar, lasciando e padri e figli e frati.
Di ricche gemme e di gran somma d' oro
Avendo i lor dimestici spogliati;
t Che la pratica fu tanto secreta.
Che non senti la fuga uomo di Creta.
19
Si fu propizio il vento, si fu l'ora
Commoda, che Falanto a fuggir colse.
Che molte miglia erano usciti fuora,
Quando del danno suo Creta si dolse.
Poi questa spiaggia, inabitata allora.
Trascorsi per fortuna li raccolse.
Qui si posaro, e qui sicuri tutti
Meglio del furto lor videro i frutti.
20
Questa lor fu per dieci giorni stanza
Di piaceri amorosi tutta piena.
Ma come spesso avvien che l'abondanza
Seco in cor giovenil fastidio mena.
Tutti d'accordo fur di restar san za
Femine, e liberarsi di tal pena;
Che non è soma da portar si grave,
Come aver donna, quando a noia s'have.
21
Essi che di guadagno e di rapine
Eran bramosi, e di dispendio parchi,
Vider ch'a pascer tante concubine,
— 8. avesson m. a. ; avessero avanti agli
occhi i cadaveri dei loro padri.
18. 6. dimestici ; parenti. Esempio note-
vole. I vocabol. citano un esempio di Al-
bertano, che è poco sicuro.
— 8. senti; s' accorse, ebbe sentore. È un
latinismo già usato nel Trecento; Compa-
gni, I, 16.
19.6. Trascorsi p. f. ; traviati per causa
di una tempesta. Il solo Gherardini cita un
esempio del Giacomini, Pros. Fior, p. I,
v. 1. p. 117: «Procurò correggere i tror-
scorsi costumi »; ma qui è nietafor.
— 8. 1 frutti ; colsero con più agio il
frutto del loro furto; cioè goderono con più
agio r amore delle loro donne.
21. 2. di disp. parchi; parchi nello spen-
dere, avari. Tutti intendono scarsi di da-
naro da spendere; ma se ciò può esser
conforme agli usi della lingua, non par che
risponda al contesto, perché sopra è detto
che portarono da Creta gemme e ricca so-
ma d'oro; qui si dice che se n'andarono
carichi di quelle ricchezze. Inoltre essi era-
262
ORLANDO FURIOSO
D'altro che d'aste avean bisogno e d'archi:
Si che sole lasciar qui le meschine,
E se n'andar di lor ricchezze carchi
Là, dove in Pugliainripaalmar poi sento
Ch'edificar la terra di Tarento.
22
Le donne che si videro tradite
Dai loro amanti in che più fede aveano,
Restar per alcun di si sbigottite,
Che statue immote in lito al mar pareano.
Visto poi, che da gridi e da infinite
Lacrime alcun profitto non traeano,
A pensar cominciaro e ad aver cura
Come aiutarsi ia tanta lor sciagura.
23
E proponendo in mezzo i lor pareri,
Altre diceano -. In Creta è da tornarsi,
E più tosto all'arbitrio de' severi
Padri e d'offesi lor mariti darsi,
Che nei deserti liti e boschi fieri,
Di disagio e di fame consumarsi;
Altre dicean che lor saria più onesto
Affogarsi nel mar, che mai far questo;
24
E che manco mal era meretrici
Andar pel mondo, andar mendiche oschia-
Che sé stesse offerire a gli supplici [ve,
Di ch'eran degne l'opere lor prave.
Questi e simil partiti le infelici
Si proponean, ciascun più duro e grave.
Tra loro al fine una Orontea levosse.
Ch'origine traea dal Re Minosse;
25
La più gioven de l'altre e la più bella
E la più accorta, e ch'avea meno errato.
Amato avea Falanto, e a lui pulzella
Datasi, e per lui il padre avea lasciato.
Costei mostrando in viso et in favella
Il magnanimo cor d'ira infiammato.
no bramosi di guadaguo e di rapine; per
ciò è meglio intendere nel primo modo.
— 7. in ripa al m. V. e. XIII, 42, 7.
28. 2. più fede : Sottint. che in altri. Cosi
alla st. 24, 6.
— 4. in lito al m. V. e. xvii, 33, n. 2.
23. 2. In Creta ecc. Comincia col discorso
diretto e quindi passa all' indiretto, come
mostra il lor del verso 4.
— 4. d'offesi ecc. La mancanza dell'arti-
colo dice che non tutte avevan marito.
— 7. onesto, convenevole, dignitoso.
24. 6. ciascun pili d. ecc.; ciascun partito
proposto più duro e grave degli altri pro-
posti innanzi.
— 7. una Orontea ; una certa Or. V. FOR-
NACIARI, Sint. p. 128.
25. 2. e che area m. err. Foi'se perché non
avea lasciato il marito e aveva amato solo
Falanto.
Redarguendo di tutte altre il detto.
Suo parer disse, e fé' seguirne effetto.
26
Di questa terra a lei non parve tòrsi.
Che conobbe feconda e d'aria sana,
E di limpidi fiumi aver discorsi.
Di selve opaca, e la più parte piana;
Con porti e foci, ove dal mar ricorsi
Per ria fortuua avea la gente estrana,
Ch'or d'Africa portava, ora d'Egitto,
Cose diverse e necessarie al vitto.
27
Qui parve a lei fermarsi e far vendetta
Del viril sesso che le avea si offese:
Vuol ch'ogni nave, che da venti astretta
A pigliar venga porto in suo paese,
A sacco, a sangue, a fuoco al fin si metta;
Né de la vita a un sol si sia cortese.
Cosi fu detto, e cosi fu concluso,
E fu fatta la legge e messa in uso.
28
Come turbar l'aria sentiano, armate
Le femine correan su la marina.
Da l'implacabil Orontea guidate.
Che die lor legge, e si fé lor Regina:
E de le navi ai liti lor cacciate,
Faceano incendi orribili e rapina,
Uom non lasciando vivo, che novella
Dar ne potesse in questa parte o in quel-
29 [la.
Cosi solinghe vissero qualch'auno
Aspre nimiche del sesso virile.
Ma conobbero poi, che '1 proprio danno
Procaccierian, se non mutavan stile:
Che, se di lor propagine non fanno.
Sarà lor legge in breve irrita e vile,
E mancherà con l'infecondo regno.
Dove di farla eterna era il disegno.
m
Si che, temprando il suo rigore un poco.
— 7. di tutte altre. V. e. X, 54, n. 7.
— S. fé seg. effetto ; e colle sue parole
ottenne l'effetto, che desiderava.
26. 3. discorsi ; corsi. Guid. Giudice A. 1.
31 . « O v' erano molti rivi e discorsi d'acqua ».
— 5. ricorsi. Più comunemente il singo-
lare.
27.4. suo; lor. V. e. XIII, 40, n. 3.
— 6. cortese; cortesi. V. e. IX, 84, n. 1.
Questa ferocia è imitazione di quella delle
donne di Lemno, che, trascurate da' loro
mariti per attendere alle guerre, li ucci-
sero tutti, meno il re Toante salvato per in-
ganno dalla figlia Isifile ; e governarono ess'i
l'isola. Ma un regno di donne era ti-adizio-
nale nei poemi cavallereschi: cosi da donne
è retta la città di Saliscaglia nel Morgantr
21, 158.
28. 1. turbar l'a.; cambiarsi il tempo e
minacciare tempesta.
CANTO XX
263
Scelsero, in spazio di quattro anni interi,
Di quanti capitaro in questo loco
Dieci belli e gagliardi cavallieri,
Che per durar ne l'amoroso gioco
Contr'esse cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto eran cento; e statuito
Ad ogni lor decina fu un marito.
31
Prima ne fur decapitati molti
Che riuscirò al paragon mal forti.
Or questi dieci a buona prova tolti,
Del letto e del governo ebbon consorti;
Facendo lor giurar che, se più colti
Altri uomini vernano in questi porti,
Essi sarian che, spenta ogni pietade,
Li porriano ugualmente a fil di spade.
32
Ad ingrossare, et a figliar appresso
Le donne, indi a temere incominciaro
Che tanti nasceriau del viril sesso,
Che coutra lor non avrian poi riparo;
E al fine in man degli uomini rimesso
Saria il governo ch'elle avean si caro:
Si ch'ordinar, mentre eran gli anni im-
[belli.
Far si, che mai non fosson lor ribelli.
33
Acciò il sesso viril non le soggioghi,
Uno ogni madre vuol la legge orrenda,
Che tenga seco; gli altri o li suffoghi,
O fuor del regno li permuti o venda.
Ne mandano per questo in vari luoghi:
E a chi gli porta dicono che prenda
Femine, se a baratto aver ne puote;
Se non, non torni almen con le man vote.
34
Né uno ancora alleverian, se senza
Potesson fare, e mantenere il gregge.
Questa è quanta pietà, quanta clemenza
Più ai suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge:
31.5. se... verriano; Nota il condizionale
invece del congiuntivo. Cosi al e. xv, 101,
8, abbiamo il cong. per il condizionale. Usi
molto notevoli e rari. — più, altre volte.
32.7. ordinar... far; stabiliron di far.
33. 3. li saffoghi. Qui si ha un ricordo
delle Amazzoni, che convivean con gli uo-
mini una sola volta all' anno e facevan mo-
rire i figli maschi.
34. 1. Nò uno anc. ; né anche uno. È il
costrutto latino ne unum quidem. Varchi,
Senec. De' benefizi, 1, 9, 26: «in modo che
non lo sappia né quegli ancora a cui (i be-
nefizi) si danno ».
— 2. il gregge ; il branco. È espressione
tolta dai pastori.
— 4. Pili ai suoi ecc.; più a quelli della
città che agli altri, i quali vi capitan di
fuori. Che anzi questi condannano tutti con
ugual sentenza, senza eccettuarne alcuno.
Gli altri condannan con ugual sentenza;
E solamente in questo si corregge,
Che non vuol che, secondo il primiero uso,
Le femine gli uccidano in confuso.
35
Se dieci o venti o più persone a un tratto
Vi fosser giunte, in carcere eran messe;
E d'una al giorno, e non di più era tratto
Il capo a sorte, che perir dovesse
Nel tempio orrendo ch'Oronteaavea fatto,
Dove un altare alla vendetta eresse:
E dato all'un de' dieci il crudo ufficio
Per sorte era di farne sacrificio.
36
Dopo molt'anni alle ripe omicide
A dar venne di capo un giovinetto,
La cui stirpe scendea dal buono Alcide,
Di gran valor ne l'arme, Elbanio detto.
Qui preso fu, ch'a pena se n'avvide
Come quel che venia senza sospetto;
E con gran guardia in stretta parte chiuso.
Con gli altri era serbato al crudel uso.
37
Di viso era costui bello e giocondo
E di maniere e di costumi ornato,
E di parlar si dolce e si facondo,
Ch'un aspe volentier l'avria ascoltato:
Si che, come di cosa rara al mondo,
De l'esser suo fu tosto rapportato
Ad Alessandra figlia d'Orontea,
Che di molt'anni grave anco vivea.
38
Orontea vivea ancora; e già mancate
Tutt'eran l'altre ch'abitar qui prima:
E diece tante e più n'erano nate,
E in forza eran cresciute e in maggior
Né tra diece fucine che serrate [stima;
Stavan pur spesso, avean più d'una lima;
E dieci cavallieri anco avean cura
Di dare a chi venia fiera avventura.
39
Alessandra, bramosa di vedere
Il giovinetto ch'avea tante lode.
Da la sua matre in singular piacere
Impetra si, ch'Elbanio vede et ode;
Avverti lo scambio di soggetti : prima legge,
ora donne, poi di nuovo legge; il che rende
men chiaro il senso.
35. 4. Il capo ; la vita. — che. Riferiscilo
a una del v. 3.
— 7. all'un; ad alcun. Dante, Inf. 21,
74: «Traggasi avanti l'uudi voiche m'oda».
36.3. buono; valoroso, È latinismo (bo-
nus) già antico nella nostra letteratura.
37.2. maniere... costumi; belle maniere e
bei costumi. Costumi usò assolutamente iu
buon senso anche nel e. xxxiv, 19, 7. Ma-
niere, in questo senso non è citato dai vo-
cabol.
— 4. aspe. V. e. xviii, 33, n. 6.
264
ORLANDO FURIOSO
E quando vuol partirne, rimanere
Si sente il core ove è chi '1 punge e rode:
Legar si sente, e non sa far contesa,
E al fin dal suo prigion si trova presa.
40
Elbanio disse a lei: Se di pietade
S'avesse, Donna, qui notizia ancora,
Come se n'ha per tutt'altre contrade,
Dovunque il vago sol luce e colora;
Io vi osarci, per vostr'alnia beltade
Ch'ogu'animo gentil di sé inamora.
Chiedervi in don la vita mia, che poi
Saria ognor presto a spenderla per voi.
41
Or quando fuor d'ogni ragion qui sono
Privi d'umanitade i cori umani.
Non vi domanderò la vita in dono:
Che i prieghi miei so ben che sarian vani:
Ma che da cavalliero, o tristo o buono
Ch'io sia, possi morir con l'arme in mani,
E non come dannato per giudicio,
0 come animai bruto in sacrificio.
42
Alessandra gentil, ch'umidi avea.
Per la pietà del giovinetto, i rai,
Rispose: Ancor che più crudele e rea
Sia questa terra, ch'altra fosse mai;
Non concedo però che qui Medea
Ogni femina sia, come tu fai,
E quando ogn'altra cosi fosse ancora.
Me sola di tant'altre io vo' trar fuora.
43
E se ben per a dietro io fossi stata
Empia e crudel, come qui sono tante.
Dir posso che suggetto ove mostrata
Per me fosse pietà, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre più arrabbiata.
40. 3. tutt'altre; tutte le altre. V. e. x, 54, 7.
— 5. vi osare!.. . chiederTi, Un vi è pleo-
nastico.
41. 1. quando, poiché. V. e. i, IS, 3. —
fuor d'ogni r.; al di sopra di quanto possa
comprendere ogni ragione di uomo.
— 6. possi, possa. Pulci, Morgante 5, 1 .
« eh' io possi seguitare il canto mio ». E
cosi 6, 1. — in mani. Forse più che un modo
nuovo è da vedervi la solita omissione del-
l' articolo (nelle mani). V. e. ii, 15, n. 8 ;
probabilmente per il ricordo del latino in
lìianibus. É espressione non registrata dai
vocabol.
42. 2. Ricorda il verso del Petr. i, son.
3: «Per la pietà del suo Fattore i rai».
— 5. Medea. V. e. in, 52.
— 6. come tu fai; come tu dici. Dante,
Inf. I, 135: «E color che tu fai cotanto
mesti ».
43. 1. per a dietro. Oggi più comune-
mente ^aer Vad'lietro. Intendi: E se anche
fossi stata per l'add. empia e crudel ecc.
E più duro avre'il cor che di diamante,
Se non m'avesse tolto ogni durezza
Tua beltà, tuo valor, tua gentilezza.
44
Cosi non fosse la legge più forte,
Che contra i peregrini è statuita.
Come io non schiverei con la mia morte.
Di ricomprar la tua più degna vita.
Ma non è grado qui di si gran sorte,
Che ti potesse dar libera aita;
E quel che chiedi ancor ben che sia poco.
Difficile ottener fia in questo loco.
45
Pur io vedrò di far che tu l'ottenga.
Ch'abbi inanzi al morir questo contento;
Ma mi dubito ben che te ne avvenga.
Tenendo il morir lungo, più tormento.
Suggiunse Elbanio: Quando incontra io
(venga
A dieci armato, di tal cor mi sento.
Che la vita ho speranza di salvarme,
E uccider lor, se tutti fosser arme.
46
Alessandra a quel detto non rispose
Se non un gran sospiro, e dipartisse,
E portò nel partir mille amorose
Punte nel cor, mai non sanabil, fisse:
Venne alla madre, e voluntà le pose
Di non lasciar che il cavalier morisse.
Quando si dimostrasse cosi forte.
Che, solo, avesse posto i dieci a morte.
47
La regina Orontea fece raccórre
Il suo consiglio, e disse: A noi conviene
Sempre il miglior che ritroviamo, porre
A guardar nostri porti e nostre arene;
E per saper chi ben lasciar, chi tòrre,[ne;
Prova è sempre da far, quando gli avvie-
Per non patir con nostro danno a torto.
Che regni il vile, e chi ha valor sia morto.
44. 1. pili forte; di me e della mia buona
volontà.
— 5. sorte, qualità. V. e. V, 17, n. 6.
— 8. Difficile otten. ; diflf. a ottener. V.
e. I, 4, n. 1.
45. 2. Ch' abbi ; sicché tu abbia.
— 3. te neaTvenga; te ne venga, v. e. iv,
61, n. 5.
— 4. Tenendo il m. lungo. Nel e. XXXI 18,
si ha nello stesso signific. tenere in lunga;
cioè trarre in litngo. Son locuzioni non
citate dai vocabol. Il Sacchetti nov. 203 ha
tener per lungo.
— 8. se tutti ecc.; se t. fossero armati
dal capo ai piedi. Cfr. espress, simili: è
tutto orecchi, tutt'occhi, ecc.
46. 5. Toluntà le p.; le mise voglia. Modo
non registrato dai vocabol.
47. 6. q. gli avviene; quand'egli avviene
di poterla fare.
CANTO XX
265
48
A me par, so a voi par, che statuito
Sia ch'ojjni cavallier per lo avvenire,
Che P'ortuna abbia tratto al nostro lito,
Prima cli'al tempio si taccia morire,
Possa egli sol, se gli piace il partito,
Incontra i dieci alla battaglia uscire:
E se di tutti vincerli è possente,
Guardi egli il porto, e seco abbia altra
49 [gente.
Parlo cosi, perché abbiàn qui un prigio-
Che par che vincer dieci s'offerisca, [ne
Quando sol vaglia tante altre persone,
Dignissimo è, per Dio, che s'esaudisca.
Cosi in contrario avrà punizione,
Quando vaneggi, e temerario ardisca.
Orontea fine al suo parlar qui pose,
A cui de le piii antique una rispose:
50
Jja principal cagìon ch'a far disegno
Sul commercio degli uomini ci mosse.
Non fu perch'a difender questo regno
Del loro aiuto alcun bisogno fosse;
Che per far questo abbiamo ardirp e in-
[gegno
Da noi medesme, e a sufficienzia posse:
Cosi senza sapessimo far anco.
Che non venisse il propagarci a manco.
51
Ma poi che senza lor questo non lece.
Tolti abbiàn, ma non tanti, in compagnia,
Che mai ne sia più d'uno incontra diece,
Si ch'aver di noi possa signoria.
Per conciper di lor questo si fece,
Non che di lor difesa uopo ci sia.
La lor prodezza sol ne vaglia in questo,
E sieno ignavi e inutili nel resto.
52
Tra noi tenere un uom che sia si forte,
Contrario è in tutto al principal disegno.
48. 8. e seco ecc. E seco possa aver salva
parte della gente eh' è arrivata insieme con
lui.
49. 6. ardisca; sia ardito, audace.
— 8. de le più antique. E alla st. 55 si di-
cono le vecchie. Sembra da intendere: d. 1.
p. mature. Infatti alla st. 3S ha detto «già
mancate Tutte eran l'altre ch'abitar qui
prima > fuorché Orontea. Quelle perciò
della stessa generazione d'Alessandra non
potevano essere a tal distanza d'età da
potersi dire antique e vecchie.
50.2. commercio; compagnia.
— 8. venisse... a manco; venisse manco,
meno. II cfie vale cosi che.
51. 3. Ch-e; É correlativo di non tanti; e
avverti la dura inversione.
— 4. possa; più chiaramente possano;
ma questo singolare ha sentito r azione di
uno del verso 3.
Se può un solo a dieci uomini dar morte.
QuacJe donne farà stare egli al segno ?
Se i dieci nostri fosser di tal sorte,
Il primo di n'avrebbon tolto il regno.
Non è la via di dominar, se vuoi
Por l'arme in mano a chi può più di noi.
53
Pon mente ancor, che quando cosi aiti
Fortuna questo tuo che dieci uccida.
Di cento donne che de' lor mariti
Kimarran prive, sentirai le grida.
Se: vuol campar proponga altri partiti,
Ch'esser di dieci gioveni omicida.
Pur, se per far con cento donne è buono
Quel che dieci fariano, abbi perdono.
54
Fu d'Artemia crudel questo il parere
(Cosi avea nome); e non mancò per lei
Di far nel tempio Elbanio rimanere
Scannato innanzi agli spietati Dei.
Ma la madre Orontea che compiacere
Volse alla figlia, replicò a colei
Altre et altre ragioni, e modo tenne
Che nel senato il suo parer s'ottenne.
55
L'aver Elbanio di bellezza il vanto
Sopra ogni cavallier che fosse al mondo.
Fu nei cor de le giovani di tanto,
Ch'erano in quel consiglio, e di tal pondo,
Che '1 parer de le vecchie andò da canto,
Che con Artemia volean far secondo
L'ordine antiquo; né lontan fu molto
Ad esser per favore Elbanio assolto.
56
Di perdonargli in somma fu concluso.
Ma poi che la decina avesse spento,
E che ne l'altro assalto fosse ad uso
53.8. abbi; abbia, Pulci, Morg. 6, 45:
« Acciò che niun di lor non abbi errato » e
cosi 7, 11; 8, 53 ecc.
54. 2. non mance ecc. Qui abbiamo la fu-
sione di due costrutti: ella non mancò di
far rimanere E. scannato n. t. ~ per lei
non mancò che Elbanio rimanesse scann.
n. t. Dopo 7ion mancò per lei, che vorrebbe
il secondo costrutto, continua con di far
rimanere, che supporrebbe il primo. Forse
potrebbe anche intendersi per lei come pei^
sé, quanto a sé, per parte sua; V. e. iv, 6,
n. 3; ella non mancò per parte sua.
— 7. tenne modo; fece in modo. V. e. xvm,
83, n. 1.
— 8. s' ottenne. Ottenersi un partito, un
parere e simili signiiìc3i prevale7'e. Anguil-
LARA, En. 97: « Il parer di Timete non s' ot-
tenne ». V. anche e. xxxviii, 65.
55. 8. assolto; messo in libertà. Nel ver-
so seguente abbiamo perdonargli, rispar-
miarlo. L'uno e l'altro non includono qui
alcuna idea di colpa.
266
ORLANDO FURIOSO
Di diece donne buono, e non di cento.
Di career l'altro giorno fu dischiuso;
E avuto arme e cavallo a suo talento,
Contra dieci guerrier solo si mise,
E l'uno appresso all'altro inpiazza uccise.
57
Fu la notte seguente a prova messo
Contra diece donzelle ignudo e solo,
Dove ebbe all'ardir suo si buon successo.
Che fece il saggio di tutto lo stuolo.
E questo gli acquistò tal grazia appresso
Ad Orontea, che l'ebbe per figliuolo,
E gli diede Alessandra e l'altre nove
Con ch'avea fatte le notturne prove.
58
E lo lasciò con Alessandra bella,
Che poi die nome a questa terra, erede,
Con patto ch'a servare egli abbia quella
Legge, et ogni altro che da lui succede:
Che ciascun che già mai sua fiera stella
Farà qui por lo sventurato piede.
Elegger possa o in sacrificio darsi,
O con dieci guerrier solo provarsi.
59
E se gli avvien che '1 di gli uomini ucci-
La notte con le femine si provi; [da,
E quando in questo ancor tanto gli arrida
La sorte sua, che vincitor si trovi,
Sia del femiueo stuol principe e guida,
E la decina a scelta sua rinovi.
Con la qual regni, fin ch'un altro arrivi,
Che sia più forte, e lui di vita privi.
60 [pio
Appresso a dna mila anni il costume em-
Si è mantenuto e si mantiene ancora;
E sono pochi giorni che nel tempio
Uno infelice peregrin non mora.
Se contra dieci alcun chiede, ad esempio
D'Elbanio, armarsi (che ve n'è talora),
Spesso la vita al primo assalto lassa;
Né di mille uno all'altra prova passa.
58. 2. die nome. La città è .\lessandretta.
— 4. da lui succede : da 1. deriva, deri-
verà. Uso affine a quello del e. xiv, 50, e
non registrato dai vocabol.
— 5. Che; a cui. Uso popolare del che.
V. e. xiii, 37, u. 5. — già mai. È lo stesso,
ma più efficace del semplice mai, alcuna
volta. Buonarroti, Rime, 19: « Quando,
donna, già mai potrò morire ?» e cosi il
Petr. I, son. 67.
59.6. la decina; dei cavalieri che han da
combattere con chi per avventura appro-
dasse. Il vincitore dunque poteva a suo ta-
lento scegliere chi sostituisse i dieci cava-
lieri uccisi.
60. 1. Appresso; circa.
— 3. pochi giorni; pochi i giorni. Solita
omissione dell'ariic.
61
Pur ci passano alcuni; ma si rari,
Che su le dita annoverar si ponno.
Uno di questi fu Argilon; ma guari
Con la decina sua non fu qui donno;
Che cacciandomi qui venti contrari.
Gli occhi gli chiusi in sempiterno sonno.
Cosi fossi io con lui morto quel giorno,
Prima che viver servo in tanto scorno.
62
Che piaceri amorosi e riso e gioco.
Che suole amar ciascun de la mia etade.
Le purpure e le gemme, e l'aver loco
Inanzi agli altri ne la sua cittade.
Potuto hanno, per Dio, mai giovar poco
AU'uom che privo sia di libertade:
E '1 non poter mai più di qui levarmi.
Servitù grave e intolerabil parrai.
63
Il vedermi lograr dei miglior anni
Il più bel fiore in si vile opra e molle,
Tiemmi il cor sempre in stimulo e in af-
Et ogni gusto di piacer mi toUe. [fauni.
La fama del mio sangue spiega i vanni -
Per tutto '1 mondo, e fin al ciel s'estolle :
Che forse buona parte anch'io n'avrei,
S'esser potessi coi fratelli miei.
64
Parrai ch'ingiuriali mio destin mi faccia
Avendomi a si vii servigio eletto,
Corae chi ne l'arraento il destrier caccia,
Il qual d'occhio di piedi abbia difetto,
0 per altro accidente che dispiaccia,
Sia fatto all'arme e a miglior uso inetto:
Né sperando io, se non per morte, uscire
Di si vii servitù bramo morire.
65
Guidon qui fine alle parole pose,
E maledi quel giorno per isdegno,
I II qual dei cavallieri e de le spose
Gli die vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo stette a udire, e si nascose
Tanto, che si fé' certo a più d'un segno,
Che, come detto avea, questo Guidone
Era figliuol del suo parente Amone.
66
Poi gli rispose: Io sono il duca Inglese,
Il tuo cugino Astolfo; et abbracciollo,
E con atto araorevole e cortese,
Non senza sparger lagrirae, baciollo.
Caro parente raio, non più palese
Tua madre ti potea por segno al collo ;
Ch'a farne fede che tu sei de' nostri.
Basta il valor che con la spada mostri.
62. 5. mai; sempre, sempre mai. I voca-
bolari non citano di quest' uso esempi bea
chiari. Questo è spiccatissimo e notevole.
63. 7. Che ; V. e. i, 65, n. 5 e xxiv, 75, n. 1.
65. 6. Tanto che; fintanto che.
CANTO XX
207
67
Guidon, ch'altrove avria fatto gran festa
D'aver trovato uu si stretto parente,
Quivi l'accolse con la faccia mesta,
Perché fu di vedervilo dolente.
Se vive, sa ch'Astolfo schiavo resta,
Né il termine è più là che il di seguente;
!Se fia libero Astolfo, ne more esso:
Si che '1 ben d'uno è il mal de l'altro e-
68 [spresso.
Gli duol che gli altri cavallieri ancora
Abbia, vincendo, a far sempre captivi.
Né più, quando esso, in quel contrasto mo-
Potrà giovar che servitù lor schivi: [ra,
Che se d'un fango ben li porta fuora,
E poi s'inciampi come all'altro arrivi,
Avrà lui senza prò vinto Marfisa;
Ch'essi pur ne fìen schiavi, et ella uccisa.
69
Da l'altro canto avea l'acerba etade,
La cortesia e il valor del giovinetto
D'amore intenerito e di pietade
Tanto a Marfisa et ai compagni il petto,
Che, con morte di lui lor libertade
Esser dovendo, avean quasi a dispetto:
E se Marfisa non può far con manco
Ch'uccider lui, vuol essa morir anco.
70
Ella disse a Guidon: Vientene insieme
Con noi, ch'a viva forza uscirèn quinci.
Deh (rispose Guidon) lascia ogni speme
Di mai più uscirne, o perdi meco o vinci.
Ella suggiunse: Il mio cor mai non teme
Di non dar fine a cosa che cominci;
Né trovar so la più sicura strada
Di quella ove mi sia guida la spada.
71
Tal ne la piazza ho il tuo valor provato.
Che, s'io son teco, ardisco ad ogn'impre-
Quando la turba intorno allo steccato [sa.
67 8. espresso, evidente, chiaro. V. e. xi,
81, n. 7.
68. 3. Né pili ecc. Né, morendo, potrà gio-
vare più che vincendo, cosicché schivi loro
la servitù.
— 4. 8. 1. schivi. V. e. XI, 56, n. 6.
— 5. porta. TI sogg. è il seguente Mar-
fisa. Portar fuori d' un fango, d' uu im-
piccio, è immagine presa dal cammino in
luoghi paludosi.
70. 4. 0 perdi m. o v. Forse son congiunti-
vi, poiché queste flessioni usò altre volte
l'A. V. e. XV, 86, n. 5; ma possono essere
anche indicativi , cfr. volse o non volse nel
canto xviii, S, 4, e la nota annessa.
71. 2. ardisco ad o. im. È costrutto non co-
mune ; ma bello, e rende il latino audere
in aliquid. Virgil., En. 2, 347: « Quos ubi
confertos audere in proelia vidi ».
Sarà domani in sul teatro ascesa.
Io vo'che l'uccidiàn per ogni lato,
0 vada in fuga o cerchi far difesa,
E ch'agli lupi e agli avoltoi del luogo
Lasciamo i corpi, e la cittade ai fuoco.
72
Suggiunse a lei Guidon: Tu m'avrai
A seguitarti, et a morirti a canto, [pronto
Ma vivi rimaner non facciàu conto;
Bastar ne può di vendicarci alquanto:
Che spesso dieci mila in piazza conto
Del popol feminile, et altretanto
Resta a guardare e porto e ròcca e mura,
Né alcuna via d'uscir trovo sicura.
78
Disse Marfisa: E molto più sieno elle
Degli uomini che Serse ebbe già intorno,
E sieno più de l'anime ribelle
Ch'uscir del ciel con lor perpetuo scorno:
Se tu sei meco, oalmeunon sie con quelle.
Tutte le voglio uccidere in un giorno.
Guidon suggiunse: Io non ci so via alcuna
Ch'a valer n'abbia, se non vai quest'una.
74
Ne può sola salvar, se ne succede,
Quest'una ch'io dirò, ch'or mi sovviene.
Fuor ch'alle donne, uscir non si concede.
Né metter piede in su le salse arene:
E per questo commettermi alla fede
D'una de le mie donne mi conviene.
Del cui perfetto amor fatta ho sovente
Più prova ancor, ch'io non farò al presente.
75
Non men di me tormi costei disia
Dì servitù, pur che ne venga meco;
Che cosi spera, senza compagnia
De le rivali sue, ch'io viva seco.
Ella nel porto o fuste o saettia
Farà ordinar, mentre è ancor l'aer cieco,
Che i marinari vostri troveranno
Acconcia a navigar, come vi vanno.
76
Dietro a me tutti in un drappel ristretti,
Cavallieri, mercanti e galeotti,
— 4. teatro; le gradinate costruite in le-
gno intorno alla lizza.
73. 5. sei... sie... Il primo iiidicat. mostra
la convinzione di Marfisa che G. sia con
lei; il secondo cong. mostra la lontana sup-
posizione che potesse esser con quelle.
— 7. ci; in questa cosa. Comune anche
oggi nel linguaggio parlato.
74. 1. ne succede; ci riesce a buon fine.
V. e. II, 22, u. 6.
75. 5. fnste. K singol. (lat. fustis) V. e.
vin, 60, 2. — saettia, cosi detta per la sua
velocità fu, prima, nave da pirati, poi an-
che da guerra.
76. 2. mercanti. Si rammenti che la nave
268
ORLANDO FURIOSO
Ch'ad albergarvi sotto a questi tetti
Meco, vostra mercé, sete ridotti.
Avrete a farvi ampio sentier coi petti,
Se del nostro camin siamo interrotti:
Cosi spero, aiutandoci le spade.
Ch'io vi trarrò de la crudel cittade.
77
Tu fa come ti par (disse Marfisa),
Ch'io son per me d'uscir di qui sicura.
Più facil tìa che di mia mano uccisa
La gente sia, che è dentro a queste mura,
Che mi veggi fuggire, o in altra guisa
Alcun possa notar ch'abbi paura.
Vo' uscir di giorno e sol per forza d'arme;
Che per ogn'altro modo obbrobrio parme.
78
S'io ci fossi per donna conosciuta,
So ch'avrei da le donne onore e pregio;
E volentieri io ci sarei tenuta,
E tra le prime forse del collegio:
Ma con costoro essendoci venuta,
Non ci vo' d'essi aver più privilegio.
Troppo error fora ch'io mi stessi o andassi
Libera, e gli altri in servitù lasciassi.
79
Queste parole et altre seguitando.
Mostrò Marfisa che '1 rispetto solo
Ch'avea al periglio de' compagni (quando
Potria loro il suo ardir tornare in duolo),
La tenea che con alto e memorando
Segno d'ardir non assalia lo stuolo:
E per questo a Guidon lascia la cura
D'ubar la via che più gli par sicura.
80
Guidon la notte con Aleria parla
(Cosi avea nome la più fida moglie) :
Né bisogno gli fu molto pregarla.
Che la trovò disposta alle sue voglie.
Ella tolse una nave e fece armarla,
E v'arrecò le sue più ricche spoglie.
Fingendo di volere al nuovo albóre
Con le compagne uscire in corso fuore.
81
Ella avea fatto nel palazzo inanti
Spade e lance arrecar, corazze e scudi,
Onde armar si potessero i mercanti
E i galeotti ch'eran mezzo nudi.
prigioniera era una nave da mercanzie.
V. e. XIX, 135.
— 4. vostra mercé. È formula di puro
complimento.
— t.. del n. cammin. È complem. di limi-
tazione.
77. 5. veggi; Può essere seconda o terza
pers. del cong. V, e. xv, ti6, n. 5. La stessa
nota valga per il seguente abbi.
79.5. La tenea... chen. ass. ; la tratteneva
che non assalisse. Di quest' uso dell' indie,
col verbo tenere si cita questo solo esempio
deirA.
Altri dormirò, et altri stèr veggianti,
Compartendo tra lor gli ozi e gii studi ;
Spesso guardando, e pur con l'arme in-
Se l'Oriente ancor si facea rosso, [dosso.
82
Dal duro volto de la terra il sole
Non tollea ancora il velo oscuro et atro;
A pena avea la Licaonia prole
Per li solchi del ciel volto l'aratro;
Quando il femineo stuol, che veder vuole
11 fin de la battaglia, empi il teatro.
Come ape del suo claustro empie la soglia,
Che mutar regno al nuovo tempo voglia.
83
Di trombe, di tambur, di suon di corni
Il popol risonar fa cielo e terra,
Cosi citando il suo Signor, che torni
A terminar la cominciata gaerra.
Aquilante e Grifon stavano adorni
De le lor arme, e il Duca d'Inghilterra,
Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti
Gli altri, chi a piedi e chi a cavallo instrutti.
84
Per scender dal palazzo al mare e al
La piazza traversar si con venia; [porto,
Né v'era altro camin lungo né corto:
Cosi Guidon disse alla compagnia.
E poi che di ben far molto conforto
Lor diede, entrò senza rumore in via;
E ne la piazza dove il popol era,
S'appresentò con più di cento in schiera.
85
Molto affrettando i suoi compagni, an-
Guidone all'altra porta per uscire: [dava
Ma la gran moltitudine che stava
Intorno armata, e sempre atta a ferire,
Pensò, come lo vide che menava
81. G. studi; occupazioni. È poetico.
82.3. 1. Licaonia p.; appena Callisto avea
compito in cielo il suo giro. Callisto figlia
di Licaone, resa madre da Giove, fu da
Giunone mutata in Orsa, e da Giove stesso
messa fra le costellazioni. L' Orsa maggiore
non si dilegua dagli occhi nostri se non
quando s' appressa l' aurora.
— 6. il f. de la,b. V. e. XIX, 106.
— 7. come ape ecc. Le api si aggruppano
dinanzi all'alveare, quando, a primavera,
vogliono sciamare.
83. 3. citando, (lat. Citare), chiamando.
Si cita solo, ma non dalla Crusca, questo
luogo dell' A.
— 8. instrnttì; apparecchiati. Latinismo
assai amato dall' A. (xix, 65; xxxviii, 77;
XLVi, 'j6) e da altri scrittori.
85. 2. all'a. porta. Qui si tratta delle porte
della lizza, la quale occupava tutta questa
piazza. Lo steccato aveva quattro porte op-
poste fra loro, donde entravano i combat-
tenti e il loro seguito.
CANTO XX
269
Seco quegli altri, che volea fuggire;
E tutta a un tratto agli arch i suoi ricorse,
E parte, onde s'uscia, venne ad opporse.
86
Guidone e gli altri cavallier gagliardi,
E sopra tutti lor Marfisa forte,
Al menar de le man non furon tardi,
E molto fèr per isforzar le porte:
Ma tanta e tanta copia era dei dardi
Che, con ferite dei compagni e morte,
Pioveano ior di sopra e d'ogn'intorno,
Ch'alfìn temean d'averne danno e scorno.
87
D'ogni guerrier l'usbergo era perfetto;
Che se non era, avean pili da temere.
Fu morto il destrier sotto a Sansonetto:
Quel di Marfisa v'ebbe a rimanere.
Astolfo tra sé disse: Ora, ch'aspetto
Che mai mi possa il corno più valere?
10 vo' veder, poi che non giova spada,
S'io 80 col corno assicurar la strada.
88
Come aiutar ne le fortune estreme
Sempre si suol, si pone il corno a bocca.
Par che la terra e tutto '1 mondo trieme,
Quando l'orribii suon ne l'aria scocca.
Si nel cor de la gente il timor preme.
Che per disio di fuga si trabocca
Giù del teatro sbigottita e smorta,
Non che lasci la guardia de la porta.
89
Come talor si getta e si periglia
E da finestra e da sublime loco
L'esterrefatta subito famiglia.
Che vede appresso o d'ogu'iutorno il fuoco.
Che, mentre le tenea gravi le ciglia
11 pigro sonno, crebbe a poco a poco;
Cosi, messa la vita in abandono.
Ognun fuggia lo spaventoso suono.
90
Di qua di là, di su di giù smarrita
Surge la turba, e di fuggir procaccia.
Sonpiùdi mille aun tempo ad ogni uscita:
Cascano a monti, e Tuna l'altra impaccia.
In tanta calca perde altra la vita;
Da palchi e da finestre altra si schiaccia :
87. 4. v'ebbe a rimanere ; corse pericolo
di rimanervi. Infatti non vediamo che M.
in seguito sia senza cavallo.
88. 8. Non che 1. ; V. e. vii, 62, n. 1.
89. 1. si periglia, si pone a pericolo. Per
quest' uso riflessivo si cita dai vocabolari
solamente l'Ariosto. Il Parini lo usò neutro
assoluto « perigliando gisse », Matt. 315.
— 3. subito. O puoi intendere esterre-
fatta improvvisamente, o puoi unire il
subito al seguente che; subito che, appena
che. Nel primo caso il che è relativo di ra-
miglia.
90.6. Da palchi e. d. f.; Sottintendi co-
diando.
Più d'un braccio si rompe e d'una testa.
Di ch'altra morta, altra storpiata resta.
91
Il pianto e '1 grido insino al ciel saliva,
D'alta mina misto e di fracasso.
Affretta, ovunque il suon del corno arriva,
La turba spaventata in fuga il passo.
Se udite dir che d'ardimento priva
La vii plebe si mostri e di cor basso.
Non vi meravigliate, che natura
E de la lepre aver sempre paura.
92
Ma che direte del già tanto fiero
Cor di Marfisa e di Guidon Selvaggio?
Dei dna giovini figli d'Oliviero,
Che già tanto onoraro il lor lignaggio?
Già cento mila avean stimato un zero;
E in fuga or se ne van senza coraggio,
Come conigli o timidi colombi,
A cui vicino alto rumor rimbombi.
93
Cosi noceva ai suoi, come agli strani
La forza che nel corno era incantata.
Sansonetto, Guidone e i duo germani
Fiiggon dietro a Marfisa spaventata;
Né fuggendo ponno ir tanto lontani,
Che lor non sia l'orecchia anco intronata.
Scorre Astolfo la terra in ogni lato.
Dando via sempre al corno maggior fiato.
94 [monte.
Chi scese al mare, e chi poggiò su al
E chi tra i boschi ad occultar si venne:
Alcuna senza mai volger la fronte.
Fuggir per dieci di non si ritenne:
Usci in tal punto alcuna fuor del ponte.
Ch'in vita sua mai più non vi rivenne:
Sgombrar© in modo e piazze e templi e
Che quasi vota la città rimase. [case,
95
Marfisa e '1 buon Guidone e i duo fratelli
E Sansonetto, pallidi e tremanti,
Fuggiano inverso il mare, e dietro a quelli
Fuggiano i marinari e i mercatanti;
Ove Aleria trovar, che fra i castelli
Loro avea un legno apparecchiato i^anti.
Quindi, poi ch'in gran fretta gli raccolse,
Dio i remi all'acqua, et ogni vela sciolse.
96
Dentro e d'intorno il Duca la cittade
Avea scorsa dai colli insino all'onde;
Fatto avea vote rimaner le strade:
Ognun lo fugge, ognun se gli nasconde.
Molte trovate fur, che per viltate
— 8. È verso quasi interamente ripetuto.
V, e. xirr, 38, 3.
94. 6. Ch'in vita s. ecc. Alcuna fuggi tanto
e con tanto spavento che, passato il ponte
sul fosso di cinta, non ardi di tornar più
mai in città.
95. 5. i castelli. V. e. XIX, 54, n. 4.
270
ORLANDO FURIOSO
S'eran gittate in parti oscure e immonde:
E molte, non sappiendo ove s'andare,
Messesi a nuoto et aftogate in mare.
97
Per trovare i compagni il Duca viene,
Che si credea di riveder sul molo.
Si volge intorno, e le deserte arene
Guarda per tutto, e non v'appare un solo.
Leva più gli occhi, e in alto a vele piene
Da sé lontani andar lì vede a volo:
Si che gli convien fare altro disegno
Al suo carain, poi che partito è il legno.
98
Lasciamolo andar pur; né vi rincresca
Che tanta strada far debba soletto
Per terra d'infedeli e barbaresca,
Dove mai non si va senza sospetto:
Non è periglio alcuno onde non esca
Con quel suo corno, e n'ha mostrato effet-
E dei compagni suoi pigliamo cura, [to:
Ch'ai mar fuggian tremando di paura.
99
A piena vela si cacciaron lunge
Da la crudele e sanguinosa spiaggia:
E poi che di gran lunga non li giunge
L'orribil suon ch'a spaventar più gli ag-
Insolita vergogna si gli punge, [già,
Che, com'un fuoco, a tutti il viso raggia.
L'un non ardisce a mirar l'altro, e stassi
Tristo, senza parlar, con gli occhi bassi.
100
Passa il nocchiero al suo viaggio inten-
E Cipro e Rodi, e giù per l'onda Egea [to.
Da sé vede fuggire isole cento
Col periglioso capo di Malea:
E con propizio et immutabil vento
Asconder vede la Greca Morea;
Volta Sicilia e per lo mar Tirreno
Costeggia de l'Italia il lito ameno:
101
E sopra Luna ultimamente sorse.
Dove lasciato avea la sua famiglia.
Dio ringraziando che '1 pelago corse
98. 8. al mar f.; essendo in mare fuggi-
vano, a per in è vivo ancora in molte lo-
cuzioni: È sepolto al cimitero; le bestie
sono al bosco ecc.
99. 6. raggia, è acceso. È significato no-
tevole non registrato dai vocabolari.
— 7. ardisce a m. Uso affine a quello della
st. 71, 2. Novelle ant. 65, 6 : « Non l' avranno
ardito a manicare ».
100. 4. Malea; Ora Malia, promontorio del
Peloponneso, alla spiaggia australe della
Laconia, pericoloso per venti e scogli.
— 7. Volta; Voce marinaresca, che signi-
fica gira.
101. 1. Luna. V. e. XVIII, 135. — sorse;
V. C. IV, 51, n. 5.
Senza più danno, il noto lito piglia.
Quindi un nocchier trovar per Francia
Il qual di venir seco li consiglia: [sciorse,
E nel suo legno ancor quel di montaro.
Et a Marsilia in breve si trovare.
102
Quivi non era Bradamante allora,
Ch'aver solca governo del paese;
Che se vi fosse, a far seco dimora
Gli avria sforzati con parlar cortese.
Sceser nel lito, e la medesima ora
Dai quattro cavallier congedo prese
Marfisa, e da la donna del Selvaggio;
E pigliò alla ventura il suo viaggio,
103
Dicendo che lodevole non era
Ch'andasser tanti cavallieri insieme :
Chegli stornici colombi vanno in schiera,
I daini e i cervi e ogn'animal che teme;
Ma l'audace falcou, l'aquila altiera,
Che ne l'aiuto altrui non mettou speme.
Orsi, tigri, leon, soli ne vanno;
Che di più forza alcun timor non hanno.
104
Nessun degli altri fu di quel pensiero;
Si ch'a lei sola toccò a far partita.
Per mezzo i boschi, e per strano sentiero
Dunque ella se n'andò sola e romita.
Grifone il bianco et Aquilante il nero
Pigliar con gli altri duo la via più trita,
E giunsero a un castello il di seguente.
Dove albergati fur cortesemente.
105
Cortesemente dico in apparenza.
Ma tosto vi sentir contrario effetto;
Che '1 Signor del castel, benivolenza
Fingendo e cortesia, lor de ricetto;
E poi la notte, ehe sicuri senza
Timor dormian, li fé' pigliar nel letto;
Né prima li lasciò, che d'osservare
Una costuma ria li fé' giurare.
106
Ma vo' seguir la bellicosa donna,
Prima, Signor, che di costor più dica.
— 5. sciorse; partire: V. e. x, 44, 1.
— 7. ancor q. di' V. e. XXV, 40, n. 4.
102. 3. vi fosse; vi fosse stata. V. e I, 81,
n. 3.
— 5. la medesima o. ; nello stesso tempo.
10.5. 4. de; die, diede. Da una forma deve
si ebbe un perfetto dei, desti, de, demmo,
deste, devono. Alcune persone sono rimaste,
altre sono perite lasciando solo traccia ne-
gli antichi. Boccaccio, Teseide, xi, 56 ha
déo; Berni, Imi. n, 21, 23 ha derno, che
per assimilazione dette poi denno, come
amorno, partirno dettero amonno, par-
tinno. Altri es. vedi in Nannucci An, crit.
dei V. It. p. 556.
— 8. costuma; V. e. xix, 66, 0.
CANTO XX
271
Passò Druenza. il Rodano e la Sonna,
E venne a pie d'una montagna aprica.
Quivi lungo un torrente in negra gonna
Vide venire una femina antica.
Che stanca e lassa era di lunga via,
Ma via più afflitta di malenconia.
107
Questa è la vecchia che solca servire
Ai nialandrin nel cavernoso monte,
Là dove alta giustizia fé' venire,
E dar lor morte il paladino Conte.
La vecchia, che timore ha di morire,
Per le ragion che poi vi saran conte,
Già molti di va per via oscura e fosca.
Fuggendo ritrovar chi la conosca.
108
Quivi d'estrano cavallier sembianza
L'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese;
E perciò non fuggi, com'avea usanza
Fuggir dagli altri ch'eran del paese;
Anzi con sicurezza e con baldanza
Si fermò al guado, e di lontan l'attese:
Al guado del torrente, ove trovolla,
La vecchia le usci incontra e salutoUa.
109
Poi la pregò che seco oltr'a quell'acque
Ne l'altra ripa in groppa la portasse.
Marfisa che gentil fu da che nacque,
Di là dal fiumicel seco la trasse;
E portarla anch'un pezzo non le spiacque.
Fin ch'a miglior camìn la ritornasse,
Fuor d'un gran fango;eal tìn di quel sen-
si videro all'incontro un cavalliero. [tiero
Ilo
n cavallier su ben guernita sella,
Di lucide arme e di bei panni ornato,
Verso il fiume venia, da una donzella
E da un solo scudiero accompagnato.
La donna ch'avea seco, era assai bella,
Ma d'altiero sembiante e poco grato.
Tutta d'orgoglio e di fastidio piena,
Del cavallier ben degna che la mena.
IH
Pinabello, un de' Conti Maganzesi,
106. 3. Druenza, Durance, Sonna, Saòne,
aflluenti del Rodano. Come si vede, Marfisa,
passata la Duranza, piegò verso il Nord della
Francia e giùnse ai monti del Lionese. Per
questa avventura di Gabrina ricorda canto
XIII, 42.
107. 3. alta giustizia; È soggetto.
— 7. già molti di; g. da m. dJ. V. e. i,
26, n. 8.
108. 2. L' ebbe ; le ebbe, ebbe per lei. V.
e. VII, 35, n. 8.
— 7. trovolla. Il soggetto è Marfisa.
110.7. fastidio; La Crusca intende di-
sprezzo; (da fastidire, avere a noia).
111. 1. Pinabeìlo eCc. I fatti accennati in
questa st. sono svolti nel e. ii e m.
Era quel cavallier ch'ella avea seco;
Quel medesmo che dianzi a pochi mesi
Bradamante gittò nel cavo speco.
Quei sospir, quei singulti cosi accesi,
Quel pianto che lo fé' già quasi cieco.
Tutto fu per costei ch'or seco avea.
Che '1 Negromante allor gli ritenea.
112
Ma poi che fu levato di sul colle
L'incantato caste! del vecchio Atlante,
E che potè ciascuno ire ove volle.
Per opra e per virtii di Bradamante;
Costei ch'alli disii facile e molle
Di Pinabel sempre era stata inante,
Si tornò a lui, et in sua compagnia
Da un castello ad un altro or se ne già.
113
E si come vezzosa era e mal usa.
Quando vide la vecchia di Marfisa,
Non si potè tenere a bocca chiusa
Di non la motteggiar con beft"e e risa.
Marfisa altiera, appresso a cui non s"usa
Sentirsi oltraggio in qual si voglia guisa,
Rispose d'ira accesa alla Donzella,
Che di lei quella vecchia era più bella;
114
E ch'ai suo cavallier volea provallo,
Con patto di poi tórre a lei la gonna
E il palafren ch'avea, se da cavallo
Gittava il cavallier di ch'era donna.
Pinabel che faria, tacendo, fallo.
Di risponder con l'arme non assonna:
Piglia lo scudo e ì'asta, e il destrier gira.
Poi vien Marfisa a ritrovar con ira.
115
Marfisa incontra una gran lancia affer-
E ne la vista a Pinabel l'arresta, [ra.
— 3. dianzi a p. m. Comunemente inten-
dono dianzi come prep.: avanti pochi mesi:
ma sarebbe esempio forse unico. Non po-
tremmo intendere dianzi come avverbio,
poco tempo prima ; e a pochi m. come
una determinazione più precisa di tempo?
In questo caso a pochi mesi, alla distanza
di pochi mesi, sarebbe espressione analoga
air altra a poche miglia.
113. I. vezzosa; leziosa. Si cita questo solo
esempio dell'A.
— 4. di non 1. m.; O dipende da tenere
(V, e. XXXII, 35, A) o è di per da, in modo
da come al e. i, 51, 6; viii, 16.
— 6. Sentirsi ecc. Intendi: non si usa che
chi è appresso a lei si senta fare oltraggio.
114. 6. non assonna; non indugia. "V. e.
Ili, 75, n. 6.
— 7. Piglia lo s. ecc.; di mano allo scu-
diero ; che, secondo P uso, lo portava.
115. 2. n. 1. vista... l'arr. ; la pone in resta
dirigendola alla vista dell' elmo, cioè a quel-
r apertura, per cui il cavaliere vede.
272
ORLANDO FURIOSO
E si stordito lo riversa in terra,
Che tarda un'ora a rilevar la testa.
Marfisa, vincitrice de la guerra,
Fé' trarre a quella giovane la vesta,
Et ogn'altro ornamento le fé' porre,
E ne fé' il tutto alia sua vecchia tórre:
116
E di quel glovenile abito volse
Che si vestisse e se n'ornasse tutta;
E fé' che '1 palafreno anco si tolse,
Che la giovine avea quivi condutta.
Indi al preso cammiu con lei si volse,
Che quant'erapiù ornata, era più brutta.
Tre giorni se n'andar per lunga strada,
Senza far cosa onde a parlar m'accada.
117
Il quarto giorno un cavallier trovaro,
Ohe venia in fretta galoppando solo.
Se di saper chi sia forse v'è caro.
Dicovi ch'è Zerbin di Re figliuolo,
Di virtii esempio e di bellezza raro,
Che sé stesso rodea d'ira e di duolo.
Di non aver potuto far vendetta
D'un che gli aveagran cortesia interdetta.
118
Zerbino indarno per la selva corse
Dietro a quel suo che gli avea fatto oltrag-
Ma si a tempo colui seppe via tòrse, [gio;
Si seppe nel fuggir prender vantaggio.
Si il bosco e si una nebbia lo soccorse,
Ch'avea offuscato il matutiuo raggio.
Che di man di Zerbin si levò netto.
Fin che l'ira e il furor gli usci del petto.
119
Non potè, ancor che Zerbin fosse irato.
Tener, vedendo quella vecchia, il riso;
Che gli parca dal giovenile ornato
Troppo diverso il brutto antiquo viso;
Et a Marfisa che le venia a lato.
Disse : Guerrier, tu sei pien d'ogni avviso.
Che damigella di tal sorte guidi,
Che non temi trovar chi te la invidi.
120
Avea la donna (se la crespa buccia
Può darne indicio) più de la Sibilla,
E parca, cosi ornata, una bertuccia.
— 7. porre; deporre. È significato tolto
dal latino ponere. Si cita solo l'Ariosto.
Cosi pure nel e. x.ki, 5.
H6. 6 quanto... era; Sottint. tanto ; cosi
spesso nella nostra lingua.
— 8. a parlar m' a. ; mi occorra di p. Il
costrutto accadere o occorrere a non è
citato dai vocabolari.
117. 3. se... forse; V. e. ili, 68, n. 1.
— 8. interdetta, impedita. V. e. xix, 13.
119. 6. aTTiso ; avvedutezza. V. e. xi, 53,
n. 4.
120. 2. p. d. 1. Sibilla; V. e. vii, 73, 5.
Quando per muover riso alcun vestilla;
Et or più brutta par, che si coruccia,
E che dagli occhi l'ira le sfavilla;
Ch'a donna non si fa maggior dispetto.
Che quando© vecchia o brutta le viendet-
121 [to.
Mostrò turbarse l'inclita donzella.
Per prenderne piacer, come si prese;
E rispose a Zerbin: Mia donna è bella.
Per Dio, via più che tu non sei cortese;
Come ch'io creda, che la tua favella
Da quel che sente l'animo non scese.
Tu fingi non conoscer sua beltade,
Per escusar la tua somma viltade.
122
E chi saria quel cavallier che questa
Si giovane e si bella ritrovasse
Senza più compagnia ne la foresta,
E che di farla sua non si provasse?
Si ben (disse Zerbin) teco s'assesta.
Che saria mal ch'alcun te la levasse :
Et io per me non son cosi indiscreto,
Che te ne privi mai: stanne pur lieto.
123
S'in altro conto aver vuoi a far meco.
Di quel ch'io vaglio, son per farti mostra;
Ma per costei non mi tener si cieco,
Che solamente far voglia una giostra.
O brutta o bella sia, restisi teco:
Non vo' partir tanta amicizia vostra.
Ben vi siete accoppiati: io giurerei
Com'ella è bella, tu gagliardo sei.
124
Suggiunse a lui Marfisa : Al tuo dispetto.
Di levarmi costei provar convienti.
Non vo' patir ch'un si leggiadro aspetto
Abbi veduto, e guadagnar noi tenti.
Rispose a lei Zerbin: Non so a ch'effetto
L'uom si metta a periglio e si tormenti.
Per riportarne una vittoria poi.
Che giovi al vinto e al vincitore annoi.
125
Se non ti par qaesto partito buono,
Te ne do un altro, e ricusar noi dei
(Disse a Zerbin Marfisa): che, s'io sono
Vinto da te, m'abbia a restar costei;
Ma s'io te vinco, a forza te la dono.
Dunque proviàn chi de' star senza lei.
122. 3. Senza pili comp. II Bolza intende:
senz'alcuna compagnia; ma è spiegazione,
che non si adatta né al contesto né all' uso
della lingua. Intendi dunque: senz' altra
compagnia che di un sol cavaliere. V. uso
simile nel e. xxiv, 113.
— 5. teco a'aas. si confà a te. Nota il co-
strutto assestarsi con invece del più co-
mune assestarsi a; per quello si cita so-
lamente Vk.
124. 8. al T. anEoi. Per questo costrutto si
cita solo l'A.
CANTO XX
273
Se perdi, converrà che tu le faccia
Compagnia sempre, ovunque andar le
12C [piaccia.
E cosi sia, Zerbin rispose; e volse
A pigliar campo subito il cavallo.
Si levò su le staffe, e si raccolse
Fermo in arcione; e per non dare in fallo,
Lo scudo in mezzo alla Donzella colse;
Ma parve urtasse un monte di metallo:
Et ella in guisa a lui toccò l'elmetto,
Che stordito il mandò di sella netto.
127
Troppo spiacque a Zerbin l'esser caduto,
Ch'in altro scontro mai più non gli avven-
E n'avea mille e mille egli abbattuto; [ne,
Et a perpetuo scorno se lo tenne.
Stette per lungo spazio in terra muto;
E più gli dolse poi che gli sovvenne,
Ch'avea promesso e che gli convenia
Aver la brutta vecchia in compagnia.
128
Tornando a lui la vincitrice in sella,
Disse ridendo: Questa t'appresento;
E quanto più la veggio e grata e bella.
Tanto, ch'ella sia tua, più mi contento.
Or tu in mio loco sei campion di quella; I
Ma la tua te non se ne porti il vento, l
Che per sua guida e scorta tu non vada
(Come hai promesso) ovunque andar l'ag-
129 [grada, i
Senza aspettar risposta urta il destriero
Per la foresta, e subito s'imbosca.
Zerbin che la stimava un cavalliero.
Dice alla vecchia: Fa ch'io lo conosca.
Et ella non gli tiene ascoso il vero.
Onde sa che lo 'ncende e che l'attosca:
Il colpo fu di man d'una donzella,
Che t'ha fatto votar (disse) la sella.
130
Pel suo valor costei debitamente
Usurpa a'cavallieri e scudo e lancia;
E venuta è pur dianzi d'Oriente
126. 2. pigliar campo; pigliar la distanzaop-
portuna per muovere allo scontro.
— 8. il mandò d. s. ; il buttò giù di s. È
significato non registrato dai vocab.
128. 7. Che; cosicché.
— «. l\a-gr. le aggr. V. e. vii, 35, n. 8.
129. 6. che lo'nc; cosa che l'ine. IlMachia-
velli in una lettera a Luigi Alamanni, la-
riientandosi perché l'Ariosto non lo avea
rammentato fra i poeti nel canto xlvi, dice:
« Egli ha fatto a me in detto suo Orlando
che io non farò a lui nel mio Asino ». V e
vai, t<y, 11. s ; xtvi, 93, 3.
130. 1. debitamente usurpa, Usurpare è
qui nel suo proprio significato di prendere
ad aitici ingiustamente, ma il senso è mo-
dificato dal debitamente. Intendi dunque:
Essa si prende quello che di diritto appar-
ArIOSTO — l'APISI
Per assaggiare 1 Paladin di Francia.
Zerbin di questo tal vergogna sente.
Che non pur tinge di rossor la guancia,
Ma restò poco di non farsi rosso
Seco ogni pezzo d'arme ch'avea in dosso,
1.31
Monta a cavallo, e sé stesso rampogna
Che non seppe tener strette le cosce.
Tra sé la vecchia ne sorride, e agogna
Di stimularlo e di più dargli angosce.
Gli ricorda ch'andar seco bisogna:
E Zerbin ch'ubligato si conosce,
L'orecchie abbassa, come vinto e stanco
Destrierc'ha in bocca il fren, gli sproni al
_, 132 [fianco.
E sospirando: Oimè, Fortuna fella,
(Dicea) che cambio è questo che tu fai'^
Colei che fu sopra le belle bella.
Ch'esser meco dovea, levata m'hai.
Ti par ch'in luogo et in ristor di quella
Si debba por costei ch'ora mi dai?
Stare in danno del tutto era men male.
Che fare un cambio tanto diseguale.
133
Colei che di bellezze e di virtuti
Unqua non ebbe e non avrà mai pare,
Sommersa e rotta tra gli scogli acuti
Hai data ai pesci et agii augei del mare;
E costei che dovria già aver pasciuti
Sotterra i vermi, hai tolta a preservare
Dieci 0 venti anni più che non dovevi,
Per dar più peso agli mie' affanni grevi.
134
Zerbin cosi parlava; né men tristo
In parole e in sembianti esser parea
Di questo nuovo suo si odioso acquisto,
Che de la donna che perduta avea.
La vecchia, ancor che non avesse visto
Mai più Zerbin, per quel ch'ora dicea.
S'avvide esser colui di che notizia
Le diede già Issabella di Galizia.
135
Se '1 vi ricorda quel ch'avete udito.
Costei da la spelonca ne veniva,
tiene agli uomini; ma ha ben ragione di
farlo, perché vale quanto un uomo.
— 7. restò poco di; poco mancò che. Più
spesso: restar di poco che. Segneri, Man.
Apr. 1-1, 3: «Di poco è restato che ancor
tu ecc. ».
132.7. stare in danno; V. e. xviii 156
n. 5. ' '
133. 3. Sommersa e rotta; Cosi credeva
Zerbino d'Isabella.
134. 6. mai più ; mai altra volta. Cosi spes-
so gli antichi. Bocc. Nov. 15: « non essendo
mai più fuor di casa stato ». Ma oggi use-
remmo il semplice inai.
135. 1. Se '1 vi r.; s'egli vi r. El per egli
abbiamo anche al e. xiii, 3; xvii, 126; ma
274
ORLANDO FURIOSO
Dove Issabella, che d'amor ferito
Zerbino avea, fu molti di captiva.
Più volte ella le avea già riferito
Come lasciasse la paterna viva;
E come rotta in mar da la procella
m salvasse alla spiaggia di Rocella.
136
E si spesso dipinto di Zerbino
Le avea il bel viso e le fattezze conte,
Ch'ora udendol parlare, e più vicino
Gli occhi alzandogli meglio ne la fronte.
Vide esser quel per cui sempre meseliino
Fu d'Issabella il cor nel cavo monte;
Che di non veder lui più si lagnava,
Che d'esser fatta ai malandrini schiava.
137
La vecchia, dando alle parole udienza.
Che con sdegno e con duol Zerbino versa,
S'avvede ben ch'egli ha falsa credenza
Che sia Issabella in mar rotta e sommer-
E ben ch'ella del certo abbia scienza, [sa:
Per non lo rallegrar, pur la perversa
Quel che far lieto lo potria, gli tace,
E sol gli dice quel che gli dispiace.
138
Odi tu (gli disse ella), tu che sei
Cotanto altier, che si mi scherni e sprezzi :
Se sapessi che nuova ho di costei
Che morta piangi, mi faresti vezzi:
Ma piuttosto che dirtelo, tèrrei
Che mi strozzassi, o fessi in mille pezzi;
Dove, s'eri ver me più mansueto.
Forse aperto t'avrei questo secreto.
139
Come il mastin che con furor s'avventa
Adesso al ladro, ad acchetarsi è presto,
Che quello o pane o cacio gli appresenta,
O che fa incanto appropriato a questo;
Cosi tosto Zerbino umil diventa,
E vien bramoso di sapere il resto,
Che la vecchia gli accenna che di quella,
Che morta piange, gli sa dir novella.
140
E volto a lei con più piacevol faccia,
qui è notevole il senso neutro. Per il rac-
conto cfr. e. XII, XIII.
136. 2. conte. Puoi intender conosciute;
o anche (lat. comptae) belle, come al canto
xxxii, 83, 3.
137. 2. versa. È il latino fundere verba.
138. 2. scherni. È forma regolare di sc/ie/-
nire, ma oggi si usa piuttosto la forma
rafforzata sc/ter>ìjsc<. Tasso, Am. ni, 1, 34:
« Or perché, iniqua, Scherni ed aborri il
dono ».
139. 3. Che ; subito che. Ma è un uso
molto notevole e forse senza esempi nella
letteratura. Abbiamo il medesimo uso nel
canto XXII, 83, 4; dove troverai opportuna
nota, che dà ragione del costrutto.
La supplica, la p"rega, la scongiura
Per gli uomini, per Dio, che non gli taccia
Quanto ne sappia, o buona o ria ventura.
Cosa non udirai che prò ti faccia.
Disse la vecchia pertinace e dura:
Non è Issabella, come credi, morta;
Ma viva si, ch'a morti invidia porta.
141
È capitata in questi pochi giorni
Che non n'udisti, in man di più di venti:
Si che, qualora anco in man tua ritorni,
'V^e' se sperar di córre il iìor convienti.
Ah vecchia maladetta, come adorni
La tua menzogna! e tu sai pur se menti.
Se ben in man di venti ell'era stata,
Non l'avea alcun però mai violata.
142 !
Dove l'avea veduta domandone
Zerbino, e quando; ma nulla n'invola;
Che la vecchia ostinata più non volle
A quel c'ha detto, aggiungere parola.
Prima Zerbin le fece un parlar molle;
Poi minacciolle di tagliar la gola:
Matuttoèinvanciòcheminaccia e prega;
Che non può far parlar la brutta strega.
143
Lasciò la lingua all'ultimo in riposo
Zerbin, poi che '1 parlar gli giovò poco;
Per quel ch'udito avea, tanto geloso.
Che non trovava il cor nel petto loco;
D'Issabella trovar si disioso.
Che saria per vederla ito nel foco:
Ma non poteva andar più che volesse
Colei, poi ch'a Marfisa lo promesse.
144
E quindi per solingo e strano calle.
Dove a lei piacque, fu Zerbin condotto :
Né per o poggiar monte, o scender valle.
Mai si guardaro in faccia, o si fèr motto.
140. 8. a morti. Solita omissione dell' ar-
ticolo V. e. II, 15, n. 8. Avverti che nell'edi-
zione del 1516 si ha a' morti.
141. 5. Ah vecchia ec. Questa è riflessione
del Poeta.
142.2. n'invola; ne ricava; ma accenna
air astuzia per carpirle qualche notizia.
— 6. tagliar, tagliarle. V. e. i, 21, n. 7.
144. 3. Né per o p. monte. Né salendo monte
né scendendo in valle: ma il per coli' infi-
nito, che vale per quanto camminino a
lunyo per monti o per valli, è più espres-
sivo del gerundio. E l' idea di caìnminare
a lungo è resa anche dalla lentezza che ac-
quista il verso colla congiunzione disgiun-
tiva posta in mezzo alla proposizione. —
poggiare si costruisce con a, per, in, e an-
che col complemento diretto. Sannaz. Ar-
cad. pr. 5: «Cominciammo a poggiare il
non aspro monte ». E il Tasso disse « Pog-
CANTO XX
•J75
Ma poi ch'ai Mezzodì volse le spalle ' Da nn pavaliiAr r.>.o «»i «ov„-
■'"«"'"•f " 1" «ile-i» r»«o I QXhrs?";,l:„tfa°u;o c"'„°„'?"S„":
' •''' ^°' ^^". A 6 ecc. E il lat. vagus.
CANTO XXI
Né fune intorto crederò che stringa
Soma cosi, né cosi legno chiodo,
Come la fé ch'una bella alma cinga
Del suo tenace indissolubil nodo.
Né dagli antiqiii par che si dipinga
La santa Fé vestita in altro modo.
Che d'un vel bianco che la copra tutta,
Ch'un sol punto, un sol neo la può farbrut-
2 (ta.
La fede unquanondebbe esser corrotta,
O data a un solo, o data insieme a mille;
E cosi in una selva, in una grotta,
Lontan da le cittadi e da le ville,
Come dinanzi a tribunali, in frotta
Di testimon, di scritti e di postille,
Senza giurare, o segno altro più espresso,
Basti una volta che s'abbia promesso.
3
Quella servò, come servar si debbe
In ogni impresa, il cavallier Zerbino:
E quivi dimostrò che conto n'ebbe.
1. I. fune. Maschile l'usò pui-e il Petr.
I, son. 129: « e '1 fune avvolto »; ma è poe-
tico e solo usato al sing. — intorto ; latini-
smo non frequente.
— 2. legno... chiodo. Per il senso 1' uno e
l'altro possono essere soggetti o comple-
menti.
— 5. Né dagli ant. ecc. Che non si dipinga
in altro modo non è esatto, perché gli an-
tichi la dipinsero pur col viso scoperto (V.
Baumeistkr: Monum. di Antichità clas-
sica fig. 112tì, 1565, 19t2) ; ma è vero che
per lo più la figurarono tutta coperta d'un
velo bianco. Orazio, Od. i, 35: «albo rara
Fides velata panno ».
2. 1. La fede ecc. Cosi nell'iB^e^. ix, 43:
« La fede mai non debbe esser corrotta, o
data a un solo o data ancora a cento. Data I
in palese o data in una grotta. Per la vii 1
plebe è fatto il giuramento ».
— 5. in frotta; in mezzo a gran quantità.
— 8. B. una volta che; basti che una sola
Tolta si sia promesso.
8. 3. e. conto n' ebhe; e. conto ne fece.
Aver conto di una cosa è locuz. non citata
tonando si tolse dal proprio camino
Per andar con costei, la qual gl'increbbe
Come s'avesse il morbo si vicino,
O pur la morte istessa; ma potea.
Fui che '1 disio, quel che promesso avea
4
Dissi di lui, che di vederla sotto
La sua condotta tanto al cor gli preme
Che n'arrabbia di duol né le in motto- '
L vanno muti e taciturni insieme :
Dissi che poi fu quel silenzio rotto. Ime
Ch al mondo il sol mostrò le mote estre-
Da un cavalhero avventuroso errante,
Ohe m mezzo del camin lor si fé' inante.
_ 5
La vecchia che conobbe il cavalliero
Oh era nomato Ermonide d'Olanda,
Che per insegna ha ne lo scudo nero
Attraversata una vermiglia banda.
Posto l'orgoglio e quel sembiante altiero.
Umilmente a Zerbin si raccomanda
L gli ricorda quel ch'esso promise
Alla guerriera ch'in sua man la mise:
G
Perché di lei nimico e di sua gente
Lra il guerrier che contra lor venia-
; UCCISO ad essa avea il padre innocente,
[ L un fratello che solo al mondo avia-
L tutta volta far del rimanente.
Come degli altri il traditor disia.
Fin ch'alia guardia tua, donna, mi senti
j (Dicea Zerbin), non ve' che tu paventi.
dai vocab. ; e forse è fusione delle due co-
, muni far conto di ima cosa; avere in
conto una e.
— 6. morbo; peste. Uso assai frequente.
4. 2. al e. gli preme. V. e. xi, 14, n. 4.
— 4. muti e tac. imiti che non parlavano
affatto; taciturni, che non mostravano nes-
suna voglia di parlare.
— 6. mote estr.; l'estremità delle ruote
del carro; V. e. i, 21, n. 6.
6. 4. avia; Terminaz. poetica, antiquata
e rara per il verbo avere, ma frequente per
altri: solia, cria, ecc.
— 5. tutta volta; più spesso tuttavia,
ancora, inoltre.
276
ORLANDO FURIOSO
Come pili presso il cavallier si specchia
In quella faccia che si in odio gli era,
0 di combatter meco t'apparecchia,
Gridò con voce minacciosa e fiera, |
O lascia la difesa de la vecchia, j
Che di mia man secondo il merto pera, j
Se combatti per lei rimarrai morto :
Che cosi avviene a chi s'appiglia al torto.
8
Zerbin cortesemente a Ini risponde, !
Che gli è desir di bassa e mala sorte,
Et a cavalleria non corrisponde.
Che cerchi dare ad una donna morte:
Se pur combatter vuol, non si nasconde;
Ma che prima consideri eh' importe
Ch'un cavallier, com'era egli, gentile.
Voglia por man nel sangue feminile.
9
Queste gli disse e più parole in vano;
E fu bisogno alfin venire a fatti.
Poi che preso a bastanza ebbon del piano,
Tornarsi incontra a tutta briglia ratti.
Non van si presti i razzi fuor di mano,
Ch'ai tempo son de le allegrezze tratti.
Come andaron veloci i duo destrieri
Ad incontrare insieme i cavallieri.
10
Ermonide d'Olanda segnò basso,
Che per passare il .destro fianco attese:
Ma la sua debol lancia andò in fracasso,
E poco il cavallier di iScozia offese.
' Non fu già l'altro colpo vano e casso;
Eoppe lo scudo, e si la spalla prese,
Che la forò da l'uno all'altro lato,
E riversar fé' Ermonide sul prato.
7. 1. si specchia, guarda. Dante, Inf. 32,
50 : « perché cotanto in noi ti specchi ? »
8. 'i. gli è; egli è. V. e. x, 106, n. 5.
9. 3. preso... del piano; È lo stesso che
pigliar campo, e. xx, 126, S, e lAgliar^dcl
campo, XXXI, 13.
— 5. fuor di mano, fuori della mano, che
li regge sospesi, mentre si da fuoco alla
miccia. Non sarebbe strano neppure inten-
derlo come espressione avverbiale, che si-
gnifica lontano ila noi, come nei modi:
casa fuor di ni. ; -strada f. d. m. ecc.
— 6. allegrezze. V. e. xvii, 69, n. 8.
— 8. incontrare, fare incouU'Hre. Anguil-
lm; A, Met., 1, 152; «Incontrando le mani
intorno al legno >.
10. 1. segnò basso; mirò basso. V. e. xxiv,
104.
— 2. per p... attese; attese a passare.
Costrutto non citato dai vocabolari.
— 5. casso; senz'effetto. Uberti, Dittam.
I, l: «Quando m'accorsi ch'ogni vita è cas-
sa (inutile) ».
U
Zerbin che si pensò d'averlo ucciso,
Di pietà vinto, scese in terra presto,
E levò l'elmo da lo smorto viso;
E quel guerrier, come dal sonno desto.
Senza parlar guardò Zerbino fiso;
E poi gli disse: Non m'è già molesto
Ch'io sia da te abbattuto, ch'ai sembianti
Mostri esser fior de' cavallieri erranti;
12
Ma ben mi duol che questo per cagione
D'una femina perfida m'avviene,
A cui non so come tu sia campione,
Che troppo al tuo valor si disconviene.
E quando tu sapessi la cagione
Ch'a vendicarmi di costei mi mene.
Avresti, ogn'or che rimembrassi, affanno
D'aver, per campar lei, fatto a me danno.
13
E se-spirto a bastanza avrò nel petto,
Ch'io il possa dir (ma del contrario temo),
Io ti farò veder ch'in ogni effetto
Scelerata è costei più ch'in estremo.
Io ebbi già un fratel che giovinetto
D'Olanda si parti d'onde noi semo;
E si fece d'Eraclio cavalliero, i
Ch'allor tenea de'Greci il sommo impero.
14
Quivi divenne intrinseco e fratello
D'un cortese Baron di quella corte,
Che nel confin di Servia avea un castello
Di sito ameno, e di muraglia forte.
Nomossi Argeo colui di ch'io favello,
Di questa iniqua femina consorte.
La quale egli amò si, che passò il segno
Ch'a un uom si convenia, come lui, degno.
15
Ma costei, più volubile che foglia
Quando l'autunno è più priva d'umore,
Che '1 freddo vento gli albori ne spoglia,
E le soffia dinanzi al suo furore ;
'Verso il marito cangiò tosto voglia,
12. 6. mi mene; regolarmente dovrebbe
essere indicai. ; ma forse abbiamo qui la
fusione di due costrutti (V. e. ii, 6, n. 3);
se tu sapessi qual cagione mi meni; se tu
sapessi la cagione, che mi mena.
IS. 1. più ch'in estr. più che sommamente.
Segneri, M. Die. 30, 1: «È da lodarsi in
estremo ».
— 7. Eraclio, imperatore di Costantino-
poli (575-041), ma circa un secolo prima di
Carlo M., come appare dalle date.
14. I. fratello, come fratello.
- 3. Servia, Serbia.
15. 2. Quando ecc. Ovidio, Er. 5, 109: « Tu
levior foliis tunc cum sme pendere succi
Mobilibus ventis arida facta cadunt».
— 4. le soffia; Costrutto a senso: dovreb-
be dirsi la (fogba).
CANTO XXI
277
Che fisso qualche tempo ebbe nel core;
E volse ogni pensiero, ogni disio
D'acquistar per amante il fratel mio.
]G
Ma né si saldo all'impeto marino
L'Acrocerauno d'infamato nome,
Né sta si duro incontra Borea il pino
Che rinovato ha più di cento chiome,
Che quanto appar fuor de lo scoglio alpi-
Tanto sotterra ha le radici ; come [no,
Il mio fratello a'prieghi di costei,
Nido di tutti i vizi infaudi e rei.
17
Or, come avviene a un cavallier ardito,
Che cerca briga e la ritrova spesso,
Fu in una impresa il mio fratel ferito,
Molto al Castel del suo compagno appresso,
Dove venir senza aspettare invito
.Solca, fosse o non fosse Argeo con esso:
E dentro a quel per riposar fermosse
Tanto, che del suo mal libero fosse.
18
Mentre egli quivi si giacea, convenne
Ch'in certa sua bisogna andasse Argeo.
Tosto questa sfacciata a tentar venne
Il mio fratello, et a sua usanza feo:
^la quel fedel non oltre più sostenne
Avere ai fianchi un stimulo si reo:
Elesse per servar sua fede a pieno.
Di molti mal quel che gli parve meno.
19
Tra molti mal gli parve elegger questo:
Lasciar d'Argeo l'intrinsichezza antiqua;
Lungi andar si, che non sia manifesto
Mai più il suo nome alla femina iniqua.
Ben che duro gli fosse, era più onesto,
Che satisfare a quella voglia obliqua.
— 7. Tolse 0. p... d'acq. ; volse ogni pen-
siero ad acq. Su questo costrutto ha forse
agito il sostantivo disto, che ha tratto l'in-
finito alla sua dipendenza. V. e. vm, \(\, 2;
X, 61, 2.
16.2. Acrocoranno (gr. a/jro?z, cima; ke-
raunos fulmine; detti cosi perché colpiti
spesso dal fulmine); Monti dell'Epiro, ora
Cica o Chimarra. Formano colle falde un
promontorio pericoloso nel mare Ionio.
Orazio, Odi, 1, 3: «infames scopulos Acro-
ceraunia ».
— 5. Che quanto ecc. VIRGILIO, En. 4,
440, dice d'una quercia: « quantum vertice
ad auras Aetlierias, tantum radice in Tar-
tara tendit ».
— 8. infandl;.da non potersi dire. Lati-
nismo usato anche dal Berni, Inn. 14, 25:
• Peccato inaudito, infando, immenso».
18. 2. in certa b. b. andasse ; per certa sua
b. andasse. È uso molto notevole della prepo-
sizione in che trovasi più volte nell'A.
0 ch'accusar la moglie al suo signore,
Da cui fu amata al par del proprio core.
20
E de le sue ferite ancora infermo
L'arme si veste, e del caste! si parta;
E con animo va costante e fermo
Di non mai più tornare in quella parte.
Ma che gli vai? ch'ogni difesa e schermo
Gli dissipa Fortuna con nuova arte:
Ecco il marito che ritorna in tanto,
E trova la moglier che fa gran pianto,
21
E scapigliata e con la faccia rossa;
E le domanda di che sia turbata.
Prima ch'ella a rispondere sia mossa,
Pregar si lascia più d'una fiata,
Pensando tuttavia come si possa
Vendicar di colui che l'ha lasciata:
E ben convenne al suo mobile ingegno
Cangiar l'amore in subitane sdegno.
22
Deh (disse al fine) a che l'error nascondo
Che commesso,Signor,ne la tua absenzia?
Che quando ancora io '1 celi a tutto '1 mon-
Celar noi posso alla mia conscienzia. [do,
L'alma che sente il suo peccato immondo,
Paté dentro da sé tal penitenzia.
Ch'avanza ogni altro corporal martire
Che dar mi possa alcun del mio fallire;
23
I Quando fallir sia quel che si fa a forza.
; Ma sia quel che si vuol, tu sappil'anco;
; Poi con la spada da la immonda scorza
j Scioglie lo spirito immaculato e bianco,
I E le mie luci eternamente ammorza;
j Che, dojio tanto vituperio, al manco
I Tenerle basse ogn'or non mi bisogni,
E di ciascun ch'io vegga, mi vergogni.
I 24
j II tuo compagno ha l'onor mio distrutto:
! Questo corpo per forza ha violato;
j E perché teme ch'io ti narri il tutto.
'lì. 1. Questa storia che si riferisce alla
passione e al tradimento di Gabrina è tolta
quasi di peso dal Guiron, mentre l'accordo
col medico è tolto dall'Asilo d'Oro di Apu-
leio. Le differenze sostanziali sono che la
donna del Guiron uoii tradisce il marito, ma
un amante; e il cavaliere, che corrisponde a
Filandro, sebbene non voglia tradire l'ami-
co, pure ama la donna, yuauto all' Asino
d'oro è da notare che ivi il medico riesce
ad arrivare a casa, dove narra tutto alla
moglie (V. lib. x); ed essa va a ripetere il
prezzo del delitto.
— 6. dentro da sé. Dentro si usa colle
preposizioni di a da e anche senza prepo-
sizione.
•23. 4. Scioslìe; sciogli. V. c. ili, n. 4.
278
ORLANDO FURIOSO
Or si parte il villan senza commiato.
In odio con quel dir gli ebbe ridiitto
Colui, che più d'ogui altro gli fu grato.
Argeo lo crede, et altro non aspetta;
Ma piglia l'arme e corre a far vendetta.
25
E come quel ch'avea il paese noto,
Lo giunse che non fu troppo lontano;
Che '1 mio fratello, debole et egroto.
Senza sospetto se ne già pian piano:
E brevemente, in un loco remoto
Pose, per vendicarsene, in lui mano.
Non trova il fratel mio scusa che vaglia
Ch'in somma Argeo con lui vuol la batta-
26 [glia.
Era l'un sano e pien di nuovo sdegno,
Infermo l'altro, et all'usanza amico:
Si ch'ebbe il fratel mio poco ritegno
Contra il compagno fattogli nimico.
Dunque Filandro di tal sorte indegno
(De l'infelice giovane ti dico :
Cosi avea nome), non soffrendo il peso
Di si fiera battaglia, restò preso.
27
Non piaccia a Dio che mi conduca a tale
11 mio giusto furore e il tuo deraerto
(Gli disse Argeo), che mai sia omicidiale
Di te cii'amava: e me tu amavi certo.
Ben che nel fin me l'h^i mostrato male:
Pur voglio a tutto il mondo fare apèrto
Che, come fui nel tempo de l'amore,
Cosi ne l'odio son di te migliore.
28
Per altro modo punirò il tuo fallo.
Che le mie man più nel tuo sangue porre.
Cosi dicendo, fece sul cavallo
Di verdi rami una bara comporre,
E quasi morto in quella riportallo
Dentro al castello in una chiusa torre.
Dove in perpetuo per punizione
24. 5. In odio... ebbe r. ; Ridurre in odio
per nieltere iti odio è modo non citato dai
vocabol.
25. 3. egroto; (lat. eyrotus), malato.
— 5. brevemente; per dirla in breve. Bocc.
Fiioc. 4, 21: « K brevemente, voi e il diavolo
credo che siate una cosa ».
26. 2. all'usanza, secondo il solito. Fa ri-
scontro al ijien di nuovo sdegno del verso
precedente. Canto xlii, 25, 3: a sua usan-
za, secondo il suo solito.
— 3. ritegno, difesa, riparo.
27. 3. omicidiale ; micidiale. Fu già usato
dal Petrarca, poi dal Berni, Innam. n, 7, 55.
— 7. nel t. de l'amore ; quando ci ama-
vamo io fui migliore di te, perché tu mi
tradisti.
28. 1-2. Per altro m... che... porre; Regolar-
mente : che col porre, ponendo. È costrutto
popolare. — piri, davvantaggio.
Condannò l' innocente a star prigione.
29
Non però ch'altra cosa avesse manco,
Che la libertà prima del partire;
Perché nel resto, come sciolto e franco
Vi comandava, e si facea ubbidire.
Ma non essendo ancor l'animo stanco
Di questa ria del suo pensier fornire.
Quasi ogni giorno alla prigion veniva;
Ch'avea le chiavi, e a suo piacer l'apriva :
30
E movea sempre al mio fratello assalti,
E con maggiore audacia che di prima :
Questa tua fedeltii (dicea) che vaiti?
Poi che perfidia per tutto si stima.
Oh che trionfi gloriosi et alti!
Oh che superbe spoglie e preda opima!
Oh che merito al fin te ne risulta,
Se, come a traditore, ognun t'insulta!
31
Quanto utilmente, quanto con tuo onore
M'avresti dato quel che da te volli!
Di questo si ostinato tuo rigore
La gran mercé che tu guadagni, or folli.
In prigion sei, né crederne uscir fuore.
Se la durezza tua prima non molli.
Ma quando mi compiacci, io farò trama
Di l'acquistarti e libertade e fama.
32
No, no (disse Filandro) aver mai speue
29. 2. la 1. prima del p.; la primiera li-
bertà di partirsene a sua voglia.
— 5. stanco... del s. p. fornire; st. di for-
nire il suo pensiero. Bocc. Ninf. st. 335:
« Né son più degno del dardo portare » e
st. 35: « saziare Non si potea della ninfa mi-
rare ». Nota poi la brachilogia stanco di
fornire per stanco di operare ììer fornire.
30. 2. di prima. Si usò spesso dagli anti-
chi per il semplice prima: Dante. Inf. 15,
11. «assai più che di prima >.
— 6. p. opima; v. e. i, 41, (i.
— 8. t'insulta, insulta a te, come a tr. É
il costrutto latino insultare alioui; co-
strutto non raro anche in altri scrittori.
.31. 1. Quanto et. onore; È modo popolare,
nel quale è preso con tuo onore come modo
avverbiale, l'iù comun. con quanto t. on.
— 5. n. cred. uscir fuore; uè credere, u-
scirne f. Solito spostamento del pronome.;
V. e. I, 47, n. 6.
— fi. molli, ammollisci. Dal verbo mollire,
che è poetico e; per lo più, prende nel pres.
la forma mollisco. Tas«o, Am. prol. « Aspet-
terò che la pietà moUisca ».
— 7. compiacci, compiaccia. V. e. xv, 86,
n. 5. — farò trama; farò pratiche. .Non si
citano altri esempi di questa locuz.
32. 1. No, no; Il secondo no vale noìi; ma
è modo e distacco assai forzato.
CANTO XXI
279
Che non sia, come suol, mia vera fede,
Se ben contra ogni debito mi avviene
Ch'io ne riporti si dura mercede;
E di me creda il mondo men che bene:
Basta che inanti a quel che '1 tutto vede,
E mi può ristorar di grazia eterna.
Chiara la mia innocenza si discerna.
33
Se non basta ch'Arseo mi tenga preso,
Tolgami ancor questa noiosa vita.
Forse non mi fia il premio in ciel conteso
De la buona opra qui poco gradita.
Forse egli che da me si chiama offeso,
Quando sarà quest'anima partita,
S'avvedrà poi d'avermi fatto torto,
E piangerà il fedel compagno morto.
34
Cosi più volte la sfacciata donna
Tenta Filandro e torna senza frutto.
Ma il cieco suo desir, che non assonna
Del scelerato amor traer construtto.
Cercando va più dentro ch'alia gonna,
Suoi vizi antiqui, e ne discorre il tutto.
Mille pensier fa d'uno in altro modo.
Prima che fermi in alcun d'essi il chiodo.
35
Stette sei mesi che non messe piede.
Come prima facea, ne la prigione;
Di che il miser Filandro e spera e crede
Che costei più non gli abbia aifezione.
— 2. Che non sia, ecc. ; che la mia fede
non sia vera come suole essere. Avverti
l'anticipazione dell'aggett. vera.
— 3. debito, dovere, legge del dovere.
34. 3. non assonna; non è lenta. V. e. i,
49, n. 3; ni, 75, 6.
— 4. traer, trarre. Si sottintende la prep.
a o per o in secondo i costrutti dei due
luoghi sopra citati. V. e. i, -1, n. 1.
— 5. più d. ch'alia g. Forse vuol dire:
Non è solo ispirata dalla libidine del corpo,
ma ancora dalla inveterata malizia dell'a-
nima. Cerca dunque e sveglia quei vizi,
che sono più addentro che sotto la gonna,
cioè la malizia dell'anima, e ne esamina le
varie suggestioni (ne discorre il tutto).
— 7. Mille pensier; Fa mille progetti pas-
sando da un modo a un altro di pensare,
prima di fermarsi in alcuno di essi. La lo-
cuzione fermare il chiodo è tratta, secondo
il Fornari,dai legnaiuoli, che prima di pian-
tare il chiodo guardano bene il legno vol-
tandolo e rivoltandolo.
3.5. 1. che non m. ; senza che mettesse.
Vite dei SS. PP. 1, 163: «Stette tutto quel
di e la notte che non tornò a lui ».
— 3. Di che; per la qual cosa. Bocc. In-
trod Dee. « Ciascun... avea, si come sé, le
sue cose messe in abbandono : di che le
più delle cose erano divenute comuni ».
Ecco Fortuna, al mal propizia, diede
A questa scelerata occasione
Di metter tìn con memorabil male
A suo cieco appetito irrazionale.
3G
Antiqua nimicizia avea il marito
Con un Baron, detto Morando il bello, [to
Che,non v'essendo Argeo, spesso eraardi-
Di correr solo, e sin dentro al castello;
Ma s'Argeo v'era, non tenea lo 'nvito,
Né s'accostava a dieci miglia a quello.
Or, per poterlo indur che ci venisse,
D'ire in Gerusalera per voto disse.
37
Disse d'andare; e partesi ch'ognuno
Lo vede, e fa di ciò sparger le grida:
Né il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno
Puote saper; che sol di lei si iìda.
Torna poi nel castello all'aer bruno;
Né mai, se non la notte, ivi s'annida:
E con mutate insegne al nuovo albore.
Senza vederlo alcun, sempre esce fuore.
38 frando,
Se ne va in questa e in quella parte er-
E volteggiando al suo castello intorno,
Pur per veder se credulo Morando
V'olesse far, come solca, ritorno.
Stava il di tutto alla foresta; e quando
Ne la marina vedea ascoso il giorno.
Venia al castello, e per nascose porte
Lo togliea dentro l'infedel consorte.
39
Crede ciascun, fuor che l'iniqua moglie,
Che molte miglia Argeo lontan si trove.
Dunque il tempo opportuno ella si toglie:
Al fratel mio va con malizie nuove.
Ha di lagrime, a tutte le sue voglie,
36. 4. correr; fare scorrerie. Generalmente
si usò col complemento di luogo come nel
e. Ili, 45, 4; ma qui. più che vedervi un uso
speciale deve sottintendersi il complemento
primo (in ogni luogo) rilevandolo dal se-
condo (e fin dentro al castello).
— 5. non tenea lo 'nv.; non accettava nep-
pure le provocazioni, che da lui gli veni-
vano come un invito a correre il suo do-
minio.
— 7. indnr che. È costrutto notevole, in-
vece del più comune indurre a o di. Cosi
pure nel e. xl, 41.
37. 1. che, quando, mentre. È d' uso co-
mune.
— 7. con mutate ins. L'insegna era il solo
modo di riconoscere i cavalieri erranti, che,
per lo pili, andavano colla visiera calata,
— 8. Senza v. alcun. V. e. X, 19, n. 7.
38. 2. volteggiando, girando. Si usò anche
col complemento diretto. Caro, En., 755 :
« Ma fa mestier di volteggiarla ancora
(l'Italia), Con lungo giro».
280
ORLANDO FURIOSO
Un nembo che dagli occhi al sen le piove.
Dove potrò (dicea) trovare aiuto,
Che in tutto Touor mio non sia perduto?
40
E col mio quel del mio marito insieme?
11 qual se fosse qui, non temerei.
Tu conosci Morando, e sai se teme,
Quando Argeo non ci sente, uomini e Dei.
Questi or pregando, or minacciando estre-
Prove fa tuttavia, né alcun de' miei (me
Lascia che non contamini, per trarrai
Ai suoi disii, né so s'io potrò aitarmi.
41
Or c'hainteso il partir del mio consorte,
E ch'ai ritorno non sarà si presto.
Ha avuto ardir d'entrar ne la mia corte
Senza altra scusa e senz'altro pretesto.
Che se ci fosse il mio signor per sorte,
Non sol non avria audacia di far questo,
Ma non si terria ancor, per Dio, sicuro
D'appressarsi a tre miglia a questo muro.
42
E quel che già per messi ha ricercato,
Oggi me l'ha richiesto a fronte a fronte;
E con tai modi, che gran dubbio è stato
De lo avvenirmi disonore et onte:
E se non che parlar dolce gli ho usato,
E finto le mie voglie alle sue pronte,
Saria, a forza, di quel suto rapace.
Che spera aver per mie parole in pace.
43
Promesso gli ho, non già per osservargli
(Che fatto per timor, nullo è il contratto);
Ma la mia intenzion fu per vietargli
Quel che per forza avrebbe allora fatto.
40. 4. ci sente ; sente qui, in queste parti.
— 7. contamini; corrompa, suborni. Si
cita uu esempio di Donato dal Casentino,
Volgarizzam. del Boccaccio, 223: «S'era
sforzata di contaminare quello famiglio ».
La Crusca non ha questo significato.
41. 3. corte, cortile del castello.
— 4. altra, alcuna. Cosi trovasi usato
assai spesso.
42. 3. gran dubbio ecc. ; v' è stato gran
dubbio, gran pericolo che me ne avvenisse
disonore ed onta.
5. se non che ; se non fosse stato che.
È modo comunissimo nella nostra lingua.
Petr. I, son. 56: «E se non ch'ai desio
cresce la speme ». E si usò anche 1' espres-
sione ìuconiugaihììe se non fosse che: Dan-
te, Jnf. 24, 34.
— 7. snto rapace; stato rapace; avrebbe
rapito, preso per forza.
43. 1. osservargli; SoUint. la promessa.
Ma cosi assolutamente 1' usò anche il Derni,
Inn: 20, 51 : « Cosi ho giurato... e conviem-
mi osservare ».
Il caso è qui: tu sol puoi rimediargli;
Del mio onor altrimenti sarà tratto,
Edi queldelmioArgeochegiàm'hai detto
Aver 0 tanto, o pia che '1 proprio, a petto.
44
E se questo mi nieghi, io dirò dunque
Ch'in te non sia la fé di che ti vanti;
Ma che fu sol per crudeltà, qualunque
Volta hai sprezzati i miei supplici pianti;
Non per rispetto alcun d'Argeo quantun-
[que
M'hai questo scudo ogn'ora opposto inan-
Saria stato tra noi la cosa occulta; [ti.
Ma di qui aperta infamia mi risulta.
45
Non si convien (disse Filandro) tale
Prologo a me, per Argeo mio disposto.
Narrami pur quel che tu vuoi, che quale
Sempre fui, di sempreessere ho proposto;
E ben ch'a torto io ne riporti male,
A lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andare anco alla morte,
E siami centra il mondo e la mia sorte.
46
Rispose l'empia: Io voglio che tu spenga
Colui che '1 nostro disonor procura.
Non temer ch'alcun mal di ciò t'avvenga;
Ch'io te ne mostrerò la via sicura.
Debbe egli a me tornar come rivenga
Su l'ora terza la notte più scura;
E fatto un segno di ch'io l'ho avvertito.
Io l'ho a tòr dentro, che non sia sentito.
47
A te non graverà prima aspettarme
Ne la camera mia dove non luca,
Tanto che dispogliar gli faccia l'arme,
E quasi nudo in man te lo conduca.
Cosi la moglie conducesse parme
— 5. è qui; il caso è questo, é in questi
termini che ti ho detto. Cfr. il modo vivo e
popolare, tutto simile: la questione è qui.
— 6. sarà tratto; sarà tolto. Forse meglio
sarà cosa finita, con espressione tolta dai
giuoco dei dadi. I Latini dicevano aleaiacta
est, il dado è tratto, la cosa è fatta.
44. 7. Saria stato; saria stata. V. e. v, 58,
n. 5.
45. 6. imposto; apposto, attribuito. Si disse
non solo di cattive cose, ma anche di buone.
Vite dei SS. PP.: « Perché imponi tu questa
virtù a me ? »
46. C. Su r ora t. ecc. ; quando la notte si ri-
faccia più scura, suU' ora terza. Per que-
st' ora cfr. e. vii, 47, n. 7. Alcuni, pare a
torto, intendono che il poeta, dividendo la
notte come il giorno, indichi dalla mezza-
notte alle tre.
47. 5. Cosi ecc. Questo è detto da Ermo-
nide come sua riflessione. E dice parme
ironicamente.
CANTO XXI
281
Il suo marito alla tremenda buca;
Se per dritto costei moglie s'appella,
Pili che furia internai crudele e fella.
48
Poi che la notte scelerata venne,
Fuor trasse il mio fratel con l'arme in
E ne l'oscura camera lo tenne, jmano
Fin che tornasse il miser Castellano.
Come ordine era dato, il tutto avvenne:
Che '1 consiglio del mal va raro in vano;
Cosi Filandro il buono Argeo percosse.
Che si pensò che quel Morando fosse.
49
Con essoun colpoilcapo fessee il collo;
Ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,
De la mìsera vita al fine amaro;
E tal l'uccise, che mai non pensollo.
Né mai Tavria creduto: oh caso raro!
Che cercando giovar fece all'amico
Quel, di che peggio non si fa al nimico.
50 [que,
Poscia ch'Argeo non conosciuto giac-
Rende a Gabriua il mio fratel la spada.
Gabrina è il nome di costei, che nacque
Sol per tradire ognun che in man le cada.
Ella, che '1 ver fin a quell'ora tacque,
Vuol che Filandro a riveder ne vada
Col lume in mano il morto, ond'egli è reo;
E gli dimostra il suo compagno Argeo.
51
E gli minaccia poi, se non consente
All'amoroso suo lungo desire,
Di palesare a tutta quella gente
Quel ch'egli ha fatto, e non può contradire;
E lo farà vituperosamente.
Come assassino e traditor, morire;
E gli ricorda che sprezzar la fama
Non de', se ben la vita si poco ama.
52
Pien di paura e di dolor rimase
— 6. alla tr. buca, alla fossa, alla sepol-
tura.
48. 1. notte scelerata, notte di delitto, pie-
na di delitto.
49. 1. Con esso ecc. Con, sovra, sotto,
lungo ed altre simili preposizioni si raffor-
zano talvolta con esso, che da principio
dovette essere accordato col sostantivo se-
guente, poi, attaccandosi alla preposizione,
diventò parte di quella (sovresso, sottesso,
lunghesso). Alcuna volta esso è puramente
pleonastico, alcun' altra, come qui, ha il si-
gnificato dell' ijjse latino; proprio con un
colpo, con un sol colpo. — fesse, fendè. È
forma irregolare comunissima in prosa e
m verso, negli antichi.
51. 3. a tutta q. g., che abitava il castello.
52. 1. Pien di paura; paura della morte
infame.
Filandro, poi che del suo error s'accorse.
Quasi il primo furor gli persuase
D'uccider questa, e stette un pezzo in for-
E se non che ne le nimiche case (se :
Si ritrovò (che la ragion soccorse).
Non si trovando avere altr'arme in mano.
Coi denti la stracciava a brano a brano '
53
Come ne l'alto mar legno talora.
Che da duo venti sia percosso o vinto,
Ch'ora uno inanzi l'ha mandato, et ora
Un altro al primo termine respinto,
E l'han girato da poppa e da prora.
Dal più possente al fin resta sospinto,
Cosi Filandro, tra molte contese
De' duo pensieri, al manco rio s'apprese.
54
Ragion gli dimostrò il pericol grande,
Oltre il morir, del fine infame e sozzo,
Se l'omicidio nel caste! si spande;
E del pensare il termine gli è mozzo.
Voglia 0 non voglia, al fin convien che
L'amarissimo calice nel gozzo, [maude
Pur finalmente ne l'aftlitto core
Pili de l'ostinazion potè il timore.
55
Il timor del supplicio infame e brutto
Prometter fece con mille scongiuri,
Che farla di Gabrina il voler tutto,
Se di quel luogo si partian sicuri.
Cosi per forza colse l'empia il frutto
Del suo desire, e poi lasciar quei muri.
Cosi Filandro a noi fece ritorno,
Di sélasciando in Grecia infamia e scorjio
56
E portò nel cor fisso il suo compagno
Che cosi scioccamente ucciso avea.
Per far con sua gran noia empio guadagno
D'una Progne crudel, d'una Medea.
E se la fede e il giuramento, magno
E duro freno, non lo riteuea.
Come al sicuro fu, morta l'avrebbe;
Ma, quanto più si puote, in odio l'ebbe.
57
Non fu da indi in qua rider mai visto:
— 5. se non che. V. st. 42, n. 5.
54. 4. il termine, il tempo. V. e. xiil, 47.
n. 2.
— 7. Pur fin. Il pur dà maggiore evidenza
all'avv. finalmente: finalmente invero. È
esempio notevole.
55. 2. scongiuri, giuramenti. V. e. v, 32.
n. 5.
— 7. a noi, in Olanda, donde era Ermo-
nide.
— 8. in Grecia, nell' impero greco : cfr.
st. 13, 14.
56. 2. scioccamente; Perché non aveva a-
vuto abbastanza accortezza.
— 4. Progne... Medea; V. c. Ili, 52.
282
ORLANDO FURIOSO
Tutte le sue parole erano meste:
Sempre sospir gli uscian dal petto tristo;
Et era divenuto un nuovo Oreste,
Poi che la madre uccise e il sacro Egisto,
E che l'ultrice Furie ebbe moleste;
E senza mai cessar, tanto l'afflisse
Questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.
58
Or questa meretrice che si pensa
Quanto a quest' altro suo poco sia grata,
Muta la fiamma già d'amore intensa
In odio, in ira ardente et arrabbiata:
Né meno è contra al mio fratello accensa,
Che fosse contra Argeo la scelerata;
E dispone tra sé levar dal mondo,
Come il primo marito, anco il secondo.
59
Un medico trovò d'inganni pieno,
Sufficiente et atto a simil uopo,
Che sapea meglio uccider di veneno,
Che risanar gì' infermi di silopo;
E gli pi-omesse inanzi pili, che mpuo
Di quel che domandò, donargli, dopo
Ch'avesse con mortifero liquore
Levatole dagli occhi il suo Signore.
60
Giàin mia presenza e d'altrepiù persone
Venia col tosco in mano il vecchio ingiusto,
Dicendo ch'era buona pozione
Da ritornare il mio fratel robusto.
Ma Gabrina con nuova intenzione.
Pria che l'infermo ne turbasse il gusto,
Per tórsi il consapevole d'appresso,
0 per non dargli quel ch'avea promesso,
61
La man gli prese, quando a punto dava
La tazza dove il tosco era celato.
Dicendo: Ingiustamente è se '1 ti grava
57. 4. Oreste, figlio di Agamennone e di
Clitennestra uccise la madre ed Egisto, per
vendicare il padre già ucciso da loro. Per
fiuesto delitto fu assalito dalle Furie. —
sacro, nel senso di esecrabile, come talvolta
il sacer dei Latini.
— 6. nitrica. Su questa terminazione cfr.
e. IX, 8J, 1.
.59. 4. silopo; e scilojio sono forme arcai-
che per sciroiJpo. E per medicina in gene-
rale r usarono il Sacchetti, il Burchiello e
altri.
— 5. inanzi. ; piuttosto. È frequente nella
nostra letteratura.
— 7. avesse... levatole. Solito spostamento
del pron. V. e. r, 47, n. 6.
60. 6. Pria ecc., prima che il gusto di
questa bibita turbasse l' infermo. Cosi, e
non altrimenti come alcuni fanno, deve in-
tendersi questo luogo da chi conosca le
strane inversioni usate talvolta dall'A.
61. 3. Inginstam. è; ingiustam. avviene se
egli ti grava che io ecc.
Ch'io tema per costui c'ho tanto amato.
Voglio esser certa che bevanda prava
Tu non gli dia, né succo avvelenato;
E per questo mi par che '1 beveraggio
Non gli abbi a dar, se non ne fai tu il sag-
62 [gio.
Come pensi. Signor, che rimanesse
Il miser vecchio conturbato allora?
La brevità del tempo si l'oppresse.
Che pensar non potè che meglio fora:
Pur, per non dar maggior sospetto, elesse
Il calice gustar senza dimora;
E r infermo, seguendo una tal fede.
Tutto il resto pigliò, che si gli diede.
63
Come sparvier che nel piede grifagno
Tenga la starna e sia per trarne pasto,
Dal can che si tenea fido compagno.
Ingordamente è sopragiunto e guasto:
Cosi il medico intento al rio guadagno,
Donde sperava aiuto ebbe contrasto.
Odi di somma audacia esempio raro:
E cosi avvenga a ciascun altro avaro.
64
Fornito questo, il vecchio s'era messo.
Per ritornare alla sua stanza, in via,
Et usar qualche medicina appresso.
Che lo salvasse da la peste ria;
31a da Gabrina non gli fu concesso,
Dicendo non voler ch'andasse pria
Che '1 succo ne le stomaco digesto
Il suo valor facesse manifesto.
65
Pregar non vai, né far di premio offerta,
Che lo voglia lasciar quindi partire.
Il disperato poi che vede certa
La morte sua, né la poter fuggire.
Ai circonstanti fa la cosa aperta;
Né la seppe costei troppo coprire.
E cosi quel che fece agli altri spesso.
Quel buon medico al fin fece a sé stesso-.
66
E sequitò con l'alma quella ch'era
Già del mio frate caminata inanzi.
Noi circostanti che la cosa vera
62. 4. che meglio f.; ciòchem. f. Bocc.,nov.
23: «Il dirò a' fratei miei e avvegnane che
i può». — fora, sarebbe, sarebbe stato.
i — 8. si gli d. ; gli si diede.
I e:ì. 7. Odi d. 8. a. L'audacia della donna,
I che produsse la rovina dell'avaro medico.
I 6.J. 1. di premio of.; offerta del premio
I pattuito.
1 — 2. Che ; perché. V. e. i, 27, 8 e altrove.
I 60. 1. sequitò; Forma più vicina al latino
sequi.
— 2. era... caminata; Più comunemente
I aveva camminato. Con essere V usò il
I Bocc. nov. 89. V. Fornaciari, Sint, p. 157.
I — 3. la e. vera del v. ; le vere confidenze
CANTO XXI
28[
Del vecchio udimmo, che fé' pochi avanzi,
Pigliammo questa abominevol fera.
Più crudel di qualunque in selva stanzi;
E la serrammo in tenebroso loco,
Per condannarla al meritato fuoco,
67
Questo Ermonide disse, e pili voleva
Seguir, com'ella di prigiou levossi;
Ma il dolor de la piaga si l'aggreva,
Che pallido ne l'erba riversossi.
In tanto duo scudier, che seco aveva,
Fatto una bara avean di rami grossi:^
Ermonide si*fece in quella porre;
Ch'indi altrimente non si potea tórre.
68
Zerbin col cavallier fece sua scusa,
Che gl'increscea d'avergli fatto offesa;
Ma, come pur tra cavallieri s'usa,
Colei che venia seco, avea difesa:
Ch'altrimente sua fé saria' confusa;
Perché quando in sua guardia l'avea presa
Promesse a sua possanza di salvarla
Contra ognun che venisse a disturbarla.
69
E s'in altro potea gratificargli.
Prontissimo offeriase alla sua voglia.
Eispose il cavallier, che ricordargli
Sol vuol che da Gabrina si discioglia
Prima ch'ella abbia cosa a machinargli,
del vecchio. Forse è anche di per da come
al e. I, 51, 6; vii, 65, 6; se pure non è ei--
rore di stampa; il che non appare impro-
babile vedendo che nell' ediz. del '16 e del
'21 si legge dal vecchio. — té pochi av. ;
fece pochi guadagni del suo male operare.
68. 5. confusa, offuscata. Significato si-
mile a quello dell' espressione vista con-
fusa, non chiara. I vocabolari non lo ci-
tano.
69. 2. offeriase, offeriasi. V. e. ii, 49, n. 1.
— 5. machinargli ; macchinare contro di
lui. Il costrutto macchinare a uno è più
raro dell' altro macch. contro uno, ma non
ne mancano esempì.
Di ch'esso indarno poi si penta e doglia.
Gabrina tenne sempre gli occhi bassi;
Perché non ben risposta al vero dassi.'
70
Con la vecchia Zerbin quindi partisse
Al già promesso dehito viaggio;
E tra sé tutto il di la maledisse,'
Che far gli fece a quel Barone oltraggio.
Et or che pel gran mal che gli ne disse
Chi lo sapea, di lei fu instrutto e saggio.
Se prima l'avea a noia e a dispiacere,
Or l'odia si che non la può vedere.
71
Ella che di Zerbin sa l'odio a pieno,
Né in mala voluutà vuol esser vinta.
Un'oncia a'iui non ne riporta meno:
La tien di quarta, e la rifa di quinta.
Nel cor era gonfiata di veneno,
E nel viso altrimente era dipinta.
Dunque ne la concordia ch'io vi dico,
Tenean lor via per mezzo il bosco antico.
72
Ecco, volgendo il sol verso la sera,
Udiron gridi e strepiti e percosse.
Che facean segno di battaglia fiera
Che, quanto era il rumor, vicina fosse.
Zerbino, per veder la cosa ch'era,
Verso il rumor in gran fretta si mosse:
Né fu Gabrina lenta a seguitarlo.
Di quel ch'avvenne all'altro Canto io parlo.
70. 6. saggio, dotto, consapevole. Dante,
Purg. 5, 30 : « Di vostra condizion fatene
saggi ».
71.4. La tien ecc.; la riceve di q. e la
rifa di quinta; cioè rende la pariglia. La lo-
cuzione sembra al Barotti tolta dalla scher-
ma, al Fornari dai giuocatori : « che alle
volte quando l'un provoca l'altro che in un
tratto vadano quattro giuochi, quel rispon-
de cinque a maggior contesa e voglia ».
La prima iuterpretazioue è preferibile.
7"2. 4. quanto eia il r.; per quanto poteva
giudicarsi dal rumore. V. e. xii, 91, n. 4.
CANTO XXII
Cortesi donne, e grate al vostro amante,
Voi che d'un solo amor sete contente,
Comeché certo sia, fra tante e tante.
Che rarissime siate in questa mente;
1. 1. grate: riconoscenti per l'amor, che
vi porta.
— 4. siate. Nella '16 era sete. Nota la fi-
nezza del cambiamento. Coli' indie, avrebbe
Non vi dispiaccia quel ch'io dissi inante,
Quando contra Gabrina fui si ardente,
E s'ancor son per spendervi alcun verso.
Di lei biasmaudo l'animo perverso.
indicato solamente la realtà del fatto; col
cong. indica la certezza che ne ha lo scrit-
tore, quasi dica: comecché certo sia ciò che
io mi penso, cioè che siate rarissime a con-
tentarvi d'un solo. — mente; disposizione
d' animo, intenzione.
284
ORLANDO FURIOSO
Ella era tale; e come imposto fammi
Da chi può in me, non preterisco il vero.
Per questo io non oscuro ffli onor summi
D'una e d'un'altra ch'abbia il cor sincero.
Quel che '1 Maestro suo per trenta nummi
Diede a' Giudei, non nocque a Gianni o a
[Piero;
Né d'Ipermestra è la fnma men bella,
Se ben di tante inique era sorella.
3
Per una che liiasmar cantando ardisco
(Che l'ordinata istoria cosi vuole),
Lodarne cento incontra m'offerisco,
E far lor virtù chiara più che '1 sole.
Ma tornando al lavor che vario ordisco,
Ch'a molti, lor mercé, grato esser suole,
Del cafallier di Scozia io vi dicea,
Ch'un alto grido appresso udito avea.
4 [calle
Fra due montagne entrò in un stretto
Ondeuscia il grido, e non tu molto inante.
Che giunse dove in una chiusa valle
Si vide un cavallier morto davante.
2. 1. imposto f. Degli amichi commen-
tatori alcuni credono che l'A. introducesse
quesl' episodio per desiderio della Marchesa
di Mantova adombrando qualche fatto ac-
caduto allora. Il Foruari dice che Gabrina
fu una rea femmina ai tempi dell'A.; e
Argeo e filandro due gentiluomi napole-
tani amicissimi fra loro. Il Romizi intende
che gli fu imposto dalle ragioni dell' arte;
ma 1*11 un poema romanzesco di questo ge-
nere la verità storica coni' entra nelle ra-
gioni dell'arte •'. E in ogni modo se Gabrnia è
invenzione dell'A. ; queste parole sarebbero
di un' oscurità sorprendente. Avverti anche
il fummi: secondo l' interpretaz. del Ko-
mizi dovremmo avere il presente <'.
— 5. quel ; Giuda, che per 30 denari vendè
Cristo, non nocque alla fama di Giovanni e di
Pietro. — nommi. Gli Evangelisti usano de-
narius, che era una piccola moneta; ma
poiché i Latini usarono nummus, oltre che
per moneta in generale, anche per dena-
rius, cosll'A., secondo r uso latino, adopra
nummi nel senso specifico di denari.
— 7. Ipermestra: Ipermnestra; una delle
50 Danaidi. Queste, liglie di Danao, sposa-
rono i loro cugini, e nella prima notte, per
compiacere al padre, li uccisero. Sola Iper-
mnestra risparmiò nascostamente il marito
Linceo.
3. 2. ordinata; comandatami. V. st. 2, 1.
— 6. Ch' a molti ecc. L'A. andava leggen-
do il suo poema, di mano in mano che lo
scriveva, agli amici e ai suoi protettori;
come fecero già il Boiardo, il Pulci, e poi
il Tasso.
Chi sia dirò; ma prima dar le spalle
A Francia voglio, e girmene in Levante,
Tanto ch'io trovi Astolfo paladino.
Che per Ponente avea preso il camino.
.")
Io lo lasciai ne la città crudele,
Onde col suon del formidabil corno
Avea cacciato il popolo infedele,
E gran periglio toltosi d' intorno.
Et a' compagni fatto alzar le vele,
! E dal lito fuggir con grave scorno.
I Or seguendo di lui, dico che prese
La via d'Armenia, e usci di 'quel paese.
e,
I E dopo alquanti giorni in Natalia
1 Trovossi, e inverso Bursiailcamin tenne;
j Onde, continuando la sua via
I Di qua dal mare, in Tracia se ne venne.
! Lungo il Danubio andò per l'Ungaria;
E come avesse il suo destrier le penne,
i I Moravi e i Boemi passò in meno
Di venti giorni, e la Franconia e il Reno.
7
Per la selva d' Ardenna in Aquisgrana
Giunse e in Brabante, e in Fiandra al fin
(s'imbarca.
L'aura che soffia verso Tramontana,
La vela in guisa in su la prora carca,
Ch'a mezzo giorno Astolfo non lontana
Vede Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a cavallo, e in tal modo lo punge,
Ch'a Londra quella sera ancora giunge.
8
Quivi sentendo poi che '1 vecchio Otone
Già molti mesi inanzi era a Parigi,
5. 1. Io lo lasciai; Cauto xx, 66.
— 3. infedele; Forse: che non aveva la
fede cristiana, che addolcisce la morale.
6. 1. Natalia; Anatolia; propriam. è detta
cosi la metà occid. dell'Asia minore; ma
s'intende anche tutta l'Asia minore.
— 2. Bnrsia; Brussa: città dell'Asia mi-
nore.
— \. Di qua dal mare: da Brussa passò
il mare e venne in Tracia.
— ^. Franconia: fu detta già un paese
della Germania, che ora fa parte del Baden
e del Wiirtemberg.
7. 1. Ardenna (lat. Ardenna Silva): l'estre-
mità nord-ovest dello Schiefergebirge Re-
nano: un complesso di fitti rialti di Ardesia
coperti di fitte foreste, fra il Reno e la
Mosa. — Aquisgrana; oggi Aix-la-Chapelle.
_ •>. carca: carica la vela, che è a prora;
1' empie di sé, la gonfia.
_ 8. ancora; giunge a Londra quella
stessa sera. V. e. xxv, 46, 4.
8. 2. Già molti mesi inanzi ; già da moli»
mesi avanti. V. i, 26, 8.
CANTO XXII
285
E che di nuovo quasi ogni Barone
Avea imitato i suoi degni vestigi;
D'andar subito in Francia si dispone:
E cosi torna al porto di Tamigi,
Onde con le vele alte uscendo fuora,
Verso Calessi© fé' drizzar la prora.
9
Un ventolin che leggermente all'orza
Ferendo, avea adescato il legno all'onda,
A poco a poco cresce o si rinforza;
Poi vien si, ch'ai nocchier ne soprabonda.
Che gli volti la poppa al fine è forza;
Se non, gli caccierà sotto la sponda.
Per la schena del mar tien dritto il legno,
E fa camin diverso al suo diseguo.
10
Or corre a destra, or a sinistra mano,
Di qua di là, dove Fortuna spinge,
E piglia terra al fin presso a Roano;
E come prima il dolce lito attinge.
Fa rimetter la sella a Rabicano,
E tutto s'arma e la spada si cinge;
Prende il camino, et ha seco quel corno
Che gli vai più che mille uomini intorno.
11
E giunse, traversando una foresta,
A pie d'un colle ad una chiara fonte.
Ne l'ora che '1 nionton di pascer resta.
Chiuso in capanna, o sotto un cavo monte ;
E dal gran caldo e da la sete infesta
Vinto, si trasse l'elmo da la fronte:
Legò il destrier tra le pili spesse fronde,
E poi venne per bere alle fresche onde.
— 3. di nuoyo: ultimamente, poco fa.
— 8. Calessio, Calais.
9. 1. all' orza ferendo ecc. Intendi che
spirava un leggero vento di levante, sicché
la nave, che dal Tamigi andava a Calais,
orzava; cioè prendeva il vento, che spirava
di fronte e che, essendo leggero, avea invi-
tato il nocchiero a salpare. — Perendo, pro-
priamente: percotendo nella vela; cfr. e. ii,
76, 3 : ma qui in generale spirando.
— 6. Se non; V. e. X, 19, n. 8. — gli cac-
cierà 8. gli (al nocchiero) sommergerà la
sponda della nave rovesciandola.
— 7. Per la schena del mar : trattandosi
della Manica, che ha molta lunghezza e
poca larghezza, chiama schiena la linea
della sua lunghezza. Vuol dire dunque che
il nocchiero segue il canale nel senso della
sua lunghezza, invece di attraversarlo, e
cosi seconda il vento.
10.3. Roano: Rouen, in Normandia.
— 4. attinge (lat. attingit) tocca.
U. 3. il monton ; qui per l' intero gregge :
l'ora del mezzogiorno quando le pecore
meriggiano.
12
Non avea messo ancor le labra in molle
Ch'un villanel che v'era ascoso appresso.
Sbuca fuor d'una macchia, e il destrier
Sopra vi sale, e se ne va con esso, [folle,
Astolfo il rumor sente, e '1 capo estolle;
E poi che '1 danno suo vede si espresso,
Lascia la fonte, e sazio senza bere.
Gli va dietro correndo a più potere.
13
Quel ladro non si stende a tutto corso;
Che dileguato si saria di botto:
Ma or lentando or raccogliendo il morso,
Se ne va di galoppo e di buon trotto.
Escon del bosco dopo un gran discorso;
E l'uno e l'altro al fin si fu ridotto
Là, dove tanti nobili Baroni
Eran senza prigion più che prigioni.
14
Dentro il palagio il villanel si caccia
Con quel destrier che i venti al corso
[adegua.
Forza è ch'Astolfo, il qual lo scudo impac-
[cia
L'elmo e l'altre arme, di lontan lo segua.
Pur giunge anch'agli, e tutta quella traccia
Che fin qui avea seguita, si dilegua;
Che più né Rabican né '1 ladro vede,
E giragliocchi,eindarnoaffretta il piede;
15
Affretta il piede, e va cercando in vano
E le logge e le camere e le sale;
Ma per trovare il perfido villano.
Di sua fatica nulla si prevale.
Non sa dove abbia ascoso Rabicano,
Quel suo veloce sopra ogni animale;
E senza frutto alcun tutto quel giorno
Cercò di su di giù, dentro e d'inforno.
16
Confuso e lasso d'aggirarsi tanto,
12. 1. messo... in molle; bagnato. È vivo an-
cora il modo metter la bocca o il becco in
molle.
— 5. estolle; (lat. extollit) alza.
— (5. espresso: chiaro. V. e. xi, 81.
— 7. sazio senza bere: non sentendo pili
la sete. V è dello scherzo.
13. 5. discorso; scorrere qua e là.
14. 1. il palagio. È il palazzo d'Atlante;
il villanello è Atlante stesso cho voleva ri-
durre anche Astolfo in suo potere.
— 3. il qnal ; è complemento.
— 5. traccia; l'insieme di indizi, che'sono
guida di chi cammina ; significato comples-
so e forse nuovo.
15. 4. si prevale ; si avvantaggia, trae
profìtto. Il Tommaseo annota: Non bello,
né proprio, né popolare. Il Machiavelli,
Ar. G. 1. 12. l'usò assolutamente senza
complemento.
286
ORLANDO FURIOSO
S'avvide che quel loco era incantato;
E del libretto cli'avea sempre a canto,
Che Logistilla in India gli avea dato,
Acciò che, ricadendo in nuovo incanto,
Potessi aitarsi, si fu ricordato:
All'indice ricorse, e vide tosto
A quante carte era il rimedio posto.
17
Del palazzo incantato era difuso
Scritto nel libro; e v'eran scritti 1 modi
Di fare il mago rimaner confuso,
E a tutti quei prigion di sciòrre i nodi.
Sotto la soglia era uno spirto chiuso.
Che facea questi inganni e queste frodi
E levata la pietra ov' è sepolto,
Per lui sarà il palazzo in fumo sciolto.
18
Desideroso di condurre a fine
Il Paladin si gloriosa impresa,
Non tarda più che '1 braccio non inchine
A provar quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante le man vede vicine
Per far che l'arte sua sia vilipesa,
Sospettoso di quel che può avvenire.
Lo va con nuovi incanti ad assalire.
19
Lo fa con diaboliche sue larve
Parer da quel diverso, che solca.
Gigante ad altri, ad altri un villan parve,
Ad altri un cavallier di faccia rea. [parve
Ogn'uno in quella forma, in che gli ap-
Nel bosco il Mago, il Paladin vedea:
Si che per riaver quel che gli tolse
Il Mago, ogn'uno al Paladin si volse.
20
Ruggier,Grada8So, Iroldo, Bradamante,
Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri
In questo nuovo error si fero inante.
Per distruggere il Duca accesi e fieri.
Ma ricordossi il corno in quell'istante,
Che fé' loro abbassar gli animi altieri.
Se non si soccorrea col grave suono.
Morto era il Paladin senza perdono.
16. 6. Potessi; potesse. — si fu rie; si
ricordò. V. e. iii, 14, n. 2.
17. 1. difnso ; diffusamente.
18. 3. che, cosi che, in modo che. Intendi
dunque: non indugia più oltre, cosicché non
inchini; non indugia ad inchinare. Cosi sot-
to nella st. 28, 8.
— 0. Vilipesa; vana. In questo senso non
è citato dai vocabol.
20. 5. ricordossi il corno. Generalmente ri-
cordarsi si costruisce colla prep. di, ma
è vivo anch' oggi nel popolo il costrutto
transitivo. Degli scrittori si cita un solo
esempio della Vita. gì. V. M. p. 170, 1 ; non
questo dell'A.
— 7. si soccorrea, si aiutava, dava aiuto
a sé stesso. — grave, noioso, importuno.
21
Ma tosto che si pon quel corno a bocca,
E fa sentire intorno il suono orrendo,
A guisa di colombi, quando scocca
Lo scoppio, vanno i cavallier fuggendo.
Non meno al Negromante fuggir tocca.
Non men fuor de la tana esce temendo
Pallido e sbigottito, e se ne slunga
Tanto, che '1 suono orribil non lo giunga.
22 [dopo
Fuggi il guardian co i suoi prigioni; e
De le stalle fuggir molti cavalli.
Ch'altro che fune a ritenerli era uopo,
E seguirò i patron per vari calli.
In casa non restò gatta né topo
Al suon che par che dica: Dalli, dalli.
Sarebbe ito con gli altri Rabicano
Se non ch'all'uscir venne al Duca in mano.
2.S
Astolfo poi ch'ebbe cacciato il Mago,
Levò di su la soglia il grave sasso,
E vi ritrovò sotto alcuna imago,
Et altre cose che di scriver lasso :
E di distrugger quello incanto vago,
Di ciò che vi trovò, fece fraccasso.
Come gli mostra il libro che far debbia;
E si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.
24
Quivi trovò che di catena d'oro
Di Ruggiero il cavallo era legato.
Parlo di quel che '1 Negromante Moro
Per mandarlo ad Alcina gli avea dato;
A cui poi Logistilla fé' il lavoro
Del freno, ond'era in Francia ritornato
E girato da l'India all' Inghilterra
Tutto avea il lato destro de la terra.
25
Non so, se vi ricorda che la briglia
Lasciò attaccata all'arbore quel giorno
Che nuda da Ruggier spari la figlia
Di Galafrone, e gli fé' l'alto scorno.
Fé' il volante destrier, con maraviglia
Di chi lo vide, al mastro suo ritorno;
21. 1. a liocca. V. e. Il, 18, n. 5.
— 4. scoppio, schioppo. V. e. XI, 24, 7.
— 7. se ne slnnga; se ne allontana; cosi
spesso l'A. e altri scrittori.
23. 3. imago. V. e. vili, 14.
— 5. vago ; desideroso.
— 6. fece fraccasso; fracassò. Nel e. I, 72,
si ha menare a fracasso. Son maniere
nuove e ardite.
24. 2. L'ippogrifo non potè forse fuggire
perché era legato con catena. Ma del resto
non possiamo né dobbiamo domandare ai
poeti romanzeschi minuta ragione di tutto.
— 8. il lato destro. Forse dice lato de-
stro per rispetto a chi, di Francia, guardi
al polo artico.
25. 1. la briglia, ecc. V. C XI, 13.
CANTO XXII
287
E con lui stette in fin al giorno sempre,
Che de l'incanto tur rotte le tempre.
26
Non potrebbe esser stato più giocondo
D'altra avventura Astolfo, che di questa;
Che per cercar la terra e il mar, secondo
Ch'avea desir, quel ch'a cercar gli resta,
E girar tutto in pochi giorni il mondo.
Troppo venia questo Ippogrifo a sesta.
Sapeaegli ben, quanto aportarlo era atto;
Che l'avea altrove assai provato in fatto.
27
Quel giorno in India lo provò, che tolto
Da la savia Melissa fu di mano
A quella scelerata che travolto
Gli avea in mirto silvestre il viso umano:
E ben vide e notò come raccolto
Gli fu sotto la briglia il capo vano
Da Logistilla, e vide come instrutto
Fosse Kuggier di farlo andar per tutto.
28
Fatto disegno l' Ippogrifo tòrsi,
La sella sua, ch'appresso avea, gli messe;
E gli fece levando da più morsi
Una cosa et un'altra, un che lo resse;
Che dei destrier ch'in fuga erano corsi,
Quivi attaccate eran le briglie spesse.
Ora un pensier di Rabicano solo
Lo fa tardar che non si leva a volo.
29
D'amar quel Rabicano avea ragione;
Che non v'era un miglior per correr lan-
E l'avea da l'estrema regione [eia,
De l'India cavalcato insin in Francia.
Pensa egli molto; e in somma si dispone
Darne più tosto ad un suo amico mancia,
— 8. le tempre ; il congegno, la struttura.
Dante, Pa7\ 24, Vi: « E come cerchi in tem-
pra di oriuoli ».
26. 4. quel che a cercar g. r. È limitazione
e spiegazione del verso 3: quello, s'intende,
che gli resta da visitare ; ma è disposizione
assai contorta.
— 6. veniva... a sesta, v. in acconcio, op-
portunatamente. È modo, ohe l'A. ha tratto
dall'espressione a sesta, che vale per l'ap-
punto, precisamente.
27. 1. Quel giorno ecc. V. e. vili, S.
— 0. vano: sfrenato, sboccato. Carti-
(ìlione, Lett. fam. 1 : « Il cavallo è... un
poco vano della bocca ».
28. 1. Fatto dis... tòrsi: f. d. di torsi. So-
lita omissione della preposizione. '
— 4. un; sottint. morso.
— 8. che non si leva; si che non si leva,
nel levarsi.
29. 2. Che, poiché. V. e. ili, 6, n. 6.— cor-
rer lancia. V. e. IV, 17.
— 6. Darne... mancia, regalarlo. Mancia
> per regalo Dante, Inf. 31, 6; ma è
Che lasciandolo quivi in su la strada,
Se l'abbia il primo ch'a passarvi accada.
30
Stava mirando se vedea venire
Pel bosco 0 cacciatore o alcun villano,
Da cui far si potesse indi seguire
A qualche terra, e trarvi Rabicano.
Tutto quel giorno e sin all'apparire
De l'altro, stette riguardando in vano.
L'altro matin, ch'era ancor l'aer fosco.
Veder gli parve un cavallier pel bosco.
.31
Ma mi bisogna, s'io vo' dirvi il resto, ■
Ch'io trovi Ruggier prima e Bradamante.
Poi che si tacque il corno, e che da questo
Loco la bella coppia fu distante.
Guardò Ruggiero, e fu a conoscer presto
Quel che fin qui gli avea nascoso Atlante:
Fatto avea Atlante che fin a queir ora
Tra lor non s'eran conosciuti ancora.
32
Ruggier riguarda Bradamante, et ella
Riguarda lui con alta maraviglia,
Che tanti di l'abbia offuscato quella
lUusion si l'animo e le ciglia.
Ruggiero abbraccia la sua donna bella.
Che più che rosa ne divien vermiglia;
E poi di su la bocca i primi fiori
Cogliendo vien de i suoi beati amori.
33
Tornaro ad iterar gli abbracciamenti
Mille fiate, ed a tenersi stretti
I duo felici amanti, e si contenti,
Ch'a pena i gaudi lor capiano i petti.
Molto lor duol che per incantamenti,
Mentre che fur negli errabondi tetti,
Tra lor non s'erano mai riconosciuti,
E tanti lieti giorni eran perduti.
34
Bradamante, disposta di far tutti
I piaceri che far vergine saggia
Debbia ad un suo ainator, si che di lutti,
Senza il suo onore oftendere, il sottraggia;
Dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
Lei non vuol sempre aver dura e selvag-
[già,
nuovo e ardito il modo dar mancia d'una
cosa.
— 8. accada; si trovi per caso, venga per
caso. È un uso molto notevole, non registra-
to dai vocabolari.
30. 4. terra, paese. V. e. x, 75, n. 2.
— 7. che; quando. Bocc, Nov. 77; «Lo
scolare fu poco nella corte dimorato, che
egli cominciò a sentir più freddo ».
34. 3. di lotti; lo tolga dai dolori amo-
rosi. Lutti per dolori usò Dante, Inf. 13,
69: •« I lieti onor tornaro in tristi lutti ».
— 6. selvaggia. Parlando di cuore di sen-
timento è specialmente poetico e significa
crudele.
288
ORLANDO FURIOSO
La faccia domandar per buoni mezzi
AI padre Amen; ma prima si battezzi.
35
Rug:gier, che tolto avria non solamente
Viver Cristiano per amor di questa,
Com'era stato il padre, e antiquaraente
L'avolo e tutta la sua stirpe onesta;
Ma per farle piacere immantinente
Data le avria la vita che gli resta :
Non che ne l'acqua (disse), ma nel fuoco
Per tuo amor porre il capo mi fia poco.
36
Per battezzarsi dunque, indi per sposa
La donna aver, Ruggier si messe in via,
Guidando Bradamaute a Vali' ombrosa
(Cosi fu nominata una Badia
Ricca e bella, né men religiosa,
E cortese a chiunque vi venia) ;
E trovaro all' uscir de la foresta
Donna, che molto era nel viso mesta.
37 [tese
Ruggier, che sempre uman, sempre cor-
Era a ciascun, ma più alle donne molto,
Come le belle lacrime comprese
Cader rigando il delicato volto.
•N'ebbe pietade, e di disir s'accese
Di saper il suo affanno; et a lei volto,
Dopo onesto saluto, domandone
Perch'avea si di pianto il viso molle.
38
Et ella, alzando i begli umidi rai.
Umanissimamente gli rispose,
E la cagion de' suoi penosi guai.
Poi che le domandò, tutta gli espose.
Gentil .Signor (disse ella), intenderai
Che queste guance son si lacrimose
Per la pietà ch'a un giovinetto porto,
Ch'in un Castel qui presso oggi fia morto.
39
Amando una gentil giovane e bella,
— 7. per buoni mazzi; mezzani. Machia-
velli, Disc, '.i, 18: « Si venne alla creazione
de' tribuni, mezzi fra la plebe e il Senato ».
35. 3. Com'era stato ecc. Questa è una no-
tizia che l'A. compie poi al e. xxxvi, 70 e
segg.: ma intanto l'anticipa per legittimare
quel desiderio che ha Ruggero di lasciare
la sua religione.
36. 3. Vali' ombrosa. Questo è certamente
un monastero immaginario, a cui il poeta
volle dare il bel nome del bellissimo mona-
stero Toscano, senza intender per niente
che R. volesse venire in Toscana. Nella
prima edizione avea messo Val spinosa.
— Guidando; sottintendi lo. Naturalmente
era Bradamante che lo guidava, perché
pratica di quei luoghi.
37.3. comprese: vide; avverti; Dante,
Purg. 31, 77: « Posarsi quelle prime crea-
ture Da loro aspersion V occhio comprese ».
I Che di Marsilio Re di Spajna è figlia,
j Sotto un vel bianco e in feminil gonuella,
! Finta la voce e il volger de le ciglia,
i Egli ogni notte si giacca con quella,
i Senza darne sospetto alla famiglia:
j Ma si secreto alcuno esser non puote,
: Ch'ai lungo andar non sia chi '1 vegga e
I 40 [note.
\ Se n'accorse uno, e ne parlò con dui ;
Li dui con altri, insin ch'ai Re fu detto.
j Venne un fedel del Re l'altr'ieri a nui,
; Che questi amanti fé' pigliar nel letto;
E ne la rocca gli ha fatto ambedui
I Divisamente chiudere in distretto:
Né credo per tutto oggi, ch'abbia spazio
Il gioveu, che non mora in pena e in stra-
41 [zio.
Fuggita me ne son per non vedere
Tal crudeltà; che vivo l'arderanno:
Né cosa mi potrebbe più dolere,
Clie faccia di si bel giovine il danno.
Né potrò aver giamai tanto piacere.
Che non si volga subito in aftanno.
Che de la crudel fiamma mi rimembri,
Ch'abbia arsi i belli e delicati membri.
42
Bradamante ode, e par ch'assai le prema
Questa novella, e molto il cor l'annoi;
Né par che men per quel dannato tema,
Che se fosse uno dei fratelli suoi.
Né certo la paura in tutto scema
Era di causa, come io dirò poi.
Si volse ella a Ruggiero e disse: Parme
Ch'in favor di costui sien le uostr'arme.
43
E disse a quella mesta : Io ti conforto
Che tu vegga di porci entro alle mura :
Che se '1 giovine ancor non avran morto,
40. 5. gli ha fatto; Poiché l'oggetto, che
precede il participio, è uno dei pronomi lo,
la, li, le, la regola costante vorrebbe ac-
cordato il participio col pronome (fatti) ;
questo dunque dell'A. è un esempio cosi
solitario, che il Gherardini potè dire di non
averne mai trovato alcuno nelle sue ricer-
che grammaticali {Appendice, p. 146).
— 6. in distretto; in prigione. V. e. li,
59, 5.
— 7. abbia spazio ecc.; non credo che il
giovane abbia tempo tutt'oggi a non mo-
rire ecc.
41.7. (Che; Uniscilo a subito.
42. 1. le prema; le dia dolore. V. e. xvii,
106; n. ■■'..
— 5. scema ecc. Né certo la paura era
priva di causa; infatti si trattava proprio
di un suo fratello, Ricciardetto.
— 7. Parme; parmi bene, parmi oppor-
tuno. V. e. XXVII, 75 n. i.
CANTO XXII
289
Più non l'uccideran; stanne sicura.
Ruggiero, avendo il cor benigno scorto
De la sua donna e la pietosa cura,
Senti tutto infiammarsi di desire
Di non lasciare il giovine morire.
44
Et alla Donna, a cui dagli occhi cade
Un rio di pianto, dice: Or che s'aspetta?
Soccorrer (jui, non lacrimare accade:
Fa ch'ove è questo tuo, pur tu ci metta.
Di mille lance trar, di mille spade
Telpromettiàii,purche ci meni in fretta:
Ma studia il passo più che puoi, che tarda
Non sia l'aita, e in tanto il foco l'arda.
45
L'alto parlare e la fiera sembianza
Di quella coppia a maraviglia ardita,
Ebbon di tornar forza la speranza
Colà dond' era già tutta fuggita.
Ma perch'ancor, più che la lontananza.
Temeva il ritrovar la via impedita,
E che saria per questo indarno presa;
Stava la donna in sé tutta sospesa.
46
Poi disse lor: Facendo noi la via
Che dritta e piana va fin a quel loco,
Credo ch'a tempo vi si giungerla.
Che non sarebbe ancora acceso il fuoco :
Ma gir convien per cosi torta e ria,
Che '1 termine d'un giorno saria poco
A riuscirne; e quando vi saremo,
Che troviam morto il giovine mi temo.
47
E perché non andiàn (disse Ruggiero)
Per la più corta? E la donna rispose:
Perché un castel de' Conti da Pontiero
44. 3. accade; è a proposito, occorre. V.
Ili, 62.
— 4. pur, solo: cioè: basta questo.
— 5. Di; di mezzo a. È uso molto note-
vole, che non è citato dai vocabolari.
— 6. Tel pr. ti promettiamo trarlo. V.
e. I, 47, n. 6.
45. 3. Costruisci : ebbon forza di tornar
la speranza: È verso contorto e non bello.
Nella '16 : « Ebbono forza di tornar speranza»
non bello neppur questo, ma chiaro. A torto
il Galilei taccia di errore l' uso transitivo
del verso tornare. Cfr. Dante, Purg. 28, 148.
— 6. Temeva il r.; Più comuu. temeva di
ritrov.
46. 7. riuscirne: riuscirvi; in quel luogo.
Villani, 12. 31. «Fu ristretta la Terra per
mare e per terra che nullo ne potea en-
trare ».
— 8. mi temo. V. e. Il, 71.
47. 3. Pontiero Ponthieu; città di Pie-
cardia, che dava il titolo feudale ai Ma-
ganzesi.
Ariosto — Papxni
fra via si trova, ove un costume pose.
Non son tre giorni ancora, iniquo e fiero
A cavallieri e a donne avventurose,
Pinabello, il peggior uomo che viva,
Fighuol del conte Anselmo d'Altariva
48
Quindi né cavallier né donna passa.
Che se ne vada senza ingiuria e danni.
L'uno e l'altro a pie resta; ma vi lassa
Il guerrier l'arme, e la donzella i panni
Miglior cavallier lancia non abbassa,
E non abbassò in Francia già molt'anni,
Di quattro che giurato hanno al castello
La legge mantener di Pinabello.
49
Come l'usanza, che non è più antiqua
Di tre di, cominciò, vi vo' narrare;
E sentirete se fu dritta o obliqua
Cagion che i cavallier fece giurare.
Pinabello ha una donna cosi iniqua,
Cosi bestiai, ch'ai mondo è senza pare;
Che con lui, non so dove, andando un gio'r-
Ritrovò un cavallier che le fe'scorno. [no,
50
^ Il cavallier, perché da lei beffato
P'u d'una vecchia che portava in groppa.
Giostrò con Pinabel ch'era dotato
Di poca fo/za e di superbia troppa:
Et abbatello, e lei smontar nel prato
Fece, e provò s'andava dritta o zoppa :
Lasciolla a piede, e fé' de la gonnella
Di lei vestir l'antiqua damigella.
51
Quella ch'a pie rimase, dispettosa,
E di vendetta ingorda e sitibonda,
Congiunta a Pinabel che d'ogni cosa,
Dove sia da mal far, ben la seconda,
— 4. Tra via. V. e. xvi, 15, n. 2.
48. 6. già molti anni; già da molti anni,
e. I, 26, n. 8.
49. 3. obliqua, storta, ingiusta.
50. Vedi per questa storia e. xx, 110 e
— 2. d' una v. ; per una vecchia. È il di
causale, di cui al e. xiii, 33, n. 3.
— 6. provò ecc. È detto in scherzo per
indicare che le tolse il cavallo e la lasciò
a piedi.
— 8. damigella. Damigella è propria-
mente una fanciulla; qui l'A. scherza su
Gabrina. Ma si trova anche usato per donna
maritata. Tav. Hot. 1, 138: « Dame e ancor
damigelle maritate ».
5Ì. 1, dispettosa; piena di dispetto.
— 3. d' ogni e. ; in ogni cosa. « La prepo-
sizione di si usa spesso a significare quella
parte o quantità cui si estende l'azione del
verbo; e si rende su per giù con in* For-
NACiARi, Novelle scelte del Bocc. p. 79, n. 6.
290
ORLANDO FURIOSO
Né giorno mai, né notte mai riposa,
E dice che non fia mai più gioconda,
8e mille cavallieri e mille donne
Non mette a piede, e lor tolle arme e gonne.
52
Ginnsero il di medesrao, come accade.
Quattro gran cavallieri ad un suo loco.
Li quai di rimotissinie contrade
Venuti a queste parti eran di poco;
Di tal valor, che non ha nostra etade
Tant'altri buoni al bellicoso gioco,
Aquilante, Grifone e Sansonetto,
Et un Guidon Selvaggio giovinetto.
53
Pinabel con sembiante assai cortese
Al Castel ch'io v'ho detto li raccolse.
La notte poi tutti nel letto prese.
E presi tenne, e prima non li sciolse
Che li fece giurar ch'un anno e un mese
(Questo fu a punto il termine che tolse)
Stariano quivi, e spogliarebbon quanti
Vi capitasson cavallieri erranti;
54
E le donzelle ch'avesson con loro,
Porriano a piedi, e torrian lor le vesti.
Cosi giurar, cosi constretti foro
Ad osservar, ben che turbati e mesti.
Non par che fin a qui contra costoro
Alcun possa giostrar, eh' a pie non resti:
E capitati vi sono infiniti,
Ch'a pie e senz'arme se ne son partiti.
55
È ordine tra lor, che chi per sorte
Esce fuor prima, vada a correr solo:
Ma se trova il nemico cosi forte,
Che resti in sella, e getti lui nel suolo;
Sono ubligati gli altri infin a morte
52. 2. loco; qui per castello. Segni, St. 4,
103: « Avea mandate nella Lastra tre compa-
gnie, le quali dovessono tener quel luogo ».
— 6. Taat' altri b. ; altritanti, altrettanti
cosi buoni, adatti al b. g. Cosi abbiamo altri-
tanti nel e. xxiv, 8, 7. Puoi intendere an-
che, ma meno bene, tanto altri buoni, al-
tri tanto buoni. Tali inversioni non sono
certo delle più ardite nel Nostro. Tanti altri
nel comune significato non darebbe qui al-
cun senso.
53. 2. raccolse ; accolse. V. e. vii, 9.
— 4. prima... che li fece. V. e. v, 26, n. 7.
54.4. osservar; È notevole l'avverbio,
cosi^ invece del complem. diretto, che si
usa regolarmente.
— 7. infiniti. « Come infiniti, se questo
costume durava solo da tre giorni?» TPa-
iiizzi). Forse è una esagerazione condona-
bile alla fantasia di questa donna che parla.
65. 1. È ordine tra lor; È stabilito fra loro
che chi esce ecc. V. e. v, 42, n. 4.
— 5. sono nbiigati ecc. : la prima delibera-
Pigliar r impresa tutti in uno stuolo.
Vedi or se ciascun d'essi è cosi buono.
Quel ch'esser de', se tutti insieme sono.
56
Poi non conviene all'importanzia nostra
Che ne vieta ogni indugio, ogni dimora.
Che punto vi fermiate a quella giostra:
E presuppongo che vinciate ancora;
Che vostra alta presenzia lo dimostra;
Ma non è cosa da fare in un'ora:
Et è gran dubbio che '1 giovine s'arda,
Se tutto oggi a soccorrerlo si tarda.
57 [sto;
5 DisseRuggier: Non riguardiamo aque-
racciàn nui quel che si può far per nui;
Abbia chi regge il ciel cura del resto,
0 la fortuna, se non tocca a lui.
Ti fia per questa giostra manifesto.
Se buoni siamo d'aiutar colui
Che per cagion si debole e si lieve,
Come n'hai detto, oggi bruciar si deve.
58
Senza risponder altro, la Donzella
Si messe per la via ch'era più corta.
Più di tre miglia non andar per quella,
Che si trovaro al ponte et alla porta
Dove si perdon l'arme e la gonnella,
E de la vita gran dubbio si porta.
Al primo apparir lor, di su la rocca
È chi duo botti la campana tocca.
59
Et ecco de la porta con gran fretta.
Trottando s'un ronzin un vecchio uscio;
zione l'han presa fra loro, quest' obbligo po-
co onorevole è stato imposto dal Castellano.
56. 1. importanzia; ciò che importa. Da-
VANZATI, Ann., 15. 218: « Femio Rufo, pre-
fetto (che fu l'importanza) di buona vita e
fama ».
— 3. punto, alcun poco. Cosi Dante, Inf.
15, 34 : « qual di questa greggia S' arresta
punto ».
57. 4. 0 la fortuna ecc. Questa idea è tutta
propria del Rinascimento, quando si riprese
e si spiegò il concetto e l' influenza della
fortuna negli avvenimenti umani. Fors'an-
che Va. ebbe presente la Fortuna Dantesca
(Inf. 7, 66, seg.), che è una intelligenza ce-
leste.
58. 6. gran dubbio si porta; si corre gran
pei-icolo. Dubbio per pericolo nel e. xxi,
42; XXX, 86; e come nel e. vii, 46, usò^^or-
tar pericolo, cosi qui portar dubbio.
— 7. di sa 1. r. È complemento di tocca
la campana : tocca la campana dalla cima
della rocca, stando suU' alto della r.
— 8. duo bòtti 1. e. t.; con due colpi 1. e. t.
L'omissione del con è notevole, ma è modo
analogo al vivente sonar la camp, due
tocchi.
CANTO XXII
291
E quel venia gridando: Aspetta, aspetta :
Restate olà, che qui si paga il fio:
E se l'usanza non v'ù stata detta,
Che qui si tiene, or ve la vo' dir io:
E contar lor incominciò di quello
Costume, che servar fa Pinabello.
60
Poi seguitò, volendo dar consigli,
Com' era usato agli altri cavallieri.
Fate spogliar la donna (dicea), tìgli,
E voi l'arme lasciateci e i destrieri;
E non vogliate mettervi a perigli
D'andare incontra a tai quattro guerrieri.
Per tutto vesti, arme e cavalli s'hanno:
La vita sol mai non ripara il danno.
61 [sono
Non più (disse Ruggier) non più; ch'io
Del tutto informatissimo, e qui venni
Per far prova di me, se cosi buono
In fatti son, come nel cor mi tenni.
Arme, vesti e cavallo altrui non dono.
S'altro non sento che minacele e cenni;
E son ben certo ancor che per parole
Il mio compagno le sue dar non vuole.
62 [te
Ma, per Dio, fa ch'io vegga tosto infron-
Quei che ne voglion tórre arme e cavallo;
Ch'abbiamo da passar anco quel monte;
E qui non si può far troppo intervallo.
59. :j. Aspetta aspetta. È detto impersonal-
mente, come esclamazione.
— 4. fio. Ha un senso molto affine a
quello di tributo penale, come al e. xvu,
41. È d'uso raro.
— 8. servar, osservare, mantenere.
60. 0. D'andare ine, d'andare armati per
combatt. contro. Ma potrebbe anche inten-
dersi di andare nel senso di con andare,
andando: in tal caso vuol dire non vo-
gliate mettervi a pericoli di rimanere morti,
disonorati, ecc.; ami andò incontro ecc. Di
per con vedilo al e. iii, 65, 6; xxv, 53, 5. E
potrebbe anche essere un'estensione dei
modi comuni : ai pericoli di uno scontro,
di uìi viaggio e simili; e in tal modo l'e-
spressione intera sarebbe: non vogliate
mettervi ai pericoli dell'andare incontro
ecc. ; con la omiss. degli articoli.
— 8. La -vita sol ecc. È concetto ed
espressione Oraziana, Odi 4, 7, 13-15 :
« Damna tamen celeres reparant caelestia
lunae ; Nos ubi decidimus... Pulvis et um-
bra sumus ».
61. 6. min. e cenni; m. e parole, in quanto
si contrappongono a fatti. È fig. di endiadi.
Cosi cenni nel e. xxvi, 104; che la Crusca
dichiara, a torto, indizio, segno.
68. 4. interTallo, indugio. È un latinismo.
Si cita questo solo esempio dell'A. Opportu-
namente il Romizi cita l'espressione di Livio
Rispose il vecchio: Eccoti fuor del ponte
Chi vien per farlo: e non lo disse in fallo;
Ch'un cavallier n'usci, che sopraveste
Vermiglie avea, di bianchi fior conteste.
63
Bradamante pregò molto Ruggiero
Che le lasciasse in cortesia l'assunto
Di gittar de la sella il cavalliero,
Ch'avea di fiori il bel vestir trapunto;
Ma non potè impetrarlo, e fu mestiero
A lei far ciò che Ruggier volse a punto.
Egli volse l'impresa tutta avere:
E Bradamante si stesse a vedere.
64
Ruggiero al vecchio domandò, chi fosse
Questo primo ch'uscia fuor de la porta.
È Sansonetto (disse); che le rosse
Veste conosco e i bianchi fior che porta.
L'uno di qua, l'altro di là si mosse
Senza parlarsi e fu l'indugia corta;
Che s'andaro a trovar co i ferri bassi.
Molto affrettando i lor destrieri i passi.
65
In questo mezzo de la rocca usciti
Eran con Pinabel molti pedoni.
Presti per levar l'arme et espediti
Ai cavallier ch'uscian fuor degli arcioni.
Veniausi incontra i cavallieri arditi.
Fermando in su le reste i gran lancioni.
Grossi duo palmi, di nativo cerro,
Che quasi erano uguali insino al ferro.
66
Di tali n'avea più d'una decina
Fatto tagliar di su lor ceppi vivi
Sansonetto a una selva indi vicina,
E portatone duo per giostrar quivi.
Aver scudo e corazza adamantina
Bisogna ben, che le percosse schivi.
Aveane fatto dar, tosto che venne,
(il, 2) « ne intervallo quidem facto » senza
nemmeno frapporre tempo.
— 5. fuor del ponte; il ponte levatoio, che
metteva al castello.
— 6. farlo; far si che tu veda in fronte
quei ecc. ; come si chiede nel primo verso.
63.5. potè; È presente; infatti nella ed.
del '16 leggesi puote. V. e. viii, 52, n. 4.
64. 6. indugia. V. e. XII, 40 n. 4.
65.7. nativo, naturale, senza che l'arte
l'avesse levigato, assottigliato ecc. 11 Bolza
intende senza difetti, ma non si citano altri
esempi di tal significato.
— 8. erano ugnali ; cioè non si assotti-
gliavano troppo verso la punta.
66. 2. Patto; V. st. 40, n. 5. — vivi, rife-
riscilo a Cerri; cioè li avea fatti tagliar
verdi e sani, non già quando avessero sof-
ferto sulla pianta. Sul cerro verde cfr. e.
XIX, 94, n. 2.
— 6. schivi, resista alla pere, o meglio:
292
ORLANDO FURIOSO
L'uno a Ruggier, l'altro per sé ritenne.
67
Con questi, che passar dovean gl'incudi
(Si ben ferrate avean le punte estreme),
Di qua e di là fermandoli agli scudi,
A mezzo il corso si scontrar© insieme.
Quel di Ruggiero, che i demòni ignudi
Fece sudar, poco del colpo teme:
De lo scudo vo' dir che fece Atlante,
De le cui forze io v'ho già detto inante.
68
Io v'ho già detto che con tanta forza
L'incantato splendor negli occhi fere.
Ch'ai discoprirsi ogni veduta ammorza,
E tramortito l'uom fa rimanere:
Per ciò, s'un gran bisogno non lo sforza.
D'un vel coperto lo solca tenere.
Si crede ch'anco impenetrabil fosse;
Poi ch'a questo incontrar nulla si mosse.
69
L'altro, ch'ebbe l'artefice men dotto,
Il gravissimo colpo non sofferse.
Come tocco da fulmine, di botto
Die loco al ferro, e pel mezzo s'aperse;
Die loco al ferro, e quel trovò di sotto
Il braccio ch'assai mal si ricoperse,
Si che ne fu ferito Sansonetto,
E de la sella tratto al suo dispetto.
70
E questo il primo fu di quei compagni
Che quivi mantenean l'usanza fella,
Che de le spoglie altrui non fé' guadagni,
E ch'alia giostra usci fuor de la sella.
Schivi le percosse a clii li porta, e vi sta al
riparo.
— 8. t'nno a Euggier ; I romanzieri sup-
pongono, ogni volta che fa loro comodo,
che i cavalieri abbiano o non abbiano seco
scudieri e armi. Qui l'A. voleva fare spiccare
la gentilezza cavalleresca di Sansonetto.
67. 1. gì' inondi. V. e. I, 17, n. 4.
— 3. fermandoli ; mirando. La Crusca re-
gistra il significato senza esempio alcuno.
— 4. A mezzo il corso; alla metà dello
spazio, che li separava; cioè si vennero in-
contro con egual prontezza e velocità.
— 5. i demòni ignadi. Essendo opera d'in-
canto, l'A. dice che ebbe per fabbri i de-
moni, che vi sudarono intorno col busto
ignudo ; come stanno talvolta i fabbri pel
caldo.
68. 3. veduta ; vista. Questa forma è co-
munissima negli antichi, perciò risparmio
gli esempi.
— 8. incontrar; scontro. L'infinito è usato
sostantivamente.
69. 5. e qnel ecc.; e questo ferro trovò,
sotto, il braccio, che si era coperto assai
male con questo scudo poco resistente.
Convien chi ride, anco talor si lagni,
E Fortuna talor trovi ribella.
Quel da la rocca, replicando il botto.
Ne fece agli altri cavallieri motto.
71
S'era accostato Pinabello intanto
A Bradaraante per saper chi fusse
Colui che con prodezza e valor tanto
Il cavallier del suo Castel percusse.
La giustizia di Dio per dargli quanto
Era il merito suo, vi lo condusse
Su quel destrier medesimo ch'inante
Tolto avea per inganno a Bradamante.
72
Fornito a punto era T ottavo mese
Che, con lei ritrovandosi a camino,
(Se '1 vi raccorda) questo Maganzese
La gittò ne la tomba di Merlino,
Quando da morte un ramo la difese
Che seco cadde, anzi il suo buon destino ;
E trassene, credendo ne lo speco
Ch'ella fosse sepolta, il destrier seco.
73
Bradamante conosce il suo cavallo,
E conosce per lui l'iniquo Conte;
E poi ch'ode la voce, e vicino hallo
Con maggiore attenzion mirato in fronte:
Questo è il traditor (disse) senza fallo,
Che procacciò di farmi oltraggio et onte :
Ecco il peccato suo, che l'ha condutto
Ove avrà de' suoi merti il premio tutto.
74
Il minacciare e il por mano alia spada
Fu tutto a un tempo e lo avventarsi a quel-
Ma inanzi tratto gli levò la strada, [lo:
Che non potè fuggir ver.so il castello.
Tolta è la speme ch'a salvar si vada,
Come volpe alla tana, Pinabello.
Egli gridando e senza mai far testa,
Fuggendo si cacciò ne la foresta.
75
Pallido e sbigottito il miser sprona,
Che posto ha nel fuggir l'ultima speme.
L'animosa donzella di Dordona
70. 5. L'A. riflette che non sempre si può
avere buon successo. La fortuna talora dà
da ridere, tal altra da lagnarsi.
— 8. Ne fece... motto, ne dette cenno con
un altro botto di campana. Far 'motto nel
senso di /"ar cenno vedilo pure nel e. xvii,
103; ma i vocabolari non lo citano.
71. 8. V. e. Ili, 5; e per il racconto, che
segue, V. e. II, 34-76.
72.3. S'el vi raccorda; e. XX, 135, s' el
vi ricorda. V'edi quivi la n. 1.
74. 3. gli levò; gli tagliò, gli intercettò la
st.; e cosi glie ne tolse l'uso.
— 4. Che; cosicché. — potè; puote. Cosi
ha la Principe.
CANTO XXII
29b
Gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e
[preme :
Vien con lui sempre, e mai non l'abban-
[dona.
Grande è il rumore,e il bosco intorno geme.
Nulla al Castel di questo ancor s'intende,
Però ch'ognuno a Ruggier solo attende.
76
Gli altri tre cavallier de la fortezza
In tanto erano usciti in su la via;
Et avean seco quella male avvezza
Che v'avea posta la costuma ria.
A ciascun di lor tre, che '1 morir prezza
Più ch'aver vita che con biasmo sia.
Di vergogna arde il viso, e il cor di duolo,
Che tanti ad assalir vadano un solo.
77
La crudel meretrice ch'avea fatto
Por quella iniqua usanza et osservarla,
Il giuramento lor ricorda e il patto
Ch'essi fatti l'avean, di vendicarla.
Se sol con questa lancia te gli abbatto.
Per che mi vuoi con altre accompagnarla ?
(Dicea Guidon Selvaggio) : e s'io ne men-
Levami il capo poi, ch'io son contento, to.
78
Cosi dicea Grifon, cosi Aquilante:
Giostrar da sol a sol volea ciascuno,
E preso e morto rimanere inante
Ch'incontra un sol volereandarpiùd'uno.
La Donna dicea loro: A che far tante
Parole qui senza profitto alcuno?
Per tórre a colui l'arme io v'ho qui tratti.
Non per far nuove leggi e nuovi patti.
79 Ime
Quando io v'avea in prigione era da far-
Queste escuse, e non ora, che son tarde.
Voi dovete il preso ordine servarme,
Non vostre lingue far vane e bugiarde.
Ruggier gridava lor: Eccovi l'arme,
Ecco il destriercha nuovo e sella e barde;
I panni de la dopua eccovi ancora:
Se li volete, a che più far dimora?
76. 4. la costuma. V. e. XIX, 66.
79. 1. era da farme; erano da addur que-
ste ragioni a me. Suir uso impersonale di
'Va. V. FORNACIARI, Siìlt. p. 239.
— ci. il preso ordine; il patto accettato,
stabilito. Confronta, per il significato di
ordine, il e. v, 42; xiii, 11, 3.
— 6. ha nuovo; Qui piuttosto che un ag-
gettivo concordante con sella e barde è un
predicato in senso neutro. Ha di nuovo, di
cose nuove, sella e barde. Ed è uso comune
nella nostra lingua.
— barde, quei pezzi d'armatura di cuoio
0 di altro, che difendevano la groppa, il
collo e il petto ai cavalli. E anche certi or-
namenti, che si attaccavano sulla fronte o
sotto le orecchie.
80
La Donna del Castel da un lato preme,
Ruggier da l'altro li chiama e rampogna
Tanto ch'a forza si spiccaro insieme,
Ma nel viso infiammati di vergogna.
Dinanzi apparve l'uno e l'altro seme
Del marchese onorato di Borgogna;
Ma Guidon che più grave ebbe il cavallo,
Venia lor dietro con poco intervallo.
81
Con la medesima asta con che avea
Sansonetto abbattuto, Ruggier viene,
Coperto da lo scudo che solca
Atlante aver sui monti di Pirene:
Dico quello incantato che splendea
Tanto, ch'umana vista noi sostiene;
A cui Ruggier per l'ultimo soccorso
Nei più gravi perigli avea ricorso.
82
Ben che sol tre fiate bisognolli,
E certo in gran perigli, usarne il lume:
Le prime due, quando dai regni molli
Si trasse a più lodevole costume;
La terza, quando i denti mal satolli
Lasciò de l'Orca alle marine spume,
Che dovean devorar la bella nuda
Che fu a chi la campò poi cosi cruda.
83
Fuor che queste tre volte, tutto '1 resto
Lo tenea sotto un velo in modo ascoso,
Ch'a discoprirlo esser potea ben presto.
Che del suo aiuto fosse bisognoso.
Quivi alla giostra ne venia con questo.
Come io v'ho detto ancora, si animoso,
Che quei tre cavallier che vedea inanti,
Manco temea che pargoletti infanti.
84
Ruggier scontra Grifone, ove la penna
De lo scudo alla vista si congiunge.
Quel di cader da ciascun lato accenna,
80. 5. seme del Marchese ecc. Grifone e
Aquilante ligh di Oliviero, marchese di
Vienne, città un tempo appartenente alla
Borgogna.
82.3. regni molli; regni della mollezza;
della molle Alcina.v. e. vii, 11; x, 50, liuseg,
83. 1. tutto '1 resto, del tempo.
' — 4. Che; subito che. Cosi nel e. xx, 139, 3.
Si vede come su questi che ha agito l' ag-
gettivo presto, donde il loro significato
complesso di tosto che.
84. 1. ove la penna ecc. lo colpisce proprio
in punta alla penna dello scudo (e. xii. 83),
che era tenuta vicinissima alla vista del-
l'elmo per coprire tutto il viso e lasciare
scoperti solo gli occhi ; sicché colpi in parte
lo scudo in parte l'elmo.
— 3. Quel; si dovrebbe riferire a Rug-
giero; invece si riferisce a Grifone.
294
ORLANDO FURIOSO
Et al fin cade, e resta al destrier lunga.
Mette allo scudo a lui Grifon l'antenna;
Ma pel traverso e non pel dritto giunge:
E perché lo trovò forbito e netto,
L'andò strisciando, e fé' contrario effetto.
85
Eoppe il velo e squarciò, che gli copria
Lo spaventoso et incantato lampo,
Al cui splendor cader si convenia
Con gli occhi ciechi, e non vi s'ha alcun
Aquilante, ch'a par seco venia, [scampo.
Stracciò l'avanzo, e fé' lo scudo vampo.
Lo splendor feri gli occhi ai duo fratelli
Et a Guidon, che correa dopo quelli.
86
Chi di qua, chi di là cade per terra:
Lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia.
Ma fa che ogn'altro senso attonito erra.
Ruggier, che non sa il fin de la battaglia.
Volta il cavallo; e nel voltare afferra
La spada sua che si ben punge e taglia:
E nessun vede che gli sia all'incontro;
Che tutti eran caduti a quello scontro.
87
I cavallieri e insieme quei ch'a piede
Erano usciti, e cosi le donne anco,
E non meno i destrieri in guisa vede,
Che par che per morir battano il fianco.
Prima si maraviglia, e poi s'avvede
Che '1 velo ne pendea dal lato manco:
Dico il velo di seta in che solca
Chiuder la luce di quel caso rea.
88
Presto si volge, e nel voltar, cercando
Con gli occhi va l'amata sua guerriera;
E vien là dove era rimasa, quando
La prima giostra cominciata s'era.
Pensa ch'andata sia (non la trovando)
A vietar che quel giovine non pera,
— S. fé' contrario effetto; invece di col-
pire Ruggiero fu colpito lui dallo splendore.
85. 1. Roppe. È forma più vicina alla ra-
dice del presente e non è rara negli an-
tichi.
— 6. fé' 1. s. vampo ; lo scudo mandò vam-
po, mandò splendore di vampa.
86. 4. Ruggero, che non si è accorto del i
velo stracciato e che, appena dato il colpo, I
si volta indietro per riprendere campo e
tornare a colpire, non ha visto che la bat-
taglia è finita, avendo abbarbagliato tutti
i guerrieri.
87. 4. battano il fianco ; ansino. Si cita
questo solo luogo dell'A. Virgilio (En. ix,
415,) disse, ma di un uomo che ha l'affanno
della morte « ilia pulsant ».
— 8. di quel e. rea; colpevole di quel-
l'accaduto.
88. 6. vietar che non. V. c. V, 53. n. 1.
Per dubbio ch'ella ha forse che non s'arda
In questo mezzo ch'a giostrar si tarda.
89
Fra gli altri che giacean vede la Donna,
La Donna che l'avea quivi guidato.
Dinanzi se la pon, si come assonna,
E via cavalca tutto conturbato:
D'un manto ch'essa avea sopra la gonna.
Poi ricoperse lo scudo incantato;
E i sensi riaver le fece tosto
Che '1 nocivo splendore ebbe nascosto.
90
Via se ne va Ruggier con faccia rossa
Che, per vergogna, di levar non osa.
Gli par ch'ognuno improverar gli possa
Quella vittoria poco gloriosa.
Ch'emenda poss' io fare, onde rimossa
Mi sia una colpa tanto obbrobriosa?
Che ciò ch'io vinsi mai, fu per favore,
Diran, d'incanti e non per mio valore.
91
Mentre cosi pensando seco giva,
Venne in quel che cercava a dar di cozzo;
Che 'n mezzo de la strada sopr'arriva
Dove profondo era cavato un pozzo.
Quivi l'armento alla calda ora estiva
Si ritraea, poi ch'avea pieno il gozzo.
Disse Ruggiero: Or proveder bisogna,
Che non mi facci, o scudo, più vergogna.
92
Più non starai tu meco; e questo sia
L'ultimo biasmo ch'ho d'averne al mondo.
Cosi dicendo smonta ne la via:
Piglia una grossa pietra e di gran pondo,
E la lega allo scudo, et ambi invia
Per l'alto pozzo a ritrovarne il fondo;
E dice: Costà giù statti sepulto,
E teco stia sempre il mio obbrobrio oc-
93 [culto.
Il pozzo è cavo, e pieno al sommo d'ac-
[que:
Grieve è lo scudo, e quella pietra grieve.
Non si fermò fin che nel fondo giacque:
89. 3. assonna ; è assopita, dorme ; cosi as-
sopita, com'è. Signilicato non registrato dai
vocabolari.
90. 3. improverar. V. e. I, 29, n. 7.
— 7. ciò ch'io Tinsi m. ; tutte le mie vit-
torie.
92. 2. d'averne, da averne. V. e. v. 10. Ciò
che fa Ruggiero è simile a ciò, che fece
Orlando dell'archibuso, ix, 88, e a ciò, che
nella Tav. Rotonda fa Tristano, il quale, per
non vincere con armi fatate, le getta in
una fornace.
93. 1. cavo; profondo. Citano un luogo di
Fra Giord. 124: * quando (il pozzo) non è
cavo, si è detto basso». — al sommo; fino
alla sommità, fino alla cima.
CANTO XXII
2\.>.
Sopra si chiuse il liquor molle e lieve.
Il nobil atto e di splendor non tacque
La vaga Fama, e diviilgoUo iu breve;
E di rumor n'empi sonando il corno,
E Francia e Spagna eie Provincie intorno.
94
Poi che di voce in voce si fé' questa
Strana avventura in tutta il mondo nota,
Molti guerrier si misero all'inchiesta
E di parte vicina e di remota:
Ma non sapean qual fosse la foresta,
Dove nel pozzo il sacro scudo nuota;
Che la Donna che fé' l'atto palese,
Dir mai non volse il pozzo né il paese.
95
Al partir che Ruggier fé' dal castello,
Dove avea vinto con poca battaglia;
Che i quattro gran campion di Pinabello
Fece restar come uomini di paglia;
Tolto lo scudo, avea levato quello
Lume che gli occhi e gli animi abbarba-
E quei che giaciuti eran come morti, [glia:
Pieni di meraviglia eran risorti.
— 5. di splendor; locuzione affine ad altre
più comuni: atto di grande importanza, di
molto merito : qui dunque atto splendido.
L' unione però dell'aggettivo e del comple-
mento (atto nobile e di splendor) è dura
assai.
— 6. vaga; vagante, che corre qua e là.
V. e. VII, 45, 3.
94. 3. inchiesta. V. e. IX, 7.
— 6. sacro. V. e. xii, 57. — nuota, è af-
fondato. È una estensione di signiflcato no-
tevole e non registrata dai vocabolari.
96
Né per tutto quel giorno si favella
Altro fra lor, che de lo strano caso ;
E come fu che ciascun d'essi a quella
Orribil luce vinto era rimaso.
Mentre parlan di questo, la novella
Vien lor di Plnabel giunto all'occaso :
Che Pinabello è morto hanno l'avviso;
Ma non sanno però chi l'abbia ucciso.
97
L'ardita Bradamante in questo mezzo
Giunto avea Pinabello a un passo stretto;
E cento volte gli avea fin a mezzo
Messo il brando pei fianchi e per lo petto.
Tolto ch'ebbe dal mondo il puzzo e '1 lezzo
Che tutto intorno avea il paese infetto,
Le spalle al bosco testimonio volse
Con quel destrier che già il fellon le tolse.
98
Volse tornar dove lasciato avea
Ruggier; né seppe mai trovar la strada.
Or per valle or per monte s'avvolgea;
Tutta quasi cercò quella contrada.
Non volse mai la sua fortuna rea.
Che via trovasse, onde a Roggier si vada.
Questo altro Canto ad ascoltare aspetto
Chi de r istoria mia prende diletto,
96. 2. Altro... che. Altro piiò essere com-
plemento diretto di favellare, o può essere
i usato anche avverbialmente come nel Petk.
j I, sest. 3: « parola, Ch' altro che da me
stesso fosse intesa », da altri che da me, ecc.
— 6. giunto all'o. V. e. ix, 31.
97. 7. testimonio; di questa uccisione.
CANTO XXIII
studisi ognun giovare altrui; che rade
Volte il ben far senza il suo premio fia:
E se pur senza, almen non te ne accade
Morte né danno né ignominia ria.
Chi nuoce altrui, tardi o per tempo cade
Il debito a scontar, che non s'oblia.
1. 3. accade, avviene : ma si dice propria-
mente di cose non prevedute ; mentre av-
venire si dice delle prevedute.
— 5. cade; viene per avventura. In que-
sto senso e costrutto non è registrato dai
vocabolari, ma è uso notevole da aggiun-
gere ai molti del verbo cadere. — tardi o
per tempo. É una variazione del modo po-
polare presto o tardi.
Dice il proverbio, ch'a trovar si vanno
Gli uomini spesso, e i monti fermi stanno.
2
Or Tedi quel ch'a Pinabello avviene
Per essersi portato iniquamente:
i E giunto in somma alle dovute pene,
! Dovute e giuste alla sua ingiusta mente.
I E Dio, che le più volte non sostiene
i Veder patire a torto uno innocente,
'■ Salvò la donna; e salverà ciascuno
! Che d'ogni fellonia viva digiuno.
— 7. a trovar si vanno ; vanno a incon-
trarsi. Volgarmente il proverbio suona cosi:
i monti stan fermi e gli uomini camminano.
2. 4. mente, indole, animo.
:d6
ORLANDO FURIOSO
Credette Pinabel questa donzella
Già d'aver morta, e colà giù sepolta;
Né la pensava mai veder, non ch'ella
Gli avesse a tòr degli error suoi la multa.
Né il ritrovarsi in mezzo le castella
Del padre, in alcun util gli risulta.
Quivi Altaripa era tra monti fieri
Vicina al tenitorio di Pontieri.
4
Tenea quell'Altaripa il vecchio conte
Anselmo, di ch'usci questo malvagio
Che, per fuggir la man di Chiararaonte,
D'amici e di soccorso ebbe disagio.
La donna al traditore a pie d'un monte
Tolse l'indegna vita a suo grande agio;
Che d'altro aiuto quel non si provede,
Che d'alti gridi e di chiamar mercede.
5
Morto ch'ella ebbe il falso cavalliero
Che lei voluto avea già porre a morte,
Volse tornare ove lasciò Ruggiero;
Ma non lo consenti sua dura sorte,
Che la fé' traviar per un sentiero
Che la portò dov'era spesso e forte,
Dove più strano e più solingo il bosco,
Lasciando il sol già il mondo all'aer fosco.
6
Né sappiendo ella ove potersi altrove
La notte riparar, si fermò quivi
Sotto le frasche in su l'erbette nuove.
Parte dormendo, fin che il giorno arrivi,
Parte mirando ora Saturno or Giove,
Venere e Marte e gli altri erranti Divi;
Ma sempre, o vegli o dorma, conia mente
Contemplando Ruggier come presente.
7
Spesso di cor profondo ella sospira,
Di pentimento e di dolor compunta.
Ch'abbia in lei, più ch'Amor, potuto l'ira.
L'ira (dicea) m'ha dal mio amor disgiunta :
Almen ci avessi io posta alcuna mira.
Poi ch'avea pur la mala impresa assunta.
Di saper ritornar donde io veniva;
Che ben fui d'occhi e di memoria priva.
8
Queste et altre parole ella non tacque
E molto più ne ragionò col core.
Il vento in tanto di sospiri, e l'acque
Di pianto fecean pioggia di dolore.
Dopo una lunga aspettazion pur nacque
In Oriente il disiato albóre:
Et ella prese il suo destrier ch'intorno
Giva pascendo, et andò contra il giorno.
9
Né molto andò, che si trovò all'uscita
Del bosco, ove pur dianzi era il palagio.
Là dove molti di l'avea schernita
Con tanto error Tincantator malvagio.
3. 3. la pensava... ved. ; né pensava mai
vederla. V. e. i, 47, n. 6.
— 4. tor la multa. Multa è voce latina :
e latino è il costrutto tor la multa (susci-
pere poenam) e forse nuovo nella lettera-
tura.
— 8. tenitorio di P. ; dov' era il castello
di Pinabello.
4. 3. la man di Chiaram.: la mano di Bra-
damante, che era della casa di Chiaram.
V. e. n, 67.
— 4. ebbe disagio ; penuria. Dante, Inf.
34, 99 : « eh' avea mal suolo e di lume di-
sagio ».
— 8. chiamar mercede ; chiedere grazia.
Dante, Purg. 29, 39 : « Cagion mi sprona
eh' io mercé ne chiami ».
5. 1. falso ; bugiardo ; perché l' aveva in-
dotta con una menzogna a calarsi nella spe-
lonca. V. e. II, 75.
— 8. Lasciando il sol ; quando il sole la^
sciava. Questa maniera di gerundio asso-
luto è frequente nell'A. Vedi gli esempi ci-
tati al e. XII, 76, n. 4.
6. 6. erranti Divi ; erranti dei, i pianeti,
che prendono il nome dagli dei della mito-
logia.
7. 1. di cor profondo ; dal profondo del
cuore. È modo pur della prosa. Tratt. virt.
« egli dee gemire di profondo cuore ».
— 5. ci avessi p. a. m... di s. ; avessi posto
attenzione in questa cosa (ci), per saper ri-
tornare ecc. La prep. di invece di per è fre-
quente nel senso causale (morir di freddo;
di che egli mori, ecc.) ; ma è raro nel senso
finale, come sarebbe qui. Si potrebbe però
anche ritenere il vi come anticipazione del
complem. e intendere : avessi posta atten-
zione in questa cosa, cioè nel saper. Di in
questo senso è frequente. V. Fornaciari,
Decamer. p. 19, n. 6. — Porre mira •pev por-
re attenzioìie non è citato dai vocabolari.
8. 2. molto più. Non riferirlo a parole ;
ma intendi : e molto più, che colla bocca,
ragionò di questo argomento (ne) col core.
— 3. Metafore barocche, che è da crede-
re siano uno di quegli scherzi, che il poeta
introduce tante volte, come il sorriso del
novellatore, che vede i suoi uditori attenti e
commossi alle sue fantasie. Vuol dire che,
come il vento e l'acqua delle nuvole pro-
ducono la pioggia, cosi i sospiri e il pianto
producevano una pioggia di lacrime dolo-
rose. Nelle altre sue opere, specialmente
nella lirica, l'A. non si lascia mai andare
a questo barocchismo, il che conferma la
nostra opinione. Forse l'A. volle fare la
parodia della maniera barocca dei poeti
cortigiani di quel tempo, specialmente del
Tibaldeo, del Cariteo e di Serafino Aquilano.
— 8. contra il giorno ; verso levante.
CANTO XXIII
Ritrovò quivi Astolfo che fornita [agio,
La briglia all'Ippogrifo avea a grande
E stava in gran peusier di Rabicano,
Per non sapere a chi lasciarlo in mano.
10
A caso si trovò che fuor di testa
L'elmo allor s'avea tratto il Paladino;
Si che tosto ch'usci de la foresta,
Bradamante conobbe il suo cugino.
Di lontan salutollo, e con gran festa
Gli corse, e l'abbracciò poi più vicino;
E nominossi, et alzò la visiera,
E chiaramente fé' vedere ch'elì'era.
11
Non potea Astolfo ritrovar persona
A chi il suo Rabican meglio lasciasse,
Perché dovesse averne guardia buona
E renderglielo poi come tornasse,
De la figlia del Duca di Dordona;
E parvegli che Dio gli la mandasse.
Vederla volentier sempre solea.
Ma pel bisogno or più ch'egli n'avea.
12
Dappoi che due e tre volte ritornati
Fraternamente ad abbracciar si foro,
E si for l'uno e l'altro domandati
Con molta affezion de l'esser loro;
Astolfo disse : Ormai, se dei pennati
Vo' '1 paese cercar, troppo dimoro:
Et aprendo alla donna il suo pensiero,
Veder le fece il volator destriero.
13
A lei non fu di molta maraviglia
Veder spiegare a quel destrier le penne:
Ch'altra volta, reggendogli la briglia
Atlante incantator, centrale venne;
10. I.- si trovò. Il soggetto è «7 Paladino.
Di tali inversioni vedi gli esempi citati nel
e. XVII, 20, n. 8 : un altro è nel v. 6 di que-
sta stanza.
— 6. Gli corse, ecc.; Gli corse poi più vi-
cino e l'abbracciò. Altra ardita inversione.
— 8. eh' «ir era. Si può intendere : che
era lei ; proprio lei ; e anche chi ella era.
Nella Principe « Chiaramente veder gli fece
chi era ». Del resto elisioni cosi ardite tro-
viamo anche altrove; xix, 47, 6; xxxvii,
10, 3; e sotto nella st. 53, 2.
11. 3. averne guardia ; averne cura. Giov.
Villani, 7, il: «Il mandò dicendo... che
avesse guardia di sue terre ».
— 4. come tornasse, in Francia dopo il
viaggio per il mondo.
— 8. Ma pel b. ecc. ; ma ora anche di
più, per il b. che ne avea.
18. 5. pennati, uccelli ; il paese dei pen-
nati è detta scherzosamente l'aria. Bocc,
y'ov. 80, Frate Cipolla dice : « Io vidi volare
i pennati ».
13. 3. altra volta. V. e. IV.
E le fece doler gli occhi e le ciglia:
Si fisse dietro a quel volar le tenne
Quel giorno, che da lei Ruggier lontano
Portato fu per camin lungo e strano.
14
Astolfo disse a lei, che le volea
Dar Rabican che si nel corso affretta,
Che, se, scoccando l'arco, si movea,
Si solea lasciar dietro la saetta;
E tutte l'arme ancor, quante n'avea :
Che vuol eh' a Mont'alban gli le rimetta,
E gli le serbi fin al suo ritorno;
Che non gli fanno or di bisogno intorno.
15
Volendosene andar per l'aria a volo,
Aveasi a far quanto potea più lieve.
Tiensi la spada e '1 corno, ancor che solo
Bastargli il corno ad ogni risco deve:
Bradamante la lancia che '1 figliuolo
Portò di Galafrone, anco riceve;
La lancia che di quanti ne percuote
Fa le selle restar subito vote.
16
Salito Astolfo sul destrier volante.
Lo fa mover per l'aria lento lento;
Indi lo caccia si, che Bradamante
Ogni vista ne perde in un momento.
Cosi si parte col pilota inante
Il nocchier che gli scogli teme e '1 vento,
E poi che '1 porto e i liti a dietro lassa.
Spiega ogni vela e inanzi ai venti passa.
17
La donna, poi che fu partito il Duca,
Rimase in gran travaglio de la mente:
14. 2. affretta; Affrettare per affrettarsi
non è raro : Caro, En. 4, 491 : « affrettò di
morire ».
— 6. gli le rimetta: glie le riponga.
— 8. fanno... di bisogno ; fanno bisogno.
È modo frequente nella letteratura, special-
mente Toscana; e in Toscana vive ancora.
Cecchi, Mogi. 1, 1 : « dove mi fa di bisogno
dell' opera tua » ; e poteva anche dire « l'o-
pera tua ».
15. 4. risco. V. e. VI, 81.
— 5. figliuolo di Gal. ; Argalia fratello, di
Angelica. V. e. viii, 17.
16. 5. pilota. E noto che il padron della
nave (nocchiero) spesso non era quello, che
la conduceva; per il quale ufficio si pren-
deva il pilota (parola d'etim. ignota). Dun-
que: Come la nave si parte dapprima lenta
lenta per gli scogli e poi accelera il corso
nell'alto mare ecc.
— 8. inanzi ai venti p. O è espressione
iperbolica: va più veloce del vento; o, co-
me è più probabile, significa: e va avanti
al vento, che di dietro la spinge gonfiando
la vela. Cosi sarebbe un' immagine pitto-
resca.
c.i)S
ORLANDO FURIOSO
Che non sa come a Mont'alban conduca
I^'armatura e il destrier del suo parente;
r*erò che '1 cuor le cuoce e le manuca
L'ingorda voglia e il desiderio ardente
Di riveder Ruggier, che, se non prima,
A Vair ombrosa ritrovar lo stima.
18
Stando quivi suspesa, per ventura
Si vede inanzi giungere un villano,
Dal qual fa rassettar quella armatura,
Come si puot», e por su Rabicano :
Poi di menarsi dietro gli die cura
I duo cavalli, un carco e Taltro a mano.
Ella n'avea duo prima; ch'avea quello,
Sopra il qual levò l'altro a Pinabello.
19
Di Vall'ombrosa pensò far la strada ;
Che trovar quivi il suo Ruggier ha speme :
Ma qual più breve o qual miglior vi vada.
Poco discerne, e d'ire errando teme.
II villau non avea de la contrada
Pratica molta; et erreranno insieme.
Pur andare a ventura ella si messe.
Dove pensò che '1 loco esser dovesse.
20
Di qua, di là si volse, né persona
Incontrò mai da domandar la via.
Si trovò uscir del bosco in su la nona,
Dove un Castel poco lontan scopria,
Il qual la cima a un monticel corona.
Lo mira, e Mont'alban le par che sia :
Et era certo Mont'albano; e in quello
Avea la matre et alcun suo fratello.
21
Come la donna conosciuto ha il loco,
Nel cor s'attrista, e più eh' i' non so dire.
Sarà scoperta, se si ferma un poco;
Né più le sarà lecito a partire.
Se non si parte, l'amoroso foco
17. 5. le manuca. V. c. xv, 4.
— 8. r. lo stima. V. e. i, 47, n. 6.
18. 3. rassettar ; assettare ; raccogliere e
mettere insieme. Firenzuola, As. 102 : « A-
vendo già ogni cosa strenuamente rasset-
tato ».
— 6. nn carce, ecc. Intendi: gli die cura
di menarsi dietro a mano i due cavalli; Ra-
bicano carico dell' armatura, e l' altro (sot-
tintendi : che non era carico). Dunque a
mano uniscilo a menarsi. Non credo si
debba intendere: l'un carico del villano;
perché neanche gli scudieri cavalcavano
mai i destrieri, ma andavano a piedi, o su
ronzini, conducendo i destrieri a mano.
19. 7. Andar... si messe. Solita omissione
della prep. ad, come anche a v. 3. st. seg.
V. e. I, 4, n. 1.
20. 3. nona. V. e. vili, 19, n. 6.
21. 4. lecito a partire ; 1. di part. Costrutto
assai strano.
L'arderà si, che la farà morire:
Non yedrà più Ruggier, né farà cosa
Di quel ch'era ordinato a Vall'ombrosa.
22
Stette alquanto a pensar; poi ai risolse
Di voler dar a Mont'alban le spalle;
E verso la Badia pur si rivolse,
Che quindi ben sapea qual era il calle.
Ma sua Fortuna, o buona o trista, volse
Che prima ch'ella uscisse de la valle,
Scontrasse Alardo, un de' fratelli sui;
Né tempo di celarsi ebbe da lui.
23
Veniva da partir gli alloggiamenti
Per quel contado a cavallieri e a fanti;
Ch'ad instanzia di Carlo nuove genti
Fatto avea de le terre circonstanti.
I saluti e i fraterni abbracciamenti
Con le grate accoglienze andaro inanti;
E poi, di molte cose a paro a paro
Tra lor parlando, in Mont' albau tornare,
24
Entrò la bella Donna in Mont' Albano,
Dove l'avea con lacrimosa guancia
Beatrice molto desiata in vano,
E fattone cercar per tutta Francia.
Or quivi i baci e il giunger mano a mano
Di matre e di fratelli estimo ciancia.
Verso gli avuti con Ruggier complessi,
Ch'avrà ne l'alma eternamente impressi.
25
Non potendo ella andar, fece pensiero
Ch'a Vall'ombrosa altri in suo nome andas-
Immantinente ad avvisar Ruggiero [se
De la cagion ch'andar lei non lasciasse ;
— 8. ordinato ; stabilito, convenuto.
22. 7. Alardo. V. e. Il, 67.
23. 1. partir gli allogg. ; distribuire, asse-
gnare gli alloggiamenti.
— 4. Fatto avea; aveva radunato. V. e.
vili, 25, n. 2.
— 7. fa paro a paro ; mentre cammina-
vano a pari, a coppia.
24:. 3. Beatrice; la madre; V. e. II, 31. n. 4.
— 7. complessi; (lat. compZe.rMs) abbrac-
ciamenti ; anche nel e. xxxt, 32 ; e nel son.
13; ma è poetico.
25. 4. non lasciasse. Più regolarmente non
lasciava. L'A. usa non di rado questo con-
giuntivo alla latina. È noto che i Latini
usavano il congiunt. nelle propos. relative,
che si aggiungono a compimento d'una
idea espressa con una propos. avente il
verbo al cong., o un accusat. coir infinito,
e il cui contenuto è rappresentato come
parte integrante dell'idea espressa nell'in-
fin. o nel cong. È questa una delle regole
più sottili e più difficili dello stile laU;ino.
V. altri es. nel e. x, 29, 4; xxviii, 1, 8; 28,
2 : e cfr. Madvio, Grammat. lat. p. 324.
CANTO XXIII
E lui pregar (s'era pregar mistero)
Che quivi per suo amor si battezzasse,
E poi venisse a far quanto era detto.
Si che si desse al matrimonio effetto.
26
Pel medesimo messo fé' disegno
Di mandar a Ruggiero il suo cavallo
Che gli solea tanto esser caro : e degno
D'essergli caro era ben senza fallo;
Che non s'avria trovato in tutto '1 regno
Dei Saracin, né sotto il Signor Gallo
Più bel destrier di questo o più gagliardo,
Eccetti Brigliador, soli, e Baiardo.
27 [ascese
Euggier, quel di che troppo audace
Su l'Ippogrifo, e verso il ciel levosse.
Lasciò Frontino, e Bradamante il prese
(Frontino; che '1 destrier cosi nomosse);
Mandollo aMont'albano, e a buone spese
Tener lo fece, e mai non cavalcosse,
Se non per breve spazio e a picciol passo:
Si ch'era più che mai lucido e grasso.
28
Ogni sua donna tosto, ogni donzella
Pon seco in opra, e con suttil lavoro
Fa sopra seta candida e morella
Tesser ricamo di finissimo oro;
E di quel cuopre et orna briglia e sella
Del buon destrier: poi sceglie una di loro,
Figlia di Callitrefia sua nutrice,
D'ogni secreto suo fida uditrice.
29
Quanto Ruggier l'era nelcoreimpresso,
Mille volte narrato avea a costei:
La beltà, la virtude, i modi d'esso
Esaltato l'avea fin sopra i Dei.
A sé chiamoUa e disse: Miglior messo
A tal bisogno elegger non potrei;
Che di te né più fido né più saggio
Imbasciator, Ippalca mia, non haggio.
— 5. era mistero ; era mestieri, occorre-
va. Mistero per mestieri è forma arcaica
già nel Cinquecento. L'usarono Brunetto
Lat., Guittone e il Pucci.
26.2. il suo; di lui; Frontino.
— 5. s'avria tr. Per l'uso dell'ausil. Ave-
re, coi verbi riflessi, nella poesia, cfr. For-
NACIARI, Sint. p. 159.
— 6. Signor Gallo ; Signor della Francia,
Carlo Magno.
27. 1. quel di' ecc. V. e. iv, 49.
88. 3. morella ; di color tendente al nero.
— 7. Callitrefia (dal greco kalós, buono,
e trefo nutrire; buona nutrice) è nome fog-
giato secondo 1' ufficio. — Su questo ufficio
della nutrice cfr. la nota al e. xiv, 54, 5.
29.4. l'av. ; le av. V. e. vii, 35, n. 8. —
Dei; gli esseri soprannaturali. Cosll'A. usò
Dea nel e. vi, 10, 5; xii, 6, 3.
— 8. Ippalca (dal grec. ìppos, cavallo ;
30
Ippalca la donzella era nomata.
Va, le dice (e l'insegna ove de' gire);
E pienamente poi l'ebbe informata
Di quanto avesse al suo Signore a dire,
E far la scusa se non era andata
Al monaster : che non fu per mentire;
Ma che Fortuna, che di noi potea
Più che noi stessi, da imputar s'avea.
31
Montar la fece s'nn ronzino, e in mano
La ricca briglia di Frontin le messe :
E se si pazzo alcuno o si villano
Trovasse, che levar le lo volesse;
Per fargli a una parola il cervel sano,
Di chi fosse il destrier sol gli dicesse :
Che non sapea si ardito cavalliero.
Che non tremasse al nome di Ruggiero.
32
Di molte cose l'ammonisce e molte.
Che trattar con Ruggier abbia in sua vece ;
Le qual poi ch'ebbe Ippalca ben raccolte.
Si pose in via, né più dimora fece.
Per strade e campi e selve oscure e folte
Cavalcò de le miglia più di diece;
Che non fu a darle noia chi venisse,
Né a domandarla pur dove ne gisse.
33
A mezzo il giorno, nel calar d'un monte.
In una stretta e malagevol via
eleo, trarre, condurre ; conduttrice di ca-
valli). Anche questo è nome foggiato per
l'occasione.
30. 2. r ins. ; le ins. V. st. 29, 4.
— 5. E far. Supplisci, inlevandolo dal con-
testo, e come avesse a far. Scorci popolari
comunissimi nelle lingue.
— 6. che: qui pure sottint. gli dicesse.
— 7. che di noi potea. Più comunemente
si userebbe il presente, perché è una massi-
ma generale; ma l'imperf. fa spiccar me-
glio che questa sentenza la pronunciò allora
Brad. Potere di per 2^otere su anche nel
e. II, 30; XXIV, 105. Bembo, Lett. 4, 56:
« quanto l' autorità vostra possa di me ».
31. 5. a una p.; con una p. Vedi a per
coìi anche nel e. xvi, 48, 8, e la nota.
— 7. sapea; conosceva. Cecchi, Z)issim.
1, 1 : « Io non so grandezza con la quale,
ecc. ».
— 8. a nome; al nome. Omissione del-
l'artic. assai frequente nel Nostro; V. e. ii,
15, n. 8.
32. 8. trattar... abhia. Solita omissione
della prep. a. V. e. i, 4, n. 1.
— 3. raccolte; comprese. ALAMANNI, Gir.
14, 11: «Quanto si vaglia II vostro re, per
prova ho ben raccolto ».
— 6. de le miglia più di diece. V, e. xvill,
86, n. 5.
^jòÒ
ORLANDO FURIOSO
Si venne ad incontrar con Rodomonte,
Ch'armato un piccol Nano e a pie seguia.
Il Moro alzò ver lei l'altiera fronte,
E bestemmiò l'eterna lerarchia.
Poi che si bel destrier, si bene ornato
Non avea in man d'un cavallier trovato.
34
Avea giurato che '1 primo cavallo
Tòrria per forza, che tra via incontrasse.
Or questo è stato il primo;etrovato hallo
Più bello e più per lui, che mai trovasse:
Ma tórlo a una donzella gli par fallo;
E pur agogna averlo, e in dubbio stasse.
Lo mira, lo contempla, e dice spesso:
Deh perché il suo Signor non è con esso!
35
Deh ci fosse egli! gli rispose Ippalca;
Che ti farla cangiar forse pensiero.
Assai più di te vai chi lo cavalca;
Né lo pareggia al mondo altro guerriero.
Chi è (le disse il Moro) che si calca
L'onore altrui? Rispose ella: Ruggiero.
E quel suggiunse : Adunque il destrier vo-
lgilo,
Poi ch'a Ruggier, si gran campion, lo to-
36 [glio.
Il qual, se sarà ver, come tu parli,
Che sia si forte, e più d'ogn'altro vaglia;
Non che il destrier ma la vettura darli
Converràmi, e in suo albitrio fiala taglia.
Che Rodomonte io sono, hai da narrarli,
E che, se pur vorrà meco battaglia.
Mi troverà; ch'ovunque io vada o stia,
Mi fa sempre apparir la luce mia.
37
Dovunque io vo, si gran vestigio resta,
33. 4. V. e. xviii, 36 e segg.
34. 4. pili per lui; più adatto per lui. Es-
sere, trovare, ecc. (anche sottint. come qui)
per uno, è modo comune e vivo per essere
adatto 2ì- u.
35.5. calca; calpesta, deprime col suo
valore. È significato affine a quel di Dante,
Jnf. 19, 105: «calcando i buoni e sollevando
i pravi ».
36. 3. vettura; la mercede per avere ado-
praio il cavallo suo; e questa mercede (la
taglia) sarà stabilita a suo arbitrio. La dice
taglia, perché sarebbe come il prezzo, che
Rod. pagherebbe per uscire libero dalle
mani di Ruggero.
— 4. Converràmi; converrammi. Cosi Dante
ha rifèmi, clièmi, per rifemmi, diemmu
É noto che nel linguaggio comune, quando
alle forme verbali ossitone si aggiunge una
particella pronominale, si raddoppia la con-
sonante di essa. — albitrio, per arbitrio è
forma non rara negli antichi; come scal-
pello per -scarpello.
37. 1-2. « Questi due versi, dice il severo
Che non lo lascia il fulmine maggiore.
Cosi dicendo, avea tornate in testa
Le redine dorate al corridore:
Sopra gli salta; e lacrimosa e mesta
Rimane Ippalca, e spinta dal dolore
Minaccia Rodomonte, e gli dice onta:
Non l'ascolta egli, e su pel poggio monta.
38
Per quella via dove lo guida il Nano
Per trovar Mandricardo e Doralice,
Gli vien Ippalca dietro di lontano,
E lo bestemmia sempre e maledice.
Ciò che di questo avvenne, altrove è piano.
Turpin, che tutta questa istoria dice.
Fa qui digresso, e torna in quel paese
Dove fu dianzi morto il Maganzese.
39
Dato avea a pena a quel loco le spalle
La figliuola d'Amon, ch'in fretta già,
Che v'arrivò Zerbin per altro calle
Con la fallace vecchia in compagnia :
E giacer vide il corpo ne la valle
Del cavallier, che non sa già chi sia ;
Ma, come quel ch'era cortese e pio,
Ebbe pietà del caso acerbo e rio.
40
Giaceva Pinabello in terra spento,
Versando il sangue per tante ferite.
Ch'esser dovean assai, se più di cento
Spade in sua morte si fossero unite.
Il cavallier di Scozia non fu lento
Per l'orme che di fresco eran scolpite
A porsi in avventura, se potea
Saper chi roniicidio fatto avea.
41
Et a Gabrina dice che l'aspette;
Che senza indugio a lei farà ritorno.
Ella presso al cadavere si mette,
E fissamente vi pon gli occhi intorno;
Perché, se cosa v'ha che le dilette.
Non vuol eh' un morto in vanpiù ne sia
[adorno,
Nisiely, vagliono tante pietre preziose finissi-
me quante parole contengono». Prog. ni, 76.
— 3. tornate in testa; rimesse sulla te-
sta. Siccome era portato a mano, le redini
eran giù dalla testa. Sulla forma redine v.
e. IX, 84, 1.
38. 6. Tnrpin. Turpino, s' intende, non di-
ce nulla di ciò. V. e. xiii, 40, n. 2.
— 8. Dove ecc. V. e. xxii, 97.
40. 3. esser dovean assai; che sarebbero
parse troppe, se ecc. Dante, Inf. 32, 90:
« si che se fossi vivo troppo fora ».
— 7. porsi in avventura; mettersi alla
prova, al cimento; me vi è di più l'idea di
cammino o viaggio intrapreso. Boccaccio,
Dee. nov. 7 : « Si mise in avventura di vo-
lerlo seguire». Cosi nel e. xxvi, 71. — se;
per vedere se. V. e. xix, 87, n. 6.
CANTO XXIII
501
Come colei che fu, tra l'altre note,
Quanto avara esser più feraina puote.
42
Se di portarne il furto ascosamente
Avesse avuto modo o alcuna speme,
La sopravesta fatta riccamente
Gli avrebbe tolta, e le bell'arme insieme.
Ma quel che può celarsi agevolmente,
Si piglia, e '1 resto fin al cor le preme.
Fra l'altre spoglie un bel cinto levonne,
E se ne legò i fianchi infra due gonne.
43
Poco dopo arrivò Zerbin ch'avea
Seguito in van di Bradamante i passi.
Perché trovò il sentier che si torcea
In molti rami eh' ivano alti e bassi:
E poco omai del giorno rimanea,
Né volea al buio star fra quelli sassi;
E per trovare albergo die le spalle
Con l'empia vecchia alla funesta valle.
44
Quindi presso a dna miglia ritrovaro
Un gran caste! che fu detto Altariva,
Dove per star la notte si ferniaro,
Che già a gran volo inverso il ciel saliva.
Non vi stér molto, ch'un lamento amaro
L'orecchie d'ogni parte lor feriva;
E veggon lacrimar da tutti gli occhi,
Come la cosa a tutto il popol tocchi.
45
Zerbino dimandonne, e gli fu detto
Che venut'era al cout'Anselmo avviso,
Che fra duo monti in un sentiero istretto
Giacca il suo figlio Pinabello ucciso.
Zerbin, per non ne dar di sé sospetto,
Di ciò si finge novo, e abbassa il viso.
Ma pensa ben, che senza dubbio sia
Quel ch'egli trovò morto in su la via.
46
Dopo non molto la bara funebre
Giunse, a splendor di torchi e di facelle.
Là dove fece le strida più crebre
Con un batter di man gire alle stelle,
E con più vena fuor de le palpebre
41.7. note; cattive qualità, peccati. Dan-
te, Purg. 11, 34: «Ben si dee loro aitar
lavar le note ».
— 8. Costruisci : che fu avara quanto
più puote esser femina.
48.6. le preme. V. e. XI,. 14, n. 4.
— 8. Infra dne g. ; cioè: sotto la prima
gonna, perché non si vedesse.
44. 8. a tutto il p. È il popolo, che abi-
■,tava nella borgata annessa al castello (e.
II, 41, n. 7). Zerbino avea preso alloggio in
essa, non nell' abitazione del signore, come
comunemente avveniva.
46. 3. crebre ; spesse. Latinismo usato già
da Dante, Par. 19, 69.
Le lacrime inondar per le mascelle:
Ma più de l'altre nubilose et atre
Era la faccia del misero patre.
47
Mentre apparecchio si facea solenne
Di grandi essequie e di funebri pompe,
.Secondo il modo et ordine che tenne
L'usanza antiqua e ch'ogni età corrompe;
Da parte del Signore un bando venne,
Che tosto il popular strepito rompe,
E promette gran premio a chi dia avviso
Chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso.
48
Di voce in voce, e d'una in altra orecchia
Il grido e '1 bando per la terra scorse.
Fin che l'udi la scelerata vecchia
Che di rabbia avanzò le tigri e l'orse ;
E quindi alla ruina s'apparecchia
Di Zerbino, o per l'odio che gli ha forse,
O per vantarsi pur, che sola priva
D'umanitade in uman corpo viva;
49
O fosse pur per guadagnarsi il premio:
A ritrovar n'andò quel Signor mesto;
E dopo un verisimil suo proemio.
Gli disse che Zerbin fatto avea questo :
E quel bel cinto si levò di gremio.
Che '1 miser padre a riconoscer presto,
Appresso il testimonio e tristo uffizio
De l'empia vecchia, ebbe per chiaro indi-
[zio.
— 6. inondar; scorrere in copia. Per que-
sto siguific. si cita soltauto l'A.
— 7. nabilose... atre: regolarm. dovrebbe
dire nubilosa et atra. Abbiamo qui il fe-
nomeno di attrazione, che abbiamo notato
altrove (xi, 27, 6; xxxvir, 113).
47. 2. essequie. È forma più vicina al la-
tino exequiae, come talvolta si ha essemiJlo
da exempluin.
— 3. il modo et ord. L'A. spesso, imitan-
do gli antichi, di due voci dello stesso pe-
riodo all' una dà V articolo all' altra Io to-
glie. Petr. son. ii, S2 : « Poi e' hai costumi
variati e '1 pelo ».
— 4. ogni età corrompe ; Il concetto è : il
tempo corrompe le antiche usanze. Qui dun-
que età vale, in generale, tempo che passa.
Cosi il Sannazzaro, Arcad. 39 : disse l' età
divoratrice.
48. 6. forse. È un dubbio dello scrittore :
Forse per l'odio che gli porta o pure (e. vi,
4, n. 7) per vantarsi ecc.
— 7. che sola priva ecc. ; che ella sia, di
essere la sola creatura umana senza pietà.
49. 5. di gremio; dal grembo, dai fianchi
(lat. gremium). È latinismo rarissimo. Nota
poi il significato nuovo che l'A. dà, per
estensione, a questa parola.
— 6. riconoscer ; riconoscerlo.
ORLAiroO FURIOSO
50
E lacrimando al elei leva le mani,
Che '1 figliuol non sarà senza vendetta.
Fa circundar l'albergo ai terrazzani:
Che tutto '1 popol s' è levato in fretta.
Zerbin che gli nimici aver lontani
Si crede, e questa ingiuria non aspetta,
Dal conte Anselmo, che si chiama offeso
Tanto da lui, nel primo sonno è preso :
51
E quella notte in tenebrosa parte
Incatenato, e in gravi ceppi messo.
Il sole ancor non ha le luci sparte,
Che l'ingiusto supplicio è già commesso:
Che nel loco medesimo si squarte.
Dove fu il mal e' hanno imputato ad esso.
Altra esamina in ciò non si facea:
Bastava che '1 Signor cosi credea.
52
Poi che l'altro matin la bella Aurora
L'aer seren fé' bianco e rosso e giallo.
Tutto '1 popol gridando: Mora, mora,
Vien per punir Zerbin del non suo fallo.
Lo sciocco vulgo l'accompagna fuora,
Senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo;
E '1 cavallier di Scozia a capo chino
Ne vien legato in su 'n piccol ronzino.
53
Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiuta.
Né lascia mai eh' in sua bontà si fida;
Tal difesa gli avea già proveduta.
Che non v'è dubbio più ch'oggi s'uccida.
Quivi Orlando arrivò, la cui venuta
Alla via del suo scampo gli fu guida.
Orlando giù nel pian vide la gente
Che traea a morte il cavallier dolente.
54
Era con lui quella fanciulla, quella
50. 1. leva le mani, che ; brachilogia, nella
quale bisogna sottintendere giurando che.
Cosi nel e. xvi, 32, 5, si sottintende ringra-
ziando.
51. 2. ceppi ; erano due arnesi di legno
per stringere i piedi. Le catene legavano
le mani.
— 3. le luci sparte; il plur. per il sing.
luce, lume, con riguardo ai raggi, che sono
le luci del sole.
— 4. commesso ; ordinato.
52. 1. l'altro; il vegnente. Significato no-
tevole di altro, che veramente indicherebbe
che vien dopo un 'mattino che lo prece-
de; invece qui è mattino che succede alla
notte. Cosi il Pulci, Morg. 7, 37 : « Né pri-
ma in oriente appare il sole L'altra mattina,
eh' e' si leva soso ».
53. 2. eh' in sna ecc. Il chi apostrofato
vedilo anche sopra nella st. 10, 8.
— 4. dnhbio ; pericolo. V. e. xxi, 42.
54.1. quella... quella: qui si imita l'an-
Che ritrovò ne la selvaggia grotta.
Del Re Galego la figlia Issabella,
In poter già de' malandrin condotta.
Poi che lasciato avea ne la procella
Del truculento mar la nave rotta:
Quella che più vicino al core avea
Questo Zerbin, che l'alma onde vivea.
55
Orlando se l'avea fatta compagna,
Poi che de la caverna la riscosse.
Quando costei li vide alla campagna,
iJomandò Orlando, chi la turba fosse.
Non so, diss'egli: e poi su la montagna
LascioUa, e verso il pian ratto si mosse :
Guardò Zerbino, et alla vista prima
Lo giudicò baron di molta stima.
56
E fattosegli appresso, domandollo
Per che cagione e dove il menin preso.
Levò il dolente cavalliero il collo,
E meglio avendo il Paladiuo inteso.
Rispose il vero; e cosi ben narroUo,
Che meritò dal Conte esser difeso.
Bene avea il Conte alle parole scorto
Ch'era innocente, e che moriva a torto.
57
E poi che 'ntese che commesso questo
Era dal conte Anselmo d'Altariva,
Fu certo ch'era torto manifesto;
Ch'altro da quel fellon mai non deriva.
Et oltre a ciò, l'uno era all'altro infesto
Per l'antiquissimo odio che bolliva
Tra il sangue di Maganza e di Chiarmonte ;
E tra lor eran morti e danni et onte.
58
Slegate il cavallier, gridò, canaglia,
Il Conte, a' masnadieri, o ch'io v'uccido.
Chi è costui che si gran colpi taglia?
damento dei racconti popolari. Il primo
quella si deve leggere come se dopo ci fos-
sero puntolini di reticenza e richiama va-
gamente il racconto del e. xiii; il secondo
lo richiama più determinatamente, quasi
supponendo che i lettori non si ricordino
quei fatti.
— 6. truculento; minaccioso. È epiteto
Catulliano; truculentuìn aequor; trucu-
lenta pelagi.
55. 2. la riscosse; la liberò. I vocabol.
non citano questo significato, o lo citano
assai confusamente.
58. 1-2. Nota le inversioni di questi due
versi: di tali contorsioni abbiamo parecchi
esempi nel Furioso.
— 3. SI gran colpi taglia ; fa COSÌ lo spac-
camonti ? Si cita, per questo modo, il solo
luogo dell' A. Ma è modo ispirato dal v'uc-
cido di Orlando, quasi dica : chi è che tira
tali colpi da uccidere cosi facilmente?
CANTO xxni
303
Rispose un che parer volle il più fido:
Se (li cera noi fussirao o di paglia,
E di fuoco egli, assai fora quel grido.
E venne contra il Paladin di Francia:
Orlando contra lui chinò la lancia.
59
La lucente armatura il Maganzese,
Che levata la notte avea a Zerbino,
E postasela in dosso, non difese
Contro l'aspro incontrar del Paladino.
Sopra la destra guancia il ferro prese:
L'elmo non passò già, per ch'era fino ;
Ma tanto fu de la percossa il crollo,
Che la vita gli tolse, e roppe il collo.
60
Tutto in un corso, senza tòr di resta
Lalancia, passò un altro in mezzo '1 petto:
Quivi lasciolla, e la mano ebbe presta
A. Durindana; e nel drappel pili stretto
A chi fece due parti de la testa,
A chi levò dal busto il capo netto;
Forò la gola a molti; e in un momento
N'uccise e messe in rotta più di cento.
61
Più del terzo n'ha morto, e '1 resto caccia
E taglia e fende e fiere e fora e tronca.
Chi lo scudo, e chi l'elmo che lo 'mpaccia,
E chi lascia lo spiedo e chi la ronca: [eia
Chi al lungo, chi al traverso il camin spac-
Altri s'appiatta in bosco, altri in spelonca.
Orlando, di pietà questo di privo,
A suo poter, non vuol lasciarne un vivo.
62
Di cento venti (che Turpin sottrasse
Il conto), ottanta ne perirò al meno.
— 4. il pili fido. Fido al suo signore; o
anche fidente in sé. Boccacc, Filoc. 2, 33G:
« Fidi (fidenti) che altro che il nostro onore
non sosterresti ».
— 6. assai fora; anche in tal caso sa-
rebbe esagerato un tal grido. V. sf. 40, 3.
59. 5. prese; colpi, colse. E comune anche
nell'uso pur col compi, ogg. lo prese.
— 7. crollo; Alcuni: la forza d. percoss.
Meglio: tanto fu, per la p., il crollo, che ecc.
60. 1. in un corso ; in una corsa. Corso
presso gli antichi è frequente quanto, e forse
più che eorsa.
61. 1-2. caccia, insegue; taglia fa a pezzi
con taglio netto; tro>ica, fa a pezzi mala-
cerando; fende, ferisce con larghe e pro-
fonde ferite ; fiere, con ferite più superfi-
ciali.
— 4. spiedo... ronca. V. e. XIII, 32.
— 5. spaccia; affretta. Non è registrato
in questo senso dai vocabolari.
62. 1. Sottrasse il e. ; fece il conto, fece
la sottrazione. É il subducere rationem
dei Latini. I vocabolari non citano questo
costrutto.
Orlando finalmente si ritrasse
Dove a Zerbin tremava il cor nel seno.
S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse
Non si potria contare in versi a pieno.
Se gli saria per onorar prostrato;
Ma si trovò sopra il ronzin legato.
63
Mentre ch'Orlando, poi che lo disciolse,
L'aiutava a ripor l'arme sue intorno.
Ch'ai capitan de la sbirraglia tolse,
Che per suo mal se n'era fatto adorno;
Zerbino gli occhi ad Issabella volse,
Che sopra il colle avea fatto soggiorno,
E poi che de la pugna vide il fine,
Portò le sue bellezze più vicine.
64
Quando apparir Zerbin si vide appresso
La donna che da lui fu amata tanto,
La bella donna che per falso messo
Credea sommersa, e n'ha più volte pianto ;
Com'un ghiaccio nel petto gli sia messo.
Sente dentro aggelarsi, e triemaalquanto ;
Ma tosto il freddo manca, et in quel loco
Tutto s'avvampa d'amoroso foco.
65
Di non tosto abbracciarla lo ritiene
La riverenza del Signor d'Anglante;
Perché si pensa, e senza dubbio tiene
Ch'Orlando sia de la donzella amante.
Cosi cadendo va di pene in pene,
E poco dura il gaudio ch'ebbe inante:
Il vederla d'altrui peggio sopporta.
Che non fé' quando udi ch'ella era morta.
66
E molto più gli duol che sia in podestà
Del cavalliero a cui cotanto debbe;
Perché volerla a lui levar né onesta
Né forse impresa facile sarebbe.
Nessuno altro da sé lassar con questa
— 4. tremava ecc. il poeta rimpiccolisce
l'animo di Zerbino per far risaltare la fi-
gura di Orlando.
— 7. onorar; sott. lo. V. C. I, 21, n. 7.
63. 4. per suo mal ; perché queste gli det-
tero animo d' andare contro Orlando.
64. 3. messo ; la notizia che ne avrà fatto
correre Odorico di Biscaglia. V. e. xiii, 29.
Qui r A. non tien conto della notizia data
a Zerbino da Gabrina (e. xx, 137-142), per-
ché, sebbene nel momento gli faccia forte
impressione, gli sembra poi cosi strana che
non la crede né possibile né vera.
— 7. In quel loco ; alcuni lo riferiscono
a dentro ; altri, meglio intendono : in quella
vece.
65. 3. tiene ; pensa, ritiene. È comune
nella letteratura e nell' uso.
66. 1. podestà; potestà; è già in Dante,
Inf. 6, 95.
304
ORLANDO FURIOSO
Preda partir senza ronior vorrebbe :
Ma verso il Conte il suo debito chiede
Che se lo lasci por sul collo il piede.
67
Giunsero taciturni ad una fonte.
Dove smontare, e fér qualche dimora.
Trassesi l'elmo il travagliato Conte,
Et a Zerbin lo fece trarre ancora.
Vede la donna il suo amatore in fronte,
E di subito gaudio si scolora;
Poi torna come fiore umido suole
Dopo gran pioggia all'apparir del sole:
68
E senza indugio e senza altro rispetto,
Corre al suo caro amante, e il collo abbrac-
E non può trar parola fuor del petto, [eia;
Ma di lacrime il sen bagna e la faccia.
Orlando attento all'amoroso affetto.
Senza che più chiarezza se gli faccia,
Vide a tutti gl'indizii manifesto [sto.
Ch'altri esser, che Zerbin, non potea que-
69
Come la voce aver potè Issabella,
Non bene asciutta ancor l'umida guancia,
Sol de la molta cortesia favella,
Che l'avea usata il Paladin di Francia.
Zerbino, che tenea questa donzella
Con la sua vita pare a una bilancia,
Si getta a' pie del Conte, e quello adora
Come a chi gli ha due vite date a un' ora.
— 6. romor; resistenza e rivolta. Si usa
comunemente per rivolta di più persone ;
ma, detto di una persona sola, è notevole
e non è citato dai vocabolari.
— 7. Costruisci : Ma il suo debito verso
il Conte richiede ecc.
— 8. lo; lo lasci, lasci Orlando porre a
sé (a lui Zerbino) il piede sul collo. Puoi an-
che intenderlo come complemento anticipa-
to e riferentesi a piede; il che è pure se-
condo lo stile dell' A. cfr. e. xxiv, 83, 5.
67. 1. ad una fonte. Nel canto xiv, 61, ha
detto invece che era un bel fiume. È un
piccolo peccato di memoria. La difesa del
Ruscelli non è che una sottigUezza, che non
vai la pena di riferire.
68. 1. altro ecc. ; altra considerazione,
che potesse trattenerla.
— 2. abbraccia. Sottint. gli. V. e. I, 21,
n. 7.
— 6. p. chiarezza, altra prova. Boccaccio,
Ameto 96 : « far del suo alto valore chia-
rezza vera al mondo » ; e Xinf. 7, 58: « co-
me molti libri fan chiarezza, (dan prova) ».
Per il siguific. di più cfr. e. xvii, 25, n. 4.
— 8. questo, questi. Petr., Tr. F. 13 :
« Questo (Omero) cantò gli errori e le fati-
che » ma nel sogg. questo per questi è as-
sai raro negli scrittori.
69.4. l'avea; le avea. V. e. vn, 35, n. 8.
70
Molti ringraziamenti e molte offerte
Erano per seguir tra i cavallierl,
Se non udiau sonar le vie coperte
Dagli arbori di frondi oscuri e neri.
Presti alle teste lor, ch'eran scoperte,
Posero gli elmi, e presero i destrieri:
Et ecco un cavalliero e una donzella
Lor sopravien, ch'a pena erano in sella.
71
Era questo guerrier quel Mandricardo
Che dietro Orlando in fretta si condusse
Per vendicar Alzirdo e Manilardo,
Che '1 Paladin con gran valor percusse :
Quantunque poi lo seguitò più tardo;
Che Doralice in suo poter ridusse,
La quale avea con un troncon di cerro
Tolta a cento guerrier carchi di ferro.
72
Non sapea il Saracin però che questo,
Ch'egli seguia, fosse il Signor d' Anglantc :
Ben n'avea indizio e segno manifesto
Ch'esser dovea gran cavalliero errante.
A lui mirò più ch'a Zerbino, e presto
Gli andò con gli occhi dal capo alle piante;
E i dati contrassegni ritrovando.
Disse : Tu se' colui ch'io vo cercando.
73
Sono ornai dieci giorni, gli soggiunse,
Che di cercar non lascio i tuo' vestigi:
Tanto la fama stimolommi e punse,
Che di te venne al campo di Parigi,
Quando a fatica un vivo sol vi giunse
Di mille che mandasti ai regni Stigi;
fj la strage contò, che da te venne
Sopra i Norizii e quei di Tremisenne.
74
Non fui, come lo seppi, a seguir lento,
E per vederti, e per provarti appresso:
E perché m'informai del guernimento
70. 4. di frondi ; alberi oscuri e neri per
le molte fronde. V. e. xii, 72, n. 4. Male il
Bolza lo accorda con oscuri e neri, che si
riferiscono ad alberi.
— 8. elle ; quando. Bocc. Nov. 77 : « Lo
scolare fu poco nella corte dimorato che
egli cominciò a sentir più freddo ». Ed è
vivo ancora nell' uso.
71. 1. Vedi il racconto al e. xiv, 32.
72. 2. Mandricardo conobbe che questo
guerriero era colui che avea ucciso Alzirdo
e Manilardo ; ma non sapeva che fosse Or-
lando.
73. 5. Quando ; poiché. V. e. I, 18, n. 3.
74. 1. segruir; è usato cosi assolutam. an-
che al e. II, 24; xtx, 4, e vale mettersi ite
carn'inino per tener dietro a uno.
— 2. appresso ; o dopo, O da vicino.
— i. guernimento; cioè della impresa,
CANTO XXIII
305
C'hai sopra l'arme, io so che tu sei desso
E se non l'avessi anco, e che fra cento
Per celarti da me ti fossi messo,
11 tuo fiero sembiante mi faria
Chiaramente veder ohe tu quel sia.
75
Non si può (gli rispose Orlando) dire
Che cavallier non sii d'alto valore;
Però che si magnanimo desire
Non mi credo albergasse in umil core.
Se '1 volermi veder ti fa venire,
Vo' che mi veggi dentro, come fuore:
Mi leverò questo elmo da le tempie,
Acciò eh' a punto il tuo desire adempie.
7G
Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia,
All'altro desiderio ancora attendi:
Resta ch'alia cagion tu satisfaccia,
Che fa che dietro questa via mi prendi;
Che veggi se '1 valor mio ai confaccia
A quel sembiante fier che si commendi.
Or su (disse il Pagano) al rimanente;
Ch'ai primo ho satisfatto interamente.
77
Il Conte tuttavia dal capo al piede
Va cercando il Pagan tutto con gli occhi:
Mira ambi i fianchi, indi l'arcion; né vede
Pender né qua né là mazze né stocchi.
Gli domanda di ch'arme si provede,
S'avvien che con la lancia in fallo tocchi.
Rispose quel: Non ne pigliar tu cura;
Cosi a molt' altri ho ancor fatto paura.
che era ricamata sulla cotta d'arme o so-
pravveste.
— 5. se... e che. V. e. iv, 60, n. 5.
— 8. sia. Il cong. indica la cosa non co»
me un fatto, ma come un pensiero di M.
75. 4. Non mi credo e. albergasse. Si può in-
tendere : xon credo che albergheràbbe, co-
me avesse per avrebbe nel canto xi, TO, 4;
e trovassi per troveresti xv, 101, 8; ma
qui piuttosto che il condizionale é preferi-
bile il vero congiuntivo ; l'intenderai; 7wn
credo che albergasse mai, che sia •■mai al-
bergato in un cuore vile.
— 8. a punto ; interamente in ogni sua
parte; cosi anche nel e. xxiv, 20. Questo si-
gnificato, che qui sembra il vero, non è ci-
tato chiaramente dai vocabolari. Comune-
mente si dice appuntino. — adempie, tu i
adempia. È seconda persona ; ma è forma i
rarissima, pur nella poesia. V. e. xxiv, 8,
n. 1. Per il senso e per la forma potrebbe
essere anche 1' persona.
76. 4. dietro ; lungo. V. e. vili, 35, n. 2.
— mi prendi; mi fermi, mi abbordi.
77.1. tuttavia; continuamente. Mentre M.
parla. Ori. continua a guardarlo; lo guarda
tuttavia.
78
Ho sacramento di non cinger spada
Fin ch'io non tolgo Durindana al Conte
ì!j cercando lo vo per ogni strada,
Acciò più d'una posta meco sconte
Lo giurai (se d'intenderlo t'aggrada)
Quando mi posi quest'elmo alla fronte
li qua! con tutte l'altr'arrae ch'io porto
tra d Ettòr, che già mill'anni è morto '
79
La spada sola manca alle buone arme-
Come rubata fu, non ti so dire.
Or che la porti il Paladino, pai-me-
E di qui vien ch'egli ha si grande ardire,
ben penso, se con lui posso accozzarme
Fargli il mal tolto ormai ristituire.
Cercolo ancor, che vendicar disio
Il famoso Agrican genitor mio.
80
Orlando a tradimento gli die morte-
Ben so che non potea farlo altrimente
11 Conte più non tacque, e gridò forte-
E tu, e qualunque il dice, se ne mente
Ma quel che cerchi, t'è venuto in sorte-
Io sono Orlando, e uccisil giustamente-
E questa è quella ^pada che tu cerchi, '
Che tua sarà, se con virtù la merchi.
81
Quantunque sia debitamente mia,
Tra noi per gentilezza si contenda:
I Ne voglio in questa pugna ch'ella sia
j Più tua che mia; ma a un arbore s'appen-
I Levala tu liberamente via, [da.
j S'avvien che tu m'uccida oche mi prenda.
78. I. sacramento ; giuramento. V. e. xiv
; 43, n. 4.
— 4. pili d'una posta ecc: espressione
presa dal giuoco, che propriamente vale ;
I diminuire più d' una di quelle somme, che
I si guadagnano per ogni partita dal vinci-
I tore; e figurat.; pagare e farsi pagare il
I fio di torti, che uno ha fatto e un altro ha
j ricevuto.
— 8. Era d'Ettor. V. e. XIV, 43. — già
I mill'a. ; già da m. a. V. e. i, 26, n. 8.
79, 7. che; perché.
80.4. se ne m. Formula comune nell'an-
tico linguaggio cavalleresco, per respingere
le ingiurie e sfidare il nemico. V. e. ii, 4
n. 1.
— 5. T. insorte; ciò che cerchi ti è toc-
cato in sorte. Petrarca, II, son. 87: «Quel
soave velo, Che per alto destin ti venne iu
sorte ».
— 8. merchi; acquisti. Petr. i, son. 158:
« Pur lacrime e sospiri e dolor merco ».
81. 4. a un arb. s' app. Anche l'elmo fu
attaccato già da Ori. a un albero quando
s' incontrò con Ferraù ; e. xii, 46. Confronta
i due episodi.
Aeiosto — Pai
20
306
ORLANDO FURIOSO
Cosi dicendo, Durindana prese,
E 'n mezzo il campo a un arbuscel l'appese.
82
Già l'un da l'altro è dipartito lunge,
Quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco:
Già l'uno contra l'altro il destrier punge,
Né de le lente redine gli è parco:
Già l'uno e l'altro di gran colpo aggiunge
Dove per l'elmo la veduta ha varco.
Parveuo l'aste, al rompersi, di gielo;
E in mille scheggie andar volando al cielo.
83 [zi;
L'una e l'altra asta è forza che si spez-
Ché non voglion piegarsi i cavallieri,
I cavallier che tornano coi pezzi
Che son restati appresso i calci interi.
Quelli che sempre tur nel ferro avvezzi,
Or, come duo villan per sdegno fieri
Nel partir acque o termini di prati,
Fan crudel zufla di duo pali armati.
84
Non stanno l'aste a quattro colpi salde,
E mancan nel furor di quella pugna.
Di qua e di là si fan l'ire più calde;
Né da ferir lor resta altro che pugna.
Schiodano piastre, e straccian maglie e
[falde,
82. 4. de le lente r. ecc., né risparmia di
allentare le redine per lasciarlo libero nel
corso.
— 5. aggiunge, giunge, colpisce. V. e. x,
104, 7; e per Va e. xvi, 2S, n. 3.
— 6. veduta ; Negli anticlii non raro per
i-istQ. Dante, Purg. 2, 25: « e quindi organa
poi Ciascun sentire insino alla veduta».
V. e. XXII, 68, 4.
— 7. Parveno, parvero. Tei-minazione po-
polare, viva ancora nel volgo Toscano.
83. J. appr. i calci ; vicino ai calci, cioè
dalla parte del calcio, col quale la lancia
si appoggia alla resta.
— 5. nel ferro avv. ; Sebbene più comune
il costrutto avvezzo a, è frequente e vivo
anche avvezzo in.
— 7. Nel partir ac. ; nella distribuzione
delle acque per la irrigazione artificiale : o
anche : nello stabilire ai confini le pendenze
in modo che uno non scarichi nei possessi
d' un altro le acque del proprio fondo. Pen-
sando all'irrigaz. artificiale, cosi in uso nel
Modenese, nel Reggiano e nel Ferrarese, è
più probabile la prima interpretaz. La com-
paraz. è imitata .da quella d'Omero, II. 12,
421 : « quale In poder, che comune abbia il
confine Fan due villan la pertica alla mano
Del limite baruffa... Cosi da' merli combat-
tean costoro » (Monti).
84. 1. a quattro e; quei tronconi di asta
non reggono neppure ai primi quattro col-
pi, ma subito si spezzano.
— 5. falde. Parte dell'armatura, fatta di
Par che la man, dove s'agrafiS, giugna.
Non desideri alcun, perché più vaglia,
Martel più grave o più dura tanaglia.
85
Come può il Saracin ritrovar sesto
Di finir con suo onore il fiero invito ?
Pazzia sarebbe il perder tempo in questo ;
Che nuoce al feritor più ch'ai ferito.
Andò alle strette l'uno e l'altro, e presto
Il Re pagano Orlando ebbe ghermito:
jLo stringe al petto; e crede far le prove
Che sopra Anteo fé' già il figlio! di Giove.
86
Lo piglia con molto impeto a traverso.
Quando lo spinge, e quando a sé lo tira;
Et è ne la gran colera si immerso,
Ch'ove resti la briglia poco mira.
Sta in sé raccolto Orlando, e ne va verso
Il suo vantaggio, e alla vittoria aspira:
Gli pon la cauta man sopra le ciglia
Del cavallo, e cader ne fa la briglia.
87
Il Saracino ogni poter vi mette.
Che lo soffoghi, o de l'arcion lo svella.
Negli urti il Conte haleginocchiastrette
Né in questa parte vuol piegar né inquella.
Per quel tirar che fa il Pagan, constrette
Le cingie son d'abandonar la sella.
lamine snodate o a scaglia, che ricopriva
le reni dell'uomo d'arme e scendeva sulle
parti di dietro e sulle cosce. V. e. xxx, 62.
— 7. alcun. È detto in generale: non vi
sia alcuno, che desideri, come più forte, ecc.
85. 1. ritroT. sesto ; ritrov, modo. È ma-
niera non citata dai vocabolari.
— 2. invito, sfida guerresca. Pulci, Morg.
8; 59 : « Che rifaceva col corno lo 'nvito ».
— 4. Che nuoce ecc. ; Perché colpendo
colle mani sulle armature, danneggia più
chi colpisce che chi è colpito. Il che può es-
sere anche relativo di questo : e forse in tal
modo è da intendere.
— 6. ebbe gherm., ghermì. V. e. iii, 14,
n. 4.
— 8. Ercole, figlio di Giove, combattendo
col gigante Anteo e non potendo vincerlo,
perché ogni volta che toccava la terra, sua
madre, ne riceveva nuove forze, lo sollevò
tra le braccia e lo soffocò.
86. 4, ove resti la br. ; non guardando se
il cavallo avvicini la testa ad Orlando e cosi
dandogli modo di far quello, che fece.
— 5. verso il 8. vant. Orlando sta stretto
alla sella (in sé raccolto) e mira a prender
vantaggio sufi' avversario.
87. 2. Che ; affinché. Boccaccio, Nov. 12 :
' guardava dintorno dove porre si potesse
che addosso non gli nevicasse ». V. e. xli,
78, 6.
— 6. cingie. V. c. I, 41, n. 1.
CANTO XXIIl
307
Orlando è in terra, e a pena sei conosce;
Ch' i piedi ha in staffa, e stringe ancor le
88 [cosce.
Con quel rumor ch'un sacco d'arme cade,
Risuona il Conte, come il campo tocca.
Il destrier e' ha la testa in libertade'.
Quello a chi tolto il freno era di bocca,
Non più mirando i boschi che le strade,
Con ruinoso corso si trabocca.
Spinto di qua e di là dal timor cieco ;
E Mandricardo se ne porta seco.
89
Doralice che vede la sua guida
Uscir del campo, e torlesi d'appresso,
E mal restarne senza si confida, [so.
Dietro, correndo, il suo ronzin gli hames-
II Pagan per orgoglio al destrier grida,
E con mani e con piedi il batte spesso;
E, come non sia bestia, lo minaccia
Perché si fermi, e tuttavia più il caccia.
90
La bestia ch'era spaventosa e poltra,
Senza guardarsi ai pie, corre a traverso.
— 7. sei conosce ; se ne accorge. La Cru-
sca cita questo es. con altri, dove conoscere
non è mai riflessivo ; e non rileva, come
dovrebbe, quest' uso notevole.
— 8. i piedi, ecc. Orlando, anche in ter-
ra, cavalca sempre la sella, che non è più
sul cavallo, vi è una punta di scherzo.
88. 4. a chi, a cui. V. e. ii, 20, n. 8; il ca-
vallo cioè di Mandricardo.
— 6. si trabocca; si volge a precipizio.
Nella forma riflessiva è rarissimo ; in que-
sto significato poi neppur si cita dai voca-
bolari.
89. 3. mal... si conf. ; non si assicura. V.
e. I, 57, n. 1. Confidarsi per assicurarsi
usò pure il Sannazzaro, Are. 191 : « Né con-
fidandomi di tornare più indietro ». Oggi si
dice comunemente fidarsi.
— 5. per orgoglio ; con org. Boccaccio,
Ninf. 4:1 : « parve che amore Per si gran
forza quell'arco tirasse ». Orgoglio, qui vale
certamente ira ; significato, che manca nei
vocabolari. — al dest. grida. V. st. 94, n. 8.
90. 1. spaventosa e poltra. Ve certo il ri-
cordo di Dante, Purg. 24, 135: «Come fan
bestie spaventate e poltre ». Né qui né in
Dante è ben chiaro il signific. di poltra.
Alcuni qui intendono poledra, indomita \
altri, meglio, paurosa. Quel di Dante i più
l'intendono tranquille; ma si vede che l'A.
non la pensava cosi, e con ragione, mi sem-
bra. Delle diverse etimologie, che si danno
di tal parola, la più persuasiva è quella del
Ménage dal lat. pullus, pulHtrus, timido
come un pulcino. — spaventosa, che facilm.
si spaventa. Grisone, Ordini di cavale 92:
•" Molte volte sarà un cavai timido e spa-
ventoso »; cosi pure altri scrittori. ;
Già corso avea tre miglia, e seguiva oltra,
S'un fosso a quel desir non era avverso;
Che, senza aver nel fondo o letto o coltra,
Ricevè l'uno e l'altro in sé riverso.
Die Mandricardo interra aspra percossa;
Né però si fiaccò né si roppe ossa.
91
Quivi si ferma il corridore al fine;
Ma non si può guidar, che non ha freno.
Il Tartaro lo tien preso nel crine,
E tutto è di furore e d'ira pieno.
Pensa, e non sa quel che di far destine.
Pongli la briglia del mio palafreno
(La donna gli dicea); che non è molto
11 mio feroce, o sia col freno o sciolto.
92
Al Saracin parca discortesia
La proferta accettar di Doralice;
Ma fren gli farà aver per altra via
Fortuna a' suoi disii molto fautrice.
Quivi Gabrina scelerata invia.
Che, poi che di Zerbin fu traditrice,
Fuggia, come la lupa che lontani
Oda venire i cacciatori e i cani.
93
Ella avea ancora indosso la gonnella,
E quei medesmi giovenili ornati
Che furo alla vezzosa damigella
Di Pinabel, per lei vestir, levati ;
Et aveà il palafreno anco di quella,
Dei buon del mondo, e degli avvantaggiati.
La vecchia sopra il Tartaro trovosse,
Ch'ancor non s'era accorta che vi fosse.
— 3. seguiva .. se non era; avrebbe segui-
to... se non fosse stato. V. e. v, 40, n. 8.
— 5. coltra. Forma antiquata per coltre
o meglio coltrice.
— 8. fiaccò... roppe. Il primo è più ge-
nerale del secondo, e si riferisce all' insie-
me delle ossa, mentre l' altro accenna alle
singole parti: non si fiaccò le ossa e non
se ne ruppe neppur uno.
91. 3. preso nel cr.; preso pel cr. V. e.
IV, 43, 1.
— 5. destine, destini, risolva. V. e. xiii,
10, n. 4.
92. 5. invia. 11 sogg. è la fortuna.
93. 6. degli avvantaggiati ; che han van-
taggio sugli altri. Qui sembra' voglia dire:
dei buoni del mondo, e dei migliori fra que-
sti buoni ; seppure non abbiamo queir ac-
cumulamento di aggettivi, di che al e. vii,
38, n. S. Boiardo, Jnn. I, ix, 5, dice, pur
d' un cavallo : « Che fu ben certo degli av-
vantaggiati ».
— 7. sopra il Tart. ; vicina a Mandricar-
do. Sopra in questo senso è frequente e
vivo.
— 8. Che, quando. V. st. 70, n. 8. — che
vi fosse, di esservi. V. e. i, 38, n. 6.
308
ORLANDO FURIOSO
94
L'abito giovenil mosse la figlia
Di Stordilauo, e Mandricardo a riso,
Vedendolo a colei che rassimiglia
A un babbuino, a un bertuccione in viso.
Disegna il Saracin tòrle la briglia
Pel suo destriero, e riusci l'avviso.
Toltogli il morso, il palafren minaccia,
Gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia.
95
Quel fugge per la selva, e seco porta
La quasi morta vecchia di paura
Per valli e monti, e per via dritta e torta,
Per fossi e per pendici alla ventura.
Ma il parlar di costei si non m'importa,
Ch'io non debba d'Orlando aver più cura,
Ch'alia sua sella ciò ch'era di guasto.
Tutto ben racconciò senza contrasto.
Rimontò sul destriero, e sté gran pezzo
A riguardar che '1 Saracin tornasse.
Noi vedendo apparir, volse da sezzo
Egli esser quel ch'a ritrovarlo andasse:
Ma, come costumato e bene avvezzo.
Non prima il Paladin quindi si trasse.
Che con dolce parlar grato e cortese
Buona licenzia dagli amanti prese.
97
Zerbin di quel partir molto si dolse:
Di tenerezza ne piangea Issabella:
Voleano ir seco, ma il Conte non volse
Lor compagnia, ben ch'era e buona e bella;
E con questa ragion se ne disciolse:
Ch'a guerrier non è infamia sopra quella
Che, quando cerchi un suo nimico, prenda
Compagno che l'aiuti e che '1 difenda.
^ 98
Li pregò poi che, quando il Saracino,
Prima ch'in lui, si riscontrasse in loro,
94. 4. babbuino ; scimmia cinocefala. I La-
tini avevano il proverbio; Simia in pur-
pura.
— 8. Gli grida; lo garrisce. La Crusca
cita in questo senso c/riflare addosso, in
testa, in capo ad uno, e non, come pur
dovrebbe, il solo gridare a uno.
96. 2. A riguardar che... tornasse; ad aspet-
tar che tornasse. Guardare e riguardare
hanno ano' oggi il senso di aspettare guar-
dando. Si dice per es. : che stai guardan-
do, che ti caschi la manna dal cielo? I vo-
cabolari non citano questo significato. Po-
trebbe anche intendersi il che per se, come
forse altrove nel Furioso, xx, 139, 3; e in
qualche altro scrittore. Pistole d'Ovio. 199:
« Avvegnaché io sia in dubbio ch'io ti pigli >.
— 3. da sezzo. V. e. xv[, 68, n. 8.
— 6-8. prima... che... prese. V. e. v, 26, n. 7.
97. 7. Che... prenda ; di prendere. V. e. i,
3», lì. 6.
Gli dicesser ch'Orlando avria vicino
Ancor tre giorni per quel tenitore:
Ma dopo, che sarebbe il suo camino
Verso le 'nsegne de i bei Gigli d'oro.
Per esser con l'esercito di Carlo,
Acciò, volendol, sappia onde chiamarlo.
99
Quelli promiser farlo volentieri,
E questa e ogn'altra cosa al suo comando.
Feron carain diverso i cavallieri,
Di qua Zerbino, e di là il conte Orlando,
Prima che pigli il Conte altri sentieri,
All'arbor tolse, e a sé ripose il brando;
E dove meglio col Pagan pensosse
Di potersi incontrare, il destrier mosse.
100
Lo strano corso che tenne il cavallo.
Del Saracin pel bosco senza via.
Fece ch'Orlando andò duo giorni in fallo.
Né lo trovò, né potè averne spia.
Giunse ad un rivo che parca cristallo,
Ne le cui sponde un bel pratel fìoria,
Di nativo color vago e dipinto,
E di molti e belli arbori distinto.
101
Il merigge facea grato l'orezzo
Al duro armento et al pastore ignudo;
Si che né Orlando sentia alcun ribrezzo.
Che la corazza avea, l'elmo e lo scudo.
Quivi egli entrò, per riposarvi, in mezzo ;
E v'ebbe travaglioso albergo e crudo,
E più, che dir si possa, empio soggiorno,
Quell'infelice e sfortunato giorno.
102
Volgendosi ivi intorno, vide scritti
Molti arbuscelli in su l'ombrosa riva.
Tosto che fermi v'ebbe gli occhi e fìtti,
Fu certo esser di man de la sua Diva.
98. 6. Verso le ins. ecc. V, e. I, 46, n. 8.
Vuol dire ; verso la Francia.
100. 4. spia; indizio. V. e. vii, M, n. 8.
— 7. nativo col. ; dei fiori che vi spunta-
vano naturalmente.
— 8. distinto, ornato ; dal lat. distinctus
dello stesso signilic.
101. 1. orezzo; rezzo (dal lat. aura, au-
ritium) venticello ; poi anche : luogo om-
broso rallegrato da venticello.
— 2. Al duro arm. ; all' armento, sebbene
indurito dalle intemperie e al pastore, seb-
bene quasi ignudo, era grata l'ombra in
tanto caldo.
— 3. Dice per ischerzo che neppure Ori.,
coperto com' era dall' armatura, sentiva, in
quell' ora meridiana, brividi di freddo. Né
per neppure, cfr. e. ii, 41, n. 4.
102. 4. Fu certo, ecc. Questo accorgimento
riesce un po' sorprendente, perché senza
ragione.
CANTO XXIII
309
Questo era un di quei lochi già descritti,
Ove sovente con Medor veniva
Da casa del pastore indi vicina
La bella donna del C'atai Regina.
103
Angelica e Medor con cento nodi
Legati insieme, e in cento lochi vede.
Quante lettere son, tanti son chiodi
Coi quali Amore il cor gli punge e fiede.
Va col pensier cercando in mille modi
Non creder quel ch'ai suo dispetto crede:
Ch'altra Angelica sia, creder si sforza,
Ch'abbia scritto il suo nome in quella scor-
104 [za.
Poi dice: Conosco io pur queste note:
Di tal' io n' ho tante vedute e lette.
Finger questo Medoro ella si puote:
Forse ch'a me questo cognome mette.
Con tali opinion dal ver remote
Usando fraude a sé medesmo, stette
Ne la speranza il mal contento Orlando,
Che si seppe a sé stesso ir procacciando.
105
Ma sempre più raccende e più rinuova,
Quanto spenger più cerca, il rio sospetto:
Come l'incauto augel che si ritrova
In ragna o in visco aver dato di petto,
Quanto più batte l'ale e più si prova
Di disbrigar, più vi si lega stretto.
Orlando viene ove s'incurva il monte
A guisa d'arco in su la chiara fonte.
106
Aveano in su l'entrata il luogo adorno
Coi piedi storti edere e viti erranti.
— 5. eia descritti. Nel canto xix, 35-3G.
— 7. Da casa d. p. Nota la differenza fra
i due modi da casa d. p. e dalla e. d. p.:
jl primo riguarda all'insieme della casa e
de" suoi abitatori, mentre l' altro accenne-
jebbe solo alla materialità della casa.
104. 4. cognome ; soprannome, in quanto
significa nomignolo. In questo senso si cita
soltanto l'es. dell' A.
— 8. si seppe... a sé st. Questo doppio
complemento usò pure l'A. nel e. xviii, 120,
6 e altrove ; né è alieno dallo stile popola-
re. Cfr. i modi «Che m'importa a me? A
lui non gli fa nulla ecc. ».
105. '■}. Questa comparazione è d'Ovidio,
Metam. xi, 73 : « Utque suum laqueis, quos
callidus abdidit auceps, Crus ubi commisit
volucris sensitque generi, Plaugitur ac tre-
pidans adstringit vincula motu ».
— 6. disbrigar; disbrigarsi. V. e. i, 21,
n. 7.
— 7. ove s' ine. il monte. V. e. xix, 35.
106. 2. Coi piedi storti. È del Poliziano,
Si. I, S3: «L'ellera va carpon co' pie di-
storti ».
Quivi solcano al più cocente giorno
Stare abbracciati i duo felici amanti.
V' aveano i nomi lor dentro e d'intorno,
Più che in altro dei luoghi circonstanti,
Scritti, qual con carbone equalcon gesso,
E qual con punte di coltelli impresso.
107
Il mesto Conte a pie quivi discese;
E vide in su l'entrata de la grotta
Parole assai, che di sua man distese
Medoro avea, che parean scritte allotta.
Del gran piacer che ne la grotta prese.
Questa sentenzia in versi avea ridotta.
Chefossecultainsuolinguaggio io penso-,
Et era ne la nostra tale il senso:
— 3. giorno, sole. Metonimia frequente
nei poeti.
107. 5. Del gr. p. ; per il gr. p. V. e. xin,
33, n. 3.
— 6. Q. sentenzia, queste parole. Dante,
Purg. 16 : « Or è fatto doppio (il dubbio)
Nella sentenza tua (nelle tue parole), che
mi fa certo ».
— 7. Che fosse eulta ecc. È uà luogo dif-
ficile. .\lcuni intendono scritta e suppon-
gono un errore di stampa per sculta; ma
la concordia delle tre edizioni curate dal-
l'A. e delle migliori ediz. antiche, esclude
ogni errore; né si capirebbe come il chia-
rissimo sculta avrebbe potuto cambiarsi
nell'oscuro e difficile eulta. Dunque la le-
zione è sicura. Ma neppure per il contesto
si poti'ebbe intendere scritta ; perché più
sotto r A. dice in modo certo e assoluto :
era scritta in Arabico. Lascerebbe qui co-
me incerto quello, che poi verrebbe a dire
come sicuro. Meglio dunque intendere : «io
credo che anche nel suo linguaggio fosse
elegante ed elaborata, come si può indovi-
nare dalla traduzione che segue ». Né si op-
ponga che Medoro era un povero fante e
d'oscura stirpe, perché già nel e. xviii,
18J, nell'invocazione della luna mostra molta
più cultura che non si richieda per fare
versi d' amore eleganti nella propria lingua.
Inoltre l'A. avea bisogno di sollevarlo nella
stima dei lettori, per poterne far poi un re
del Catai. Finalmente sembra che questo
verso tormentato voglia essere una con-
ferma, del precedente, quasi dicasi: era in
versi ; né ciò vi faccia meraviglia, che anzi
era in versi, io penso, anche eleganti, come
appare dal contenuto.
— 8. ne la nostra. Dovrebbe dire nel no-
stro. Nella prima ediz. era scritto : « Che
fosse scritta in la sua lingua penso » ; l'A.
cambiò il v. 7 e non l' s : fu svista ? o f u in-
tenzione d'introdurre una di quelle scon-
cordanze, che non sono rare negli antichi ?
Sacchetti, Sov. 207 : « abbiamo una reli-
310
ORLANDO FURIOSO
108
Liete piante, verdi erbe, limpide ^cque,
Spelunca opaca e di fredde ombre grata,
Dove la bella Angelica che nacque
Di Galafron, da molti in vano amata.
Spesso ne le mie braccia nuda giacque;
De la commodità che qui m' è data,
Io povero Medor ricompensarvi
D'altro non posso, che d'ognor lodarvi :
109
E di pregare ogni Signore amante,
E cavallieri e damigelle, e ognuna
Persona o paesana o viandante.
Che qui sua volontà meni o Fortuna;
Ch'airerbe,airombra,airantro,alrio,alle
Dica: Benigno abbiate e sole e luna, fpian-
E de le Ninfe il coro che proveggia [te
Che non conduca a voi pastor mai greggia.
110
Era scritto in Arabico, che '1 Conte
Intendea cosi ben, come Latino.
Fra molte lingue e molte ch'avea pronte.
Prontissima avea quella il Paladino;
E gli schivò più volte e danni et onte.
Che si trovò tra il popol Saracino.
Ma non si vanti, se già n'ebbe frutto;
Ch'un danno or n' ha, che può scontargli
111 [il tutto.
Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto
Quello infelice, e pur cercando in vano
Che non vi fosse quel che v'era scritto;
E sempre lo vedea più chiaro e piano :
Et ogni volta in mezzo il petto afflitto
Stringersi il cor sentia con fredda mano.
Rimase al fin con gli occhi e con la mente
Fissi nel sasso, al sasso indifferente.
quia... e queste sono li panni... le quali ecc.».
E neir A. vedi tale sconcordanza nel e. xiii,
•59, 3; IV, 18, 7.
108. 8. D'altro, ecc.; con altro; di per
con, nel compi, di mezzo, è assai frequente
negli antichi. Villani, 4, 25: « il quale com-
perarono di loro danari ».
110. 3. fra m. lingue, ecc. Già nell' antica
tradizione cavalleresca si attribuiva ad Or-
lando la conoscenza di molte lingue. Cosi
nella cronaca di Turpino si dice che sapeva
la lingua ispanica.
— 5. gli schivò; gli tenne lontani. V. e.
XI, 56, n. 6.
— 6. Che, quando. V. st. 70, 8 ; 93, 8 ; ma
qui il distacco riesce oscuro.
— 8. scontargli. Più comunem. fargli scon-
tare, fargli rimettere tutti i vantaggi avuti.
Cosi l'usò pure il Lasca, Cen. 1, 2: «una
beffa... che gli sconterebbe gran parte degli
avuti piaceri ».
111. 2. pur, sempre.
— 8. indifferente; non differente. L'usò
poi anche il Tasso, Ger. 1, 38; 9, 34.
112
Fu allora per uscir del sentimento :
Si tutto in preda del dolor si lassa.
Credete a chi n'ha fatto esperimento,
Che questo è '1 duol che tutti gli altri passa.
Caduto gli era sopra il petto il mento.
La fronte priva di baldanza, e bassa;
Né potè aver (che '1 duol l'occupò tanto)
Alle querele voce, o umore al pianto.
113
L'impetuosa doglia entro rimase.
Che volea tutta uscir con troppa fretta.
Cosi veggiàn restar l'acque nel vase.
Che largo il ventre e la bocca abbia stretta;
Che nel voltar che si fa in su la base.
L'umor che vorria uscir, tanto s'affretta,
E ne l'angusta via tanto s'intrica,
Ch'a goccia a goccia fuore esce a fatica.
114
Poi ritorna in sé alquanto, e pensa come
Possa esser che non sia la cosa vera :
Che voglia alcun cosi infamare il nome
De la sua Donna e crede e brama e spera,
0 gravar lui d'insopportabil some
Tanto di gelosia, che se ne pera;
Et abbia quel, sia chi si voglia stato,
Molto la man di lei bene imitato.
115
In cosi poca, in cosi debol speme
Sveglia gli spirti, e gli rifranca un poco;
Indi al suo Brigliadoro il dosso preme,
Dando già il sole alla sorella loco.
Non molto va, che da le vie supreme
Dei tetti uscir vede il vapor del fuoco.
Sente cani abbaiar, muggiare armento :
Viene alla villa, e piglia alloggiamento:
112. 7. potè. La Principe ha puote. V. e.
vili, 52, n. 4.
113. 5. che ; perché. Questa similitudine
è di Plinio il giovane (Epist. 4, 30); ma l'usa
per dare idea d'una strana fonte, che avea
veduta neir agro Comasco.
114. 5. 0 gravar, ecc. Costruisci : o gra-
var lui di some di gelosia tanto insopporta-
bili. Inversioni frequenti nell' A. V. st. 58, 1.
115. 4. Dando già, ecc. ; lasciando il sole
il luogo alla luna, cioè venendo la notte.
La luna però non era ancor sorta: cfr. st.
124, 3.
— 5. da le vie supr. Il Mazzoni, Difesa
di Dante i, 1, 37; pensò che l'A. accen-
nasse all' antico costume, che il fumo usciva
dalla parte più alta del tetto, dal comignolo.
Viro., egl. i : « Et jam summa procul viL-
larum culmina fumant ».
— 6. il vapor d. f. Cosi chiama il fumo
con espressione tìsicamente inesatta. È noto
che il fumo è formato di sostanze incom-
buste.
— 7. muggiare. V. c. i. II, n. 4.
CANTO XXIII
311
116
Languido smonta, e lascia Brigliadoro
A un discreto garzon che n'abbia cura.
Altri il disarma, altri gli sproni d'oro
Gli leva, altri a forbir va l'armatura.
Era questa la casa ove Medoro
Giacque ferito, e v'ebbe alta avventura.
Corcarsi Orlando e non cenar domanda,
Di dolor sazio e non d'altra vivanda.
117
Quanto più cerca ritrovar quiete,
Tanto ritrova più travaglio e pena;
Che de l'odiato scritto ogni parete.
Ogni uscio, ogni finestra vede piena.
Chieder ne vuol: poi tien le labra chete;
Che teme non si far troppo serena.
Troppo chiara la cosa che di nebbia
Cerca offuscar, perché men nuocer debbia.
118
Poco gli giova usar fraudo a sé stesso;
Che, senza domandarne, è chi ne parla.
Il pastor che lo vede cosi oppresso
Da sua tristizia e che vorria levarla,
L' istoria nota a sé, che dicea spesso
Di quei duo amanti a chi volea ascoltarla,
Ch'a molti dilettevole fu a udire,
GÌ' incominciò senza rispetto a dire:
119
Come esso a prieghi d'Angelica bella
Portato avea Medoro alla sua villa;
Ch'era ferito gravemente, e ch'ella
Curò la piaga, e in pochi di guarilla;
Ma che nel cor d'una maggior di quella
Lei feri Amor; e di poca scintilla
L'accese tanto e si cocente foco.
Che u'ardea tutta, e non trovava loco:
120
E senza aver rispetto ch'ella fusse
Figlia del maggior Re ch'abbia il Levante,
Da troppo amor constretta si condusse
A farsi moglie d'un povero fante.
116. 2. discreto, assennato.
— 6. T'ebbe. Può essere ve per dove, e
anche per vi, poiché l'A. usa spesso inter-
rompere il costrutto a subordinate con una
coordinata, secondo l'indole del linguaggio
popolare.
117. 6. non si far; non fare a sé, non ren-
dere a sé.
118. 4. levarla, (lat. levare) sollevarla. Dai
vocabolari non si cita questo significato.
— 8. senza rispetto ; senza riguardo, sen-
za considerazione alcuna degli effetti che il
racconto andava producendo in Ori.
119. 1. a prieghi; ai pr. V. c. ii, 15, n. 8.
120. 4. povero fante ; umile servo (di Dar-
dinello). Fante per servo anche nel e. xxvni,
56; e spesso negli antichi. Alcuno intende
fante per soldato come nel e. iii, 54, 6;
runa e l'altra iiitei'iu'elazione è possibile.
All'ultimo l'istoria si ridusse.
Che '1 pastor fé' portar la gemma inante, '
Ch'alia sua dipartenza, per mercede
Del buono albergo. Angelica gli diede.
121
Questa conclusion fu la secure
Che '1 capo a un colpo gli levò dal colio,
Poi che d'innumerabil battiture
Si vede il manigoldo Amor satollo.
Celar si studia Orlando il duolo; e pure
Quel gli fa forza e male asconder puollo:
Per lacrime e suspir da bocca e d'occhi
Convien, voglia o non voglia, al fin che
122 [scocchi.
Poi ch'allargare il freno al dolor puote
(Che resta solo, e senza altrui rispetto).
Giù dagli occhi rigando per le gote
Sparge un fiume di lacrime sul petto ;
Sospira e geme, e va con spesse ruote
Di qua di là tutto cercando il letto;
E più duro ch'un sasso, e più pungente .
Che se fosse d'urtica, se lo sente.
123
In tanto aspro travaglio gli soccorre
Che nel raedesmo letto in che giaceva,
L'ingrata donna venutasi a porre
Col suo drudo più volte esser doveva.
Non altrimenti or quella piuma abborre.
Né con minor prestezza se ne leva,
Che de l'erba il villau che s'era messo
Per chiuder gli occhi, e vegga il serpe ap-
[presso.
poiché in ogni modo l'A. volle che spic-
casse il contrasto fra la grandezza di An-
gelica e dei suoi pretendenti, e ruralità del
prediletto Medoro.
— 5. si ridusse che ; si ridusse al punto
che. Scorcio comunissimo nello stile popo-
lare. V. e. XXIV, 89, 7.
121. 1. secure (lat. securem) scure. Lati-
nismo usato, nel trecento, anche in prosa.
— 7. da bocca e d'occ. ; dalla b. e dagli
occhi. V'è l'omissione dell'art, tante volte
notata, e d' per da. V. e. v, 10, n. 5.
122. 2. senza a. risp. Non lo frenava la
cotisiderasìoìie deìV effetto che il suo pianto
avrebbe potuto produrre negli altri.
— 3. rigando p. 1. g. Costruisci e intendi :
sparge giù dagli occhi sul petto un fiume
di lacrime riganti (rigando) per le gote.
— 5. mote ; giravolte. In questo senso
non è citato finora dai vocabolari, ma lo
citerà certo la nuova Crusca.
123. 1. gli soccorre; gli viene in mente.
(È il lat. sziccurt^e)-e). Alberti, cap. 21 ;
« Fa' che ti soccorrano cose, che tu abbi
fatte dalla gioventudme tua.
— 7. il villan, ecc. Questa comparazione,
ripetuta nel e. xxxix, 32, è pure in Virgi-
lio, E7i. II, 370.
312
ORLANDO FURIOSO
124
Quel letto, quella casa, quel pastore
Immantinente in tant'odio gli casca,
Che, senza aspettar luna, o che l'albóre
Che va dinanzi al nuovo giorno, nasca.
Piglia l'arme e il destriero, et esce fuore
Per mezzo il bosco alla più oscura frasca ;
E quando poi gli è avviso d'esser solo.
Con gridi et urli apre le porte al duolo.
125
Di pianger mai, mai di gridar non resta;
Né la notte né '1 di si dà mai pace:
Fugge cittadi e borghi, e alla foresta
Sul terren duro al discoperto giace.
Di sé si maraviglia ch'abbia in testa
Una fontana d'acqua si vivace,
E come sospirar possa mai tanto:
E spesso dice a sé cosi nel pianto:
126
Queste non son più lacrime, che fuore
Stillo dagli occhi con si larga vena.
Non suppliron le lacrime al dolore ;
Finir, eh' a mezzo era il dolore a pena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
Fugge per quella via ch'agli occhi mena;
Et è quel che si versa, e trarrà insieme
E '1 dolore e la vita all'ore estreme.
127
Questi ch'indizio fan del mio tormento
Sospir non sono; né i sospir son tali.
Quelli hantriegua talora; io mai non sento
Che '1 petto mio men la sua pena esali.
Amor, che m'arde il cor, fa questo vento,
Mentre dibatte intorno al fuoco l'ali.
Amor, con che miracolo lo fai,
Che 'n fuoco il tenghi, e noi consumi mai?
126. Molti critici biasimano le sottigliez-
ze di queste tre stanze; solo il Cesareo
{N. A. 16 novembre 1900) ha sostenuto che
sono belle, perché sono vere ; e son vere,
perché ritraggono un fenomeno psichico
speciale air esaltazione prodotta da forti
dolori, e chiamato da alcuni inania delle
sottigliezze. Ciò che oggi la scienza ha di-
mostrato, l'A. avrebbe intravisto colla ge-
niale osservazione della natura. Ma tale
spiegazione non potrebbe darsi della st. 8,
né del xxx, 79, xxxii, 42, né d'altri luoghi,
dove ricorrono le stranezze d' una certa
poesia amorosa del tempo. Vien dunque la
tentazione di credere che anche qui, come
altrove, l'A. adopri, per una fina ironia,
questo linguaggio. Né mancano esempì, do-
ve l'A, mescola alle cose più serie un leg-
gero e velato scherzo. Oltre i citati vedi
e. XI, 43, 2; XIV, 121, 6, e questo stesso canto
si. 8, 3-4,
— 5. fuoco ; amoroso.
— 7. Et è qnel, ecc. : ed è appunto quello,
cioè il vitale umore, che si versa.
127. 8. tenghi; tenga. V. e. xvi, 86, n. 5.
128 [so:
Non son, non sono io quel chepaioin vi-
Quel ch'era Orlando è morto, et è sotterra:
La sua donna ingratissima l'ha ucciso:
Si, mancando di fé, gli ha fatto guerra.
10 son lo spirto suo da lui diviso.
Ch'in questo inferno tormentandosi erra.
Acciò con l'ombra sia, che sola avanza,
Esempio a chi in Amor pone speranza.
129
Pel bosco errò tutta la notte il Conte;
E allo spuntar della diurna fiamma
Lo tornò il suo destin sopra la fonte,
Dove Medoro insculse l'epigramma.
Veder l'ingiuria sua scritta nel monte
L'accese si, eh' in lui non restò dramma
Che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
Né più indugiò, che trasse il brando fuore.
130
Tagliò lo scritto e '1 sasso, e sin al cielo
A volo alzar fé' le minute schegge.
Infelice quell'antro, et ogni stelo
In cui Medoro e Angelica si legge!
Cosi restar quel di, ch'ombra né gielo
A pastor mai non daran più, né a gregge :
E quella fonte, già si chiara e pura,
Da cotanta ira fu poco sicura ;
131
Che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
Non cessò di gittar ne le bell'onde.
Fin che da sommo ad imo si turbolle,
Che non furo mai più chiare né monde ;
E stanco al fin, e al fin di sudor molle,
Poi che la lena vinta non risponde
Allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira.
Cade sul prato, e verso il ciel sospira,
132
Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,
E ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir cosi si serba.
Che '1 sole esce tre volte, e torna sotto.
Di crescer non cessò la pena acerba.
Che fuor del seuno al fin l'ebbe condotto.
11 quarto di da gran furor commosso
E maglie e piastre si stracciò di dosso.
133
Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo,
Lontan gli arnesi, e più lontau l'usbergo:
129. 4. insculse, (lat. insculpsit) ; scolpi.
È latinismo usato soltanto nel passato re-
moto e nel partic. passato. — epigramma.
Qui, come nel suo vero significato, vale
iscrizione (gr. epi, in ; grafo, scrivo).
130. 5. gielo, fresco, frescura. Si cita que-
sto solo es. dell' A.
131. 3. da sommo ad imo. È l'Oraziano «(/
Uno ad summum (Sat. 2, 3, 308) invertito.
132. 0. che; finché. V. e. xiii, 7, n. 4.
133. 2. gli arnesi. Nel primo significato
era tutta l'armatura difensiva, che copriva
CAMTO XXIII
313
L'arme sue tutte, in somma vi concludo,
Avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
L'ispido ventre, e tutto '1 petto e '1 tergo ;
E cominciò la gran follia, si orrenda.
Che de la più non sarà mai ch'intenda.
134
In tanta rabbia, in tanto furor venne,
Che rimase offuscato in ogni senso.
Di tòr la spada in man non gli sovvenne;
Che fatte avria rairabil cose, penso.
Ma né quella né scure né bipenne
Era bisogno al suo vigore immenso.
Quivi fé' ben de le sue prove eccelse;
Ch'un alto pino al primo crollo svelse:
il cavaliere. Il Tasso usò arnese per coraz-
za. Qui sono le diverse parti dell'armatura
difensiva: corazza, bracciali, guanti ecc.
— 8. de la pili, ecc. ; della maggiore,
d'una maggiore nessuno sentirà mai dire.
Più per maggiore, ma in locuzione diversa,
vedilo nei e. xiii, 3, 7 ; xvi, 17, 4 ; e nei cin-
que canti II, 22, 6: « Che con la più (fi-etta)
non van di Giove i strali». Il Nisielynota:
« Questa locuzione in greco forse potrebbe
stare, ma non in latino né in toscano ». —
L'impazzimento, anche per amore, è, nota
il Raina, cosa comune nei romanzi della
Tavola Rotonda. Da molti di questi l'A.
ha tolto elementi, e più dalla pazzia di Tri-
135
E svelse dopo il primo altri parecchi,
Come fosser finocchi, ebuli o aneti;
E fé' il simil di querce e d'olmi vecchi
Di faggi e d'orni e d' ilici e d'abeti.
Quel, ch'un uccellator che s'apparecchi
Il campo mondo, fa, per por le reti,
Dei giunchi e de le stoppie e de l'urtiche,
Facea de' cerri e d'altre piante antiche.
136
I pastor che sentito hanno il fracasso,
Lasciando il gregge sparso alla foresta,
Chi di qua, chi di là, tutti a gran passo
Vi vengon a veder che cosa è questa, [so
Ma son giunto aqnel segno ilquals'iopas-
Vi potria la mia istoria esser molesta;
Et io la vo' più tosto differire,
Che v'abbia per lunghezza a fastidire.
; stano, che si crede tradito da Isotta. Ma la
j trasformazione di questi elementi è pro-
! fonda e originale. Forse non fu casuale met-
I ter qui alla metà del poema l' impazzimento
d'Ori., che è il centro di tutta l'azione, Cfr.
j Zlmbim « La follia d'Orlando » in Studi di
letteratura ital.; e Nencioni « Le tre paz-
, zie » in Fanfulla della Dora. ISSI, n. 22-24.
I 135. 2. ebnli, aneti. L'ebulo è una specie
' di sambuco, l'aneto è poco differente dal
j finocchio.
I — 4. Ilici (lat. ilices) elei.
CANTO XXIV
Chi mette il pie su l'amorosa pania.
Cerchi ri trarlo, e non v'inveschi l'ale ;
Che non è in somma Amor se non insania,
A giudizio de' Savi universale:
E se ben come Orlando ognun non smania.
Suo furor mostra a qualch' altro segnale,
E quale è di pazzia seguo più espresso
Che, per altri voler, perder sé stesso?
o
, Varii gli effetti son, ma la pazzia
È tutt' una però, che li fa uscire.
1. 3. in somma; in conclusione. Cosi e.
XIX, 73.
— 8. Che ecc. Bembo , cans. 24. « Che
per cercare altrui perdo me stesso ». E l'A.
nella prima ediz., quasi ripetendo, aveva
scritto « Che per cercare altrui perder sé
stesso ».
2. 2. li fa nscire ; li produce. È modo no-
tevole non citato dai vocabolari.
Gli è come una gran selva, ove la via
Conviene a forza, a chi vi va, fallire:
Chi su chi giù, chi qua chi là travia.
Per concludere in somma, io vi vo' dire:
A chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena.
Si convengono i ceppi e la catena.
o
Ben mi si potria dir: Frate, tu vai
L'altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo ,
Io vi rispondo che comprendo assai.
Or che di mente ho lucido intervallo;
Et ho gran cura (e spero farlo ormai) •
Di riposarmi, e d'uscir fuor di ballo :
— 7. oltre 0. p. ; oltre le pene, che pro-
duce r amore stesso, merita d'esser legato
come un pazzo.
3. 1-2. Petrarca I, son. 67: «Ben si può
dire a me : Frate, tu vai Mostrando altrui
la via dove sovente Fosti smarrito, ed or
se' più che mai ■».
314
ORLANDO FURIOSO
Ma tosto far, come vorrei, noi posso;
Che '1 male è penetrato infin all'osso.
4
Signor, ne l'altro Canto io vi dicea
Che '1 forsennato e furioso Orlando
Trattesi l'arme e sparse al campo avea,
Squarciati i panni, via gittate il brando,
Svelte le piante, e risonar facea
I cavi sassi e l'alte selve; quando
Alcun pastori al suon trasse in quel lato
Lor stella, o qualche lor grave peccato.
5
Viste del pazzo l'incredibil prove
Poi pili d'appresso, e la possanzaestrenia,
Si voltan per fuggir, ma non sanno ove.
Si come avvien in subitana tema.
II pazzo dietro lor ratto si muove;
Uno ne piglia, e del capo lo scema
Con la facilità che torria alcuno
Da l'arbor pome, o vago fior dal pruno.
6
Per una gamba il grave tronco prese,
E quello usò per mazza adosso al resto.
In terra un paio addormentato stese,
Ch'ai novissimo dì forse fia desto:
Gli altri sgombrare subito il paese, [sto.
Ch'ebbono il piede e il buono avviso pre-
Non saria stato il pazzo al seguir lento,
Se non ch'era già volto al loro armento.
7 [pli.
Gli agricultori, accorti agli altru' esem-
Lascian nei campi aratri e marre e falci :
Chi monta su le case, e chi sui templi
(Poi che non son sicuri olmi né salci),
Onde l'orrenda furia si contempli, [ci,
Ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, acal-
Cavalli e buoi rompe, fraccassa e strug-
E ben è corridor chi da lui fugge. [gè;
8
Già potreste sentir come ribombe
L'alto rumor ne le propinque ville
— 7. Ma tosto ecc.; ma non posso farlo
cosi subito come vorrei.
4. 7. Alcun; V. e. X, 99, n. 5.
5. 7. che ; colla quale. V. e. i, 65, n. 5.
6. 4. novissimo di'; 1' ultimo giorno, il
giorno del giudizio universale — forse ; ad-
dormentato in modo che forse era morto.
. — 6. eh' ebb. il che è relat. di altri ; né è da
unire a subito; che ne verrebbe un peggior
senso : i quali ebbero sollecito il piede ecc.
— 8. Se non ch'era; V. e. xxi, 42, n. 5.
7. 5. Onde, ecc.; di dove si possa contem-
plare quel furore orrendo.
8. 1. ribombe; rimbombi. Sarebbe la
terminazione più vicina al latino (amem,
ames, ^.met) e la usarono non di rado gli
antichi, specialm. nella 1* coniug.; ma poi
per analogia anche nelle altre e in tutte e
tre le persone. V. e. xiii, 10, n. 3.
D'urli, e di corni, rusticane trombe, [le;
E più spesso che d'altro il suon di squil-
E con spuntoni et archi e spiedi e frombe
Veder dai monti sdrucciolarne mille;
Et altritanti andar da basso ad alto.
Per fare al pazzo un villanesco assalto.
9
Qual venir suol nel salso lito l'onda
Mossa da l'Austro ch'a principio scherza.
Che maggior de la prima è la seconda,
E con pili forza poi segue la terza;
Et ogni volta più l'umore abouda,
E ne l'arena più stende la sferza;
Tal conti'a Orlando l'empia turba cresce,
Che giù da balze scende e di valli esce.
10
Fece morir diece persone e diece.
Che senza ordine alcun gli andaro iu mano:
E questo chiaro esperimento fece.
Ch'era assai più sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,
Che lo fere e percuote il ferro in vano.
Al Conte il Re del ciel tal grazia diede.
Per porlo a guardia di sua santa Fede.
11
Era a periglio di morire Orlando,
Se fosse di morir stato capace.
Potea imparar ch'era a gittare il brando,
E poi voler senz' arme essere audace.
La turba già s'andava ritirando.
Vedendo ogni suo colpo uscir fallace.
Orlando, poi che più nessun l'attende.
Verso un borgo di case il camin prende.
12
Dentro non vi trovò piccol né grande,
Che '1 borgo ognun per tema avea lascia-
V erano in copia povere vivande, to.
Convenienti a un pastorale stato.
Senza il pane discerner da le glande.
Dal digiuno e da l'impeto cacciato.
— 3. rusticane tr. ; È apposizione dichia-
i*ativa di urli e corni.
— 4. il suon ecc. ; e potreste sentire co-
me rimbombi il suono di squille più spesso
che d' altri strumenti.
— 5. spuntoni; aste con luugo ferro qua-
drato o tondo. Non era arme da battaglia.
— 6. Veder. Dipende da potreste.
9. 1. Qual, ecc. Questa comparaz. l'ha
Catullo, carm. 64. 270, e Virgilio, En. 7,
528. Per i particolari 1' A. è più vicino a
Virgilio : « Fluctus uti primo coepit cum
albescere vento, PauUatim sese tollit mare
et altius undas Erigit, inde imo consurgit
ad aethera fundo ».
11. 3. ch'era; che cosa era, che cosa fosse,
avvenisse. — a gitt. v. e. iv, 14, n. 1.
— 6. uscir f. ; riuscir f. In questo senso
uscire non par citato da nessun vocabolario.
12. 5. glande. V. e. I, 41, n. 1.
CANTO XXIV
315
Le mani e il dente lasciò andar di botto
In quel che trovò prima, o crudo o cotto.
13
E quindi errando per tutto il paese.
Dava la caccia e agli uomini e alle fere;
E scorrendo pei boschi talor prese
I capri isnelli, e le damme leggiere:
Spesso con orsi e con cingiai contese,
E con man nude li pose a giacere;
E di lor carne con tutta la spoglia
Più volte il ventre empi con fiera voglia.
14
Di qua di là, di su di giù discorre
Per tutta Francia ; e un giorno a un ponte
[arriva,
Sotto cui largo e pieno d'acqua corre
Un fiume d' alta e di scoscesa riva.
Edificato accanto avea una torre
Che d' ognintorno e di lontan scopriva.
Quel che fé' quivi, avete altrove a udire;
Che di Zerbin mi convien prima dire.
15
Zerbin, da poi ch'Orlando fu partito,
Dimorò alquanto, e poi prese il sentiero
Che '1 Paladino inanzi gli avea trito,
E mosse a passo lento il suo destriero.
Non credo che duo miglia anco fosse ito.
Che trar vide legato un cavalliero
Sopra un picciol ronzino, e d'ogni Iato
La guardia aver d'un cavallier armato.
16
Zerbin questo prigion conobbe tosto
Che gli fu appresso, e cosi fé' Issabella.
Era Odorico il Biscaglin, che posto
Fu come lupo a guardia de l'agnella.
L'avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in confidargli la Donzella,
13. 4. capri ; capriuoli. V. e. vi, 22, n. 7.
— 6. li pose a giacere, li uccise. Berni,
Jnn. ir, VII, 11: « E solea de' pai- suoi porre
a giacere ».
— 7-8. L' antico romanzo francese rac-
conta di Tristano pazzo per Isotta che « egli
viveva di carne cruda, perché ogni giorno"
prendeva bestie qua e là e mangiava poi
la carne con tutto il cuoio » — spoglia per
pelle, cuoio, non è nei vocabolari.
14. 5. Edificato, ecc.; questo fiume aveva
appresso edificata una torre; sul fiume era
stata edificata una torre. Il participio è dun-
que usato come assolutamente. V. e. v, 58,
n. 5; IX, 32, n. 1; ma qui è molto notevole,
perché edificato è attributo di torre.
— 6. scopriya ; sottint. il paese. Cosi as-
solutamente senza complemeuto diretto, non
è registrato nei vocabolari.
15. 3. gli avea trito; gli avea battuto, se-
gnato. V. e. xii, 5i.
16. 3. Odorico ecc. V. e. xiii.
Sperando che la fede che nel resto [sto.
Sempre avea avuta, avesse ancora in que-
17
Come era a punto quella cosa stata,
Venia Issabella raccontando allotta:
Come nel palischermo fu salvata.
Prima ch'avesse il mar la nave rotta;
La forza che l'avea Odorico usata;
E come tratta poi fosse alla grotta.
Né giunt'era anco al fin di quel sermone,
Che trarre il malfattor vider prigione.
18
I duo ch'in mezzo avean preso Odorico,
D' Issabella notizia ebbeno vera;
E s'avvisaro esser di lei l'amico,
E 'I Signor lor, colui ch'appresso l'era;
Ma più, che ne lo scudo il segno antico ■
Vider dipinto di sua stirpe altiera:
E trovar, poi che guardar meglio al viso.
Che s'era al vero apposto il loro avviso.
19
Saltare a piedi, e con aperte braccia
Correndo se n'andar verso Zerbino, [eia,
E l'abbracciaro ove il maggior s'abbrac-
Col capo nudo, e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando l'uno e l'altro in faccia,
Vide esser l'un Corebo il Biscaglino,
Almonio l'altro, ch'egli avea mandati
Con Odorico in sul navilio armati.
■20
Almonio disse: Poi che piace a Dio
(La sua mercé) che sia Issabella teco,
Io posso ben comprender. Signor mio,
Che nulla cosa nuova ora t'arreco,
S'io vo' dir la cagion che questo rio
Fa che cosi legato vedi meco;
Che da costei, che più senti l'offesa,
A punto avrai tutta l'istoria intesa.
21
Come dal traditore io fui schernito
Quando da sé levommi, saper dei,
E come poi Corebo fu ferito,
Ch'a difender s'avea tolto costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito.
Né veduto né inteso fu da lei.
18. 2. notizia, conoscenza. V. e. vi, 9, n. I .
— ebbeno. Gli antichi usarono non di rado
questa forma di passato remoto della se-
conda coniug. É più popolare di ebbono e
vive ancora nella plebe Toscana. V. esempi
in N.vNNUcci, Aìial. crit., p. 194.
— 5. Ma pili che; ma più perché. V. e. i,
27, n. 8.
19. 1. Salt. a piedi; scesero da cavallo. È
modo non citato dai vocabolari.
— 3. ove il magg. s' abbr. È rinnovata
l'immagine dantesca, Purg. 7: « Ed abbrac-
cioUo, ove il minor s' appiglia ».
— 8. navilio, iiave.V. e. x, 44, n. 5.
316
ORLANDO FURIOSO
Che te l'abbia potuto riferire:
Di questa parte dunque io ti ve' dire.
22
Da la cittade al mar ratto io veniva
Con cavalli ch'in fretta avea trovati.
Sempre con gli occhi intenti s'io scopriva
Costor che molto a dietro eran restati.
Io vengo inanzi, io vengo in su la riva
Del mare, al luogo ove io gli aveà lasciati;
Io guardo, né di loro altro ritrovo,
Che ne l'arena alcun vestigio nuovo.
23
La pesta seguitai, che mi condusse
Nel bosco fìer, né molto adentro fui.
Che, dove il suon 1' orecchie mi percusse,
Giacere in terra ritrovai costui.
Gli domandai che de )a Donna fusse,
Che d'Odorico, e chi avea offeso lui.
10 me n'andai, poi che la cosa seppi,
11 traditor cercando per quei greppi.
24 [no
Molto aggirando vommi,eperquelgior-
Altro vestigio ritrovar non posso.
Dove giacca Corebò alfìn ritorno,
Che fatto appresso avea il terren si rosso.
Che poco più che vi facea soggiorno,
Gli saria stato di bisogno il fosso,
E i preti e i frati più per sotterrarlo,
Ch'i medici e che '1 letto per sanarlo.
25
Dal bosco alla città feci portallo,
E posi in casa d'un ostier mio amico,
Che fatto sano in poco termine hallo
Per cura et arte d'un chirurgo antico.
Poi d'arme proveduti e di cavallo
Corebo et io cercammo d'Odorico,
Ch'in corte del Re Alfonso di Biscaglia
Trovammo; e quivi fui seco a battaglia.
26
La giustizia del Re, che il loco franco
23. 2. fier, folto, selvaggio. Si citano so-
lamente cinque esempi dell'A.
— 4. Giacere... ritrovai; mi accorsi che
costui giaceva.
24. 5. poco pili che, ecc. V. e. vili, 10, n. 1.
— 6. fosso, fossa funebre. Non è citato
dai vocabol. in questo senso.
25. 1. portano, portarlo. V. e. il, 3, 4.
— 2. posi. Sottint. lo. V. e. i, 21, n. 7.
— 4. antico, vecchio e perciò pieno di
esperienza. Dante, Piirg. 9, l: « La concu-
bina di Titone antico ».
26. 1. loco franco, campo franco; cioè un
luogo, che i Signori concedevano nel loro
dominio ai cavalieri, per definirvi colle
armi le querele o questioni d'onore: e si
diceva franco, perché il Signore assicurava
r impunità ai combattenti per le conse-
guenze del duello, e li difendeva da ogni
estranea violenza.
'■ De la pugna mi diede, e la ragione,
Et oltre alla ragion la Fortuna anco.
Che spesso la vittoria, ove vuol, pone.
Mi giovar si, che di me potè manco
Il traditore; onde fu mio prigione.
Il Re, udito il gran fallo, mi concesse
Di poter farne quanto mi piacesse.
I 27
Non l'ho voluto uccider né lasciarlo,
1 Ma, come vedi, trarloti in catena;
Perchè vo' eh' a te stia di giudicarlo,
; Se morire o tener si deve in pena.
L'avere inteso ch'eri appresso a Carlo,
; E '1 desir di trovarti qui mi mena.
Ringrazio Dio che mi fa in questa parto,
Dove lo sperai meno, ora trovarte.
28
Riugraziolo anco, che la tua Issabella
Io veggo (e non so come) che teco hai;
Di cui, per opra del fellon, novella
Pensai che non avessi ad udir mai.
Zerbino ascolta Almonio, e non favella,
Fermando gli occhi in Odorico assai;
Non si per odio, come che gì' incresce
Ch'a si mal fin tanta amicizia gli esce.
29
Finito ch'ebbe Almonio il suo sermone,
Zerbin riman gran pezzo sbigottito.
Che chi d'ognaltro men n'avea cagione.
Si espressamente il possa aver tradito.
Ma poi che d'una lunga ammirazione
Fu, sospirando, finalmente uscito,
Al prigion domandò, se fosse vero
Quel eh' avea di lui detto il cavalliero.
— 2. e la ragione ; È soggetto, come la,
f/iustUia. L' aver ragione dava animo ai
cavalieri, i quali ritenevano il duello un
giudizio di Dio.
— 5. potè. La Principe ha puote. V. e.
vili, 52, n. 4,
— 7. udito il g. f. ; che avea già udito il
gr. f. Le ragioni del duello si esponevano
al signore prima di venire alle mani. Fi-
nito il duello, il Signore, che era anche giu-
dice del campo, dava la sentenza; nella
quale ritenendo, in seguito al giudizio di
Dio, giuste le ragioni del vincitore, lo met-
teva in possesso de' suoi diritti sul vinto ;
tra i quali principale era, in antico, il pos-
sesso del vinto stesso; più tardi invece si
dettero compensi -in oggetti e in danaro.
27. 4. morire ; Rileva dal contesto un de-
ve. — in pena ; in gastigo.
28. 7. come che; come perché. V. e. I, 27,
8 ; V, 16, 5 e passim.
— 8. esce, riesce per lui a si mal fine.
V. st. 11, n. 6.
29. 3. Che; sottint. pensando che ecc.
— 4. espressamente; manifestamente. Co-
si anche nel e. vi, 12, 1.
CANTO XXIV
317
30
Il dfsleal con le giuocchia in terra
Lasciò cadérsi, e disse: Signor mio,
Ognun che vive al mondo, pecca et erra:
Né difl'erisce in altro il buon dal rio,
8e non che l'uno è vinto ad ogni guerra
Che gli vien mossa da un piccol desio;
L'altro ricorre all'arme e si difende,
Ma se '1 nimico è forte, anco ei si rende.
31
Se tu m'avessi posto alla difesa
D'una tua rocca, e ch'ai primiero assalto
Alzate avessi, senza far contesa.
Degl'inimici le bandiere in alto;
Di viltà, o tradimento che più pesa,
Sugli occhi por mi si potria uno smalto:
Ma s'io cedessi a forza, son ben certo
Che biasmo non avrei, ma gloria e merto.
32
Sempre che l'inimico è pili possente.
Più chi perde accettabile ha la scusa.
Mia fé guardar dovea non altrimente
Ch'una fortezza d'ognintorno chiusa.
Cosi, con quanto senno e quanta mente
Da la somma Prudenzia m'era infusa,
lo mi sforzai guardarla; ma al fin vinto
Da intolerando assalto, ne fui spinto.
33
Cosi disse Odorico, e poi soggiunse,
Che saria lungo a ricontarvi il tutto,
Mostrando che gran stimolo lo punse,
E non per lieve sferza s'era indutto.
Se mai per prieghi ira di cor si emunse,
S' umiltà di parlar fece mai frutto.
Quivi far lo dovea ; che ciò che muova
Di cor durezza, ora Odorico trova.
34
Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta,
Tra il si Zerbino e il no resta confuso.
31. 1-2. Se... e che. V. e. iv, 60, n. 5.
— 6. Sugli occhi, ecc. Por su gli occhi
uno smalto di viltà è modo figurato per
apporre la taccia, accagionare di viltà.
Non bello (Casella).
32. 1. Sempre che... più; quanto più. Modo
notevole non citato dai vocabolari.
— 5. senno. . . mente. Senno è avvedi-
mento aiutato dalla esperienza e dal sape-
re; mente è avvedimento naturale.
— S. ne'fui spinto; ne fui cacciato. È si-
gnificato non registrato dai vocabolari.
33. 1-3. soggiunse... mostrando, continuò a
parlare... mosti*. Significato notevole non
citato dai vocabolari.
— 2. Che saria ecc. Questo verso è come
tra parentesi : poiché sarebbe lungo rife-
rirvi tutte le parole di Odorico.
— 5. si emanse, si tolse via. V. e. ili, 27,
n. S.
34. 1-2. L'andamento sintattico di questi
due versi è poco regolare. L'infinito è messo
Il vedere il demerito lo alletta
A far che sia il fellon di vita escluso:
Il ricordarsi l'amicizia stretta
Ch'era stata trar lor per si lungo uso.
Con l'acqua di pietà l'accesa rabbia
Nel cor gli spegne, e vuol che mercé n'ab-
35 [bla.
Mentre stava cosi Zerbino in forse
Di liberare, o di menar captivo,
0 pur il disleal dagli occhi torse
Per morte, o pur tenerlo in pena vivo;
Quivi rignando il palafreno corse
Che Mandricardo avea di briglia privo;
E vi portò la vecchia che vicino
A morte dianzi avea tratto Zerbino.
3G
Il palafren, ch'udito di lontano
Avea quest'altri, era tra lor venuto, -
E la vecchia portatavi, ch'in vano
Venia piangendo, e domandando aiuto.
Come Zerbin lei vide, alzò la mano
Al ciel che si benigno gli era suto,
Che datogli in arbitrio avea que' dui
Che soli odiati esser doveau da lui.
37
Zerbin fa ritener la mala vecchia.
Tanto che pensi quel che debba farne.
Tagliarle il naso e l'una e l'altra orecchia
Pensa, et esempio a' malfattori darne.
Poi gli par assai meglio, s'apparecchia
Un pasto agli avoltoi di quella carne.
Punizion diversa tra sé volve;
E cosi finalmente si risolve.
38
Si rivolta ai compagni, e dice: Io sono
Di lasciar vivo il disleal contento;
Che s'in tutto non merita perdono.
Non merita anco si crudel tormento.
Che viva, e che slegato sia gli dono.
Però ch'esser d'Amor la colpa sento;
E facilmente ogni scusa s'admette.
Quando in Amor la colpa si riflette.
39
Amore ha volto sottosopra spesso
Senno più saldo che non ha costui;
Et ha condotto a via maggiore eccesso
Di questo, ch'oltraggiato ha tutti nui.
Ad Odorico debbe esser rimesso:
là sospeso come argomento del dubbio e-
spresso nel verso seguente. Regolarmente:
Se debba pigliare ecc.
36. 3. portatavi. Rileva dal contesto un
avea^
— 6. snto; stato. V. e. v, 58, n. 8.
38. 4. Non... anco; né pure. V. e. xvi, 36,
n. 8.
— 7. admette ; ammette. Forma latina da
admittere.
39. 5. d. ess. rimesso ; questo eccesso.
318
ORLANDO FURIOSO
Punito esser debbo io che cieco fui ; [te
Cieco a dargliene impresa, e non pormen-
Che '1 foco arde la paglia facilmente.
40
Poi mirando Odorico: Io to' che sia
(Gli disse) del tuo error la penitenza,
Che la vecchia abbi un anno in compa-
Né di lasciarla mai ti sia licenza; [gnia,
Ma notte e giorno, ove tu vada o stia,
Un'ora mai non te ne trovi senza;
E fin a morte sia da te difesa
Contra ciascun che voglia farle offesa.
41
Vo', se da lei ti sarà comandato,
Che pigli contra ognun contesa e guerra:
Vo' in questo tempo, che tu sia ubligato
Tutta Francia cercar di terra in terra.
Cosi dicea Zerbin; che pel peccato
Meritando Odorico andar sotterra.
Questo era porgli inanzi un'alta fossa,
Che fia gran sorte che schivar la possa.
42
Tante donne, tanti uomini traditi
Avea la vecchia, e tanti offesi e tanti.
Che chi sarà con lei, non senza liti
Potrà passar de' cavallieri erranti.
Cosi di par saranno ambi puniti;
Ella de' suoi commessi errori inanti;
Egli di tome la difesa a torto,
Né molto potrà andar che non sia morto.
43
Di dover servar questo, Zerbin diede
Ad Odorico un giuramento forte,
Con patto che se mai rompe la fede,
E eh' inanzi gli capiti per sorte.
Senza udir prieghi e averne più mercede,
Lo debba far morir di cruda morte.
Ad Almonio e a Corebo poi rivolto.
Fece Zerbin che fu Odorico sciolto.
— 7. dargliene impr. ; dargli incarico di
questa cosa. Cosi nel e. xlv, 54, 7.
40. 4. t. s. licenza ; tu abbia licenza. É il
costrutto latino di essere per avere, cosi
amato dagli antichi e per vezzo anche dai
moderni. Giordani, Op. 2, 375: «Ora non è
tempo a me di produrre, ecc. ».
— 7. fin a morte, tìuo a morirne per di-
fenderla. V. e. XXII, 55, 5.
41. 5. Cosi die. Z. ; Zerbino dicea fra sé,
faceva questo ragionamento, che cioè, me-
ritando Odorico ecc., questo era porgli ecc.
— 8. Che fla, ecc. Il che è relativo di
fossa; abbiamo perciò il doppio comple-
mento secondo lo stile popolare. Cosi nei
e. xviii, 120, C; XXIII, 104, 8; xxiv, 83, 5, e
altrove.
42. 4. passar; andar. V. e. ii, 19, 1; vii,
25, 4.
— 5. di par; del pari.
43. 3-4. se... e che. V. c. iv, 60, n. 5.
44
Corebo, consentendo Almonio, sciolse
Il traditor al fin, ma non in fretta;
Ch'air uno e all'altro esser turbato dolse
Da si desiderata sua vendetta.
Quindi partissi il disleale, e tolse
In compagnia la vecchia maledetta.
Non si legge in Turpin che n' avvenisse;
Ma vidi già un autor che più ne scrisse.
45
Scrive l'autore, il cui nome mi taccio,
Che non furo lontani una giornata.
Che per torsi Odorico quello impaccio,
Contra ogni patto et ogni fede data.
Al collo di Gabrina gittò un laccio,
E che ad un olmo la lasciò impiccata;
E ch'indi a un anno (ma non dice il loco),
Almonio a lui fece il medesmo gioco.
46
Zerbin che dietro era venuto all'orma
Del Paladin, né perder la vorrebbe.
Manda a dar di sé nuove alla sua torma.
Che star senza gran dubbio non ne debbe:
Almonio manda, e di più cose informa,
Che lungo il tutto a ricontar sarebbe;
Almonio manda, e a lui Corebo appresso;
Né tien, fuor che Issabella, altri con esso.
47
Tant'era l'amor grande che Zerbino,
E non minor del suo quel che Issabella
Portava al virtuoso Paladino;
44. 3. turbato da; disturbato da. Citano
solo un es. del Segneri, Quar. 8, 3 ; non
questo dell' .\.
— 8. Ma vidi, ecc. Si capisce che è uno
scherzo. V. e. xiii, 40, n. 2. È però da av-
vertire che anche la vecchia di Apuleio
(cfr. e. XII, 92, n. 4) viene impiccata : « De
quodam ramo procerae cupressus induta
laqueum anus illa pendebat ».
46 3. alla s. torma; alla sua schiera, che
non si sa né come né quando abbia abban-
donato, mentre inseguiva il guerrier vil-
lano, che, contro la volontà di lui, colpi
Medoro. V. e. xix, 16; xx, 117.
— 4. Che. ecc. ; Che deve stare in grande
incertezza sulla sorte del suo condottiero.
— 5. informa; Intendi: per mezzo di lui
informa la sua schiera di più cose.
— 6. che; poiché. È dichiarazione del
pili, cose precedente ; quasi dica : ho detto
più cose, giacché sarebbe lungo dir tutto
partitamente.
— S. con esso; con sé. BOCCACCIO, Rim.
89: « Gabbaron non che altrui, ma essi
stessi ».
47. 1-3. Costruisci: Era tanto grande
Pam. che Z. portava al v. Pai., e quello,
non minor del suo, che gli portava Issab.,
che ecc.
CANTO XXIV
319
Tanto il desir d'intender la novella,
Ch'egli avesse trovato il Saracino
Che del destrier lo trasse con la sella;
Che non farà all'esercito ritorno,
Se non finito che sia il terzo giorno;
48
Il termine ch'Orlando aspettar disse
Il cavallier eh' ancor non porta spada.
Non è alcun luogo dove il Conte gisse.
Che Zerbin pel medesimo non vada.
Giunse al fin tra quegli arbori che scrisse
L'ingrata Donna, un poco fuor di strada;
E con la fonte e col vicino sasso
Tutti li ritrovò messi in fracasso.
49
Vede lontan non sa che luminoso,
E trova la corazza esser del Conte;
E trova l'elmo poi, non quel famoso [te;
Ch'armò già il capo all'Africano Almon-
II destrier ne la selva più nascoso
Sente a nitrire, e leva al suou la fronte;
E vede Brigliador pascer per l'erba,
Che dall' arcion pendente il freno serba.
50
Durindana cercò per la foresta,
E fuor la vide del fodero starse.
Trovò, ma in pezzi, ancor la sopravesta
Ch'in cento lochi il miser conte sparse.
Issabella e Zerbin con faccia mesta
Stanno mirando, e non san che pensarse:
Pensar potrian tutte le cose, eccetto
Che fosse Orlando fuor dell'intelletto.
51
Se di sangue vedessino una goccia,
Creder potrian che fosse stato morto.
Intanto lungo la corrente doccia
Vider venire un pastorello smorto.
Costui pur dianzi avea di su la roccia
L'alto furor de l'infelice scorto.
Come l'arme gittò, squarciossi i panni,
— 6. Che d. dest. V. e. xxiii, 87, 98.
48. 1. il termine, ecc. V. e. XXIII, 98.
— 5. che scrisse. Si può intendere ìiei
. Quali scrisse (cfr. e. xiii, 37, n. 5); e anche
i quali segnò con parole.
— 8. m. in fracasso ; fracassati. Nel e. i, 72, !
7, molare a fracasso; nel e. xxii, 23 far ,
fracasso; tutti modi nuovi formati dall'A. [
49. 3. Non q. famoso. Quello era stato preso
da Angelica e quindi da Ferraù. V. e. xii, i
43 segg. :
— 6. Sente a nitr. ; Regolarm. sente iti-
trire. È un costrutto dialettale, ancora in ■
uso nel settentrione d' Italia. . !
51. I. vedessino, vedessero. Forma popò- j
lare ancor viva nella plebe Toscana. j
— 3. la corr. doccia; il ruscello, presso il
quale impazzì Ori. cfr. e. xxiii, 105, 5. Dante
usò doccia per canaletto, dove corre l' ac-
qua; Inf. 14, 117. I
Pastori uccise, e fé' mill' altri danni.
52
Costui, richiesto da Zerbin, gli diede
Vera informazion di tutto questo.
Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;
E tuttavia n'ha indizio manifesto.
Sia come vuole, egli discende a piede,
Pien di pietade, lacrimoso e mesto;
E ricogliendo da diversa parte
Le reliquie ne va, ch'erano sparte.
53
Del palafren discende anco Issabella,
E va quell'arme riducendo insieme.
Ecco lor sopraviene una donzella
Dolente in vista, e di cor spesso geme.
Se mi domanda alcun, chi sia, perch'ella
Cosi s'affligge, e che dolor la preme;
Io gli risponderò che è Fiordiligi
Che de l'amante suo cerca i vestigi.
54
Da Brandimarte senza farle motto
Lasciata fu ne la città di Carlo,
Dov'ella l'aspettò sei mesi od otto;
E quando al fin non vide ritornarlo,
Da un mare all'altro si mise, fin sotto
Pirene e l'Alpe, e per tutto a cercarlo:
L'andò cercando in ogni parte, fuore
Ch'ai palazzo d'Atlante incantatore.
55
Se fosse stata a quell' ostel d'Atlante,
Veduto con Gradasso andare errando
L'avrebbe, con Ruggier,con Bradamaute,
E con Ferraù prima, e con Orlando.
Ma poi che cacciò Astolfo il Negromante
Col suon del corno orribile e mirando,
Brandimarte tornò verso Parigi;
Ma non sapea già questo Fiordiligi.
56
Come io vi dico, sopraggiunta a caso
A quei duo amanti Fiordiligi bella.
Conobbe l'arme, e Brigliador rimaso
Senza il patrone, e col freno alla sella.
Vide cogli occhi il miserabil caso,
E n'ebbe per udita anco novella;
Che similmente il pastorel narrolle
Aver veduto Orlando correr folle.
52. S. reliquie ; Qui ha un significato nuovo
dedotto dal latino relinquo ; ciò che avea
lasciato, cioè le armi e le vesti.
53. 5. Se mi dom. alo. V. la nota 1, e. i, 45.
— 7. Fiordiligi. V. e. vili, 90.
54. 3. sei mesi, ecc. Nel e. vili, 90 dice
che lo aspettò quasi un mese; è un piccolo
errore di memoria.
— 4. vide ritornarlo; lo vide ritornare.
V. e. i, 47, n. 6.
— 5. Da un m. all' a. ; dal mare di Pro-
venza a quel di Brettagna, traversando cosi
tutta la Francia.
320
ORLANDO FURIOSO
Quivi Zerbia tutte raguna l'arme,
E ne fa come un bel trofeo su 'n pino;
E volendo vietar che non se n'arme
Cavallier paesan né peregrino,
Scrive nel verde ceppo in breve carme:
Armatura d'Orlando Paladino;
Come volesse dir: Nessun la muova,
Che star non possa con Orlando a prova.
58
Finito ch'ebbe la lodevol opra,
Tornava a rimontar sul suo destriero ;
Et ecco Mandricardo arrivar sopra,
Che visto il pin di quelle spoglie altiero,
Lo priega che la cosa gli discuopra:
E quel gli narra, come ha inteso, il vero.
Allora il Re pagan lieto non bada,
Che viene al pino, e ne leva la spada.
59 [dere:
Dicendo: Alcun non me ne può ripren-
Non è pur oggi ch'io l'ho fatta mia,
Et il possesso giustamente prendere
Ne posso in ogni parte, ovunque sia.
Orlando che temea quella difendere,
S'ha finto pazzo, e l'ha gittata via;
Ma quando sua viltà pur cosi scusi.
Non debbe far ch'io mia ragion non usi.
60
Zerbino a lui gridava: Non la tórre,
O pensa non l'aver senza questione.
Se togliesti cosi l'arme d'Ettorre,
Tu l'hai di furto, pili che di ragione.
Senz'altro dir l'uu sopra l'altro corre,
D' animo e di virtù gran paragone.
Di cento colpi già rimbomba il suono;
57. 3. vietar che non. V. e. v, 53, n. 1.
— 5. carme, iscrizioue. Cosi nel e. xxxvi,
42, dove per sineddoche si ha il plurale. È
uso derivato dai Latini : VtRc. En. 3, 2S7 :
«et rem Carmine signo » e Egl. 5, 42: «tu-
mulo superaddite carmen ». Anche il Tasso,
Ger. 19, 63.
58. 3. arrivar sopra, soprarrivare a lui,
a Zerbino.
— 7, non bada; non aspetta. V. e. xii, 37,
n. 5.
— 8. Che. Può esser relat. di re pagan;
0 anche per giacché.
59. 2. Non è p. oggi ; non solo oggi ma fin
da quando superai gli ostacoli al castello
della fata di Soria. V. Innam. Ili, ii- E Fur.
XIV, 31, n. 4.
— 6. S'ha finto p. ; s'è fìnto p. V. For-
NACIARI, Sint. p. 150.
— 7. quando... pur; quand'anche.
60. 4. di furto... di rag.; in forza di un
furto non in forza di ragione. È un signi-
ficato comune nelle espressioni di diritto,
di ragione, di contrabbando, di prepo-
tenza, ecc.
— 6. gr. paragone. V. e. IV, 62, n. 5.
Né bene ancor ne la battaglia sono.
61
Di prestezza Zerbin pareXma fiamma
A tòrsi, ovunque Durindana cada.
Di qua di là saltar come una damma
Fa'! suo destrier, dove èmigliorla strada.
E ben convien che non ne perda dramma;
Ch'andrà, s'un tratto il coglie quella spa-
A ritrovar gl'innamorati spirti (da,
Ch'empion la selva degli ombrosi mirti.
6-2
Come il veloce can che '1 porco assalta,
Che fuor del gregge errar vegga nei campi,
Lo va aggirando, e quinci e quindi salta;
Ma quello attende ch'una volta inciampi:
Cosi, se vien la spada o bassa od alta.
Sta mirando Zerbin come ne scampi;
Come la vita e l'onor salvi a un tempo,
Tien sempre l'occhio, e fiere e fugge a tem-
63 [pò.
Da l'altra parte ovunque il Saracino
La fiera spada vibra o piena o vota,
Sembra fra due montagne un vento alpino
Ch'una frondosa selva il marzo scuota;
Ch'ora la caccia a terra a capo chino,
Or gli spezzati rami in aria i-uota.
Benché Zerbin più colpi e fuggia e schivi,
[rivi.
Non può schivar al fin, eh' un non gli ar-
64 [te
Non può schivare al fi ne un gran fenden-
Che tra '1 brando e lo scudo entra sul petto.
Grosso l'usbergo, e grossa parimente
Era la piastra, e '1 panziron perfetto:
61. 1. Di prestezza. È complemento di li-
mitazione. V. e. VII, 10, n. 6: Per, in pre-
stezza, Z. pare una f. a tòrsi ovunque, ecc.
— 5. non ne p. dramma; non perda pure
una piccolissima parte della migliore strada
per isfuggire ai ripetuti colpi. Dramma si
prende per piccolissima parte di qualsiasi
cosa, ma propriam. è misura di peso, l'ot-
tava parte dell' oncia.
— 8. la selva, ecc. Si allude alla selva
dei mirti nei campi Elisi, dove Virgilio,
En. 6, pone le anime degli amanti. Petr.,
Tr. am. i, 150: «gran parte Empion del
bosco degli ombrosi mirti ». Zerbino cam-
peggia nel poema come amante di Isabella.
62. 2. fuor d. gregge; fuor d. branco.
— 4. Ma q. attende, ecc. ; ma il cane at-
tende che il porco inciampi, perché non si
attenta ad assalirlo e cerca di stancarlo:
cosi Zerbino fa con Mandr.
63. 2. 0 piena o vota; o a pieno 0 a vuo-
to ; o colpendo o no.
— 7. fuggia ; fugga. Forma già usata da
Dante, Inf. 15, 6 : « perché '1 mar si fug-
64. 4. piastra; V. e. i, 17, n. 3.
panai-
CANTO XXIV
321
Pur non gli steron contra, et ugualmente
Alla spada crudel dieron ricetto.
Quella calò tagliando ciò che prese,
La corazza e l'arcion fin su l'arnese:
65
E 86 non che fu scarso il colpo alquanto,
Per mezzo lo fendea come una canna;
Ma penetra nel vivo a pena tanto.
Che poco più che la pelle gli danna.
La non profunda piaga è lunga quanto
Non si misureria con una spanna.
Le lucid'arme il caldo sangue irriga.
Per sino al pie, di rubiconda riga.
66
Cosi talora un bel purpureo nastro
Ho veduto partir tela d'argento
Da quella bianca man più ch'alabastro,
Da cui partire il cor spesso mi sento.
Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
Di guerra, et aver forza e più ardimento;
Che di finezza d'arme e di possanza
Il Ke di Tartaria troppo l'avanza.
rone, una parte dell' armatura che copriva
la pancia.
— 8. arnese. V. e. xvii, 101, n. 7.
65. 1. se non che, ecc. V. e. XXI, 42, n. 5.
— scarso, in lunghezza.
— 4. danna; offende, danneggia. Si cita
un esempio del Libro di Cato, 1, 2, 24: «Più
lievemente danna quello, che dinanzi è pre-
veduto (levius laedit quidquid praevidimus
ante) ».
66. 1. Cosi', ecc. Il Dolce, 1' Orologi e con
loro il Barotti e il Molini spiegano : Cosi
talora ho veduto un bel nastro porporino
legato per monile al polso della donna a-
raata partire, cioè distinguere dalla bianca
mano di lei la tela d' argento che le veste
il braccio. Altri seguono il Foi"nari, che
racconta come, essendo l'A. a Firenze, Ales-
sandra Benucci, donna del suo cuore, fu da
lui veduta ricamare le sopravvesti d' ar-
gento a liste purpuree per i suoi figliuoli;
■« il perché a lui prestò occasione d'accomo-
dare quella vaga comparazione della tela
argentea, distinta di rossi nastri, al sangue
che rigava la lucente armatura di Zerbino ».
Sia vera o immaginata tal circostanza, è
certo preferibile questa interpretazione per
chi pensi che, neh' altra, primo sarebbe
strano un monile di nastro ; secondo, il pa-
ragone zoppicherebbe, perché, mentre il
sangue listava la corazza, questo monile
segnerebbe invece una separazione fra la
carne e la tela d'argento ; terzo finalmente
una lista rossa lunga e dritta in un campo
argenteo mal si può rassomigliare a un cer-
chietto rosso, che cinge il polso. Quanto
alla prep. da che in questa seconda inter-
pret. deve intendersi come per, per ope-
67
Fu questo colpo del Pagan maggiore
In apparenza, che fosse in eff'etto;
Tal ch'Issabella se ne sente il core
Fendere in mezzo all'agghiacciato petto.
Zerbin pien d'ardimento e di valore
Tutto s'infiamma d'ira e di dispetto;
E quanto più ferire a due man puote.
In mezzo l'elmo il Tartaro percuote.
68
Quasi sul collo del destrier piegosse
Per l'aspra botta il Saracin superbo;
E quando l'elmo senza incanto fosse,
Partito il capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco differir ben vendicosse;
Né disse: A un'altra volta io te la serbo:
E la spada gli alzò verso l'elmetto.
Sperandosi tagliarlo infin al petto.
69
Zerbin, che tenea l'occhio ove lamento.
Presto il cavallo alla man destra volse;
Non si presto però, che la tagliente
Spada fuggisse, che lo scudo colse. [te,
Da sommo ad imo ella il parti egualmen-
E di sotto il braccial roppe e dlsclolse;
E lui feri nel braccio; e poi l'arnese
Spezzògli, e ne la coscia anco gli scese.
ra, per mezzo, confronta questo es. del
Boccaccio, Nov. Giorn. 1, fine : « discen-
deva in una valle ombrosa da molti alberi ».
Conferma questa interpret. il luogo d'Ome-
ro, da cui ha tolto ispirazione l' A. //. 4,
16S: «Come quando Meonia o Caria donna
Tinge d' ostro un avorio, onde fregiarne Di
superbo destriero le mascelle... Cosi di san-
gue imporporossi, Atride, La tua bell'anca
e per lo stinco all' imo Calcagno corse la
vermiglia riga ».
67. 7. ferire; percuotere. V. e. ii, 76, n. 3.
Percuote il Tartaro quanto più forte può
percuotere con due mani.
68. 3. fosse; fosse stato. Alcuni credono
che sia un vero passato dal latino fuisset
e confrontano quel di Dante, Inf. 26, 70 :
« Se non fosse il mal prete a cui mal prenda,
che mi rimise nelle prime colpe »; ma è più
probabile che qui e negli altri esempi sia
imperfetto e si abbia un trapasso brusco di
tempi come si trova in molti scrittori e come
tante volte abbiamo notato neh' A. V. e. i,
81, 3; vili, 52, 4; xxiv, 26, 5; iv, 80, 8;
xxxu, 84, 3 ; ecc.
— 8. Sperandosi. V. e. v, 20, n. 3.
69. 4. fuggisse, sfuggisse, evitasse.
— 5. ugualmente, in parti eguali.
— 6. E di sotto, ecc. e dalla parte di sotto
dello scudo tagliò il bracciale, che lo legava
al braccio.
— 7. arnese. V. sopra, st. 61, 3.
Akiosto — Papini
Ì99
ORLANDO FURIOSO
70
Zerbiu di qua di là cerca ogni via.
Né mai di quel che vuol, cosa gli avviene;
Che l'armatura sopra cui feria.
Un piccol segno pur non ne ritiene.
Da l'altra parte il Re di Tartaria
.Sopra Zerbino a tal vantaggio viene,
Che rha ferito in sette parti o in otto.
Tolto lo scudo, e mezzo l'elmo rotto.
71
Quel tuttavia piùvaperdendo il sangue;
Manca la forza, e ancor par che noi senta.
Il vigoroso cor che nulla langue,
Val si, che '1 debol corpo ne sostenta.
La Donna sua, per timor fatta esangue,
In tanto a Doraiice s'appresenta,
E la priega e le supplica per Dio,
Che partir voglia il fiero assalto e rio.
72
Cortese, come bella, Doraiice,
Né ben sicura come il fatto segua,
Fa volentier quel ch'Issabella dice, [gua.
E dispone il suo amante a pace e a trie-
Cosi a prieghi de l'altra l'ira ultrice
Di cor fugge a Zerbino e si dilegua;
Et egli, ove a lei par, piglia la strada,
Senza finir l'impresa de la spada.
73
Fiordiligi, che mal vede.difesa
La buona spada del misero Conte,
Tacita ducisi; e tanto le ne pesa,
Che d'ira piagne, e battesi la fronte.
Vorria aver Brandimarte a quella impre-
E se mai lo ritrova e gli lo conte, [sa;
Non crede poi che Mandricardo vada
Lunga stagion altier di quella spada.
74
Fiordiligi cercando pure in vano
Va Brandimarte suo matina e sera;
E fa carain da lui molto lontano,
Da lui che già tornato a Parigi era.
Tanto ella se n'andò per monte e piano,
Che giunse ove, al passar d'una riviera,
Vide e conobbe il miser Paladino;
Ma diciàn quel ch'avvenne di Zerbino:
75
Che '1 lasciar Durindana si gran fallo
Gli par, che più d'ogn' altro mal gl'incre-
[sce ;
Quantunque a pena star possa a cavallo
Pel molto sangue che gli è uscito et esce.
Or, poi che dopo non troppo intervallo
Cessa con l'ira il caldo, il dolor cresce:
Cresce il dolor si impetuosamente,
Che mancarsi la vita se ne sente.
76
I Per debolezza più non potea gire ;
Si che fermossi appresso una fontana.
! Non sa che far, né che si debba dire
Per aiutarlo la Donzella umana.
Sol di disagio lo vede morire;
Che quindi è troppo ogni città lontana,
i Dove in quel punto al medico ricorra,
Che per pietade o premio gli soccorra.
77
Ella non sa, se non in van dolersi,
Chiamar fortuna e il cielo empio e crudele.
Perché, ahi lassa ! (dicea) non mi .sommer-
Quando levai ne l'Ocean le vele? [si
Zerbin che i languidi occhi ha in lei con-
sente pili doglia ch'ella si querele, [versi,.
Che de la passìou tenace e forte
Che l'ha condutto omai vicino a morte.
78
Cosi, cor mio, vogliate (le diceva),
Dopo ch'io sarò morto, amarmi ancora^
70. 6. a tal v. viene; arriva adayeretal
vantaggio sopra Zerb.
71. 3. nulla, per nulla. V. e. xi, 51, n. 1.
— 4. ne ; É pleonasmo.
— 7. le supplica. Dice il Tommaseo che
supplicare a uno dice T atto umile esterno,
o almeno supplicazione più intensa. Si sup-
plica a Dio, si supplica uìi principe, un
padre. Ma la distinzione, che qui ha valore,
non è sempre osservata.
72. 2. Né ben sicura ecc. Né ben sicura
come possa andare a Unire ; temendo che
possa aver la peggio Mandricardo.
— 5. a prieghi, ai pr. V. e. il, 15, n. 8.
— 8. r impresa d. 1. s.; il combattimento
per la spada d' Ori.
— 73. 6. ritrova... conte. Nota la finezza
di questo congiunt. L' indicai, ritrova dice
la ferma speranza di ritrovarlo, il coug.
conte accenna al dubbio se gli rivelerà l'ac-
caduto, per non esporlo a nuovi pericoli.
74. 8. diciàn ; diciani. V. e. ix, 43, n. 8.
75. 1. Che, ecc. È uno di quei cfie, che il
popolo mette là vagamente senza riferi-
mento sintattico determinato, ma che nel-
l'intenzione sono relativi. Qui dunque si ri-
ferisce a Zerbino: che. .. gli = al quale.
Vedine un simile nel xx, 63, 7.
76. — La situazione e alcuni particolari
son tolti dall' episodio di Piramo e Tisbe
(Ovidio, Metani, iv, 54) e da quello di Iroldo
e Tisbina {Innamorato, I, xii, 51 segg.). IL
Boiardo fu il primo ad attingere a fonte
latina.
— 5. Sol di dis. ecc. Ecco solo ciò che
fa : sta a vederlo morire.
— 7. in quel punto; in quel frangente,
in quel momento.
77. 7. passion ; patimenti, sofferenze. Cosi
dicesi : la ^jassione di Nostro Signore.
78. 1. Cobi... vogliate... come, ecc. Cosi
duri in voi nel futuro l'amore per me, come
adesso addolora me il lasciarvi ecc.
CANTO XXIV
323
Come solo il lasciarvi è che m'aggreva
Qui senza guida e non già perch'io mora:
Che se in sicura parte m'accadeva
Finir de la mia vita l'ultima ora.
Lieto e contento e fortunato a pieno
Morto sarei, poi ch'io vi moro in seno.
79
Ma poi che '1 mio destino iniquo e duro
Vuoi ch'io vi lasci, e non so in man di cui ;
Per questa bocca, e per questi occhi giuro,
Per queste chiome onde allacciato fui,
Che disperato nel profondo oscuro
Vo de lo 'nferno, ove il pensar di vui
, Ch'abbia cosi lasciata, assai più ria
! Sara d'ogn' altra pena che vi sia.
80
A questo la mestissima Issabella,
Declinando la faccia lacrimosa
E congiungendo la sua bocca a quella
Di Zerbin, languidetta come rosa,
Rosa non colta in sua stagion, si ch'ella
Impallidisca in su la siepe ombrosa.
Disse: Non vi pensate già, mia vita,
Far senza me quest'ultima partita.
81
Di ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi;
Ch'io vo' seguirvi o in cielo o ne lo 'nferno.
Convien che l'uno e l'altro spirto scocchi,
Insieme vada, insieme stia in eterno.
Non si tosto vedrò chiudervi gli occhi,
O che m'ucciderà il dolore interno,
O se quel non può tanto, io vi prometto
Con questa spada oggi passarmi il petto.
De corpi nostri ho ancor non poca spe-
Che me' morti, che vivi abbian ventura.
— 3. m'aggrera, mi fa dispiacere. V. e.
I, 26, n. 7.
— 4. perché io mora ; che io m. Dante,
Purg. 6, SS : « Che vai perchè ti raccon-
ciasse il freno ecc. ».
79. 4. onde allacciato f. ; preso nei lacci
d' amore.
— 5. disperato ; giuro che io sono dispe-
rato, e come tale andrò all' inferno.
— 7. Ch' abbia. Per questo congiuut. cfr.
e. XXIII, 25, u. 4.
80. ó. in 8. stagion; non colta a suo tempo,
nel tempo opportuno, sicché si lasci trapas-
sare sulla pianta. Stagione significa spesso
tempo, nel quale le cose sono nella loro
perfezione. Ariosto, Lena, 2, 3 : « Or che
l'arrosto è in stagion vieni andiamone A
mangiar >.
81. 3. scocchi, parta dal nostro corpo come
freccia scocca dall' arco. Qui non v' è che
r idea di partire.
— 6. 0 che ; V. e. IV, 35, n. 5.
82. 2. ma'; meglio. Dante, Inf. 2, 36: «Se'
savio e intendi me' eh' io non ragiono ».
Qui forse alcun capiterà, chMnsierae,
Mosso a pietà, darà lor sepoltura.
Cosi dicendo, le reliquie estreme
De lo spirto vital che morte fura,
Va ricogliendo con le labra meste,
Fin ch'una minima aura ve ne reste.
83
Zerbin la debol voce riforzando,
Disse: Io vi priego e supplico, mia Diva,
Per quello amor che mi mostraste, quando
Per me lasciaste la paterna riva;
E se comandar posso, io vel comando,
Che, fin che piaccia a Dio, restiate viva;
Né mai per caso pogniate in oblio, [io.
Che, quanto amar si può, v' abbia amato
84
Dio vi provederà d'aiuto forse,
Per liberarvi d'ogni atto villano.
Come fé' quando alla spelonca torse,
Per indi trarvi, il Senator Romano.
Cosi (la sua mercé) già vi soccorse
Nel mare, e contra il Biscaglin profano:
E se pure avverrà che poi si deggia
Morire, allora il minor mal s'eleggia.
85
Non credo che quest'ultime parole
Potesse esprimer si, che fosse inteso;
E fini come il debol lume suole.
Cui cera manchi od altro in che sia acceso.
Chi potrà dire a pien come si duole,
Poi che si vede pallido e disteso.
La giovanotta, e freddo come ghiaccio
Il suo caro Zerbin restare in braccio?
— 7. Va rie. ViRG. , En. i, 084, fa dire
ad Anna, che sta su Didone morente : « extre-
mus siquis super halitus errat Orelegam ».
83. 2. diva. Cosi nel e. xii, 29, 4 : e dea
nel e. XII, 6, 3.
— 4. riva. V. e. XIII, 13, 7.
— 7. pogniate. È notevole che nella pri-
ma ediz. si aveva la iorma. poniate , che poi
r A. cambiò con questa, la quale sa più
d' antico.
— 8. t' abbia. Per il cong. cfr. e. xxiii,
25, n. 4.
84. 2. d' ogni ecc. ; da ogni ecc. V. e. v,
10, n. 5.
— 3. torse il Senator R. ; piegò, rivolse
Orlando. V. e. ix, 8S, n. 3.
— 6. profano ; (lat. profanus), empio.
Cosi Dante, Inf. 6, 21 : « Volgonsi spesso i
miseri profani ».
— S. il minor m. ecc.; moinre piuttosto,
che sopportare qualche atto villano. Cosi
l'A. prepara alla morte d'Isabella.
85. 3. E fini come, ecc. Petr., Trionf.
Morte, I, 163: « A guisa d'un soave e chia-
ro lume. Cui nutrimento a poco a poco
manca ».
324
ORLANDO FURIOSO
86
Sopra il sanguigno corpo s'abbandona,
E di copiose lacrime lo bagna;
E stride si, ch'intorno ne risuona
A molte miglia il bosco e la campagna.
Né alle guancie né al petto si perdona,
Che l'uno e l'altro non percuota e fragna;
E straccia a torto l'auree crespe chiome.
Chiamando sempre in vau l'amato nome.
87
In tanta rabbia, in tal furor sommersa
L'avea la doglia sua, che facilmente
Avria la spada in sé stessa conversa.
Poco al suo amante in questo ubidiente;
S'uno Eremita ch'alia fresca e tersa
Fonte avea usanza di tornar sovente
Da la sua quindi non lontana cella.
Non s'opponea, venendo, al voler d'ella.
88
Il venerabile uom, ch'alta boutade
Avea congiunta a naturai prudenzia.
Et era tutto pien di caritade,
Di buoni esempi ornato e d'eloquenzia,
Alla giovan dolente persuade
Con ragioni efficaci pazienza;
Et inanzi le pon, come uno specchio,
Donnedel Testamento e nuovo e vecchio.
89
Poi le fece veder, come non fusse
Alcun, se non in Dio, vero contento, '
E ch'eran l'altre transitorie e flusse
Speranze umane, e di poco momento;
E tanto seppe dir, che la ridusse '
Da quel crudele et ostinato intento.
Che la vita sequente ebbe disio
Tutta al servigio dedicar di Dio.
90 [unque
Non che lasciar del suo Signor voglia
Né '1 grand'amor, né le reliquie morte:
Convien che l'abbia ovunque stia, etovun-
_ [que
86. 1. abbandona. Questa parola è scritta
dall' A. con uno o con due b indififerente-
mente. — sangnigno, insanguinato.
— 7. a torto, ingiustamente.
87. 8. d' ella; di lei. V. e. i, 75, n. 5. .
88. 7. pon: cosile ediz. del '16 e del '21;
quella invece del '32 ha puon, certo per er-
rore, che il Morali avrebbe dovuto correg-
gere. La dittongazione avviene nelle vocali
accentate, che nell'etimo latino erano brevi;
mentre Vo di ponere è lungo.
89. 3, 1' altre. . . speranze. É distacco for-
zato. — fluBse; passeggere (lat. fluxae).
BocCACC. Conwn. 1, 93 : « la labile e flussa
condizione delle cose ».
— 5. la ridusse... che; la ridusse al pun-
to... che. V. e. xxiii, 120, 5.
90. 1. nnqne, mai. È frequente negli an-
tichi anche in prosa ; e pur nella forma
unqua (lat. unquam). V. e. xx, 133.
Vada, e che seco e notte e di le porte.
Quindi aiutando l'Eremita dunque,
Ch' era de la sua età valido e forte,
Sul mesto suo destrier Zerbin posaro,
E molti di per quelle selve andaro.
91
Non volse il cauto vecchio ridur seco.
Sola con solo, la giovane bella
Là, dove ascosa in un selvaggio speco
Non lungi avea la solitaria cella;
Fra sé dicendo: Con periglio arreco
In una man la paglia e la facella.
Né si fida in sua età né in sua prudenzia,
Che di sé faccia tanta esperienzia.
92
Di condurla in Provenza ebbe pensiero,
Non lontano a Marsilia in un castello.
Dove di sante donne un monastero
Ricchissimo era, e di edifìcio bello:
E per portarne il morto cavalliero,
Composto in una cassa aveano quello,
Che 'n un Castel ch'era tra via, si fece
Lunga e capace, e ben chiusa di pece.
93
Più e più giorni gran spazio di terra
Cercaro, e sempre per lochi più inculti;
Che pieno essendo ogni cosa di guerra,
Voleano gir più che poteano occulti.
Al fine un cavallier la via lor serra,
Che lor fé' oltraggi e disonesti insulti;
Di cui dirò quando il suo loco fia;
Ma ritorno ora al Re di Tartaria.
94
Avuto ch'ebbe la battaglia il fine
Che già v'ho detto, il giovin si raccolse
Alle fresche ombre e all'onde cristalline.
Et al destrier la sella e '1 freno tolse,
E lo lasciò per l'erbe tenerine
Del prato andar pascendo ove egli volse:
Ma non sté molto, che vide lontano
Calar dal monte un cavalliero al piano.
95
Conobbel, come prima alzò la fronte,
Doralice, e mostroUo a Mandricardo,
— 5. Quindi... dunque; dopo ciò... dun-
que ; dunque dopo queste parole.
— fi. de la 8. età; per la sua età. Ècom-
plera. di limitazione. V. e. vii, 10, 6.
91. S. Che; cosicché. V. e. v, 16. n. 4.
92. 4. Ricchissimo. Si capisce come un
poeta dello splendido e artistico Cinque-
cento, quando anche la vita monastica prese
tanto del mondano, dia importanza e ri-
lievo alla ricchezza e alla eleganza d' un
monastero.
— 7. tra Tia, lungo la via. V. e. xvi, 15,
n. 2.
93. 2. Cercaro. Cercare significa propria-
mente andare attorno con occhio attento;
e qui ha il suo vero signific.
CANTO XXIV
325
Dicendo: Ecco il superbo Rodomonte,
Se non m'inganna di lontan lo sguardo.
Per far teco battaglia cala il monte:
Or ti potrà giovar l'esser gagliardo.
Perduta avermi a grande ingiuria tiene;
Ch'era sua sposa, e a vendicar si viene.
96 [già,
Qual buon astor che l'anitra o l'acceg-
Starna o colombo o simil altro augello
Venirsi incontra di lontano veggia.
Leva la testa, e si fa lieto e bello;
Tal Mandricardo, come certo deggia
Di Rodomonte far strage e macello.
Con letizia e baldanza il destiier piglia,
Le staffe ai piedi, e dà alla man la briglia.
97
Quando vicini fur si, ch'udir chiare
Tra lor poteansi le parole altiere;
Con le mani e col capo a minacciare
Incominciò gridando il Re d'Algiere,
Ch'a penitenza gli faria tornare.
Che per un temerario suo piacere
Non avesse rispetto a provocarsi
Lui ch'altamente era per vendicarsi.
98
Rispose Mandricardo: Indarno tenta
Chi mi vuol impaurir per minacciarme.
Cosi fanciulli o femine spaventa,
O altri che non sappia che sieno arme;
Me non, cui la battaglia più talenta
D'ogni riposo; e son per adoprarme
A pie, a cavallo, armato e disarmato,
Sia alla campagna, o sia ne lo steccato.
99
Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'i re.
Al trar de' brandi, al crudel suon de' ferri;
Come vento che prima a pena spire.
Poi cominci a crollar frassini e cerri,
Et indi oscura polve in cielo aggire.
Indi gli arbori svella, e case atterri,
96. 1. acceggia (basso lat. acceia, forse
dal greco akè, punta) beccaccia. Dante,
Par. 19, 33: « Qual il falcon, ch'uscendo del
cappello Muove la testa e coli' ale si plaude,
voglia mostrando e facendosi bello ».
97. 5. a penit. g. f. torn. ; io farebbe pen-
tire. Può dipendere da W2iiiaccja>-e o anche
da gridando.
— 7. non aT. risp. ; non avesse riguardo.
— provocarsi, provocare contro di sé.
98. 2. perminacc. ; col minacc. Boccaccio,
J\'inf. st. 47: « parve che Amore Per si gran
forza queir arco tirasse ».
— 3. Cosi, ecc. Omero, IL 7, 286: « a che
mi tenti e parli Come a imbelle fanciullo o
femminetta, Cui dell' armi il mestiere è pel-
legrino ? »
— ó. Me non ; me no. V. e. x, 49, n. 8,
99. 7. Sommerga in m.; sottint. le navi.
Sommergain mare, e porti ria tempesta
Che 1 gregge sparso uccida alla foresta.
100
De' duo Pagani senza pari in terra
Gli audacissimi cor, le forze estreme
Parturiscono colpi et una guerra
Conveniente a si feroce seme.
Del grande e orribil suon triema la terra.
Quando le spade son percosse insieme:
Gettano l'arme insino al ciel scintille.
Anzi lampadi accese a mille a mille.
101
Senza mai riposarsi o pigliar fiato
Dura fra quei duo Re l'aspra battaglia.
Tentando ora da questo or da quel lato
Aprir le piastre, e penetrar la maglia.
Né perde l'un, né l'altro acquista il prato.
Ma come intorno sian fosse o muraglia,
0 troppo costi ogn' oncia di quel loco.
Non si parton d'un cerchio angusto e poco.
102
Fra mille colpi il Tartaro una volta
Colse a duo mani in fronte il Re d'Algiere;
Che gli fece veder girare in volta
Quante mai furon fiaccole e lumiere.
Come ogni forza all'African sia tolta,
Le groppe del destrier col capo fere:
Perde la staffa, et è, presente quella
Che contant'ama, per uscir di sella.
103
Ma come ben composto e valido arco
100. 2. estreme, somme, che giungono
all' ultimo punto. È di uso frequente nella
nostra lingua.
— 4. feroce seme ; guerrieri di schiatta
cosi fiera.
— 8. lampadi. È il plurale dell'antiquato
lampade.
101. 1. Senza ecc. Nota l'anacoluto: nel
primo e nel terzo verso il soggetto sottint.
è essi (guerrieri), che dovrebbe essere sog-
getto pur della prop. principale del secondo.
— 5. il prato, il terreno : Ossia nessuno
cede d' un palmo.
— 7. oncia. È la dodicesima parte del
piede e corrispondeva, secondo nota un an-
tico commentatore di Dante, alla lunghezza
d' un pollice. Qui è detto per uno spazio cor-
tissimo.
— 8. cerchio ang. e poco ; spazio stretto
e corto. Questo significato di cerchio, che
è chiarissimo, non è citato dai vocabolari.
102. 3. Che ; cos'i che : V. e. i, 57, n. 7. Le
fiaccole e lumiere sono quelle scintille, che
ci sembra vedere quando si riceve un forte
colpo nel capo.
— 6. fere, percuote. Si dice ferire una
cosa e ferire in, su, a una cosa; e c'è la
differenza stessa che fra percuotere una
cosa e su una e
326
ORLANDO FURIOSO
Di fino acciaio in buona somma greve,
Quanto si china più, quanto è più carco,
E più lo sforzan martinelli e lieve,
Con tanto più furor, quando è poi scarco,
Ritorna, e fa più mal che non riceve ;
Cosi quello African tosto risorge,
E doppio il colpo all'inimico porge.
104
Rodomonte a quel segno ove fu colto.
Colse a punto il figliuol del Re Agricane.
Per questo non potè nuocergli al volto,
Ch'in difesa trovò l'arme Troiane;
Ma stordi in modo il Tartaro, che molto
Non sapea s'era vespero o dimane.
L'irato Rodomonte non s'arresta,
Che mena 1' altro, e pur segna alla testa.
105
Il cavallo del Tartaro, ch'aborre
La spada che fischiando cala d'alto,
Al suo signor, con suo gran mal, soccorre:
Perché s'arretra per fuggir d'un salto.
Il brando in mezzo il capo gli trascorre,
Ch'ai signor, non a lui, movea l'assalto.
Il miser non avea l'elmo di Troia,
Come il patrone; onde convien che muoia.
106 [za.
Quel cade, e Mandricardo in piedi guiz-
Non più stordito, e Durindana aggira.
Veder morto il cavallo entro gli adizza,
E fuor divampa un grave incendio d'ira.
L' African, per urtarlo, il destrier drizza,
103. Di fino acciaio ecc. ; grave per lino
acciaio in buona somma, in buona quanti-
tà; che in esso si trova in buona quantità.
Somma, per quantità in generale, non è
citato dai vocabolari.
— 4. martinelli, o martinetti (lat. martus,
martello; per mezzo del francese raarti-
net.) argani da tendere le grosse balestre.
— 5. scarco, scarcato, scaricato. V. e. i,
48, n. 4.
— 6. pili m. e. non r. Il male die 1' arco
riceve è d' essere sforzato dai martinetti.
104. 1. segno, punto, luogo. Avverti che
si dice egualmente cogliere uno alla e nella
testa. Segno per punto usarono spesso gli
scrittori. Petrar.ca, i, son. 38; « T rivolsi i
pensier tutti ad un segno ».
— 4. l'arme tr. ; Telmo di Ettore.
— 5. molto, ben. Uso assai notevole.
— 6. dimane, mattina. V. e. ii, 24, n. 5.
— 8. l'altro, colpo. È in relazione col
V. S del st. 103.
105. 1. aborre, ha paura, rifugge.
— 4. Perché ecc. K propusiz. dipendente
dalla seguente : il brando ... gli trascorre.
106. 2. aggrira, muove in giro. V. e. xir,
18, n. 4.
— 3. adizza, aizza. Nel e. xlh, 56, si ha
nello stesso significato attizza.
:\Ia non più Mandricardo si ritira, fne
Che scoglio far soglia da l'onde; e avven-
Che '1 destrier cadde, et egli in pie si tenne.
107 (te,
L'African che mancarsi il destrier sen-
Lascia le staffe, e su gli arcion si ponta,
E resta in piedi e sciolto agevolmente:
Cosi l'un l'altro poi di pari aftVonta.
La pugna più che mai ribolle ardente;
l"j l'odio e l'ira e la superbia monta:
Et era per seguir; ma quivi giunse
In fretta un messaggier che gli disgiunse.
108 (ro.
Vi giunse un messaggier del popol Mo-
Di molti che per Francia eran mandati
A richiamare agli stendardi loro
I capitani e i cavallier privati;
Perché l'Imperador dai Gigli d'oro
Gli avea gli alloggiamenti già assediati;
E se non è il soccorso a venir presto,
L' eccidio suo conosce manifesto.
109
Riconobbe il messaggio i cavallieri.
Oltre all'insegne, oltre alle sopraveste.
Al girar de le spade, e ai colpi fieri
Ch'altre man non farebbeno che queste.
Tra lor però non osa entrar, che speri
Che fra tant'ira sicurtà gli preste
L'esser messo del Re; né si conforta
Per dir, ch'imbasciator pena non porta.
110
Ma viene a Doralice, et a lei narra
Ch'Agramante, Marsilio e Stordilano,
Con pochi dentro a mal sicura sbarra
Sono assediati dal popol Cristiano.
Narrato il caso, con prieghi ne inarra
Che faccia il tutto ai duo guerrieri piano,
E che gli accordi insieme, e per lo scampo
Del popol Saracin li meni in campo.
Ili
Tra i cavallier la Donna di gran core
— 7. far. V. e. XV, 52, n. 7.
107. 4. di pari, del pari, alla pari.
— 7. Et era p. s. ; Ed era per continua-
re. Sottintendi la cosa, la briga : è riferito
vagamente ai sostantivi precedenti pugna,
ira, superbia.
108. 5. l' Imp. d. g. d' o. ; V Imp. dei Fc3^a-
cesi. V. e. I, 46, n. S.
109. 5. che speri, cosi che speri; colla
speranza che ecc.
— 8. l'imb. p. n. p. È un proverbio co-
mune : r ambasciator non porta pena.
110. 3. sbarra, riparo. Qui, con estensione
di significato notevole, i ripari che chiu-
dono l'accampamento. Cfr. e. xvji, 64, 5.
— 5. ne inarra ; ne implora. V. e. xvii,
64, n. 5.
111. 1. di gran e. È complem. di si mette.
CANTO XXIY
327
Si mette, e dice loro: Io vi comando,
Per quanto so che mi portate amore.
Che riserbiate a miglior uso il brando,
E ne vegnate subito in favore
Del nostro campo Saracino, quando
Si trova ora assediato ne le tende,
E presto aiuto o gran ruina attende.
112
Indi il messo soggiunse il gran periglio
Dei Saracini, e narrò il fatto a pieno;
E diede insieme lettere del figlio
Del Ee Troiano al figlio d'Ulieno.
Si piglia finalmente per consiglio,
Che i duo guerrier, deposto ogni veneno,
Facciano insieme triegua fin al giorno
Che sia tolto l'assedio ai Mori intorno;
113
E senza più dimora, come pria
Liberato d'assedio abbianlor gente.
Non s'intendano aver più compagnia.
Ma crudel guerra e inimicizia ardente,
— 3. Per quanto . . . amore. Credo debba
costruirsi cosi : per quanto amore so che
mi portate.
— 6. quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— 8. presto ; È da ritenersi aggett. che
fa riscontro al gran seguente.
113. 1. s. pili dimora; senz' altra dim. V.
e. XVII, 25, n. 4.
— 3. aver p. comp. ; aver più amicizia,
essere altrimenti compagni d'arme.
Fin che con Tarme diffinito sia
Chi la Donna aver de' meritamente.
Quella, ne le cui man giurato fue,
Fece la sicurtà per amendue.
114
Quivi era la Discordia impaziente
Inimica di pace e d'ogni triegua;
E la Superbia v'è, che non consente
Né vuol patir che tale accordo segua.
Ma più di lor può Amor quivi presento,
Di cui l'alto valor nessuno adegua;
E fé' ch'in dietro, a colpi di saette,
E la Discordia e la Superbia stette.
115
Fu conclusa la triegua fra costoro,
Si come piacque a chi di lor potea.
Vi mancava uno dei cavalli loro ;
Che morto quel del Tartaro giacca:
Però vi venne a tempo Brigliadoro,
Che le fresche erbe lungo il rio pascea.
Ma al fin del Canto io mi trovo esser giun-
si ch'io farò, con vostra grazia, punto, [to;
— 8. Fece la sicurtà; Si fece all'uno ga-
rante della lealtà dell' altro.
114. 7. E fé' ecc. Verso contorto. Co-
struisci: e a colpi di saette fece si che
stettero indietro la D. e la S.
115. 2. a chi di 1. potea; ad Amore, che
avea potere su loro. Per la locuzione cfr.
xxiii, 30, n. 7..
CANTO XXV
Oh gran contrasto in giovenil pensiero,
Desir di laude, et impeto d'Amore I
Né, chi più vaglia, ancor si trova il vero;
Che resta or questo or quel superiore.
Ne l'uno ebbe e ne l'altro cavalliero
Quivi gran forza il debito e l'onore;
Che l'amorosa lite s'intermesse,
Fin che soccorso il campo lor s'avesse.
1. 2. Desir ecc. Sottintendi sono il desir...
e l'impeto... Xell'ediz. del 1516 si legge «È
gran contrasto ecc. ».
— 3. si trova il vero, si può trovare, sta-
bilire con verità.
— 7. s'intermesse, s'interruppe. Il Bolza
intende, senza ragione, si differì. È un la-
tinismo {intermittere) assai frequente negli
antichi (fra lacopone. Passa vanti, Buti) ;raro
nei moderni scrittori.
— S. Finché ecc. Si può intendere : fin-
ché il loro campo si avesse, avesse soccorso;
Ma più ve l'ebbe Amor: che se non era
Che cosi comandò la donna loro,
Non si sciogliea quella battaglia fiera.
Che l'un n'avrebbe il trionfale alloro,
Et Agramante in vau con la sua schiera
megUo : finché si fosse da essi soccorso il
loro campo.
2. 1. ve, quivi, in questo fatto.
— 4. Che, finché. V. e. xiii, 7, n. 4. —
avrebbe. Il condizionale corrisponde al fu-
turo, che si userebbe, se il verbo della prop.
priucip. fosse al presente : non si scioglie...
finché l'uno ne avrà ecc. V, Fornaciari,
Sint. pag. 408. Ma come si potrebbe dire
anche: non si scioglie... finché l'uno ne ab-
bia ecc.; cosi poteva dirsi qui : non si scio-
gliea... finché l'uno ne avesse...
— 5. schiera, esercito. Più comunemente
il plurale schiere. O. Villani, 7, 27, ha la
schiera degli Sjiagìmoli.
328
ORLANDO FURIOSO
L'ainto avria aspettato di costoro.
Dunque Amor sempre rio non si ritrova :
Se spesso nuoce, anco talvolta giova.
3
Or l'uno e l'altro cavallier Pagano,
Che tutti ha difteriti i suoi litigi.
Va, per salvar l'esercito Africano,
Con la Donna gentil verso Parigi ;
E va con essi ancora il piccol Nano
Che seguitò del Tartaro i vestigi,
Fin che con lui condutto a fronte a fronte
Avea quivi il geloso Rodomonte.
4
Capitaro in un prato ove a diletto
Erano cavallier sopra un ruscello,
Duo disarmati, e duo ch'avean l'elmetto,
E una donna con lor di viso bello.
Chi fosser quelli, altrove vi fia detto;
Or no; che di Ruggier prima favello,
Del buon Ruggier di cui vi fu narrato
Che lo scudo nel pozzo avea gittato.
5 [glie,
Non è dal pozzo ancor lontano un mi-
Che venire un corrier vede in gran fretta,
Di quei che manda di Troiano il figlio
Ai cavallieri onde soccorso aspetta;
Dal qnal ode che Carlo in tal periglio
La gente Saracina tien ristretta,
Che se non è chi tosto le dia aita,
Tosto l'onor vi lascierà o la vita.
6
Fu da molti pensier ridutto in forse
Ruggier, che tutti l'assalirò a un tratto;
Ma qual per lo miglior dovesse torse,
Né luogo avea né tempo a pensar atto.
Lasciò andare il messaggio, e '1 freno torse
— 7. La sentenza di questo e del seg.
verso non contradice al concetto del e. xxiv,
1-2; poiché amore, pur nocendo alla per-
sona innamorata, può produrre indiretta-
mente, come accade di tanti altri mali, qual-
che bene.
3. 2. ha. Per il costrutto cfr. e. xiv, IO,
u. 6.
— 5. il p. Nano. V. e. xviii, 29.
4. 7. vi fa narr. V. e. xxn, 91.
5. — Le stanze 5 e 6 furono aggiunte
neirédiz. del 1521 ; ma la 5 fu poi intera-
mente rimaneggiata per l'ediz. del 1532.
■ — 6. t. ristretta, tiene chiusa, coU'asse-
dio, in tal pericolo. V. e. xxiv, 108, 8.
— 7. tosto... tosto. La ripetiz. dà risalto
e movimento al pensiero. Il Galilei, che vo-
leva un presto nel v. 7, non avverti che l'A.
neirediz. del 1532 cambiò sempre (se ben
ricordo) in tosto l'avverb. presto della Prin-
cipe.
6. 3. per lo m. ecc., prender per migliore,
come migliore.
Là dove fu da quella donna tratto,
Ch'ad or ad or in modo egli affrettava,
Che nessun tempo d'indugiar le dava.
7
Quindi seguendo il camin preso, venne
(Già declinando il sole) ad una terra
Che '1 Re Marsilio in mezzo Franciatenne»
Tolta di man di Carlo in quella guerra.
Né al ponte né alla porta si ritenne;
Che non gli niega alcuno il passo o serra»
Ben eh' intorno al rastrello e in sule fosse
Gran quantità d'uomini e d'arme fosse.
8
Perch'era conosciuta da la gente
Quella donzella ch'avea in compagnia.
Fu lasciato passar liberamente.
Né domandato pure onde venia.
Giunse alla piazza, e di fuoco lucente,
E piena la trovò di gente ria ;
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser morto.
9
Ruggier come gli alzò gli occhi nel viso.
Che chino a terra e lacrimoso stava,
Di veder Bradamante gli fu avviso:
Tanto il giovine a lei rassimigliava.
Più dessa gli parea, quanto più fiso
Al volto e alla persona il riguardava;
|E fra sé disse: O questa è Bradamante,
k) ch'io non son Ruggier com'era inante.
10
Per troppo ardir si sarà forse messa
Del garzon condennato alla difesa :
E poi che mal la cosa l'è successa,
— 6. Là dove ecc. V. e. xxir, 89.
7. 3. in mezzo Fr. V. e. vi, 23, 8.
— 5. si ritenne, non fu trattenuto dalle
guardie né al ponte levatoio né alla porta.
Può intendersi anche ritenne sé, si fermo.
La prima interpret. risponde meglio ai versi
seguenti.
— 6. niega, vieta. Più chiaramente nel
e. XLii, 43, 6.
— 7. rastrello. V. e. vai, 3, 6. — d'uomini
e d'arme, d' uomini armati. Endiadi imita-
ta dal Petr., I, son. 121: «Onde vanno a
gran rischio uomini ed arme >.
9. 1. Rnggier... gli fu aTTiso. Per il co-
strutto cfr. e. XII, 5, n. 6.
— 6. Al volto... il rig., lo guardava con
speciale attenzione al volto e alla persona.
Nota la differenza fra i tre modi: guardalo
in volto, guardafili il volto, tjuardalo al
volto, che significano rispettivamente ; guar-
dalo fermando il tuo occhio specialmente
nel volto, guardargli il volto non curan-
doti del resto, guardalo portando speciale
attenzione al volto — alla persona, al taglio,
alla sveltezza del corpo.
10. 3. snccessa, riuscita.
CANTO XXV
329
Ne sarà stata, cotpe io veggo, presa.
Deh, perché tanta fretta, che con essa
Io non potei trovarmi a questa impresa ?
Ma Dio ringrazio che ci son venuto,
Ch'a tempo ancora io potrò darle aiuto.
11
E senza più indù iar, la spada stringe
(Ch'avea all'altro castel rotta la lancia),
Eadossoil vulgo inerme il destrier spinge
Per lo petto, pei fianchi e per la pancia.
Mena la spada a cerco, et a chi cinge
La fronte, a chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il popol gridando; e la gran frotta
Resta 0 sciancata, o con la testa rotta.
12 [stagno
Come stormo d'augei, ch'in ripa a un
Vola sicuro e a sua pastura attende,
S'improviso dal ciel falcon grifagno
Gli dà nel mezzo, et un ne batte o prende,
Si sparge in fuga, ognun lascia ilcompa-
E de lo scampo suo cura si prende: [gno.
Cosi veduto avreste far costoro,
Tosto che '1 buon Ruggier diede fra loro.
13
A quattro o sei dai colli i capi netti
Levò Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti :
Ne divise altretanti infin ai petti,
Fin agli occhi infiniti e fin ai denti.
Concederò che non trovasse elmetti,
Ma ben di ferro assai cufiie lucenti:
E s'elnii fini anco vi fosser stati,
Cosi gli avrebbe, o poco raen, tagliati.
14
La forza di Ruggier non era quale
Or si ritrovi in cavallier moderno.
4. Ne; da questa gente; o anche: per
C30.
— 5. che, è correlativo di tanta.
— 8. Che; poiché.
11. 2. Ch'avea ecc. V. e. xxii, 86, 5-6. '
— 4. Per lo petto ecc.. Spinge avanti il
cavallo, che una il volgo col petto; lo fa
rinculare e cosi l'urta coi fianchi ; lo fa
camminare di traverso e l'urta colla pan-
cia.
— 5. cinge. V. e. xix, 85, n. 6.
— 8. sciancata, storpiata dagli urti del
cavallo.
12. 3. falc. grifagno, falc rapace. V. e. vili,
4, n. 1.
— 4. Gli dà n. m., l'investe. È imitazione
del Boiardo, /n>j. 2, 17, 19: «Come dal-
l'aria in giù scende il falcone E dà in mezzo
ad un branco di cornacchie ».
— 5. Si sparge in f. È il modo latino se
in fugam spargere.
13. 6. Ma ben. Rileva dal contesto un
trovò : ma trovò ben.
-- 6. cuffie; grossolane coperture del
capo, talvolta pur di cuoio grosso e duro.
Né in orso né in leon né in animale
Altro più fiero, o nostrale od esterno.
Forse il tremuoto le sarebbe ugnale,
Forseilgrandiavol;nonqueldelo'nferno^
Ma quel del mio Signor, che va col fuoco,
Ch'a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.
15
D'ogni suo colpo mai non cadea manco
D'un uomo in terra, e le più volte un paio :
E quattro a un colpo, e cinque n'uccise an-
si che si venne tosto al centinaio. [co.
Tagliava il brando che trasse dal fianco,
Come un tenero latte, il duro acciaio.
Falerina, per dar morte ad Orlando,
Fé' nel giardin d'Orgagna il crudel bran-
16 [do.
Averlo fatto poi ben le rincrebbe.
Che '1 suo giardin disfar vide con esso.
Che strazio dunque, che mina debbe[80?
Far or ch'in man di tal guerriero è mes-
Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe.
Se mai fu l'alto suo valore espresso.
Qui l'ebbe, il pose qui, qui fu veduto.
Sperando dare alla sua Donna aiuto.
17
Qual fa la lepre contrai cani sciolti,
Facea la turba contra lui riparo.
Quei che restaro uccisi, furo molti ;
Furo infiniti quei ch'in fuga andaro.
Avea la Donna intanto i lacci tolti.
Ch'ambe le mani al giovine legaro;
E come potè meglio, presto armollo.
Gli die una spada in mano, e un scudo al
18 [collo.
Egli che molto è offeso, più che puote
14. 6. gran diavol. Era il nome di un can-
none di grossissimo calibro, fuso dal duca
Alfonso d'Este, col quale questi fece gran
prove nella guerra contro Venezia. Ne aveva
pure un altro grandissimo, che si chiamava,
iscriptis, dice il Giovio, metallo litteris,
* Terremoto ».
— 7. che va e. fuoco; il quale gr. diavolo
si avanza contro i nemici armato di fuoco.
— 8. Che. Può riferirsi al cannone e anche
a fuoco. Questo verso è simile a quel del
Petrarca, Tr. Pud. 21 : «Che a cielo e terra
e mar dar loco fansi ».
15. 1. D'ogni ecc. Per ogni ecc. V. e. xiii.
33, n. 3.
— 6. tenero latte, latte rappreso, giun-
cata. Non vedo che sia citato da nessun
vocabolario.
— 7. Falerina ecc. Innam. II, iv, 6-7.
Vedi anche e. vii, 76, n. 1.
16. 2. con esso. Innam. II, v, 13.
— 6. espresso, chiaro, manifesto. V. c.xi,
81, 7.
17. 8. nn se. al collo. Su questo modo di
portare lo scudo cfr. e. vii, 76, n. S.
330
ORLANDO FURIOSO
Si cerca vendicar di quella gente :
E quivi sou si le sue forze note,
Che riputar si fa prode e valente.
Già avea attufifato le dorate ruote
Il sol ne la marina d'Occidente,
Quando Ruggier vittorioso e quello
Giovine seco uscir fuor del castello.
19
Quando il garzon sicuro de la vita
Con Ruggier si trovò fuor de le porte,
Gli rendè molta grazia et infinita
Con gentil modi e con parole accorte,
Che, non lo conoscendo, a dargli aita
Si fosse messo a rischio de la morte:
E pregò che 'I suo nome gli dicesse,
Per sapere a chi tanto obligo avesse.
20
Veggo, dicea Ruggier, la faccia bella,
E le belle fattezze e '1 bel sembiante;
Ma la suavità de la favella
Non odo già de la mia Bradamante;
Né la relazion di grazie è quella
Ch'ella usar debba al suo fedele amante.
Ma se pur questa è Bradamante, or come
Ha si tosto in oblio messo il mio nome?
21
Per ben saperne il certo, accortamente
Ruggier le disse: Io v' ho veduto altrove;
Et ho pensato e penso e finalmente
Non so né posso ricordarmi dove.
Ditemei voi, se vi ritorna a mente;
E fate che '1 nome anco udir mi giove,
Acciò che saper possa a cui mia aita
Dal fuoco abbia salvata oggi la vita.
22
Che voi m'abbiate visto esser potria
("Rispose quel), che non so dove o quando.
Ben vo pel mondo anch'io la parte mia.
Strane avventure or qua or là cercando.
Forse una mia sorella stata fia, [do;
Che veste l'arme, e porta al lato il bran-
che nacque meco, e tanto mi somiglia,
Che non ne può discerner la famiglia.
18. 2. Si cerca t., cerca vendicarsi . V. &,
I, 47, n. 6.
— 3. s. SI I. s. f. note ; dà tal notizia delle
;^ue forze.
19. 4. parole accorte, cortesi. Nel e. iv, 72
si ha ìnaniere accorte. Cosi Petr. i, canz. 3.
20. 5. relazion di grazie; i ringraziamenti.
È il latino relatio yratiarum.
— 8. Ha 81 tosto ecc. Ha cosi presto di-
menticato chi sono e come mi chiamo.
21. 2. le. Nell'ed. del '16, meglio, gii.
28. 2. che non so; poiché non so. Com-
pleta il pensiero cosi : dico potrebbe, per-
ché, quanto a me. non saprei dire né dove
né quando.
— 7. nacque meco, nacque gemella.
23
Né primo né secondo né ben quarto
Sete di quei ch'errore in ciò preso hanno :
Né '1 padre né i fratelli né chi a un parto
Ci produsse arabi, scernere ci sanno.
Gli è ver che questo crin raccorcio e sparto
Ch'io porto, come gli altri uomini fanno,
Et il suo lungo e in treccia al capo avvolta
Ci solca far già dififerenzia molta."
24
Ma poi ch'un giorno ella ferita fu
Nel capo (lungo saria a dirvi come),
E per sanarla un servo di Gesù
A mezza orecchia le tagliò le chiome;
Alcun segno tra noi non restò più
Di differenzia, fuor che '1 sesso e'I nome.
Ricciardetto son io, Bradamante ella;
Io fratel di Rinaldo, essa sorella.
25
E se non v' increscesse l'ascoltarmi,
Cosa direi, che vi farla stupire,
La qual m'occorse per assimigliarmi
A lei, gioia al principio, e al fin martire.
Ruggiero il qual più graziosi carmi,
Più dolce istoria non potrebbe udire,
Che dove alcun ricordo intervenisse
De la sua Donna, il pregò si, che disse:
26
Accadde a questi di, che pei vicini
Boschi passando la sorella mia,
Ferita da uno stuol di Saracini
Che senza l'elmo la trovar per via.
Fu di scorciarsi astretta i lunghi crini.
Se sanar volse d'una piaga ria
Ch'avea con gran periglio ne la testa ;
E cosi scorcia errò per la foresta.
27
Errando giunse ad una ombrosa fonte;
E perché afflitta e stanca ritrovosse.
Dal destrier scese, e disarmò la fronte,
E su le tenere erbe addormeutosse.
Io non credo che favola si conte.
23. 1. né ben; né pur; ma è più forte e
più espressivo.
— S. Ci; fra noi. È modo assai ardito.
24. 1. ferita fu. V. Innam. Ili, v, 45, e
vili, 51. — Avverti che l'A. usa solo in que-
sto luogo e nel e. xxvii, 87, la rima tronca.
25. 5. carmi. Intendi : Rugg., che non po-
trebbe udire né carmi (poesie) più graziosi,
né storia più dolce del racconto, dove alcun
ricordo ecc. Se pure non si vuol dare a
carmi il significato di discorso, narra-
zione o simili ; significato che non si trova
né in latino né in italiano.
26. 8. scorcia, scorciata: sottintendi i cri-
ni. Per il participio abbreviato cfr. e. i, 48,
n. 4. Questo, che qui si racconta di Brada-
mante e di Fiordispina, figlia di Marsilio re
di Spagna, è nel Boiardo, Inn. III, viii, ix.
CANTO XXV
331
Che più di questa istoria bella fosse,
Fiordispina di Spagna soprarriva,
Che per cacciar nel bosco ne veniva.
E quando ritrovò la mia sirocchia
Tutta coperta d'arme, eccetto il viso,
Ch'avea la spada in luogo di conocchia,
Le fu vedere un cavalliero avviso.
La faccia e le viril fattezze adocchia
Tanto, che se ne sente il cor conquiso.
La invita a caccia, e tra l'ombrose fronde
Lunge dagli altri al fin seco s'asconde.
29
Poi che l'ha seco in solitario loco
Dove non teme d'esser sopraggiunta.
Con atti e con parole a poco a poco
Le scopre il fìsso cor di grave punta.
Con gli occhi ardenti, e coi sospir di fuoco
Le mostra l'alma di disio consunta.
Or si scolora in viso, or si raccende:
Tanto s'arrischia, ch'un bacio ne prende.
80
La mia sorella avea ben conosciuto
Che questa donna in cambio l'avea tolta:
Né dar poteale a quel bisogno aiuto,
E si trovava in grande impaccio avvolta.
Gli è meglio (dicea seco) s'io rifiuto
Questa avuta di me credenza stolta,
E s' io mi mostro femina gentile.
Che lasciar riputarmi un uomo vile.
31
E dicea il ver; ch'era viltade espressa,
Conveniente a un uom fatto di stucco.
Con cui si bella donna fosse messa,
Piena di dolce e di nettareo succo,
E tuttavia stesse a parlar con essa.
Tenendo basse l'ale come il cucco.
29. 4, il fisso cor ecc., il cuore trafitto da
gr. punta; dal lat, flxus. Cosi nel e. v. 89, 1.
— 8. un b. n. prende ; le dà di sorpresa e
quasi alla sfuggita un b. Il Tasso, Ger. 16,
19: «i dolci baci ... Liba or dagli occhi e
dalle labbra or sugge » e Catullo, 99, 16, ha
« surripere alicui basium ».
30. 2. in cambio, in isbaglio. Vita di S.
Frane. 237: « Giovanni predetto fue colto
per cambio et ebbe una fedita ».
— 5. rifiuto, combatto, distruggo. È il lati-
no refutare. Pallavicino, Lett. I. 93: « Tutto
ciò che giova o a rifiutar l'avversario ecc. ».
31. 1. espressa, palese. Cosi spessissimo
nell'A.
— 3. Con cui ecc.; che con esso fosse messa
ecc. VX. ha dato a questo periodo il giro
latino, usando il relativo invece del pron.
dimostrativo.
— 6. cucco, Parola popolare per Cwu7o.
Essendo uccello notturno, il giorno è ad-
dormentato e grullo, perciò si è preso a
indicare anche balordaggine.
Con modo accorto ella il parlar ridusse,
Che venne a dir come donzella fusse,
.32
Che gloria, qual già Ippolita e Camilla,
Cerca ne l'arme; e in Africa era nata
In lito al mar, ne la città d'Arzilla,
A scudo e a lancia da fanciulla usata.
Per questo non si smorza una scintilla
Del fuoco de la Donna inamorata.
Questo rimedio all'alta piaga è tardo:
Tant' avea Anior cacciato inanzi il dardo.
33
Per questo non le par men bello il viso,
Menbel lo sguardo, e men belli i costumi;
Per ciò non torna il cor che, già diviso
Da lei, godea dentro gli amati lumi.
Vedendola in quell'abito, l'è avviso
Che può far che '1 desir non la consumi;
E quando, ch'ella è pur femina, pensa, [sa.
Sospira e piange, e mostradogliaimmen-
34 [to
Chi avesse il suo ramarico e '1 suo pian-
Quel giorno udito, avria pianto con lei.
Quai tormenti (dicea) furon mai tanto
Crudel, che più non sian crudeli i miei?
D'ognaltro amore o scelerato o santo,
Il desiato fin sperar potrei;
Saprei partir la rosa da le spine :
Solo il mio desiderio è senza fine.
35
Se pur volevi, Amor, darmi tormento
Che t' increscesse il mio felice stato;
D'alcun martir dovevi star contento,
I Che fosse ancor negli altri amanti usato
I Né tra gli uomini mai né tra l'armento,
Che femina ami femina ho trovato:
I Non par la donna all'altre donne bella,
' Né a cervie cervia, né all'agnelle agnella.
86
1 In terra, in aria, in mar sola son io
Che patisco da te si duro scempio;
E questo hai fatto acciò che l'error mio
Sia ne l' imperio tuo l'ultimo esempio.
La moglie del re Nino ebbe disio.
Il figlio amando, scelerato et empio,
I E Mirra il padre, e la Cretense il toro:
Ma gli è pili folle il mio, ch'alcun dei loro.
— 7. ridusse che, ridusse al punto che.
Brachilogia assai amata dall' .\.
32. 1. Ippolita, una delle Amazzoni, che
combatté contro Ercole e Teseo, e da que-
sto fu sposata. — Camilla. V. e. XX, 1, n. 5.
— 3. Arzilla, V. 0. XIV, 23, n. 1.
— 7. alta, profonda.
35. 2. Che, perché.
36. 4. l'ultimo, per gravità e stranezza :
nessun altro esempio più strano e nuovo é
possibile.
— 7. la Cretense, l'asifae, moglie di Mi-
nosse re di Creta.
332
ORLANDO FURIOSO
37
La femina nel maschio fé' disegno,
Speronne il fine, et ebbelo, come odo:
Pasife ne la vacca entrò del legno:
Altre per altri mezzi, e vario modo.
Ma se volasse a me con ogni ingegno
Dedalo, non potria scioglier quel nodo,
Che fece il mastro troppo diligente,
Natura d'ogni cosa più possente.
38
Cosi si duole, e si consuma et auge
La bella Donna, e non s'accheta in fretta.
Talor si batte il viso, e il capei frange,
E di sé contra sé cerca vendetta.
La mia sorella per pietà ne piange,
Et è a sentir di quel dolor constretta.
Del folle e van disio si studia trarla ;
Ma non fa alcun profitto, e in vano parla.
39
Ella ch'aiuto cerca e non conforto.
Sempre più si lamenta e più si duole.
Era del giorno il termine ormai corto;
Che rosseggiava in Occidente il sole.
Ora oportuna da ritrarsi in porto,
87. 1. nel m. f. dis. Per il costrutto cfr.
e. IX, 50, n. 6 e xxvii, 77, 4. L'idea di que-
sto episodio è tolta in parte da Ovidio, Me-
tani. IX, dove si dice di Iff, che, nata donna,
e dovendo per volere del padre che la cre-
deva un uomo, sposare una fanciulla, è dalla
dea Iside cambiata in maschio ; in parte da
Tristano, che, passando per femmina, dorme
con Isotta. Vedi in Ovidio molti riscontri
d'immagini e di espressioni.
— 3. del legno. Cosi legge l' ediz. del 1532.
Il Morali legge di l. senza dir la ragione
del cambiamento ; ma non mi sembra da
accettare, perchè spesso gli antichi nel com-
plemento di materia usarono la prepos. ar-
ticolata. Petr. I, canz. 11 : « Tra le chiome
de l'or nascose il laccio »: Boccaccio, Nov, 1:
«E ad appiccarvi le iniagini della cera».
— 4. Altre ecc. Altre ebbero il fine per
altri mezzi.
— 6. Sedalo, artefice famoso, che insegnò
l'inganno a Fasifae. Ovidio 1. e. v. 741-43.
— 7. troppo. Dice il rammarico per questa
diligenza, che la natura (il mastro) ha messo
in ciò. OviD. 1. e. 757 : « natura poteutior
omnibus istis ».
38. 4. E di sé ecc. E fa vendetta iu sé
stessa della sua frenesia.
39. 1. Ella ecc. Innam. I, vr, 21 : « Per-
ch'io vorrei aiuto e non conforto».
— 3. il termine, il tempo riserbato al
giorno era ormai corto. Vedi, per questo
significato, e. xiii, 47, n. 2.
— 5. in porto. Avverti la poca coerenza
delle immagini : clii rientra la sera nel porto
non vien dal bosco, ma dal mare.
A chi la notte al bosco star non vuole :
Quando la Donna invitò Bradamante
A questa terra sua poco distante.
40
Non le seppe negar la mia sorella:
E cosi insieme ne vennero al loco.
Dove la turba scelerata e fella
Posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.
Fece là dentro Fiordispina bella
La mia sirocchia accarezzar non poco :
E rivestita di feminil gonna.
Conoscer fé' a ciascun ch'ella era donna.
41
Però che conoscendo che nessuno
Util traea da quel virile aspetto.
Non le parve anco di voler ch'alcuno
Biasmo di sé per questo fosse detto:
Fèllo anco, acciò che '1 mal ch'avea da
Virile abito, errando, già concetto, [l'uno
Ora con l'altro, discoprendo il vero,
Provassi di cacciar fuor del pensiero.
42
Commune il letto ebbon la notte insie-
Ma molto difterente ebbon riposo; [me;
Che l'una dorme, e l'altra piange e geme
Che sempre il suo desir sia più focoso.
E se '1 sonno talor gli occhi le preme.
Quel breve sonno è tutto imaginoso;
Le par veder che '1 ciel l'abbia concesso
Bradamante cangiata in miglior sesso.
43
Come r infermo acceso di gran sete,
S'in quella ingorda voglia s'addormenta.
Ne l'interrotta e turbìda quiete.
D'ogni acqua che mai vide, si rammenta;
Cosi a costei di far sue voglie liete
L'imagiue del sonno rappresenta.
Si desta ; e nel destar mette la mano,
E ritrova pur sempre il sogno vano.
44
Quanti prieghi la notte, quanti voti
Offerse al suo Macone e a tutti i Dei,
Che con miracoli apparenti e noti
Mutassero in miglior sesso costei!
Ma tutti vede andar d'effetto voti ;
E forse ancora il ciel ridea di lei.
Passa la notte; e Febo il capo biondo
Traea del mare, e dava luce al mondo.
45 [to,
Poi che '1 di venne, e che lasciare il let-
A Fiordispina s'auguraenta doglia;
Che Bradamante ha del partir già detto,
Ch' uscir di questo impaccio aveagran vo-
La gentil donna un ottimo ginetto [glia.
41. 3. anco. V. e. XVI, 36, n. 8.
44. 5. vede, li vede.
45. 5. ginetto, e anche yiannetto e gin-
netto; cavallo di Spagna velocissimo (dal
Berbero Zenrta, divenuto in spagnuolo yi-
nete, che significò- cavaliere alla leggera.
CANTO XXV
333
In don da lei vuol che partendo toglia,
Guernito d'oro, et una sopravesta
Che riccamente ha di sua man contesta.
46
Accompaguolla un pezzo Fiordispina;
Poi fé', piangendo, al suo Castel ritorno.
La mia sorella si ratto caraina,
ChevenneaMontalbano anco quel giorno.
Noi suoi fratelli e la madre meschina
Tutti le siamo festeggiando intorno;
Che di lei non sentendo, avuto forte
Dubbio e tema avevam de la sua morte.
47 [crine,
Mirammo (al trar de l'elmo) al mozzo
Ch'intorno al capo prima s'avvolgea;
Cosi le sopraveste peregrine
Ne fèr meravigliar, ch'indosso avea.
Et ella il tutto dal principio al fine
Narronne, come dianzi io vi dicea:
Come ferita fosse al bosco, e come
Lasciasse, per guarir, le belle chiome;
48
E come poi dormendo in ripa all'acque,
La bella cacciatrice sopragiunse,
A cui la falsa sua sembianza piacque;
E come da la schiera la disgiunse.
Del lamento di lei poi nulla tacque,
Che di pietade l'anima ci punse:
E come alloggiò seco, e tutto quello
Che fece, fin che ritornò al castello.
49
Di Fiordispina gran notizia ebb'io.
Ch'in Siragozza e già la vidi in Francia;
E piacquer molto all'appetito mio
I suoi begli occhi e la polita guancia:
Ma non lasciai fermarvisi il disio ;
Chél'amar senza speme è sogno e ciancia.
Gli Zenéta erano una tribù Berbera, che
forniva prodi cavalieri ai Sultani di Gra-
nata).
46. 4. anco, quello stesso giorno. Questo
significato notevole non è avvertito da nes-
suno, ch'io sappia. Cosi nel e. xxii, 7, S, e
nel 0. XIV, 115, 8.
— 7. n. sentendo, non avendo notizie. Cosi
nel e. xlvi, 20, 6. Generalmente in questo
significato, sentire si unisce al verbo fare
Bocc.\cc. Nov. 30: « senz'altro farne ad al-
cuna persona sentire », senza darne notizia
ad ale. pers. Cosi da solo non è citate dai
vocabolari.
47. 1. Mirammo, fummo pi'esi di meravi-
glia. Diverso ma simile a quel di Dante,
Purg, 12, 66: « i tratti oh' ivi Mirar fariano
uno'ngegno sottile ». È il mirari dei Latini, i
49. 1. gran, notizia, gran conoscenza, la j
conobbi benissimo. V. e. vi, 9, n. 1.
— 2. Siragozza, Saragozza.
— 4. polita, liscia, e perciò fresca. \
Or, quando in tal ammezza mi si porge,
L'antiqua fiamma subito risorge.
50
Di questa speme Amore ordisce i nodi;
Che d'altre fila ordir non li potea:
Onde mi piglia, e mostra insieme i modi.
Che da la donna avrei quel ch'io chiedea.
A succeder saran facil le frodi;
Che, come spesso altri inofannato avea
La simiglianza e' ho di mia sorella,
Forse anco ingannerà questa donzella.
51 [buono
Faccio, 0 noi faccio? Al fin mi par che
Sempre cercar quel che diletti, sia.
Del mio pensier con altri non ragiono.
Né vo' ch'in ciò consiglio altri mi dia.
Io vo la notte ove quellarme sono.
Che s'avea tratte la sorella mia:
Tolgole, e col destrier suo via camino;
Né sto aspettar che luca il matutino.
52
Io me ne vo la notte (Amore è duce)
A ritrovar la bella Fiordispina;
E v'arrivai che non era la luce
Del sole ascosa ancor ne la marina.
Beato è chi correndo si conduce
Prima degli altri a dirlo alia Regina,
Da lei sperando, per l'annunzio buono,
Acquistar grazia, e riportarne dono.
53
Tutti m'aveano tolto cosi in fallo,
Com'hai tu fatto ancor per Bradamante;
Tanto più che le vesti ebbi e '1 cavallo.
Con che partita era ella il giorno inante.
Vien Fiordispina di poco intervallo
Con feste incontra, e con carezze tante,
E con si allegro viso e si giocondo.
Che più gioia mostrar non potila al mon-
54 [do.
Le belle braccia al collo indi mi getta,
E dolcemente stringe, e bacia in bocca.
Tu puoi pensar s'allora la saetta
Dirizzi Amor, a' in mezzo il cor mi tocca.
7. quando ecc. ; poiché la speranza mi si
porge con tale ampiezza.
50. 3. Onde ; coi quali nodi mi piglia.
— 5. succeder, riuscire a bene. V. e. ii,
22, n. 6.
51. S. sto aspettar, sto ad aspettar, V. e.
I, 4, n. 1 — matutino, mattino. V. e. iv, 10, 6.
53. 1. t... in fallo; preso in isbaglio. Nella
st. 30 abbiamo visto torre in cambio. Si dis-
se anche isrenrfere in fallo: FORTEGUERRI.
Ricciardi. 21, 5 : « E Ricciardetto a lui : m'hai
preso in fallo ».
— 5. di poco intervallo, con poco iuterv.;
dopo poco intervallo. Di per co u è vivo an-
cora in molte locuzioni: entrar d'un salto,
percuoter d'urto, batter di bastone ecc.
V. e. Ili, 65, 6.
334
ORLANDO FURIOSO
Per man mi piglia^Piu camera con fretta
Mi mena: e non ad altri, ch'a lei, tocca
Che da l'elmo allo spron l'arme mi slacci ;
E nessun altro vuol che se n'impacci.
55
Poi fattasi arrecare una sua veste
Adprna e ricca, di sua man la spiega;
E come io fossi femina, mi veste,
E in reticella d'oro il crin mi lega.
Io muovo gli occhi con maniere oneste ;
Né ch'io sia donna, alcun mio gesto niega.
La voce ch'accusar mi potea forse,
Si ben usai, ch'alcun non se n'accorse. .
56
Uscimmo poi là dove erano molte
Persone in sala, e cavallieri e donne.
Dai quali fummo con l'onor raccolte,
Ch'alle Regine fassi e gran madonne.
Quivi d'alcuni mi risi io più volte,
Chfe non sappiendo ciò che sotto gonne
Si nascondesse valido e gagliardo,
Mi vagheggiavan con lascivo sguardo.
57
Poi che si fece la notte più grande,
E già un pezzo la mensa era levata,
La mensa che fu d'ottime vivande.
Secondo la stagione, apparecchiata:
Non aspetta la donna ch'io domande
Quel che m'era cagion del venir stata:
Ella m'invita, per sua cortesia,
Che quella notte a giacer seco io stia.
58
Poi che donne e donzelle ormai levate
Si furo, e paggi e camerieri intorno;
Essendo ambe nel letto dispogliate.
Coi torchi accesi, che parca di giorno.
Io cominciai: Non vi maravigliate.
Madonna, se si tosto a voi ritorno;
Che forse v'andavate imaginando
Di non mi riveder fin Dio sa quando.
59
Dirò prima la causa del partire,
Poi del ritorno l'udirete ancora.
Se '1 vostro ardor, Madonna, intiepidire
Potuto avessi col mio far dimora.
Vivere in vostro servizio e morire
Voluto avrei, né starne senza un'ora;
Ma visto quanto il mio star vi nocessi.
Per non poter far meglio, andare elessi.
54. 6-7. tocca che... mi sK; tocca di slac-
ciarmi. V. e. I, 38, n. 6.
57. 2. già un pezzo, già da un pezzo. V.
e. I, 26, n. 8.
58. 1-2. leyste... intorno; levate d'intorno
a noi. È modo notevole non registrato dai
vocabolari. E la N. Crusca doveva notarlo.
59. 6. starne senza, star senza di voi. Il
voi deve rilevarsi dal vostro del v. supe-
riore.
60
Fortuna mi tirò fuor del camino
In mezzo un bosco d' intricati rami,
Dove odo un grido risonar vicino,
Come di donna che soccorso chiami.
V'accorro, e sopra un lago cristallino
Ritrovo un Fauno ch'avea preso agli ami
In mezzo l'acqua una donzella nuda,
E mangiarsi il crudel la volea cruda.
61
Colà mi trassi, e con la spada in mano
(Perch' aiutar non la potea altriraente),
Tolsi di vita il pescator villano:
Ella saltò ne l'acqua immantinente.
Non m'avrai (disse) dato aiuto in vano:
Ben ne sarai premiato, e riccamente
Quanto chieder saprai : perché son NimU
Che vivo dentro a questa chiara linfa:
62
Et ho possanza far cose stupende,
E sforzar gli elementi e la natura.
Chiedi tu, quanto il mio valor s'estende,
Poi lascia a me di satisfarti cura.
Dal ciel la luna al mio cantar discende.
S'agghiaccia il fuoco, e l'aria si fa dura;
Et ho talor con semplici parole
Mossa la terra, et ho fermato il solci
63
Non le domando a questa offerta unire
Tesor, né dominar popoli e terre,
Né in più virtù né in più vigor salire.
Né vincer con onor tutte le guerre;
Ma sol, che qualche via donde il desire.
Vostro s'adempia, mi schiuda e disserre:
Né più le domando un, eh' un altro effetto,
Ma tutta al suo giudicio mi rimetto.
64
Ebbile a pena mia domanda esposta,
Ch' un' altra volta la vidi attuffata ;
Né fece al mio parlare altra risposta.
Che di spruzzar ver me l'acqua incantata,
La qual non prima al viso mi s'accosta.
Ch'io, non so come, son tutta mutata.
Io '1 veggo, io 'l sento; e apena vero parmi :
Sento in maschio, di femina, mutarmi.
65
E se non fosse che senza dimora
61. 7. Quanto ch. 8.; con tutto ciò che sa-
prai chiedere: avrai per premio tutto quanto
saprai chiedere. Quest' uso assoluto di quan-
to è frequente nella letteratura. Dante, ■
Pm-g. 29, 113: « Le membra d'oro avea,
quanto era uccello » in tutte quelle parti in
cui era ucc. Boccacc. Nov. 90: «Guardali,
quanto hai cara la vita ». Cosi pure nella
st. seg. V. 3. '
62. 1. ho po88. far; ho poss. di far.
63. 1. unire, mettere insieme: lat. colli- '
gere : a questa sua offerta, non domando di
mettere assieme ecc.
CANTO XXV
335
Vi potete chiarir, noi credereste:
E, qual nell'altro sesso, in questo ancora
Ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.
Comandate lor pur; che fieno or ora,
E sempre mai per voi vigile e deste.
Cosi le dissi; e feci ch'ella istessa
Trovò con man la veritade espressa.
66
Come interviene a chi già fuor di speme
Di cosa sia che nel pensler molt'abbla,
Che, mentre più d'esserne privo geme,
Più se n'affligge e se ne strugge e arrabbia,
Se ben la trova poi, tanto gli preme
L'aver gran tempo seminato in sabbia,
E la disperazion l'ha si male uso,
Che non crede a sé stesso, e sta confuso:
67
Cosi la donna, poi che tocca e vede
Quel, di ch'avut(»avea tanto desire,
Agli occhi, al tatto, a sé stessa non crede,
E sta dubbiosa ancor di non dormire ;
E buona prova bisognò a far fede.
Che sentia quel che le parca sentire.
Fa, Dio (disse ella), se son sogni questi.
Ch'io dorma sempre, e mai più non mide-
68 [sti.
Non rumor di tamburi o suon di trombe
Furon principio all'amoroso assalto:
Ma baci ch'imitavan le colombe,
Davan segno or di gire, or di fare alto.
Usammo altr'arme che saett»^ o trombe.
Io senza scale in su la rocca salto,
E lo stendardo piantovi di botto,
E la nimica mia mi caccio sotto.
69
Se fu quel letto la notte dinanzi
Fien di sospiri e di querele gravi.
Non stette l'altra poi senza altrettanti
Risi, feste, gioir, giochi soavi.
Non con più nodi i flessuosi acanti
Le colonne circondano e le travi.
Di quelli con che noi legammo stretti
E colli e fianchi e braccia e gambe e petti.
70
La cosa stava tacita fra noi ;
Si che durò il piacer per alcun mese: ,
Pur si trovò chi se n'accorse poi,
65. 6. vigile, vigili. V. e. IX, 84, n. l.
66. 5. gli preme, lo pi'eme, lo affligge. V.
C. XVII, 106, n. 3.
— 7. l'ha... nso; l'ha abituato. È note-
vole il verbo usare (participio usato, scor-
ciato in uso) in senso di abituare. Non si
cita dai vocabolari né questo né altri esempi.
Ma forse è un uso consigliato all' orecchio
del poeta, per analogia, da altri participi,
che nella forn>a scorciata sono anche agget-
tivi: per es. avveczo {l'hanno avve;;o ma-
le, dice il popolo).
70. 3. chi se n'accorse. Il come l'A. non
lo dice.
[ Tanto che con mio danno il Re lo 'ntese.
Voi che mi liberaste da quei suoi
I Che ne la piazza avean le fiamme accese,
Comprendere oggimai potete il resto;
Ma Dio sa ben con che dolor ne resto.
71
Cosi a Ruggier narrava Ricciardetto,
E la notturna via iacea men grave;
Salendo tuttavia verso un poggietto
Cinto di ripe e di pendici cave.
Un erto calle, e pien di sassi e stretto
Apria il camin con faticosa chiave. fte,
Sedea al sommo un eastel detto Agrismon-
Ch'aveain guardia Aldigier di Chiaramon-
72 [te.
Di Buovo era costui figliuol bastardo,
Fratel di Malagigi e di Viviano :
Chi legittimo dice di Gherardo,
E testimonio temerario e vano.
Fosse come si voglia, era gagliardo,
Prudente, liberal, cortese, umano;
E facea quivi le fraterne mura
La notte e il di guardar con buona cura.
73
Raccolse il cavallier cortesemente,
Come dovea, il cugin suo Ricciardetto
Ch'amò come fratello; e parimente
Fu ben visto Ruggier per suo rispetto.
Ma non gli usci già incontra allegramente,
Come era usato, anzi con tristo aspetto,
Perch' uno avviso il giorno avuto avea.
Che nel viso e nel cor mesto il facea.
71. 8. Aldigier di Ch. Personaggio, nota il
Raina, assai oscuro.
72. 3. Chi legittimo ecc. Lo disse figlio di
Gherardo il Pulci xx, 105; ma egli pure sem-
bra che lo ritenesse figlio bastardo: « La
madre mia chiamata è Rosaspina Ed io mi
chiamo per nome Aldinghieri, E generommi,
dice, alla marina ' Del padre mio non ho
i termini interi. Perché non fu di stirpe
Saracina, Ma quel che inteso n' ho da la
mia madre Da Rossiglion Gherardo fu mio
padre.... Di Chiaramonte è la mia schiatta
antica». Della variazione è forse inventore
l'Ariosto. Avverti inoltre 1' omissione del
pronome lo: chi lo dice.
— 7. le fraterne m. ; Le mura del castello
che apparteneva ai fratelli Malagigi e Vi-
viano e che egli « avea in guardia ».
73. 1. Raccolse, accolse. V. e. vii, 9, n. 3.
— 2. cugin. Da Bernardo di Chiaramonte
erano nati quattro figli: Ottone re d' Inghil-
terra, Milone padre d'Orlando, Amone padre
di Rinaldo di Bradamante di Ricciardetto ; e
Buovo padre di Malagigi di Viviano e di
Aldigieri.
— 4. per s. rispetto, per rispetto di lui,
del cugino Ricciardetto.
336
ORLANDO FURIOSO
74
A Ricciardetto in cambio di saluto
Disse : Fratello, abbiàn nuova non buona.
Per certissimo messo oggi ho saputo
Che Bertolagi iniquo di Baiona
Con Lanfusa crudel s' è convenuto,
Che preziose spoglie esso a lei dona,
Et essa a lui pon nostri frati in mano,
Il tuo buon Malagigi e il tuo Viviano.
75
Ella dal di che Ferraù li prese,
Gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello.
Fin che '1 brutto contratto e discortese
N' ha fatto con costui di ch'io favello.
Gli de' mandar domane al Maganzese
Nei confìn tra Baiona e un suo castello.
Verrà in persona egli a pagar la mancia
Che compra il miglior sangue che sia in
76 [Francia.
Rinaldo nostro n' ho avvisato or ora,
Et ho cacciato il messo di galoppo:
Ma non mi par ch'arrivar possa ad ora
Che non sia tarda; ché'l camino ètroppo.
Io non ho meco gente da uscir fuora:
L'animo è pronto, ma il potere è zoppo.
74. 4. Bertolagi di B. Era uno della casa
di Maganza. Qui l'A. fa uso di due dati fon-
damentali della letteratura cavalleresca ita-
liana: la fellonia dei Maganzesi e la loro
inimicizia colla casa di Chiaramente. Tra-
dire e mettere i paladini nelle mani degli
infedeli è cosa abituale per quei di Ma-
ganza; generalmente per semplice odio
senza compenso. Negli esempi più antichi
c'è pure un compenso in danai'o. Qui, in-
vece di ricever compenso, Bertolagi lo dà.
— 5. Con Lanfasa. L' idea forse è tolta
dalla Spagna, dove tutti i principali baroni
di Francia abbattuti da Ferraù rimangono
imprigionati in potere di sua madre Lan-
fusa. Sulla crwleltà di lei vedi Spagna, vi,
22 — s'è convenuto, ha concordato.
— 8. Malagigi... Vìt. ^eW Innamor. II,
xxii, 60 si dice che furono presi da Ferra-
guto, quindi XXIII, 3-4, furono presentati
al re Marsilio. D'allora in poi non ne sap-
piamo più nulla. L'A. riprende questo epi-
sodio per farvi agire Ruggiei-o e por le ra-
gioni della futura sua morte, avvenuta per
tradimento dei Magauzesi.
75. 7. mancia. Non è prezzo, come alcuni
intendono, ma vera tnancia, cioè una ri-
compensa a piacere del donatore, mentre
il prezzo è determinato nella quantità. In-
fatti sopra ha detto che « preziose spoglie
esso a lei dona ».
76. 5. uscir fuora; uscire a battaglia.
.— 6. L'animo ecc. É rifacimento del detto
evangelico (S. Marco, 14, 38) : « Spiritus qui-
dem promptus est caro antera inflrma », già
Se gli ha quel traditor, li fa morire:
Si che non so che far, non so che dire.
77
La dura nuova a Ricciardetto spiace;
E perché spiace a lui, spiace a Ruggiero,
Che poi che questo e quel vede che tace,
Né tra profitto alcun del suo pensiero.
Disse con grande ardir: Datevi pace :
Sopra me quest'impresa tutta chero;
E questa mia varrà per mille spade
A riporvi i fratelli in libertade.
78
Io non voglio altra gente, altri sussidi;
Ch'io credo bastar solo a questo fatto.
Io vi domando solo un che mi guidi
Al luogo ove si dee fare il baratto.
10 vi farò sin qui sentire i gridi
Di chi sarà presente al rio contratto.
Cosi dicea; né dicea cosa nuova
All'un de' dui, che n'avea visto pruova.
79
L'altro non l'ascoltava, se non quanto
S'ascolti un ch'assai parli, e sappia poco:
Ma Ricciardetto gli narrò da canto,
Come fu per costui tratto del foco,
E ch'ei'a certo che maggior del vanto
Faria veder l'effetto a tempo e a loco.
Gli diede allor udienza più che prima,
E riverillo, e fé' di lui gran stima.
80
Et alla mensa, ove la Copia fuse
11 corno, l'onorò come suo donno.
Quivi senz'altro aiuto si concluse
Che liberare i duo fratelli ponno.
In tanto sopravenne e gli occhi chiuse
Ai Signori e ai sergenti il pigro Sonno,
Fuor ch'a Ruggier ; che, per tenerlo desto,
Gli punge il cor sempre un pensier mole-
81 [sto.
L'assedio d' Agramante ch'avea il giorno
tradotto dal Petrarca, I, Son. 183: «Lo
spirto è pronto, ma la carne è stanca».
77. 4. He tra ecc. Né trae (cfr. e. xi, 12,
n. 5) dal suo meditare silenzioso alcuna de-
terminazione ad agire.
— 6. chero (lat. quaero) chiedo che sia
posta tutta sopra di me, sia affidata a me.
79. 2. sappia (lat. sapiat) abbia poco sen-
no; molta ciarla e poco senno.
— 3. da canto, in disparte. Cosi nel e. xii,
30, 4.
— 6. a tempo e a 1.; Più comunemente :
a tempo e luogo, e spesso negli antichi a
luogo e a tempo.
80. I. la Copia. V.
versò. V. e. xi, 43, n
— 3. senz' altro a
verbo liberare.
— 7. che, perché.
e VI, 73, n. 8 — fuse,
. 1.
. È complemento dei
CANIO XXV
337
Udito dal córrier, gli sta nel core.
Ben vede ch'ogrni minimo soggiorno
Che faccia d'aiutarlo, è suo disuore.
Quanta gli sarà infamia, quanto scorno,
Se coi nemici va del suo Signore!
O come a gran viltate, a gran delitto.
Battezzandosi allor, gli sarà ascritto !
82
Potria in ognaltro tempo esser creduto
Che vera religiou l'avesse mosso;
Ma ora che bisogna col suo aiuto
Agraraante d'assedio esser riscosso,
Pili tosto da ciascun sarà tenuto
Che timore e viltà l'abbia percosso,
Ch'alcuna opinion di miglior fede.
Questo il cor di Ruggier stimola e fiede.
83
Che s'abbia da partire anco lo punge
Senza licenzia de la sua Regina. [gè,
Quando questo pensier, quando quel giun-
che '1 dubbio cor diversamente inchina.
Gli era l'avviso riuscito lunge
Di trovarla al Castel di Fiordispina,
Dove insieme dovean, come ho già detto.
In soccorso venir di Ricciardetto.
84
Poi gli sovvien ch'egli le avea promesso
Di seco a Vall'orabrosa ritrovarsi.
Pensa ch'andar v'abbi ella, e quivi d'esso
81. 3. soggiorno indugio. G. Villani, 8,
52; «senza soggiorno andarono.... in Mu-
gello ».
— 4. d'aiutarlo, in aiutarlo, per aiutarlo.
É un complemento di limitazione.
— 5. gli, per lui. — Questa e la seguente
Stanza furono aggiunte per l'edizione del
1521.
— 7. 0 come, oh, come. Gli antichi molto
spesso usarono come esclamativo il solo o.
82. 3-4. bisogna... Agram. ecc.; bisogna
che Agramante sia liberato dall'assedio col
suo aiuto. Per la proposiz. infinitiva invece
del congiuntivo cfr. e. i, 48, n. 4; xlii, 32,
"ì. Per riscuotere nel senso di liberare cfr.
e. xxili, 55, n. 2.
— 5. tenuto, ritenuto, creduto.
— 7. Che. É correlativo di Più tosto del
V. 5.
83. 2. Regina, Bradamante regina del suo
cuore.
— 5-6. Gli era ecc.; l'avviso, l'idea di tro-
varla al castello di Fiordispina, dove s'erano
diretti insieme (xxii, 42-43), separandosi poi
per caso (xxii, 9s), gli era riuscita lungi
dall'intento. Riuscir lunge è brachilogia
notevole.
84. I. Poi gli aoTvien ecc. V. e. xxii, 36.
— 3. v'abbi, vi abbia, vi debba. Per la
forma abbi cfr. e. xv, 86, n. 5.
Che non vi trovi poi, maravigliarsi.
Potesse almen mandar lettera o messo.
Si ch'ella non avesse a lamentarsi
Che, oltre ch'egli mal le avea ubbidito,
Senza far motto ancor fosse partito.
85
Poi che più cose imaginate s'ebbe.
Pensa scriverle al fin quanto gli accada;
E ben ch'egli non sappia come debba
La lettera inviar si che ben vada,
Non però vuol restar; che ben potrebbe
Alcun messo fedel trovar per strada.
Pili non s' indugia, e salta de le piume :
Si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.
86
I camerier discreti et avveduti
Arrecano a Ruggier ciò che comanda.
Egli comincia a scrivere, e i saluti,
Come si suol, nei primi versi manda:
Poi narra de gli avvisi che venuti
Son dal suo Re ch'aiuto gli domanda;
E se l'andata sua non è ben presta,
U morto 0 in man de gli nimici resta.
87
Poi seguita, ch'essendo a tal partito,
E ch'a lui per aiuto si volgea^
Vedesse ella, che '1 biasmo era infinito
S'a quel punto negar gli lo volea :
E ch'esso, a lei dovendo esser marito.
Guardarsi da ogni macchia si dovea ;
Che non si convenia con lei, che tutta
Era sincera, alcuna cosa brutta.
— 4. Che non vi tr. p. Può intendersi:
maravigliarsi di esso, perché non ve lo trovi
poi (quando ella vi arrivi): oppure: mara-
vigliarsi di esso, cui non vi trovi poi(quand()
ella vi arrivi). È più probabile la prima in-
terpretazione, perché roinissione delle par-
ticelle pronominali è fi'equentissimanell'A.
85. 5. restare, lasciare di scriverle. La
corrispondenza epistolare fra gli amanti era,
nota il Raina, comune da un pezzo nei ro-
manzi di cavalleria ; per es. si trova nei
Reali di Francia.
86. 1. discreti, assennati.
— 4. Come si suol. Secondo il costume
dei Latini, la lettera cominciava sempre coi
saluti. Per es. « Cicero Terentiae suae sa-
lutem dicit ».
— 7. E se ecc. ; e che, (il quale) se l'an-
data sua non è ben presta, o resta morto
o in mano ecc.
87. 2. E che, ed essendo che. L' essendo
si supplisce facilmente, rilevandolo dal verso
precedente.
— 3. Vedesse, considerasse.
— 5. E ch'esso ecc. Dipende da seguita.
— S. sincera, pura, senza mescolanza di
male. Dante, Par., vii, 36 : « Questa natura
(umana) al suo Fattore unita, Qual fu creata
Ariosto — P.\pini
338
ORLANDO FURIOSO
88
E se mai per adietro un nome chiaro,
Ben oprando, cercò di guadagnarsi ;
E guadagnato poi, se avuto caro,
8e cercato l'avea di conservarsi ;
Or lo cercava, e n'era fatto avaro.
Poi che dovea con lei participarsi,
La qual sua moglie, e totalmente in dui
Corpi esser dovea un'anima con lui.
89
E si come già a bocca le avea detto.
Le ridicea per questa carta ancora:
Finito il tempo in che per fede astretto
Era al suo Re, quando non prima muora,
Che si farà Cristian cosi d'effetto,
Come di buon voler stato era ogni ora;
E ch'ai padre e a Rinaldo e agli altri suoi
Per moglie domandar la farà poi.
90 [eia.
Voglio (le soggiungea) quando vi piac-
L'assedio al mio Signor levar d' intorno.
Acciò che l'ignorante vulgo taccia,
Il qual direbbe a mia vergogna e scorno:
Ruggier, mentre Agramante ebbe bonac-
Mai non l'abandonò notte né giorno; [eia,
Or che Fortuna per Carlo si piega.
Egli col vincitor l'insegna spiega.
91
Voglio quindici di termine, o venti,
Tanto che comparir possa una volta.
Si che degli Africani alloggiamenti
La grave ossedion per me sia tolta.
Intanto cercherò convenienti
Cagioni, e che sian giuste, di dar volta.
fu sincera e buona ». E anche comunemente
diciamo sincero il vino puro.
88. 3-4. guadagnato ecc., guadagnatolo —
se avuto caro, Sottintendi Vavea del v. 4. —
l'avea di e, avea cercato di conservarselo.
Abbiamo dunque omissione prima, sposta-
mento poi della particella pronominale, come
spesso abbiamo trovato: V. e. i, 47, n. 6;
21, n. 7.
— 5. Or. É enfatico : ora si, ora davvero
cercava di conservarselo e n'era divenuto
avaro.
— 6. dovea... partec. doveva esser condi-
viso. Cosi, ma attivamente, nel e. xxxix,
60, 6.
— 7-8. in dui Corpi ecc. L'espressione è
della bibbia: « Erunt duo in carne una».
89. .3. il tempo, della guerra.
— 5. Che si farà ecc. Dipende da le ?'i-
dicea — d'effetto, di fatto, col fatto. Cosi
nel e xxviii, 39, 1.
91. 1. termine, tempo. V. e. xiii, 47, u. 2.
— 4. ossedion; (lat. obsidionerii), assedio.
I*iù comune la forma ossidiane, che tro-
vasi anche in prosa.
— e. dar volta; di ritornare indietro, dal
[Io vi domando per mio onor sol questo:
Tutto poi vostro è di mia vita il resto.
92
In simili parole si diffuse
Ruggier, che tutte non so dirvi a pieno;
E segui con molt'altre, e non concluse
Fin che non vide tutto il foglio pieno :
E poi piegò la lettera e la chiuse,
E suggellata se la pose in seno.
Con speme che gli occorra il di seguente
Chi alla Donna la dia secretamente.
93
Chiusa ch'ebbe la lettera, chiuse anco
Gli occhi sul letto, e ritrovò quiete;
Che '1 Sonno venne, e sparse il corpo stanco
Col ramo intinto nel liquor di Lète:
E posò fin eh' un nembo rosso e bianco
Di fiori sparse le contrade liete
Del lucido Oriente d'ogn' intorno,
Et indi usci de l'aureo albergo il giorno.
94
E poi ch'a salutar la nova luce
Pei verdi rami incominciar gli augelli,
Aldigier che voleva essere il duce
Di Ruggiero e de l'altro, e guidar quelli
Ove faccin che dati in mano al truce
Bertolagi non siano i duo fratelli.
Fu '1 primo in piede; e quando sentir lui»
Del letto uscirò anco quegli altri dui.
95
Poi che vestiti furo e bene armati.
Coi duo cugin Ruggier si mette in via,
Già molto indarno avendoli pregati
Che questa impresa a lui tutta si dia.
Ma essi, pel desir ch'han de' lor frati,
E perché lor parca discortesia,
Steron negando più duri che sassi;
campo di Agramante a voi. Petr. i, Soh,
44: « Poi torna il primo (pensiero) e questo
dà la volta ».
92. 7. g. occorra, gli si presenti, s'imbatta
in lui. V. e. vili, 3, n. 8.
93. 4. Col ramo ecc. È immagine virgi-
liana; En. V, 854: «Ecce Deus (il sonno)
ramum Lethaeo rore madentem Vique sopo-
ratum Stygia super utraque quassat Tem-
pora». La stessa immagine si trova nel carme
al Sonno dell' Unico Accolti. Mal si saprebbe
dire qual sia la fonte diretta dell'Ariosto,
che dell'Accolti stimava le opere e l'inge-
gno. (Il gran lume Aretin, 1' Unico Accolti.
XLVI, IO).
— 6. sparse le e; finché un nembo di fiori
rosso e bianco (la luce dell'aurora) sparse
le contrade. Spargere col complem. di luogo
é più della poesia che della prosa ed è '
hella derivazione dalla lingua latina. Vip.-'
GiL., Ed- 2, 40: « Spargile humuni foliis ».
94. 5. faccio, faccian. Forma antica e pò»
polare.
CANTO XXV
339
Né consentiron mai. clie solo andassi.
U6
Giunsero al loco il di che si dovea
Malagigi mutar nei carriaggi.
Era un'ampia campagna che giacca
Tutta scoperta agli Apollinei raggi.
Quivi né allùr né mirto si vedea,
Né cipressi né frassini né faggi;
Ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto
Non mai da marra o mai da voraer culto.
97
I tre guerrieri arditi si fermare
Dove un seutier feudea quella pianura ;
E giunger quivi un cavallier miraro,
Ch'avea d'oro fregiata l'armatura,
95. 8. andassi, andasse. V. e. ii, 40, n. 8.
96. 2. Malagigi; Nomina dei due il più
famoso: ma intendi anche dell'altro — mu-
tar nei e; permutare nei e. È il latino '^/ut-
fare, che però si costruisce coli' ablativo.
Orazio, Od. 3, 1, 47: « Cur valle permutem
sabina divitias opei'osiores ».
— 4. Apollinei r.; raggi d'.^pollo, del Sole.
97. 2. fendea, tagliava.
E per insegna in campo verde il raro
E bello augel che più d'un secol dura.
Signor, non più, che giunto al fin mi veggio
Di questo Canto, e riposarmi chieggio.
— 6. angel ecc.; la fenice. « Essendo una
sola la Fenice, raro è da intendersi nel
senso che sono pochi quelli che la vedono.
L'epiteto fu suggerito dal proverbio — Phoe-
nice rarior — cosi commentato da Erasmo :
De rebus aut hominibus Inventu perquani
j varia». (Romizi). — bello. Cosi la descrive
j Plinio. Hist. -V. x , 2 : « Narratur ... auri
j fulgore cii'ca colla, caetera purpureus, ce-
I ruleam roseis caudam pennis distinguenti-
bus, cristis faciem caputque, plumeo apice
cohonestante » — più d'un s. d. « Lascia in-
certa con questa espressione V indicazione
dell'età, perché se Ovidio {Met. xv, 395) se-
guito da Dante {Inf. 24, 108) le avea asse-
gnato cinque secoli di vita, altri scrittori
l'avevano fatta vivere un po' più di cinque
secoli, ed altri perfino dieci secoli » (Ro-
mizi).
CANTO XXVI
1
Cortesi donne ebbe l'antiqua etade
Che le virtù, nou le ricchezze, amaro.
Al tempo nostro si ritrovan rade
A cui, più del guadagno, altro sia caro.
Ma quelle che per lor vera boutade
Non seguon de le più lo stile avaro,
Vivendo, degne son d'esser contente;
Gloriose e immortai poi che fian spente.
2
Degna d'eterna laude è Bradamante
Che non amò tesor, non amò impero,
Ma la virtù, ma l'animo prestante,
Ma l'alta gentilezza di Ruggiero ;
E meritò che ben le fosse amante
Un cosi valoroso cavalliero;
E per piacere a lei facesse cose
Nei secoli a venir miracolose.
1. 7. contente, felici.
2. 5. ben, invero. E meritò che invero le
fosse amante, E meritò invero che le fosse
am. Tali inversioni e anche più gravi ab-
biamo rilevato spesso nel Furioso.
— 8. a venire, avvenire. L'A. ha usato la
forma primitiva; anzi ha sostituito questa
all' altra avenire della prima edizione. —
miracolose, mirabili. Si citano dai vocabolari
Ruggier, come di sopra vi fu detto.
Coi duo di Chiaramente era venuto;
Dico, con Aldigier, con Ricciardetto,
Per dare ai duo fratei prigioni aiuto.
Vi dissi ancor che di superbo aspetto
Venire un cavalliero avean veduto.
Che portava l'augel che si rinova,
E sempre unico al mondo si ritrova.
4
Come di questi il cavallier s'accorse.
Che stavan per ferir quivi su l'ale.
In prova disegnò di voler pòrse,
S'alia sembianza avean virtude uguale.
diversi esempì, ma solo questo dell'A. offre
sicuro questo significato; negli altri v'è sem-
pre l'idea del miracolo, del soprannaturale.
3. 8. unico, la fenice, che risorge dalle sue
ceneri (si rinova), ed è unico. V. e. xv, 39,
n. 3. Secondo il Boiardo, Inn. I, xviii, -),
Marflsa aveva » per cimier ne l'elmo al som-
mo loco Un drago verde, che gettava foco ».
Forse l'A. fece questa variante per indica-
re, colla Fenice, il rinnovamento morale di
Mariìsa.
4. 2. stavan... sa l'ale ; stavano sul punto
(di ferire).
340
ORLANDO FURIOSO
E di voi (disse loro) alcuno forse
Che provar voglia chi di noi più vale
A colpi o de la lancia o de la spada,
Fin che l'un resti in sella, e l'altro cada?
Farei (disse Aldigier) teco, o volessi
Menar la spada a cerco, o correr l'asta ;
Ma un'altra impresa che, se qui tu stessi,
Veder potresti, questa in modo guasta,
Ch'a parlar teco, non che ci traessi
A correr giostra, a pena tempo basta;
Seicento uomini al varco, o pivi, attendia-
[rao.
Coi qua' d'oggi provarci obligo abbiamo.
6
Per tòr lor duo de'nostri che prigioni
Quinci trarran,pietade e amor n'ha mosso.
E seguitò narrando le cagioni
Che li fece venir con l'arme indosso.
Si giusta è questa escusa che m'opponi
(Disse il guerrier), che contradir non pos-
E fo certo giudicio che voi siate jso;
Tre cavallier che pochi pari abbiate.
7 [trarrne,
Io chiedea un colpo o dui con voi scon-
Per veder quanto tosse il valor vostro ;
Ma quando all'altrui spese dimostrarme
Lo vogliate, mi basta, e più non giostro.
Vi priego ben, che por con le vostr'arme
5. 1-2. Farei teco, mi proverei teco. Fare,
usato come neutro con un termine di per-
sona retto da con, è comunissimo anch'oggi
nell'uso per provarsi, e la Crusca mi sem-
bra che non lo citi, come non lo citano altri
vocabol. Esemp. « Io, a correre, faccio con
tutti. — Vuoi fare anche con me ? » — correr
l'asta; nel e. iv, 17, 5, correr la lancia. È
espressione tecnica dei duelli e vale gio-
strare, combattere in campo.
— 6. tempo ; il tempo. V. e. n, 15, n. 8.
— 7. al varco, su quella strada per cui
dovevan passare; sul sentiero, di cui nel e.
XXV, 97. 2.
6. 2. Quinci trarran, i Maganzesi li trar- i
ranno prigionieri di qui, passando per qui.
7. 1. un colpo ; per un colpo, in un colpo. {
Piuttosto che oggetto interno, come voglio- '
no alcuni, nel qual caso si avrebbe scon-
trare non scontrarmi, abbiamo qui un
complemento di limitazione. È una specie
di limitazione di tempo, quasi dica: non
per molto tempo, ma per un solo colpo.
Cosi diremmo ; provarsi con un giuocatore
una sola partita = per una sola partita, ecc.
V. FORNACiAKi, Sint. p. 349.
— 4. dim. lo vogliate, vogliate dimostrar-
melo.
— 5. Vi pr. ben, ma vi prego. Cosi Dan-
te, Par. 15, 85 : « Ben supplico io a te vivo
topazio ».
Quest'elmo iopossa e questo scudo nostro;
E spero dimostrar, se con voi vegno.
Che di tal compagnia non sono indegno.
8
Farmi veder ch'alcun saper desia
Il nome di costui, che quivi giunto
A Ruggiero e a'compagni si oflferia
Compagno d'arme al periglioso punto.
Costei (non più costui detto vi sia)
Era Marfisa che diede l'assunto
Al misero Zerbin de la ribalda
Vecchia Gabriua ad ogni mal si calda.
9
I duo di Chiaramonte e il buon Ruggiero
L'accettar volentier ne la lor schiera,
Ch'esser credeano certo un cavalliero,
E non donzella, e non quella ch'ella era.
Non molto dopo scoperse Aldigiero,
E veder fé' ai compagni una bandiera
Che facea l'aura tremolare in volta,
E molta gente intorno avea raccolta.
10
E poi che più lor fur fatti vicini,
E che meglio notar l'abito Moro,
Conobbero che gli eran Saracini,
E videro i prigioni in mezzo a loro
Legati, e tratti su piccol ronzini
A'Maganzesi, per cambiarli in oro.
Disse Marfisa agli altri: Ora che resta,
Poi che son qui, di cominciar la festa ?
11
Ruggier rispose : Gl'invitati ancora
Non ci son tutti, e manca una gran parte.
Gran ballo s'apparecchia di fare ora;
E perché sia solenne, usiamo ogn'arte:
Ma far non ponno omai lunga dimora.
Cosi dicendo, veggono in disparte
A^enire i traditori di Maganza:
8. 8. calda, bramosa. Pulci, Morg. 14, 37:
«Che di servirlo son più di te caldo».
9. 7. Che, cui.
10. 6. camb. in ore. L'oro era una parte
dei doni, come erano parte le preziose spo-
glie del canto precedente st. 74: nella st. 12,
3, sono tutti compresi nel verso « D'oro e
di vesti e d'altri ricchi arnesi >.
— 7. che resta ecc., perché la festa resta
di cominciare ? indugia a cominciare? È si-
gnificato, che manca nei vocabolari.
11. 3. s'appar. di fare. L'infinito dipenden-
te dal verbo apparecchiarsi si usò e si usa
egualm. colla prepos. di e a. Coi sostantivi
apparecchiarsi [di una cosa) vale lìrovve-
dersi (d. u. e). Si apparecchia sta per ci
si apparecchia. La forma impersonale è
stata prodotta dalla fusione di due costrutti:
si apparecchia un gran ballo — ci si ap-
parecchia a fare un gran ballo.
— 6. in disparte, in altra parte. Petrah-
CANTO XXVI
341
Si ch'eran presso a cominciar la danza.
12
Gìungean da l'una parte i Maganzesi,
E conducean con loro i muli carchi
D'oro e di vesti e d'altri ricchi arnesi;
Da l'altra in mezzoalance, spade et archi
Venian dolenti i duo germani presi,
Che si vedeano essere attesi ai varchi:
E Bertolagi, empio inimico loro,
Udian parlar col capitano Moro.
13
Né di Buovo ilfigliuol, né queld'Amone,
Veduto il Maganzese, indugiar puote:
La lancia in resta l'uno e l'altro pone,
E l'uno e l'altro il traditor percuote.
L'ungli passa la panciae'l primo arcione.
E l'altro il viso per mezzo le gote.
Cosi n'andasserpnr tutti i malvagi,
Come a quei colpi n'andò Bertolagi.
14
Martìsa con Ruggiero a questo segno
Si muove, e non aspetta altra trombetta.
Né prima rompe l'arrestato legno,
Che tre, l'un dopo l'altro, in terra getta.
De l'asta di Ruggier fu il Pagan degno,
Che guidò gli altri, e usci di vita in fretta;
E per quella medesima con lui
Uno et un altro andò nei regni bui.
15
Di qui nacque un error tra gli assaliti,
Che lor causò lor ultima mina,
Da un lato i Maganzesi esser traditi
Credeansi da la squadra Saracina;
Da l'altro, i Mori in tal modo feriti
L'altra schiera chiamavano assassina:
CA, IV, canz. 4: «e in dispaiate Cercar gente
e gradire ecc. ».
12. 6. Che si vedeano ecc., che vedeano sé
essere attesi. È costrutto imitato dai Latini,
che dopo i verba sentiendi esprimono il
soggetto della prop. dipendente anche quan-
do è lo stesso della principale. — ai Tarchi,
al punto convenuto per passare da una
parte all'altra, da un padrone all'altro.
13. 1. Ho di B. ecc. Né Aldigieri, né Ric-
ciardetto.
— 5. primo arcione. V. e, ii, 7, n. 7.
— 6. per mezzo le g. Per il costrutto cfr.
e. VI, 23, n. 8. Questo colpo dimostra che
Ricciardetto lo colpi di fianco mentre Aldi-
gieri lo colpiva di fronte.
14. 3. arrestato 1.; la lancia messa in re-
sta. V. e. XV, 51, 4.
— 4. getta. Più comunemente il congiunt.
getti dipendente da prima che. V. e. v, 26,
n. 7.
— 5. degno, meritevole. Essendo egli il
capo, meritava ì" onore d' esser colpito pel
primo da quella lancia.
i E tra lor cominciar con fiera clade
1 A tirar archi, e a menar lancie e spade.
i 16 (quella
! Salta ora in questa squadra et ora in
j Ruggiero, e via ne toglie or dieci or venti :
; Altri tanti per man de la Donzella
ì Di qua e di là ne son scemati e spenti.
I Tanti si veggon gir morti di sella,
I Quanti ne toccan le spade taglienti,
A cui dan gli elmi e le corazze loco,
Come nel bosco i secchi legni al fuoco,
17
Se mai d'aver veduto vi raccorda,
O rapportato v'ha fama all'orecchie,
Come, allor che '1 collegio si discorda,
E vansi in aria a far guerra le pecchie,
I Entri fra lor la rondinella ingorda,
I E mangi e uccida e guastine parecchie;
j Dovete imaginar che similmente
j Ruggier fosse e Marfisa in quella gente.
! . 18
Non cosi Ricciardetto e il suo Cugino
Tra le due genti variavan danza,
'• Perchè lasciando il campo Saracino
Sol tenean l'occhio all'altro di Maganza.
Il fratel di Rinaldo paladino
1 Con molto animo avea molta possanza,
E quivi raddoppiar glie la facea
L'odio che contra a i Maganzesi avea.
19
I Facea parer questa medesma causa
Un leon fiero il bastardo di Buovo,
Che con la spada senza indugio e pausa
Fende ogn'elmo, e lo schiaccia come un
E qual persona non saria stata ausa, [ovo.
Non saria comparita un Ettor nuovo,
Marfisa avendo in compagnia e Ruggiero,
Ch'eran la scelta e '1 fior d'ogni guerriero?
20
Marfisa tuttavolta combattendo.
Spesso ai compagni gli occhi rivoltava;
E di lor forza paragon vedendo,
15. 7. clade, strage. Latinismo usato dal-
l'Ariosto forse per la prima volta, poi an-
che da altri.
— 8. A tir. archi, a trarre con archi.
Dante, Inf., 12, 63: « Ditel costinci, se no
l'arco tiro ».
17. 1. raccorda. V. e. xxil, 72, n. 3.
— 3. il collegio si d. ; lo sciame viene in
discordia.
— 7. similmente.... fosse, cosi fosse come
la rondinella fra le pecchie.
19. 2. il h. di BnoTo, Aldigieri. V. e. xxv, 72.
— 3. 8. indugio e pausa, senza ritardo e
senza riposo.
— 5. ansa, ardita. Latinismo [ausus) già
usato da Dante, Par. 32, 63; «Che nulla
volontade è di più ausa ».
20. 3. paragon, prova. V. e. i, 61, n; 4.
342
ORLANDO FURIOSO
Con maraviglia tutti li lodava:
Ma di Ruggier pur il valor stupendo
E senza pari al mondo le sembrava:
E talor si credea che fosse Marte
Sceso dal quinto cielo in quella parte.
21
Mirava quelle orribili percosse,
Miravale non mai calare in fallo:
Parca che centra Balisarda fosse
Il ferro carta e non duro metallo.
Gli elmi tagliava e le corazze grosse,
E gli uomini fendea fin sul cavallo,
E li mandava in parte uguali al prato,
Tanto da l'un quanto da l'altro lato.
22
Continuando lo medesma botta,
Uccidea col signore il cavallo anche.
I capi dalle spalle alzava in frotta,
E spesso i busti dipartia da l'anche.
Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta:
E se non che pur dubito che manche
Credenza al ver c'ha faccia di menzogna.
Di più direi ; ma di meu dir bisogna.
2»
Il buon Turpin, che sa che dice il vero,
E lascia creder poi quel ch'all'uom piace,
Narra mirabil cose di Ruggiero,
Ch'udendolo, il direste voi mendace.
Cosi parca di ghiaccio ogni guerriero
Contra Martìsa, et ella ardente face;
E non men di Ruggier gli occhi a sé trasse,
Ch'ella di lui l'alto valor mirasse.
24
E s'ella lui Marte stimato avea,
Stimato egli avria lei forse Bellona,
Anche in prosa si usò in questo senso;
Dino Comp. 3. 16 : « Molte volte i tempi son
paragone degli uomini »,
— 5. pur, nondimeno. Cioè: sebbene am-
mirasse tutti, nondimeno le pareva stupendo
e senza pan ecc.
— 8. dal q. cielo. Marte è il nome del
quinto cielo nel sistema planetario di To-
lomeo. Qui il poeta Ange che il pianeta sia
pure la sede del dio.
21. 7. parte, parti. V. e. ix, si, n. 1.
22. 3. in frotta; in gran quantità.
— 7. al ver ecc. Dantk, Inf. 16, 120:
« Sempre a quel ver, C ha faccia di menzo-
gna ».
— 8. di men dir b. ; bisogna dire di meno ;
cioè meno della verità, per non parer men-
daci.
23. 7. E non men ecc. Ed essa non trasse
l'attenzione di Ruggiero meno di quanto
ammirasse il valore di lui. — mirare per
aminirare già usò Dante, Purg. 12,66:
« Mirar farieno ogn' ingegno sottile ».
24. 2. Bellona; Antica divinità italica, che
presedeva alla guerra.
Se per donna cosi la conosce»,
Come parca il contrario alla persona.
E forse emulazion tra lor uascea
Per quella gente misera, non buona.
Ne la cui carne e sangue e nervi et ossa
Fan prova chi di loro abbia più possa.
2.J
Bastò di quattro l'animo e il valore
A far ch'un campo e l'altro andasse rotto.
Non restava arme a chi fuggia, migliore
Che quella che si porta più di sotto.
Beato chi il cavallo ha corridore;
Ch'in prezzo non è quivi ambio né trotto :
E chi non ha destrier, quivi s'avvede
Quanto il mestier de l'arme è tristo a piede.
26
Rimau la preda e '1 campo ai vincitori,
Che non è fante o mulattier che resti.
Là Maganzesi, e qua fuggono i Moii;
Quei lasciano i prigion, le some questi.
Furon, con lieti visi e più coi cori,
Malagigi e Viviano a scioglier presti;
Non fur men diligenti a seiorre i paggi,
E por le some in terra e i carriaggi.
27
Oltre una buona quantità d'argento
Ch'in diverse vasella era formato.
Et alcun muliebre vestimento,
Di lavoro bellissimo fregiato,
E per stanze reali un paramento
— 5. nascea ; sarebbe nata. È coordinata
a stimato avria.
— 6. non bnona, emulazione non buona,
non utile per quella gente misera.
25. 4. quella ecc. È detto scherzosamente
j per le ijaìnbe del cavallo. Il Nisiely taccia.
I d'oscura quest'espressione, ma oltre che vi
è lo scherzo, è dichiarata da quanto segue.
' — 6. ambio (da ainbìare, lat. aìnbulare);
quel passo affrettato dei cavalli, per quale
I alternativamente muovono insieme le gambe
I dall'uu lato, poi quelle dell'altro: dicesi an-
j che portante. Non valeva dunque né ambio,
né trotto ; era necessario il galoppo preci-
pitoso.
26. 3. Maganzesi, ì Maganzesi. V. e. ii, 15,
n. 8.
— 4. Quei... questi. Come nel e. xxix, 24,
S; anche qui sembra che fiuei si riferisca
al secondo termine, questi al primo ; poi-
ché ancora non erano stati consegnati i
: prigionieri, quando Aldigieri e Ricciardetto
i attaccarono la zuffa (st. 13).
I — 5. pili coi cori; più che coi lieti visi,
' coi cori lieti.
i — 7. i paggi È soggetto.
27. 2. ch'in d. vaaella ecc. Vuol dire che
j dettero oggetti d'ai-gento, vasellami d' ar-
I gento.
CANTO XXVI
343
D'oro e di seta in Fiandra lavorato,
Et altre cose ricche in copia grande;
Fiaschi di vin trovar, pane e vivande.
28
Al trar degli elmi, tutti vider come
Avea lor dato aiuto una donzella.
Fu conosciuta all'aui'ee crespe chiome,
Et alla faccia delicata e bella.
L'onoran molto, e pregano che '1 nome
Di gloria degno non asconda; et ella,
Che sempre tra gli amici era cortese,
A dar di sé notizia non contese.
29
Non si ponno saziar di riguardarla;
Che tal vista l'avean ne la battaglia-
Sol mira ella Euggier, sol con lui parla:
Altri non prezza ; altri non parche vaglia.
Vengono i servi intanto ad invitarla
Coi compagni a goder la vettovaglia.
Ch'apparecchiata avean sopra una fonte
Che difendea dal raggio estivo un monte.
30
Era una de le fonti di Mei'lino,
De le quattro di Francia da lui fatte,
— 0. D'oro ecc. lavorato con oro e seta
in Fiandra, dove si facevano bellissimi araz-
zi per tappezzare stanze (paramento), i
quali presero appunto il loro nome da Ar-
ras (Arazzi), città un tempo appartenente
ai Paesi Bassi.
28. 8. non contese, non fece difficoltà. Si-
gnificato affine ha nel e. xlvi, 71, l. « non
contese Ai prieghi loro ». In questo senso
è più comune il riflessivo contendersi (Tav.
Rot. 1, 452 : « E lo scudiero a ciò si conten-
dea »); ma è una mancanza della nuova Cru-
sca non citare anche quest'uso notevole e
buono.
29. 2. tal; tale quale sopra la ho descritta,
cioè cosi prode.
30. 2. De le quattro ecc. Di queste quat-
tro fonti, nota il Raina, non sappiamo nulla
di certo dai poemi cavallereschi precedenti.
Il Boiardo parla di tre fontane : quella del
disamore, Inn. I, in, 33; quella dell' amore
n, XV, 58. Di essa il Boiardo, I, ni, 38 dice :
« Già non avea Merlin questa incantata » ;
ma nel e. II, xv, 59, dice che Merlino edificò
la fontana del disamore i>er /"«''^ ammende.
Questo secondo luogo può aver fatto cre-
dere all'A. che dal Boiardo si ritenesse ope-
ra di Merlino. Finalmente «la fonte del pino.
Dove si dice al petron di Merlino » I, i, 27 ;
ma non è detto che l' avesse fatta Merlino.
Forse l'A. ebbe in mente queste tre e imma-
ginò per suo comodo la quarta. — di Francia;
poiché Merlino ne avea fatte anche nella
.•spagna, come si legge nel poema di que-
sto nome.
D'intorno cinta di bel marmo fino
Lucido e terso, e bianco più che latte.
Quivi d'intaglio con lavor divino
Avea Merlino iraagini ritratte:
Direste chfe spiravano, e, se prive
Non fossero di voce, ch'eran vive.
31
Quivi una bestia uscir de la foresta
Parea, di crudel vista, odiosa e brutta,
Ch'avea l'orecchie d'asino, e la testa
Di lupo e i denti, e per gran fame asciutta;
Branche avea di leon; l'altro che resta.
Tutto era volpe; e parea scorrer tutta
E Francia e Italia e Spagna et Inghilterra,
L'Europa e l'Asia, e al fin tutta la terra.
32
Per tutto avea genti ferite e morte.
La bassa plebe e i più superbi capi:
Anzi nuocer parea molto più forte
A Ee, a Signori, a Principi, a Satrapi.
Peggio facea ne la Eomana corte;
Che v'avea uccisi Cardinali e Papi:
Contaminato avea la bella sede
Di Pietro, e messo scandoi ne la Fede.
33
Par elle dinanzi a questa bestia orrenda
— 3- D'intorno c- Vuol dire che intorno
alla sorgente si era costruito questo arti-
stico lavoro in marmo. Avverte il Raina che
le fonti sono un elemento indispensabile e
caratteristico del ciclo d'Artù; ma non so-
gliono avere ornamenti di sorta. Nel Boiardo
e nell'Ariosto senti già, negli ornamenti,
l'arte del Rinascimento.
— 5. d'intaglio ecc.; con divino, eccel-
lente lavoro d'intaglio.
— 7. spiravano ; respiravano. È il latino
spirare. Fu già usato più volte da Dante,
Inf. 28, 131; Purg. 2, 68.
31. 1. una bestia. È la personificazione
della cupidigia o, come altri vogliono, del-
l'avarizia, ma intesa in largo senso. È in
somma la lupa Dantesca, da cui l'A. tolse
certo ispirazione.
— 3. l'orecchie d'as. Forse a significare
che l'avarizia non si scompagna mai da
ignoranza: l'avaro infatti ignora il valore
e l'ufficio del danaro. Cosi le branche di
leone dicono che l'avaro è crudele; la testa.
e i denti di lupo ne dicono, con la ma-
grezza, l'insaziabile avidità, le parti volpi-
ne, gli inganni e le astuzie.
32. 4. Satrapi, Satrapi (da una parola per-
siana, che vale governatore d'una prò-.,
vincia). Qui il nome d'una dignità Asiatica
illustra ciò che ha detto sopra: l'Europa,
e l'Asia.
— 5. ne la R. corte. È il Concetto di Dante,,
Inf.l, 47; 19, 112; già accennato dall' a.
anche nel e. vii, 4, 6-7.
344
ORLANDO FURIOSO
Cada ogni muro, ogrni ripar che tocca.
Non si vede città che si difenda:
Se l'apre incontra ogni castello e rocca.
Par che agli onor divini anco s'estenda,
E sia adorata da la gente sciocca,
E che le chiavi s'arroghi d'avere
Del cielo e de l'abisso in suo potere.
34
Poi si vedea d' imperiale alloro
Cinto le chiome un cavallier venire
Con tre giovini a par, che i Gigli d'oro
33. 5-8. Par che ecc. Alcuni commenta-
tori rilevano in questo luogo, assai indeter-
minatamente, un accenno all' avarizia dei
papi; ma, lasciando stare altre difficoltà,
sarebbe una ripetizione della stanza prece-
dente, al che s' oppone lo stesso contesto.
Intendi dunque in generale del ministero
ecclesiastico, che, mentre si dovrebbe eser-
citare pel solo amore di Dio e delle anime,
si esercita per amore di lucro, coll'intento
di crescere in potenza e ricchezza. E si fa
credere al volgo che, pagando, più o meno,
indulgenze, espiazioni, preghiere, otterrà
più 0 meno agevolmente la salute dell'anima
Cosi l'avarizia arriva ad avere (si estende)
presso la gente sciocca, l'onore di aprire e
chiudere le porte del cielo e dell' inferno,
che è davvero un onore divino.
34. 2. nn cavallier. Questo e i tre giovani
sono certamente gli stessi quattro nominati
nella stanza seguente. Ma chi è questo ca-
valiere? Francesco I o Massimiliano? I più
dicono che sia Francesco I, e ciò sarebbe
confermato dalla corrispondenza nell'ordine
dei nomi nella stanza che segue ; dall' impor-
tanza capitale, che nelle stanze 43-47 il poeta
dà al re francese; dalla maggiore impres-
sione, che le prime gesta di Francesco I do-
vettero fare sull'animo del poeta; finalmen-
te dalla uguaglianza degli attributi, che si
vedono nelle stanze 34 e 47 (imperiale al-
loro — imperator. Cesare ecc.). Il Ruscelli
trova strana la st. 47 dopo i rovesci di Fran-
cesco I; e dice d' aver visto una giunta ma-
noscritta dell'A., dove quella st. si riferiva
a Carlo V. Ma tali fantasie non hanno al-
cun valore. Il P. ha conservato ciò, che scris-
se di Francesco I nel suo primo anno fortu-
nato di regno. Nell'ediz. del '16, alla st. 35, 5
si leggeva « E Carlo di Borgogna che di lan-
cia». — Altri oppongono che se Francesco I
è il cavaliere, Massimiliano d'Austria sarà
uno dei tre giovini ; ma nel 1515 o nei primi
giorni del '16 quando furono composte que-
ste stanze, Massimiliano aveva 56 o 57 anni,
e sarebbe stato chiamato giovane come
Carlo V, che ne aveva 15 e Enrico vili, che
ne aveva 24: ciò pai-e un' ironia. In ogni mo-
do sembra preferibile la prima interpreta-
zione ; e per le difficoltà accennate, si può
Tessuti avean nel lor real vestire;
E, con insegna simile, con loro
Parca un Leon centra quel Mostro uscire.
Avean lor nomi chi sopra la testa,
E chi nel lembo scritto de la vesta.
35
L'un ch'avea fin a l'elsa ne la pancia
La spada immersa alla maligna fera,
Francesco primo, avea scritto, di Francia:
Massimigliano d'Austria a par seco era;
E Carlo quinto, Imperator, di lancia
credere o che l'A. non avesse ben presente
l'età di Massimiliano, o che, trattandosi di
una predizione del futuro, si compiacesse di
considerare quel principe nell'età più fioren-
te, prescindendo dal tempo, in cui scriveva
queste ottave. — Francesco I è cinto della
corona triumphalis (V. e. xiv, 4, n. 5) per la
vitto ria riportata sugli Svizzeri a Marignano.
— 3. i gigli d'oro. Perché tutti hanno i
gigli d'oro? Si rifletta che qui non sono uno
stemma, ma un'insegna cavalleresca. Ora
come i membri d'una stessa gesta avevano
spesso le stesse insegne (cfr. Innamorato
III, VI, 41), cosi le hanno questi, che il Poeta
considera uniti, dai sentimenti e dallo scopo,
in una sola famiglia. E poiché pone a capo
dell'impresa il re di Francia, dà a tutti per
insegna i gigli d'dro francesi.
— 6. ■nn Leon, Leone X.
— 7. sopra la testa, nell'orlo dell'elmo,
dove spesso si leggevano i nomi dei guer-
rieri, che lo portavano. V. e. xii, 60, 2. Per
il leone cfr. str. 36, 1.
— 8. scritto, scritti. Per questa sconcor-
danza del predicato con l' oggetto cfr. e, v,
58, 5. E lo stesso abbiamo nella st. 39, 1.
Avverti dunque che nei due esempi il parti-
cipio è predicativo e si deve intendere cosi :
portavano i loro nomi scritti chi sopra la
testa, chi ecc.
35. 3. Francesco pr. (1494-1547) re di Fran-
cia dal 1515, fu veramente splendido prin-
cipe, pri'ino gentiluomo di Francia, aman-
te delle parate e del lusso.
— 4. Massimigliano, (1459-1519), impera-
tore, fu non liberale, ma scialacquatore, si
da meritare il soprannome di Massimiliano
senza danari.
— 5. Carlo quinto. Nelle due prime ediz.
si leggeva Carlo di Borgogna. Questi, che
fu poi Carlo V, fu designato come duca di
Borgogna per i diritti ereditati dall' ava
Maria moglie dell'imperatore Massimiliano,
e figlia di Carlo il Temerario ultimo duca
di Borgogna. Queste stanze furono com-
poste probabilmente fra l' agosto del 1515
(battaglia di Marignano) e la fine di gennaio
del 1516, prima che Carlo succedesse in Spa-
gna a Ferdinando il Cattolico (m. 23 genn.
1S16); poiché non si fa nessun cenno del
CANTO XXVI
346
Avea passato il Mostro alla gorgiera :
E l'altro che di strai gli fige il petto,
L'ottavo Enrigo d'Inghilterra è detto.
36
Decimo ha quel Leon scritto sul dosso,
Ch'ai brutto Mostro i denti ha ne l'orecchi;
E tanto l'ha già travagliato e scosso,
Che vi sono arrivati altri parecchi.
Parca del mondo ogni timor rimosso ;
Et in emenda degli errori vecchi
Nobil gente accorrea, non però molta,
Onde alla belva era la vita tolta.
37
I cavallieri stavano e Marfisa
Con desiderio di conoscer questi,
Per le cui mani era la bestia uccisa.
Che fatti avea tanti luoghi atri e mesti.
Avvenga che la pietra fosse incisa
Dei nomi lor, non eran manifesti.
gran regno che ereditò. L'A. poi mise in
vista questo giovinetto, non tanto per le
prove di grandezza e liberalità, quanto piut-
tosto per le speranze, che offriva la sua fu-
tura potenza. — Solo per l'ediz. del 1532 l'A.
scrisse Carlo Quinto imperator, e forse,
per memoria della passata gloria, lasciò in-
variato quello, che avea detto di Francesco I.
— 6. gorgiera, gola. Dante, Inf. 32, 120:
« A cui segò Fiorenza la gorgiera ». Pro-
priamente gorgiera è un collaretto di tela.
— 6. L'ottavo Enrigo. Enrico Vili (1491-
3547) «cominciò splendidamente con feste,
tornei, caroselli ; spingeva coll'esempio i
signori a metter fuori le nascoste ricchez-
ze» (CAntù). Favori lettere e arti; ma si
bel princij)io fu oscurato da una virilità
scapestrata e crudele.
36. 2-4. Leone X era già papa da tre
anni (febbraio 1513); e, quantunque il Poeta
avesse già provato per conto suo la poca
liberalità di lui (Sat. vi), pure, vedendo la
larghezza e munificenza, che in mille modi
dimostrava, lo mette qui come primo ad
assalire il mostro, che sarà poi finito dai
cavalieri accorsi e da parecchi altri arri-
vati appresso loro.
— 2. i denti ecc. L' immagine è tolta
dalla caccia ai grossi animali ; nella quale
i cani, raggiunta la preda, l'afferrano, per
gli orecchi e la tengono ferma, finché arri-
vino i cacciatori.
— 7. Hobil gente ecc. Sopra ha detto al-
tri parecchi, intendendo di molti generosi,
che per natura loro e per tradizione son
nemici d'avarizia: qui dice non molta la
nobil gente, che viene a emendare errori
vecchi, accennando alla difficoltà di abban-
donare questo vizio per chi n'è afflitto.
37. 4. atri, tetri. Il Petrarca, I, Son. KKJ :
■« atra e tempestosa onda marina ».
— 6. manifesti, noti nella loro storia.
Si pregavan tra lor, che, se sapesse
L'istoria alcuno, agli altri la dicesse.
.38
Voltò Viviano a Malagigi gli occhi,
Che stava a udire, e non facea lor motto:
A te (disse) narrar l'istoria tocchi,
Ch'esserne dei, per quel ch'io veggia, dot-
Chi son costor checon saette e stocch' [to.
E lance a morte han l'animai condotto?
Eispose Malagigi: non è istoria
Di ch'abbia autor fin qui fatto memoria.
39 [no
Sappiate che costor che qui scritto han-
Nel marmo i nomi, al mondo mai non furo;
Ma fra settecento anni vi saranno
Con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator Britanno,
P"'e'far la fonte al tempo del Re Arturo;
E di cose ch'ai mondo hanno a venire.
La fe'da buoni artefici scolpire.
Questa bestia crudele usci del fondo
De lo'nferno a quel tempo che tur fatti
Alle campagne i termini, e fu il pondo
Trovato e la misura, e scritti i patti.
Ma non andò a principio in tutto '1 mondo;
Di sé lasciò molti paesi intatti.
38. 3. A te... tocchi. A te sia data l'inca-
I rico. Tocca a te significherebbe è ufficio
' tuo per natura stessa delle cose o delle
ì circostance: l'imperativo tocchi significa
un incarico dato dalla volontà degli altri e
I vale press' a poco : vogliamo che tu narri
j ecc.
I — 4. p. q. eh* io veggia. Il congiuntivo in-
j dica maggior riserbo dell' indicativo: per
I quello che posso conoscere.
i 39. 1. scritto h. ecc.; coloro, che hanno i
j loro nomi scritti qui nel marmo. Per la
t sconcordanza del participio cfr. e. v, 58,
n. 5.
I — 4. secolo fatnro, tempo avvenire. Se-
colo per tempo, al singol. usò anche Matt.
Villani I, 1 : « rinnovellamento di secolo »;
ma è raro.
— 5. Merlino ecc. La dote principale di
Merlino è, come nota il Raina, la prescienza.
Fin dalla prima metà del sec. xii erano di-
vulgatissime in Europa le pretese sue pro-
fezie in linguaggio nebuloso e simbolico.
Per Merlino cfr. e. in, 9, 4; e per .\rtù e.
IV, 52, n. 7.
40. 3. il pondo (lat. pondus) il peso. L'a-
varizia appari quando cominciò la pro-
prietà.
— 4. scritti i patti, fatti i contratti per
iscritto. Ciò non è esatto, perché la scrit-
tura è molto posteriore alle altre necessità
sociali, come alla proprietà, al peso, alla
moneta ecc.
346
ORLANDO FURIOSO
Al tempo nostro in molti lochi sturba;
Ma i populari offende e la vii turba.
41
Dal suo principio infin al secol nostro
Sempre è cresciuto, e sempre andrà cre-
[scendo:
Sempre crescendo, al lungo andar fìa il
Mostro
Il magrgior che mai fosse e lo più orrendo.
Quel Fiton che per carte e per inchiostro
S'ode che fu si orribile e stupendo,
Alla metà di questo non fu tutto,
Né tanto abominevol né si brutto.
42
Farà strage crudel, né sarà loco
Che non guasti, contamini et infetti;
E quanto mostra la scultura, è poco
De' suoi nefandi e abominosi effetti.
Al mondo, di gridar mercé già roco,
Questi dei quali i nomi abbiamo letti.
Che chiari splenderan più che piropo.
Verranno a dare aiuto al maggior uopo.
43
Alla fera crudele il più molesto
Non sarà di Francesco il Re de'Franchi:
E ben convien che molti ecceda in questo,
E nessun prima e pochi n'abbia a'fìanchi;
Quando in splendor real, quando nel resto
— 8. populari (lai. populares). Si usò
spesso dagli antichi per popolani ; qui vale
popolazzo. Confrontando ciò con la st. 32,
si rileva che 1' A. per populari e per vif
turba intende quelli, che non hanno nobiltà
d'animo e generosi sentimenti in qualunque
grado si trovino.
41. 3. il Mostro. È soggetto. Il mostro di-
verrà il maggiore ecc.
— 5. Fiton, o Pitone, serpente favoloso
nato dopo il diluvio dal limo della terra e
ucciso dai dardi d'Apollo. — per carte e p. in.
(V. e. XX, -i, n. 3) dagli scritti degli antichi.
Per nel senso di da è latinismo frequente
nei nostri scrittori.
— 6. stupendo, che induce stupore. Que-
sto è il suo primo e vero senso, per ciò si
dice di cosa bella e di brutta egualmente.
— 7. Alla metà ecc., lutto (computandolo
tutto) non fu alla metà, la metà, di questo.
Son notevoli nella nostra lingua questi modi
avverbiali di quantità: alla metà, al doppio,
a cento volte e simili, vivissimi ancora.
42. 3. E quanto. Costruisci : E quanto mo-
stra la scultura dei suoi nefandi e ab. eff.
è poco (in confronto della realtà).
_ 5. di gridar ecc. Petrarca, Tr. M. 2,
142: «di mercé chiamar già roco».
— 7. piropo. V. e. II, 56, n. I.
43. 1. il p. molesto; un più raol. V. e. vi,
20, n. 4.
— 5. Quando, poiché. V. e. I, 18, n. 3.
— 6. nel resto d. t.; nelle rimanenti virtù.
[Di virtù, farà molti parer manchi,
1 Che già parver compiuti, come cede
Tosto ogn'altro splendor, che '1 sol si vede.
! 44
L'anno primier del fortunato regno.
Non ferma ancor ben la corona in fronte.
Passerà l'Alpe, e romperà il disegno
Di chi all'incontro avrà occupato il monte.
Da giusto spinto e generoso sdegno,
Che vendicate ancor non sieno l'onte
Che dal furor da paschi e raandre uscito
L'esercito di Francia avrà patito.
45
E quindi scenderà nel ricco plano
DiLombardia, col fior di Francia intorno,
E si l'Elvizio spezzerà, eh' in vano
Farà mai più peusier d'alzare il corno.
Con grande e de la Chiesa e de l'Ispano
Campo e del Fiorentin vergogna e scorno
Espugnerà il Castel che prima stato
Sarà non espugnabile stimato.
È uso affine al latino: reliquum noctis,
anni ecc. — manchi, manchevoli. Cosi nel
e. XLV, 51, 2 ; Dante, Purg. 12, 78.
— 8. che. È correlativo di tosto.
44. 2. Non ferma ecc. É detto in generale
per indicare ohe ancora, come nuovo re,
non avea quell'autorità e quell'esperienza,
che vengono dal tempo.
— 3-4. Passerà 1' A. Venne in Italia nel-
l'agosto del 1515. Mentre Prospero Colonna
e gli Svizzeri l'aspettavano a Susa per i
soliti sbocchi, passò, per consiglio di Gian
Jacopo Trivulzio, per i gioghi dell' Argen-
tiera. ^
— 6. vendicate ecc. Nel giugno del 1513 i
Francesi erano stati battuti a Novara dagli
Svizzeri e il ducato di Milano era stato ri-
preso da Massimiliano Sforza. Francesco I
venne per riconquistare il ducato e per ven-
dicare la disfatta del 1513.
— 7. da paschi e m.; dagli Svizzeri, che
erano quasi tutti pastori e bifolchi.
45. 3. 1' Elvezio sp.. Nella famosa batta-
glia di Marignauo, che il Trivulzio chiamò
battaglia di giganti.
— 4. mai più ; altra volta. È modo non ci-
tato dai vocabolari. Ma forse più che un si-
gnificato nuovo di mai più è da vedervi la
fusione di due costrutti più volte notata :
invano farà pensier d' alzare il corno — non
farà mai più pensier d' alzare il corno. V.
e. II, 6, n. 3.
— 5-6. de la Chiesa ecc. Con gran vergo-
gna di papa Leone X, di Ferdinando re di
Spagna e dei Fiorentini collegati cogh Sviz-
zeri.
— 7. il Castel, di Milano. « Essendo il ca-
stello fortissimo, abbondante di tutte le
provvisioni necessarie a difendersi ed a te-
CANTO XXVI
347
46 [molto
Sopra ogu' altr' arme, ad espugnarlo,
Più gli varrà quella onorata spada
Con la qual prima avrà di vita tolto
IJ Monstro corruttor d'ogni contrada.
Convien ch'inanzi a quella sia rivolto
In fuga ogni stendardo, o a terra vada;
Né fossa né ripar né grosse mura
Possan da lei tener città sicura.
47
Questo principe avrà quanta eccellenza
Aver felice Imperator mai debbia;
L'animo del gran Cesar, la prudenza
48
Cosi diceva Malagigi, e messe
Desire a'cavallier d'aver contezza
Del nome d'alcun altro ch'uccidesse
L'infernal bestia, uccider gli altri avvez-
Quivi un Bernardo tra'primi si lesse, [za.
Che Merlin molto nel suo scritto apprezza
Fia nota per costui (dicea) Bibiena,
Quanto Fiorenza sua vicina e Siena.
49
Non mette piede inanzi ivi persona
A Sismondo, a Giovanni, a Ludovico:
Un Gonzaga, un Salviati, un d'Aragona,
Di chimostrolla a Trasimeno e a Trebbia, Ciascuno al brutto Mostro aspro nimicò
Con la fortuna d'Alessandro, senza
Cui saria fumo ogni diseguo, e nebbia.
Sarà si liberal, ch'io lo contemplo
Qui non aver né paragon né esemplo.
nersi, e dove erano più di duemila uomini
da guerra» (Guicciardini), Massimiliano ^
Sforza vi si rinchiuse. Pietro Xavarra col- ConOttobondalFliscOiSinibaldo I metta.
V e Francesco Gonzaga, né abandona
Le sue vestigia il tiglio Federico;
Et ha il cognato e il genero vicino.
Quel di Ferrara, e quel Duca d'Urbino.
50
De l'un di questi il figlio Guidobaldo
Non vuol che '1 padre o ch'altri adietro il
l'esercito francese lo assali accanitamente
ma non si può dire che lo espugnasse ve-
ramente colle armi; che Massimiliano si
arrese.
46. 1. Sopra ogn'a. a. È impossibile non
vedere qui un'allusione alle arti del re fran-
cese per comprare alcuni dei più influenti,
che si trovavano nel castello e che consi-
gliarono al duca la resa. Il Guicciardini
dice che il consigliere pii'i insistente fu Gi-
rolamo Morone, il Giovio scagiona questi
e accusa un certo Giovacchino, che sollevò
i soldati, e Filippo dal Fiesco. L' allusione
alla potenza dell'oro in questa conquista è
anche più chiara negli ultimi quattro versi
della stanza.
— ■^. molto pili. Avverti il cumulo di que-
Caccia la fera, e van di pari in fretta.
Luigi da Gazolo il ferro caldo
i conterapor-anei, né predecessore, che gli
abbia servito d'esempio.
48. 4. uccider... avv. ; avvezza a uccider.
— 5. un Bernardo. Bernardo Dovizi (1470-
1520), di Bibbiena (piccola terra del Casen-
tino) cardinale, autore della commedia in
prosa Calandria. Fu al servizio dei Medici
iu Firenze, e specialmente del cardinal Gio-
vanni. Fu munifico protettore di letterati e
d'artisti. — Dice che per lui Bibbiena diven-
terà nota quanto erano note Firenze e Siena.
E qui si rammenti che Siena era una delle
città più importanti e più note della To-
ste espressioni superlative : sopra ogni al- ' scana in quel tempo,
tra arme... molto più gli varrà. Comune- ! 49. a-3. Sismondo ; Sigismondo Gonzaga,
mente si direbbe : sopra oon' altra arme j cardinale (ni. 1525^ — Giovanni Salviati, car-
c/li varrà; oppure: molto più d' ogn' altra
arme oli varrà. — La spada è la liberalità ;
e forse la dice onorata, perché non ha da
notar che vittorie, senz' alcuna sconfitta.
— 8. Possan; conviene, è necessario che
non abbian forza d'assicurare contro que-
sta spada alcuna città.
47.2. Imperator (lat. imperator) capitano.
— 3. la prudenza. Intendo, col Romizi, la
perizia, la. pratica di guerra, secondo l'uso
latino (prudentia rei militaris), mostrata da
Annibale nelle battaglie del Trasimeno i,2l7
a. C), e della Trebbia (218 a. C.) contro i
Romani. I vocabolari non rilevano chiara-
mente questo significato con esempi oppor-
tuni.
— 7. lo contemplo, l'osservo con compia-
cenza non aver quivi; osservo con com-
piacenza ch'egli non ha quivi.
— 8. ne paragon n. es.; né confronto fra
dinaie, nipote di Leone X; — Ludovico d'Ara-
gona, cardinale.
— 5-S. Francesco G. (1466-1519). Marchese
di Mantova dal U8l, favori le arti e le let-
tere. Federigo, suo figlio, gli successe nel
marchesato (V. e. xxxni, 45, u. 7). Coimato
di Francesco era Alfonso I di Ferrara, che
ne aveva sposata la sorella Isabella; genero,
Francesco Maria della Rovere duca d' Ur-
bino, che ne aveva in moglie la figlia Eleo-
nora.
50. 1 Guidobaldo II, figlio di Francesco
Maria della Rovere.
— 3. Ottobono e Siuibaldo Fieschi, di
Genova, erano fratelli, da non confondersi
con i due omonimi, che furono papi (Inno-
cenzo IV, Adriano V).
— 5. Iiuigi da G.; Luigi Gonzaga, detto (/(i
Gazolo da uu suo castello sul Mantovano,
era di gran forza e ardire e perciò fu chia-
348
ORLANDO FURIOSO
Fatto nel collo le ha d'una saetta
Che con l'arco gli die Febo, quando anco
Marte la spada sua gli messe al fianco, j
51 I
Duo Ercoli, duo Ippoliti da Este, '
Un altro Ercole, un altro Ippolito anco
Da Gonzaga, de'Medici, le peste [stanco.
Seguon del Mostro, e l'han, cacciando,
Né Giuliano al figliuol, né par che reste
Ferrante al fratel dietro; né che manco
Andrea Doria sia pronto; né che lassi ^
Francesco Sforza, ch'ivi uomo lo passi. ;
52 '
Del generoso, illustre e chiaro sangue i
D'Avalo vi son dui c'han per insegna
Lo scoglio, che dal capo ai piedi d'angue
Par che l'empio Tifeo sotto si tegna.
Non è di questi duo, per fare esangue
L'orribil Mostro, che pili inanzi vegna:
mato Rodomonte; e fu anche discreto poeta,
(una saetta con l'arco gli die Febo). In al-
cune ottave all'Ariosto egli si duole scher-
zosamente d'essere stato lodato in questo
luogo come poeta, temendo che i posteri,
leggendo i suoi versi, non lo sospettino cosi
cattivo guerriero, come scrittore.
— 6. d'nna saetta. Vniscilo a ferro.
51. 1-3. Duo Ercoli, Ercole I e Ercole II
duchi di Ferrara. — dno Ippoliti : i due car-
dinali Estensi, l'uno fratello di Alfonso I,
l'altro figlio. — nn altro E.; Ercole Gonza-
ga, cardmale; figlio di Francesco sopra no-
minato. Costruisci : un altro Ercole, da Gon-
zaga ; un altro Ippolito de' Medici. — Ippo-
lito de'Medici, cardinale, figlio di Giuliano
e nipote di Leone X.
— 4. stanco, stancato. V. e. i, 48, n. 4.
— 5. Giuliano, de'Medici padre del car-
dinale Ippolito sopra detto. — Ferrante Gon-
zaga Jratello d'Ercole nominato nel v. 2.
— 7. Andrea Doria. V. e. xv, 34, n. 3.
— 8. Francesco Sf. figlio di Lodovico il
Moro. V. e. .x^xxui, 45.
52. 1. Del generoso ecc. Per questi due
cfr. e. XV, 28; xxxiii, 33.
— 3. ai piedi d' angue. Questo scoglio è
Ischia, signoria dei marchesi d'Avalo. « Si
allude all'opinione di quei poeti, che chia-
marono i giganti anguipedi, perciocché i
loro piedi finivano in gruppi e ritorte di
serpenti » (Bolza).
— 4. l'emp. Tifeo. V. e. xvi, 23, n. 4.
— 6. che. Alcuni leggono chi : ma noi
abbiamo altri esempi nel Furioso di che per
chi {m, 32, 5; 54, 7), dove la lezione è con-
fermata da tutte le ediz. curate dall' .\riosto.
Esempi sicuri di altri scrittori non si cita-
no ; poiché quello del Pecorone, g. 0, 1 :
« Lo fece corriero del monistero, non sa-
pendo che e' SI fosse » può anche inten-
L'uno Francesco di Pescara invitto,
L'altroAlfonso del Vasto ai piedi haacrit-
53 [to.
Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato,
L'Ispano onor, ch'in tanto pregio v'era,
Che fu da Malagigi si lodato.
Che pochi il pareggiar di quella schiera?
Guglielmo si vedea di Monferrato
Fra quei che morto avean la brutta fera;
Et eran pochi verso gl'infiniti
Ch'ella v'avea chi morti e chi feriti.
54
In giuochi onesti e parlamenti lieti,
Dopo mangiar, spesero il caldo giorno,
Corcati su finissimi tapeti
Tra gli arbuscelli ond'era il rivo adorno.
Malagigi e Vivian, perché quieti
Più fosser gli altri, tenean l'arme intorno;
Quando una donna senza compagnia
Vider, che verso lor ratto venia.
55
(Questa era quella Ippalca a cui fu tolto
Frontino, il buon destrier, da Rodomonte.
L'avea il di inanzi ella seguito molto.
Pregandolo ora, ora dicendogli onte;
Ma non giovando, avea il camin rivolto
Per ritrovar Ruggiero in Agrismonte.
Tra via le fu, non so già come, detto
Che quivi il troveria con Ricciardetto.
56
E perché il luogo ben sapea (che v'era
Stata altre volte) se ne venne al dritto
Alla fontana; et in quella maniera
Ve lo trovò, ch'io v'ho di sopra scritto.
Ma, come buona e cauta messaggiera
Che sa meglio esequir che non l'è ditto;
Quando vide il fratel di Bradamante,
Non conoscer Ruggier fece sembiante.
57
A Ricciardetto tutta rivoltosse.
dersi che fosse lui, che fosse quegli che
era: e di più alcuni leggono ivi chi e non
che.
— 8. ai piedi; nel lembo della veste. V.
st. 34, 8. Le st. 50-52 solo nell'ediz. del '32.
53. 1. Consalvo F., spagnuolo (1443-1515),
detto il gran capitano che vinse i Francesi,
dal 1495 in poi. più volte.
— 5. Guglielmo di M. della famiglia dei Pa-
leoioghi, marchese di Monferrato (m. 1518).
— 8. T'avea, avea li, intorno a sé, ritratti
nel marmo, chi morti ecc.
54. 2. il caldo giorno, le ore calde del
gioi'no. , . ,. „ .
— 6. intorno, in dosso. Perche gli altri,
che avevano combattuto per loro, prendes-
sero tranquillamente riposo.
55. 1. Ippalca. V. e. xxni, 33.
— 7. Tra via, per via. V. e xvi, 15, n. 2.
56. 8. non conoscer, di non con.
CANTO XXVI
349
Si come drittamente a lui venisse:
È qifel che la conobbe, se le mosse
Incontra, e domandò dove ne gisse.
Elia, ch'ancora avea le luci rosse
Del pianger lungo, sospirando disse;
Ma disse forte, acciò che fosse espresso
A Ruggiero il suo dir, che gli era presso.
58
Mi traea dietro (disse) per la briglia,
Come imposto m'avea la tua sorella,
Un bel cavallo e buono a maraviglia,
Ch'ella molto ama echeFrontino appella;
E l'avea tratto più di trenta miglia
Verso Marsilia ove venir debbe ella
Fra pochi giorni, e dove ella mi disse
Ch'io l'aspettassi finché vi venisse.
59
Era si baldanzoso il creder mio.
Ch'io non stimava alcun di cor si saldo.
Che me l'avesse a tòr, dicendogli io.
Ch'era de la sorella di Rinaldo.
Ma vano il mio disegno ieri m'ascio,
Che me lo tolse un Saracin ribaldo ;
Né per udir di chi Frontino fusse,
A volermelo rendere s'indusse.
60
Tutto ieri et oggi l'ho pregato; e quando
Ho visto uscir prieghi e minacele in vano,
Maledicendo! molto e bestemmiando,
L'ho lasciato dì qui poco lontano,
Dove il cavallo e sé molto affannando,
S'aiuta, quanto può, eoa l'arme in mano
Contra un guerrier ch'in tal travaglio il
[mette.
Che spero ch'abbia a far le mie vendette.
61
Ruggiero a quel parlar salito in piede,
Ch'avea potuto a pena il tutto udire.
Si volta a Ricciardetto, e per mercede
57. 7. espresso, manifesto, chiaro. V. e.
XI, 81, n. 7.
58. 5. piri di trenta. Nel e. xxiil, 32 avea
detto miglia inù di diece. È una delle so-
lite piccole dimenticanze.
59. 1. il creier m.; il mio pensiero; Cre-
devo con tanta baldanza di eseguire la com-
missione.
— 5. m' uscio; mi riusci. Cosi spesso nel
Furioso, e variamente costruito : uscire in
vano II, 72; a vuoto in, 43.
— 7. per udir, per quanto udisse, seb-
bene udisse. V, 0. XV, 69, n. 6.
60. 3. bestemmiando, bestemmiandolo ; im-
precando contro di lui.
61. 1. salito ìnp.; balzato, sorto in piedi.
V. e. vili, 84, 5.
— 2. Ch'avea, il quale av. Spesso negli
antichi il relativo è allontanato troppo dal
nome. v. e. iv, 51, n. 4.
—3-4. mercede e p. e s.; mercede è prezzo
E premio e guidardon del ben servire
(Prieghi aggiungendo senza fin) gli chiede
Che con la Donna solo il lasci gire
Tanto, che '1 Saracin gli sia mostrato,
Ch' a lei di mano ha il buon destrier levato.
62
A Ricciardetto, ancor che discortese
Il conceder altrui troppo paresse
Di terminar le a sé debite imprese,
Al voler di Ruggier pur si rimesse:
E quel licenza dai compagni prese,
E con Ippalca a ritornar si messe.
Lasciando a quei che rimanean, stupore,
Non maraviglia pur del suo valore.
63
Poi che dagli altri allontanato alquanto
Ippalca l'ebbe, gli narròkch'ad esso
Era mandata da colei che tanto
Avea nel core il suo valore impresso;
E senza finger più, seguitò quanto
La sua douna al partir le avea commesso,
E che se dianzi avea altrimenti detto.
Per la presenza fa di Ricciardetto.
64
Disse, che chi le avea tolto il destriero,
Ancor detto l'avea con molto orgoglio:
Perché so che '1 cavallo è di Ruggiero,
Più volontier per questo te lo toglio.
S'egli di racquistarlo avrà pensiero,
Fagli saper (ch'asconder non gli voglio)
Ch'io 800 quel Rodomonte il cui valoi^
Mostra per tutto '1 mondo il suo splendore.
65
Ascoltando, Ruggier mostra nel volto
Di quanto sdegno acceso il cor gli sia,
Si perché caro avria Frontino molto,
Si perché venia il dono onde venia.
del lavoro fatto, premio riguarda il valore
morale dell'azione, guiderdone è ricambio
di servigio (ted. wider-lohn, ricompensa).
62. 1-3. A Bice, ecc.; sebbene a Ricciar-
detto sembrasse troppo discortese conce-
dere a Ruggero di terminare l'impresa del
cavallo dovuta a sé come fratello di Bra-
damante. — Quanto al complemento a Ric-
ciardetto messo prima della cougiunzioue
ancor che, cfr. e xii, 5 n. 6.
64. 2. l'avea, le avea. V. e. va, 35, n. 8.
— 6. non gli voglio ; non glie lo voglio.
Omissione della particella pronominale, cosi
frequente nell'Ar. V. e. i, 21,7; ma qui favo-
rita anche dal seguente che ; quasi dica :
non gli voglio nascondere che ecc.
65. 3. e. avria; vorrebbe avere. Berni,
Inn. 41, 46: «Mill'once d'oro (per mill'o.
d'o.) avrei caro (vorrei avere) un bastone.
— 4. onde venia, di là, da quella donna,
donde veramente veniva, cioè da Brada-
mante. É modo comune nella nostra lingua
350
ORLANDO FURIOSO
Si perché in suo dispregio gli par tolto.
Vede che biasrao e disonor gli fia.
Se torlo a Rodoruonte non s'affretta,
E sopra lui non fa degna vendetta.
66 [na,
Ladonna Ruggier guida, e non soggior-
Che pur lo brama col Pagano a fronte:
E giunge ove la strada fa dua corna;
L'un vagiù al piano, eTaltrovasual mon-
E questo e quel ne la vallea ritorna, [te;
Dov'ella avea lasciato Rodomonte.
Aspra, ma breve era la via del colle;
L'altra più lunga assai, ma piana e molle.
67
Il desiderio che conduce Ippalca,
D'aver Frontino e vendicar l'oltraggio,
Fa che '1 sentier de la montagna calca,
Onde molto più corto era il viaggio.
Per l'altra in tanto il Re d'Algier cavalca
Col Tartaro e co gli altri che detto aggio ;
E giù nel pian la via più facil tiene,
Né con Ruggiero ad incontrar si viene.
68
Già son le lor querele differite
Fin che soccorso ad Agramante sia
{Questo sapete); et han d'ogni lor lite
La cagion, Doralice, in compagnia.
Ora il successo de l'istoria udite.
Alla fontana è la lor dritta via,
Ove Aldigier, Marfisa, Ricciardetto,
Malagigi e Vivian stanno a diletto.
69
Marfisa a prieghi de'compagui avea
Veste da donna et ornamenti presi,
per dar risalto a persona o cosa senza no-
minarla: p. es. Se non fosse chi è, Se non
fossi dove sono ecc.
66. 1. n. soggiorna, non indugia. Cosi nel
e. XXXII, 10; e cosi altri scrittori.
— 8. molle, agevole. K significato che
manca nei vocabolari, ed è il latino via
mollisi Livio 34, 17.
67. 6. co gli. Comunemente si scrisse co
per con innanzi all' articolo i, ma talvolta
anche davanti ad altri articoli. — gli altri
sono il nuìio e Doralice; e. xxv, 4
68. 2. soccorso... sia. È un uso imperso-
nale del verbo soccorrere ; derivato dal la-
lino (succursuni sit); ma non è notato dai
nostri vocabolari.
— 5. il snccesso, il seguito. Come succe-
dere significa anche seguitare, venir dopo,
cosi successo indica il seguito : ma i voca-
bolari non citano esempi opportuni.
6. è la lor d. via; è dritta la lor via; è
indirizzato il loro cammino.
69. 1. a prieghi ; ai p. V. e. Il, 15, n. 8. Cosi
nell' ultimo verso.
— 2. Veste da donna. IlRaina osserva che
l'A. ha indebolito questo fiero carattere
Di quelli ch'a Lanfusa si credea
Mandare il traditor de'Maganzesi:
E ben che veder raro si solca
.Senza l'osbergo e gli altri buoni arnesi,
Pur quel di se li trasse; e come donna,
A prieghi lor lasciò vedersi in gonna.
70
Tosto che vede il Tartaro Mai-fisa,
Per la credenza c'ha di guadagnarla.
In ricompensa e in cambio ugual s'avvisa
Di Doralice, a Rodomonte darla;
Si come Amor si regga a questa guisa,
Che vender la sua donna o permutarla
Possa l'amante, né a ragion s'attrista.
Se quando una ne perde, una n'acquista.
71
Per dunque provedergli di donzella.
Acciò per sé quest'altra si ritegna,
Marfisa che gli par leggiadra e bella,
E d'ogni cavallier femina degna.
Come abbia ad aver questa, come quella.
Subito cara, a lui donar disegna;
E tutti i cavallier che con lei vede,
A giostra seco «t a battaglia chiede.
Boiardesco. Neil' />inam. I, xvi, 29, essa
avea giurato a Macone « Mai non spogliarse
usbergo piastra o maglia. Sin che tre re
non prenda per battaglia » cioè Gradasso,
Agricane e Carlo Magno. Ma ciò sembra
fatto dall' A. con sommo accorgimento per
preparare in lei l'affettuosa sorella di Rug-
giero : e. XX XVI, 67-77. Pur addolcita da-
gli affetti di famiglia e dal cristianesimo
che abbraccia, ella resta in fondo la stessa
fiera donna essenzialmente guerriera; cfr.
1. e. SI. 78.
— 4. il tr. de'Mag.; il tr. che apparteneva
ai Maganzesi; Bertolagi. Non è chiaro.
70. 3. s'avvisa, si immagina. Immagina
di darla a Rodomonte in ricompensa di Do-
ralice e in ugual cambio. Avverti la strana
inversione.
— 5. Si come, cosi, come se amor si go-
verni, si tratti in questo modo, cioè che
l'amante possa ecc.
— 7. s'attrista. Forse è il congiuntivo di
attristirsi e in tal caso è' forma inusitata,
ma analoga a fera per ferisca, pera per
perisca ecc. Fors' anche è una preposiz.
dichiarativa della precedente : e in tal caso
il verbo è all'indicativo: il quale perciò a,
torto si attrista, se ecc.
71. 1. provedergli di d. ; provvederlo di d.
Per il costrutto cfr. e. v, 91, n. 3; xiv, 8, 1.
— 3. Marfisa. È complemento di donar,
— 5. Come... come. Il primo vale come se,
l'altro è congiunzione comparativa: cara
come quella.
— 8. cliiede, sfida. Storie Pistol. 109:
« .Messer Ramondo lo fece chiedere di bat-
taglia ».
CANTO XXVI
351
72
Malagìgi e Vivian che Tarme aveano
Come per guardia e sicurtà del resto,
Si mossero dal luogo ove sedeano,
L'un come l'altro alla battaglia presto,
Perché giostrar con amenduo credeano;
Ma l'African che non venia per questo,
Non ne fé' segno o movimento alcuno :
Si che la giostra restò lor contra uno.
73 [muove,
Viviano è il primo, e con gran cor si
E nel venire abbassa un'asta grossa:
E '1 Re pagau da le famose prove
Da l'altra parte vien con maggior possa.
Dirizza l'uno e l'altro, e segna dove
Crede meglio fermar l'aspra percossa.
Viviano indarno a l'elmo il Pagan fere;
Che non Io fa piegar, non che cadere.
74
Il Re pagan, ch'avea più l'asta dura.
Fé' lo scudo a Vivian parer di ghiaccio;
E fuor di sella in mezzo alla verdura.
All'erbe e ai fiori il fé' cadere in braccio.
Vien Malagigi, e ponsi in avventura
Di vendicare il suo fratello avaccio;
Ma poi d'andargli appresso ebbe tal fretta.
Che gli fé' compagnia più che vendetta.
75
L'altro fratel fu prima del cugino
CoU'arme in dosso, e sul destrier salito;
E disfidato contra il Saracino
Venne a scontrarlo a tutta briglia ardito.
Risonò il colpo in mezzo a l'elmo fino
Di quel Pagan sotto la vista un dito:
Volò al dell'asta in quattro tronchi rotta;
72. 7. 0 movimento. Rileva dal precedente
non ne fé un semplice non fé: non fece
movimento alcuno.
73. 5. Dirizza 1' u. e l'ai. Il verbo è singo-
lare perché son considerati separatamente:
ognuno dirizza per conto suo la sua lancia.
V. FORNACiARi, Sint. p. '.iOS. — Dirizza. Sot-
tint. l'asta. — segna, mira.
— 7. fere, colpisce. Tavola Rot. 1, 24 :
«E '1 castellano feri lui nello scudo». E
cosi spesso gli antichi.
74. 5. ponsi in av. si accinge. Boccaccio,
Dee. Nov. 7: «Si mise in avventura di vo-
lerlo seguire ».
— 6. avaccio, presto. V. e. xvi, 53, n. 5.
75. 1. L'a. fratel, Aldigieri.
— 3. disfidato, disfidatolo, pronunziate
le parole di sfida (V. st. lOl, S), venne con-
tro il Saracino a scontrarlo a t. b. a. Per
l'omissione, cosi frequente, della particella
pronominale, cfr. e. i, 21, n. 7.
— 6. la vista. Quella parte dell'elmo, e pro-
priamente della visiera, che dà luogo alla
vista.
1 Ma non mosse il Pagan per quella botta.'
76
Il Pagan feri lui dal lato manco:
E perché il colpo fu con troppa forza,
Poco lo scudo e la corazza manco
Gli valse, che s'aprir come una scorza.
Passò il ferro crudel l'omero bianco:
Piegò Aldigier ferito a poggia e ad orza;
Tra fior et erbe al fin si vide avvolto,
Rosso su l'arme e pallido nel volto.
77 [presso,
Con molto ardir vien Ricciardetto ap-
E nel venire arresta si gran lancia,
Che mostra ben, come ha mostrato spesso,
Che degnamente è Paladin di Francia:
Et al Pagan ne Iacea segno espresso,
Se fosse stato pari alla bilancia ;
Ma sozzopra n'andò, perché il cavallo
j Gli cadde addosso, e non già per suo fallo.
78
j Poi ch'altro cavallier non si dimostra,
I Ch'ai Pagan per giostrar volti la fronte.
Pensa aver guadagnato de la giostra
La Donna, e venne a lei presso alla fonte.
E disse: Damigella, sete nostra.
S'altri non è per voi ch'in sella monte.
Noi potete negar, né farne iscusa;
Che di ragion di guerra cosi s'usa.
79
Marfisa, alzando con un viso altiero
— S. non mosse, non si mosse. Dante,
Pur. 13,66: « il ciel movendo (movendosi)».
76. 6. a poggia e ad o. Queste due parole
si trovano spesso ueir.\., e nel Petrarca e
nel Pulci e nel Boiardo a indicare da una
parte e dall' altra, senza riguardo al loro
stretto significato marinaresco.
77. 2. arresta, mette in resta. V. e. xvii,
111, n. 4.
— 4. Paladin di P. Ricciardetto non ap-
pare nelle più note liste dei dodici paladini.
Si dovrà forse uitenàer paladino per prode
guerriero come nel e. vii, 20, 6.
— 5. espresso, chiaro. Cosi spesso.
— 6. Se fosse ecc. ; se fosse stato eguale
nella bilancia, nella prova; se fosse stato in
coudizioni eguali; ma a lui cadde il cavallo.
Intendi, non già che Ricciardetto avesse po-
tuto né vincere né uguagliare il fortissimo
Mandricardo, ma che gli avrebbe fatto si
lunga e si valida resistenza da mostrargli
un valore degno d'un paladino di Francia.
78. 3-4. de la giostra la D. ; da la giostra,
per la giostra, pensa aver guadagnato la
donna. O anche: la donna della giostra,
cioè: scopo della giostra. É preferibile la
prima interpretaz.
— S. di rag. di g. ; per ragion, per diritto
di guerra.
79. 1. viso, sguardo, occhi. Dante, Itif.
352
ORLANDO FURIOSO
La faccia, disse: Il tuo parer molto erra.
Io ti concedo che diresti il vero,
Ch'io sarei tua per la ragion di guerra,
Quando mio signor fosse o cavalliero
Alcun di questi c'hai gittato in terra.
Io sua non son, né d'altri son, che mia :
Dunque me tolga a me chi mi desia.
80
So scudo e lancia adoperare anch'io,
E più d'un cavalliero in terra ho posto.
Datemi l'arme, disse, e il destrier mio,
Agli scudier che l'ubbidiron tosto.
Trasse la gonna, et in farsetto uscio;
E le belle fattezze e il ben disposto
Corpo mostrò, ch'in ciascuna sua parte,
Fuor che nel viso, assomigliava a Marte.
81
Poi che fu armata, la spada si cinse,
E sul destrier montò d' un legger salto;
E qua e là tre volte e più lo spinse,
E quinci e quindi fé' girare in alto;
E poi, sfidando il Saracino, strinse
La grossa lancia, e cominciò l'assalto.
Tal nel campo troiau Pentesilea
Contra il tessalo Achille esser dovea.
82
Le lance infin al calce si fìaccaro
A quel superbo scontro, come vetro:
Né però chi le corsero, piegare,
Che si notasse, un dito solo adietro.
Marfisa che volea conoscer chiaro
S'a più stretta battaglia simil metro
Le serverebbe contra il fier Pagano,
Se gli rivolse con la spada in mano.
83
Bestemmiò il cielo e gli elementi il crudo
9, 55.: « tien lo viso chiuso »; e più chiaro
nel e. 18, 75 : « e fa che feggia Lo viso in
te di quest'altri malnati ».
— 7. sua, loro. V. e. XIII, 40, n. 3.
80. 5. in farsetto us.; apparve in fars.
L'uscio dipinge l'apparir di Marfisa fuori
della gonna. Il farsetto era una specie di
giubbone o camiciuola, che si portava dagli
uomini sotto la veste esteriore.
81. 5. sfidando il S. V. st. 101, 8.
— 7. Pentesilea. Una regina delle Amaz-
zoni, che venne in soccorso di Troia e, com-
battendo contro .\chille, ne fu uccisa.
82. 2. superbo, aspro. Cosi nel e. xix, 94,
4, dove troverai la nota.
— 3. chi, coloro che. Cosi nel e. xliii, 74,
5. Si citano, per il plurale chi, diversi esempi
del Trecento; ma dopo questi solo l'Ariosto.
— corsero. Per la frase correr l' asta cfr.
st. 5, n. 1.
— 6. S'a pili stretta b. ecc., se il Pagano
manterrebbe contro lei (le faer. contra) un
simil modo di combattere, se venissero a
battaglia più stretta, a corpo a corpo.
Pagan, t»oi che restar la vide in sella:
Ella, che gli pensò romper lo scudo,
Non men sdegnosa contra il ciel favella.
Già l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo,
E su le fatai arme si martella:
L'arme fatali han parimente intorno,
Che mai non bisognar più di quel giorno.
84 [glia,
Si buona è quella piastra e quella ma-
Che spada 0 lancia non le taglia o fora;
Si che potea seguir l'aspra battaglia
Tutto quel giorno e l'altro appresso anco-
Ma Rodomonte in mezzo lorsi scaglia [ra.
E riprende il rivai de la dimora,
Dicendo: Se battaglia pur far vuoi,
Finiàn la cominciata oggi fra noi.
85
Facemmo, come sai, triegua con patto
Di dar soccorso alla milizia nostra.
Non debbiàn, prima che sia questo fatto,
Incominciare altra battaglia o giostra.
Indi a Marfisa, riverente in atto
Si volta, e quel messaggio le dimostra;
E le racconta, come era venuto
A chieder lor per Agramante aiuto.
86
La priega poi che le piaccia non solo
Lasciar quella battaglia o differire.
Ma che voglia in aiuto del figliuolo
Del Re Troian con essi lor venire;
Onde la fama sua con maggior volo
Potrà far meglio infin al ciel salire,
Che, per querela di poco momento,
Dando a tanto disegno impedimento.
87
Marfisa, che fu sempre desiosa
Di provar quei di Carlo a spada e a lancia,
Né l'avea indotta a venire altra cosa
Di si lontana regione in Francia
Se non per esser certa se famosa
Lor nominanza era per vero o ciancia ;
Tosto d'andar con lor partito prese
Che d'Agramante il gran bisogno intese.
88
Ruggiero in questo mezzo avea segaito
Indarno Ippalca per la via del monte;
83. 3. gli pensò r., pensò rompergli.
— 6. fatai, fatate. Cosi nel e. xv, 79, 4,
e xviii, 122, 4.
86. 7. querela. Era la parola tecnica dei
duelli antichi e valeva questione, per la
quale si faceva il duello. Questo, come al-
tri termini (sostenere, difendere, attore,
reo) eran tolti dal linguaggio giudiziario,
essendo il duello considerato un giudizio
di Dio.
8". 6. era per vero, era giustamente, sus-
sisteva giustamente. Questo significato man-
ca nei vocabolari, che registrano solo i più
comuni davvero, da senno, veramente.
CANTO XXVI
353
E trovò, giunto al loco, che partito
Per altra via se n'era Rodomonte:
E pensando che lungi non era ito,
E che '1 sentier teuea dritto alla fonte;
Trottando in fretta dietro gli venia
Per l'orme ch'eran fresche in su la via.
89
Volse che IppalcaaMontalban pigliasse
La via, ch'una giornata era vicino;
Perché s'alia fontana ritornasse,
Si torria troppo dal dritto camino.
E disse a lei, che già non dubitasse
Che non s'avesse a ricovrar Frontino;
Ben le farebbe a Montalbano, o dove
Ella si trovi, udir tosto le nuove.
90
E le diede la lettera che scrisse
In Agrisraoute, e che si portò in seno;
E molte cose a bocca anco le disse,
E la pregò che l'escusasse a pieno.
Ne la memoria Ippalca il tutto fisse,
Prese licenzia, e voltò il palafreno:
E non cessò la buona messaggiera
Ch'in Montalban si ritrovò la sera.
91
Seguia Ruggiero in fretta il Saracino
Per l'orme ch'apparian ne la via piana;
Ma non lo giunse prima che vicino
Con Mandricardo il vide alla fontana.
Già promesso s'avean che per camino
L' un non farebbe all'altro cosa strana.
Né fin ch'ai campo si fosse soccorso,
A cui Carlo era appresso a porre il morso.
88. 5. non era ito, non doveva, non po-
teva essere andato. L' indicativo, invece del
congiuntivo fosse, accenna alla certezza del
fatto, più che all'opinione di Ruggiero.
— 6. tenea, e che certo teneva, doveva
tenere il sentiero, che va dritto alla fonte.
89. 1. a Montalban, verso M.
— 6. ricovrar, ricuperare, riavere.
90. 3. a bocca, a voce.V. e. ii, 48, n. 5.
— 4. l'escusasse. Intendi: con Brada-
mante.
— 5. fisse (lat. flxit) fermò, fissò. È uso,
che l'A. ha tolto dai Latini, che dicevano
flgere auribus (Stazio, Ach. I, 3S0) e anche
solamente flgere: (Virgil. En. 3, 250: haec
mea figite dieta), flgere intra se (Giove-
nale, 9, 94).
— 8. Ch' in M. ; finché. V. e. XHI, 7, n. 4.
91. 3-4. prima che... il vide; prima che lo
vedesse. V. e. v, 26, n. 7.
— 6. cosa strana. Come strano significa
persona non amica (Boccaccio, Nov. 23:
« non che gli amici, ma gli strani ripiglia-
re »), cosi qui cosa strana vale cosa da per-
sona non amica. È estensione di significato
nuova e notevole, non citata dai vocabolari.
— 7. si fosse socc. V. st. 68, n. 2.
92
^ Quivi giunto Ruggier Frontin conobbe,
E conobbe per lui chi adosso gii era^;
E su la lancia fé' le spalle gobbe,
E sfidò l'African con voce altiera.
Rodomonte quel di fe'più che Giobbe,
Poi che domò la sua superbia fiera,
E ricusò la pugna ch'avea usanza
Di sempre egli cercar con ogni istanza.
93
Il primo giorno e l'ultimo, che pugna
Mai ricusasse il Re d'Algier, fu questo :
Ma tanto il desiderio che si giugna
In soccorso al suo Re, gli pare onesto.
Che se credesse aver Ruggier ne l'ugna
Più che mai lepre il pardo isnello e presto.
Non si vorria fermar tanto con lui.
Che fésse un colpo de la spada o dui.
94
Aggiungi che sapea ch'era Ruggiero,
Che seco per Frontin facea battaglia.
Tanto famoso, ch'altro cavalliero
Non è ch'a par di lui di gloria saglia,
L'uom che bramato ha di saper per vero
Esperimento, quanto in arme vaglia;
E pur non vuol seco accettar l'impresa:
Tanto l'assedio del suo Re gli pesa.
95
Trecento miglia sarebbe ito e mille,
Se ciò non fosse, a comperar tal lite;
92. 3. fé le sp. gobbe; si curvò sulla lan-
cia per dare l'assalto.
93. 8. fésse, facesse; tanto da fare — de
la spada, di spada. É esteso a questo luogo
r uso notato al e. xxv, 37, 3.
94. 1-3. Aggiungi ecc. Si può intendere in
più modi: Aggiungi che Rdtìomonte sapeva
esser Ruggero colui, che seco per. Fr. fac.
battaglia; quel Ruggero, tanto famoso ch'al-
tro cavaliero ecc. ; quell'uomo che bramato
ecc. Oppure: Aggiungi che Rod. sapeva che
Rugg., il quale facea seco batt. per Fr., era
tanto famoso ch'altro ecc., ed era l'uomo
che bramato ecc. Oppure ; Aggiungi che
Rod. sapea che Rugg., il quale facea seco
batt. per Fr., Ruggero, tanto famoso ch'al-
tro cavaliero non è ch'a par ecc., era ap-
punto l'uomo che bramato ha ecc. La prima
interpretazione è la migliore. Come Rodom.
sapeva d'aver contro Ruggiero, mentre i
guerrieri andavano a visiera calata? forse
se lo immaginò vedendone l'atteggiamento
ostile e risoluto; o forse Ruggiero nella
sfida accennò al suo cavallo come Rinaldo
nel e. II, 3 ; o finalmente Rodom. lo riconobbe
alla nota e famosa divisa.
— 4. di gloria, per gloria, È complemento
di limitazione.
95. 2. comperar, procacciarsi anche con
sacrifizio. È modo vivo anch' oggi : quel^
Ariosto — Papisi
23
354
ORLANDO FURIOSO
Ma se l'avesse oggi sfidato Achille,
Più fatto non avvia di quel ch'udite:
Tanto a quel punto sotto le faville
Le fiamme avea del suo furor sopite.
Narra a Ruggier, perché pugna rifiuti :
Et anco il priega che l'impresa aiuti:
96
Che facendol, farà quel che far deve
Al suo Signore un cavallier fedele.
Sempre che questo assedio poi si leve,
Avran ben tempo di finir querele.
Ruggier rispose a lui: Mi sarà lieve
Differir questa pugna fin che de le
Forze di Carlo si traggia Agramante:
Pur che mi rendi il mio Frontino inante.
97
Se di provarti c'hai fatto gran fallo,
E fatto hai cosa indegna a un uomo forte,
D'aver tolto a una donna il mio cavallo,
Vuoi ch'io prolunghi fin che siamo in corte;
Lascia Frontino, e nel mio arbitrio dallo.
Non pensare altrimente ch'io sopporto
Che la battaglia qui tra noi non segua,
O ch'io ti faccia sol d'un'ora triegua.
98
Mentre Ruggier all'African domanda
O Frontino, o battaglia allora allora;
E quello in lungo e l'uno e l'altro manda,
Né vuol dare il destrier, né far dimora;
Mandricardo ne vien da un'altra banda,
E mette in campo un'altra lite ancora,
Poi che vede Ruggier che per insegua
Porta l'augel che sopra gli altri regna.
Vuomo le liti le comprerebbe. Pulci, Morg.
18, 39: « Sempre le liti compero a con-
tante ».
— 5. a quel pnnto^ in quel momento. Più
spesso in quel punto e talvolta anche al
plurale ; Cavalca, Frutt. liug., 43*: « prov-
vederavvi alli punti necessari ». — sotto le
fav.; sotto la cenere. A modo del latino fa-
villa. Ovimo, Met. 7, 80: «Parva sub in-
ducta latuit scintilla favilla ».
96. 3. Sempre che, purché. Si cita dai vo-
cab. un esempio del Cecchi, Prov. 62: «E il
jMassan cedeva a dargliela sempreché fosse
statoci il consenso di suo padre » : ma è
vivo ancora nell'uso. Jl Bolza intende quan-
do', in questo senso forse sarebbe nuovo.
— 8. mi rendi, mi renda V. e. xv, 86,
n. 5.
97. 4. prolunghi, differisca di provarti
c'hai fatto ecc. Boc< accio, Sov. 40 : « pro-
lungata nella seguente mattina la cura ».
— f. eh. siamo in corte, finché siamo presso
il re Agramante.
— 5. nel m. a. d. Più comunemente dare
in Oirbltrio, senza l' articolo.
98. 4. far dimora, indugiarsi a combat-
tere.
— s. l'augel ecc., 1' aquila. Orazio, Odi
99
Nel campo azur l'aquila bianca avea.
Che de' Troiani fu l'insegna bella:
Perché Ruggier l'origine traea
Dal fortissimo Ettòr, portava quella.
Ma questo Mandricardo non sapea.
Né vuol patire, e grande ingiuria appella.
Che ne lo scudo un altro debba porre
L'aquila bianca del famoso Ettorre.
100
Portava Mandricardo similmente
L'augel che rapi in Ida Ganimede.
Come l'ebbe quel di che fu vincente
Al Castel periglioso, per mercede,
Credo vi sia con l'altre istorie a mente,
E come quella Fata gli lo diede
Con tutte le bell'arme che Vulcano
Avea già date al cavallier Troiano.
101
Altra volta a battaglia erano stati
Mandricardo e Ruggier solo per questo:
E per che caso fosser distornati,
Io noi dirò; che già v'è manifesto.
Dopo non s'eran mai più raccozzati.
Se non quivi ora; e Mandricardo presto,
Visto lo scudo, alzò il superbo grido
Minacciando, e a Ruggier disse : Io ti sfido.
102
Tu lamia insegna, temerario porti;
Né questo è il primo di ch'io te l'ho detto.
E credi, pazzo, ancor ch'io tei comporti,
Per una volta ch'io t'ebbi rispetto ?
4, 4: «Cui rex coelorum regnum in aves
vagas Permisit ».
99. 3. l'origine tr. V. e. xxxvi, 70. Per
quest'aquila troiana l'A. si è attenuto al
Boiardo, Inn. IH, ii, 7-8.
100. 2. l'augel ecc. Per la favola cfr. e.
IV, 47, D. 5.
— 3. Comel'ehbe ecc. Tutto ciò è narrato
dal BOIARDO, Innam. HI, i, ii; e riassunto
nel e. XIV, 31, n. 4.
— 4. per mercede; come mercede delle
sue fatiche.
101. 1-2. Altra volta ecc. Neir/n>iam, III,
VI, Ruggiero e Mandricardo si sfidano pure
per l'insegna; ma Ruggiero, vedendo che
Mandr. non aveva spada, gli domanda come
faranno a combattere. Mandr. dice che non
cingerà spada, finché non abbia Durindana.
Allora Gradasso, che desiderava questa
stessa spada, entra nella contesa e provoca
Mandricardo, col quale vien tosto a balta-
glia: hanno ambedue per arme un ramo
d'albero. Cosi è impedito con Ruggiero il
duello, che non avviene altrimenti. Perciò
essere o venire a battaglia, in questa stan-
za e nella 104, significano semplicemente
s/ldaì'sl a battaglia, significato, che è pur
confermato dal fur cenni del. v. 5 st. 104.
CANTO XXVI
355
Ma poi che né rainaccie né conforti
Ti pòn questa follia levar del petto,
Ti mostrerò quanto miglior partito
T'era d'avermi subito ubbidito.
103
Come ben riscaldato arrido legno
A picciol soffio subito s'accende,
Cosi s'avvampa di Ruggier lo sdegno
Al primo motto che di questo intende.
Ti pensi (disse) farmi stare al segno,
Perché quest'altro ancor meco contende ?
Ma mostrerotti ch'io sou buon per tórre
Frontino a lui, lo scudo a te d'Ettorre.
104
Un'altra volta pur per questo venni
Teco abattaglia, e non è gran tempo anco ;
Ma d'ucciderti allora mi contenni.
Perché tu non avevi spada al fianco.
Questi fatti saran, quelli tur cenni;
E mal sarà per te quell'augel bianco,
Ch'antiqua insegna è stata di mia gente:
Tu te l'usurpi, io '1 porto giustamente.
105
Anzi t'usurpi tu l'insegna mia.
Rispose Mandricardo: e trasse il brando.
Quello che poco inanzi per follia
Avea gittato alla foresta Orlando.
Il buon Ruggier, che di sua cortesia
Non può non sempre ricordarsi, quando
Vide il Pagan ch'avea tratta la spada,
Lasciò cader la lancia ne la strada.
106
E tutto a un tempo Balisarda stringe,
La buona spada, e me'lo scudo imbraccia;
Ma l'Africano in mezzo il destrier spinge,
E Marfìsa con lui presta si caccia;
E l'uno questo, e l'altro quel respinge,
102. 5. conforti, esortazioni a lasciar l'in-
segna.
— 6. pón, possono. V. e. x, GÌ, n. 6.
103. 1. arrido, arido. Forma rarissima,
che forse è dialettale.
— i. di questo; di tutto questo che disse
Mandrie; alla prima parola di questo di-
scorso.
— 5. stare al segno. V. e. xiv, lOS, e vili,
63, n. 6.
104. 0. mal, un male, un danno.
105. 8. Lasciò cader ecc. Un cavaliere ve-
ramente generoso non combatteva mai ad
armi o in coudizioni disuguali, ma nel Fu-
rioso gì' infedeli contravvengono spesso alle
i-egole cavalleresche: non cosi Ruggiero e
Marfìsa, che l'A. vuol mettere in buona
luce.
106. 2. me', meglio. Dante, Inf. 2, 36:
« Se' saggio e intendi me' eh' i' non ragio-
no ». Ruggiero aveva già lo scudo al brac-
cio, ma nell' atteggiarsi a battaglia se lo
adatta meglio.
E priegano amendui che non si faccia.
Rodomonte si duol che rotto il patto
Due volte ha Mandricardo, che fu fatto.
107
Prima, credendo d'acquistar Marfisa,
Fermato s'era a far piti d'una giostra;
Or per privar Ruggier d'una divisa.
Di curar poco il Re Agramante mostra.
Se pur (dicea) dei fare a questa guisa,
Finiàn prima tra noi la lite nostra.
Conveniente e più debita assai.
Ch'alcuna di quest'altre che prese hai.
108
Con tal condizfon fu stabilita
La triegua e questo accordo eh' è fra nui.
Come la pugna teco avrò finita.
Poi del destrier risponderò a costui.
Tu del tuo scudo, rimanendo in vita.
La lite avrai da terminar con lui ;
Ma ti darò da far tanto, mi spero,
Che non n'avanzarà troppo a Ruggiero.
109
La parte che ti pensi non n' avrai,
(Rispose Mandricardo a Rodomonte):
Io te ne darò più che non vorrai,
E ti farò sudar dal piò alla fronte:
E me ne rimarrà per darne assai
— 6. non si faccia; Sottintendi: questo,
questa battaglia.
107. 7. pili debita, più opportuna. È il si-
gnificato che ha nel modo comune : a teìnpo
debito, .wverti poi che il più va sottinteso
anche a conveniente : più conven. e più
debita assai.
— 8. prese hai, hai mosso. Prendere una,
lite significai muover lite; invece prender
lite significa litigare.
108. 4. Poi, dopo. Questo poi ripete il
concetto del verso precedente ed è quasi
pleonastico : ma nel linguaggio popolare si
usano spesso queste maggiori determina-
zioni.
— 6. avrai da ter.; terminerai, V. e. xv,
35, n. 2; o anche potrai terminare come
nel e. XVI, 18, 6; xvii, 38, 5 ecc.
— 7. mi spero. V. e. v, 20, n. a.
— S. non n'av.; non avanzerà di te, della
tua energia. Per la forma verbale cfr. e. Ili,
2, n. 6.
109. 1. La parte ecc. Riprende il concetto
dell'ultimo verso: non avrai di me quella
parte, non avrai quel tanto d'energia, che
ti pensi. E qui daìV idea di esaurire l'ener-
gia passa a quella di far sentire la pì'o-
pria energia e soggiunge: io te ne darò,
te ne farò sentire più di quanto tu non vo-
glia, e me ne rimarrà ancoi-a per Ruggero.
— Ma nelle parole vi è anche il doppio senso :
n'avrai, te ne darò, darne assai mentre
rispondono al concetto del v. 8 della st. lOS
356
ORLANDO FURIOSO
(Come non manca mai l'acqua del fonte)
Et a Ruggiero, et a mill'altri seco,
E a tutto il mondo che la voglia meco.
110
Moltiplicavan l'ire e le parole
Quando da questo e quando da quel lato.
Con Rodomonte e con Ruggier la vuole
Tutto in un tempo Mandricardo irato.
Ruggier ch'oltraggio sopportar non suole,
Non vuol più accordo, anzi litigio e piato.
Marfìsa or va da questo or da quel canto
Per riparar, ma non può sola tanto.
Ili
Come il villan, se fuor per l'alte sponde
Trapela il fiume, e cerca nuova strada,
Frettoloso a vietar che non afi'onde
I verdi paschi e la sperata biada.
Chiude una via et un'altra, e si confonde;
Che se ripara quinci che non cada.
Quindi vede lassar gli argini molli,
E fuor l'acqua spicciar con pili rampolli ;
112
Cosi, mentre Ruggiero e Mandricardo
E Rodomonte son tutti sozzopra;
Ch'ognun vuol dimostrarsi più gagliardo.
Et ai compagni rimaner di sopra;
Marfisa ad acchetarli ave riguardo,
E s'affatica, e perde il tempo e l'opra:
Che, come ne spicca uno e lo ritira,
Gli altri duo risalir vede con ira.
significano anche per sé avrai botte, per-
cosse ecc.
— 8. la voglia meco, voglia misurarsi me-
co. È modo frequentissimo. BePvNI, Inn. 2,
49 : « Che con voi la vogl' io non co' cri-
stiani ».
HO. 6. piato (lat. placitum, sentenza, poi
lite). Piato dunque dice il modo di essere,
litigio dice V azione; ma qui esprimono la
stessa idea per quella certa ridondanza, che
si vede spesso negli epici.
— 8. riparar, metter riparo all'ire erom-
penti.
111. 3. affondo, metta sotto, sommerga.
L'Ottimj Commento, Inf. 15, 7: «Il quale
fiume.... affonderebbe quasi mezzo il con-
tado di Padova ». B figuratamente, nello
stesso senso. Dante, Par. 27, 121 : « O cu-
pidigia, che i mortali affonde Si sotto te ».
— 6. non cada, l'acqua.
— 7. lassar, aprirsi. V. e. XLr, 14, n. 7.
— 8. rampolli, rivi. Veramente il ram-
pollo è la polla, la scaturigine. Qui dunque
si ha un'estensione di significato.
112. 5. ave, ha.
— 8. risalir, rivolgersi, tornai'e l' un con-
tro l'altro. Credo che sia il resUire dei La-
tini, come trovasi, figuratamente, in Plinio
5, 27, 2 ; « (Taurus mons) resilit a setten-
trione (se flectit)».
US
Marfisa, che volea porgli d'accordo,
Dicea!: Signori, udite il mio consiglio:
Differire ogni lite è buon ricordo
Fin ch'Agramante sia fuor di periglio.
S'ognun vuole al suo fatto esser ingordo,
Anch'io con Mandricardo mi ripiglio;
E vo' vedere al fin se guadagnarme,
Come egli ha detto, è buon per forza d'ar-
114 [me.
Me se si de'soccorrere Agramante,
Soccorrasi, e tra noi non si contenda.
Per me non si starà d'andare inante
(Disse Ruggier), pur che '1 destrier si ren-
0 che mi dia il cavallo (a far di tante [da.
Una parola) o che da me il difenda:
0 che qui morto ho da restare, o ch'io
In campo ho da tornar sul destrier mio.
115
Rispose Rodomonte: Ottener questo
Non fia cosi come quell'altro, lieve.
E seguitò dicendo: io ti protesto
Che, s'alcun danno il nostro Re riceve,
Fia per tua colpa; ch'io per me non resto
Di fare a tempo quel che far si deve.
Ruggiero a quel protesto poco bada:
Ma stretto dal furor stringe la spada.
116
Al Re d'Algier come cingial si scaglia
E l'urta con lo scudo e con la spalla;
— 113. 3. buon ricordo, buon avvertimento.
Non si cita nessun esempio si bene spiccato
come questo. Cosi anche nel e. xxvii, 44.
1; 103, 3.
— 5. al s. f. essere ing.; esser bramoso
della sua azione, di agire per conto suo. Per
lo più essere ingordo di. Con a si cita que-
sto solo es. dell'A.
— 6. mi ripiglio; mi azzuffo di nuovo. Si
cita dai vocabolari, in tal senso, questo solo
esempio.
114. 3. non si starà d. j Per conto mio o
per causa mia non si lascerà d' andare
avanti. Cosi nel e. xxxiv, 6, 3. Si dice anche
non stare da fare una cosa e più comune-
mente non restare di o da fare una e.
— 5. 0 che. V. e. IV, 35, n. 5. — a far di
t. un. p.; per restringere tante parole in
una sola.
— 8. In campo, nelle battaglie.
115. 1-2 questo... quell'altro; non fia cosi
facile per te ottenere il cavallo, come restar
qui morto.
116. 1. cingial. V. e. I, 41, n. 1.
— 2. con lo scudo e e. 1. s. Vuol dire che
nella corsa, invece di passargli dalla destra,
gli passò dalla parte sinistra, sicché, invece
di poterlo colpire colla spada, lo colpi collo
scudo e colla spalla manca.
CANTO XXVI
357
E in modo lo disordina e sbarraglia,
Che fa che d'una staffa il pie gli falla.
Mandricardo gli grida: 0 la battaglia
Differisci, Ruggiero, o meco falla:
E crudele e fellon più che mai fosse
Ruggier su l'elmo in questo dir percosse.
117 [china,
Fin sul collo al destrier Ruggier s'in-
Né, quando vuoisi rilevar, si puote;
Perché gli sopragiunge la mina
Del figlio d'Ulien, che lo percuote.
Se non era dì tempra adamantina,
Fesso l'elmo gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier le mani per l'ambascia;
E l'una il fren, l'altra la spada lascia.
118
Se lo porta il destrier per la campagna,
Dietro gli resta in terra Balisarda.
Marfisa che quel di fatta compagna
Se gli era d'arme, par ch'avvampi et arda,
Che solo fra que' duo cosi riraagna:
E come era magnanima e gagliarda,
Si drizza a Mandricardo, e col potere
Ch'avea maggior, sopra la testa il fiere.
119
Rodomonte a Ruggier dietro si spinge:
Vinto è Frontin, s'un'altra gli n'appicca;
Ma Ricciardetto con Vivian si stringe,
E tra Ruggiero e '1 Saracin si ficca.
L'uno urta Rodomonte, e lo rispinge,
E da Ruggier per forza lo dispicca;
— 3. sltarraglia. Per la forma con due r
l'A. si è tenuto più vicino all'etimologia (da
sbarra; quasi cacciar fuori dei ripari il
nemico). Per il significato si avverta che
generalmente non si dice d' individui, ma
di eserciti o di schiere.
— 4. il p... gli falla ecc., il piede gli esce
d'una staffa. Cosi pure l'usò nel e xxxiv,
50, G. colla prep. da. Forse anche qui, come
altrove, è )a preposiz. da apostrofata.
— 7. fellon, Perché non si doveva da due
assalire un solo.
117. 8. la spada 1. Talvolta la portavano le-
gata al polso, ma non tutti né sempre — I
fenomeni della gran percossa qui descritti,
come piegarsi sull'arcione, stender le brac-
cia e aprir le mani, oscillare a destra e si-
nistra, lasciare il cavallo che corre all' im-
pazzata, rimanere storditi, riaversi comple-
tamente dopo pochi istanti, sono luoghi co-
muni dei nostri romanzieri antichi, special-
mente del Boiardo.
118. 5. Che, perché.
— 8. fiere, percuote. V. st. 73 n. 7.
119. 2. gli n' ap. ; glie n' app. V. e. V, 89,
n. 4.
— 3. si stringe, si avvicina per poter en-
trare nello stretto spazio, che ormai sepa-
rava Rodom. da Ruggiero.
L'altro la spada sua, che fu Viviano,
Pone a Ruggier, già risentito, in mano.
120
Tosto che '1 buon Ruggiero in sé ritorna,
E che Vivian la spada gli appresenta,
A vendicar l'ingiuria non soggiorna,
E verso il Re d'Algier ratto s'avventa;
Come il leon che tolto su le corna
Dal bue sia stato, e che '1 dolor non senta:
Si sdegno et ira et impeto l'atìretta.
Stimala e sferza a far la sua vendetta.
121
Ruggier sul capo al Saracin tempesta:
E se la spada sua si ritrovasse, [sta
Che, come ho detto, al cominciar di que-
Pugna, di man gran fellonia gli trasse:
Mi credo ch"a difendere la testa
Di Rodomonte l'elmo non bastasse.
L'elmo che fece il Re far di Babelle,
Quando muover pensò guerra alle stelle.
122
La Discordia credendo non potere
Altro esser quivi che contese e risse,
Né vi dovesse mai più luogo avere
0 pace 0 triegua, alla Sorella disse
Ch'omai sicuramente a rivedere
1 monachetti suoi seco venisse.
Lasciànleandareestiànnoidovein fronte
Ruggiero avea ferito Rodomonte.
123
Fu il colpo di Ruggier di si gran forza
Che fece in su la groppa di Frontino
Percuoter l'elmo e quella dura scorza
Di ch'avea armato il dosso il Saracino,
E lui tre volte e quattro a poggia e ad oi'za
Piegar per gire in terra a capo chino,
E la spada egli ancora avria perduta,
Se legata alla man non fosse suta.
121
Avea Marfisa a Mandricardo intanto
Fatto sudar la fronte, il viso e il petto;
Et egli aveva a lei fatto altrettanto,;
— 7. sna; di Viviano: cfr. st. 121, 2.
120. 2. gli appresenta, gli presenta. V. e.
XV, 28, n. 3.
— 3. non soggiorna, non indugia. V. st. 60,
n. I.
— 7-8. Xota la bella corrispondenza e la
gradazione delle parole Sdegno ira impeto,
affretta stimala sferza.
VII. 7. l'elmo ecc. V. e. xiv, 118.
122. 4. alla Sorella, alla superbia. V. e.
XXIV, 114.
123. 3. dura scorza, V. e. xiv, 118. Vuol
dire che il Saracino piegò la testa e la vita
fin sulla groppa del cavallo.
— 5. a poggia ed or. di qua e di là. V. st.
76, n. 0.
— 8. suta, stata. V. e. v, 58, n. S.
358
ORLANDO FURIOSO
Ma si Tosbergo d'ambi era perfetto,
• Che mai potOr falsarlo in nessun canto,
E stati eran sin qui pari in effetto;
Ma in un voltar che fece il suo destriero,
Bisogno ebbe Martìsa di Ruggiero.
125
Il destrier di Martisa in un voltarsi
Che fece stretto, ov'era molle il prato.
Sdrucciolò in guisa, che non potè aitarsi
Di non tutto cader sul destro lato:
E nel volere in fretta rilevarsi,
Da Brigliador fu pel traverso urtato,
Con che il Pagan poco cortese venne;
Si che cader di nuovo gli convenne.
126
Ruggier che la Donzella a mal partito
Vide giacer, non differì il soccorso
Or che l'agio n'avea, poi che stordito
Da sé lontan quell'altro era trascorso.
Feri su l'elmo il Tartaro, e partito
Quel colpo gli avriailcapo, come un torso,
Se Ruggier Balisarda avesse avuta,
O Mandricardo in capo altra barbuta.
127
Il Re d'Algier che si risente in questo,
Si volge intorno, e Ricciardetto vede;
E si ricorda che gli fu molesto
Dianzi, quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si drizza, e saria stato presto
A darli del ben fare aspra mercede.
Se con grande arte e nuovo incanto tosto
Non se gli fosse Malagigi opposto.
IH. 5. falsarlo, romperlo. É chiaro da due
esempi del Boiardo, Inn. II, iii, 6 : « Ma
non potea falsar quell'armatura » e xix, 35:
-^ Già tutte (l'armi) 1' han falsate con le spa-
de ». È il francese fausser; che nel linguag-
gio guerresco significò ammaccare senza
traversare e anche traversando: Lescoups
d'épée faussèreut ses armes; — La flèche,
faussant la cuirasse, lui entra Inen avant
dans le corps (LiTTRK-Diction).
l'25. 3. potè. La Principe ha puote. — ai-
tarsi di n. e. aiutarsi da non e; in modo da
non cader. Questo di per da l'abbiamo vi-
sto anche nel e. i, 51, 6; vni, 16, 2. E mi
pare uso non registrato dai vocabolari.
126. 7. Se Rnggier ecc. Se Rug. avesse avu-
ta Balisarda, che non temeva gl'incanti e
che per ciò avrebbe tagliato anche l'elmo
incantato di Mandricardo, o se Mandricardo
avesse avuto in capo altro elmo, cioè non
incantato.
— 8. barbuta è detto per sineddoche in-
vece di elmo in generale. Che cosa fosse, ve-
dilo al e. XII, 67, n. 3, dove vedrai la giusta
etimologia.
1>27. 1. in qnesto, in questo tempo. Si dice
anche in questa.
— 7. con grrande arte, con l'arte magica.
12S
Malagigi, che sa d'ogni malia
Quel che ne sappia alcun Mago eccellent»',
Ancor che '1 libro suo seco non sia.
Con che fermare il sole era possente,
Pur la scongiurazione onde solia
Comandare ai deraonii, aveva a mente;
Tosto in corpo al ronzino un ne costringe
Di Doralice, et in furor lo spinge.
129
Nel mansueto ubino che sul dosso
Avea la figlia del Re Stordilano,
Fece entrare un de gli angel di Minosso
Sol con parole il frate di Viviano:
E quel che dianzi mai non s'era mosso,
8e non quanto ubidito avea alla mano,
Or d'improviso spiccò in aria un salto
Che trenta pie fu lungo e sedeci alto.
130
Fu grande il salto, non però di sorte,
Che ne dovesse alcun perder la sella.
Quando si vide in alto, gridò forte
(Che si tenne per morta) la Donzella.
Quel ronzin, come il Diavol se lo porte.
128. I. che sa ecc. Malagigi, secondo i ro-
manzi, avea studiato magia in Toledo, ed
egli stesso la professava : ond'era detto ma-
stro Malagigi.
— 3. il libro ecc. il libro degli incante-
simi.
— 4. fermare. . era poss. era potente a, di
fermare.
— 5. Pnr la se. È uno dei pochi casi, in
cui un mago operi il soprannaturale senza
un segno sensibile di libri, verghe, vasi,
caratteri ecc.; però anche qui occorre una
formula sensibile di scongiuro.
\ — 7. ne costringe, ne sforza ad entrare.
! Per questo significato si cita dai vocabolari
questo solo esempio.
— 8. in f. lo spinge, lo spinge via furi-
j bondo ; lo fa correr via con furore.
I 129. 1. abino, V. e. xiv, 53, n. 7.
I — 3. ang. di Minosao ; un demonio. Minosse
' è giudice dell'inferno, secondo la mitologia.
' Ma qui l'A., dicendo angel, ha presente
piuttosto il concetto cristiano e la fantasia
Dantesca, per cui Minos è demonio giudice
dell'inferno.
— 8. pie. V. e. XIV, 130, n. 1.
130. 1. di sorte; di maniera. V,
I 75, n. \.
1 — 2. che ne d. ecc. Intendi : il
i grande, ma il cavallo lo fece cosi pari e
! cosi abilmente, che nessuno, per quanto ine-
sperto, ne avrebbe perso la sella. — Questo
dice per spiegare come una donna, qual era
Doralice, non cadesse.
— 5. come il D. s. 1. p., comunque, in qua*
I lunque modo lo porti il Diavolo, che ha in
vm,
salto fu
CANTO XXVI
359
Dopo un gran salto se ne va con quella,
Che pur grida soccorso, in tanta fretta,
Che non l'avrebbe giunto una saetta.
131
Da la battaglia il figlio d'LTieno
§i levò al primo suon di quella voce;
E dove furiava il palafreno,
Per la donna aiutar n'andò veloce.
Mandricardo di lui non fece meno:
Né più a Ruggier, né più a Martìsa noce;
Ma, senza chieder loro o paci o tregue,
E Rodomonte e Doralice segue.
132
Marfisa intanto si levò di terra
E tutta ardendo di disdegno e d'ira
Credesi far la sua vendetta, et erra;
Che troppo lungi il suo nimico mira.
Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra,
Rugge come un leon, non che sospira.
Ben sanno che Frontino e Brigliadoro
Giunger non ponno coi cavalli loro.
133
Ruggier non vuol cessar fin che decisa
Col Re d'Algier non l'abbia del cavallo:
Kou vuol quietar il Tartaro Marfisa:
corpo, fugge, dopo questo grau salto, con
Dorai. BOCCACCIO, Nov. 22 : « come il me-
nasse era contento».
— 6. Dopo nn gran s. Il Galilei avi'ebbe
voluto : dopo il gran salto — ma i Poeti ro-
manzeschi amano spesso di ripetere le stesse
cose in forma diversa. Nella st. 129 aveva
detto spiccò un salto ; qui ripete, come se
non l'avesse detta, questa circostauza: cfo^o
un gran salto.
— 6-7. va.... in tanta fretta ecc. Innam.
I, li, 20 : « va con tanta fretta Ch' a pena
Tavria giunto una saetta ».
131. 3. furiava. Oggi furiare è solo della
poesia, ma i nostri antichi 1' usarono fre-
quentemente anche in prosa per infuriare.
132. 6. non che sospira. Generalmente il
non che si unisce al congiuntivo. Coli' in-
dicativo non si cita dai vocabolari nessun
esempio.
133. 1-2. decisa... non l'ab.; non abbia de-
ciso la cosa, l'affare del cavallo. Ma qui del
cavallo è complemento di limitazione: non
l'abbia decisa quanto al cavallo.
— 3. quietar, lasciare in quiete. È signi-
ficato non registrato dai vocabolari.
Che provato a suo senno anco non ballo.
Lasciar la sua querela a questa guisa
Parrebbe all'uno e all'altro troppo fallo.
Di comune parer disegno tassi
Di chi offesi gli avea seguire i passi.
134
Nel campo Saracin li troveranno,
Quando non possan ritrovarli prima;
Che per levar l'assedio iti scranno,
Prima che '1 Re di Francia il tutto oppri-
Cosi dirittamente se ne vanno [ma.
Dove averli a man salva fanno stima.
Già non andò Ruggier cosi di botto.
Che non facesse a i suoi compagni motto.
135
Ruggier se ne ritorna ove in disparte
Era il fratel de la sua Donna bella,
E se gli proferisce in ogni parte
Amico, per fortuna buona e fella:
Indi lo priega (e lo fa con bella arte)
Che saluti in suo nome la Sorella;
E questo cosi ben gli venne detto,
Che né a lui die né a gli altri alcun so-
136 [spetto.
E da lui, da Vivian, da Malagigi,
Dal ferito Aldigier tolse commiato.
Si proferirò anch'essi alli servigi
Di lui, debitor sempre in ogni lato.
Marfisa avea si il cor d'ire a Parigi,
Che '1 salutar gli amici avea scordato:
Ma Malagigi andò tanto e Viviano,
Che pur la salutaron di lontano;
137
E cosi Ricciardetto; ma Aldigiero
Giace, e convien che suo malgrado resti.
Verso Parigi avean preso il sentiero
Quelli duo prima, et orlo piglian questi.
Dirvi, Signor, ne l'altro Canto spero
Miracolosi e sopra umani gesti,
Che con danno degli uomini di Carlo
Ambe le coppie fér, di ch'io vi parlo.
134. 3. saranno, forma arcaica e rara.
— 6. a man salva, sicui'amente, senza pe-
ricolo (li sbanliare. Quest' idea accessoria,
che qui appare chiaramente, manca in ge-
nerale nell'espressione a man salva, che
vale invece senza nessun pericolo.
136. 5. avea... il cor, avea... il desiderio.
Comunemente di disse e si dice avere U
core a o in una cosa. Della costruzione
con di e l' infinito si cita questo solo esempio.
360
ORLANDO FURIOSO
CANTO XXVII
Molti cousigli de le donne sono
Meglio improviso, eh' a pensarvi, usciti;
Che questo è speziale e proprio dono
Fra tanti e tanti lor dal ciel largiti.
Mapuòmalqueldegliuoraini esser buono,
Che maturo discorso non aiti.
Ove non s' abbia a ruminarvi sopra
Speso alcun tempo e molto studio et opra.
2
Parve e non fu però buono il consiglio
Di Malagigi, ancor che (come ho detto)
Per questo di grandissimo periglio
Liberasse il cugin suo Ricciardetto.
A levare indi Rodomonte e il figlio
Del Re Agrican,lo spirto avea constretto,
Non avvertendo che sarebbon tratti
Dove i Cristian ne rimarrian disfatti.
3
Ma se spazio a pensarvi avesse avuto,
Creder si può che dato similmente
Al suo cugino avria debito aiuto.
Né fatto danno alla Cristiana gente.
Comandare allo spirto avria potuto,
Ch'alia via di Levante o di Ponente
Si dilungata avesse la Donzella,
Che non n'udisse Francia più novella.
4
Cosi gli amanti suoi l'avrian seguita.
Come a Parigi, anco in ogn'altro loco;
Ma fu questa avvertenza inavvertita
Da Malagigi, per pensarvi poco:
1. 1. Molti e. ecc. Opportunamente il Pa-
nizzi cita un luogo dei Reali di Francia, 2,
16; « Rizieri si maravigliò molto del presto
rimedio, che Dusolina prese; e confermò il
detto del Savio che '1 consiglio della femina
è buono s'ella non vi pensa suso, ma s'ella
vi pensa non lo pigliar, eh' è vizioso ».
— 2. improviso, improvvisamente. Cosi
nel e. xii, 93, 2 e i, 53, 8. — a pensarvi, pen-
sandovi. V. e. Si, 17, n. 5. —usciti, riusciti.
Cosi nel e. xviii, 116; xxiv, 28 e altrove. —
E nota lo scorcio tutto popolare : sono riu-
sciti meglio improvvisamente, cioè: dati
improvvisamente.
— 5. mal, difficilmente. Boccaccio, Gior-
nata 4, proem. « e potete male durar fati-
ca >.
— 7. Ove, sul quale consiglio non si sia
speso alcun tempo a ruminarvi sopra. O me-
glio; qualora, se, non si sia speso alcun
tempo a r. s.
3. 6. alla via di L.; verso L. È modo an-
cora vivissimo.
E la Malignità dal ciel bandita.
Che sempre vorria sangue e strage e fuoco.
Prese la via donde più Carlo afflisse.
Poi che nessuna il Mastro gli prescrisse.
5,
Il palafren ch'avea il demonio al fianco.
Portò la spaventata Doralice,
Che non potè arrestarla fiume, e manco
Fossa, bosco, palude, erta o pendice.
Fin che per mezzo il campo Inglese e Fran-
E l'altra moltitudine fautrice [co.
De r insegne di Cristo, rassegnata
Non l'ebbe al padre suo Re di Granata.
6
Rodomonte col figlio d'Agricane
La seguitare il primo giorno un pezzo,
Che le vedean le spalle, ma lontane.
Di vista poi perderonla da sezzo,
E venner per la traccia, come il cane
La lepre o il capriol trovare avvezzo;
Né si fermar, che furo in parte, dove
Di lei ch'era col padre ebbono nuove.
7
Guardati, Carlo, che '1 ti vien adesso
Tanto furor, ch'io non ti veggo scampo:
Né questi pur, ma '1 Re Gradasso è mosso
Con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti fin all'osso, •
4. 5. malignità. L'astratto per il concreto:
quel maligno; il demonio. Dante pure, Purg.
5, 112, lo chiamò quel mal voler.
— 8. il Mastro; maestro Malagigi.
5. 3. Che; in modo che. V. e. i, a7, n. 7.
— 5. per mezzo il campo ecc. Essendo i
nemici di Carlo assediati nei loro accampa-
menti, per andare a Stordilano bisognava
traversar le schiere cristiane. — Per il co-
strutto cfr. e. VI, 23, n. 8.
— 7. rassegnata, riconsegnata.
6. 4. da sezzo. V. e. xi, 13, n. 3.
— 6. trov. avvezzo, avvezzo a trovare. Y.
e. I, 4, n. l.
— 7. che, finché. V. e. xiii, 7, n. 4.
7. 1. el; egli. È il pronome neutro, per
cui cfr. FORNACiARi, Sliit. p. 55. Ed è uno
de' pochi casi, dove l'A. ha lasciato el in-
vece di mettere egli o gli, come ha fatto per
molti altri luoghi nell'ediz. del 1532. V. e.
II, 15, 4; XIII, 3, 8.
— 2. ti veggo, veggo per te. Cosi abbiamo
si per a sd nel e. vi, 59, 1; vii, 16, 4; pt-r
contro di sé xxiv, 97, 7.
— 3. è mosso, si è mosso. Cosi nel e. in,
14, 2, fu mossa per si fu tnossa.
— 5. toccarti; colpirti. V. e. xvi, Si, n. 2.
CANTO XXVII
361
Ti tolle a un tempo Vano e l'altro lampo
Di forza e di saper, che vivea teco;
E tu rimaso iu tenebre sei cieco.
8
Io ti dico d'Orlando e di Rinaldo;
Che l'uno al tutto furioso e folle,
Al sereno, alla pioggia, al freddo, al caldo
Nudo va discorrendo il piano e '1 colle:
L'altro, con senno non troppo più saldo,
D'appresso al gran bisogno ti si tolle;
Che, non trovando Angelica in Parigi,
Si parte, e va cercandone vestigi.
9
Un fraudolente vecchio incantatol-e
Gli fé' (come a principio vi si disse)
Creder per un fantastico suo errore,
Che con Orlando Angelica venisse:
Onde di gelosia tocco nel core,
De la maggior ch'amante mai sentisse.
Venne a Parigi, e come apparve in corte.
D'ire in Bretagna gli toccò per sorte.
10
Or, fatta la battaglia onde portonne
Egli l'onor d'aver chiuso Agraniante,
Tornò a Parigi, e monister di donne
E case e rocche cercò tutte quante.
Se murata non è tra le colonne,
— 6. lampo di f. e d. s. È maniera figu-
rata e poetica foggiata dall'A. per indicare
che avevano in sommo grado forza e sa-
pere.
8. 1. ti dico, ti parlo. Cosi nel e. i, 2, 1.
•« Dirò d'Orlando »; e cosi spesso nella no-
stra lingua.
9 1. Un fraudol. ecc. Nel e il, 15 un falso
eremita aveva mandato un demonio in for
ma di valletto a Rinaldo e Sacripante, che i
combattev;ano, colla falsa notizia che Ange
lica andava a Parigi con Orlando. Rinaldo
che n' era innamorato, va a Parigi per tro
varia, ma Carlo Io manda in Inghilterra a
cercare aiuti. Ora, che ha fatto il suo do
vere, ritorna al proposito di cercare An
gelica.
— 3. per un f. s. errore, con un suo in
ganno operato per mezzo d'un fantasma
Errore magico per ittganno magico nel
e. xui, 49, 2. Così pure in questo canto, st
14,3.
10. 1. onde portonne, il ne è pleonastico
— 5. Se mur. non è. È detto ex mente di
Rinaldo: Rinaldo pensava che, se non era
murata tra le e. l'avrebbe trovata. Per il
presente invece dell' imperf. cfr. e. i, 81,
n. 3. — tra le colonne, dentro le colonne j
come si dice tra ine, tra sé, dentro di me,
dentro di sé; e il Petrarca, i, son. 74: <r
dicea fra '1 mio cor ». Dice dentro le colon-
ne perché ivi, meglio che nei muri, si po-
trebbe nascondere una persona.
L'avria trovata il curioso amante.
Vedendo al fin ch'ella non v'èné Orlando,
Amenduo va con gran disio cercando.
11 [Brava
Pensò che dentro Anglante o dentro a
Se la godesse Orlando in festa e in giuoco;
E qua e là per ritrovarla andava.
Né in quel la ritrovò né in questo loco,
A Parigi di nuovo ritornava,
Pensando che tardar dovesse poco
Di capitare il Paladino al varco;
Che '1 suo star fuor non era senza incarco.
12
Un giorno o duo ne la città soggiorna
Rinaldo, e poi ch'Orlando non arriva,
Or verso Anglante, or verso Brava toma.
Cercando se di lui novella udiva, [giorna,
Cavalca e quando annotta e quando ag-
AUa fresca alba e all'ardente ora estiva;
E fa al lume del sole e de la luna
Dugento volte questa via, non ch'una.
13
Ma l'antiquo avversario, il qual fece Eva
All'interdetto pome alzarla mano,
A Carlo un giorno i lividi occhi leva,
Che '1 buon Rinaldo era da lui lontano ;
E vedendo la rotta che poteva
Darsi in quel punto al popolo Cristiano,
Quanta eccellenzia d'arme al mondo fuBse
Fra tutti i Saracini, ivi condasse.
14
Al Re Gradasso e al buon Re Sacripante,
Ch'eran fatti compagni all'uscir fuore
De la piena d'error casa d'Atlante,
Di venire in soccorso, messe in core,
Alle genti assediate d'Agramante,
— 6. curioso; (da cura) che ha cura di
cercare. Cosi nella st. 70, 7.
11. 1. Anelante.... Brava, due supposti ca-
stelli d'Orlando.
— 8. ìncarco; biasimo. Cosi incarca per
dice ingiuria nel e. x, 43, 2.
12. 5. annotta.... aggiorna ; è notte.... è
giorno. La Crusca e altri intendono si fa
notte, si fa giorno; ma è chiaro che l'A.
voleva indicare la istancabile costanza di
Rin.; la quale non apparirebbe dicendo che
cavalcava col far del giorno e della notte.
È una bella estensione di significato, che
gli iiiterpetri non hanno capito.
13. 2. pome, pomo. È forma frequente
negli antichi.
— 4. Che; È relativo di un giorno: quando.
— 7. eccellenzia d' ar. L' astratto per il
concreto: quanti eccellenti in arme.
14. 1. hnon; valoroso. V. e. xv, 15, n. 3.
Di Gradasso e di Sacripante vedi ciò che si
dice al e. xii, 33; xxu, 20.
— 3. error, inganno. V. e. xii, 11 seg.
362
ORLANDO FURIOSO
E a distruzion di Carlo Imperatore;
Et egli per l'incognite contrade
Fé' lor la scorta, e agevolò le strade.
15
Et ad un altro suo diede negozio
D'affrettar Rodomonte e Mandricardo
Per le vestigie donde l'altro sozio
A condur Doralice non è tardo.
Ne manda ancor un altro, perché in ozio
Non stia Marfisa né Ruggier gagliardo :
Ma chi guidò l'ultima coppia, tenne
La briglia più, né quando gli altri, venne.
16
La coppia di Marfisa e di Ruggiero
Di mezza ora più tarda si condusse;
Però ch'astutamente l'angel nero,
Volendo a gli Cristian dar de le busse.
Provide che la lite del destriero
Per impedire il suo desir non fusse:
Che rinovata si saria, se giunto
Fosse Ruggiero e Rodomonte a un punto.
17
I quattro primi si trovaro insieme
Onde potean veder gli alloggiamenti
De l'esercito oppresso e di chi '1 preme,
E le bandiere in che feriano i venti.
Si consigliaro alquanto, e fur l'estreme
Conclusion dei lor ragionamenti
Di dare aiuto, mal grado di Carlo,
Al Re Agramante, e de l'assedio trarlo.
18
Stringonsi insieme, e prendono la via
Per mezzo ove s'alloggiano i Cristiani,
Gridando, Africa e Spagna tuttavia :
E si scoprirò in tutto esser Pagani.
Pel campo, arme, arme risonar s'udia;
I Ma menar sì sentir prima le mani :
i E de la retroguardia una gran frotta.
Non ch'assalita sia, ma fugge in rotta.
I 19
j L'esercito Cristian mosso a tumulto
I Sozzopra va senza sapere il fatto.
Estima alcun che sia un usato insulto,
, Che Svizzeri o Guasconi abbino fatto.
Ma perch'alia più parte è il caso occulto,
S'aduna insieme ogni uazion di fatto.
Altri a suon di tamburo, altri di tromba:
Grande è'irumore, e fin al ciel rimbomba.
20
, Il magno Iraperator, fuor che la testa,
È tutto armato, e i Paladini ha presso :
E domandando vien che cosa è questa
Che le squadre in disordine gli ha messo :
E minacciando, or questi or quelli arresta :
E vede a molti il viso o il petto fesso.
Ad altri insanguinare o il capo o il gozzo,
Alcun tornar con mano o braccio mozzo.
21
Giunge più inanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago
Nel proprio sangue orribilmente involti,
Né giovar lor può medico né mago;
E vede da gli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele imago;
E ritrova da i primi alloggiamenti
A gli ultimi per tutto uomini spenti.
15. 1. suo, della sua famiglia: un denio-
uio _ diede negozio dette incarico. Si cita
questo solo esempio dell'A.
— 3. vestigie, via. In questo senso non è
registrato dai vocabolari. — donde, dalla
quale via. Si desidererebbe piuttosto un per
dove, ma l'A. avea la mente alla fuga di Do-
ralice dai due guerrieri. — sozio, socio, com-
pagno: l'altro diavolo.
— 7, chi guidò; ma il terzo demonio, che
guidò Marf. e Rug., andò più lento e giunse
più tardi.
17. 4. feriano, percotevauo, battevano. V.
e. u, 76, n. 3.
7. mal grado di C; in danno di C. V. e.
XVIII, 40, II. 2.
18. 2. per mezzo ove ecc., per mezzo al
campo dei Cr. Questi dunque assalgono alle
spalle i Cristiani e traversano il loro ac-
campamento.
— 3. Affrica e S. Erano le loro parole
d'ordine.
— 5. arme, arme ; É il grido d' all' armi
dato dai Cristiani.
19. 2. sozzopra. V. e. xiv, 128, n. 8.
— 3. insalto, sommossa. Nel e. xvi, 83, 3
significa assalto. In questo luogo la Crusca
gli dà lo stesso significato; ma usato as-
salto a che cosa ? Vale dunque sommossa,
significato che doveva aggiungersi agli
altri.
— 4. Svizzeri o 6,; Bande mercenarie
poco disciplinate, perciò facili ai disordini.
— 6. og. nazion; i soldati di ciascuna re-
gione si adunano sotto il respettivo vessillo
e capo. — dì fatto, subito. È modo molto
frequente negli scrittori antichi, ma è an-
dato in disuso in questo senso.
— 8. fin al del.; fino il cielo, ne rim-
bomba perfino il cielo. V. e. ii, 28, n. 8.
20. I. fuor oh. la t. Ordinariamente, fuori
della battaglia, l'elmo era portato dagli scu-
dieri. L'A. vuol far notare che C. M. aveva
scudo al braccio e lancia in mano, pronto
per la battaglia; né altro gli mancava ch^
prender l'elmo xlagli scudieri, che lo segu'
vano.
— 7. insanguinare, sanguinare. È raro an
che negli antichi.
21. 5. sciolti , separati (latino solutus^
anima corpore soluta, anima separata da
corpo). È significato, che manca ai voca
bolari.
CANTO XXVII
363
22
Dove passato era il piccol drappello,
Di chiara fama eternamente degno,
Per lunga riga era rimaso quello
Al mondo sempre raeraorabil segno.
Carlo mirando va il crudel macello,
Maraviglioso, e pien d'ira e di sdegno,
Come alcuno, in cui danno il fulgur venne,
Cerca per casa ogni sentier che tenne.
23
Non era a gli ripari anco arrivato
Del Re African questo primiero aiuto.
Che con Marfisa fu da un altro iato
L'animoso Ruggier sopravenuto.
Poi ch'una volta o due l'occhio aggirato
Ebbe la degna coppia, e ben veduto
Qual via più breve per soccorrer fosse
L'assediato Signor, ratto si mosse.
24
Come quando si dà fuoco alla mina.
Pel lungo solco de la negra polve
Licenziosa fiamma arde e camina
8i ch'occhio a dietro a pena se le volve;
.E qual si sente poi l'alta mina
Che '1 duro sasso o il grosso muro solve ;
Cosi Ruggiero e Marfisa veniro,
E tai ne la battaglia si sentirò.
25
Per lungo e per traverso a fender teste
Incominciaro, e tagliar braccia e spalle
De le turbe che male erano preste
Ad espedire e sgombrar loro il calle.
Chi ha notato il passar de le tempeste,
Ch'una parte d'un monte o d'una valle
Ofi"ende e l'altra lascia, s'appresenti
La via di questi duo fra quelle genti.
22. 6. Maraviglioso, maravigliato. Cosi e.
X, 90, 7 e altrove.
— 7. alcuno, uno. Boccaccio, Nov. 89:
« ad alcuno, che savio era, disse ». È fre-
quente nella nostra lingua.
23. 5. aggirato, girato. V. e. xn, 18, n. 4.
24. 2. solco, riga. Veramente il solco in-
clude sempre l' idea d' incavo; qui è invece
una riga rilevata di polvere. È significato
notevole non registrato dai vocabolari.
— 3. Licenziosa, senza ritegno. Cosi il Ma-
chiavelli disse licenzioso V impeto d'un
fiume {Principe, 23).
— 4. a dietro se 1. v., le va dietro, la se-
gue. É notevole la locuzione l'occhio si vol-
ge dietro e l'avverbio a dietro per dietro,
come qui si desidera.
— 7. veniro. V. e. vi, 81, n. 3.
25. 3. male, non. V. e. i, 57, n. 1.
— 7. s'appresenti: si figuri, s'immagini.
Generalmente si disse appresentarsi al-
l'animo, alla mente. Cosi, senza comple-
mento, è citato questo luogo senz'altrì esem-
pu La Crusca non ha questo significato.
Molti che dal furor di Rodomonte
E di quegli altri primi eran fuggiti.
Dio ringraziavan ch'avea lor si pronte
Gambe concesse, e piedi si espediti;
E poi, dando del petto e de la fronte
In Marfisa e in Ruggier, vedean, scherniti,
Come l'uom né per star né per fuggire.
Al suo fisso destin può contradire.
27
Chi fugge l'im pericolo, rimane
Ne l'altro, e paga il fio d'ossa e di polpe.
Cosi cader coi figli in bocca al cane
Suol, sperando fuggir, timida volpe.
Poi che la caccia de l'antique tane
Il suo vicin che le dà mille colpe,
E cautamente con fumo e con fuoco
Turbata l'ha da non temuto loco.
28
Ne gli ripari entrò de' Saracini
Marfisa con Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti con gli occhi al ciel supini
Dio ringraziar del buono avvenimento.
Or non v'è più timor de' Paladini:
Il più tristo Pagan ne sfida cento;
Et è concluso che senza riposo
Si torni a fare il campo sanguinoso.
29
Corni, bussoni, timpani moreschi
Empieno il ciel di formidabil suoni:
Ne l'aria tremolare ai venti freschi
Si veggon le bandiere e i gonfaloni.
Da l'altra parte i Capitan Carleschi
Come una tempesta devasta una striscia
del monte o della valle, cosi questi due guer-
rieri passavano, uccidendo, in mezzo alle
schiere, aprendosi come una via.
26. 7. per star ... per f. ; per quanto resti
ecc. V. e. XV, 69, n. 6.
— 8. contradire, resistere, opporsi. Nella
st. 97, 7, significa impedire come nel e.
xLiv, 37, 3; ed è costruito col che. Di que-
sto secondo significato e del costrutto tac-
ciono i vocabolari tutti. — fisso d.; prefis-
so, prestabilito destino.
27. 2. il fio, il tributo al suo destino. V.
e. XVII, 41, n. 5. — d'ossa e di p., con ossa
e p. ; colla propria vita. Espressione note-
vole.
— 6. Il suo vicin, il villano che ha la casa
vicina alla sua tana e che le attribuisce
mille danni.
— 7. cautamente, accortamente l'ha con
fumo e fuoco fatta uscire dalla fida tana,
ch'era l'unico luogo da lei non sospettato
d' insidie.
28. 3. supini. V. c. xiv, 69, n. 5.
29. 1. bussoni o busoni. Sorta di stru-
mento antico da fiato. Lo nomina più volte
anche il Pulci; x, 27; xvi, 25; xix, 89.
364
ORLANDO FURIOSO
Stringon con Alamanni e con Britoni
Quei di Francia, d'Italia e d'Inghilterra;
E si mesce aspra e sanguinosa guerra.
30
La forza del terribil Rodomonte,
Quella di Mandricardo furibondo.
Quella del buon Ruggier, di virtù fonte,
Del Re Gradasso si famoso al mondo,
E di Marfisa l'intrepida fronte,
Col Re Circasso a nessun mai secondo,
Feron chiamar san Gianni e san Dionigi
Al Re di Francia, e ritrovar Parigi.
31
Di questi cavallieri e di Marfisa
L'ardire invitto e la mirabil possa
Non fu, Signor, di sorte, non fu in guisa
Ch'imaginar, non che descriver possa.
Quindi si può stimar che gente uccisa
Fosse quel giorno, e che crude) percossa
Avesse Carlo. Arrogo poi con loro
Con Ferrali più d'un famoso Moro.
32
Molti per fretta s'aflfogaro in Senna
(Che '1 ponte non potea supplire a tanti),
E desiar, come Icaro, la penna.
Perché la morte avean dietro e davanti.
Eccetto Uggieri e il Marchese di Vienna,
I Paladin fur presi tutti quanti.
Olivier ritornò ferito sotto
La spalla destra, Uggier col capo rotto.
33
E se, come Rinaldo e come Orlando,
— 6. Strìngon, riuniscono.
30. 6. col Ee Circasso; È questo l'unico
luogo, dove SI dice che Sacripante combatte
contro i cristiani.
31. 3. di sorte, di maniera. — in gnlsa.
Ripete il concetto di di sorte per soffermare
e richiamare più viva l'attenzione del let-
tore. — Signor. È, al solito, Ippolito d'Este.
— 5. cbe gente, quanta gente. Petr. il,
son. 43: « Oh che lieve (quanto lieve) è in-
gannar chi s' assecura ». Ma in questn
luogo del Petr. il che risponde al latino
qua'm invece nel luogo dell'A. sarebbe egua-
le a (juam multa. Ed è un esempio notevole.
— 7. Arrogo, arrogi, aggiungi. Dallat. ar-
rapare, mutata coniugaz. dalla 1' alla 3":
e la terminaz. ha conservata la forma lati-
na in e. Cosi nel e. xxxiii, 69, 1. E con que-
sta terminazione si usa anch'oggi avverbial-
mente: arroge = di più.
35>. 2. supplire, bastare. Significato cosi
comune come l'altro di sovvenire al difetto.
— 4. dietro e dav. ; dietro per i nemici,
davanti per il fiume. — Su Icaro v. canto
xxxii, 24, 1.
— 5. il Marchese di V., Oliviero avea il
titolo di marchese di Vienna, città di Fran-
cia nel Delfinato.
Lasciato Brandimarte avesse il giuoco,
Carlo n'andava di Parigi in bando.
Se potea vivo uscir di si gran fuoco.
Ciò che potè, fé' Brandimarte, e quando
Non potè più, diede alla furia loco.
Cosi Fortuna ad Agramante arrise,
Ch'un'altra volta a Carlo assedio mise.
34
Di vedovelle i gridi e le querele,
E d'orfani fanciulli, e di vecchi orbi,
Ne l'eterno seren dove Michele
Sedea, salir fuor di questi aer torbi ;
E gli fecion veder come il fedele
Popol preda de' lupi era e de' corbi,
Di Francia, d'Inghilterra e di Lamagna,
Che tutta avea coperta la campagna.
35
Nel viso s'arrossi l'Angel beato.
Parendogli che mal fosse ubidito
Al Creatore, e si chiamò ingannato
Da la Discordia perfida e tradito.
D'accender liti tra i Pagani dato
Le avea l'assunto, e mal era esequito;
Anzi tutto il contrario al suo disegno
Parca aver fatto a chi guardava al segno.
36
Come servo fedel, che più d'amore
Che di memoria abondi, e che s'avveggia
Aver messo in oblio cosa ch'a core
Quanto la vita e l'anima aver deggia;
Studia con fretta d'emendar l'errore.
Né vuol che prima il suo Signor lo veggia:
Cosi l'Angelo a Dio salir non volse.
Se de l'obligo prima non si sciolse.
37
Al monister, dove altre volte avea
La Discordia veduta, drizzò l'ali.
Trovolla ch'in capitolo sedea
38. 4. fuoco, combattimento ardente.
— . 6. diede alla f. 1.; lasciò passare L\
furia nemica, ritirandosi.
34. 2. orbi, orbati dei figli.
— 4. aer torbi; di quest'aer torbe, torbi-
do, non bello e chiaro come l'alto cielo. \ù
notevole il plurale, di cui non si cita altro
esempio.
— 7. Di Francia. Unisci con popol.
35. 6. esequito; eseguito. Forma più vi-
cina al lat. exequi, usata altre volte dall'A.
— 8. guardala al segno; g. all'effetto. Nei
Cinque canti iv, 50, l'A. ha condurre a se-
gno, condurre a effetto. Da questa locuzio-
ne, in cui segno si può ricondurre facil-
mente al suo significato di scopo, l'A. ha
derivato quest'altra, dove quel significato
è assai più lontano.
37. 3. in capitolo. Capitolo si chiama la
stanza, dove si radunano i frati per pren-
dere delle deliberazioni; e anche la loro
CANTO XXVII
365
A nuova elezion degli ufficiali;
E di veder diletto si preudea,
Volar per capo a' frati i brevìali.
Le man le pose l'Angelo nel crine,
E pugna e calci le die senza fine.
38
Indi le roppe un manico di croce
Per la testa, pel dosso e per le braccia.
Mercé grida la misera a gran voce,
E le genocchiaal divin nunzio abbraccia.
Michel non l'abandona, che veloce
Nel campo del Re d'Africa la caccia;
E poi le dice: Aspettati aver peggio,
Se fuor di questo campo più ti veggio.
39
Come che la Discordia avesse rotto
Tutto il dosso e le braccia, pur temendo,
Un'altra volta ritrovarsi sotto
A quei gran colpi, a quel furor tremendo;
Corre a pigliare i mantici di botto,
Et agli accesi fuochi esca aggiungendo.
Et accendendone altri, fa salire
Da molti cori un alto incendio d' ire.
40
E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggiern' infiamma si. che inanzi al Moro
Li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i Pagani, anzi il vantaggio è loro.
Le differenzie narrano, et il seme
Fanno saper, da cui produtte foro:
Poi del Re si rimettono al parere.
Chi di lor prima il campo debba avere.
■41
Marfisa del suo caso anco favella,
E dice che la pugna vuol finire.
Che cominciò col Tartaro; perch'ella
Provocata da lui vi fu a venire :
adunanza. Qui stavano assegnando le nuove
cariche (elezion degli ufiBciali).
— 6. per capo; per il capo, nel capo. —
breviali, breviari: libri che contengono l'uf-
fizio divino. Detti cosi perché hanno in bre-
ve raccolte le preci giornaliere dei sacer-
doti.
— S. E pugna ecc. Queste immagini han
del grottesco, ma sono efficacissimo ricordo
dei poemi popolari.
38. 5. non l'ab. che; non l'abbandona fin-
ché. V. e. XIII, 7, n. 4.
40. 2. Moro, Agramante.
— 8. il campo. Dare, concedere, avere
ecc. il campo erano espressioni tecniche del
duello. In guerra spettava al comandante
supremo concedere il campo franco, come
in pace spettava al Signore.
41. 4. vi fu a ven.; fu provocata da lui a
venirvi; cioè a venire alla pugna, a battaglia.
Nota lo spostamento della particella avver-
biale e cfr. e. I, 47, n. 6. Marfisa accampa
diritti di precedenza, perché era stata pro-
Né, per dar loco all'altre, volea quella
Un'ora, non che un giorno, differire;
Ma d'esser prima fa l' instanzia grande.
Ch'alia battaglia il Tartaro domande.
42
Nonmen vuol Rodomonteilprimocam-
Da terminar col suo rivai l'impresa, [pò
Che per soccorrer l'Africano campo
Ha già interrotta, e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier le sue parole a campo,
E dice che patir troppo gli pesa
Che Rodomonte il suo destrier gli tenga,
E eh' a pugna con lui prima non venga.
43
Per più intricarla il Tartaro viene anche
E niega che Ruggiero ad alcun patto
Debba l'aquila aver da Tale bianche;
E d'ira e di furore è cosi matto, [che,
Che vuol, quando dagli altri trenonman-
Combatter tutte le querele a un tratto.
Né più dagli altri ancor saria mancato,
8e '1 consenso del Re vi fosse stato.
vocata da Mandricardo senza nessuna ra-
gione.
— 7-S. d'ess. prima... che domande ; d'esser
la prima a domandare. É il latino elicere,
evocare aliquem ad pugnavi. Fra le tante
locuzioni, questa non è citata dai vocabo-
lari.
42. 1. il primo campo, per il primo il cam-
po. Abbiamo una figura di enallage frequen-
tissima nelle moderne, come nelle lingue
antiche. Cosi diciamo passare una notte
agitata per jiassare una notte agitati.
— 5. Mette... a campo, mette avanti, mette
in campo. È modo elegante amato anche
dai prosatori.
— 7. gli tenga. Il gli corrisponde al da-
tivo latino detto dativus incommodi : ten-
ga in suo danno, contro la sua volontà,
o simili. È comunissimo anche nell'uso vivo.
43. 1. intricarla, intrigar la cosa, la que-
stione.
— 2. niega, (lat. /te^rat.) dice che non deve.
V. e. XVII, 62, a. 3.
— 5. dagli a. t. n. manche; da gli altri
tre non proceda, non dipenda (e sottintendi
che ciò avvenga). Proprio cosi l'usò il Sac-
chetti, Nov. 198: «Reputo d'averlo rice-
vuto e d'avere in borsa fiorini dugento, co-
me se tu l'avessi fatto, perocché da te aon
è mancato (che ciò avvenga) ».
— 6. combatter... le q. È espressione tec-
nica del duello. Querela era la questione
d'onore; e combatter una querela erSi de-
finire in duello una questione d'onore.
— 7. He più ecc.; Né più che da lui sa-
rebbe mancato pure dagli altri. Se ecc. ; os-
sia : non sarebbe stata la voglia loro mag-
giore che la voglia di lui jd impedire che
ciò avvenisse, Se il cons. ecc.
366
ORLANDO FURIOSO
44 [ricordi
Con prieghi il Re Agramante e buon
Fa quanto può, perché la pace segua;
E quando al fin tutti li vede sordi
Non volere assentire a pace o a triegua,
Va discorrendo come almen gli accordi
8i, che l'un dopo l'altro il campo assegua;
E pel miglior partito al fin gli occorre
Ch'ognuno a sorte il campo s'abbia a tórre.
45
Fé' quattro brevi porre : un Mandricardo
E Rodomonte insieme scritto avea;
Ne l'altro era Ruggiero e Mandricardo ;
Rodomonte e Ruggier l'altro dlcea :
Dicea l'altro Marfisa e Mandricardo.
Indi all'arbitrio de l'instabìl Dea
Li fece trarre: e '1 primo fu il Signore
Di Sarza a uscir con Mandricardo fuore.
46
Mandricardo e Ruggier fu nel secondo;
Nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte ;
Restò Marfisa e Mandricardo in fondo;
Di che la donna ebbe turbata fronte.
Né Ruggier più di lei parve giocondo:
Sa che le forze dei duo primi pronte
Han tra lor da finir le liti in guisa,
Che non ne fia per sé, né per Marfisa.
47
Giacca non lungi da Parigi un loco,
Che volgea un miglio 0 poco meno intorno:
Lo cingea tutto un argine non poco
Sublime, a guisa d'un teatro adorno.
Un Castel già vi fu; ma a ferro e a fuoco
44. 1. ricordi, avvertimenti. V. e. xxvi,
113, n. 3.
— 5. discorrendo, discorrendo nel suo pen-
siero.
— 6. assegna, consegua, ottenga (lat. as-
sequi). È poco usato anche presso gli anti-
chi.
— 7. gli occorre; gli viene in mente. È il
lat. occurrere; che è passato nella nostra
letteratura fin dal Trecento. Boccaccio ,
Nov. 4: « occorrergli una nuova malizia ».
45. 1. brevi; piccole strisce di carta o
pergamena con sopra un'iscrizione. — porre;
s^ottintendi : in un'urna.
— 6. de l'inst. Dea, della Fortuna.
46. 1. nel secondo, breve. Avverti l'ana-
coluto. Sopra ha detto il jn-imo a uscire
fu Rodomonte ecc.; qui continua: nel se-
condo breve fu Mandr. ecc.
— 6. pronte ; già pronte per combattere.
— 7. Han da fin. finiranno. V. e. xv, 35, n. 2.
— 8. non ne fla; non ve ne sarà, non ve
ne resterà; non vi resterà lite per sé, per-
ché saran morti gli avversari.
47. 4. teatro adorno, bel treatro. V. e. vili,
4, 6; e X, 60, n. 6.
Le mura e i tetti et a ruina andorno.
Un simil può vederne in su la strada,
Qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
48
In questo loco fu la lizza fatta.
Di brevi legni d'ognintorno chiusa,
Per giusto spazio quadra, al bisogno atta.
Con due capaci porte, come s'usa.
Giunto il di ch'ai Re par che si combatta
Tra i cavallier che non ricercan scusa.
Furo appresso alle sbarre in ambi i lati
Centra i rastrelli i padìglion tirati.
— 6. andorno; andarono. È forma popo-
lare derivata dalla terza pers. pres. andò,
andorono, andorno.
— 7. un simil, Castel Guelfo, che si vede
ancora sulla strada da Parma a Borgo S.
Donnino.
48. 1. lizza (si danno etimologie diverse,
ma quella dal lat. (iciam, licia, licci, corde,
è la più probabile; come appare anche dalla
forma antica Uccia. E sarebbe derivato dal-
l'uso di cingere lo spazio con corde o funi).
La lizza era uno spazio quadrato o rettan-
golare, e talvolta anche poligonare, chiuso
da un recinto formato di pali o di corde
fermate a pali, o di tavole, o di tela alta
poco più d'un metro. Al di fuori spesso c'era
anche una fossa. A levante e a ponente v'e-
rano due ingressi chiusi con sbarre; e non
lontano da questi ingressi o porte si alza-
vano i due padiglioni per i due combattenti
e il loro seguito. Agli altri lati, dalla parte
esterna del recinto, si alzavano altri padi-
glioni per il signore del campo, le autorità,
le dame ecc. Il popolo stava confusamente
attorno al recinto.
— 2. Di brevi legni; Era dunque chiusa
con brevi tavole messe pel dritto a guisa
di pali confitti.
— 3. Per giusto sp. q. ; era un quadrato
di giusta, conveniente misura. Cosi nel e.
XIII, 37, dice una mensa spaziosa in qua-
dro.
— 5. al Re par ecc. In questo e nei se-
guenti versi si accenna alle usanze dei
duelli del Cinquecento. Il giorno del com-
battimento era stabilito per lo più dal Si-
gnore del campo, che però talvolta ne la-
sciava la scelta ai combattenti.
— 6. che non r. scusa. Ai tempi dell'Ario-
sto era invalsa tra i cavalieri la pessima
usanza di cercare eccezioni per tirare in
lungo le trattative e sfuggire al duello.
— 8. Centra i rastr. I padiglioni dei due
combattenti si alzavano non lontano dalle
porte, che avevano per sbarre o ripari dei
rastrelli o cancelli, fatti, come comunemen-
te,oggi giorno.— tirati, tesi; che erano di
tela.
CANTO XXVII
367
49
Nel padiglion eh' è più verso Ponente
Sta il Ee d'Algier,c'ha membra di gigante.
Gli pou lo scoglio in dosso del serpente
L'ardito Ferraù con Sacripante.
Il Ke Gradasso e Falsiron possente
Sono in quell'altro al latp di Levante,
E metton di sua man l'arme Troiane
In dosso al successor del Re Agricane.
50
Sedeva in tribunale ampio e sublime
Il Re d'Africa, e seco era l'Ispano;
Poi Stordilano, e l'altre genti prime
Che riveria l'esercito Pagano.
Beato a chi pòn dare argini e cime
D'arbori stanza che gli alzi dal piano!
Grande è la calca, e grande in ogni lato
Popolo ondeggia intorno al gran steccato.
51
Eran con la Regina di Castiglia
Regine e Principesse e nobil donne
D'Aragon, di Granata e di Siviglia,
E fin di presso all'Atlantee colonne:
Tra quai di Stordilan sedea la figlia
Che di duo drappi avea le ricche gonne;
L'un d'un rosso mal tinto, e l'altro verde;
Ma '1 primo quasi imbianca e il color perde.
52
In abito succinta era Marfisa, ^
Qual si convenne a donna et a guerriera.
Termoodonte forse a quella guisa
Vide Ippolita ornarsi e la sua situerà.
Già, con la cotta d'arme alla divisa
49. 1. ch'è pili T. Poh., che, rispetto al-
raltro, è più verso ponente. Potrebbe an-
che, per il senso, omettersi il più.
— 3. lo scoglio. Per la forma scoglio cfr.
e. XVII, 11, n. 5. Per la scaglia del serp.
cfr. e. XIV, 118, 2.
51. 5. Tra quai, tra le quali. Per l'omis-
sione dell'artic. cfr. e. ii, 15, n. 8.
— 7. rosso mal tinto. È evidente l'allego-
ria in questo verso e nel seg. : « rosso mal
tinto e' che quasi imbianca, significa ardore
amoroso, che portava già a Rodomonte,
quasi estinto ; l'altro verde significa amor
vivo che portava a Mandricardo » (Tosca-
nella).
52. 2. si convenne; si conveniva. È il per-
fetto storico latino passato assai per tempo
nella nostra lingua.
— 3. Termoodonte o Termodonte ( oggi
Termeh) è fiume del Ponto (Asia minore),
che sbocca nel mar Nero. Dice la favola
che sulle sue rive nella città di Temiscyra
abitassero le Amazzoni, la cui regina era
Ippolita.
— 5. cotta d'arme. Nome che servi a in-
dicare specialmente quella sopravveste, di
seta o altra stoffa, usata dagli araldi. Era
j Del Re Agramante, in campo veuut'era
I L'araldo a far divieto e metter leggi,
i Che né in fatto né in detto alcun parteggi.
.53
! La spessa turba aspetta disiando
La pugna, e spesso incolpa il venir tardo
Dei duo famosi cavallieri; quando
I S'ode dal padiglion di Mandricardo
Alto rumor che vien moltiplicando.
I Or sappiate, Signor, che '1 Re gagliardo
I Di Sericana e '1 Tartaro possente
I Fanno il tumulto e '1 grido che si sente.
i 54
i Avendo armato il Re di Sericana,
Di sua man tutto il Re di Tartaria,
Per porgli a fianco la spada soprana
Che già d'Orlando fu, se ne venia;
Quando nel pome scritto, Durindana,
Vide, e '1 quartier ch'Almonte aver solia,
Ch'a quel meschin fu tolto ad una fon'te
Dal giovenetto Orlando in Aspramonte.
55
Vedendola, fu certo ch'era quella
Tanto famosa del signor d'Anglante,
Per cui con grande armata, e la più bella
della forma della sopravveste adoprata dai
cavalieri e che andò in disuso nel sec. xv,
rimanendo soltanto agli araldi con questo
nome di cotta d'a. (Il Kiuge lo deriva dal-
l'antico alto tedesco cozo; medio alt. ted.
kutte, grosso e rozzo mantello di lana).
Quella dei cavalieri è chiamata sempre dnl-
l'A. sopravveste. — alla divisa; con la di-
visa, con r insegna. A per con in simili
locuzioni è detto modo francese e non lo-
devole nella nostra lingua. L'A. e altri (V.
e. XVI, 4S, 8) usarono non di rado a per
con; ma qual complemento di verbi, non
di uomi, come qui e come 1' usano i fran-
cesi.
— 7. a far divieto, ecc. Si accenna ai ban-
di, che l'araldo faceva ai quattro lati della
lizza; bandi, che ingiungevano di far silen-
zio, di non far parole o atti, che significas-
sero approvazione o disapprovazione, e ri-
cordavano le pene gravissime per i contrav-
ventori.
54. 3. soprana, sovrana, eccellente.
— 4. Se ne venia, dal luogo, dove era ap-
pesa, per recarla a Mandr., che stava in
mezzo al padiglione armandosi.
— 6. quartier. Propriamente l'ovato d'uno
scudo diviso in quattro parti, dove si dipin-
gevano le armi, le insegne: poi, come qui,
la stessa insegna. Gradasso dunque vede, nel
pomo della spada, dipinta anche l'insegna
d'Orlando, cioè i colori bianco e rosso, che
egli assunse dopo ucciso Almonte (V. e. i,
28, n. 5).
55. 3. Per cui ecc. Questa spedizione di
368
ORLANDO FURIOSO
Che già mai si partisse di Levante,
Soffgiofjato avea il regno di Castella,
E Francia vinta esso pochi anni inante :
Ma non può imaginarsi, come avvenga
Ch'or Mandricardo in suo poter la tenga.
56
E dimandògli se per forza o patto
L'avesse tolta al Conte, e dove e quando.
E Mandricardo disse ch'avea fatto
Gran battaglia per essa con Orlando;
E come fìnto quel s'era poi matto.
Cosi coprire il suo timor sperando,
Ch'era d'aver continua guerra meco,
Fin che la buona spada avesse seco.
57
E dicea ch'imitato avea il Castore,
Il qual si strappa i genitali sui,
Vedendosi alle spalle il cacciatore.
Che sa che non ricerca altro da lui.
Gradasso non udi tutto il tenore,
Che disse: Non vo' darla a te né altrui.
Tanto oro, tanto affanno e tanta gente
Ci ho speso, che è ben mia debitamente.
58
Cercati pur fornir d'un'altra spada;
Ch'io voglio questa, e non ti paia nuovo.
Pazzo 0 saggio ch'Orlando se ne vada.
Averla intendo, ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimoni in su la strada
Gradasso per conquistare Durlindana forma
il contenuto epico principale della r parte
dell'Ori. Innamorato. (V. e. I, i, 23).
— 5. Castella, Casliglia. Detto per tutta
la Spagna come nel e. ii, 63.
56. 4. Gran battaglia ecc. V. e. xxin, SI,
segg.
— 7. Ch' era ecc. ; il quale era il timore
d' aver, ecc. — Nota il trapasso al discorso
diretto.
57. 1. il Castore ecc. Molti antichi credet-
tero ciò, alcuni lo negarono (V. Plinio, S.
N. 32, 3). I genitali del castoro erano ricer-
cati, per una sostanza medicinale detta ca-
sto reo.
— 5. non odi... che; non aveva udito....
quando. Che per quando è frequente nella
nostra lingua (cfr. e. xxiii, 70, 8; 93, 8). Il
passato remoto invece del ti-ap. prossimo
vuole indicare il passaggio immediato dal-
l'udire al dire.
— 8. Ci; per essa. Generalmente il ci in
questa locuzione vale in queUa cosa; ma
per un facile trapasso si adopra anche in
senso causale. Cosi un padre potrà dire d'un
podere, che non dà frutto, e d'un figlio, che
non profitta negli studi: eppure et spendo
tanti danari.
58. 1. Cercati... fornir; cerca fornirti. V.
e. I, 47, n. 6.
— 2. nuovo, strano, senza ragione. Si usa
ancora comunemente.
Te l'usurpasti: io qui lite ne muovo.
La mia ragion dirà mia scimitarra;
E faremo il giudicio ne la sbarra.
59
Prima, di guadagnarla t'apparecchia,
Che tu l'adopri coutra a Rodomonte.
Di comprar prima l'arme è usanza vecchia.
Ch'alia battaglia il cavallier s'affronte.
Più dolce suon non mi viene all'orecchia
(Rispose alzando il Tartaro la fronte).
Che quando di battaglia alcun mi tenta;
Ma fa che Rodomonte lo consenta.
60
Fa che sia tua la prima, e che si tolga
Il Re di Sarza la tenzon seconda;
E non ti dubitar ch'io non mi volga,
E ch'a te et ad ogni altro io non risponda.
Ruggier gridò: Non vo' che si disciolga
Il patto, 0 più la sorte si confonda:
0 Rodomonte in campo prima saglia,
0 sia la sua dopo la mia battaglia.
(51
Se di Gradasso la ragion prevale,
Prima acquistar che porre in opra l'arme;
Né tu l'aquila mia da le bianche ale
Prima usar dei, che non me ne disarme :
Ma poi eh' è stato il mio voler già tale,
Di mia sentenza non voglio appellarme,
Che sia seconda la battaglia mia,
Quando del Re d'Algier la prima sia.
62
Se turbarete voi l'ordine in parte,
Io totalmente turbarono ancora.
— 7. scimitarra (etimol. incerta); sciabola
corta e curva verso la costola; più propria
degli orientali.
— 8. sbarra; Qui, per sineddoche, l' inte-
ro steccato, chiuso agli ingressi con le
sbarre.
59. 1. Prima ecc.; prima che tu l'adopri
contra Rod., apparecchiati di guadagn. —
Apparecchiarsi si costruisce con a con di e
anche con l' infin. senza preposizione.
60. 3. non mi volga; sottint. contro di te.
— 6. 0 p. la s. si conf. ; o si mescolino e
confondano ancora più, di quanto vorreste
far voi, le deliberazioni della sorte; cioè
Rod. passi terzo; non volendolo rinunzia-
re ad essere il secondo.
— 7. saglia (lat. .lalio); salti. Salire in-
dicò talvolta un moto impetuoso in giù o
contro; V. e. viti, 48; xix, 56.
61. 2. Prima acq. ecc. È questo denunziato
dell' argomento addotto da Gradasso nella
st. 59, 3-4.
— 3. He; neppur. V. e. ir, 41, n. 4. ^
— 7. Che aia s. È dichiarazione di senten-
za: di mia sentenza, la quale fu che sia sec.
la b. mia.
62. 1. turbarete. V. e. ili, 2, n. 6.
!
CANTO XXVII
369
Io non intendo il mio scudo lasciarte,
Se contra me non lo combatti or ora.
Se l'uno e l'altro di voi fosse Marte
(Rispose Mandricardo irato allora).
Non saria l'un né l'altro atto a vietarme
La buona spada o quelle nobili arme.
63
E tratto da la colera, avventosse
Col pugno chiuso al Re di Sericana;
E la man destra in modo gli percosse
Ch'abandonar gli fece Durindana. '
Gradasso, non credendo ch'egli fosse
Di cosi folle audacia e cosi insana,
Colto improviso fu che stava a bada,
E tolta si trovò la buona spada.
64
Cosi scornato, di vergogna e d'ira
Nel VISO avvampa, e par che getti fuoco :
E più 1 afflige il caso e lo martira,
Poi che gli accade in si palese loco.
Bramoso di vendetta si ritira,
A trar la scimitarra, a dietro un poco.
Mandricardo in sé tanto si confida,
Che Ruggiero anco alla battaglia sfida.
65
Venite pure inanzi amenduo insieme,
E vengane pel terzo Rodomonte,
Africa e Spagna e tutto l'uman seme ;
Ch 10 sonpersempre mai volger lafronte.
Cosi dicendo, quel che nulla teme, I
Mena d'intorno la spada d'Almonte; i
Eo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero ^
— 4. lo combatti, lo contrasti, lo conten-
di. Combattere in questo senso è frequente
negli antichi; ma più col costrutto: com-
battere una cosa con uno.
— 7. vietarme; togliermi: come il Pe-
trarca, IV, son. 20. « Chi 'nnanzi tempo mi
t asconde e vieta? ».
— 8. o quelle nob. arme ; o le armi con
1 insegna uguale a quella di Ruggero.
63. 7. che stava a bada; poiché (V. e iii
6, 6) stava spensieratamente; non attento a
difendersi; per ciò fu colto sprovveduto ^V
e. VI, 53, 3). \ ■
64. 3. afflige I È forma più vicina al latino
affligit.
— 4. in 81 palese loco. Gli accade nel pa-
dighone; ma questo, essendo aperto, aveva
forse dintorno una folla di curiosi, o pure
intendi: ciò gli accade davanti a Ruggero
e alle molte persone del seguito. È prefe-
ribile questa interpretazione.
— 7. si confida. Confidarsi in sé o in
uno per aver fiducia, si usa egualmente
che il semplice confidare.
65. 4. p. s. m. volger la fr.; io son per vol-
gere, volgerò sempre la fronte ai miei av-
versari.
Abiosto — Papini
Contra Gradasso e contra ilbuonRuggie-
T • , '''^ ["•(>•
Eascia la cura a me (dicea Gradasso)
Ch IO guarisca costui de la pazzia.
Per Dio (dicea Ruggier) non te la lasso:
cu esser convien questa battaglia mia.
Va indietro tu; vavvi pur tu: né passo
l^ero tornando, gridan tuttavia;
Et attaccossi la battaglia in terzo.
Et era per uscire un strano scherzo,
67
Se molti non si fossero interposti
A quel furor, non con troppo consiglio;
Ch a spese lor quasi imparar che costi
Voler altri salvar con suo perielio
Ne tutto I mondo mai gli avria composti
he non venia col Re d'Ispagna il figlio
De tamoso Troiano, al cui conspetto
iutti ebbon nverenzia e gran rispetto.
Si fé' Agraniante la cagione esporre
Di questa nuova lite cosi ardente •
Poi molto afl^aticossi per disporre"
t.he per quella giornata solamente
A Mandricardo la spada d'Ettorre
Concedesse Gradasso umanamente
lauto eh avesse fin l'aspra contesa
Oh avea già incontra a Rodomonte presa
69
Mentre studia placarli il Re Agraraaute
Et or con questo et or con quel ragiona;
Da 1 altro padiglion tra Sacripante
fi ^S'^^omonte un'altra lite suona.
Il Re Circasso, come è detto inante
Stava di Rodomonte alla persona-
66. 4. esser convien; convien che sia. V.
e. I, 48, n. 4.
I - 5. pur; É semplice rinforzativi che
I vale 11 quidem, sa7ie dei Latini. Cosi non
I di rado l'usarono gli scrittori.
1 — 6. passo tornando. Tornare (il piede
I 11 passo) è usato transitivam. come più
I avanti nella st. 82, 2. Cosi l'Alamanni Coltiv
j 3, 74 : . Già (l'agricoltore) torna il passo e
con più larga spene. Al mandorlo gioco n-
; do ».
i — 7. in terzo; in tre. Dicesi di qualunque
azione, dove intervengono in tre. Firenzuo-
la, Lue. 4, 6: «per combattere in terzo»
67. 3. quasi. Vuol dire che mancò poco
non si attirassero addosso il furore dei tre
guerrieri.
68. 6. umanamente, cortesemente (lat. hu-
mane).
— 8. presa, intrapresa, incominciata V
e. IV, 57, n. 4.
69. 6. Stava ... alla pers. ; stava attorno
alla persona; cioè vestiva di armi Rod..
2t
170
ORLANDO FURIOSO
Et egli e Ferraù gli aveano indotte
L'arme del suo progenitor Nembrotte.
70
Et eran poi venuti ove il destriero
Facea, mordendo, il ricco fren spumoso;
10 dico il buon Frontin, per cui Ruggiero
Stava iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante ch'a por tal cavalliero
In campo avea, mirava curioso,
Se ben ferrato e ben guernito e in punto
Era il destrier, come doveasi a punto.
71
E venendo a guardargli più a minuto
I segni, le fattezze isnelle et atte,
Ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto
Che questo era il destrier suo Frontalatte,
Che tanto caro già s'avea tenuto.
Per cui giù avea mille querele fatte;
E poi che gli fu tolto, un tempo volse
Sempre ire a piedi : in modo gliene dolse.
72
Inanzì Albracca gli l'avea Brunello
Tolto di sotto quel medesmo giorno
Ch'ad Angelica ancor tolse Tannello,
Al conte Orlando Balisarda e '1 corno,
E la spada a Marfisa : et avea quello,
Dopo che fece in Africa ritorno,
Con Balisarda insieme a Ruggier dato,
11 qual l'avea Frontin poi nominato.
73
Quando conobbe non si apporre in fallo.
Disse il Circasso, al Re d'Algier rivolto :
Sappi, Signor, che questo è mio cavallo,
Ch'ad Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei testimoni da provallo :
Ma perché son da noi lontani molto,
S'alcun lo niega, io gli vo' sostenere
Con l'arme in man le mie parole vere.
— 7. av. indotte, vestite. Dal latino indu-
cere, che si usò talvolta anche per indìiere,
vestire.
— 8. L'arme ecc. V. 0. xiv, 118.
70. 5, che a por ecc. Era dunque il pa-
drino, come lo chiamavauo anche gli anti-
chi, e perciò faceva queste osservazioni di
rito (come doveasi a punto).
— 6. curioso, diligente, attento. Fu più
spesso dagli antichi usato in costrutto: cu-
rioso di metiare a fine e simili.
71. 2. atte'; agili. V. e. vi, 61, n. 6.
— 4. Frontalatte. Vedine la storia al e.
IV, 46, n. 1.
— 7. un tempo, per qualche tempo.
— 8. in modo, tanto, in tal modo gliene
dolse. Cosi anche al e. xxxvx, 58, 4.
72. 1-8. Per queste storie cfr. Innam, II,
V, 33-41; XI, G, 15, 48, 56; XXI, 52.
73. 5. provano, provarlo. V. C. Il, 3, n. 4.
— 8. Tere; è predicato: sostener vere.
74
Ben son contento, per la compagnia
In questi pochi di stata fra noi,
Che prestato il cavallo oggi ti sia;
Ch'io veggo ben che senza far non puoi;
Però con patto, se per cosa mia
E prestata da me conoscer vuoi:
Altrimente d'averlo non far stima,
0 se non lo combatti meco prima.
75
Rodomonte, del quale un più orgoglioso
Non ebbe mai tutto il mestier de l'arme;
Al quale in esser forte e coraggioso
Alcuno antico d'uguagliar non parme.
Rispose: Sacripante, ogu'altro ch'oso,
Fuor che tu, fosse in tal modo a parlarme.
Con suo mal si saria tosto avveduto
Che meglio era per lui di nascer muto.
76
Ma per la compagnia che, come hai detto,
Novellamente insieme abbiamo presa,
Ti son contento aver tanto rispetto,
Ch' io t'ammonisca a tardar questa impre-
Fin che de la battaglia veggi effetto, [sa,
Che fra il Tartaro e me tosto fìa accesa;
Dove pòrti un esempio inanzi spero.
74. 5. con patto se; con questo patto: se
cioè vuoi riconoscerlo per cosa mia.
— 7. Altrimente ecc. ; Non fare stima
d'averlo in altro modo (cioè; senza questo
patto) o se non Io conquisti (o senza com-
battere). Certo la chiarezza guadagnerebbe
senza 1' o.
— 8. lo combatti. V. st. 62, n. 4.
76. 1. un pili orgogl. Nelle edizioni del 1516
e del 1521 si legge il più orgoglioso. Questo
luogo illustra quei molti, dove si ha Tarti-
colo determiii. invece dell'indetermin.
— 4. d'ugagliar, da ug. V. e. v, 10, 5.
— 5. oso... fosse... a pari.; osasse parlar-
mi. Nota lo stacco forzato. Il costrutto es-
sere oso a è ugualmente usato come essere
oso di o senza preposizione.
— S. meglio era ... di. Per il costrutto
cfr. e. XI, 47, n. 1.
76. 2. abbiamo presa. Prender compagnia^
con uno vale farsi compagno di uno; ma
i vocabolari non citano questa locuzione.
— Novellamente; poco fa. V. e. vii, 18, n. 1.
— 3. Ti son e. av.; son contento averti,
voglio averti. Villani, 7, 48: « I nobili furon
contenti di lasciargli al detto pericolo ». Per
lo spostamento del pronome cfr. e. i, 47, n. 6.
— 4. t' amm. a tard. Più comunemente si
dice ammonire uno di fare qualcosa o
che o perché faccia.
— 5. veggi, veggia, vegga. V. e. xv, 86,
n. 5. — effetto, l'effetto, il resultato. Véla
solita omissione dell'articolo. V. e. xxx, 57.
— 7. porti... inanzi, mostrarti.
CANTO XX VII
371
Ch'avrai di grazia a dirmi: Abbi ildestrie-
Gli è teco cortesia l'esser villano
(Disseil Circasso pien d'ira e di isdegno):
Ma pili chiaro ti dico ora e più piano
Che tunonfacciainqueldestrierdisegno-
Che te lo difendo io, tanto ch'in mano '
^nesta vindice mia spada sostegno-
E metteròvi insino l'ngna e il dente,
be non potrò difenderlo altrimente
78
Venner da le parole alle contese,
Al gridi, alle minacele, alla battaglia,
Che per molt'ira in più fretta s'accese,
Che s accendesse mai per fuoco paglia.
Kodomonte ha l'osbergo et ogni arnese
Sacripante non ha piastra né maglia • ' ^
Ma par (SI ben con lo schermir s'adop'ra) I
Che tutto con la spada si ricuopra. i
79
Non era la possanza e la fierezza j
Di Rodomonte, ancor ch'era infinita, j
Più che la providenza e la destrezza.
Con che sue forze Sacripante aita. I
Non voltò ruota mai con più prestezza I
Il macigno sovran che '1 grano trita, '
Che faccia Sacripante or mano or piede
Di qua di là, dove il bisogno vede.
: E cor-
77. 1. Gli è t. Dante, Inf. 33, 150 :
tesia fu in lui esser villano ».
— 3. pili piano; più semplice: più chia-
ramente e più semplicemente.
— 4. faccia in q. d. d. V. e. ix, 50, n. 6.
— 5. te lo difendo, te lo impedisco. V e
XIV, 7, n. 3, e n, 31, n. 6, o anche te lo
vieto, te lo proibisco come nel Villani, x
150: «Tutti i drappi di seta rilevati furon
tolti e difesi (proibiti)... e sotto furon difese
le gonnelle divisate ». — tanto che; fin tanto
che. È comune anche in prosa; BocfAccio
Nov. 73 : « tanto die noi ci abbattiamo ad
essa ■».
— 8. difenderlo; vietartelo, impedirtelo
Oppure difendere il cavallo.
78. 5. arnese. Significò propriamente quel-
la parte dell'armatura, che copriva il corpo
al di sotto della corazza (e. xvu, 101, 7)-
ma anche una parte qualunque dell' arma-
tura, e tutta l'armatura, come qui.
— 6. non ha p. n. m. Quando i cavalieri \
non erano in battaglia né in viaggio, depo-
nevano l'armatura più pesante, del 'busto,
per esser più liberi.
79. 2. ancor ch'era; ancorché fosse. V e.
v, 11, n. 7.
— 6. 11 mac. sovran; la macina che sta di
sopra e gira nel piatto, che sta fermo. La
ruota è il ritrecine o il rotoiie spinto dal-
l'acqua, 0 qualunque altra ruota, che riceve
e imprime il movimento alla macina.
' Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
! l^nf p2"n "" 'P,^'^?' ^ '' <=^<^ciàr tra loro,
Do rniuSf '■''e?'''' ''^ ^««"er seguiti,
Ua molt altri Signor del popol Moro.
Questi erano 1 romori i quali uditi
Nel altro padiglion fur da costoro
Quivi per accordar venuti in vano
Col Tartaro Ruggiero e '1 Sericano.
1. 81
Venne chi la novella al Re Agramante
Riporto certa, come pel destriefo
Avea con Rodomonte Sacripante
Incominciato un aspro assalto e fiero
ll.Re, contuso di discordie tante
?ii'l^ ^'^'■«Ì.''«= Abbi tu qui pensiero
Che tra questi guerrier non sejua peggio
I Mentre all'altro disordine io proveg|io
! Rodomonte, che '1 Re, suo Signor, mira
Frena l'orgoglio, e tornk indietro il pSso'
Ne con minor rispetto si ritira ^'
A venird'Agramante il Re Circasso.
Quel domanda la causa di tant'ira
Con real viso e parlar grave e basso:
±; cerca, poi che n'ha compreso il tutto,
l'orli d accordo; e non vi fa>alcun frutto
83
Ph'ai R^'i'?,^'^ '^ "^"^^ destrier non vuole
^^ ^ì ^. ^ ^ ?'^'* P'" lungamente resti,
fee non s umilia tanto di parole,
cne lo venga a pregar che glie lo presti.
so. .,. Questi ecc. Il luogo, su cui nes-
sun commentatore si ferma, non è chiaro.
Questi romori può riferirsi ai litigi di Ro-
domonte e di Sacripante e costoro s&t anno
I Grandonio, Serpentino e Isol. Ma il dire-
I questi erano i romori dopo avere, in quat-
tro versi, descritto il trambusto nato dal-
I 1 intromettersi nella lite tanta gente invo-
I glierebbe a riferire, i romori a questo tram-
[ busto, m tal caso il luogo è da intendere
I cosi : questi erano i romori, che nell' altro
padiglione furono uditi da coloro (Agra-
\ mante, Marsiho e altri), che cercavano in-
, vano d'accordare Mandricardo, Ruggero e
I Gradasso (cfr. st. 69), E poco dopo giunse
chi spiegò la ragione di questi romori (ri-
porto certa tiovella) al re Agram. Farebbe
difficoltà costoro per coloro, di che non
SI citano esempi sicuri ; ma è poi questo
tale ardimento da vietare una interpretai
zione cosi confacente al contesto? *.
80. 8. il Sericano, Gradasso re di Sericana.
81. 5. di disc. È causale: jìer disc. Cosi
nella st. 9J, 6. v. e. xiii, 33, n. 3.
82. 2. torna ind. il p. V. st. 66, 6.
83. 4. glie lo. È uno de' pochissimi luo-
ghi, dove l'A. ha corretto il gli lo delle pri-
me edizioni.
372
ORLANDO FURIOSO
Rodomonte, superbo come suole,
Gli risponde: Né '1 ciel né tu faresti
Che cosa che per forza aver potessi,
Da altri, che da me, mai conoscessi.
84
Il Re chiede al Circasso, che ragione
Ha nel cavallo, e come gli fu tolto :
E quel di parte in parte il tutto espone,
Et esponendo s'arrossisce in volto,
Quando gli narra che 1 sottil ladrone
Ch'in un alto pensier l'aveva colto,
La sella su quattro aste gli suiìblse,
E di sotto il destrier nudo gli tolse.
85
Marfisa che tra gli altri al grido venne,
Tosto che '1 furto del cavallo udì.
In viso si turbò; che le sovvenne
Che perde la sua spada ella quel di:
E quel destrier che parve aver le penne
Da lei fuggendo, riconobbe qui :
Riconobbe anco il buon Re Sacripante,
Che non avea riconosciuto inante.
86
Gli altri ch'erano intorno, e che vantarsi
Brunel di questo aveano udito spesso.
Verso lui cominciaro a rivoltarsi,
E far palesi cenni ch'era desso;
Marfisa, sospettando, ad informarsi [so.
Da questo e da quell'altro ch'avea appres-
Tanto che venne a ritrovar che quello
Che le tolse la spada, era Brunello :
87
E seppe che pel furto onde era degno
Che gli annodasse il collo un capestro unto.
Dal Re Agramante al Tingitano regno
— 7-S. Che cosa ecc. ; Che io riconoscessi
da altri che da me una cosa, eh' io potessi
avere colla forza del mio braccio.
84. 1. che rag. ha nel e; che diritto ha
sul cavallo. Si dice anche aver ragione ■■>o-
pra una cosa.
— 3. di parte in p.; parte per parte. Que-
sta seconda maniera è più comune. Nel e.
XXXI, 102, si ha a parte a parte.
— 7. La sella ecc. Ciò è detto nell'Innam.
II, v, 40; ma l'A. introduce la variante delle
quattro aste, laddove nell' Innam. è un tron-
cone, che Brunello mette sotto l'arcione,
mentre Sacripante, assorto in un grave
pensiero, sembra quasi assopito ; e non si
accorge della destrezza del ladro che quan-
do si trova a terra.
85. 5. quel dest. Frontino, sul quale Bru-
nello fuggi con la spada di Marfisa. Inn. II,
V, 42.
86. 3. Verso Ini, che era negli argini più
alti, st. 88, 8.
— 5. ad informarsi ; Dipende da un comin-
ciò, che deve rilevarsi dal cominciaro del
V. 3. Cosi st. 107, 6 e cosi spesso nell' A.
Fu, con esempio inusitato, assunto.
Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
Disegnò vendicarsene a quel punto,
E punir scherni e scorni che per strada
Fatti l'avea sopra la tolta spada.
88
Dal suo scudier l'elmo allacciar si fece ;
Che del resto de l'arme era guernita.
Senza osbergo io non trovo che mai diece
Volte fosse veduta alla sua vita,
Dal giorno eh' a portarlo assuefece
La sua persona, oltre ogni fede ardita.
Con l'elmo in capo andò dove fra i primi
Brunel sedea negli argini sublimi. ,
89
Gli diede a prima giunta ella di piglio
In mezzo il petto, e da terra levoUo,
Come levar suol col falcato artiglio
Tal volta la rapace aquila il pollo;
E là dove la lite inanzi al figlio
Era del Re Troian, cosi portoUo.
Brunel, che giunto in male man «i vede.
Pianger non cessa e domandar mercede.
90
Sopra tutti i rumor, strepiti e gridi.
Di che '1 campo era pien quasi ugualmen-
Brunel, ch'ora pietade, ora sussidi [te,
Domandando venia, cosi si sente.
Ch'ai suono di ramarichi e di stridi
Si fa d'intorno accòr tutta la gente.
Giunta inanzi al Re d'Africa Marfisa,
Con viso altier gli dice in questa guisa:
87. 6. a quel punto, in quell'istante. Modo
non citato dai vocab. che citano il modo
simile o ogni punto, a ogni istante.
— 7. scherni e scorni. Innam. II, x, 58, 60 :
« Lui (Brunello) la beffava ognor con grave
scorno » « intorno giva Beffando con pia
scherni la regina ». Di qui il bisticcio Ario-
stesco.
— 8. sopra, oltre averle tolta la spada.
BOCCACCIO, Nov. 13: « e molte altre (posses-
sioni) comperar sopra quelle ».
88. 4. alla sua yita; V. C. XIX, 95, n. I. Il
Boiardo (Innam. I, xvi, 69), dice che avea
giurato a Macone « Mai non spogliarse
usbergo, piastra e maglia Siu che tre re
non prenda per battaglia ».
— 8. n. argini sublimi. Nella st. 47 ha detto
un argine sublime; là dice in generale ;
qui mostra in particolare le diverse parti
dell'argine, su cui sono gli spettatori, come
diremmo di un teatro moderno la gradi-
nata e le gradinate, la loggia e le logge
con lo stesso uso.
89. 2. In mezzo il p. V. c. vi, 23, n. 8.
— 8. Pianger, di pianger. V. e. i, 4, n. 1.
90. 2. ugualmente, dappertutto.
— 6. accòr, accogliere, raccogliere.
CANTO XXVII
373
91
Io voglio questo ladro tuo vassallo
Con le mie mani impender per la gola,
Perché il giorno medesmo che '1 cavallo
A costui tolle, a me la spada invola.
Ma s'egli è alcunché voglia dir ch'io fallo,
Facciasi inanzi, e dica una parola;
Ch'in tua presenzia gli vo' sostenere
Che se ne mente, e eh' io fo il mio dovere.
92
Ma perché si potria forse imputarme
C'ho atteso a farlo in mezzo a tante liti.
Mentre che questi, più famosi in arme.
D'altre querele son tutti impediti;
Tre giorni ad impiccarlo io vo' indugiar-
In tanto o vieni, o manda chi l'aiti; [me.
Che dopo, se non fla chi me lo vieti,
Farò di lui mille uccellacci lieti.
93
Di qui presso a tre leghe a quella torre
Che siede inanzi ad un piccol boschetto,
Senza più compagnia mi vado a porre.
Che d'una mia donzella e d'un valletto.
S'alcuno ardisce di venirmi a torre
Questo ladron, là venga, ch'io l'aspetto.
Cosi disse ella; e dove disse, prese
Tosto la via, né più risposta attese.
94
Sul collo inanzi del destrier si pone
Brune!, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone.
In che sperar solia, chiama per nome?
Resta Agramante in tal confusione
Di questi intrichi, che non vede come
Poterli sciorre; e gli par via più greve
Che Marfìsa Brunel cosi gli leve.
95
Non che l'apprezzi, o che gli porti amore.
Anzi più giorni son che l'odia molto,
E spesso ha d'impiccarlo avuto core,
Dopo che gli era stato l'annel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore,
91. 4. tolle... invola. Sono presenti storici,
ma più chiaro sarebbe il passato remoto.
— 5. fallo, erro: da fallare.
— 8. se ne mente. V. e. il, 4, u. 1.
92. 4. D'altre, da altre. V. e. v, 10, n. 5.
93. 3. s. pili comp. ; senf altra comp. V.
e. XVII, 25, n. 4. Cosi pure nel v. 8 di que-
sta st.
94. 1. Sul e. in. Costruisci: Si pone Br.
inanzi, sul collo del dest.
— 6. Di qnesti intr. ; per questi intr. Il di
causale è frequentissimo. V. e. xiii, 33, n. 3.
Gli intrighi sono le contese precedenti e
questa di Marflsa.
— 7. via più, vie più, molto più grave
degli stessi intrighi.
95. 4. Dopo che ecc. Gli era stato tolto da
Bradamante: e. iv, 14.
Si che n'avvampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
E a tutto suo poter farne vendetta.
96
Ma il Re Sobrino, il quale era presente,
Da questa impresa molto il dissuade,
Dicendogli che mal conveniente
Era all'altezza di sua Maestade,
Se ben avesse d'esserne vincente
Ferma speranza e certa sicurtade:
Più ch'onor, gli fia biasmo, che si dica
Ch'abbia vinta una femina a fatica.
97
Poco l'onore, e molto era il periglio
D'ogni battaglia che con lei pigliasse ;
E che gli dava per miglior consiglio,
Che Brunello alle forche aver lasciasse;
E se credesse ch'uno alzar di ciglio
A torlo dal capestro gli bastasse,
Non dovea alzarlo, per non contradire
Che s'abbia la giustizia ad esequire.
98
Potrai mandare un che Marfisa prieghi
(Dicea) ch'in questo giudice ti faccia,
Con promission ch'ai ladroncel si leghi
Il laccio al collo, e a lei si sodisfaccia :
E quando anco ostinata te lo nieghi.
Se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia:
Pur che da tua amicizia non si spicchi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi.
99
Il Re Agramante volentier s'attenne
Al parer di Sobrin discreto e saggio ;
E Marfisa lasciò, che non le venne.
Né pati ch'altri andasse a farle oltraggio :
96. 4. sua Maestade. Qui e nel e. xvii, 125
sembra che sia il vero astratto, mentre nel
e. XLiv, 37 è usato invece del concreto (a
vostra Maestà = a voi imperatore) come si
usa oggi spesso. Questo secondo uso comin-
cia appunto verso il Cinquecento.
97. 7. contradire, impedire. Cosi pure nel
e. XLiv, 37; ma è significato raro.
— 8. esequire. V. e. XX vi, 56. È forma
più vicina al lat. exequi.
98. 3. si leghi... si sodisfaccia. Regolar-
mente dovremmo avere il futuro dell' indi-
cai: si legherà... si sodisfarà. Ma il pre-
sente cong. accenna questa promessa di
Agram. come un consiglio di Sobrino.
— 7. da tua, dalla tua. V. e. ii, 15, n. 8.
99. 3. che non le venne. Potrebbe inten-
dersi: La lasciò andar libera in modo che
non le venne a fare oltraggio, né pali che
altri andasse a farle oltrag. Ma Agramante,
come re, non le avrebbe fatto un vero e
proprio oltraggio andando a reclamare i
suoi diritti. Intendi dunque: in modo che non
venne a lei, non andò a lei, come avea pri-
374
ORLANDO FURIOSO
Né di farla pregare anco sostenne;
E tollerò, Dio sa con che coraggio,
Per poter acchetar liti maggiori,
E del suo campo tot tanti romori.
100
Di ciò si ride la Discordia pazza.
Che pace o triegua ornai più teme poco.
Scorre di qua e di là tutta la piazza,
Né può trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
E legne et esca va aggiungendo al fuoco;
E grida si, che fin ne l'alto regno
Manda a Michel de la vittoria segno.
101
Tremò Parigi, e turbidossi Senna
All'alta voce, a quello orribil grido ;
Rimbombò il suon lìn alla selva Ardenna
Si che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l'Alpi e il monte di Gebenna,
Di Blaia e d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e Sonna udi, Garonna e il Reno ;
Si strinsero le madri i figli al seno.
102
Son cinque cavallier eh' han fisso il chio-
D'essere i primi a terminar sua lite, [do
L'una ne l'altra avviluppata in modo,
Che non l'avrebbe Apolline espedite.
Comincia il Re Agraraante a sciorre il nodo
ma divisato. Cosi l'Ariosto usò nel e. xxix,
71, 7, non le pensa per non pensa a lei.
— 5. anco, pure. V. e. xviii, 146, n. 8.
— 6. coraggio, core. V. e. xviii, 32, n. 4.
100. 1. si ride. Ridersi comunemente si-
gnifica burlarsi; ma qui ii rifless. ha il si-
gnificato del semplice ridere. Boccaccio,
^fov. 23: « Della quale (novella) se n'avean
l'iso ».
— 5. gavazza. Si fa derivare da un basso
latino gavisare nato da gavisua participio
di gaudeo, godere; e vale: dà grandi se-
gni di gioia.
101. 1. Tremò Par. Questa stanza è ispi-
rata dall' Kneide, 7, 511, segg., dove Aletto
suscita le turbe dei Latini a guerra contro
i Troiani, sonando un corno, per la cui spa-
ventosa voce « protenus omne contremuit
nemus et silvae insoniiere profundae: Au-
diit et Triviae longe lacus, audiit amnis
Sulfurea Nar (la Nera) albus aqua fontesque
Velini; Et trepidae matres presserò ad pec-
tora natos ».
— 3. Ardenna; V. e. I, 7S, n. 3.
— 5. Gebenna, le Cévennes, montagna
della Francia nierid.
— 6. Blaia, Blaye, città in Guienna; Arlì,
città in Provenza; Roano, Rouaii; città di
Kormandia. Con queste tre città, con le Alpi
e i quattro fiumi determina e circoscrive la
Francia.
102. 4. Apolline; non le avrebbero disbri-
De le prime tenzon ch'aveva udite.
Che per la figlia del Re Stordilano
Eran tra il Re di Scizia e il suo Africano.
103
Il Re Agramante andò per porre accordo
Diquaedilàpiii volte a questo e a quello;
E a questo e a quel pili volte die ricordo
Da Signor giusto e da fedel fratello:
E quando parimente trova sordo
L'un come l'altro, indomito e rubello
Di volere esser quel che resti senza
La donna, da cui vien lor difi"erenza;
104
S'appiglia al fin come a miglior partito.
Di che amendui si contentar gli amanti.
Che de la bella donna sia marito
L'uno de' duo, quel che vuole essa iuanti;
E da quanto per lei sia stabilito,
Più non si possa andar dietro né avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso "
Sperando ch'esser debbia a favor d'esso.
105
Il Re di Sarza, che gran tempo prima
Dì Mandricardo amava Doralice,
Et ella l'avea posto in su la cima
D'ogni favor ch'a donna casta lice;
Che debba in util suo venire estima
La gran sentenzia che '1 può far felice :
Né egli avea questa credenza solo,
Ma con lui tutto il Barbaresco stuolo.
106
Ognun sapea ciò ch'egli avea già fatto
Per essa in giostre, in torniamenti, in
[guerra;
gate i responsi di Apollo, famosi per la loro
sapienza.
— 8. Re di Scizia, Mandricardo. La Scizia,
che si disse anche gran Tartaria, è il mo-
derno Turkestan — il s. Afr., il re Rodo-
monte, che apparteneva alla sua Africa.
103. 2. a questo e a q. È complemento di
andò.
— 3. ricordo; Vale spesso ammonimento
da dover ricordare. V. e. xxvi, 113, n. 3.
— 5. qnando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— 6. rubello di voler: rubello si costrui-
sce egualmente con le preposizioni di, a,
da, contro.
104. 1. S'appiglia ecc. Avverti la brachi-
logia: dovrebbe dire: si appiglia a questo
partito, come al migliore, che cioè de la
bella donna sia marito ecc.
— 4. L'uno... quel, quelT uno. Inversione
insolita.
— 5, per lei, da lei.
105. 3. sulla cima d'o. f. Intendi: l'avea
favorito in ogni cosa. Cosi il Pulci, Morg.
6, 10: « Veggo che del tuo amor 1' hai posta
in cima ».
CANTO xxvn
375
E che stia Mandricardo a questo patto,
Dicono tutti che vaneggia et erra.
Ma quel che più fiate e più di piatto
Con lei fu, mentre il Sol stava sotterra,
E sapea quanto avea di certo in mano,
Kidea del popular giudicio vano.
107
Poi lor convenzìon ratificaro
In man del Re quei duo prochi famosi;
Et indi alla Donzella se n'andaro.
Et ella abbassò gli occhi vergognosi,
E disse che più il Tartaro avea caro:
Di che tutti restar maravigliosi ;
Eodomonte si attonito e smarrito,
Che di levar non era il viso, ardito.
108
Ma poi che l'usata ira cacciò quella
Vergogna che gli avea la faccia tinta,
Ingiusta e falsa la sentenzia appella;
E la spada impugnando, ch'egli ha cinta.
Dice udendo il Ke e gli altri, che vuol ch'el-
Gli dia perduta questa causa o vinta, [la
E non l'arbitrio di femina lieve [ve.
Che sempre inchina a quel che menfarde-
109
Di nuovo Mandricardo era risorto,
Dicendo : Vada pur come ti pare :
Si che prima che '1 legno entrasse in porto.
V'era a solcare un gran spazio di mare:
Se non che '1 Re Agramante diede torto
A Rodomonte che non può chiamare
Più Mandricardo per quella querela;
E fé' cadere a quel furor la vela.
110
Or Rodomonte che notar si vede,
Dinanzi a quei Signor, di doppio scorno
Dal suo Re, a cui per rivereuzia cede,
E da la donna sua, tutto in un giorno.
Quivi non volse più fermare il piede,
E de la molta turba ch'avea intorno
Seco non tolse più che duo sergenti,
Et usci dei Moreschi alloggiamenti.
106. 3-4. che stia... Taneggia. Strano co-
strutto. Intendi : van. et e. chi lo crede. Op-
pure: V. et err. Mandr. a prometterlo.
— 5. di piatto, di nascosto. V. e. ix, 73,
n. 5.
107. 2. in man d. E.; dinanzi al re. —
prochi (lat. pì-ocus) chi ambisce le nozze
d'una donna. Forma più comune è proci.
— 6. maravigliosi, maravigliati. V. st. 22,6.
108. S. a quel eh. m. f. d.; inchina a far
quello che meno dovrebbe fare.
109. 1. era risorto, era saltato su, si era
fatto avanti. È significato, che manca nei
vocabolari.
HO. 7. più, altro. V. e. XVII, 25, n. 4. —
sergenti, servi. V, e. xiv, 54, n. 5.
Ili
Come, partendo, afflitto tauro suole,
Che la giuvenca al vincitor cesso abbia,
Cercar le selve e le rive più sole
Lungi dai paschi, o qualche arrida sabbia;
Dove muggir non cessa all'ombra e al sole.
Né però scema l'amorosa rabbia :
Cosi sen va di gran dolor confuso
Il Re d'Algier, da la sua donna escluso.
112
Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier,che già per questo s'era armato
Ma poi di Mandricardo ricordosse,
A cui de la battaglia era ubligato :
Non segui Rodomonte, e ritornosse
Per entrar col Re Tartaro in steccato
Prima che 'utrasse il Re di Sericana,
Che l'altra lite avea di Durindana.
113
Veder tórsi Frontin troppo gli pesa
Dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
Ma dato ch'abbia fine a questa impresa.
Ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante che non ha contesa.
Come Ruggier, che possa distornarlo,
E che non ha da far altro che questo,
Per l'orme vien di Rodomonte presto.
114
E tosto l'avria giunto, se non era
Un caso strano che trovò tra via.
Che lo fé' dimorar fin alla sera,
E perder le vestigie che seguia.
Trovò una donna che ne la riviera
Di Senna era caduta, e vi peria,
S'a darle tosto aiuto non veniva;
Saltò ne l'acqua, e la ritrasse a riva.
116
Poi quando in sella volse risalire,
Aspettato non fu dal suo destriero
Che fin a sera si fece seguire,
111. 1. Come partendo ecc. Qualche tocco
di questa comparazione è tolto da Virgilio,
che nella Georg. 3, 224 segg. descrive la
battaglia di due tori per una giovenca : < sed
alter Victus abit longeque ignotis exulat
oris Multa gemens ignominiam plagasque
superbi Victons tura quos amisit inultus
amores ».
— 2. cesso, ceduto. Cosi pure nei Cinque
Canti, I, 27: ma è forma rarissima.
— 4. arrida. Forse è forma dialettale, che
l'A. ha preferito come più piena, mentre
nella Principe aveva scritto arida.
— 8. escluso, lasciato fuori nella scelta.
112. 4. de la b. e. ublig. ; era legato con
un patto riferentesi alla battaglia. Dunque
de la battaglia lo credo complemento di
limitazione, anziché complem. di obbligato.
113. 4. ricovrarlo; ricuperarlo. V. e. Il, 43,
n. 8.
376
ORLANDO FURIOSO
E non si lasciò prender di leggiero:
Preselo al fin, ma non seppe venire
Più, donde s'era tolto dal sentiero :
Ducente miglia errò tra piano e monte,
Prima che ritrovasse Rodomonte.
116
Dove trovollo, e come fu conteso
Con disvantaggio assai di Sacripante ;
Come perde il cavallo, e restò preso,
Or non dirò; e' ho da narrarvi iuante,
Di quanto sdegno e di quanta ira acceso
Contrala Donna e contra ilReAgramante
Del campo Rodomonte si partisse,
E ciò che contra all'uno e all'altro disse.
117
Di cocenti sospir l'aria accendea
Dovunque andava il Saracin dolente.
Ecco per la pietà che gli n'avea,
Da' cavi sassi rispondea sovente.
Oh feminile ingegno (egli dicea),
Come ti volgi e muti facilmente,
Contrario oggetto proprio de la fede !
Oh infelice, oh miser chi ti crede !
118
Né lunga servitù, né grand'araore
Che ti fu a mille prove manifesto,
Ebhono forza di tenerti il core.
Che non fossi a cangiarsi almen si presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
Io ti paressi, di te privo resto;
Né so trovar cagione ai casi miei,
Se non quest'una, che femina sei.
119
Credo che t'abbia la Natura e Dio
Produtto, 0 scelerato sesso, al mondo
Per una soma, per un grave fio
De Tnom che senza te saria giocondo :
Come ha produtto anco il serpente rio,
E il lupo e l'orso e fa l'aer fecondo
E di mosche e di vespe e di tafani,
E loglio e avena fa nascer tra i grani.
116. 1-4. Dove ecc. Di tutto ciò, che qui
promette di dire, l'A. si sbriga in sei versi
nel e. xxxv, 54.
117. 3. Ecco; Eco. V. e. x, 49, n. 6. — gli,
per lui.
— 7. Contrarlo ogg. ecc. È apposizione
dichiarativa dìinrjegno femminile', il quale
è oggetto della fede propriamente a ro-
vescio: cioè la fede ha tutt'altro obietto del
femminile ingegno; gli animi, a cui mira la
fede sono tutto il contrario dell' ingegno
femminile.
118. 3. tenerti il e. Qui, con un facile tra-
passo, dal feminile ingegno passa a parlare
alla donna.
— 4. fossi, fosse. Forma popolare ancor
viva nel volgo.
119. 3. fio, tormento, afflizione, pena.
Senso affine, ma forse un poco diverso da
120
Perché fatto non ha l'alma Natura,
Che senza te potesse nascer l'uomo.
Come s'inesta per umana cura [mo ?
L'un sopra l'altro il pero, il sorbo e '1 po-
Ma quella non può far sempre a misura :
Anzi, s'io vo' guardar come io la nomo.
Veggo che non può far cosa perfetta;
Poi che Natura femina vien detta.
121
Non siate però tumide e fastose,
Donne, per dir che l'uom sia vostro figlio;
Che de le spine ancor nascon le rose,
E d'una fetida erba nasce il giglio:
Importune, superbe, dispettose,
Prive d'amor, di fede e di consiglio.
Temerarie, crudeli, inique, ingrate,
Per pestilenzia eterna al mondo nate.
122
Con queste et altre et infinite appresso
Querele il Re di Sarza se ne giva
Or ragionando in un parlar sommesso,
Quando in un suon, che di lontan s'udiva.
In onta e in biasmo del femineo sesso:
E certo da ragion si dipartiva;
Che per una o per due che trovi ree,
Che cento buone sien creder si dee.
123
Se ben di quante io n'abbiafin qui amate.
Non n'abbia mai trovata una fedele;
Perfide tutte io non vo' dir né ingrate,
Ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più già ne son state,
Che non dan causa ad uom che si querele ;
Ma mia fortuna vuol che s'una ria
Ne sia tra cento, io di lei preda sia.
124
Pur vo' tanto cercar prima eh' io mora.
quello del e. xvii, 41. Anche di questo non
si citano esempi.
120. 3. Come s' Inesta ecc. È una delle
meno felici comparazioni dell' A. Intendi :
come per avere un pero, basta innestare
alcune bacchette di pero sopra un sorbo o
sopra un melo e viceversa; cosi per avere
un uomo doveva bastare che si innestasse
un pezzetto di uomo sopra un altro ani-
male qualunque. L'oscurità della compa-
razione viene dalla mancanza di questa
seconda idea, che però si rileva dal con-
testo.
— 6. come io la nomo ; al nome, che è fem-
minile.
— 8. Poi che ecc. ; poiché vien chiamata
natura, femmina. Il Femmina è apposi-
zione predicativa; quasi dicesse: è chia-
mata natura, il qual nome indica una fem-
mina.
121. 2. sia. 11 cong. indica che vien rife-
rito il pensiero delle donne.
CANTO XXVII
377
Anzi prima che '1 ciinpiù mi s'imbianchi,
Che forse dirò un di, che per me ancora
Alcuna sia che di sua fé non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
Iononneson),nonfiamaich' io mi stanchi
Di farla, a mia possanza, gloriosa [prosa.
Con lingua e con inchiostro, e in verso e in
125
Il Saracin non avea manco sdegno
Centra il suo Re, che centrala Donzella;
E cosi di ragion passava il segno,
Biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno,
Gli cada tanto mal, tanta procella,
Ch'in Africa ogni casa si funesti.
Né pietra salda sopra pietra resti;
126
E che spinto del regno in duolo e in lutto
Viva Agraraante misero e mendico;
E ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
E lo riponga nel suo seggio antico,
E de la fede sua produca il frutto ;
E gli faccia veder ch'un vero amico
A dritto e a torto esser dovea preposto,
Se tutto '1 mondo se gli fosse opposto.
127
E cosi, quando al Re quando alla Donna
Volgendo il cor turbato, il Saracino
Cavalca a gran giornate, e non assonna,
E poco riposar lascia Frontino.
Il di seguente o l'altro in su la Sonna
Si ritrovò; ch'avea dritto il camino
Verso il mar di Provenza, con disegno
Di navigare in Africa al suo regno.
128
Di barche e di sottil legni era tutto
Fra l'una ripa e l'altra il fiume pieno:
Ch'ad uso de l'esercito condutto
Da molti lochi vettovaglie avieno;
Perché in poter de' Mori era ridutto.
Venendo da Parigi al lito ameno [gna,
D'Acquamorta, e voltando inver la Spa-
Ciò che v' è da man destra di campagna.
125. 8. He pietra ecc. È espressione scrit-
turale : « Et non relinquent in te lapidem
super lapidem ».
126. 1. spinto, cacciato. V. e. xlii, 23, n. 7.
— 5. produca. Forse è il lat. producere,
metta in mostra, faccia vedere ad Agram.
il frutto della fede, che egli ha serbato al
suo re.
— 7. A dritto e a t. V. e. VI, 10, n. 7.
127. 6. dritto, indirizzato. V. e. xni, 83,
n. 6.
128. I. Bottil; leggeri, agili.
— 2. il fiume, il Rodano.
— 7. Acquamorta, Aigues-mortes. Era dun-
que in potere dei Mori tutta la parte Sud-
ovest della Francia.
129
Le vettovaglie in carra et in giumenti,
Tolte fuor de le navi, erano carche,
E tratte con la scorta de le genti,
Ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
Quivi condotti da diverse marche;
E i conduttori intorno alla riviera
Per varii tetti albergo avean la sera.
130
Il Re d'Algier, perché gli sopravenue
Quivi la notte e l'aer nero e cieco.
D'un ostier paesan lo 'nvito tenne,
Che lo pregò che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
Di yarii cibi, e di vin Corso e Greco;
Che '1 Saracin nel resto alla Moresca,
Ma volse far nel bere alla Francesca.
131
L'oste con buona mensa e miglior viso
Studiò di fare a Rodomonte onore,
Che la presenzia gli die certo avviso,
Ch'era uomo illustre e pien d'alto valore:
Ma quel che da sé stesso era diviso,
Né quella sera aVea ben seco il core
(Che mal suo grado s'era ricondotto
Alla donna già sua), non facea motto.
132
Il buono ostier, che fu dei dilìgenti
Che mai si sien per Francia ricordati,
Quando tra le nimiche e strane genti
129. 6. marche, paesi (ant. alto ted. inarca,
conflne, paese di confine; connesso col lat.
margo, margine). Cosi l'usò Dante, Purg.
19, 45.
130. 5. Adagiato, messo nella stalla. Cosi
il Boccaccio, Nov. 8: «i loro ronzini ada-
giarono». — la mensa venne; fu imbandita
la m. Espressione analoga a por la mensa,
levar le mense ecc.
— 8. alla Fr. È noto che la legge di Mao-
metto proibisce di ber vino.
131. 5. d. s. st. era diviso, era fuori di sé.
V. e. v, 26, n. I.
— 6. Me... avea b. s. il e; né era padrone
dei suoi sentimenti. 11 Monti interpetra que-
sto luogo nel senso del lat. apud se non
esse^ com,potem mentis noìi esse. 11 Romizi
(Fonti lat. del Furioso pag. 169) combatte
giustamente questa interpretaz. avvertendo
che le espress, latine citate valgono : non es-
sere in sé o in senno, mentre qui l'A. vuol
dire che R. non era più padrone del proprio
cuore, dei propri sentimenti. Avrebbe anche
potuto notare che apud se non esse è
espresso dalle parole da sé stesso era di-
viso. Dunque intendi che R. era lontano
colla mente e col cuore, i quali eran tutti
per Doralice.
132. 3. Quando, poiché. V. e. I, 18, n. 3.
378
ORLANDO FURIOSO
L'albefgo e beui suoi s'avea salvati,
Per servir quivi alcuni suoi parenti,
A tal servigio pronti, avea chiamati;
De' quai non era alcun di parlar oso,
Vedendo il Saracin muto e pensoso.
133
Di pensiero in pensiero andò vagando
Da sé stesso lontano il Pagan molto,
Col viso a terra chino, né levando [to.
Si gli occhi mai, ch'alcun guardasse in vol-
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
Si come d'un gran sonno allora sciolto,
Tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia,
E voltò gli occhi all'oste e alla famiglia.
134
Indi roppe il silenzio, e con sembianti
Più dolci un poco e viso men turbato,
Domandò all'oste e agli altri circonstanti,
Se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e che quegli altri tutti quanti
L'aveauo, per risposta gli fu dato.
Domandò lor quel che ciascun si crede
De la sua donna nel servargli fede.
135
Eccetto l'oste, f<'r tutti risposta,
Che si credeano averle e caste e buone.
Disse l'oste: Ognun pur credaasua posta;
Ch'io so ch'avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
Ch'io stimi ognun di voi senza ragione;
E cosi far questo Signor deve anco.
Se non vi vuol mostrar nero per bianco.
136
Perché, si come è sola la Fenice,
Né mai più d'una in tutto il mondo vive,
Cosi né mai più d'uno esser si 'dice,
Che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
D'esser quel sol eh' a questa palmaarrive.
Come è possibil che v'arrivi ognuno.
Se non ne può nel mondo esser più d'uno ?
137
Io fui già ne l'error che siete voi,
— 4. L'alberg. e beni. Non di rado l'A. di
due voci dello slesso periodo ad una dà l'ar-
ticolo ad un'altra lo toglie. Tale inesattezza
fu già dal Muzio rimproverata al l'etrarca,
che usa spesso di questa licenza. (V. Rime,
commento Carducci-Ferrari, Son. 121, 2).
134. 4. mogliere. È singolare. V. e. XVIII,
5.3, n. 7.
— 8. nel servargli, quanto al servargli f.
136. 3. né, neppure. V. e. ii, 41, n. 4.
137. 1. che, nel quale. V. e. xiii, 37, n. 5.
Che donna casta anco più d'una fusse.
Un gentiluomo di Vinegia poi.
Che qui mia buona sorte già condusse,
Seppe far si con veri esempi suoi.
Che fuor de l'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato;
Che '1 nome suo non mi s'è mai scordato.
138
Le fraudi, che le mogli e che l'amiche
Sogliono usar, sapea tutte per conto :
E sopra ciò moderne istorie e antiche,
E proprie esperienze avea si in pronto,
Chi mi mostrò che mai donne pudiche
Non si trovalo, o povere o di conto;
E s'una casta più de l'altra parse.
Venia, perché più accorta era a celarse.
139
E fra l'altre (che tante me ne disse,
Che non ne posso il terzo ricordarmi),
Si nel capo una istoria mL si scrisse.
Che non si scrisse mai più saldo in marmi :
E ben parria a ciascuno che l'udisse.
Di queste rie quel ch'a me parve e parmi.
E se, Signor, a voi non spiace udire,
A lor confusion ve la vo' dire.
140
Rispose il Saracin: Che puoi tu farmi,
Che più al presente mi diletti e piaccia,
Che dirmi istoriae qualcheeserapio darmi,
Che con l'opinion mia si confaccia?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi,
Siedemi incontra, ch'io ti vegga in faccia.
Ma nel Canto che segue, io v'ho da dire
Quel che fé' l'oste a Rodomonte udire.
— 7. G. Fr. Valerio. Fu gentiluomo vene-
ziano amico dell'A. Di lui leggesi nel Cam-
pidoglio Veneto del Cappellari, a. 1539: Gian
Fr. Valerio, naturale, sacerdote; imputato
d'avere intelligenza coi principi esteri... fu
appiccato per la gola nel mezzo delle due
colonne sopra la piazza di S. Marco. L'A.
mette questo Valerio anche fra quelli, che
si rallegran con lui del poema finito; e. XLvr,
16. Qui dunque abbiamo uno scherzevole
anacronismo.
— S. non mi a' è scord.; non mi è fuggito
dalla memoria. È un uso molto notevole,
non citato dai vocabolari.
138. 2. percento, appuntino, minutamente.
— s. Venia, avveniva.
140. <i. Siedemi, siedimi. V. e. X, 49, n. 7.
CANTO XXVIII
379
CANTO XXVIII
Donne, e voi che le donne avete in pregio,
Per Dio, non date a questa istoria orecchia,
A questa che l'ostier dire in dispregio
E in vostra infamia e biasrao s'apparec-
fchia;
Ben che né macchia vi può dar né fregio
Lingua si vile, e sia l'usanza vecchia
Che '1 volgare ignorante ognun riprenda,
E parli più di quel che meno intenda.
2
Lasciate questo Canto; che senza esso
Può star l'istoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo Turpinp, anch'io l'ho messo,
Non per malivolenzia né per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che l'ha
[espresso,
Che mai non fu di celebrarvi avara,
N' ho fatto mille prove ; e v' ho dimostro
Ch'io son, né potrei esser se non vostro.
3
Passi, chi vuol, tre carte ©quattro, senza
Leggerne verso; e chi pur legger vuole.
Gli dia quella medesima credenza
Che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma tornando al dir nostro, poi ch'udienza
Apparecchiata vide a sue parole,
E darsi luogo incontra al cavalliero.
Cosi l'istoria incominciò l'ostiere.
4
Astolfo, Re de' Longobardi, quello
1. 5, fregio ; onore. Lingua si vile non può
produr per voi né biasimo né onore.
— 8. intenda; Più comuuem. l'indicativo.
Il cong. indica che l'idea è annunziata come
integrante della proposiz. precedente. Ed è
uso derivato dal latino: cfr. e. xxiii, 25,
n. 4.
2. 3. Tarpino. V. e. XIII, 40, n. 2.
— 4. gara; inimicizia. Questo significato
negli esempì citati dai vocabolari va sem-
pre unito all'idea di contesa; qui tale idea
manca, per ciò l'esempio è notevole.
— 7. dimostro, dimostrato. V. e. i, 4S, n. 4.
3. 5. udienza, l'udienza, gli uditori.
— 7. E darsi ecc. ; e farsi posto dagli
astanti, perché andasse a porsi davanti al
cavaliero: (cfr. canto preced. 140, 6).
4. — Questa novella è tolta in gran parte
dal racconto, che precede le Mille e una
notte. Questa raccolta non era però ancora
tradotta in nessuna delle lingue d'occidente
{fu tradotta dal Galland nel 1704) e l'A. potè
A cui lasciò il fratel monaco il regno.
Fu ne la giovinezza sua si bello.
Che mai poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a pennello
Apelle, o Zeusi, o se v' è alcun più degno.
Bello era, et a ciascun cosi parca;
Ma di molto egli ancor più si tenea.
5
Non stimava egli tanto per l'altezza
Del grado suo, d'avere ognun minore;
Né tanto, che di genti e di ricchezza,
Di tutti i Re vicini era il maggiore ;
Quanto, che di presenzia e di bellezza
Avea per tutto '1 mondo il primo onore.
Godea, di questo udendosi dar loda.
Quanto di cosa volentier più s'oda.
averne notizia o per tradizione orale o dallo
stesso Vallerò. In quel racconto si dice che
Schachnar sultano delle Indie, volendo ri-
vedere il suo fratello cadetto Schachsenan,
che aveva nominato re di Tartaria, lo man-
da a cercare per mezzo del suo visir. Scha-
chsenan parte dalla sua casa: ma, quando
è poco lontano, vuol tornare a riabbracciare
sua moglie, che trova in confidenza con un
servo. Gli uccide ambedue e va dal fratello.
La tristezza l'opprime e nulla vale a conso-
larlo. Un giorno che la Sultana li credeva
a caccia, si abbandona anch'essa ad amori
illeciti. Schachsenan li vede e si rallegra
d'aver compagni nel danno. Il Sultano, ve-
dendo il cambiamento del suo umore, glie
ne chiede spiegazione e cosi viene a saper
tutto. Non ci crederebbe se non vedesse da
una finestra la moglie in atto di tradirlo.
I due fratelli se ne partono, per vedere se
tutte le femmine sono come le loro. E, fra
le altre, s' imbattono in una, che avea più di
novantotto volte tradito il suo amante. Allora
pensano di tornare al loro paese e di pren-
der nuovamente moghe; ma il Sultano, per
non esser tradito, stabilisce che le donne
sposate da lui siano uccise dopo la prima
notte. — Le differenze l'A. le avrà tolte o
da altre parti, o dallo stesso racconto del
Vallerò, o piuttosto dalla sua fantasia.
— 2. il fratel monaco; Rachis, che si fece
monaco cassinese (a. 749).
— 8. Ma di molto ecc.; ma si tenea di
molto più bello. Di molto invece del sem-
plice molto fu ed è nell' uso, specialmente
Toscano, v. e. xxix, 19, 7.
5. 8. Q. di cosa... s'oda; quanto di cosa,
che si oda più volentieri. Omettere e sottin-
380
ORLANDO FURIOSO
6
Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier Romano :
Con cui sovente essendosi lodato
Or del bel viso or de la bella mano,
Et avendolo un giorno domandato,
Se mai veduto avea, presso o lontano.
Altro uom di forma cosi ben composto ;
Contra quel che credea, gli fu risposto.
7
Dico (rispose Fausto) che secondo
Ch'io veggo, e che parlarne odo a ciascuno.
Ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
E questi pochi io li restringo in uno.
Quest'uno è un fratel mio, detto Giocondo.
Eccetto lui, ben crederò ch'ognuno
Di beltà molto a dietro tu ti lassi;
Ma questo sol credo t' adegui e passi. "
8
Al Re parve impossibil cosa udire,
Che sua la palma infin allora tenne;
E d'aver conoscenza alto desire
Di si lodato giovene gli venne.
Fé' si con Fausto, che di far venire
Quivi il fratel prometter gli convenne;
Ben ch'a poterlo indur che ci venisse.
Saria fatica, e la cagion gli disse:
9 [piede
Che'l suo fratello era uom che mosso il
Mai non avea di Roma alla sua vita
Che, del ben che Fortuna gli concede,
Tranquilla e senza affanni avea notrita :
La roba di che '1 padre il lasciò erede,
Né mai cresciuta avea né minuita;
E che parrebbe a lui Pavia lontana
Più che non parria a un altro ire alla Tana.
10
E la difificultà saria maggiore
A poterlo spiccar da la mogliere,
Con cui legato era di tanto amore,
Che non volendo lei, non può volere.
Pur per ubbidir lui che gU è Signore,
Disse d'andare, e fare oltre il potere.
Giunse il Re a' prieghi tali offerte e doni,
Che di negar non gli lasciò ragioni.
11
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
Dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che '1 fratel mosse
tendere il relativo è frequente nella nostra
lingua. Dino Comp. Cron. i, 35. « Ritorne-
remo alle cose furono nei nostri tempi ».
9. 2. alla sua Tìta. V. e. Xix, 95, n. 1.
— 8. Tana. Nome, che gli antichi danno
al Tanai (Don).
10. 2. mogliere. V. c. xxvii, 134, n. 4.
— 6. oltre il pot.; più del suo potere. È
modo iperbolico vivo ancora nel parlar fa-
miliare : far V impossibile.
11. 1. Partisse; V. e. il, 49, n. 1.
Si, ch'a venire al Re gli persuase:
E fece ancor (ben che difficil fosse)
Che la cognata tacita rimase,
Proponendole il ben che n'uscirla.
Oltre ch'obligo sempre egli l'avria.
12
Fisse Giocondo alla partita il giorno :
Trovò cavalli e servitori intanto ;
Vesti fé' far per comparire adorno;
Che talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato, e '1 di la moglie intorno.
Con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
Gli dice che non sa come patire
Potrà tal lontananza e non morire ;
13
Che pensandovi sol, da la radice
Sveller si sente il cor nel lato manco.
Deh, vita mia, non piagnere, le dice
Giocondo ; e seco piagne egli non manco.
Cosi mi sia questo camin felice.
Come tornar vo' fra duo mesi al manco:
Né mi farla passar d'un giorno il segno.
Se mi donasse il Re mezzo il suo regno.
14
Né la donna perciò si riconforta:
Dice che troppo termine si piglia;
E s' al ritorno non la trova morta,
Esser non può se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorno e notte porta.
Che gustar cibo, e chiuder possa ciglia ;
Tal che per la pietà Giocondo spesso
Si pente ch'ai fratello abbia promesso.
15
Dal collo un suo monile ella si sciolse.
Ch'una crocetta avea ricca di gemme,
E di sante reliquie che raccolse
In molti luoghi un peregrin Boemme;
Et il padre di lei, ch'in casa il tolse
Tornando infermo di Gerusalemme,
— 4. a venir... gli persuase. Più regolar-
mente a venir... lo p.', o anche di venir
gli p. Qui dunque abbiamo la fusione dei
due costrutti. V. e. ii, 6, n. 3.
12. 1. Fisse, stabili, prefisse. Nel semplice
è poco usato. V. e. ni, 12, 8.
13. 6. al manco; al massimo, al più. Strano
significato non avvertito da nessun vocabo-
lario, e che pure vive ancora nell'uso. Deve
illustrarsi cosi: tornar vo' fra due mesi; e
questo è il meno che possa fare per con-
tentar te e me: ma procurerò di fai'e anche
più; tornando più presto.
14. 2. termine; spazio di tempo. V. e. xni,
47, n. 2.
15. 4. Boemme, boemo.
— 6. Tornando, tornante, che tornava. « È
maniera fuori d'uso nella prosa; potrebbe
usarsi qualche volta in poesia » Fornaciaki,
Sint. p. 221.
CANTO XXVIII
381
Venendo a morte poi ne lasciò erede:
Questa levossi, et al marito diede.
16
E che la porti per suo amore al collo
Lo prega, si che ogn'orgli ne sovvenga.
Piacque il dono al marito, etaccettollo;
Non perché dar ricordo gli convenga:
Che né tempo né absenzia mai dar crollo,
Né buona o ria fortuna che gli avvenga,
Potrà a quella memoria salda e forte,
Cha di lei sempre, e avrà dopo la morte.
17
La notte ch'andò inanzi a quella aurora
Che fu il termine estremo alla partenza.
Al suo Giocondo par eh' in braccio muora
La moglie che n' ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
Viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo, e si parti in efifetto;
E la moglier si ricorcò nel letto.
18
Giocondo ancor duo miglia ito non era,
Che gli venn *la croce raccordata,
Ch'avea sotto il guaucial messo la sera,
Poi per oblivion l'avea lasciata.
Lasso ! (dicea tra sé), di che maniera
Troverò scusa che mi sia accettata,
Che mia moglie non creda che gradito
Poco da me sia l'amor suo infinito ?
19
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
Che non sarà accettabile né buona, i
Mandi famigli, mandivi altra gente.
S'egli medesmo non vi va in persona. |
Si ferma, e al fratel dice: Or pianamente
Fin a Baccano al primo albergo sprona ;
Che dentro a Roma è forza ch'io rivada:
E credo anco di gingnerti per strada. i
■20
Non potria fare altri il bisogno mio :
Né dubitar, eh' io sarò tosto teco.
Voltò il ronzin di trotto, e disse a Dio ;
16. 4. dar rie. gli e; convenga, bisogni
dargli ricordo. Vi è il solito spostamento
del pronome ; cfr. e. i, 47, n. 6.
— 8. dopo la morte; fiuo alla morte. V.
e. XIX, 1, n. 8.
17. 5. si dorme, dorme. La forma riflessa
fu usata non di rado dagli antichi. Boccac-
cio, j\'ov. 21 : « Trovò Masetto tutto disteso
all'ombra d'un mandorlo dormirsi ».
— 7. in effetto, di fatto, veramente. Ri-
sponde all'ultima licen::a delv. precedente:
cioè si licenziò più volte ; finalmente parti.
18. 2. raccordata, ricordata. Forma antica.
V. e. xxxviii, 27, 3.-
— 7. Che, cosi che. V. e. i, 57, n. 7.
19. 6. Baccaao, Un paesello a poche miglia
da Roma.
Né de' famigli suoi volse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio,
Dinanzi al sole a fuggir l'àer cieco.
Smonta in casa; va al letto; e la consci te
Quivi ritrova addormentata forte.
21
La cortina levò senza far motto,
E vide quel che men veder credea:
Che la sua casta e fedel moglie, sotto
La coltre, in braccio a un giovene giacca.
Riconobbe l'adultero di botto.
Per la pratica lunga che n'avea;
Ch'era de la famiglia sua un garzone,
Allevato da lui, d'umil nazione.
22
S'attonito restasse e mal contento.
Meglio è pensarlo e farne fede altrui,
Ch'esserne mai per far l'esperimento
Che con suo gran dolor ne fé' costui.
Da lo sdegno assalito ebbe talento
Di trar la spada, e ucciderli ambedui ;
Ma da l'amor che porta, al suo dispetto,
All'ingrata moglier, gli fu interdetto.
23
Né lo lasciò questo ribaldo Amore
(Vedi se si l'avea fatto vassallo)
Destarla pur, per non le dar dolore.
Che fosse da lui colta in si gran fallo.
Quanto potè più tacito usci fuore.
Scese le scale, e rimontò a cavallo;
E punto egli d'amor, cosi lo punse,
Ch'all'albergo non fu, che '1 fratel giunse.
24
Cambiato a tatti parve esser nel volto;
Vider tutti che 'I cor non avea lieto :
Ma non v' è chi s'apponga già di molto,
E possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
20. 5. il rio, Il Tevere. Cosi Dante, Inr.
3, 124, chiamò rio il fiume Acheronte.
21. 8. nazione, nascita. È latinismo {natio)
frequente presso gli antichi.
22. 3. esserne... per far; essere per farne.
V. e. i, 47, n. 6.
23. 2. se 81, se davvero. Il si è avverbio
affermativo. Anc'oggi diremmo : « Egli si,
fa onore alla sua famiglia »; ma quest'uso,
cosi spiccato, è citato confusamente dai vo-
cabolari.
— 4. Che, perché. V, e. i, 27, n. 8.
— 8. all' albergo ecc. ; non era arrivato
all' albergo, quando raggiunse il fratello.
Ossia: raggiunse il fratello, non già all'al-
bergo, ma per la strada, che ad esso con-
duceva : cfr. st. 19, 8.
24. 6. Corneto ; È propriamente una città
nella provincia di Roma. Qui scherza eoa
equivoco facile a comprendere.
382
ORLANDO FURIOSO
Ch'Amor sia del mal causa ognun s'avvisa:
Ma non è già chi dir sappia in che guisa.
25
Estimasi il fratel, che dolor abbia
D'aver la moglie sua sola lasciata;
E pel contrario duolsi egli et arrabbia
Che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
Sta l'infelice, e sol la terra guata.
Fausto eh' a confortarlo usa ogni prova
Perché non sa la causa, poco giova.
26
Di contrario liquor la piaga gli unge,
E dove tòr dovria, gli accresce doglie;
Dove dovria saldar, più l'apre e punge :
Questo gli fa col ricordar la moglie.
Né posa di né notte : il sonno lunge
Fugge col gusto, e mai non si raccoglie:
E la faccia che dianzi era si bella,
Si cangia si, che più non sembra quella.
27
Par che gli occhi siascondannelatesta;
Cresciuto il naso par nel viso scarno :
De la beltà si poca gli ne resta,
Che ne potrà far paragone indarno.
Col duo! venne una febbre si molesta,
Che lo fé' soggiornar all'Arbia e all'Arno :
E se di bello avea serbata cosa,
Tosto restò come al sol colta rosa.
28
Oltre ch'a Fausto incresca del fratello
Che veggia a simil termine condutto,
Via più gì' incresce che bugiardo a quello
Principe, a chi lodollo, parrà in tutto.
Mostrar di tutti gli uomini il più bello
Gli aveapromesso, e mostrerà il più brutto.
Ma pur continuando la sua via,
Seco lo trasse al fin dentro a Pavia.
25. 1. Estimasi. Il riflessivo è usato po-
chissimo dagli scrittori, e i vocabolari nep-
pur lo citano.
— 5. gonfiate 1. È un ricordo deWenfiata
labbia di Dante {In/. 7, 8); ma gli antichi
poeti, per volto usaron sempre il singolare,
— 8. poco giova. Sottintendi gli : poco
giova a lui.
26. 6. non si raccoglie; non si trattiene.
È rispondente al fugge : cfr. e. xi, 1, n. 2.
27. 4. far paragone ; dar prova nella gara.
È espressione tolta dal linguaggio cavalle-
resco, in cui far paragone significa dar
prova di una cosa colle armi: V. e. i, 61,
n. 4.
— 6. Arbia; fiume della provincia di
Siena.
28. 1. Oltre che ... incresca. V. e. vi, 79,
n. 1.
— 2. veggia. Il congiunt. indica che il
pensiero è enunziato come parte integrante
della proposiz. precedente. V. st. 1, n. 8.
29 [viso,
Già non vuol che lo vegga il Re impro-
Per non mostrarsi di giudicio privo :
Ma per lettere inanzi gli dà avviso.
Che '1 suo fratel ne viene a pena vivo;
E ch'era stato all'aria del bel viso
Un affanno di cor tanto nocivo.
Accompagnato da una febbre ria.
Che più non parca quel ch'esser solia.
30
Grata ebbe la venuta di Giocondo,
Quanto potesse il Re d'amico avere v.
Che non avea desiderato al mondo
Cosa altretanto, che di lui vedere.
Né gli spiace vederselo secondo,
E di bellezza dietro rimanere;
Ben che conosca, se non fosse il male.
Che gli saria superiore o uguale.
31
Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio;
Lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
Fa gran prò vision che stia con agio;
E d'onorarlo assai si studia^ gode.
Langue Giocondo ; che 'I pensier malvagio
C'ha de la ria moglier, sempre lo rode :
Né '1 veder giochi, né musici udire,
Dramma del suo dolor può minuire.
32
Le stanze sue che sono appresso al tetto
L'ultime, inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perché ogni diletto,
Perché ogni compagnia prova nimica)
Si ritraea, sempre aggiungendo al petto
Di più gravi pensier nuova fatica ;
E trovò quivi (or chi lo crederla?)
Chi lo sanò de la sua piaga ria.
33
In capo de la sala, ove è più scuro
(Che nou vi s'usa le finestre aprire).
Vede che '1 palco mal si giunge al muro;
E fa d'aria più chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio quindi, e vede quel che duro
A creder fora a chi l'udisse dire :
Non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
29. 5. aria, aspetto. V. e. xxx, 79, 3: « Del
bel viso turbar l'aria le fece ».
31. 2. n'ode; Sottint. le notizie, che gli
riferiscono.
— 3. F. g. prov. che; fa grande provvista
di ogni cosa, perché st. e. a. — che, perché,
affinché. V. e. xxui, 87, n. 1.
32. 8. Chi, cosa che. Cosi 1' Alamanni,
Coltiv. 3, 571 : « O van tessendo chi le scaldi
e cuopra ».
33. 5. quindi. Aspetteremmo piuttosto 5ui-
vi ; ma qui, per una specie di sillessi, deve
intendersi : pone l'occhio per vedere quindi.
— 7. se lo vede; lo vede da sé stesso.
Locuzione non comune, foggiata sopra altre,
in cui il ne ha quel significato; come: non
CANTO XXVIII
383
Et anco agli occhi suoi propri non crede.
34
Quindi scopria de la Regina tutta
La più secreta stanza e la più bella,
Ove persona non verria introdutta,
Se per molto fedel non l'avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta,
Ch'un Nanoavviticcliiato era con quella;
Et era quel piccin stato si dotto,
Che laEeginaavea messa di sotto.
35
Attonito Giocondo e stupefatto,
E credendo sognarsi, un pezzo stette;
E quando vide pur, ch'egli era in fatto
E non in sogno, a sé stesso credette.
A uno sgrignuto mostro e contrafatto
Dunque (disse) costei si sottomette,
Che'l maggior Re del mondo ha per marito.
Più bello e più cortese? Oh che appetito !
36
E de la moglie sua che cosi spesso
Più d'ognaltra biasmava, ricordosse,
Perché '1 ragazzo s'avea tolto appresso :
Et or gli parve che escusabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso.
Che d'un solo uomo mai non contentosse:
E s' han tutte una macchia d'uno inchio-
[stro,
Almen la sua non s'avea tolto un mostro.
37
Il di seguente, alla medesima ora,
Al medesimo loco fa ritorno;
E la Regina e il Nano vede ancora.
Che fanno al Re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro di ancor che si lavora,
E l'altro; e al fin non si fa festa giorno:
E la Regina (che gli par più strano)
Sempre si duol che poco l'ami il Nano.
38 [ch'ella
Stette fra gli altri un giorno a veder,
Era turbata e in gran malenconia.
Che due volte chiamar per la donzella
TI Nano fatto avea, né ancor venia.
Mandò la terza volta; et udi quella.
Che : Madonna, egli giuoca; riferia;
E per non stare in perdita d'un soldo,
A voi niega venire il manigoldo.
aspettò che gli dessero quella tal cosa, ma
se la prese.
35. 5. sgrignato ; gobbo; che ha dietro
uno sgrigno. Vocabolo popolare già molto
in uso a Firenze. L'usarono il Pulci, il Me-
dici e altri.
— 8. Più b. e p. e. Si deve sottintendere
l'articolo, rilevandolo dal comparativo pre-
cedente, il magiiior. — appetito, gusto.
37. 6. non si fa f. g. ; non si fa vacanza
un sol giorno.
— 7. che, il che. Cosi nel c.xxiv, 31, 5;
XXXIY, 20, 5.
39
A si strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhi e il viso;
E, quale in nome, diventò giocondo
D'etfetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo.
Che sembra un Cherub.in del Paradiso;
Che 'i Re, il fratello e tutta la famiglia
Di tal mutazion si maraviglia.
40
Se da Giocondo il Re bramava udire
Onde venisse il subito conforto.
Non men Giocondo lo bramava dire,
E fare il Re di tanta ingiuria accorto.
Ma non vorria che più di sé, punire
Volesse il Re la moglie di quel torto :
Si che per dirlo, e non far danno a lei,
Il Re fece giurar su l'Agnusdei.
41
Giurar lo fé' che né per cosa detta.
Né che gli sia mostrata che gli spiaccia,
Ancor ch'egli conosca che diretta-
Mente a sua Maestà danno si faccia,
Tardi o per tempo mai farà vendetta;
E di più, vuole ancor che se ne taccia.
Si che né il malfattor giamai comprenda
In fatto 0 in detto, che '1 Re il caso intenda.
42
Il Re, ch'ognaltra cosa, se non questa,
Creder potria, gli giurò largamente.
Giocondo la cagion gli manifesta,
Ond'era molti di stato dolente :
Perché trovata avea la disonesta [te;
Sua moglie in braccio d'un suo vii sergen-
E che tal pena al fin l'avrebbe morto,
Se tardato a venir fosse il conforto.
43
Ma in casa di sua Altezza avea veduto
Cosa che molto gli scemava il duolo;
39. 4. D'effetto, di fatto. Così nel e. xxv,
89, 5.
— 7. Cile ; cosi che. V. e. i, 57, n. 7.
40. 5. pili di sé; più di quanto avea fatto
egli colla sua. Giustamente il Xisiely dice
oscuro questo modo. Più chiaro sarebbe più.
di lui: se per lui xii 66, 7; xvii, 121, 5.
— S. Agnnsdei; ostia sacra. In questo
senso non è usato. L'a. forse l'usò pensando
alle parole, che, poco prima della comunio-
ne, dice il sacerdote nella messa: agnus
dei, qui tollis peccata mundi ecc. ; se pure
non fu un uso locale.
41. 7. né, neppure. V. e. Il, 41, n. 4.
— S. intenda, sappia. Forse più che un
uso speciale del verbo intendere è da ve-
dervi l'uso non regolare del pres. invece
del passato abbia inteso, sia venuto a co-
noscere.
42. 1. se non questa, fuorché questa. V.
c xviii, 84, n. 7; e xuii, 13, 6.
334
ORLANDO FURIOSO
Che 56 bene in obbrobrio era caduto,
Era almen certo di non v'esser solo.
Cosi dicendo, e al bucolin venuto,
Gli dimostrò il bruttissimo omicciuolo
Che la giumenta altrui sotto si tiene,
Tocca di sproni, e fa giuocar di schene.
44
Se parve al Re vituperoso l'atto
Lo crederete ben, senza ch'io '1 giuri.
Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
Ne fu per dar del capo in tutti i muri :
Fu per gridar, fu per non stare al patto ;
Ma forza è che la bocca al fin si turi,
E che l'ira trangugi amara et aera.
Poi che giurato avea su l'ostia sacra.
45
Che debbo far, che mi consigli, frate ?
(Disse a Giocondo) poi che tu mi tolli
Che con degna vendetta e crudeltate
Questa giustissima ira io non satolli ?
Lasciàn (disse Giocondo) queste ingrate,
E proviam se son l'altre cosi molli ;
Facciàn de le lor femine ad altrui
Quel ch'altri de le nostre han fatto a nui.
46
Ambi gioveni siamo, e di bellezza,
Che facilmente non troviamo pari.
Qual.femina sarà che n'usi asprezza.
Se centra i brutti ancor non han ripari ?
Se beltà non varrà né giovinezza,
Varranne almen l'aver con noi danari.
Non vo' che torni, che non abbi prima
Di mille moglie altrui la spoglia opima.
47
La lunga absenzia, il veder vari luoghi,
Praticare altre femine di fuore,
Par che sovente disacerbi e sfoghi
De l'amorose passioni il core.
Lauda il parer, né vuol che si proròghi
Il Re l'andata; e fra pochissime ore
Con duo scudieri, oltre alla compagnia
Del cavallier Roman, si mette in via.
48
Travestiti cercare Italia, Francia,
Le terre de' Fiaminghi e de l'Inglesi;
E quante ne vedean di bella guancia.
44. 1-2. Se parve... lo crederete. Vi è l'u-
nione di due costrutti, uno dubitativo: se
parve... pensatelo; l'altro affermativo: che
parve... lo crederete.
— 3. Ne fu ecc.; fu per arrabbiarne, per
darne (per dare in causa di ciò) ecc.
45. 1. Che debbo f. È un verso del Pe-
trarca II, canz. l: « Che debbo far, che mi
consigli, Amore ? ».
— 2-3. tolU... che con: V, e. xilt, 10, n. 3.
46. 1. di bellezza che: Sottintendi tale:
Siano di tal bellezza che ecc.
47. 3. sfoEhi, vuoti, liberi. In questo senso
non è citato dai vocabolari.
Trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e dato loro era la mancia;
E spesso rimetteano i danar spesi.
Da lor pregate foro molte, e foro
Anch'altretante che pregaron loro.
49
In questa terra un mese, in quella dui
Soggiornando, accertarsi a vera prova
Che non men ne le lor, che ne l'altrui
Femine, fede e castità si trova.
Dopo alcuu tempo increbbe ad ambedui
Di sempre procacciar di cosa nuova;
Che mal poteano entrar ne l'altrui porte.
Senza mettersi a rischio de la morte.
.50
Gli è meglio una trovarne che di faccia
E di costumi ad ambi grata sia;
Che lor communemente sodisfaccia,
E non n'abbin d'aver mai gelosia.
E perché (dicea il Re) vuo' che mi spiaccia
Aver più te, eh' un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femineo stuolo
Una non è che stia contenta a un solo.
51
Una (senza sforzar nostro potere,
Ma quando il naturai bisogno inviti)
In festa goderemoci e in piacere;
Che mai contese non avrèn né liti.
Né credo che si debba ella dolere:
Che s'anco ogn'altra avesse duo mariti,
Più ch'ad un solo, a duo saria fedele;
Né forse s' udirian tante querele.
52
Di quel che disse il Re, molto contento
Rimaner parve il giovine Romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
Cercar molte montagne e molto piano.
Trovaro al fin, secondo il loro intento,
Una figliuola d'uno ostiero Ispano,
Che tenea albergo al porto di Valenza,
Bella di modi e bella di presenza.
53
Era ancor sul fiorir di primavera
Sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
E nimico mortai di povertade :
Si ch'a disporlo fu cosa leggiera,
Che desse lor la figlia in potestade ;
I
48. 5. dato loro ecc. Ciò è chiarito dal-
l'ultimo verso della st. Sulla concordanza
di dato cfr. e. v, 85, n. 5.
49. 6. procacciar dì; Comunemente pro-
cacciare una cosa. Si trovano anche esempi
di questo costrutto. Tesoro di Brun. L.^t.
5, 36: «(Lo struzzo) vassene a procacciare
di sua pastura ».
50. 4. d'aver, da aver. V. e. v, 10, n. 5.
51. 4. Che, poiché. Cosi pure il che del v. 6.
58. 7. Valenza, città della Spagna.
CANTO XXVlil
385
Oh'ove piacesse lor potesson trarla,
Poi che promesso aveau di ben trattarla.
54
Piffliano la fanciulla, e piacer n'hanno,
Or l'uno or l'altro, in caritade e in pace,
Come a vicenda i mantici che danno,
Or l'uno or l'altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
E passar poi nel regno di Siface;
E '1 di che da Valenza si partirò.
Ad albergare a Zattiva venire.
55
I patroni a veder strade e palazzi
Ne vanno, e lochi publici e divini ;
Ch'usanza lian di pigliar simil solazzi
In ogni terra ove entran peregrini;
E la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei Signor lor la cena apparecchiata.
5G
Ne l'albergo un garzon stava per fant-e,
€h'ia casa de la giovene già stette
A servigi del padre, e d'essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amorgodette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fér sembiante;
Ch'esser notato ognun di lor temette:
Ma tosto eh' i patroni e la famiglia
Lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
57
Il fante domandò dove ella gisse,
E qual dei duo Signor l'avesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(Cosi aveanome, e quel garzone il Greco).
Quando sperai che'ltempo,oimè! venisse
(11 Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
come i man-
54. 3. Come ecc. Costruisci :
tici che danno a vicenda ecc.
— 6. regno di S. ; la Mauritania in Affrica,
■dove, ai tempi di Scipione, fu re siface:
<c. 200 a. a. C).
— 8. Zattiva, Xativa o lativa, città della
Spagna. — yeniro; V. e. Vi, 81, n. 3. È forma
usata sempre in rima; cfr. e. xxvn, 24;
xm. 73.
66. 5. ragazzi, servi (etimol. incerta: al-
cuni dal gr. rhàke. veste lacera, quindi strac-
cione, poi serm: altri dalla parola dialettale
vagar, tosare; quindi sarebbe affine a moz-
zo e toso. E poiché i servi sogliono esser gio-
vani,si vede facilmente il trapasso). /eas^aj^t
eran detti anticamente quei servitori, che
attendevano ai bassi servizi delle camere,
della cucina, e della stalla.
56. 3. A servigi, ai servigi. V. e. n, 15
n. 8.
— 8. dieron luogo; dettero agio. Dante, |
Par. 33, 7 : « Ma poi che l'altre vergini dier 1
loco A lei di dir >.
E non so piti di rivederti mai.
58
rannosi i dolci miei disegni amari,
Poi che sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun danari
Con gran fatica e gran sudor riposti,
Ch'avanzato ra'aveade' miei salari
E de le bene andate di molti osti,
Di tornare a Valenza, e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
59
La fanciulla ne gli omeri si stringe,
E risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finge.
Vuommi (dice) lasciar cosi morire ?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cinge;
Lasciami disfogar tanto desire :
Ch' innanzi che tu parta, ogni momento
Che teco io stia mi fa morir contento.
60
La pietosa fanciulla rispondendo :
Credi, dicea, che men di te noi bramo;
Ma né luogo né tempo ci comprendo
Qui, dove in mezzo di tanti occhi siamo.
Il Greco soggiungea: Certo mi rendo.
Che s'un terzo ami me di quel eh' io t'amo,
In questa notte almen troverai loco
Che ci potrèn godere insieme un poco.
61
Come potrò (diceagli la fanciulla) [ciò?
Che sempre in mezzo a duo la notte giac-
E meco or l'uno or l'altro si trastulla,
E sempre all'un di lor mi trovo in braccio?
Questo ti fia (soggiunse il Greco) nulla;
Che ben ti saprai tór di questo impaccio,
E uscir di mezzo lor, pur che tu voglia:
E dei voler, quaudo di me ti doglia.
62
Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà ch'ognuno dorma;
57. 8. E non so più ecc. Costruisci: E non
so di rivederti più mai, più altra volta.
58. 3. alcun dan. V. e. x, 99, n. 5.
— 6. de le b. d. m. o. Puoi intendere r
delle mance datemi da molti ospiti, avven-
tori. Oste per ospite l'abbiamo nel e. xxxui,
59; XLii, 97; xvn, 71. Ma puoi anche inten-
dere: delle benuscite,éei benservito datimi
da molti osti, al cui servizio sono stato.
59. 5. cinge, cingi. V. e. x, 49, n. 7.
60. 3. ci comprendo, ci vedo V. e. XXU.
37, n. 3. :
— 4. in mezzo di t. o.; in mezzo a tanti
occhi. Gli scrittori antichi usarono più spes-
so in messo colla prep. di, o senza prepos.
(cfr. e. VI, 23, n. 8), che colla prep. a, come
si usa oggi.
— 7. trov. loco; trov. modo, àgio. T. st
56, 8.
Abiosto — Papuji
386
ORLANDO FURIOSO
E pianamente come far convegna,
E de l'andare e del tornar l' informa.
Il Greco, si come ella gli disegna,
Quando sente dormir tutta la torma,
Vieneall'uscioe lo spinge, e quel gli cede:
Entra pian piano, e va a tenton col piede.
6S [dietro
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro;
Non che '1 terreno abbia a calcar, ma Tuo-
E tien la mano iuauzi simil metro; [va:
Va brancolando in fin che '1 letto trova;
E di là dove gli altri avean le piante,
Tacito si cacciò col capo iuaute.
64
Fra l'una e l'altragamba di Fiammetta,
Che supina giacca, diritto venne;
E quando le fu a par, l'abbracciò stretta
E sopra lei sin presso al di si tenne.
Cavalcò forte, e non andò a staffetta;
Che mai bestia mutar non gli convenne:
Che questa pare a lui che si ben frotte,
Che scender non ne vuol per tutta notte.
65
Avea Giocondo, et avea il Re sentito
ir calpestio che sempre il letto scosse;
E l'uno e l'altro, d'uno error schernito,
S'avea creduto che '1 compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo camin fornito,
Si come era venuto, anco tornosse.
Saettò il sol da l'orizonte i raggi:
Sorse Fiammetta, e fece entrarci paggi.
66
Il Re disse al compagno motteggiando:
Frate, molto camin fatto aver dei;
E tempo è ben che ti riposi, quando
Stato a cavallo tutta notte sei.
Giocondo a lui rispose di rimando,
E disse: Tu di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca posare, e prò ti faccia ;
Che tutta notte hai cavalcato a caccia.
67 [fallo
Anch'io (soggiunse il Re) senza alcun
Lasciato avria il mio can correre un tratto.
Se m'avessi prestato un po' il cavallo.
Tanto che '1 mio bisogno avessi fatto.
Giocondo replicò : Son tuo vassallo,
62.3. pianameute; Qui è da intendere
chiaramente, significato derivato dall'ag-
gettivo piano, chiaro. I vocabolari non ci-
tano questo senso, che qui è certissimo.
63. 5. la mano ; È soggetto.
64. 5. non andò a ut. Andare asta/Tetta,
0 per istaffetta, vale andare con cavalli
mutati ad ogni posta.
66. 3. qnando, poiché. V. e. r, 18, n. 3.
67. 5. Son tno vaBB. Intendi : son tuo vas-
sallo; e per impormi che npn la tocchi mai
piò, non occorre che tu faccia dei giri di
E puoi far meco e rompere ogni patto:
Si che non convenia tal cenni usare;
Ben mi potevi dir: Lasciala stare.
68
Tanto replica l'un, tanto soggiunge
L'altro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che punge;
Ch'ad amenduo l'esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era lunge,^
E de la fraude esser scoperta teme)
Per fare in viso l'uno all'altro dire
Quel che negando ambi parean mentire.
69
Dimmi (ledisse il Re con fiero sguardo),.
E non temer di me né di costui;
Chi tutta notte fu quel si gagliardo,
Che ti godè senza far parte altrui ?
Credendo l'un provar l'altro bugiardo.
La risposta aspettavano ambidui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò, incerta
Di viver pili, vedendosi scoperta.
70
Domandò lor perdono, che d'amore
Ch'a un giovinetto avea portato, spinta,.
E da pietà d'un tormentato core
Che molto avea per lei patito, vinta,
Caduta era la notte in quello errore;
E seguitò, senza dir cosa finta,
Come tra lor con speme si condusse,
Ch'ambi credesson che '1 compagno fusse.
71
Il Re e Giocondo si guardaro in viso,
Di maraviglia e di stupor confusi ;
Né d'aver anco udito lor fu avviso.
Ch'altri duo fusson mai cosi delusi:
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso.
Che con la bocca apertae gli occhi chiusi,.
Potendo a pena il fiato aver del petto,
A dietro si lasciar cader sul letto.
72
Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
Senesentiano il petto, e pianger gli occhi,.
Disson tra lor : Come potremo avere
Guardia, che la mogliernonnel'accocchif
Se non giova tra duo questa tenere,
E stretta si che l'uno e l'altro tocchi ?
Se più che crini avesse occhi il marito,
Non potria far che non fosse tradito.
parole rimproverandomi d' averne usato-
troppo, quando nemmeno r ho toccata: ba-
sta che tu mi dica : lasciala stare,
— 7. cenni, accenni.
68. 4. preme, dispiace, reca dolore. Nel
e. XI, 14 abbiamo di più il complem. ai cor:
gli preme al cor; ma è lo stesso costrutto.
— 8. Quel ecc.; quello, negando il quale,
pareva all'uno che l'altro mentisse.
70. 1. d'amore, da amore.
72. 4. ne l'accocchi; ce l'accocchi? accoc-
CANTO xxvm
387
73
Provate mille abbiamo, e tutte belle ;
Né di tante uua è ancor che ne contraste.
Se proviàn l'altre, fian simili anch'elle ;
Ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiamo creder che più felle
Non sien le nostre, o men de l'altrecaste:
E se son come tutte l'altre sono
Che torniamo a godercile fia buono.
74 [ro
Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar lè-
Per Fiammetta medesima il suo amante;
E in presenzia di molti gli la diero
Per moglie, e dote che gli fu bastante.
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero
Ch'era a Ponente, volsero a Levante;
Et alle mogli lor se ne tornare.
Di ch'atìauno mai più non si pigliaro.
75
L'ostier qui fine alla sua istoria pose,
Che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin, né gli rispose
Parola mai, fin che non fu finita.
Poi disse: Io credo ben che de l'ascose
Feminil frode sia copia infinita;
Né si potria de la millesma parte
Tener memoria con tutte le carte.
76 [retta
Quivi era un uora d'età, ch'avea più
Opinion degli altri, e ingegno e ardire;
E non potendo ormai, che si negletta
Ogni femina fosse, più patire;
Si volse a quel ch'avea l'istoria detta,
E gli disse: Assai cose udimo dire.
Che veritade in sé non hanno alcuna;
E ben di queste è la tua favola una.
77
A chi te la narrò non do credenza,
S'Evangelista ben fosse nel resto ;
Ch'opinione, più ch'esperienza
car€, presa T idea dalla cocca della freccia,
vale assestare un colpo: Dante, Inf. 21, 102.
73. 2. ne centraste; dia contro alla nostra
opinione.
74. 5. sentiero ; viaggio. V. e. xiv, 91 ;
XV, 16, XI), 11, n. 6.
— 8. Di eh' ; di che, o di cui, delle quali.
Nella prima ediz. qui seguiva una stanza,
che poi l'A. soppresse.
75. 6. frode. O dall'antico froda, o è un
plurale in e come nel e. ix,84, 1, dove vedi
la nota.
76. 3. negletta; qui ha il significato no-
tevole di vilipesa.
— 6. ndimo, udiamo. Terminazione popo-
lare ancor viva nei volghi toscani, special-
mente nel Pisano.
77. 2. Evangelista, un evangelista; o asso-
lutamente per S. Giovanni Evangel. come
Dam*, Inf. 19, 106.
Ch abbia di donne, lo facea dir questo.
L'avere ad una o due malivolenza.
Fa ch'odia ebiasma l'altre oltre all'onesto ;
Ma se gli passa l'ira, io vo' tu l'oda.
Più ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
78
E se vorrà lodarne, avrà maggiore
Il campo assai, ch'a dirne mafncn ebbe:
Di cento potrà dir degne d'onore
Verso una trista che biasmar si debbe.
Non biasmar tutte, ma serbarne fuore
La bontà d'infinite si dovrebbe;
E se '1 Valerio tuo disse altrimente,
Disse per ira, e non per quel che sente.
79
Ditemi un poco: è di voi forse alcuno
Ch'abbia servato alla sua moglie fede '?
Chenieghi andar, quandogli siaoportuno.
All'altrui donna, e darle ancor mercede ?
Credete in tutto '1 mondo trovarne uno ì
Chi'l dice,mente; e folle è ben chi '1 crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami ?
(Non parlo de le pubbliche et infarai).
80
Conoscete alcun voi, che non lasciasse
La moglie sola, ancor che fosse bella,
Per seguire altra donna, se sperasse
In brev3 e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo pregasse,
O desse premio a lui donna o donzella ?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
Che tutti lasciaremmovi la pelle.
81
Qelle che i lor mariti hanno lasciati,
— S. anco, anzi. In questo senso fu co-
munissimo a Siena e l'A. « a Firenze ed a
Sieua diede opera All' eleganzie » (Negro-
mante, prol.). Nelle lettere di S. Caterina è
frequentissimo: p. es. lett. 56: «chi va per
questa via non erra, anco va per la luce ».
78. 1. lodarne; Sta per lodarsene, omesso
il pronome personale? È un costrutto nuovo
e ardito: lodare di uno, dir le lodi di uno ?
Sta per lodarle col cambiamento di le in ne
(cfr. gliene per gliele; dice il popolo To-
scano: dammi queste cose, gliene porto io);
cambiamento prodotto dalla vicinanza del
seguente dirne ì Ognuna di queste spiega-
zioni è possibile; ma non possiamo confor-
tarla con esempi opportuni; se pure, per
la prima ipotesi, non si vuol confrontare il
procacciar della st. 49 per procacciarsi, il
proveder del e. xxx, 73 per provedersi e
qualche altro simile, che però si trovano
già cosi usati nella letteratura, il che non
sappiamo che avvenga per lodare.
— 5. serbarne fn ore; levarne fuori, eccet-
tuarne : ma e' è di più F idea di conservarne
la degna memoria.
79. 7. Trovatene; ne trovate. CollQcasÙone
insolita.
388
ORLANDO FURIOSO
Le più volte cao^ione avuta n'hanno.
Del suo di casa li veggon svogliati,
E che fuor, de l'altrui bramosi vanuo.
Dovriano amar, volendo essere amati;
E tòr con la misura ch'a lor danno.
Io farei (se a me stesse il darla e tórre)
Tallegge, ch'uom non vi potrebbe opporre.
82
Saria la legge, ch'ogni donna colta
In adulterio, fosse messa a morte,
Se provar non potesse ch'una volta
Avesse adulterato il suo consorte:
Se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
Ké temerla il marito né la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi :
Kon far altrui quel che patir non vuoi.
83
La incontinenza è quanto mal si puote
Imputar lor, non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo, chi ha di noi più brutte note ?
Che continente non si trova un solo.
E molto più n' ha ad arrossir le gote,
Quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
Usura et omicidio, e se v' è peggio.
Raro, se non dagli uomini, far veggio.
84
Appresso alle ragioni avea il sincero
E giusto vecchio in pronto alcuno esempio
Di donne, che né in fatto né in pensiero
Mai di lor castità patiron scempio.
Ma il Saracin che fuggia udire il vero,
Lo minacciò con viso crudo et empio;
Si che lo fece per timor tacere;
Ma già non lo mutò di suo parere.
85
Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
Termine il Re pagan, lasciò la mensa :
Indi nel letto, per dormir, si stese
Fin al partir de l'aria scura e densa;
81. 6. E tòr ecc. ; e pretendere amore
nella stessa misura, che lo danno.
— 7. tórre; torla (la legge). Su questa
omissione del pronome cfr. e. i, 4, n. 2.
— 8. opporre. Sottiut. nulla. Cosi asso-
lutamente è ancora vivo nell'uso.
82. 4. Avesse adulterato. Adulterare per
commettere adulterio è bel verbo usato
spesso dagli antichi, ma oggi quasi iutera-
ineute fuori dell'uso.
— . 6. temerla. In senso complesso: avreb-
be da temere, dovrebbe temere. — la corte,
il tribunale.
83. 5. n' ha ad arr. Rileva dal contesto il
soggetto: ciascuno di noi. — ne, di questa
incontinenza deve arrossire maggiormente
perché è unita ad altri vizi. — arrossire, co-
munemente è intransitivo.
— 6. Quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
: 84. 5. foggia udire; rifuggiva da udire.
Sull'omissione della prepos. cfr. e i, 4, n. 2.
Ma de la notte, a sospirar l'oflfese
Più de la Donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte all'uscir del nuovo raggio,
E far disegna in nave il suo viaggio.
86
Però ch'avendo tutto quel rispetto
Ch'a buon cavallo dee buon cavalliero,
A quel suo bello e buono eh' a dispetto
Tenea di Sacripante e di Ruggiero;
Vedendo per duo giorni averlo stretto
Più che non si dovria si buon destriero,
Lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
In una barca, e per andar più in fretta.
87
Senza indugio al nocchier varar labarca,
E dar fa i remi all'acqua da la sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
Se ne va per la Sonna giù a seconda.
Non fugge il suo peusier, né se ne scarca
Rodomonte per terra né per onda:
Lo trova in su la proda e in su la poppa;
E se cavalca, il porta dietro in groppa.
88
Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
E di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
85. 5. sospirarroSfese, deplorare, piangere.
Si cita questo solo esempio dell' Ar. per
quest'uso transitivo del verbo sospirat^e.
— 6. dispensa, impiega. Cosi nel e. xvn,
69, 1; XLii, 10.
86. 5. stretto ; forzato. Si citano solo
esempi del significato metaforico costringer
la volontà, nessuno di questo significato
materiale.
— 6. si dovria; Sottintendi stringer.
— 7. lo rassetta, lo pone ad agio. Machiav.
As. 3: « attese Le bestie a rassettar nel loro
ovile »; ma è raro.
87. 1. varar. Comunemente mettere in
tnare una barca nuoua.'Qui per estensione
tì-arre in acqua la barca dalla riva, dove
gli antichi solevano tirare colla poppa le
navi non grandi.
— 2. da la sponda. Quando si cessa di re-
mare si tirano sulla barca i remi; quando
si vuol remare di nuovo si calano in mare,
appoggiandoli alla sponda della nave, ov'è
il loro posto. È uua espressione puramente
descrittiva.
88. 1. 0 sia; vale il semplice o. Il pensiero
gli siede ora nel capo, ora nel cuore in
quanto si unisce al sentimento. Non credo
che voglia afcennare alle opinioni dei filo-
sofi antichi, che riponevano il pensiero al-
cuni nel cervello, altri nel cuore.
— :3. Dì ripar... non vede; Sottintendi via,
modo. Costrutto notevole non registrato dai
vocabolari; a da non confondere con gli
altri : vedo di non riuscire, vedo di non
CANTO XXVIII
'389
Da poi che gli niraici ha ne la terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
Se gli fauno i domestici suoi guerra:
La notte e 1 giorno e sempre è combattuto
Da quel crudel che dovria dargli aiuto.
89
Naviga il giorno e lanette seguente
Eodomonte col cor d'affanni grave;
E non si può l'ingiuria tórdi mente,
Che da la Donna e dal suo Re avuto have;
E la pena e il dolor medesmo sente,
Che sentiva a cavallo, ancora in nave:
Né spegner può,per star nePacqua, il fuo-
Né può stato mutar, per mutar loco, [co
90
Come l'infermo che, dirotto e stanco
Di febbre ardente, va cangiando lato;
O sia su l'uno, o sia su l'altro fianco.
Spera aver, se si volge, miglior stato;
Né sul destro riposa né sul manco,
E per tutto ugualmente è travagliato :
Cosi il Pagano al male, ond'era infermo,
Mal trova in terra e male in acqua schermo.
91
Non puote in nave aver più pazienza,
E si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza,
E vede in Avignone il ricco ponte ;
Che queste terre et altre ubidienza.
Che son tra il fiume e '1 Celtibero monte,
potere, ecc. , dove vedere significa com-
prendere.
— 6. i domestici s.; i suoi di casa; cioè ì
pensieri. Ricorda l'espressione del vangelo:
« inimici eius domestici eius ».
— 8. Da quel crnd. ; dal SUO pensiero, che
solo potrebbe sollevare il cuore, rilevando
i pochi pregi di Doralice.
90. ]. Come ecc. Dante, Pure;. 6, 149:
« Vedrai te somigliante a queir inferma,
Che non può trovar posa in sulle piume,
Ma con dar volta il suo dolore scherma ».
Avverti come l'epico ha allungato la compa-
razione Dantesca. Cosi ha fatto nel e. vi, 27.
— 3. 0 sia... 0 sia; Costruisci e intendi:
Spera aver migl. stato se si volge ora sul-
l'uno ora sull'altro fianco. E avverti il si-
gnificato notevole di o sia.
91. 3. Vienna ; Città di Francia nel Delfi-
nato. — Valenza; Valence; città sulla linea
Ijone-Marsilia.
— 4. il ricco ponte ; Il ponte famoso, che
univa le due rive del Rodano, su 19 bellis-
simi archi. Fu costruito nel 1177-1188, e di-
strutto quasi interamente dalla inondazione
del 1669. Qui dunque iW. ha fatto un ana-
cronismo.
— 6. flome ; il Rodano. — Celtibero monte,
il monte Idubeba o Subalda, parte dei Pi-
renei, che divide la Francia dalla Spagna
Tarragonese, detta dai Romani Celtìberia,
Rendean al Re Agraraante e al Re di Spa-
Dal di che fur signor de la campagna, [gua
92
Verso Acquaniortaaman dritta si tenne
Con animo in Algier passare in fretta;
E sopra un fiume ad una villa venne
E da Bacco e da Cerere diletta ;
Che per le spesse ingiurie, che sostenne
Dai soldati, a votarsi fu constretta.
Quinci il gran mare, e quindi ne l'apriche
Valli vede ondeggiar le bionde spiche.
93
Quivi ritrova una piccola chiesa
Di nuovo sopra un monticel murata;
Che poi ch'intorno era la guerra accesa,
I sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa ;
Che pel sito, e perch'era sequestrata
Dai campi, ondeavea in odio udir novella.
Gli piacque si, che mutò Algieri in quella.
94
Mutò d'andare in Africa pensiero :
Si commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
Seco alloggiar fé' nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero,
E ad alcun altro ricco e buon castello
Siede il villaggio allato alla riviera;
Si che d'avervi ogn'agio il modo v'era.
95
Standovi un giorno il Saracin pensoso
(Come pur era il pili del tempo usato),
Vide venir per mezzo un prato erboso.
Che d'un piccol sentiero era segnato,
Una donzella di viso amoroso
In compagnia d'un monaco barbato ;
E si traeano dietro un gran destriero
Sotto una soma coperta di nero.
e oggi Aragona. Agramante avea ridotto in
suo potere « Venendo da Parigi al lito ame-
no D'acquamorta e voltando inver la Spagna,
Ciò che v' è da man destra di campagna
(e. xxvii, 128) ». Sull'occupazione di queste
terre fatta da Agramante e Marsilio cfr. e.
XIV, 105.
92. 1. Acqnamorta; Aigues-mortes.
— 2. Con animo... passare. Solita omissione
della prep. di V. e. i, 4, n. 1.
93. 7. Dai campi; dai campi militari. —
onde, dai quali; e anche: dei quali.
94. 1. Mutò ecc.; mutò il pensiero d'an-
dare in Affrica. Non abbiamo dunque che
l'omissione dell'articolo tanto frequente nel
Nostro. Anche: quanto ad andare in Affrica
m. p.
— 5. Vicino a p. I. a M.; vicino a Mompo-
liero, a poche leghe, alla distanza di poche
leghe.
95. 4. Che ecc. Dante, Inf. xui, 3: « Che
da nessun sentiero era segnato».
390
ORLANDO FURIOSO
96
Chi la donzella, chi '1 monaco sia,
Oli portin seco, vi debba esser chiaro.
Conoscere Issabella si dovria,
Che '1 corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che per Provenza ne venia
Sotto la scorta del vecchio preclaro,
Che le avea persuaso tutto il resto
Dicare a Dio del suo vivere onesto.
97
Come ch'in viso pallida e smarrita
Sia la donzella, et abbia i crini inconti;
E facciauo i sospir continua uscita
Delpetto acceso, egHocchi sien duofonti;
Et altri testimoni d'una vita
Misera e grave in lei ai veggau pronti;
Tanto però di bello anco le avanza.
Che con le Grazie Amor vi può aver stanza.
98
Tosto che 'l Saracin vide la bella
Donna apparir, messe il pensiero al fondo,
Ch'avea di biasmar sempre e d'odiar quella
Schiera gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par dignissima Issabella,
In cui locar debba il suo amor secondo,
E spenger totalmente il primo, a modo
Che da l'asse si trae chiodo con chiodo.
96. ó. Lasciai che; V. e. xvi, 17, n. 1.
— 8. Dicare. Latinismo, che forse ha qui
runico esempio. la vece è usato non di rado
dagli antichi il participio dicato.
97. 2. inconti, fiat, incompti). Latinismo
usato forse dall'Ar. per il prinìo. L'usò poi
l'Anguiliara, Met. 13, 148: « inconta e scinta ».
98. 2. mease... al fondo; mise da parte.
É significato notevole, non registrato dai
vocabolari. Comunemente questa locuzione
significa afTondare e mandare in rovina.
— 5-6. dignissima... in cni. Costrutto la-
tino, frequentissimo nell'Ar. V. e. iii, 8T,
n. 1.
— 7-8. a modo che; come. Bocc, Nov. 79:
« a modo che... vi recate le mani al petto ».
— 8. Che da Tasse ecc. Il verso è di Fra
Guittone, Son. I : « Come d'asse si trae chio-
do con chiodo»; ma l'immagine era già
99
Incontra se le fece, e col più molle
Parlar che seppe, e coi miglior sembiante,
Di sua condizione domandolle:
Et ella ogni pensier gli spiegò inante;
Come era per lasciare il mondo folle,
E farsi amica a Dio con opre sante.
Ride il Pagano altier ch'in Dio non erede.
D'ogni legge nimico e d'ogni fede:
100
E chiama intenzione erronea e lieve;
E dice che per certo ella troppo erra;
Né mea biasmar, che l'avaro si deve,
Che '1 suo ricco tesor metta sotterra:
Alcun util per sé non ne riceve,
E da l'uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si denno, orsi e serpenti,
E non le cose belle et innocenti.
101
n monaco ch'a questo avea l'orecchia,
E per soccorrer la giovane incauta.
Che ritratta non sia per la via vecchia,
Sedea al governo qual pratico nauta;
Quivi di spiritual cibo apparecchia
Tosto una mensa sontuosa e lauta.
Ma il Saracin che con mal gusto nacque,
Non pur la saporò, che gli dispiacque :
102
E poi ch'in vauo il monaco interroppe,
E non potè mai far si, che tacesse,
E che di pazienza il freno roppe.
Le mani adosso con furor gli messe.
Ma le parole mie parervi troppe
Potriano omai, se più se ne dicesse :
Si che finirò il Canto; e mi fia specchio
Quel che per troppo dire accade al vecchio.
nei Greci e nei Latini : Cicerone, Tuscul.
4, 35, 75: <c Etiam novo quodam amore ve-
terem amorem taniquam davo clavum ei-
ciendum putant ». L' imitò anche il Petr.
Tr. Am. 3, 22; e l'A. e. xlv, 29.
101. 8. Non par 1. s. che; Non la saporò
pure ; non l'assaporò neppure che ecc. Pure
per neppure già nel Petk. i, son. 3: « E a
voi armata non mostrar pur l'arco ».
CANTO XXIX
0 degli uomini inferma e instabil men-
Come siàn presti a variar disegno! [te!
Tutti i pensier mutiamo facilmente,
Più quei che nascon d'amoroso sdegno.
Io vidi dianzi il Saracin si ardente
Contra 1© donne, e passar tanto il segno,
1. 2. siàn; aiamo.
Che non che spegner l'odio, ma pensai
Che non dovesse intiepidirlo mai.
2 [stro
Donne gentil, per quel ch'a biasmo vo-
Parlò contra il dover, si offeso sono.
2. 2. Parlò. È costruito transitivamente,
come spesso nella nostra lingua; e vale dire.
Petr., II, canz. 7 : « Ei sa che 'l vero parla ».
CANTO XXIX
391
Che sin che col suo mal non gli dimostro
Quanto abbia fatto error, non gli perdono.
Io farò si con penna e con inchiostro,
Ch"ognun vedrà che gli era utile e buono
Aver taciuto, e mordersi anco poi
Prima la lingua, che dir mal di voi.
3
Ma che parlò come ignorante e sciocco,
Te lo dimostra chiara esperienzia.
Incontra tutte trasse fuor lo stocco
De l'ira, senza farvi differenzia :
Poi d'Issabella un sguardo si l'ha tocco,
Che subito gli fa mutar sentenzia.
Cià in cambio di quell'altra la disia,
L' ha vista a pena, e non sa ancor chi sia.
4
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
Muove alcune ragion di poco frutto,
Per romper quella mente intera e salda
Ch'ella avea tìssa al Creator del tutto.
Ma l'Eremita che l'è scudo e falda.
Perché il casto pensier non sia distrutto,
Con argumenti più validi e fermi,
ijuanto più può, le fa ripari e schermi.
5 [to
Poi che l'empio Pagan molto ha soflfer-
Con lunga noia quel monaco audace,
E che gli ha detto in van ch'ai suo deserto
Senza lei può tornar, quando gli piace;
E che nuocer si vede a viso aperto,
E che seco non vuol triegua né pace :
La mano al mento con furor gli stese;
E tanto ne pelò, quanto ne prese:
6
E si crebbe la furia, che nel collo
Con man lo stringe a guisa di tanaglia;
E poi ch'una e due volte raggiroUo,
Da sé per l'aria e verso il mar lo scaglia.
Che n'avvenisse, né dico né sollo :
Varia fama è di lui, né si ragguaglia.
— e. il dover, contro il merito. Dovere per
merito non è raro. Cellini, Vita, 3, 331 : j
■« Se... avesse potuto stimare il gioiello... il
suo dovere ». i
— 7. anco poi. Il poi si riferisce a vedrà, \
Vanco a mordersi : E poi vedrà che era i
meglio persino mordersi ecc. |
4. 2. HaoTe... ragion. Forse è metafora .
presa dal linguaggio guerresco, che qui è |
tenuto ia tutta la stanza. Come si muove j
un esercito, cosi Rod. muove ragioni con- i
tro Isabella. Ma potrebbe anch'essere una
locuzione nuova fatta, per analogia, sull'al-
tra muover parole (cfr. st. 23, 4); e signi-
ficherebbe semplicemente dice, avanza ra-
gioni.
— 5. falda. Propriam. certe liste di cuoio
o di metallo, che difendevano le anche del
guerriero; qui. in generale, difesa.
6. 6. nò si raggaaglia,. né è concorde, né
Dice alcun che si rotto a un sasso resta,,
Che '1 pie non si discerne da la testa:
7
Et altri, ch'a cadere andò nel mare
Ch'era più di tre miglia indi lontano,
E che mori per non saper notare.
Fatti assai prieghi e orazioni in vano;
! Altri, ch'un Santo lo venne aiutare,
Lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia :
Di lui non parla più r istoria mia.
8
Rodomonte crudel, poi che levato
S'ebbe da canto il garrulo Eremita,
Si ritornò con viso men turbato
Verso la Donna mesta e sbigottita;
E col parlar eh' è fra gli amanti usato,
Dicea ch'era il suo core e la sua vita
E '1 suo conforto e la sua cara speme.
Et altri nomi tai che vanno insieme.
9
E si mostrò si costumato allora, i
Che non le fece alcunsegno di forza.
Il sembiante gentil che l'innamora, [za:
L'usato orgoglio in lui spegne et amraor-
E ben che '1 frutto trar ne possa fuora.
Passar non però vuole oltre alla scorza ;
Che non gli par che potesse esser buono,
Quando da lei non lo accettasse in dono.
10
E cosi di disporre a poco a poco
A' suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in si solingo e strano loco,
Qual topo in piede al gatto, si vedea,
Vorria trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
E seco tutta volta rivolgea
S'alcun partito, alcuna via fosse atta
A trarla quindi immaculata e intatta.
11
Fa ne l'animo suo proponimento
Di darsi con sua man prima la morte,
Che '1 Barbaro crudel n'abbia il suo intento,
E che le sia cagion d'errar si forte
Contra quel cavallier ch'in bracciospento
Le avea crudele e dispietata sorte :
si eguaglia; le varie versioni del fatto non
si eguagliano. Questa brutalità di Rodora. ,
contraria alle leggi cavalleresche, è con-
forme al costante intendimento dell'A. di
deprimere i Saracini, mettendo in miglior,
luce i cristiani. ■■■.■.
7. 5. venne aintare; v. ad alutare. Pec
l'omissione della prep. cfr. e. i, 4, n. 1.
9. 6. Passar ecc. « Per ora si contenta
averne d' Isabella alcun lieto sembiante ^
Fornari).
10. 4. in piede al g. Ricorda il Dantesco,
Purg. 9,27: « Disdegna (l'aquila) di portarne
suso in piede ».
392
ORLANDO FURIOSO
A cui fatto have col pensier devoto
De la sua castità perpetuo voto.
12
Crescer più sempre l'appetito cieco
Vede del Re pagau, né sa che farsi.
Ben sa che vuol venire all'atto bieco.
Ove i contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco.
Il modo trovò al tìu di ripararsi,
E di salvar la castità sua, come
Io vi dirò, con lungo e chiaro nome.
13
Al brutto Saracin che le venia
Già cóntra con parole e con effetti
Privi di tutta quella cortesia
Che mostrata le avea ne' primi detti:
Se fate che con voi sicura io sia [ti;
Del mio onor (disse) ech'io non nesospet-
Cosa all'incontro vi darò, che molto
Più vi varrà, ch'avermi l'onor tolto.
14
Pemn piacer di si poco momento,
Di che n'ha si abondanza tutto '1 mondo,
Non disprezzate un perpetuo contento,
Un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento,
E mille donne di viso giocondo;
Ma chi vi possa dar questo mio dono,
Nessuno al mondo, o pochi altri ci sono.
15
Ho notizia d'un' erba, e l'ho veduta
Venendo, e so dove trovarne appresso,
Che bollita con elera e con ruta
Ad un fuoco di legna di cipresso,
E fra mani innocenti indi premuta,
Manda un liquor, che chi si bagna d'esso
Tre volte il corpo, in tal modo l'indura.
Che dal ferro e dal fuoco l'assicura.
12. 8. con 1. e eh. nome; e acquistare cosi
lunga e chiara fama. Nota come qui risalti,
più che la legge morale, il desiderio di fa-
ma; sentimento pagano, che è comune nel
Rinascimento.
13. 2. effetti, fatti. Cosi e. vi, 31, 5; cosi
Dante, Purg. 6, \W; e cosi altri non di
rado.
— 7. Cosa ecc. Isabella è foggiata su Bra-
silia di Durazzo, là cui leggenda è m Fran-
cesco Barbaro, umanista venieto del '400,
nel suo libro De re uxoria ii, 6. Brasilia,
nobile fanciulla, caduta in mano dei nemici,
correndo pericolo d'esser violata dal vinci-
tore Gerico, lo pregò di risparmiarla e gli
promise in premio un unguento magico,
che rende invulnerabili. Fatto l'unguento,
ne propose la prova sopra sé stessa; e, un-
tasi il collo, l'offerse a Gerico, che la colpi
e l'uccise. Ma di questo fatto abbiamo di-
verse redazioni più antiche, da cui alla sua
volta tolse il Barbaro.
16
Io dico, se tre volte se n'immolla,
Un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese l'ampolla;
Che sua virtù più termine non giova.
Io so far l'acqua, et oggi ancor farolla;
Et oggi ancor voi ne vedrete prova.-
E vi può, s'io non fallo, esser più grata.
Che d'aver tutta Europa oggi acquistata.
17
Da voi domando in guiderdon di questo,.
Che SII la fede vostra mi giuriate,
Che né in detto né in opera molesto
Mai più sarete alla mia castitate.
Cosi dicendo. Rodomonte onesto
Fé' ritornar, ch'in tanta volontate
Venne, eh' inviolabil si facesse,
Che più ch'ella non disse, le promesse t
18
E servaralle fin che vegga fatto
De la mirabil acqua esperienzia ;
E sforzerasse intanto a non fare atto,
A non far segno alcun di violenzia.
Ma pensa poi di non tenere il patto,
Perché non ha timor né riverenzia
Di Dio 0 di Santi; e nel mancar di fede.
Tutta a lui la bugiarda Africa cede.
19
Ad Issabella il Re d'Algier scongiuri
Di non la molestar fé' più di mille,
Pur ch'essa lavorar l'acqua procuri,
Che far lo può qual fu già Cigno e Achille..
Ella per balze e per valloni oscuri
Da le città lontana e da le ville
Ricoglie di molte erbe; e il Saracino
Non l'abandona, e l'è sempre vicino.
16. 3. Oprar l'ampolla. Alcuni intendono
adoprar VampoUa, bagnarsi; ma altri,
molto meglio, fare rampolla, fare il liqui-
do; infatti Isabella inventa questa circo-
stanza per impedire che Rodom. , avuta
r acqua, manchi al giuramento. Oprare
per fare, procacciare usò il Boccaccio,
.Voi;. 16: * Tu devi il mio onore e delle cose
mie cercare ed operare ».
— 4. termine, tempo. La sua virtù non
giova più tempo, più lungo tempo di questo.
V. e. XIII, -47, n. 2.
17. 7. Venne che... s. f.; venne di farsi. V.
e. I, 38, n. 6.
18. 8. 1. bugiarda Afr. Gorreva presso i
Romani il proverbio : punica fldes.
19. 1. Boonginri, giuramenti. V. e. v, 32,
n. 5.
— 4. Cigno. Ricevette in dono dal padre-
Nettuno che ferro non lo potesse ferire. —
Achille pure era invulnerabile in tutto il
corpo, fuorché in un tallone.
— 7. di molte, molte. Di molto invece del
semplice motto fu ed è usato anc'oggi, spe-
CANTO XXIX
39a
20
Poi ch'in più parti, quant'era a bastanza,
Colson de l'erbe e con radici e senza,
Tardi si ritornaro alla lor stanza;
Dove quel paragon di continenza
Tutta la notte spende, che l'avanza,
A bollir erbe con molta avvertenza :
E a tutta l'opra e a tutti quei misteri
Si trova ogn'or presente il Re d'Algieri,
21
Che producendo quella notte in giuoco
Con quelli pochi servi ch'eran seco,
Sentia, per lo calor del vicin fuoco
Ch'era rinchiuso in quello angusto speco.
Tal sete, che bevendo or molto or poco.
Duo barili votar pieni di Greco,
Ch'aveano tolto uno o duo giorni Inanti
I suoi scudieri a certi viandanti.
• 22
Non era Rodomonte usato al vino,
Perché la legge sua lo vieta e danna:
E poi che lo gustò, liquor divino
Gli par, miglior che '1 nettare o la manna;
E riprendendo il rito Saracino,
Gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, eh' andò spesso intorno,
Girare il capo a tutti, come un torno.
23 .
La Donna in questo mezzo la caldaia
Dal fuoco tolse, ove quell'erbe cosse;
E disse a Rodomonte : Acciò che paia
Che mie parole al vento non ho mosse.
Quella che '1 ver da la bugia dispaia,
E che può dotte far le genti grosse,
Te ne farò l'esperienza ancora.
Noi» ne l'altrui, ma nel mio corpo or ora.
24
Io voglio a far il saggio esser la prima
Del felice liquor di virtù pieno.
Acciò tu forse non facessi stima
Che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
cialmente in Toscana, sia come aggettivo,
e cosi fu usato spessissimo dagli scrittori.
Sia come avverbio, che è più raro nella let-
teratura, vite SS. PP. 2, 96; « Come l'albero,
che ha frutti, si è bisogno che abbia di-
molte foglie ecc. ».
' 20. 4. paragon, modello. V. e. iv, 62, 8. Si
Citano soltanto gli esempi dell'Ar.
21. 1. prodncendo, (lat. producere) pro-
trarre. Latinismo frequente nella letteratu-
ra. Parini, Matt. 67.
— 6. Greco. V. e. xxvii, 130.
22. 5. riprendendo, biasimando.
23. 5-7. Quella ecc. Costruisci : Te ne farò
ancora l'esperienza (quella esperienza, che
dispaia il vero dalla bugia e che può far
dotte le m. g.). Ma è trasposizione forzala
e oscura.
Del capo giù pel collo e per Io seno :
Tu poi tua forza in me prova e tua spada,.
Se questo abbia vigor, se quella rada.
25
Bagnossi, come disse, e lieta porse
All'incauto Pagano il collo ignudo.
Incauto, e vinto anco dal vino forse,
Incontra a cui non vale elmo né scudo.
Queir uom bestiai le prestò fede, e scórse
Si con la mano p. si cn\ ferro crudo,
Che del bel capo, già d'Amore albergo.
Fé' tronco rimanere il petto e il tergo.
26
Quel fé' tre balzi; e funne udita chiara
Voce ch'uscendo nominò Zerbino,
Per cui seguire ella trovò si rara
Via di fuggir di man del Saracino.
Alma, cli'avesti più la fede cara,
E '1 nome, quasi ignoto e peregrino
Al tempo nostro, de la castitade,
Che la tua vita e la tua verde etade,
27
Vattene in pace, alma beata e bella.
Cosi i miei versi avesson forza, come
Ben m'affaticherei con tutta quella
Arte che tanto il parlar orna e come,
Perché mille e mill'anni e più, novella
Sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
E lascia all'altre esempio di tua fede.
28
All'atto incomparabile e stupendo,
Dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
E^dlsseTlPTu cirqUeHa'tl conmehdo,
La cui morte a Tarquinio il regno tolse;
E per questo una legge fare intendo
Tra quelle mie che mai tempo non sciolse.
La qual per le inviolabii acque giuro
Che non muterà secolo futuro.
24. 8. questo.'., qnella. Generalmente que-
sto si riferisce al più vicino, quello al piti
lontano; ma talvolta in italiano, a somi-
glianza del latino, succede l'inverso. Livio,
I, 6. « Melior tutiorque est certa pax quam
sperata Victoria: haec (pax) in tua, illa (Vic-
toria) in deorum potestate est ». V. e. xxvi,
26, 4. Qui questo si riferisce a liquor.
25. 5. scorse, trascorse, andò tanto avanti.
27. 4. còme (lat. comere, ornare). Qui il
come dice, per rispetto a orna, maggior
cura e raflSnatezza: credo che si potrebbe
rendere con raffina, polisce. Il Petr. Tr.
Temp. 16: « Quattro cavai con tanto studio-
corno»; e qui significa curo, custodisco.
28. 6. Tra quelle m. , una di quelle mie
leggi, che non si sciolgono, cioè eterne.
— 7. per le inv. a. Quantunque alcuni in-
terpreti difendano questo strano giura-
mento pagano per le acque dello Stige, di-
cendo che l'A. si leva al concetto generale
39 i
ORLANDO FURIOSO
29
Per l'avvenir vo' che ciascuna ch'aggia
Il nome tuo, sia di sublime ingegno,
E sia bella, gentil, cortese e saggia,
E di vera onestade arrivi al segno :
Onde materia agli scrittori caggia
Di celebrare il nome inclito e degno;
Tal che Parnasso, Pindo et Elicone
Sempre Issabella, Issabella risone.
30
Dio cosi disse, e fé' serena intorno [se.
L'aria, e tranquillo il mar, più che mai fus-
Fe' l'alma casta al terzo ciel ritorno,
E in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
<^uel fier senza pietà nuovo Breusse;
Che, poi che '1 troppo vino ebbe digesto,
Biasmò il suo errore, e ne restò funesto.
31
Placare o in parte satisfar pensosse
All'anima beata d' Issabella,
Se, poi ch'a morte il corpo le percosse,
Desse almen vita alla memoria d'ella.
•della divinità, o che ha avuto presente il
giuramento virgiliano (En. ix, 104; x, 113),
pure r immagine non riesce simpatica, e
ofiFende molto più del Dantesco iPurg. 6)
« O sommo Giove, Che fosti in terra per noi
■crocifisso », che si reca a confronto.
•29. 5. caggia, derivi, Petrar. I, son. 9:
« Cade virtù dall' infiammate corna (della
«ostellazione del toro) ».
— 8. risone, ripeta. È uso derivato nella
nostra lingua dal latino. Virgilio. Egl. 7:
« Formosam resonare doces Amaryllida sil-
vas »: e il Poliziano, St. i, 63: « Pur Tulio
lulio suona il gran diserto ». — In questo
luogo vi è un' allusione a Isabella d' Este
maritata al Gonzaga di Mantova, della quale
l'Ariosto ha fatto le lodi nel e. xiii, 59. Il
poeta ammirava veramente questa donna,
«d era da lei ricambiato di stima e di am-
mirazione.
30. 3. al terzo ciel, alla sfera di Venere,
da cui venivano e a cui ritornavano, secon-
dò il concetto Platonico seguito anche da
Dante, le anime degli amanti.
— 6. Breusse. È un personaggio del Giron
•Cortese; nemico fiero delle donne e malva-
gio. Era appunto soprannominato senza
pietà. Anche il Pulci, Morg. xui, 51: « Sen-
^a pietà mi pareva Breusse ».
— 8. funesto; funestato. Il Caro, En. 11,
4, traduce cor funesto il latino turbata
funere mens.
:S1. 3. Se ecc. ; credette che avrebbe pla-
cato Isabella, se desse, se avesse dato vita
alla memoria di lei.
— 4. d'ella, di lei. V. e. i, 75, n. 5.
\
Trovò per mezzo, acciò che cosi fosse,
Di convertirle quella chiesa, quella
Dove abitava, e dove ella fu uccisa,
In un sepolcro; e vi dirò in che guisa.
32
Di tutti i lochi intorno fa venire
Mastri, chi per amore e chi per tema;
E fatto ben sei mila uomini unire.
De' gravi sassi i vicin monti scema,
E ne fa una gran massa stabilire.
Che da la cima era alla parte estrema
Novanta braccia; e vi rinchiude deatro
La chiesa,che i duo amanti bave nel centro,
33
Imita quasi la superba mole
Che fé' Adriano all'onda Tiberina.
Presso al sepolcro una torre alta vuole;
Ch'abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto, e di due braccia sole
Fece su l'acqua che correa vicina.
Lungo il ponte, ma largo era si poco.
Che dava a pena a duo cavalli loco;
34
A duo cavalli che venuti a paro,
0 eh' insieme si fossero scontrati:
E non avea né sponda né riparo,
E si potea cader da tutti i lati.
Il passar quindi vuol che costi caro
A guerrieri o pagani o|)attezzati;
Che de le spoglie lor mille trofei
Promette al cimiterio di costei.
35
In dieci giorni e in manco fu perfetta
L'opra del ponticel, che passa il fiume;
Ma non fu già il sepolcro cosi in fretta,
Né la torre condutta al suo cacume:
Pur fu levata si, ch'alia veletta
Starvi in cima una guardia avea costume,
Che d'ogni cavallier che venia al ponte,
Col corno facea segno a Rodomonte.
36
E quel s'armava, esegliveniaaopporre
Ora su l'una, ora su l'altra riva;
— 5. Trovò per mezzo ; trovò come mezzo
per riuscire a ciò, di convertire ecc.
32. 3. fatto, fatti. V. e. v, 58, n. 5.
— 5. stabilire; comporre stabilmente.
33. 1. la superba m.; la mole, che Adriano
imperatore edificò sulla riva del Tevere
(all'onda = lat. ad undam, presso l'acqua
del T.) per suo sepolcro. Oggi Castel S. An-
glolo.
— 4. si destina ; destina, propone. Sulla
forma riflessiva cfr. e. xtii, 13, n. 4.
— 5, 0u ponte ecc. « I ponti, nota il Rai-
na, dove non si passa oltre senza giostrare
ed abbattere, brulicano in tutti i paesi, in
cui sogliono aggirarsi gli erranti ».
35. 4. cacume (lat. cacumen) cima, vétta.
— r,. veletta, vedetta. V. e. x, 51, n. 1.
CANTO XXIX
395
Che se '1 guerrier veuia di ver la torre,
Su l'altra proda il Re d'Algier veniva.
Il ponticello è il campo ove si corre;
E se '1 destrier poco del segno usciva,
Cadea nel fiume ch'alto era e profondo :
Ugual periglio a quel non avea il mondo.
37
Aveasi imaginato il Saracino,
Che per gir spesso a rischio di cadere
Dal ponticel nel fiume a capo chino,
Dove gli converria raolt'acqua bere,
Del fallo a che l'indusse il troppo vino,
Dovesse netto e mondo rimanere; [gua
Come l'acqua, non raen che '1 vino, estin-
L'error che fa pel vino o mano o lingua.
38
Molti fra pochi di vi capitaro.
Alcuni la via dritta vi condusse;
Ch'a quei che verso Italia o Spagna anda-
Altra non era che più trita fusse : [ro,
Altri l'ardire e, più che vita caro,
L'onore, a farvi di sé prova indusse;
E tutti, ove acquistar credean la palma,
Lasciavan l'arme, e molti insieme l'alma.
39
Di quelli ch'abbattea, s'eran Pagani,
Si contentava d'aver spoglie et armi ;
E di chi prima furo, i nomi piani
'V^i facea sopra, e sospendeale ai marmi:
Ma ritenea in prigion tutti i Cristiani;
E che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era l'opra, quando
Vi venne a capitare il pazzo Orlando.
40
A caso venne il furioso Conte
A capitar su questa gran riviera,
Dove, come io vi dico. Rodomonte
Fare in fretta facea, né finito era
36. 3. se il guerrier ecc.; se il guerriero
veniva dalla parte del ponte dov'era la torre,
Rodomonte lasciava la torre e passava dal-
l'altra parte del ponte; perché suo intento
era d'incontrarsi sovr'esso coi cavalieri e
buttarli nell'acqua.
— 7. alto... profondo. Allo indica che vi
•era molt'acqua; profondo che l'acqua re-
stava a molta distanza dal ponte.
37. 7. Come l'acqaa ecc.; come se l'acqua
«stinguesse l'errore che commette la mano
o la lingua dell'ubriaco, nello stesso modo
che estingue l'ardore del vino nel suo sto-
maco, o nel bicchiere.
38. 1. fra; dopo. V. e. i, 27, n. 4.
— 5. vita; la vita. V. c. il, 15, n. 8.
39. 3. piani; chiari, intelligibili.
— 6. parmi; credo, è mia opinione. Qui
è una supposizione che fa l'A..; ma la fa poi
confermare da Rodomonte stesso nel e.
XXXV, 45.
40. 4. Fare in fr. facea. 0 fave è usato as-
La torre né il sepolcro, e a pena il ponte:
E di tutte arme, fuor che di visiera,
A quell'ora il Pagan si trovò in punto,
Ch'Orlando al fiume e al ponte è sopragiun-
41 [to.
Orlando fcome il suo furor lo caccia)
Salta la sbarra, e sopra il p#nte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
A pie, com' era inanzi alla gran torre,
Gli grida di lontano e gli minaccia.
Né se gli degna con la spada opporre:
Indiscreto villan, ferma le piante,
Temerario, importuno et arrogante.
42
Sol per Signori o Cavallieri è fatto
Il ponte, non per te, bestia balorda.
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
Vien pur inanzi e fa l'orecchia sorda.
Bisogna ch'io castighi questo matto
(Disse il Pagano) ; e con la voglia ingorda
Venia per traboccarlo giù ne l'onda.
Non pensando trovar chi gli risponda.
43
In questo tempo una gentil donzella,
Per passar sovra il ponte, al fiume arriva,
Leggiadramente ornata e in viso bella,
E nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda. Signor), quella
Che per ogni altra via cercando giva
Di Brandimarte, il ano amator, vestigi,
Fuor che, dove era, dentro da Parigi.
44
Ne l'arrivar di Fiordiligi al ponte
(Che cosi la donzella nomata era),
solutameute per lavorare; o si deve rile-
vare un complemento dalla proposizione
seguente e intendere: facea fare la fretta
la torre e il sepolcro; e non erano ancora
finiti; che a pena era finito il ponte. Più
semplice è la seconda interpretaz. — finito.
È usato assolutamente. V. e. ix, 38, n. 1.
— 6. tutte arme; tutte le arme. V. e. ii,
15, n. 8. — visiera; l'elmo. É una sineddoche.
41. 2. la sbarra; il rastrello, o qualsivoglia
altro riparo, che impediva il libero accesso
sui ponti delle fortezze. V. e. vm, :^ n. 6.
— 4. A piò com' era ecc. ; a pie come si
trovava li dinanzi alla gran torre.
— 6. se gli degna ecc. ; si degna oppor-
glisi.
4'>. 8. Non pensando ecc. Questa lotta fra
Orlando e Rodomonte è, in gran parte, in-
venzione dell'A.; ma in qualcosa ricorda
Vlnnam. u, xvii, 42, segg. Ivi Isolieri, che
guarda un ponte, ingiuria Sacripante, il
quale vestito da pellegrmo, lo vuol passare.
Ambedue vengono alle mani, e Sacripante,
come qui Orlando, offre una resistenza ina-
spettata.
44. 1. Fiordiligi. V. e. XXtV, 51, 74.
396
ORLANDO FURIOSO
Orlando s'attaccò con Rodomonte
Che lo volea gittar ne la riviera.
La donna, ch'avea pratica del Conte,
Subito n'ebbe conoscenza vera;
E restò d'alta maraviglia piena,
De la follia che cosi nudo il mena.
45
Fermasi a riguardar che fine avere
Debba il furor dei duo tanto possenti.
Per far del ponte l'un l'altro cadere
A por tutta lor forza sono intenti.
Come è ch'un pazzo debba si valere ?
Seco il fiero Pagaii dice tra' denti ;
E qua e là si volge e si raggira,
Pieno di sdegno e di superbia e d'ira.
46
Con l'una e l'altra man va ricercando
Far nova presa, ove il suo meglio vede;
Or tra le gambe or fuor gli pone, quando
Con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando '
Lo stolido orso che sveller si crede
L'arbor onde è caduto; e come n'abbia
Quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
47
Orlando, che l'ingegno avea sommerso,
Io non so dove, e sol la forza usava.
L'estrema forza a cui per l'universo
Nessuno o raro paragon si dava,
Cader del ponte si lasciò riverso
Col Pagano abbracciato come stava.
Cadon nel fiume, e vanno al fondo insieme
Ne salta in aria l'onda, e il lito geme.
48
L'acqua li fece distaccare in fretta.
Orlando è nudo, è nuota com'un pesce:
Di qua le braccia, e di là i piedi getta,
E viene a proda; e come di fuor esce,
Correndo va, né per mirare aspetta.
Se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il Pagan che da l'arme era impedito.
Tornò più tardo e con più affanno al lito.
49
Sicuramente Fiordiligi intanto
Avea passato il ponte e la riviera,
E guardato il sepolcro in ogni canto.
Se del suo Brandimarte inseg:na v'era.
Poi che né l'arme sue vede né il manto,
Di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del Conte,
Che lascia a dietro e torre e fiume e ponte.
50
Pazzia sarà, se le pazzie d'Orlando
Prometto raccontarvi ad una ad una;
Che tante e tante fur, ch'io non so quando
Finir; ma ve n'andrò scegliendo alcuna
Solenne ed atta da narrar cantando,
E eh' all' istoria mi parrà opportuna;
Né quella tacerò miracolosa.
Che fu ne' Pirenei sopra Tolosa.
Trascorso avea molto paese il Conte,
Come dal grave suo furor fu spinto:
Et a fin capitò sopra quel monte.
Per cui dal Franco è il Tarracon distinto;
Tenendo tuttavia volta la fronte
Verso là dove il Sol ne viene estinto:
E quivi giunse in uno angusto calle.
Che pendea sopra una profonda valle.
52
Si vennero a incontrar con esso al varca
Duo boscherecci gioveni eh' inante
Avean di legna un loro asino carco:
E perché ben s'accorsero al sembiante,
Ch'avea di cervel sano il capo scarco,
Gli gridano con voce minacciante,
0 eh' a dietro o da parte se ne vada,
E che si levi di mezzo la strada.
53
Orlando non risponde altro aqueldettr>,.
Se non che con furor tira d'un piede
E giunge a punto l'asino nel petto
Con quella forza che tutte altre eccede ;
Et alto il leva si, ch'un augelletto
Che voli in aria, sembra a chi lo vede.
Quel va a cadere alla cima d'un colle,
Ch'un miglio oltre la valle il giogo estolle.
49. 5. il manto; la sopravveste, su cui
erano ricamate o dipinte le insegne proprie
di ciascun cavaliere.
50. 5. atta da narr. Forse sono da sepa-
rare, intendendo: solenne e conveniente;
cosi da potersi narrare cant. Se purè non
si ha la fusione di due costrutti cosi comune
nell'A.: scegliendo una pazzia da narrare e.
— scegliendo una pazzia atta a narrarsi e.
Il costrutto atto da narrar, per atto a
narrarsi sarebbe una singolarità notevole.
51. 3. quel monte; Idubeda o Subalda nei
Pirenei, che divide la Francia dall'antica
Tarragonese; o piuttosto in generale i Pi-
renei, che dividon la Francia dalla Spagna.
— 4. Tarracon, Tarracone, che dal latino
Tarraconem dovrebbe significare Tarra-
goha ; ma qui per contrapposizione a Fran-
co, dovrebbe significare V abitante Clelia^
Tarragona, il Tarragonese. É più proba-
bile questa seconda interpretazione. Coti'
intese anche il Pomari.
— 6. ne viene estinto ; è spento, si spenge
nel mare; come sembra all'apparenza.
53. S. ginnge, colpisce. V. e. X, 104, n. 7.
— 4. tutte altre, tutte le altre: cfr. e. x,
54, n. 7.
— 7. cadere alla cima. Poteva dire anche
sulla cima; ma cosi avrebbe avuto la mente
sopra tutto alla caduta ; con alla accenna,
alla distanza percorsa.
CANTO XXIX
397
54
ludi verso i duo gioveui s'avventa,
Dei quali un, più clie senno, ebbe avventu-
Che da la balza che due volte trenta [ra;
Braccia c;idea, si gittò per paura.
A mezzo il tratto trovò molle e lenta
Una macchia di rubi e di verzura,
A cui bastò grattìargli un poco il volto:
Del resto, io mandò libero e sciolto.
55
L'altro s'attacca ad un scheggion ch'u-
Fuor de la roccia, per salirvi sopra ; [selva
Perché si spera, s'alia cima arriva.
Di trovar via che dal pazzo lo cuopra,
Ma quel nei piedi (che non vuol che viva)
X-o piglia, mentre di salir s'adopra;
E quanto più sbarrar puote le braccia.
Le sbarra si, ch'in duo pezzi lo straccia;
56
A quella guisa che veggiàn talora
Farsi d'uno aerou, t'arsi d'un pollo,
ijuaudo si vuol de le calde interiora.
Che falcone o ch'astor resti satollo.
Quanto è bene accaduto che non rauora
Quel che fu a risco di tìaccarsi il collo!
Ch'ad altri poi questo miracol disse,
Si che l'udi Turpiuo e a noi lo scrisse.
57
E queste et altre assai cose stupende
Fece nel traversar de la montagna.
Dopo molto cercare, al fin discende
Verso meriggie alla terra di Spagna;
E lungo la marina il camin prende,
Ch'intorno a Taracona il lito bagna:
E come vuol la furia che lo mena,
Pensa farsi uno albergo in quella arena,
58
Dove dal sole alquanto si ricuopra;
E nel sabbion si caccia arrido e trito.
Stando cosi, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e il suo marito,
Ch'eran (si come io vi narrai di sopra)
Scesi dai monti in su l'Ispano lito. [so,
A men d'un braccio diagli giunse appres-
Perché non s'era accorta ancora d'esso.
59
Che fosse Orlando, nulla le sovviene:
Troppo è diverso da quel ch'esser suole.
Ha indi in qua che quel furor lo tiene,
E sempre andato nudo all'ombra e al sole.
Se fosse nato all'aprica Siene,
0 dove Ammone il Garamaute cole, [eia,
0 presso ai monti onde il gran Nilo spic-
Non dovrebbe la carne aver più arsiccia.
60
Quasi ascosi avea gli occhi ne la testa,
La faccia macra, e come un osso asciutta,
54. 1. verso, contro. E contro asserisce
il Pigna che avesse corretto l'Ar. Ma verso
ebbe pure il significato di contro. Dante,
Inr'. 15, 5: «vèr lor s'avventa»; Pulci, 16,
20 : ■i Verso il pagano andò con gran furore ».
— 4. cadea, scendeva. Cosi Dante, Purg.
12, 106: « Cosi s'allenta la ripa che cade ».
— 5. lenta (lat. lenta); pieghevole. Lati-
nismo molto amato dagli antichi.
— 6. rubi; rovi: (lat. rubi); altro lati-
nismo non frequente. Sannazzaro, Arcad.
p. 5: «quale pascendo un rubo».
55. 3. ai spera. Per la forma riflessiva
•cfr. e. v, 20, n. 3.
— 5. che non vuol. Il che è relativo di
■quel. Di tali spostamenti abbonda il Furioso:
cfr. e. IV, 51, 4; xxvi, 62, 2.
56. 1. veggiàn, veggiam. V. e. ix, 43, n. 8.
— 4. falcone... astor; il falcone era più !
piccolo dell'astore, che si usava per caccia j
<li grossi volatili. Quando /"ancone viene con- :
frapposto ad altre specie di uccelli rapaci
da caccia, s'intende generalmente del falcon
pellegrino. V. e. xix, 48, n. I,
— 8. Tarpine. V. e. xiii, 40, n. 2.
57. 4. meriggie, mezzogiorno. Forma e
«iguifìcato sono frequenti negli antichi.
59. 1. nulla le sovviene. Alcuni intendono
per nulla le sovv. che ecc. Meglio: nulla
le richiama a mente. In questo senso, con
poco differente costrutto, l'usò il Bembo,
Asol. 3: «Bene avete fatto... a sovvenirci
di quello ecc.
— 3. da indi in qua che. Da indi in qua
è usato generalmente in modo assoluto,
non in relazione col che; del quale uso si
cita solamente l'Ar.
— 5. Siene; città d'Egitto ai confini d'E-
tiopia; oggi Assuan.
— 6. 0 dove Amm. ecc. I Garamanti erano
un popolo della Libia inferiore. Nell'oasi
Ammonium (El-Si\vah) era il celebre tem-
pio di Giove Ammone. Lucrezio, ix, 511 :
« Ventura erat ad templum Libicis quod
gentibus unum luculti Garamenteshabent».
« Hanno i garamenti la pelle fosca per la
propinquità del sole, e per essere il loro
paese spogliato d'alberi e d'ombre >. (For-
nari).
— 7. ai monti ecc. Le sorgenti del Nilo
eran poste dagli antichi alle falde di monti
immaginari, che chiamavano monti della
Luna in Etiopia: (cfr. e. xxxui, 109). Noi
sappiamo che il Nilo ha origine dal lago
vittoria,
60. 1. Quasi ecc. Dicono che 1 particolari
di questa descrizione siano eguali a quelli
di Fileno disperato per amore, nel Filocolo
del Boccaccio (lib. ivj. Confronta: «Il vide
nel viso diventato bruno e gli occhi rien-
trati in dentro, che appena si discernevano:
ciascun osso spingeva in fuori la raggrin-
zata pelle, e i capelli con disordinato rab-
398
ORLANDO FURIOSO
La chioma rabuffata, orrida e mesta,
La barba folta, spaventosa e brutta.
Non più a vederlo Angelica fu presta.
Che fosse a ritornar, tremando tutta:
Tutta treraando,eempiendoil cieldi grida
Si volse per aiuto alla sua guida.
61
Come di lei s'accorse Orlando stolto,
Per ritenerla si levò di botto:
Cosi gli piacque il delicato volto.
Cosi ne venne immantinente ghiotto.
D'averla amata e riverita molto
Ogni ricordo era in lui guasto e rotto.
Gli corre dietro, e tien quella maniera
Che terria il cane a seguitar la fera.
62
Il giovine che '1 pazzo seguir vede
La donna sua, gli urta il cavallo adesso,
E tutto a un tempo lo percuote e fiede,
Come lo trova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
Ma la pelle trovò dura come osso.
Anzi via più ch'acciar; ch'Orlando nato
Impenetrabile era et affatato.
63
Come Orlando senti battersi dietro,
Girossi, e nel girare il pugno strinse,
E con la forza che passa ogni metro.
Feri il destrier che '1 Saracino spinse.
Ferii sul capo, e come fosse vetro,
Lo spezzò si che quel cavallo estinse;
E rivoltosse in un medesmo instante
Dietro a colei che gli fuggiva inante.
64
Caccia Angelica in fretta la giumenta,
E con sferza e con spron tocca e ritocca;
Che le parrebbe a quel bisogno lenta.
Se ben volasse più che strai da cocca.
De l'annel e' ha nel dito, si rammenta,
j Che può salvarla, e se lo getta in bocca:
j E l'annel, che non perde il suo costumt",
: La fa sparir come ad un sofl5o il lume.
I 65
0 fosse la paura, o che pigliasse
I Tanto disconcio nel mutar l'annello,
, O pur, che la giumenta traboccasse.
Che non posso affermar questo ne quello ;
Nel medesmo momento che si trasse
L'annello in bocca, e celò il viso bello.
Levò le gambe, et usci de l'arcione,
E si trovò riversa in sul sabbione.
66
Più corto che quel salto era dua dita.
Avviluppata rimanea col matto.
Che con l'urto le avria tolta la vita;
Ma gran ventura l'aiutò a quel tratto.
Cerchi pur, ch'altro furto le dia aita
D'un' altra bestia, come prima ha fatto;
Che più non è per riaver mai questa
Ch' inanzi al Paladin l'arena pesta.
67
Non dubitate già, ch'ella non s'abbia
A provedere; e seguitiamo Orlando,
In cui non cessa l' impeto e la rabbia,
Perché si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nuda sabbia,
E se le vien più sempre approssimando:
Già già la tocca, et ecco l' ha nel crine,
Indi nel freno, e la ritiene al fine.
68
Con quella festa il Paladin la piglia,
Ch'un altro avrebbe fatto una donzella :
Le rassetta le redini e la briglia,
E spicca un salto, et entra ne la sella;
E correndo la caccia molte miglia.
Senza riposo, in questa parte e in quella:
Mai non le leva né sella né freno.
Né le lascia gustare erba né fieno.
buffamente occupavano parte del dolente
viso, e similmente la barba grande era di-
venuta rigida e attorta ».
— 3. mesta, che induce mestizia in chi
la vede. Cosi Dante disse; Inf. xiii, 100,
mesta selva.
62. 4. Come lo tr. che ecc. Brachilogia che
compirai cosi: lo ferisce cosi come lo trova:
e lo trova in tal posizione che gli volta il
dosso.
— 5. spiccar se gli cr.; si crede spiccar-
gli. Col solito spostamento del pronome. V.
e. I, 47, n. 6.
63. 3. ogni metro; ogni misura. Dantk,
Purg. 27, 51, disse incendio senza metro.
64. 1. giumenta. V. e. xi, 10, 6.
— 4. da cocca. È veramente la tacca della
freccia; poi anche ciascuna dell'estremità
dell'arco, dove si ferma la corda. Qui per
estensione intendi l'orco stesso.
— 6. getta. Appropriatissimo a indicare
la fretta e la foga.
65. 2. dJseoncio, positura sconcia. È bella
estensione di significato, che l'A. ha dato a.
questa parola, che significa disagio.
66. 1. Piri corto che... era. Più comune-
mente col congiuntivo : che c/uel salto fosse
stato pili corto due dita. Questo modo
comunissimo nella nostra lingua si spiega
completando il pensiero: bastava che quel
salto ecc.
— 4. a quel tratto, quella volta. In questo
senso l'A. Sat. 3 e Cassarla, iv, 9. Ma in
altri scrittori è raro.
67. 4. P. si vada. « Perché in questo luogo
pose in vece di benché, ad imitazione del
Petr. I, son. 69; il quale similmente disse:
« che perch' io viva di miir un no scampa »
(FORNARl).
— 7. nel crine, pel crine. Questo costrutto
è assai amato dall'Ar. iv, 43, 1; xxiii, pi, 3.
CANTO XXIX
301)
69
Volendosi cacciare oltre una fossa,
Sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocqae a lui, né senti la percossa;
Ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando, come trar la possa,
E finalmente se l'arreca in spalla,
E su ritorna, e va con tutto il carco.
Quanto in tre volte non trarrebbe un arco,
70
Sentendo poi che gli gravava troppo.
La pose in terra, e volea trarla a mano:
Ella il seguia con passo lento e zoppo.
Dicea Orlando: Camina; e dieea in vano.
Se l'avesse seguito di galoppo,
Assai non era al desiderio insano.
Al fin dal capo le levò il capestro,
E dietro la legò sopra il pie destro ;
71
E cosi la strascina, e la conforta
Che lo potrà seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo, e quale il cuoio porta,
Dei sassi ch'eran nel camin malvagio.
La mal condotta bestia restò morta
Finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa, e non la guarda ;
E via correndo il suo camin non tarda.
70. 8. sopra ; un poco sopra il piede de-
stro.
71. 1. la conforta. Accenna alle parole,
che Orlando nella sua follia rivolgeva alla
bestia, mostrandole il benefizio, che le fa-
ceva, strascinandola.
— 5. La mal condotta b. Intendono comu-
nemente: la bestia ridotta a mal partito; e
l'ecano a confronto la stessa espressione
dei e. ]i, 24; xi^ 32; xli, 91; ma qui forse
meglio potrebbe intendersi : la bestia, con-
dotta da Orlando cosi malamente.
— 7. non le pensa; non pensa a lei. Con
questo verbo le particelle pronominali non
sono usate,
Di trarla, anco che morta, non rimase,,
Continoando il corso ad Occidente:
E tuttavia saccheggia ville e case,
Se bisogno di cibo aver si sente;
E frutte e carne e pan, pur ch'egli invase.
Rapisce; et usa forza ad ogni gente :
Qual lascia morto, e qual storpiato lassa;
Poco si ferma, e sempre inanzi passa.
73
Avrebbe cosi fatto, ò poco manco.
Alla sua Donna, se non s'ascondea;
Perché non discernea il nero dal bianco^
E di giovar, noceudo, si credea.
Deh maledetto sia Tannello et anco
Il cavallier che dato le l'avea!
Che se non era, avrebbe Orlando fatto
Di sé vendetta e di mill'altri a un tratto.
74
Né questa sola, ma fosser pur state
In man d'Orlando quante oggi ne sono;
Ch'ad ogni modo tutte sono ingrate,
Né si trova tra loro oncia di buono.
Ma prima che le corde rallentate
Al canto disugual rendano il suono,
Fia meglio differirlo a un'altra volta,
Acciò men sia noioso a chi l'ascolta.
72. 1. non rimase; non cessò. V. e. n, 24;
XIII, 7S.
— 5. invase; invasi, metta in vaso, nello
stomaco. L'Ar. l'usa anche nel senso pro-
prio XXXVII, 67; ma è antico e raro. Buo-
narroti, Fier. 3, 4, 4: «Del coperto licor
che vi s' invasa ».
73. 7. Che se non era, il quale se non era,
se non era il quale anello. Si potrebbe anche
intendere: che se non era esso. Sottinten-
dere il pronome è uso frequente dell'A.; ma
qui r espressione riuscirebbe un po' dura.
74. 5. rallentate. Intenderei: Prima che
le corde rallentate dal dolore di certi ri-
cordi mandino un suono molto disuguale a
ciò, che ho cantato deUe donne in principio
del canto e in loro lode'.
CANTO XXX
1
Quando vincer da l'impeto e da l'ira
Si lascia la ragion, né si difende,
E che '1 cieco furor si inanzi tira
0 mano o lingua, che gli amici offende;
Se ben di poi si piange e si sospira.
Non è per questo che l'error s'emende.
Lasso! io mi doglio e aflBigo in van di
Dissi per ira al fin de l'altro Canto, [quanto
1. 3. E che; V. e. iv, 60, n. 5.
— 7. affligo. Forma più vicina al latino e
Ma simile son fatto ad uno infermo,
Che dopo molta pazienzia e molta, [mo»
Quando centra il dolor non ha piti scher-
Cede alla rabbia e a bestemmiar si volta:
Manca il dolor, né l'impeto sta fermo,
usata anche da altri scrittori; ma special-
mente in rima.
2. 5. né l'imp. sta f.; neppur l'impeto ri-
man fermo, ma dà indietro, diminuisce,
appena manca il dolore.
400
ORLANDO FURIOSO
Che la lingua al dir mal facea si sciolta;
E si ravvede e pente, e n'ha dispetto:
Ma quelc'hadetto, noupiiò far non detto
3
Ben spero, Donne, in vostra cortesia
Averda voi perdon,poi ch'io vel chieggio
Voi scusarete, che per frenesia,
Vinto da l'aspra passion, vaneggio.
Date la colpa alla nimica mia, [gio :
<Jhe mi fa star, ch'io non potrei star peg-
E mi fa dir quel di ch'io son poi gramo :
ballo Idio, s'ella ha il torto ; essa, s'io l'amo.
4 fdo;
Non men son fuor di me, che fosse Orlan-
E non son men di lui di scusa degno, [do,
■Ch'or per li monti, or per le piaggie erran-
Scurse in gran parte di Marsilio il regno,
Molti di la cavalla strascicando
Morta, come era, senza alcun ritegno;
Ma giunto ove un gran fiume entra nel
■Gli fu forza il cadavero lasciare, [mare
5
E perché sa nuotar come una lontra,
Entra nel fiume, e surge all'altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra.
Che per abbeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben che gli vada Orlando incontra,
Perché egli è solo e nudo, non lo schiva.
Vorrei del tuo rouzin (gli disse il matto)
Con la giumenta mia far un baratto.
6
Io te la mostrerò di qui, se vuoi;
Che morta là su l'altra ripa giace:
La potrai far tu medicar di poi :
Altro difetto in lei non mi dispiace, [puoi:
Con qualche aggiunta il ronzin dar mi
Smontane in cortesia, perché mi piace.
11 pastor ride, e senz'altra risposta
Va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
Io voglio il tuo cavallo: olà, non odi ?
Soggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
Quel pastor seco, e il Paladiu percosse.
La rabbia e l'ira passò tutti i modi
Del Coute; e parve fierpiii che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra, [ra.
Che spezza l'osso, e morto il caccia in ter-
8
Salta a cavallo, e per diversa strada
Va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fieno né biada;
Tanto ch'in pochi di ne riraan fiacco :
Ma non però ch'Orlando a piedi vada,
Che di vetture vuol vivere a macco;
E quante ne trovò, tante ne mise
In uso, poi che i lor patroni uccise.
I Capitò al fin a Malega, e più danno
! Vi fece, ch'egli avesse altrove fatto:
Che, oltre che ponesse a saccomanno
Il popol si che ne restò disfatto.
Né si potè rifar quel né l'altr'anno,
Tanti n'uccise il periglioso matto.
Vi spianò tante case, e tante accese,
Che disfe' più che '1 terzo del paese.
10
Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta, che siede allo stretto
Di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra;
Che l'uno e l'altro nome le vien detto :
3. 3. scusarete. Per questa forma di fu-
turo cfr. e. Ili, 2, n. 6.
— 5. nimica mia. Può benissimo riferirsi
ad Alessandra BenuccL (cfr. e. I, 2, 5) ; per-
ché anche in alcune poesie, dove parla cer-
tamente di lei, si lamenta della sua altera
sostenutezza (eleg. x ; Gap. I e altrove), che
lo fa soffrire. Ma poiché questo canto do-
veva esser già composto, quando l'Ariosto
s'innamorò della Benucci (1513), e d'altra
parte la stanza è strettamente connessa col
resto, possiamo anche credere che in ori-
gine fosse scritta per altra donna.
— 7. gramo, dolente (a. a. ted. gram,
crucciato).
4. 6. senza ale. ritejrn»; senza nulla, che
lo rattenesse ; senza ostacoli.
6. 5. aggiunta; giunta. Il Galilei giusta-
mente osserva : « Farmi che, per esser matto,
Orlando dica troppe parole, e piuttosto da
buffone che da matto ».
7. 7. serra, assesta. Berni, /un. 7. 16:
« un par di calci serra •». Ed è vivo ancora.
8. 2. Va discorrendo; va correndo qua e là
per diverse strade — pone a sacco, spoglia
del loro avere. Detto di persone è modo as-
sai singolare.
— 6. a macco; in abbondanza. Alcuni in-
tendono a uso; ma, sebbene sia stato usato
pure in questo senso, qui si adatta meglio
il primo. È voce d'etimologia incerta.
9. 1. Malega; Malaga; città della Spagna
meridionale.
— 3. a saccomanno, a sacco; (ted. sach-
mann, uomo dal sacco). Propriamente si
dicevano Saccomanni quelli, che andavano
dietro gli eserciti portando bagagli. Poi si
usò per sacco nelle frasi porre, mettere a
saccomanno .
— 4. disfatto, rovinato. Dante, Par. 16,
disse in senso affine : « Udir come le schiatte
si disfanno ».
10. 2. Zizera. Forse la moderna Algeciras,
non molto lontana dallo stretto di Gibilterra.
_ 3. Zibeltarro, Gibilterra (dall'arabo Ge-
bel, monte; Tarik, nome d'un antico capo
degli Arabi. Viene dunque a dire il monte
di Tarik).
— 4. le vien d. La locuzione dire a uiu
CANTO XXX
401
Ove una barca che sciogliea da terra,
Vide piena di gente da diletto,
Che sollazzando all'aura matutina
Già per la tranquillissima marina.
11 [ta;
Comincio il pazzo a gridar forte: Aspet-
Ché gli venne disio d'andare in barca.
Ma bene in vano e i gridi e gli urli getta-
Che volentier tal merce non si carca '
■Per l'acqua il legno va con quella frétta,
Che va per 1 aria irondine che varca
Orlando urta il cavallo e batte e stringe
E con un mazzafrusto all'acqua spinge. '
12 [entre ■
Forza è ch'ai fin nell'acqua il cavallo '
Ch in van contrasta, e spende in vano ogni
■D • , . fopra:
iiagua 1 genocchi, e poi la groppa e '1 ven-
Indi la testa, e a pena appar di sopra, [tre
Tornare a dietro non si speri, mentre '
La verga tra l'orecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare
0 nel lito African passare il mare. '
13
Non vede Orlando piti poppe né sponde
Che tratto in mar l'avean dal lito asciutto-
Che son troppo lontane, e le nasconde '
Agli occhi bassi l'alto e mobil flutto:
E tuttavia il destrier caccia tra l'onde;
un nome è ancora viva nella lingua, nel
enso di chiamarlo con quel nome. Cosi
un ragazzo dirà: « mamma, i miei compagni
mi dicon Balilla»; ma si usa generalmente
per i nomignoli; in questo luogo invece si
dice del vero nome.
— 5. sciogliea; salpava. V. e. x, 44, n. 1.
— 6. gente da dil. Il Pulci disse, Mory.
3, 40 : « gente da godere ».
— 7. sollazzando. È frequentissimo, anche
in prosa, invece del riflessivo. Berni, Inn.
15,46: «Cantando sollazzava e facea fe-
sta ».
11. 6. irondine ; (lat. hirundo). Non co-
mune.
— 8. mazzafrusto. È propriam. un mazzo
di fruste, che hanno in cima palle di piombo ■
e sou fermate a un bastone. Qui però seni- i
bra che significhi un grosso bastone : e in j
questo senso manca nei vocabolari
12. 5. mentre ; poiché. Significato frequente
anche in prosa. Segneri, Cr. I. i, 3, 7;
«Sarei ben stolido a dubitarne... mentre è ■
infallibile che dalla bocca di Dio non può I
uscire menzogna ». i
— 8. nel lito Afr. ecc.; passare il mare
approdando nel lito af. Brachilogia fre-
quente nella nostra e nelle lingue classiche. !
Cosi anclie nel e. xii, 4, 4. 1
13. 1. poppe, É singolare. V. e, ix, 84, n.
1. Qui poiipa e sponde per l' intera nave. I
Ariosto — Papini
Ch andar di la dal mar dispone in tutto.
11 destrier, d'acqua pieno e d'alma voto,
finalmente fini la vita e il nuoto.
14
Andò nel fondo, e vi traea la salma,
be non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe, e l'una e l'altra palma,
E soffia, e l'onda spinge da la faccia.
Era l'aria soave, e il mare in calma:
E ben vi bisognò più che bonaccia;
Ch ogni poco che '1 mar fosse più sorto
Restava il Paiadin ne l'acqua morto.
15
Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura,
Del mar lo trasse nel lito di Setta,
In una spiaggia, lungi da le mura.
Quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alia ventura
Verso Levante andò correndo in fretta.
Fm che trovò, dove tendea sul lito,
Di nera gente esercito infinito.
16
Lasciamo il Paiadin ch'errando vada:
Ben di parlar di lui tornerà tempo.
Quanto, Signore, ad Angelica accada,
Dopo ch'usci di man del pazzo a tempo ;
E come a ritornare in sua contrada
Trovasse e buon navilio e miglior tempo
E de l'India a Medor desse lo scettro,
Forse altri canterà con miglior plettro.
17
Io sono a dir tante altre cose intento.
Che di seguir più questa non mi cale.
Volger convienimi il bel ragionamento
Al Tartaro che, spinto il suo rivale.
Quella bellezza si godea contento,
A cui non resta in tutta Europa eguale,
Poscia che se n' è Angelica partita,
E la casta IssabeJla al elei salita.
18
De la sentenzia Mandricardo altiero,
Ch'in suo favor la bella donna diede,
I — 6. in tutto, assolutamente. Petr. Tr.
Am. 2: « Che in tutto è orbo chi non vede
il Sole ».
— 7. d'alma; di flato, di lena.
14. 1. salma, il carico, cioè Orlando V
e. X, 25, n. 4.
— 7. ogni poco. . pili. V. e. vili, 10, n. 1.
15. 2. Setta, Ceuta, città di Barberia.
— 7. tendea; stava attendato. È latinismo
non frequente. Viro. En. 2, 29 : «hic saevus
tendebat Achilles ».
16. 8. Forse altri, ecc. Forse incitato da
questi versi, Vincenzo Brusantini (m. circa
1570) scrisse ì" Angelica Innamorata, poema
cavaUeresco di scarso valore.
17. 4. spinto, allontanato, rimosso. Questo
significato manca nei vocabolari.
402
ORLANDO FURIOSO
Non può fruir tutto il diletto intero:
Che contra lui son altre liti in piede.
L'nua gli muove il giovene Ruggiero,
Perché l'aquila bianca non gli cede ;
L'altra il famoso Re di Sericana,
Che da lui vuol la spada Uurindaua.
19
S'affatica Agramante, né disclorre,
Né Marsilio con lui, sa questo intrico:
Né solamente non li può disporre
Che voglia l'un de l'altro esser amico;
Ma che Ruggiero a Mandricardo tórre
Lasci lo scudo del Troiano antico,
O Gradasso la spada non gli vieti.
Tanto che questa o quella lite accheti.
20 [vada
Ruggier non vuol ch'in altra pugna
Con lo suo scudo; né Gradasso vuole
Che, fuor che contra sé, porti la spada
Che '1 glorioso Orlando portar suole.
Al fin veggiamo in cui la sorte cada
(Disse Agramante), e nonsian più parole:
Veggiàn quel che Fortuna ne disponga,
E sia preposto quel ch'ella preponga.
21
E se compiacer meglio mi volete.
Onde d'aver ve n'abbia obligo ogn'ora;
Chi de' di voi combatter, sortirete;
Ma con patto, eh' al primo ch'esca fuora,
Amendue le querele in man porrete;
Si che, per sé vincendo, vinca ancora
Pel compagno ; e perdendo l'un di vui,
Cosi perduto abbia per ambidui.
22
Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
Di valor nulla o poca differenza ;
E di lor qual si vuol venga fuor pria,
So ch'in arme farà per eccellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia.
Che vorrà la divina Providenza.
Il cavallier non avrà colpa alcuna.
Ma il tutto imputerassi alla Fortuna.
18. 3. fruir. Ter il costrutto cfr. e. xiii,
14, n. 8.
19. 7. non gli vieti, non gV impedisca.
Sottintendi di ritenere.
— 8. Tanto ecc.; finché, con la condi-
scendenza dell'uno o dell'altro, Mandricar-
do possa sostenere successivamente le due
querele, e cosi Agramante possa risolvere
questo intrigo di diflicoltà.
20. 7. Veggiàn, veggiam. V. e. IX, 43, n. 8.
— ' 8. quel ecc. ; vada a combattere avanti
agli altri quegli, che la sorte indichi per il
primo.
21. 2 d'aver, da aver. V. e. v, 10, n. 5.
— 5. le querele. V. e. v, 76, n. 4.
22. 4. per eccellenza; eccellentemente.
Modo avverbiale assai comune.
23
Steron taciti al detto d'Agramante
E Ruggiero e Gradasso; et accordarsi
Che qualunque di loro uscirà inante,
E l'una briga e l'altra abbia a pigliarsi.
Cosi in duo brevi, ch'avean simigliante
Et ugual forma, L nomi lor notarsi;
E dentro un'urna quelli hanno rinchiusi.
Versati molto, e sozzopra confusi.
24
Un semplice fanciul nell'urna messe
La mano,e prese un breve; evenne acaso
Ch'in questo il nome di Ruggier si lesse,
Essendo quel del Serican rimaso.
Non si può dir quanta allegrezza avesse,
Quando Ruggier si senti trar del vaso,
E d'altra parte il Sericano doglia;
Ma quel che manda il ciel, forza è cheto-
25 [glia-
Ogni suo studio il tìericano, ogni opra
A favorire, ad aiutar converte.
Perché Ruggiero abbia a restar di sopra;
E le cose in suo prò, ch'avea già esperte.
Come or di spada, or di scudo si cuopra,
Qual sien botte fallaci, e qual sien certe.
Quando tentar, quando schivar fortuna
Si dee, gli torna a mente ad una ad una.
26
Il resto di quel di, che da l'accordo
E dal trar de le sorti sopravanza,
E speso dagli amici in dar ricordo, [sanza.
Chi a l'un guerrier chi all'altro, come è u-
U popol, di veder la pugna ingordo.
S'affretta a gara d'occupar la stanza:
Né basta a molti inanzi giorno andarvi;
Che voglion tutta notte anco veggiarvi.
27
La sciocca turba disiosa attende
Ch' i duobuoucavalliervenganoinprova;
Che non mira più lungi né comprende
Di quel eh' inanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi più intende,
23. 8. Versati, voltati, agitati. Latinismo
assai raro. Si cita solamente l'esempio d'una
antica traduz. di Boezio : « Voltando e ver-
sando loro cuori in venenosi desideri ».
24. 1. semplice, innocente. Dante, Purg.
16, 88 : « L'anima semplicetta, che sa nulla».
— 2. venne a caso ; avvenne per caso.
25. 4. E le cose ecc.; e secondo che gli
dettava l'esperienza, gli rammentava le cose
che a lui sarebbero tornate a vantaggio,
cioè come dovesse coprirsi ecc.
26. 3. dar ricordo, richiamare alla memo-
ria gli accorgimenti del duello.
— 6. la stanza, il posto, donde vedere. È
un significato notevole, non citato dai vo-
cabolari.
— 8. veggiarvi; vegghiarvi, vegliarvi. V,
e. I, 41, n. 1.
CANTO XXX
40c
E vede ciò che nuoce e ciò che giova,
Biasma questa battaglia, et Agramante,
Che voglia comportar che vada inante.
28
Né cessan raccordargli il grave danno
Che n'ha d'avere il popol Saracino,
Mti'^ra Ruggiero o il Tartaro tiranno,
Quel che prefisso è dal suo fier destino:
D'un sol di lor via pili bisogno avranno
Per contrastare al figlio di Pipino,
Che di dieci altri mila che ci sono,
Tra'quai fatica è ritrovare un buono.
29 |ro;
Conosce il Re Agramante che gli è ve-
lia non può pili negar ciò e' ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Ruggie-
Che gli ridonin quel c'ha lor concesso; (ro,
E tanto pili, che '1 lor litigio è un zero,
Né degno in prova d'arme esser rimesso :
E s'in ciò pur noi vogliono ubbidire,
Voglino almen )a pugna differire.
30
Cinque o sei mesi il singular certame,
0 meno o più si differisca, tanto
Che cacciato abbin Carlo del reame.
Tolto lo scettro, la corona e il manto, [me
Ma l'un e l'altro, ancor che voglia e bra-
11 Re ubbidir, pur sta duro da canto;
Che tale accordo obbrobrioso stima
A chi '1 consenso suo vi darà prima.
31 [vano
Ma più del Re, ma più d'ognun ch'in-
Spenda a placare il Tartaro parole.
28. 1. raccordargli, ricordargli. È forma
antiquata e rara.
— 2. ha d'avere ; ha da avere, avrà. Per
il senso futuro cfr. e. xv, 35, n. 2.
— 3. tiranno, signore. Questo è il primo
significato del gl'eco ti/rannos; da cui il
nostro.
— 4. Quel che; muoia qualunque dei due,
è pi'estabifito a morire dal s. f. d.
29. 6. d. in prova d'ar. ecc. ; d. d' esser
messo di nuovo alla prova dell'arme. Questo
litigio era stato messo alla prova dell'arme
un'altra volta: cfr. Innamor. Iir, vi, 40.
Avverti la ommissione, tante volte notata,
della preposiz. di, e il costrutto mettere in
■prova, invece del più comune mettere alla
prova : ma forse su questo costrutto ha
agito la forma iterativa rimettere, assu-
mendo cosi la costruzione, che questo verbo
ha, quando significa affidare (rimettersi in
uno).
— 8. Voglino, vogliano. Forma popolare
ancor viva nel volgo.
30. 4. Tolto: Sottintendi a lid.
— 6. da canto, in disparte; non volendo
neppur discuter la proposta. V. e. xii, 21,
n. 5.
La bella figlia del Re Stordilano
Supplice il priega, e si lamenta e duole:
Lo prega che consenta al Re Africano,
E voglia quel che tutto il campo vuole;
Si lamenta e si duci che per lui sia
Timida sempre e piena d'augonia.
32
Lassa ! (dicea) che ritrovar poss' io
Rimedio mai, eh' a riposar mi vaglia ?
S'or centra questo or quel nuovo disio
Vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia.
C ha potuto giovare al petto mio
Il gaudio che sia spenta la battaglia
Per me da voi coiitra quell'altro presa,
Se un'altra non niiuor se n'è già accesa?
33 [ra
Oimè! ch'in vano i' me n'andava altie-
Ch'un Re si degno, un cavallier si forte
Per me volesse in perigliosa e fiera
Battaglia porsi al risco de la morte:
Ch'or veggo per cagion tanto leggiera
Non meno esporvi alla medesma sorte.
Fu naturai ferocità di core,
Ch'a quella v' instigò, più che '1 mio amore.
34 [quello
Ma se gli è ver che '1 vostro amor sia
Che vi sforzate di mostrarmi ogn'ora,
Per lui vi prego, e per quel gran flagello
Che mi percuote l'alma e che m'accora.
Che non vi caglia, se '1 candido augello
Ha ne lo scudo quel Ruggiero ancora.
Utile 0 danno a voi non so ch'importi;
Che lasci quella insegna, o che la porti.
35
Poco guadagno, e perdita uscir molta
De la battaglia può, che per far sete.
Quando abbiate a Ruggier l'aquila tolta,
Poca mercé d'un gran travaglio avrete;
Ma se Fortuna le spalle vi volta
(Che non però nel crin presa tenete).
Causate un danno, ch'a pensarvi solo
31. 8. angonia, agonia, angoscia mortale.
È forma rara anche negli antichi.
32. 7. quell'altro, Rodomonte. V. e. xxiv,
111.
34. 3. Per lui. L'amore è personificato.
Del resto il Petr. I, son. 25, riferi lui a
tempo ; il Boccaccio, Nov. 49 a falcone. —
flagello, tormento, che mi flagella l'anima,
dolore. Lasca, Oraz. alla Cr. : « Gli han dato
cosi gran flagello e tanta pena ».
— 7. importi, arrechi. Bembo, Stor. 1,
53: «le acque grave detrimento importa-
rono ». Intendi : Io non so che a voi porti
utile o danno il fatto che egli lasci o porti
quella insegna.
35. C. però ; peranco. Cosi il Lasca, che
incomincia in tal modo la prima novella:
« Non sono però molti anni passati ».
404
ORLANDO FURIOSO
Mi sento il petto già sparrar di duolo.
36
Quando la vita a voi per voi non sia
Cara, e più amate un'aquila dipinta,
Vi sia alnien cara per la vita mia:
Non sarà l'uua senza l'altra estinta.
Non già morir con voi grave mi fia :
.Sondi seguirvi in vita e in morte accinta;
Ma non vorrei morir si mal contenta,
Come io morrò, se dopo voi son spenta.
37
Con tai parole e simili altre assai,
Che lacrime accompagnano e sospiri,
Pregar non cessa tutta notte mai,
Terch'alla pace il suo amator ritiri.
E quel, suggeudo da gli umidi rai
Quel dolce pianto, e quei dolci martiri
13a le vermiglie labra più che rose,
Lacrimando egli ancor, cosi rispose :
38
Deh, vita mia, non vi mettete affanno.
Deh non, per Dio, di cosi lieve cosa; [no
Che se Carlo e '1 Re d'Africa, e ciò e' han-
Qui di gente moresca e di franciosa,
8piegasson le bandiere in mio sol danno,
Voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere,
Se per me un Ruggier sol vi fa temere.
39
E vi dovria pur rammentar che, solo
(E spada io non avea né scimitarra),
Con untroncondilanciaa ungrossostuolo
D'armati cavallier tolsi la sbarra.
— S. sparrar, sparare, aprire. L'ediz. del
1516 e del 1521, come anche le edizioni più
antiche sono concordi in questa lezione ;
quelle dal 1545 in poi corressero sparar.
La doppia venne forse per influenza dialet-
tale e fu bene accolta dal Poeta ad espri-
mere con più efficacia r idea. Cosi usò Ecco
per Eco; annel per anel\ cavalliere per
cavaliere.
36. 2. amate. Avverti il passaggio dal con-
giunt. sia, all'indicat. ; quello accenna ad
un sentimento che non si vede e non si può
accertare, questo al fatto, che appar mani-
festo.
— 6. accinta... di; apparecchiata a. Il
Tasso, Ger. 10, 35, 1' usò pure iu tai senso,
ma col costrutto più comune: «Ch'era il
suo caro al dipartirsi accinto » ; e si usò
;inche senza prepos.: sotio acciìita accom-
pagnarvi.
:j.S. 2. non; no. V. e. X, 49, n. 8.
— 7. mi ; Uniscilo ad avere. V. e. i, 47,
n. 6.
39. ]. rammentare. È usato impersonal-
mente per analogia di ricordare ; ma i vo-
cabolari non lo citano.
— 4. tolsi lasb.; Feci fuggire dalla sbarra,
Gradasso, ancorché con vergogna e duolo
Lo dica, pure, a chi '1 domanda, narra
Che fu in Seria a un castel mio prigioniero ;
Et è pur d'altra fama che Ruggiero.
40
Non niega similmente il Re Gradasso,
E sallo Isolier vostro e Sacripante,
Io dico Sacripante, il Re Circasso,
E '1 famoso Grifone et Aquilante,
Cent' altri e più, che pure a questo passo
Stati eran presi alcuni giorni inante,
Macomettani e gente di battesrao.
Che tutti liberai quel di medesrao.
41
Non cessa ancor la maraviglia loro
De la gran prova eh' io feci quel giorno.
Maggior, che se l'esercito del Moro
E del Franco inimici avessi intorno.
Et or potrà Ruggier, giovine soro,
Farmi da solo a solo o danno o scorno ?
Et or e' ho Durindana e l'armatura
D'Ettor, vi de' Ruggier metter paura?
42 [io.
Deh perché dianzi in prova non venni
Se far di voi con l'arme iopotea acquisto ?
So che v'avrei si aperto il valor mio.
Ch'avresti il fin già di Ruggier previsto.
cioè dal luogo che essi difendevano. È im-
magine presa dai duelli, che si facevano in
luoghi cinti e chiusi con sbarre. Per il fatto
cfr. e. XIV, .':ì9 segg.
— 5. Gradasso ecc. Maudricardo, venuto
in poter d'una fata, combatte con Gradasso,
che era già da tempo prigioniero di questa
fata; vintolo e superate altre ditììcili prove,
ottiene da essa le armi di Ettore e la li-
berazione di Gradasso e degli altri prigio-
nieri. Cosi neìV Innamorato, III, i, 39, 47.
— 8. d' altra f. ; di ben altra f.; di molto
maggior f. Cosi Boccaccio, Nov.19: «Altro
avresti detto se tu m' avessi visto a Bolo-
gna »; ed è vivo ancora nella nostra lingua.
Cfr. e. XXXIV, 72, I.
40. 2. Isolier vostro ; Perché era Spagnuolo
come DoraUce. V. e. xiv, li.
— 8. Che ; dipende dai verbi ìion niega,
sallo : Gradasso pure non nega, e lo sa Is.
S. Gr. Aq. e cento altri e più ..., che io li
I liberai tutti ecc.
41. 5. soro; Si diceva dei falconi giovani
ancora di prima penna; perciò vale ine-
sijerto. È d'etunolog. incerta: il LiUrè, più
giustamente degli altri, lo riporta al lat.
saurus, sauro; per il colore delle penne
dei falconi giovanetti.
42. 1. in prova n. v.; non venni alla prova
delle armi, non provai se ecc. V. e. iv, 68,
n. 7.
— 4. avrssti, avreste. Forma popolare
ancor viva nel volgo.
CANTO XXX
405
Asciugate le lacrime, e per Dio
Non mi fate uno augurio cosi tristo;
E siate certa che '1 mio onor m' ha spinto,
Non ne lo scudo i.1 bianco augel dipinto.
43
Cosi disse egli; e molto ben risposto
Gli fu da la mestissima sua donna,
Che non pur lui mutato di proposto,
Ma di luogo avria mossa una colonna.
Ella era per dover vincer lui tosto,
Ancor ch'armato, e ch'ella fosse in gonna;
E l'avea indotto a dir, se '1 Re gli parla
D'accordo più, che volea contentarla.
44
E lo facea; se non, tosto ch'ai sole
La vaga Aurora fé' l'usata scorta.
L'animoso Ruggier che mostrar vuole
Che con ragion la bella aquila porta,
Per non udir più d'atti e di parole
Dilaziou, ma far la lite corta,
Dove circonda il popol lo steccato,
Sonando il corno, s'appresenta armato.
45
Tosto che sente il Tartaro superbo.
Ch'alia battaglia il suono altier lo sfida,
Non vuol più de l'accordo intender verbo,
Ma si lancia del letto, et arme grida;
E si dimostra si nel viso acerbo.
Che Doralice istessa non si fida
Di dirgli più di pace né di triegua :
E forza è infin che la battaglia segua.
4G
Subito s'arma, et a fatica aspetta
Da* suoi scudieri i debiti servigi :
Poi monta sopra il buon cavallo in fretta.
Che del gran difensor fu di Parigi;
E vien correndo inver la piazza, eletta
A terminar con l'arme i gran litigi.
Vi giunse il Re e ia corte allora allora;
Si eh' all' assalto fu poca dimora.
4:ì. 5. era per dorer; era sul punto di do-
ver vincer tosto.
— 6. Ancor ch'ar. È reminiscenza del Pe-
TP.ARCA r, madr. 4: «Tu (amore) sei ar-
mato,, ed ella in trecce e in gonna».
44. 1. se non; se non che. Modo notevole,
non citato dai vocabolari. Le altre due ed.
curate dall' Ar. avevano se non che come
al Sole. Il cambiamento non sembra dei
più febei.
— 5-6. d'atti e di p. dil.; dilazione fatta
per atti, come gli ordini del Re; per parole
come le trattative d'accordo.
46. 4. difensor... di Par.; Orlando. Briglia-
doro era stato lasciato da Orlando alla casa
del pastore (xxiii, 116), e preso poi da Man-
dricardo (xxiv, 115).
— S. fu poca dim.; per l'assalto vi fu poco
indugio.
47
Posti lor furo et allacciati in testa
I lucidi elmi, e date lor le lance.
Segue la tromba a dare il segno presta.
Che fece a mille impallidir le guance.
Posero l'aste i cavallieri in resta,
E i corridori punsero alle pance;
E venner con tale impeto a ferirsi.
Che parve il ciel cader, la terra aprirsi.
48
Quinci e quindi venir si vede il bianco
Augel che Giove per l'aria sostenne;
Come ne la Tessalia si vide anco
Venir più volte, ma con altre penne.
Quanto sia l'uno e l'altro ardito e franco,
Mostra il portar de le massiccie antenne;
E molto più, ch'a quello incontro duro
Quai torri ai venti, o scogli all'onde furo.
49
I tronchi fin al ciel ne sono ascesi:
Scrive Turpin, verace in questo loco,
Che dui 0 tre giù ne tornare accesi,
Ch'eran saliti alla sfera del fuoco.
I cavallieri i brandi aveano presi:
47. 3. Segue la tr. ; dopo ciò vien sonata
la tromba, che è sollecita a dare i segnali
d' uso.
48. 2. Augel che G.; l'aquila. Giove fu rap-
presentato in moltissime maniere : ed anche
sopra un carro portato da aquile. Cosi lo
dipinse splendidamente anche Raffaello d'Ur-
bino; e forse a quel dipinto pensava l'A.
— 4. più volte. « Disse i3ù< volte, perché,
seguendo Viro. Georg. I, 490; Ovid. Met. xv,
S25; Floro, 1, 7, e altri, fu di sentimento
che nel medesimo luogo, dove segui la bat-
taglia di Cesare con Pompeo, seguisse, sei
anni dopo, l'altra d'Ottavio e Antonio con
Bruto e Cassio » (Barotti) ; mentre questa
avvenne a Filippi nella Macedonia, quella a
Parsalo neUa Tessaglia. L'errore di quegli
antichi scrittori viene spiegato in diversi
modi, che qui non fa al caso nostro discu-
tere. — con altre penne. L'aquila di Rug-
gero era bianca argentea precisamente co-
me le aquile Romane da Mario fino all'im-
pero. D'allora furono auree. Ma l'Ar. fu qui
inesatto, perché aveva forse la mente all'a-
quila imperiale del medio evo, che era
nera. Nei Cinque Canti, iii, 73 si dice che
Ruggero, fatto cristiano, avea preso per
insegua « l'uccel bianco e il nero »; cioè al-
l'aquila bianca avea unito l' aquila impe-
riale.
— 7. E molto pili che ; e molto più lo di-
mostra il fatto che ecc.
49. 2. Scr. Turp. V. e. XIII, 40, n. 2.
— 4. sfera del fuoco; Secondo l'astrono-
mia antica, stava fra la terra e il cielo della
luna.
406
ORLANDO FURIOSO
E come quei che si temeano poco,
Si ritornavo incontra; e a prima giunta
Àmbi alla vista si ferir di punta.
50
Ferirsi alla visiera al primo tratto;
E non miraron, per mettersi in terra,
Dare ai cavalli morte; eh' è mal'atto,
Perch'essi non han colpa de la guerra.
Chi pensa che tra lor fosse tal patto.
Non sa l'usanza antiqua, e di molto erra:
Senz'altro patto era vergogna e fallo
E biasmo eterno a chi feria il cavallo.
51
Ferirsi alla visiera, ch'era doppia,
Et a pena anco a tanta furia resse.
L'un colpo appresso all'altro si raddoppia :
Le botte, pili che grandine, son spesse,
Che spezza fronde e rami e grano e stoppia,
E uscir in vau fa la sperata messe.
Se Durindana e Balisarda taglia.
Sapete, e quanto in queste mani vaglia.
52
Ma degno di sé colpo ancor non fanno,
Si l'uno e l'altro ben sta su l'avviso.
Usci da Mandricardo il primo danno,
Per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso.
D'uno di quei gran colpi che far sanno,
Gli fu lo scudo per mezzo diviso,
E la corazza apertagli di sotto ;
E fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
— 8. vista; visiera. Cosi pure uel e. xli, 86.
50. 2. n. miraron... dare; non volsero la
loro mira a dare. È una osservazione del-
l'A. per riprovare l'usanza, di cui qui ap-
presso.
— 5. tal patto ; chi pensa che non mi-
rassero ai cavalli, non già per generosità,
ma per un patto esplicito fatto avanti fra
loro. Nel Quattrocento e nel Cinquecento
si era introdotta l'usanza che nei capitoli
del duello si stabiliva se poteva o non poteva
colpirsi il cavallo dell' avversario. L' A. ri-
prova tale usanza.
— 7. Senz'altro patto, senz' alcun patto;
senza bisogno d'alcun patto. Cosi usò sema
il Boccaccio. .Yor. 99: « Io ho assai offesi
gl'Iddìi... senza volerli ora con la morte
d'un altro innocente offenderli ». Di altro
per alcuno, cfr. e xxiii, 68, n. 1.
51. i. anco ; anche cosi, anche doppia.
— I. grandine ecc Viugil. En. 5, 158:
« Quam multa grandine nimbi Culminibus
crepitant, sic densis ictibus heros ».
— 7. taglia; Il verbo è al sing. perché
queste due cose sono considerate dal Poeta
come un tutto insieme, nei loro effetti. V.
FORNACIAKI, S., p. 302.
.52. 5. D'uno, da uno. V. e. v, 10, n. 5. —
sanno, questi due guerrieri.
— 7. dì sotto: sotto lo scudo.
53 [petto,
L'aspra percossa agghiacciò il cor nel
Per dubbio di Ruggiero, ai circostanti.
Nel cui favor si conoscea lo affetto
Dei pili inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna ponesse ad effetto
<iuel che la maggior parte vorria inanti,
(jjà Mandricardo saria morto o preso :
Si che 'Isuocolpohatuttoil campo offeso.
54
Io credo che qualche Agnol s' interpose
Per salvar da quel colpo il Cavalliero.
Ma ben senza pili indugio gli rispose,
Terribil pili che mai fosse, Ruggiero.
La spada in capo a Mandricardo pose;
Ma si lo sdegno fu subito e fiero,
Vj tal fretta gli fé', ch'io men l'incolpo
Se non mandò a ferir di taglio il colpo.
55
Se Balisarda lo giungea pel dritto.
L'elmo d'Ettorre era incantato in vano.
Fu si del colpo Mandricardo afflitto,
Che si lasciò la briglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fitto,
Mentre scorrendo va d'intorno il piano
Quel Brigliador che conoscete al nome,
Dolente ancor de le mutate some.
56
Calcata serpe mai tanto non ebbe,
Né ferito leon, sdegno e furore.
Quanto il Tartaro, poi che si riebbe
Dal colpo che di sé lo trasse fuore.
E quanto l'ira e la superbia crebbe.
Tanto e più crebbe in lui forza e valore.
Fece spiccare a Brigliadoro un salto
Verso Ruggiero, e alzò la spada in alto.
57
Levossi in su le staffe, et all'elmetto
SegnoUi, e si credette veramente
53. 6. T. inanti, vori*ebbe piuttosto, prefe-
rirebbe.
54. 7. t. fretta gli fé'; lo fece tanto affret-
tare. È diverso dal far fretta nel senso di
stimolare a far presto. In questo secondo
senso è frequente; nel primo non è neppur
citato dai vocabolari. — men, non. È il lat.
!?iiuMs. CiCEU. 1, Div. 11 :^« Nonnunquam
quae praedicta sunt niinus eveniunt ». È un
esempio notevole di quest' uso nella nostra
lingua; giacché i due esempi citati del Ghe-
rardini rientrano, in qualche modo, nell'uso
del comparativo, la cui idea manca assolu-
tamente qui.
55. 2. era ine. in t. V. st. 59, 6.
56. 1-2. Sono comparazioni del Boiardo,
Inn. I, vili, 37 : « Non è leon ferito più spia-
cevole. Né serpe calpestata tanto ria ».
57. 2. SegnoUi; gli segnò, gli mirò. Nel
e. XXIV, 101: «segna alla testa». Il Berui
CANTO XXX
407
Partirlo a quella volta fin al petto:
Ma fu di lui Ruggier più diligente, [fetto,
Che pria che '1 braccio scenda al duro ef-
Gli caccia sotto la spada pungente,
E gli fa ne la maglia ampia finestra,
Che sotto difendea l'ascella destra.
58
E Balisarda al suo ritorno trasse
Di fuori il sangue tiepido e vermiglio,
E vietò a Durindana che calasse
Impetuosa con tanto periglio;
Ben che fin su la groppa si piegasse
Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:
E s'elmo in capo avea di peggior tempro,
Gli era quel colpo memorabil sempre.
59
Ruggier non cessa, e spinge il suo eaval-
E Mandricardo al destro fianco trova, [lo,
Quivi scelta finezza di metallo,
E ben condutta tempra poco giova
Centra la spada che non scende in fallo.
Che fu incantata non per altra prova,
Che per far eh' a' suoi colpi nulla vaglia
Piastra incantata et incantata maglia.
60 [me
Taglionne quanto ella ne prese, e insie-
Lasciò ferito il Tartaro nel fianco.
Che '1 ciel bestemmia, e di tant'ira freme.
Che '1 tempestoso mare è orribil manco.
Or s'apparecchia a por le forze estreme:
Lo scudo ove in azzurro è l'augel bianco.
Vinto da sdegno, si gittò lontano,
E messe al brando e l'una e l'altra mano.
61
Ah (disse aluiRuggier), senza più basti
A mostrar che non merti quella insegua.
Ch'or tu la getti, e dianzi la tagliasti ;
Né potrai dir mai più che ti convegna.
Cosi dicendo, forza è ch'egli aitasti
l'usò col complemento diretto : Ina. 21,16:
« E dove lo segnò ».
— 3. a quella volta. Spesso l'Ar. usò, come
rasarono altri, specialmente il Pulci (Tt/or.
10,64: 26, 7; 26, 5 ecc.l a questa volta; al
qual modo è analogo questo.
— 8. Che; Riferiscilo a inaglia, e inten-
di : gli fa ampia tinestra nella maglia e pre-
cisamente in quella parte, che di sotto di-
fendeva l'ascella destra.
.59. 2. trova, colpisce. Pulci, Movg. 12,32:
« E in su lo scudo basso lo trovava ». E pure
in prosa : Firenzuola, as. 166: « E trovan-
domi... con un buon bastone ».
— 6. fu incantata ecc. V. e. vii, 76, n. 1.
60. 5. por, impiegare.
61. 3. la tagliasti; V. st. 52. 6. L'averla
tagliata su lo scudo di Ruggero è come un
cattivo augurio per Mandricardo.
— 5. Cosi dicendo ; mentre diceva queste
cose, Mandricardo gli calava addosso Du-
Con quanta furia Durindana vegna;
Che si gli grava e si gli pesa in fronte.
Che più leggier potea cadervi un monte :
I 62
E per mezzo gli fende la visiera;
; Buon per lui, che dal viso si discosta:
I Poi calò su l'arcion che ferrato era,
j Né lo difese averne doppia crosta:
I Giunse al fin su l'arnese, e come cera
! L'aperse con la falda sopraposta ;
E feri gravemente ne la coscia
Ruggier, si ch'assai stette aguarir poscia.
63
De l'un, come de l'altro, fatte rosse
Il sangue l'arme avea con doppia riga;
Tal che diverso era il parer, chi fosse
Di lor, ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
^ Con la spada che tanti ne castiga:
j Mena di punta, e drizza il colpo crudo,
' Onde gittato avea colui lo scudo.
64
Fora de la corazza il lato manco,
E di venire al cor trova la strada;
Che gli entra più d'un palmo soprail fian-
Si che convien che Mandricardo cada |co,
D'ogni ragion che può ne l'augel bianco,
0 che può aver ne la famosa spada,
E de la cara vita cada insieme.
Che, più che spada e scudo, assai gli pre-
65 [me.
Non mori quel meschin senza vendetta;
Ch'a quel medesmo tempo che fu colto;
La spada, poco sua, menò di fretta.
Et a Ruggier avria partito il volto,
rindana. — attasti, senta; assaggi: «quasi
toccfii col senso, giacché tutti i sensi ridu-
consi al tatto » (To.mmaseo).
62. 2. dal V. si disc; Poiché la spada colpi
con la punta; e, per la parabola che do-
vette fare, si scostò subito dal corpo di
Rugg.
— 4. averne; Il ìie è pleonastico. V. e. il,
4, 1. — crosta; lastra di ferro molto grossa
(doppia) che lo incrostava.
— 5. arnese ; V. e. xxvii, 78, n. 5.
— 6. falda; V. e. xxix, 1, n. 5.
63. 8. Onde ecc.; da quella parte, onde
ecc.; cioè dalla parte sinistra.
64. 4-5. cada d'o. r.; perda ogni ragion.
Bembo Lett. 2: «Io non cadrò delia ragion
mia». E per analogia l'A. fece poi l'espres-
sione: «cader della vita».
65. 3. poco sua; non sua. Cosi i Latini
usarono parum invece di ìion ad attenuare
una negazione. Orazio, Od. I, 12: «Tujja-
rum castis inimica mittes Fulmina lucis ».
Ma qui è molto notevole coU'agg. posses-
sivo.
408
ORLANDO FURIOSO
'/,i.--U^ 4*^'
Se già Ruggier non gli avesse intercetta
Prima la forza, e assai del vigor tolto.
Di forza e di vigor troppo gli tolse
Dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66
Da Mandricardo fu Ruggier percosso
Nel punto ch'egli a lui tolse la vita ;
Tal ch'un cerchio di ferro, anco che grosso,
E uua cuffia diacciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna et osso,
E nel capo a Ruggiero entrò dua dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
E di sangue un ruscel dal capo versa.
67
Il primo fu Ruggier ch'andò per terra;
E di poi stette l'altro a cader tanto.
Che quasi crede ognun che de la guerra
Riporti Mandricardo il pregio e il vanto:
E Doralice sua che con gli altri erra,
E che quel di più volte ha riso e pianto,
Dio ringraziò con mani al ciel supine,
Ch'avesse avuta la pugna tal fine.
68
Ma poi ch'appare a manifesti segni
Vivo chi vive, e senza vita il morto.
Nei petti de' fautor mutano regni,
Di là mestizia, e di qua vien conforto.
I Re, i Signori, i Cavallier pili degni,
Con Ruggier ch'a fatica era risorto,
A rallegrarsi et abbracciarsi vanno,
E gloria senza fine e onor gli danno.
69
— 5. intercetta; diminuita. É estensione
di significato, assai notevole.
— 8. dianzi che ; dianzi quando. La Cru-
sca non cita quest'avverbio di tempo, tra
gli altri che si uniscono al che\ eppure è
ancora vivo nell'uso.
66. 3. cerchio ; il cerchio di ferro, che gi-
rava intorno all'elmo, e che serviva come di
base alla callotta di esso, rendendolo più
forte.
— 4. cuffia; un armatura della testa, che,
per Io più, si portava sotto l'elmo, e anche
sola da guerrieri di poco conto. V. e. xxv,
13, 6.
— 6. dua. Questa forma è sempre usata
dall'Ar. per il nuischile; due volte l'usa per
nome femminile al plurale, ma maschile al
singolare (xiii, "5; xvii, lOS, dua miglia;
XII, 69, 1, forse per errore, dua sr/uadre).
Cfr. e. 1, 16, n. 2.
67. 4. pregio, premio. Cioè la spada e l' in-
segna. V. e. XVII, 97, n. 6.
— 7. mani... supine ; È immagine già usata
dai Greci e dai Latini. Oraz. Od. 3, 23:
« Coelo supinas si tuleris manus ». Nei riti
pagani, se si invocavano gli dei inferi, le
mani si voltavano verso la terra; se gli dei
marini, al mare, se i celesti, al cielo.
68. 3. mutano regni ; mutano luogo. Sog-
getto sono i seguenti mestizia e conforto.
Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente
Il raedesmo nel cor, e' ha ne la bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
Tutto da quel che fuor la lingua scocca.
Mostra gaudio nel viso, e occultamente
Del glorioso acquisto invidia il tocca;
E maledice o sia destino o caso.
Il qual trasse Ruggier prima del vaso.
70
Che dirò del favor, che de le tante
Carezze e tante, affettuose e vere, [te,
Che fece a quel Ruggiero il Re Agraman-
Senza il qual dare al vento le bandiere
Né volse muover d'Africa le piante.
Né senza lui si fidò in tante schiere ?
Or che del Re Agricane ha spento il seme,
Prezza più lui, che tutto il mondo insieme.
71
Né dì tal volontà gli uomini soli
Eran verso Ruggier, ma le donne anco.
Che d'Africa e di Spagna fra gli stuoli
Eran venute al tenitorio Franco.
E Doralice istessa, che con duoli
Piangea l'amante suo pallido e bianco,
Forse con l'altre ita sarebbe in schiera,
Se di vergogna un duro fren non era.
72
Io dico forse, non ch'io ve l'accerti.
Ma potrebbe essur stato di leggiero :
Tal la bellezza, e tali erano i merti,
1 costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già ne siamo esperti,
Si facile era a variar pensiero,
Che per non si veder priva d'amore,
Avria potuto in Ruggier porre il core.
70. 4. Senza il qual. Questa fatale neces-
sità di Ruggero per l'impresa era stata di-
mostrata ad Agramante dal vecchio re So-
brino (Innam. Il, i, 70 segg.) e ricorda la
fatalità di Achille per la presa di Troia.
— 7. d. re A... il s.; Mandricardo, figlio di
Agricane. — ha spento. Se il sogg. è Agram.,
spento h predicato: Ora che Ayram.si trova
ad avere, a vedersi ìuorto M. Ma forse me-
glio e con minore sforzo intenderai : Ora
che Ruggero ha spento M.
"li. 2. potrebbe esser st.; ma quel che dico,
che cioè ella avesse questa voglia, può es-
sere avvenuto facilmente.
— 5. p. q. eh. n. siamo esp. ; per quello
che di essa, sul conto di essa abbiamo espe-
rimentato. É traduzione della forma depo-
nente latina exi^erti sumus; e latino è an-
che il costrutto col complemento diretto
che: (experiri aliquid). Dante l'usò coH'au-
siliare essere ma non col compi, dir. Par.
1, 30: «Questo superbo volle essere esperto
Di sua potenza ».
CANTO XXX
409
73
Per lei buono era vivo Mandricardo:
Ma che ne volea far dopo la morte ?
Proveder le convieu d'un che gagliardo
Sia notte e di ne' suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
Il più perito medico di corte.
Che di Kuggier veduta ogni ferita,
Già l'avea assicurato de la vita.
74
Con molta diligenzia il Re Agramante
Fece colcar Ruggier ne le sue tende;
Che notte e di veder sei vuole inante:
Si l'ama, si di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e l'arme tutte quante,
Che furdi Mandricardo, il Re gli appende;
Tutte le appende, eccetto Durindana
Che fu lasciata al Re di Sericana.
75 [no
Con l'armeTaltre spoglie a Ruggier so-
Date di Mandricardo, e insieme dato [no,
Gli èBrigliador, quel destrier belloebuo-
Che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al Re diede Ruggiero in dono;
Che s'avvide ch'assai gli saria grato.
Non più di questo; che tornar bisogna
A chi Ruggiero in van sospira e agogna.
76
Gli amorosi tormeuti che sostenne
Bradamante aspettando, io v' ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei rivenne,
P nuova le arrecò del suo desire.
Prima, di quanto di Frontin le avvenne
Con Rodomonte, l'ebbe a riferire;
Poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte
Con Ricciardetto e frati d'Agrismonte :
77
E che con esso lei s'era partito
Con speme di trovare il Saracino,
E punirlo di quanto avea fallito
D'aver tolto a una donna il suo Frontino;
73. 2. che ne voi. f. O è una riflessione
del Poeta « se fosse rimasta fedele a un
morto, cosa avrebbe voluto farne?», o è da
intendere il volea, per potea, come si usa
ancora nei dialetti meridionali « che ne vo-
glio fai'e io di questa cosa ? ».
— 3. Preveder... d'nn; provvedersi d'un.
La forma semplice per la riflessiva non è
citata dai vocabolari.
74. 2. colcar; coricare. V. e. xi, 42, a. 4.
75. 1. l'altre sp. Era costume nei duelli
antichi, che armi, spoglie, cavalli del vinto
passavano al vincitore.
7fi. 4. desire; personadesiderata. L'astrat-
to per il concretò.
— 7. alla fonte. V. e. xxvi, 29, 30.
— 8. Agrismonte. Per questo nome cfr.
XXV, 71 segg. — i frati ; Aldighiero, Mala-
gigi, Viviauo, del castello d'Agrismonte.
77. 4. D'aver t.; Può dipendere da avea
E che '1 disegno poi non gli era uscito,
Perché diverso avea fatto il camino :
La cagione anco, perché non venisse
A Montalban Ruggier, tutta le disse;
78
E riferille le parole a pieno,
Ch' in sua scusa Ruggier le avea commes-
Poi si trasse la lettera di seno, [se:
Ch'egli le die, perch'ella a lei la desse.
Con viso più turbato, che sereno,
Prese la carta Bradamante, e lesse;
Che, se non fosse la credenza stata
Già di veder Ruggier, fora più grata.
79 [ce
L'aver Ruggiero ella aspettato, e, in ve-
Di luì, vedersi ora appagar d'un scritto,
Del bel viso turbar l'aria le fece
Di timor, di cordoglio e di despitto.
Baciò la carta diece volte e diece.
Avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lacrime vietar, che su vi sparse.
Che con sospiri ardenti ella non l'arse.
80
Lesse la carta quattro volte e sei,
E volse ch'altretante l'imbasciata
Replicata le fosse da colei
Che l'una e l'altra avea quivi arrecata,
Pur tuttavia piangendo: e crederei
Che mai non si saria più racchetata.
Se non avesse avuto pur conforto
Di rivedere il suo Ruggier di corto.
81
Termine a ritornar quindici o venti
Giorni avea Ruggier tolto, et affermato
L'avea ad Ippalca poi con giuramenti
Da non temer che mai fosse mancato.
Chi m'assicura, oimè ! de gli accidenti
(Ella dicea), e' han forza in ogni lato.
Ma ne le guerre più, che non distorni
Alcun tanto Ruggier, che più non torni ?
fallito^ ed è costrutto comune : ma può an-
che dipendere da punirlo, ed essere cosi
epesegesi del di quanto.
— 5. uscito, riuscito a buon effetto. Cosi
spesso nel Furioso.
78. 7. Che se ecc.; la quale carta sarebbe
stata più gradita, se già non fosse stata in
lei la credenza di veder Rugg. ; credenza,
che ora veniva delusa.
79. 4. despitto; dispetto. È forma, che
troviamo già in Dante, Inf. 10, 36.
— 7. Le lacrime ecc. Su queste esagera-
zioni e ricercatezze cfr. e. i, 41, u. 1. — vie-
tar... che non. V. C. v, 53, n. 1.
80. 8. di corto ; fra breve. V. e. i, 63, n. 3.
SI. 1. Termine, tempo. V. e. xiii, 47, n. 2.
— 7. che. Dipende da mi assicura : chi
mi assicura, che alcuno degli accidenti,
e' han ecc. non distorni ecc. Avverti col
Raina che Ruggero non ha l'esaltamento
410
ORLANDO FURIOSO
82
Oimè ! Ruggiero, oiraè ! chi avria creduto
Ch'avendoti amato io più di me stessa,
Tu, più di me, non ch'altri, ma potuto
Abbi amar gente tua inimica espressa ?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto;
Chi tu dovresti aitare, è da te oppressa.
Non so se biasmo o laude esser ti credi,
Ch'ai premiar e al punir si poco vedi.
83
Fu morto da Troian (non so se '1 sai)
Il padre tuo; ma fin ai sassi il sanno :
di Tristano e di Lancellotto, né per l'amore
di Bradamaute dimentica altre cure e i suoi
doveri di cavaliere. In Bradamaute al con-
trario l'amore diventa supremo sentimento,
come conviene a donna gentile. Quest'amore
è condotto con finissima analisi psicologica.
82. 7-S. Non so se ecc. È luogo non facile.
Generalmente intendono: « Non so se tu
creda che questa maniera di conixiortarti
possa esserti ascritta a biasimo, o non piut-
tosto a lode ». Ma è evidente che Ruggero
credeva dovesse essergli ascritta a lode ;
per ciò il dubbio di Bradamaute sarebbe
strano. Intenderai, molto meglio: « Non so
se tu creda esser per te biasimo o lode que-
sto ; che cioè vedi cosi poco nel premiare
e nel punire. Ossia: questo tuo premiare e
punire a rovescio non so se tu lo creda una
prova di lealtà e quindi ragione di lode per
te, o non piuttosto tu lo ritenga una trista
necessità del momento, che ti procura un
rimorso, e quindi è degna, anche per tuo
giudizio, di biasimo. Dunque il v. S è la
proposizione soggettiva dell' infinito esser
del V. 7. Secondo la prima interpretazione
il che starebbe per jjoiché.
— 8. al premiar s, p. t. ; nel premiar,
quanto al premiar ecc., hai si poco accorgi-
mento. Cosi il Petr. IV canz. 4: «Poco ve-
dete e parvi veder molto ». — Per il signifi-
cato della prepos. al, confronta, p. es., que-
sto e simili modi, che ogni padre ha sentito
sulle labbra dei propri figli : « Stamani alla
geografia mi son fatto onore; ma alla tra-
duzione dal latino mi son fatto canzonare ».
85. 1. Fn morto ecc. La storia di Riccieri
0 Ruggero di Risa era già nella tradizione
cavalleresca; cfr. e. xxxvi, 60, n. 1 ; ma se-
condo questa Troiano non ebbe alcuna parte
nell'impresa d'Italia. E quindi, probabil-
mente, un'aggiunta dell'Ar.
— :i. fin a' sassi ecc. Per l'espressione
cfr. e. II, 2S, n. 8. Come ha saputo Brada-
maute questa storia di Ruggero ? L' aveva
detta Sobrino in piena adunanza, dinanzi ad
Agramante (Innam. Il, i, 70); e tal fama,
trattandosi d'un insigne guerriero, poteva
esser corsa anche fra i cristiani.
E tu del figlio di Troian cura hai
Che non riceva alcun disnor né danno.
E questa la vendetta che ne fai,
Ruggiero? e aqueiche vendicato l'hanno,
Rendi ta) premio, che del sangue loro
Me fai morir di strazio e di martore ?
84
Dicea la Donna al suo Ruggiero absente
Queste parole et altre, lacrimando,
Non una sola volta, ma sovente.
Ippalca la venia pur confortando.
Che Ruggier servarebbe interamente
Sua fede, e ch'ella l'aspettasse, quando
Altro far non potea, fin a quel giorno
Ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85
I conforti d' Ippalca, e la speranza
Che degli amanti suole esser compagna,
A.lla tema e al dolor tolgon possanza
Di far che Bradamaute ogn'ora piagna.
In Moutalban, senza mutar mai stanza,
Voglion che fin al termine rimagna,
Fin al promesso termine e giurato.
Che poi fu da Ruggier male osservato.
86 [se.
Ma ch'egli alla promessa sua mancas-
Non però debbe aver la colpa affatto ;
Ch'una causa et un'altra si lo trasse.
Che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
E più d'un mese si stesse di piatto
— 6. a quei ecc., a Carlo Magno e alla
sua famiglia, che han vendicato su Agra-
mante, discendente di Agolante, la morte di
Ruggero di Risa, padre di questo Ruggero.
7-8. del sangue 1. me.; me, che sono del
loro sangue, della famiglia di Chiaramente;
a cui appartengono Oi'lando, Rinaldo e al-
tri, che furono i principali guerrieri contro
i Mori. O anche : me, che sono, nella prima
origine, dello stesso sangue di Carlo Magno,
che ha vendicato in questa guerra il sangue
di Ruggero. Migliore la prima iuterpretaz.
84. 6. quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3,
85. 6. Voglion, i conforti e la speranza.
86. 1. Ma ch'egli; ma perch' egli.
— 3. trasse, distolse. Il Boccaccio 1' ha
in questo senso, ma col compi. Nov. 38 :
« Acciò che esse da cosi fatto servigio noi
traessero ».
— 4. preterire il p.; oltrepassare il ter-
mine pattuito. Alcuni intendono: non osser-
vi re; ma questo significato, oltre ad esser
singolare come l'altro, non ha il riscontro
nell'uso latino (praeterire, passar oltre)
come l'altro ha.
— 6. di piatto; nascosto. Espressione fre-
quente come avverbio, ma rara come ag-
gettivo. Vedine due altri esempi nel e. xxxii,
79, 4; xxxvi, 55, 4. E Pulci, Morg. 11, 2:
« Perché consenti tu eh' io stia di piatto? ».
CANTO XXX
411
In dubbio di morir: si il dolor crebbe
Dopo la pugna che col Tartaro ebbe. '
87
L'innamorata giovane l'attese
Tutto quel giorno, e desiollo in vano,
Né mai ne seppe, fuor quanto ne 'ntese
Ora da Ippalca, e poi dal suo germano.
Che le narrò che Ruggier lui difese,
K Malagigi liberò e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
Tur di qualche amarezza era turbata:
88
Che di Marfisa in quel discorso udito
L'alto valore e le bellezze avea:
Udi come Ruggier s'era partito
Con esso lei, e che d'andar dicea
Là dove con disagio in debol sito,
Mal sicuro Agraraante si tenea.
Si degna compagnia la Donna lauda,
Ma non che se a'allegri, o che l'applauda.
89
Xé picciolo è il sospetto che la preme ;
Che se Marfisa è bella, come ha fama,
K che fin a quel di sien giti insieme,
È maraviglia se Ruggier non l'ama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme;
E '1 giorno che la può far lieta e grama,
Misera aspetta; e sospirando stassi,
Da Montalban mai non movendo i passi.
90
Stando ella quivi, il Principe, il Signore
Del bel castello, il primo de' suoi frati
(Io non dico d'etade, ma d'onore;
Chef di lui prima duo n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
Gli ha, come il sol le stelle, illuminati,
(iiunseal castello un giorno insù la nona;
Né, fuor ch'un paggio, era con lui persona.
91
Cagion del suo venir fu, che da Brava
Ritornandosi un di verso Parigi,
Come v' ho detto che sovente andava
Per ritrovar d'Angelica vestigi,
Avea sentita la novella prava
Del suo Viviano e del suo Malagigi,
Ch'eran per esser dati al Maganzese;
E perciò ad Agrismonte la via prese:
87. 2. Tutto quel fifiorno, tutto quel giorno,
che R. avea stabilito per la sua venuta.
— 3. Né mai; durante, cioè, quei venti
giorni di aspettazione — fuor quanto, all'in-
fuori di quanto, eccetto quanto. È modo fre-
ijucnte negli scrittori e ancor vivo.
88. 4. Con esso 1. V. e. XXI, 49, U. 1.
89. 3. E che ; e se. V. 0. IV, 60, n. 5.
90. 4. duo; Guicciardo o Guiscardo, e
Alardo.
— 7. in su la nona. V. e. vili, 19, n. 6.
91. 3. come T'ho detto; V, c. XXVII, ,n.
— 8. ad A. 1. V. pr. Comunemente si dice
92
Dove intendendo poi ch'eran salvati,
E gli avversari lor morti e distrutti,
E Marfisa e Ruggiero erano stati.
Che gli aveano a quei termini ridutti ;
E suoi fratelli e suoi cugin tornati
A Montalbano insieme erano tutti ;
Gli parve un' ora un anno di trovarsi
Con esso lor là dentro ad abbracciarsi.
93
Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
Madre, moglie abbracciò, tìgli e fratelli,
E i cugini che dianzi eran captivi ;
E parve, quando egli arrivò tra quelli,
Dopo gran fame irondine ch'arrivi
Col cibo in bocca ai pargoletti augelli :
E poi ch'un giorno vi fu stato o dui.
Partissi, e fé' partire altri con lui.
94
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi
Figli d'Anione, il più vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi
In arme dietro al Paladin gagliardo.
Bradaraante aspettando che s'appressi
Il tempo ch'ai disio suo ne vien tardo.
Inferma, disse agli fratelli, ch'era;
E non volse con lor venire in schiera.
95 [ma,
E ben lor disse il ver, ch'ella era infer-
Ma non per febbre o corporal dolore :
Era il disio che l'alma dentro inferma,
E le fa alterazion patir d'amore.
Rinaldo in Montalban più non si ferma,
E seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse, e quanto
Carlo aiutò, vi dirà l'altro Canto.
prender la via per o verso un luogo. Ma,
sebbene non comune, questo dell'Ar. è co-
strutto elegante.
92. 7. di trovarsi. Il costrutto è ancora
vivo con questa e simili espressioni : mi
j)ar milVanni di fare; mi pare ogn'ora
mille di fare ecc. Forse tali espressioni,
siguificando desidero vivamente, ne hanno
preso anche il costrutto.
— 8. Con esso lor, con lor. V. e. xxi, 49,
n. 1.
93. 2. Madre, moglie. La madre era Beatrice
figlia del duca Namo, la moglie era Clarice
sorella di Ugone di Bordeau.
94. 1. Ricciardo. Questo Ricciardo non ap-
pare negli antichi poemi cavallereschi, dove
i figliuoli d'.A.mone sono quattro: Guicciar-
do, -Ciardo, Rinaldo e Ricciardetto.
95. 3. inferma; rende inferma. Nell'uso
transit. non è comune, ma fu usato dal
Boccaccio e da altri.
— 4. alterazion... d'amore ; una alterazione,
un turbamento, che vien dall'amore.
412
ORLANDO FURIOSO
CANTO XXXI
1
Che dolce più, che più giocondo stato
Saria di quel d'un amoroso core ?
Che viver più felice e più beato,
Che ritrovarsi in servitù d'Amore ?
Se non fosse l'uom sempre stimulato
Da quel sospetto rio, da quel timore,
Da quel martir, da quella frenesia,
Da quella rabbia detta gelosia.
2
Però ch'ogni altro amaro, che si pone
Tra questa soavissima dolcezza,
È un augumento, una perfezione,
Et è un condurre Amore a più finezza.
L'acque parer fa saporite e buone
La sete, e il cibo pel digiun s'apprezza:
Non conosce la pace e non l'estima
Chi provato non ha la guerra prima.
3 [de
Se ben non veggon gli occhi ciò che ve-
Ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
Quanto più lungo fu, più riconforta.
Lo stare in servitù senza mercede.
Pur che non resti la speranza morta.
Patir si può; che premio al ben servire
Pur viene al fin, se ben tarda a venire.
4
Gli sdegni, le repulse, e finalmente
Tutti i martir d'Amor, tutte le pene
Fan per lor rimembranza, che si sente
Con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se l'infernal peste una egra mente
Avvien ch'infetti, ammorbi et avvelene;
Se ben segue poi festa et allegrezza.
Non la cura l'amante e non l'apprezza.
5
Questa è la cruda e avvelenata piaga
A cui non vai liquor, non vale impiastro,
Né murmurc, né imagiue di Saga,
1. 1. che d. pili ecc. ; quale stato più dolce,
quale più giocondo s. Che per quale vedilo
nel e. vili, A-i, 8; xni, 3, 7, dove troverai la
nota.
3. 1. Se ben ecc. ; sebbene, essendo lon-
tani, gli occhi non vedano la persona amata.
— 5. in s. 8. mercede; in servitù d'amore
senza averne compenso. •
4. 5. l' infernal peste, la gelosia. — egra,
malata d'amore.
5. 3. mnrmure. Latinismo non frequente,
neppure in poesia. È il pronunziar som-
Ne vai lungo osservar di benigno astro,
Ne quanta esperienzia d'arte maga
Fece mai l'inventor suo Zoroastro:
Piaga crudel che sopra ogni dolore
Conduce l'uom che disperato muore.
fi
Oh incurabil piaga che nel petto
D'un amator si facile s'imprime
Non men per falso, che per ver sospetto !
Piaga che l'uom si crudelmente opprime,
Che la ragion gli offusca e l'intelletto,
E lo tra fuor de le sembianze prime !
Oh iniqua gelosia, che cosi a torto
Levasti a Bradamante ogni conforto!
7
Non di questo eh' Ippalca e che '1 fratello
Le avea nel core amaramente impresso,
Ma dico d'un annunzio crudo e fello,
Che le fu dato pochi giorni appressx).
Questo era nulla a paragon di quello
Ch'io vi dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente,
Che ver Parigi vien con la sua gente.
8
Scontrare il di seguente in ver la sera
messamente parole (magiche) — imaglne;
cfr. e. vili, 14. n. 7. — Saga (iat. saga); in-
cantatrice, strega.
— 4. benigno astro. V. e. Ili, 15, dove ab-
biamo le osservate stelle.
— 5. ar. maga; a. magica. Petrarca, i,
son. 69: « arti maghe ».
— 6. Zoroastro. Petrarca, Tr. Fama,
2, 125: -1- dov'è Zoroastro che fu dell'arte
magica inventore». L'A. aveva certo pre-
sente il luogo del Petr.; infatti usò qui an-
che le stesse rime. Zoroastro fu re de' Bat-
triani (e. 600 a. a. C), e fu creduto inventore
delle arti magiche, che però esistevano già •
prima.
— 7. sopra og. d. ; più d'ogni altro dol.
— 8. che; al punto che. Cosi nel e. xxiv,
89, 7.
6. 6. lo tra fuor ecc., lo sfigura, gli fa
mutar sembianza.
7. 1. di questo; annunzio.
— 5. Questo. Riferiscilo al questo del pri-
mo verso. E avverti che il questo si rife-
risce al più lontano, quello al più vicino;
e di ciò cfr. e. xxix, 21, n. 8.
8. 1. Scontrare ecc. (e. xxx, 93-4). Que-
st' episodio è tolto dall' Ancroia. Ivi Guidon
CANTO XXXI
413
Un cavallier cli'avea uua donna al fianco,
Con scudo e sopravesta tutta nera, [co.
Se non che per traverso ha un fregio bian-
Sfidò alla giostra Ricciardetto, ch'era
Dinanzi, e vista avea di guerrier franco :
E quel, che mai nessun ricusar volse,
Girò la briglia e spazio a correr tolse.
9
Senza dir altro, o più notizia darsi
De l'esser lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli altri cavallier fermarsi
Per veder come seguiria lo scontro.
Tosto costui per terra ha da versarsi,
Se in luogo fermo a mio modo lo incontro
(Dicea tra sé medesmo Ricciardetto);
Ma contrario al pensier segui l'effetto:
10
Però che lui sotto la vista offese
Di tanto colpo il cavalliero istrano,
Che Io levò di sella, e lo distese
Pili di due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
L'assunto Alardo, e ritrovossi al piano
Stordito e male acconcio: si fu crudo
Lo scontro lìer, che gli spezzò lo scudo.
Selvaggio, venuto in Francia, va a Montal-
bano per combatter con Rinaldo. Non tro-
vando lui, combatte e abbatte gli altri tre
figli d' Amone senza darsi a conoscere.
Passa quindi a Parigi, s' incontra con Ri-
naldo e fa con lui aspra battaglia, senza
che nessuno sia vincitore. Infine gli si dà
a conoscere e si fa gran festa in corte.
Questo episodio dunque appartiene, nel
fondo, al ciclo Carolingio, ma le circostanze
narrate dall'Ar., come le maraviglie dei ca-
valieri per il loro valore, il loro riconosci-
mento, l' incontro fortuito, ecc. sono del
ciclo Brettone.
— 2. una donna; Aleria. V. e. xx, 80,
segg.
— 8. e spazio ecc. ; e prese nel campo
lo spazio sufficiente per lanciarsi di corsa
all'assalto dell'avversario.
9. 1. pili notizia; altra notizia. Cioè 1' u-
nica notizia che l'uno dette all'altro, fu la
sfida fatta e accettata. Cosi è da intendere
il pili come nel e. xvii, 25; xx, 122; xxiv,
113; e non nel senso di alcuna notizia,
come certi fanno senza ragione.
— 2. all'incontro; Pili spesso all'incon-
tra : vale semplicemente incontro ed è
poetico.
— 5. versarsi, rovesciarsi a terra. Ver-
sare usò VAy. per riversare, rovesciare,
gettare a terra, st. 53, 7 ; 69, 7.
— 6. fermo, resistente al colpo.
10. 7. male acconcio; più coiiiunem. ìiial-
concio.
11
Guicciardo pone incontinente in resta
L'asta, che vede i due germani in terra,
Benché Rinaldo gridi : Resta, resta
Che mia convieu che sia la terza guerra:
Ma l'elmo ancornouhaallacciatointesta;
Si che Guicciardo al corso si disserra;
Né più degli altri si seppe tenere,
E ritrovossi subito a giacere.
12
Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigl,
E r un prima de l'altro essere in giostra:
Ma Rinaldo pon line ai lor litigi :
Ch' inanzi a tutti armato si dimostra,
Dicendo loro: È tempo ire a Parigi;
E saria troppo la tardanza nostra,
S' io volesse aspettar lìn che ciascuno
Di voi fosse abbattuto ad uno ad uno.
13
Dissel tra sé, ma non che fosse inteso;
Che saria stato agli altri ingiuria e scorno!
L'uno e Taltro del campo avea già preso,
E si faceano incontra aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso,
Cile valea tutti gli altri ch'avea intorno;
Le lance si fiaccar, come di vetro.
Né i cavallier si piegar oncia a dietro.
14
L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse.
Che gli fu forza in terra a por le groppe.
Baiardo immantinente ridrizzosse.
Tanto ch'a pena il correre interroppe.
Sinistramente si l'altro percosse,
11. 2. che; uniscilo a incontanente.
12. 5. E tempo ire; è tempo (laudare.
— 6. troppo, troppa. Abbiamo già più
volte notata nel Fur. la sconcordanza del
participio passato col soggetto (cfr. e. v, 58,
n. 5): analoga ad essa è la sconcordanza
dell'aggettivo predicativo col soggetto come
qui e nel e. xlii, 82, 2. Il Bemho, Prose, HI,
11, cita per quest' uso due luoghi del Boc-
caccio : « Fu ogni cosa di rumore e di pian-
to l'ipieno ». « Ogni cosa pieno di neve e
di ghiaccio ».
— 7. volesse, volessi. L'Ar. usò questa
teriniuaz. in e sei volte. L' usarono non di
rado e Dante e il Pulci e il Berni e altri.
Il Salvint, Avvert. 1, 14, dice: «Io rima-
nesse, per rimanessi, nel quale ai nostri
tempi più che la plebe incorrono i lette-
rati ».
13. 8. oncia, misura della larghezza d'un
pollice. Dante, Inf. 30, 83.
14. 2. gì. f. f. a por. Più comune il co-
strutto col semplice infinito, o con la prep.
di, o con la cong. che. La Crusca cita un
es. di costrutto con per, nessuno con a.
— 5. percosse. In senso neutro, batté,
urtò : sottint. in terra. Gli esempi che si
414
ORLANDO FURIOSO
Che la spalla e la scliena insieme roppe.
Il cavallier clic '1 destrier morto vede,
Lascia le staffe, et è subito in piede.
15
Et al figlio d'Amen, che già rivolto
Tornava a lui con la man vuota, disse : I
Signore, il buon destrier che tu m'hai tolto, 1
Perché caro mi fu mentre che visse,
Mi faria uscir del mio debito molto.
Se cosi invendicato si morisse:
Si che vientene, e fa ciò che tu puoi;
Perché battaglia esser convien tra noi.
IG
DisseRinaldoalui: Se 'Idestriermorto,
E non altro ci de' porre a battaglia.
Un de' miei ti darò, piglia conforto.
Che men del tuo non crederò che vaglia.
Colui soggiunse: Tu sei mal accorto.
Se creder vuoi che d'un destrier mi caglia.
Ma poi che non comprendi ciò ch'io voglio,
Ti spiegherò più chiaramente il foglio.
17
Vo' dir che mi parria commetter fallo,
Se con la spada non ti provassi anco,
E non sapessi s' in quest'altro ballo
Tu mi sia pari, o se più vali o manco.
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo:
Pur che le man tu non ti tegna al fianco,
lo son contento ogni vantaggio darti:
Tanto alla spada bramo di provarti.
18
Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
E disse: La battaglia ti prometto;
E perché tu sia ardito, e non ti punga
Di questi, e' ho d'intorno, alcun sospetto,
citano dai vocabol. son tutti col comple-
mento.
15. 2. con la man v. Era costume che i
cavalieri, rotta la lancia, tornavano ad as-
saltarsi con la spada. Rinaldo, vedendo ca-
duto r avversario , non mise mano alla
spada, che cosi voleva la cortesia.
— 8. b. esser conv.; conviene che sia bat-
taglia tra noi. È il costrutto infinitivo la-
tino, di cui vedi la nota 4, e. i, 48. Dante,
Piirg. 31, 5 : « a tanta accusa Tua confes-
sion conviene esser congiunta ».
16. 3. Un de' miei. I cavalieri andavano
con più cavalli di ricambio, condotti dagli
scudieri.
— 4. non crederò ; Il futuro indica, come
il condizionale, un certo riserbo nell'asser-
zione. V. FOR.XACiAia, Sint. 181.
— 8. il foglio ; le cose. Cinque Canti, i, 28 :
«Ma per aprirti chiaramente il foglio».
Tale metafora usò già Uantk, Par. \t, 121 ;
2, 78.
18. 1. n. 1. tenne in 1. Tenere in lunga
o per la lunga dissero gli antichi per te-
nere a bada con ciance.
Andranno inanzi fin ch'io gli raggiunga;
Né meco resterà fuor ch'un valletto
Che mi tenga il cavallo: e cosi disse,
Alla sua compagnia che se pe gisse.
19
La cortesia del Paladin gagliardo
Commendò molto il cavalliero estrano.
Smontò Rinaldo, e del destrier Baiardo
Diede al valletto le redine in mano:
E poi che più non vede il suo stendardo.
Il qual di lungo spazio è già lontano.
Lo scudo imbraccia e stringe il brando fie-
E sfida alla battaglia il Cavalliero. [ro,
20
E quivi s'incomincia una battaglia
Di ch'altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede l'un che tanto l'altro vaglia,
Che troppo lungamente gli resista.
Ma poi che '1 paragon ben gli ragguaglia.
Né l'un de l'altro più s'allegra o attrista;
Pongon l'orgoglio et il furor da parte.
Et al vantaggio loro usano ogn'arte.
•21
S'odon lor colpi dispietati e crudi
Intorno rimbombar con suono orrendo.
Ora i canti levando a' grossi scudi.
Schiodando or piastre, e quando maglie
[aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi
A ben ferir, quanto a parar, volendo
Star l'uno a l'altro par; ch'eterno danno
Lor può causar il primo error che fanno.
22
Durò l'assalto un'ora, e più che '1 mezzo
D'un'altra; et era il sol già sotto l'onde,
Et era sparso il tenebroso rezzo
De l'orizon fin all'estreme sponde;
Né riposato, o fatto altro intermezzo
Aveano alle percosse furibonde
Questi guerrier, che non ira o rancore,
Ma tratto all'arme avea disio d'onore.
19. 5. jl suo stend. Con Rinaldo non erano
andati solo i fratelli e i cugini, ma anche
una schiera di vassalli col loro vessillo.
20. 2. in vista, a vedersi. Esempio note-
vole, perché tutti quelli citatisi riferiscono
a persona e significano all'aspetto. Più op-
portunamente si può confrontare con que-
sto quel di Dante, Par. 9, 68: « Preclara
cosa mi si fece in vista » : è un fiammella che
diviene preclara a vedersi da Dante.
— 0. de l'altro pili, più dell'altro.
— 8. al vantaggio; per il vantaggio. B0( -
CACCIO, Nov. 32: «le quali (busse) egli vi
diede a mie cagioni ».
21. 3. canti, le cantonate,
22. 3. rezzo; buio. Cosi nel e. v, 53, 3.
— 4. orizon. Le parole in onte derivate
dal greco si troncarono spesso nel verso:
Caron, Feton, Acheron.
CANTO XXXI
415
23
Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo
Chi sia l'estrano cavallier si forte,
Che nou pur gli sta coutra ardito e saldo,
Ma spesso il mena a risco de la morte;
E già tanto travaglio e tanto caldo
Gli ha posto, che del fin dubita forte;
E volentier, se con suo onor potesse,
Vorria che quella pugna rimanesse.
24
Da l'altra parte il cavallier estrano,
Che similmente non avea notizia
Che quel fosse il Signor di Montalbano,
Quel si famoso in tutta la milizia,
Che gli avea incontra con la spada in ma-
Condotto cosi poca inimicizia, [no
Era certo che d'uom di più eccellenza
Non potesson dar Tarme esperienza.
25
Vorrebbe de l'impresa esser digiuno,
Ch'avea di vendicare il suo cavallo;
E se potesse senza biasmo alcuno.
Si trarrla fuor del periglioso ballo.
Il mondo era già tanto oscuro e bruno,
Che tutti 1 colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire, e men parar sapeano;
Ch'a pena in man le spade si vedeauo.
26
Fu quel da Montalbano il primo a dire
Che far battaglia non denno allo scuro,
Ma quella indugiar tanto e differire,
Ch'avesse dato volta il pigro Arturo;
E che può intanto al padiglion venire.
23. 4. risco. V. c. VI, 81, n. 8.
— 5-6. t. e. gli ha posto ; gli ha dato tanto
caldo, tanta fatica: (L' effetto per la causa).
Porre per dare non è frequente. Si cita un
esempio dalle Coll. dei SS. PP. « Perdo-
nami che io ti puosi questa fatica ».
— 8. rimanesse, cessasse. Rimanere per
cessare è usato anche nei e. ii, 21; xiii,
78; ma col complemento ( di seguir, di
trarre). Qui è usato assolutamente ; come
l'usarono Dante, il Boccaccio e altri. Vil-
lani, 5, 29, 2 : « Il detto suono rimase ».
24. 5. Che gli avea ecc.; cui cosi poc_a
inimicizia avea condotto a combattere con-
tro di lui.
25. 1. Vorrebbe ecc. Dante, Inf. 28, 87 :
«Vorrebbe di vedere esser digiuno». Per
r espressione avere imiiresa cfr. e. xvii,
104, n. 1.
26. 4. il pigro Arturo ; ( greco arktos,
orsa; ura, coda); è la stella che si trova
alla coda della costellazione dell' Orsa. Pi-
gilo è epiteto Ovidiano; Metam. 2, 138; ed
è cosi detto, perché, essendo vicino al polo,
ha il movimento più tardo delle altre stelle.
V. 0. XX, 82, n. 3.
Ove di sé nou sarà men sicuro,
Ma servito onorato e ben veduto,
Quanto in loco ove mai fosse venuto.
27
Non bisognò a Rinaldo pregar molto;
Che '1 cortese Baron tenne lo 'nvito.
Ne vanno insieme ove il drappel raccolto
Di Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea già tolto
Un bel cavallo e molto ben guernito,
A spada e a lancia ad ogni prova buono,
Et a quel cavallier fattone dono.
28
Il guerrier peregrin conobbe quello
Esser Rinaldo, che venia con esso;
Che prima che giungessero all'ostello.
Venuto a caso era a nomar sé stesso:
E perché l'un de l'altro era fratello.
Si sentir dentro di dolcezza oppresso,
— 6. Ove di sé ecc.; ove non sarà meno si-
curo di sé stesso, cioè della propria per-
sona, di quanto sia mai stato sicuro in al-
cun luogo. E avverti che il secondo termine
della comparazione è sottinteso, e deve ri-
levarsi da ciò, che segue. Insomma abbiamo
qui la fusione di due costrutti compara-
tivi, uno di minoranza, l'altro d'eguaglian-
za, con un solo secondo termine.
27. 2. Che; poiché. —Baron; vale uomo
di gran qualità. V. e. ii, 21, n. 5.
— 4. sicuro sito; luogo appartato, sicuro
da sorprese dei nemici, come conveniva
per passarvi la notte.
28. 3. ostello; Qui in senso lato luogo
dove si trovava raccolto il drappello. É
estensione di significato assai notevole.
— 6. Si sentir. Cosi legge 1' edizione del
1532 e le più antiche e autorevoli edizioni.
Nell'ediz. del '16 è differente quasi tuttala
stanza e vi si legge : « E perch'egli era a
lui frate germano. Senti che la pietà trovò
le strade D'entrar nel petto e intenerirgli il
core, E lacrimò per gaudio e per amore ».
Nell'ediz. del '21 si baia stanza ridotta come
al presente, ma si legge senti, lacrimò. Per-
ché l'A. introdusse poi il plurale? Alcuni
suppongono che il Poeta, facendoli piangere
ambedue, volesse far comprendere che nel-
r uno era ragionato, neh' altro istintivo il
sentimento di fratellanza. Per un poeta ro-
manzesco mi pare una sottigliezza poco pro-
babile. Io intendo che vi sia un accenno an-
ticipato agli e/Tetti del racconto, che segue
nelle tre stanze appresso; quasi dica: E
perché l'un dell'altro era fratello, cq??ì e
apparve loro e apparirà al lettore dal se-
guente racconto, perciò si sentirono il
cuore oppresso di dolc. e tocco di p. a. —
Il singolare avrebbe dimostrato, sema nes-
suna ragione, la commozione degli affetti
416
ORLANDO FURIOSO
E di pietoso affetto tocco il core;
E lacrimar per gaudio e per amore.
29
Questo guerriero era Guidon Selvaggio,
Che dianzi con Marfisa e Sansonetto
E figli d'Olivier molto viaggio
Avea fatto per mar, come v' ho detto.
Di uou veder piuttosto il suo lignaggio
Il fellon Pinabel gli avea interdetto,
Avendol preso, e a bada poi tenuto
Alla difesa del suo rio statuto.
30
Guidon, che questo esser Rinaldo udio.
Famoso sopra ogni famoso duce,
Ch' avuto avea più di veder disio,
Che non ha il cieco la perduta luce,
Con molto gaudio disse: 0 Signor mio,
Qual fortuna a combatter mi conduce
Con voi che lungamenteho amato et amo,
E sopra tutto il mondo onorar bramo?
31
Mi partorì Costanza ne le estreme
Ripe del mar Eusino: io son Guidone,
Concetto de lo illustre inclito seme,
Come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere e gli altri nostri insieme
Il desiderio è del venir cagione;
E dove mia intenzion fu d'onorarvi,
Mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.
32
Ma scusimi appo voi d'un error tanto,
Ch' io non ho voi né gli altri conosciuto;
E s'emendar si può, ditemi quanto
Far debbo, eh' in ciò far nulla rifiuto.
Poi che si fu da questo e da quel canto
De' complessi iterati al fin venuto.
Rispose a lui Rinaldo: Non vi caglia
Meco scusarvi più de la battaglia:
33
Che per certificarne che voi sete
Di nostra antiqua stirpe un vero ramo,
Dar miglior testimonio non potete.
Che '1 gran valor ch'in voi chiaro provia-
Se più pacifiche erano e quiete [mo.
solo in Guidone. Vedi tali anticipaz. sopra
alle st. 12-13, e e. xxxvi, lS-19. Mala scon-
cordanza del participio è cosi forzata che
ritent^-o il luogo errato; da correggere,
sulla ediz. del '21, senti.
29. 4. come v'ho d. ; e. XX, 92; xxil, 05.
31. 1. Costanza; e. xx, 6-7.
32. 4. in ciò far; per ciò far. In come con-
wiunzioue indicante /Ine si ha nelle espres-
sioni comuni: fare una cosa in vanta<rgio,
in onore ecc. di alcuno. V. e. xxi, 18, 2.
— 6. complessi, abbracciamenti : è il lat.
complexus. — sì fu... venuto. Forma im-
personale imitata dal latino ventum est,
ventum erat. Non comune, neppure in
poesia.
Vostre maniere, mal vi credevamo;
Che la damma non genera il leone,
Né le colombe l'aquila o il falcone.
34
Non, per andar, di ragionar lasciando,
Non di seguir, per ragionar, lor via.
Vennero ai padiglioni; ove narrando
Il buon Rinaldo alla sua compagnia
Che questo era Guidon, che disiando
Veder, tanto aspettato aveano pria.
Molto gaudio apportò ne le sue squadre;
E parve a tutti assimigliarsi al padre.
35
Non dirò l'accoglienze che gli fero
Alardo, Ricciardetto e gli altri dui;
Che gli fece Viviano et Aldigiero,
E Malagigi, frati e cugin sui;
Ch'ogni Signor gli fece e cavallicro;
Ciò ch'egli disse a loro, et essi a lui:
Ma vi concluderò che finalmente
Fu ben veduto da tutta la gente.
36
Caro Guidone a' suoi fratelli stato
Credo sarebbe in ogni tempo assai;
Ma lor fu al gran bisogno ora più grato.
Ch'esser potesse in altro tempo mai.
Poscia che '1 nuovo sole incoronato
Del mare usci di luminosi rai,
Guidon coi frati e coi parenti in schiera
Se ne tornò sotto la lor bandiera.
37
Tanto un giorno et un altro se n'andaro,
Che di Parigi alle assediate porte
A men di dieci miglia s'accostare
In ripa a Senna; ove per buona sorte
Grifone et Aquilante ritrovaro,
I duo guerrier da l'armatura forte:
Grifone il bianco, et Aquilante il nero
Che partorì Gismonda d'Oliviero.
38
Con essi ragionava una donzella,
33.7-8. il leone, Vaquila, il falcone sono
soggetti.
34. 1-2. Non, per and. Dante, Purg. 24, 1 :
« Né il dir r andar né l' andar lui più lento
Facea ».
— 5. ohe disiando v. ; cui des. v.
— 8. E parve. Il soggetto è Guidone.
35. S. Fu ben ved.; fu ben ricevuto; fu
visto con piacere.
36. 3. al g. b. ; nel gr. bis.: a per in è
frequentissimo nella nostra lingua.
— 8. Se ne tornò ecc. ; Dal suo padi-
glione, dove la sera si era ritirato a ripo-
sare, tornò ora a ritrovare i parenti e i
fratelli, mettendosi in schiera con loro sotto
lo stesso vessillo.
37. G. da l'arm. f. Era fatta per incanto:
cfr. Innam. I, xxni,24, 26; Fur. xvii, 70.
— 8. Gismonda. V. e xv, 72, 73.
CANTO XXXI
417
Non già di vii condizione in vista,
Che di sciaraito bianco la gonnella
Fregiata intorno avea d'aurata lista;
Molto leggiadra in apparenza e bella.
Fosse quantunque lacrimosa e trista:
E mostrava ne' gesti e nel sembiante
Di cosa ragionar molto importante.
39
Conobbe i cavallier, come essi lui,
Guidon, che fu con lor pochi di inanzi;
Et a Rinaldo disse: Eccovi dui
A cui van pochi di valore inanzi;
E se per Carlo ne verran con nui.
Non ne staranno i Saracini inanzi.
Rinaldo di Guidon conferma il detto.
Che l'uno e l'altro era guerrier perfetto.
40
Gli avea riconosciuti egli non manco;
Però che quelli sempre erano usati,
L'un tutto nero, l'altro tutto bianco
Vestir su l'arme, e molto andare ornati.
Da l'altra parte essi conobbero anco
E salutar Guidon, Rinaldo e i frati:
Et abbracciar Rinaldo come amico,
Messo da parte ogni lor odio antico.
41
S'ebbero un tempo in urta e in gran di-
[spetto
Per Truffaldin, che fora lungo a dire;
38. 3. sciamito ( forse dal greco hexa,
sei; e ìuitos, filo: tessuto iu sei licci). I no-
stri scrittori lo qualilicarono con diversi
aggettivi : ì;i7oso, assurro, rosso, verde ec.
Era una stoffa pesante di qualità fina; ma
non si può determinare più esattamente.
— 4. aurata lista; la balza.
— 6. F. (inantunqne. Vedi, per questa in-
versione, e. XVI, n. 4,
— 7-8. mostrava... di e. ragion.; mostrava
di ragionar di cosa ecc. Abbiamo 1' omis-
sione notata al e. ii, 72, 3.
39. 2. fu con lor: C. XXII.
40. 4. Vestir su l'ar. ; portare sull'arme
una soprav>esta. — molto and. orn.; avere
cioè sulla sopravvesla fregi e ricami. Nella
st. 78 si dice di Bradamante « che sopra-
vesta avea ricca et ornata, A tronchi di
cipressi ricamata ».
41. 1. S' ebb. in urta. Qualcuno la dice
espressione Lombarda o Ferrarese; ma, in
ogni caso, dev' essere entrata nella lingua
molto presto, perché fu usata da altri an-
tichi, per es. dal Serdonati nei Proverbi,
ed è poi diventata comune. — Questa stanza,
che manca nella prima edizione, fu ag-
giunta nell'edizione del 1521.
— 2. Per Truffaldin. È un personaggio
deir/nua?>ì. Ivi I, xxvi, si dice che Truf-
faldino, re di Baldocco, era nella rocca di
Albracca, alla difesa d'Angelica, con Aqui-
AUIOSTO — PAriNM
Ma quivi insieme con fraterno affetto
S'accarezzar, tutte obliando l'ire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto,
Ch'era tardato un poco più a venire,
E lo raccolse col debito onore,
A pieno instrutto del suo gran valore.
42
Tosto che la donzella più vicino
Vide Rinaldo, e conosciuto l'ebbe
(Ch'uvea notizia d'ogni paladino).
Gli disse una novella che gì' increbbe ;
E cominciò: Signore, il tuo cugino
A cui la Chiesa e l'alto Imperio debbe,
(Juel già si saggio et onorato Orlando,
È fatto stolto e va pel mondo errando.
43
Onde causato cosi strano e rio
Accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada e l'altr'arine ho vedute io.
Che per li campi avea gittate e sparte;
E vidi un cavallier cortese e pio
Che le andò raccogliendo da ogni parte;
E ])oi di tutte quelle un arbuscello
Fé', a guisa di trofeo, pomposo e bello.
44
Ma la spada ne fu tosto levata
Dal fìgliuol d'Agricane il di medesmo.
Tu puoi considerar quanto sia stata
Gran perdita alla gente del battesmo
L'essere un'altra volta ritornata
Durindana in poter del Paganesmo.
Né Brigliadoro men, ch'errava sciolto
Intorno all'arme, fu dal Pagan tolto.
45
Son pochi di ch'Orlando córrer vidi
Senza vergogna e senza senno, ignudo.
Con urli spaventevoli e con gridi:
Ch'è fatto pazzo in somma ti conchiudo;
E non avrei, fuor ch'a questi occhi fidi.
Creduto mai si acerbo caso e crudo.
laute, Grifone e altri, quando questa ròcca
fu assalita da Mariìsa e da Rinaldo. Questi,
preso Truffaldino, lo legò alla coda del ca-
vallo a dispetto di quelli che stavano alla
difesa con lui, specialmente di Aquilante e
Grifone. A questo luogo si riferisce l'A.
— 6. era tardato. Tardare si coniuga,
anche nell' uso moderno, con 1' ausiliare
essere ed avere ugualmente.
— 7. raccolse, accolse. V. e. vii, 9, n. 3.
42. 3. notizia; conoscenza; come nel e.
VI, 9, 1.
— 6. debbe; deve, è debitore. Caro, Lett.
2, 325 : « Sono astretto a satisfare a quelli,
a chi debbo io (sono debitore) ».
44. 4. gente del b. ; i Cristiani. È espres-
sione assai singolare: nel e. xxx, 40: gente
di battesmo.
— 5. un'altra v. Prima era d'Almonte:
(e. XIV, 43).
27
418
ORLANDO FURIOSO
Poi narrò che lo vide giii dal ponte
Abbracciato cader con Rodomonte.
46
A qualunque io non creda esser nimico
D'Orlando (soggiungea), di ciò favello;
Acciò ch'alcun di tanti, a ch'io lo dico,
Mosso a pietà del caso strano e fello,
Cerchi o a Parigi o in altro luogo amico
Ridurlo, fin che si purghi il cervello.
Ben so, se Brandimarte n'avrà nuova,
Sarà per farne ogni possibil prova.
47
Era costei la bella Fiordiligi,
Più cara a Brandimarte, che sé stesso;
La qual, per lui trovar, venia a Parigi:
E de la spada ella soggiunse appresso,
Che discordia e contesa e gran litigi
Tra il Sericano e '1 Tartaro avea messo;
E ch'avuta l'avea, poi che fu casso
Di vita Mandricardo, al fin Gradasso.
48
Di cosi strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole;
Né il core intenerir men se ne sente.
Che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:
E con disposta et immutabil mente,
Ovunque Orlando sia, cercar lo vuole,
Con speme, poi che ritrovato l'abbia,
Di farlo risanar di quella rabbia.
49
Ma già lo stuolo avendo fatto unire,
Sia volontà del cielo o sia avventura,
Vuol fare i Saracin prima fuggire,
E liberar le Parigine mura.
Ma consiglia l'assalto difl"erire
(Che vi par gran vantaggio) a notte scura,
Ne la terza vigilia o ne la quarta,
45. 7, giii dal ponte. V. e. xxix, 44.
46. 6. si purghi il e. ; si chiarisca. È e-
spressione tolta dalle acque, che, torbide,
si purgano e diventano limpide.
47. 7-S. casso di vita (lat. cassus, vuoto);
privo di V. Dante, Inf. 30, 15, 1' usa asso-
lutamente senza complemento, nello stesso
senso: «Si che insieme col regno il re fu
casso ».
48. 5. e. disposta ecc. con risoluta e imm.
mente, con animo risoluto e imm.^on si cita
quest' uso assoluto con questo significato.
49. 5. consiglia, si consiglia, delibera. É
un esempio notevole, perché è molto più
chiaro e spiccato di quello che la N. Cr. cita
nel par. U. Generalm. in questo senso si usa
la forma riflessiva.
— 6. vi; in questa cosa, in questo ri-
tardo appare un gran vantaggio.
— 7. Ne lat. vigilia. I ialini dividevano
le 12 ore della notte in quattro vigilie. Vi-
gilia poi era lo spazio di tre ore, quanto
durava il soldato in sentinella. Questo modo
Ch'avrìi l'acqua di Lete il Sonno sparta.
50
Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
E quivi la posò per tutto '1 giorno:
Ma poi che '1 sol, lasciandoli mondo fosco.
Alla nutrice antiqua fé' ritorno.
Et orsi e capre e serpi senza tosco
E l'altre fere ebbene il cielo adorno,
Che state erano ascose al maggior lampo,
Mosse Rinaldo il taciturno campo:
51 „
E venne con Grifon, con Aquilante,
Con Vivian, con Alardo e con Guidone,
Con Sansonetto, agli altri un miglio inan-
A cheti passi e senza alcun sermone, [te,
Trovò dormir l'ascolta d'Agramante:
Tutta l'uccise, e non ne fé' un prigione.
Indi arrivò tra l'altra gente Mora,
Che non fu visto né sentito ancora.
d' indicare le ore della notte fu usato poi
anche da' nostri, specialmente nel linguag-
gio militare. Ma qui l'A. deve averlo usato
a indicare semplicemente le ore singole
della notte, e non lo spazio di tre ore; in-
fatti la terza e quarta vigilia, secondo i
Latini, cadrebbero da mezzanotte alle tre
e dalle tre alle sei : invece nella stanza se-
guente si dice che Rinaldo mosse contro i
nemici al principiare della notte: e nella
stanza 80 si dice che Agramante era nel
primo sonno. Dunque Rinaldo voleva as-
salire nella terza o quarta ora di notte.
É questo un uso molto notevole, che la Cru-
sca terrà certo presente.
— 8. che; quando.
50. 2. la posò; la riposò; la fece ripo-
sare. In questo senso si cita il solo esempio
dell'Ar.
— 4. AUh nntr. ant. Vedasi la nota 2 del
e. xvii, 129, e 4 del e. xxxii, 4.
— 5. orsi ecc.; Le costellazioni dell'Orsa,
del Capricorno, del Serpente ecc.
— 6. ebbene, ebbero. Forma popolare
ancor viva nel volgo Toscano.
— 7. m. lampo; maggior lume; il sole.
Dante e il Petrarca usarono la forma lampa.
51. 5. Trovò dorm. l'a. ; trovò 1' ascolta di
Agramante dormire. O deve sottintendersi
la prep. a: {trovò a dorm.ire); o, meglio:
trovò che l'as. d'Agr. dormiva : con co-
strutto derivato dal lat. invenio (trovare),
che si usa, oltre che col participio {invenit...
dormientem) anìche talvolta coli' infinito.
— ascolta; Più comunemente scolta (da a-
scottare).
— 8. Che, in modo che — né s. ancora.
Intenderei Vancora come V anco notato al
e. XVI, 36, 8; non fu visto e neppure sen-
tito.
CANTO XXXI
419
52
Del campo d' Infedeli a prima giunta
La ritrovata guardia all'improviso
Lasciò Einaldo si rotta e consunta,
Ch'un sol non ne restò, se non ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
I Saracin non l'avean più da riso;
Che sonnolenti, timidi et inerrai
Poteano a tai guerrier far pochi schermi.
53
Fece Rinaldo per maggior spavento
Dei Saracin, al mover de l'assalto,
A trombe e a corni dar subito vento,
E, gridando, il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
Che dentro all'alte sbarre entrò d'un salto,
E versò cavallier, pestò pedoni,
Et atterrò trabacche e padiglioni.
54
Non fu si ardito tra il popol Pagano,
A cui non s'arricciassero le chiome.
Quando senti Rinaldo e Montalbano
Sonar per l'aria, il formidato nome.
Fugge col campo d'Africa l'Ispano,
Né perde tempo a caricar le some;
Ch'aspettar quella furia più non vuole,
Ch'aver provata anco si piagne e duole.
55
Guidon lo segue, e non fa raen di lui;
Né men fanno i duo figli d'Oliviero,
Alardo e Ricciardetto e gli altri dui:
Col brando Sansonetto apre il sentiero:
Aldigiero e Vivian provar altrui
Fan quanto in arme l'uno e l'altro è fiero.
Cosi fa ognun che segue lo stendardo
Di Chiaramonte, da guerrier gagliardo.
56
Settecento con lui tenea Rinaldo
In Montalbano e intorno a quelle ville,
52. 1. d'Infedeli, degli iufed. V. e. il, 15,
n. 8. Costruisci : A prima giunta (appena
arrivato), R. lasciò si rotta e e. la guardia
del campo degli infed., ritrovata (colta) al-
l' improvviso, che ecc.
— 5. la pr. punta; l'avanguardia.
53. 3. dar vento; Più comunemente dar
flato.
— 4. alzare in alto; gridare a gran voce.
— 6. sbarre; i ripari del campo.
— 7. versò; rovesciò: cfr. st. 9, 5.
— 8. trabacche; V. e. vii, 35, n. 4.
54. 4. formidato. temuto (lat. formidatus).
Il Monti lo dice vocabolo magnifico nobi-
lissimo: il formidato nome è apposizione
di Rinaldo e Montalbano.
— 8. av. proT... si piagne; si lamenta an-
che di averla solo provata. Dante Purg. 19,
59: « Che sola sovra noi ornai si piagne >.
56. 1. Settecento. Questo, nei romanzi ita-
liani, è il numero di rigore per la schiera
Usati a portar l'arme al freddo e al caldo.
Non già più rei de i Mirmidon d'Achille.'
Ciascun d'essi al bisogno era si saldo.
Che cento insieme non fuggian per mille;
E se ne potean molti sceglier fuori.
Che d'alcun dei famosi eran migliori.
57
E se Rinaldo ben non era molto
Ricco né di città né di tesoro,
Facea si con parole e con buon volto,
E ciò ch'avea, partendo ognor con loro,
Ch'un di quel numer mai non gli fu tolto
Per offerire altrui più somma d'oro.
Questi da Montalban mai non rimove.
Se non lo stringe un gran bisogno altrove.
58
Et or, perch'abbia il Magno Carlo aiuto.
Lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra gli African questo diappel venuto,
(Questo drappel del cui valor favello,
Ne fece quel che del gregge lanuto
Sul Falanteo Galeso il lupo fello,
O quel che soglia del barbato, appresso
Il barbaro Cinifio, il leon spesso.
di Rinaldo come per quella di Orlando
20,600. — con lui; con sé. V. e. iv, 6, n. 3.
— 4. pili rei, peggiori, meno valorosi.
Reo si usò non di rado per di cattiva 'jua-
lità; cosi il Sacchetti disse rei pollastri e
l'Alberti reo coltello. In tal senso l'usa
qui l'A. — Mirmidoni {gc. ^fl/rmidon, branco
di formiche) erano i soldati di Achille, di-
scesi, secondo il mito, dalle formiche.
— 7. E se ne p. ecc. E si potevano sce-
gliere, dà quella schiera, molti, che erano
più prodi di qualche famoso cavaliere.
57. 1. se... ben; sebbene. Figura di tmesi
già notata al e. xv, 82 e altrove.
— 6. Per offerire a. ; sebbene altri offe-
risse. V. e. XV, 69, n. 6. — altrui; General-
mente si usa solo nei complementi; ma gli
antichi l'usarono non di rado anche nel
soggetto: Pulci, Morg. 22, 23: «E che più
altro se ne porta altrui ?» E anche in prosa;
Bocc. Fiamm., 7, 8: « .wvegna che altrui
tenga che ella ecc. ».
— 7. Questi ; Si riferisce ai soldati di
Rinaldo.
58. 6. Falanteo Gal. Tutto il luogo è ispi-
rato da Orazio, Od. ii, 6: «Dulce pellitis
ovibus Galaesi Flumen et reguata petam
Laconi Rura Phalanto ». 11 Galeso è un tìu-
micello presso Taranto, città fondata da
una colonia Spartana condotta da Falanto.
Era luogo famoso per belle pecore.
— 7. barbato. È epiteto, che davano alle
capre i Latini, Catullo ha barbatus hir-
culus; Virgilio, Geor. 3, 311: « (Pastores)
barbas... Cinyphii tondent birci ». 11 Cinifio
è, secondo Tolomeo, un fiume dell'Affrica,
420
ORLANDO FURIOSO
59
Carlo, ch'avviso da Rinaldo avuto
Avea che presso era a Parigi giunto,
E che la notte il campo sproveduto
Volea assalir, stato era in arme e in punto:
E, quando bisogni), venne in aiuto
Coi Paladini; e ai Paladini afrgiuiito
Avea il figliuol del ricco Moiiodante,
Di Fiordiligi il lido e saggio amante:
60
Ch'ella più giorni per si lunga via
Cercato avea per tutta Francia in vano.
Quivi all' insegne che portar solia^
Fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria,
Lasciò la guerra, e tornò tutto umano,
E corse ad abbracciarla; e d'amor pieuo,
Mille volte baciolla o poco meno.
61
De le lor donne e de le lor donzelle
Si tìdar molto a quella antica etade.
Senz'altra scorta andar lasciano quelle
Per piani e monti e per strane contrade;
Et al ritorno Than per buone e belle,
Nt- mai tra lor suspizione accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante.
Che fatto stolto era il Signor d'Anglante.
62
Brandimarte si strana e ria novella
Credere ad altri a pena avria potuto;
Ma lo credette a Fiordiligi bella,
A cui già maggior cose avea creduto.
Non pur d'averlo udito gli dice ella.
Ma che con gli occhi proprii l' ha veduto ;
C ha conoscenza e pratica d'Orlando,
Quanto alcun altro; e dice dove e quando:
63
E gli narra del ponte periglioso,
Che Rodomonte ai cavallier difende.
Ove un sepolcro adorna e fa pomposo
Di sopraveste e d'arme di chi prende.
Narra e' ha visto Orlando fur'ioso
Far cose quivi orribili e stupende;
non ancora riconosciuto, famoso per belle
capre.
59. G. Coi paladini. Nel canto xxvii, 32, ha
detto che, eccetto Uggieri e Oliviero, « i pa-
ladini fur presi tutti quanti ». Qui dunque
abbiamo una dimenticanza dell' A.
— 7. il flgl. d. r. Mon.; Brandimarte,
marito amantissimo della sua Fiordiligi.
V. e. vili, 88, n. 7.
60. 5. Come... pria: come prima, appena
che. È il lat. ut jn-imum. Boccaccio, Nov.
15: «Come prima addormentato ti fossi,
saresti stato ammazzato ».
63. 2. difende; impedisce; vieta. V. e. xiv,
7, n. 3; e ii, 34, n. 6; e xxvii, 77, n. 8.
— C. stupende; generalmente vale: che
inducono stupore per bellezza o bontà;
Che nel fiume il Pagan mandò riverso
Con gran periglio di restar summerso.
64 [to
Brandimarte, che '1 Conte amava, quan-
Si può compagno amar, fratello o tiglio,
Disposto di cercarlo e di far tanto,
Non ricusando affanno né periglio,
Che per opra di medico o d'incanto
Si ponga a quel furor qualche consiglio.
Cosi come trovossi armato in sella.
Si mise in via con la sua donna bella.
65
Verso la parte ove la Donna il Conte
Avea veduto, il lor camin drizzaro,
Di giornata in giornata, fin ch'ai ponte
Che guarda il Re d'Algier, si ritrovare.
La guardia ne fé' segno a Rodomonte,
E gli scudieri a un tempo gli arrecare [to
L'arme e il cavallo; e quel si trovò in pun-
Quando fu Brandimarte al passo giunto.
66
Con voce qual conviene al suo furore,
Il Saracino a Brandimarte grida:
Qualunque tu ti sia, che, per errore
Di via 0 di mente, qui tua sorte guida,
Scendi e spogliati l'arme, e fanne onore
Al gran sepolcro, inanzi ch'io t'uccida,
E che vittima all'ombre tu sia offerto;
Ch'io '1 farò poi, né te n'avrò alcun merlo.
67
Non volse Brandimarte a quell'altiero
Altra risposta dar, che de la lancia.
Sprona Batoldo, il suo gentil destriero,
E inverso quel con tanto ardir si lancia,
Che mostra che può star d'animo fiero •
Con qual si voglia al mondo alla bilancia:
E Rodomonte, con la lancia in resta,
ma qui sou cose, che inducono \xì\ pauroso
stupore. È significato notevole, che manca
nei vocabolari.
64. 6. consiglio, rimedio. Villani, 2, 24 :
« Mettano consiglio e riparo a simili casi ».
66. 8. Ch' io ecc.; che se non lo fai tu
spontaneamente, lo farò poi io atterran-
doti ; e non te ne avrò nessuna gratitudine.
Suir espressione aver merlo cfr. e. v, 14,
n. 5.
67. 2. de la 1.; con la lancia. Di per con
è frequente nella nostra letteratura, V. e.
XXV, 5, n. 5.
— 3. Batoldo. Era il cavallo di Barigac-
cio, che Brandimarte uccise. Innamor.
II, XXI, 24, 47, 48.
— 5. d' animo f. ; per animo fiero, quanto
a fierezza d' animo. K complemento di li-
mitazione. V. e. VII, 10, n. 6.
— 6. stare... alla bilancia; stare... alla
pari. L' immagine della bilancia fu usata
spesso e in vari costrutti dall' Ar. xi.i, 69;
xxni, 77; XXVI, 77.
CANTO XXXI
421
Lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
68
Il suo destrier ch'avea continuo uso
D'andarvi sopra, e far di quel sovente
Quando uno e quando un altro cader giuso,
Alla giostra correa sicuramente.
L'altro, del corso insolito confuso,
Venia dubbioso, timido e tremeute.
Trema anco il ponte,eparcaderneronda.
Oltre che stretto e che sia senza sponda.
69
I cavallier, di giostra ambi maestri,
Che le lance avean grosse come travi,
Tali qual tur nei lor ceppi silvestri,
Si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
Non giovò molto agli aspri colpi e gravi;
Che si versar di pari ambi sul ponte,
E seco i signor lor tutti in un monte.
70
Nel volersi levar con quella fretta
Che lo spronar de' fianchi insta e richiede,
L'asse del ponticel lor fu si stretta,
Che non trovaro ove fermare il piede;
Si che una sorte uguale arabi li getta
Ne l'acqua; e gran rimbombo al ciel ne
[riede.
Simile a quel ch'usci del nostro fiume.
Quando ci cadde il mal rettor del lume.
71
I duo cavalli andar con tutto '1 pondo
Dei cavallier, che steron fermi in sella,
A cercar la riviera insin al fondo.
Se v'era ascosa alcuna Ninfa bella.
Non è già il primo salto né '1 secondo.
Che giù del ponte abbia il Pagano in quel-
Onda spiccato col destriero audace; [la
Però sa ben come quel fondo giace.
68. 6. tremente, tremante; latinismo non
frequente.
— 8. Oltre che... sia. Per il congiunt. cfr.
e. v[, 79, u. 1.
69. 3. Tali ecc. ; cioè senza essere state
punto assottigliate.
— 7. si versar, si rovesciarono. V. st.
&, n. 5.
70. 2. insta; sollecita. È un uso transitivo,
che l'A. tolse dai Latiui. Plauto Pcen. 4,
2: «tantum eum instat exitii ».
— 6. ne riede. Dice riede, torna, rife-
rendosi a quel primo rumore, che sali al
cielo nella caduta di Fetonte. Fors' anche:
essi cadono giù e, invece di loro, torna su
e sale lino al cielo un gran rimbombo.
— S. mal rett. ; cattivo reggitore del
sole. Fetonte cadde nel Po : cfr. e. in, 34.
3. — Nell'uso popolare si tronca spesso
l'aggettivo malo : inai punto, mal marito,
'mal vezzo, inai senso ecc.
71. 8. giace, si trova, sta. La Crusca cita
72
Sa dove è saldo, e sa dove è più molle;
Sa dove è l'acqua bassa, e dove è l'alta:
Dal fiume il capo e il petto e i fianchi
T7. D 1- [estolle,
t, Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandiraarte il corrente in giro folle:
Nela sabbiai! destrier, che '1 fondo smalta,
Tutto si ficca, e non può riaversi,
Con risco di restarvi ambi sommersi.
73
L'onda si leva e li fa andar sozzopra,
E dove è più profonda li trasporta.
Va Brandimarte sotto, e '1 destrier sopra.
Fiordiligi dal ponte atìlitta e smorta
E le lacrime e i voti e i prieghi adopra:
Ah Rodomonte, per colei che morta
Tu riverisci, non esser si fiero,
Ch'affogar lasci un tanto cavalliero !
74
Deh, cortese Signor, s'unqua tu amasti,
Di me, ch'amo costui, pietà ti vegna.
Di farlo tuo prigion, per Dio, ti basti;
Che s'orni il sasso tuo di quella insegna.
Di quante spoglie mai tu gli arrecasti.
Questa fia la più bella e la più degna.
E seppe si ben dir, ch'ancor che fosse
Si crudo il Re pagan, pur lo commosse:
75
E fé' che '1 suo amator ratto soccorse.
Che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
E de la vita era venuto in forse,
E senza sete avea bevuto molto.
Ma aiuto non però prima gli porse,
Che gli ebbe il brando, e di poi l'elmo tolto.
De l'acqua mezzo morto il trasse, e porre
Con molti altri lo fé' ne la sua torre.
questo luogo, come un uso singolare; ma
è analogo a quel di Dante, Inf. II, 114: « K
il Carro tutto sovra il Coro giace » e il carro
di Boote si troi-a tutto dalla parte di Nord-
ovest, donde spira il vento, detto Coro.
72. 5. il corrente, la corrente. K soggetto.
Parlando di acque l'usarono gli antichi
ben raramente al maschile.
— (5. smalta, copre. In un senso aflìne
l'usò il Petrarca, Gap. yel cor pien d'ama-
rissima dolcezza: « Dico Appio Claudio e
Catulo, che smalta II pelago di sangue ». Av-
verti che il relativo che si riferisce a sabbia,
non a cavallo, come stranamente crede K
Tommaseo, che male dichiara: il destriero,
che rompe il fondo. (V. Smaltare).
74. 4. che s'orni ecc. ; che se orni; poiché
se tu orni ecc.
75. 5. non prima,... che ebbe. Prima, pre-
ceduto da negazione e seguito da che, si
costruisce egualmente con l'indie, e col
congiuntivo.
422
ORLANDO FURIOSO
76
Fu ne la Donna ogni allegrezza spenta,
Quando prigion vide il suo amante gire;
Ma di questo pur meglio si contenta,
Che di vederlo nel fiume perire.
Di sé stessa, e non d'altri, si lamenta.
Che fu cagion di farlo ivi venire.
Per averli narrato ch'avea il Conte
Riconosciuto al periglioso ponte.
77
Quindi si parte, avendo già concetto
Di menarvi Rinaldo paladino,
O il Selvaggio Guidone, o iiansonetto,
0 altri de la corte di Pipino,
In acqua o in terra cavallier perfetto
Da poter contrastar col Saracino ;
Se non più forte, almen più fortunato
Che Brandimarte suo non era stato.
•78
Va molti giorni, prima che s'abbatta
In alcun cavallier ch'abbia sembiante
D'esser come lo vuol, perché combatta
Col Saracino e liberi il suo amante.
Dopo molto cercar di persona atta
Al suo bisogno, un le vien pur avante.
Che sopravesta avea ricca et ornata,
A tronchi di cipressi ricamata.
79
Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi,
Che prima ritornar voglio a Parigi,
E de la gran sconfitta seguitarvi,
Ch' a' Mori die Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggirò, io non saprei contarvi,
Né quei che tur cacciati ai fiumi Stigi.
76. 3. meglio, più. In questo senso mei/Ho
è molto familiai-e agli antichi e assai fre-
quente anche oggi.
77. 1. avendo... concetto; avendo stabilito.
G. Villani, 7, 120, 4: « Ei-a couceputo per
l'arcivescovo di Pisa... di cacciare il giu-
dice Nino ». Quesl' avventura è calcala so-
pra una simile dell' Innam. I, xi. Ivi Bran-
dimarte è rimasto in poter di Dragontina:
Fiordiligi corre in cerca di chi lo aiuti e,
trovato Rinaldo, ve lo conduce.
4. di Pipino, di Carlomagno figlio di Pi-
pino. Cosi nel e. xxxvii, 17, dice Maia in-
vece di suo figlio Mercurio; e Dante, Par.
fi, 144, ha Maia e Dione per indicare Mer-
curio e Venere, che sono di esse respetti-
vamente figliuoli.
5. In acqua e in t. ecc. Espressione
simile vedila nel e. xiii. Vi, 6: «gente va-
lorosa all'acqua e all' armi ».
79. 1. ho da narr. ; vi narrerò. V. e. xv,
35, u. 2.
— 3, segnitarvl ; continuarvi a dire. V.
e. n, 76, n. 8.
— 'j. Malagigi. Ciò è chiarito dalla stan-
za b6.
Levò a Turpino il conto l'aria oscura.
Che di contarli s'avea preso cura.
80
Nel primo sonno dentro al padiglione
Dormia Agramante; e un cavallier lo de-
Dicendogli che fia fatto prigione, [sta,
Se la fuga non è via più che presta.
Guarda il Re intorno, e la confusione
Vede dei suoi che van senza far testa
Chi qua chi là fuggendo inermi e nudi,
Che non han tempo di pur tor gli scudi.
81
Tutto confuso e privo di consiglio
Si facea porre indosso la corazza.
Quando con Falsiron vi giunse il figlio
Grandonio, e Balugante, e quella razza;
E al Re Agramante mostrano il periglio
Di restar morto o preso in quella piazza,
E che può dir, se salva la persona,
Che Fortuna gli sia propizia e buona.
82
Cosi Marsilio e cosi il buon Sobriuo,
E cosi dicon gli altri ad una voce,
Ch' a sua distruzYon tanto è vicino.
Quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce;
Che s'aspetta che giunga il Paladino
Con tanta gente, e un uom tanto feroce,
Render certo si può ch'egli e i suo' amici
Rimarran morti, o in man de gli nimici.
83
Ma ridur si può in Arli o sia in Narbona
— 7. Levò... il conto; impedi il conto.
Levare il conto significa generalm. fare
il conto. È strano che il Tommaseo citi
questo esempio per questo significato; e
che la N. Crusca, scartando l'esempio, non
abbia avuto cura di rilevare a parte l'altro
uso sinsolarissimo, che non registra. Quan-
to a Turpino cfr. e. xni, 50. K chiaro lo
scherzo.
80. 4. via più ch. p. È modo superlativo
e vaie molto più che presta, prestissima.
Boccaccio, Aov. 29: « La gentildonna vie
più che contenta, quelle grazie ecc.».
81. 4. q. razza. Non è chiaro: intendono:
e altri di quella razza, cioè altri pagani;
ma r aggiunta di altri è arbitraria. Inten-
do: e i parenti, la razza, di questi no-
minati ; cioè Marsilio, che era fratello di
Falsiroue e di Balugante, Follicene bastardo
del re ecc.
— 6. piazza, luogo. K un francesismo
antico nella nostra letteratura. Petrarca,
Tr. F. 2: «E 'n poca piazza fé' mirabil
cose ».
82. 6. e un uom ecc. È io stesso Rinaldo:
più chiaramente : con tanta gente e con
tanta ferocia..
83. 1. Ma ridur ecc. Questo far testa dopo
una sconfitta è una novità, che fa onore ai
CANTO XXXI
423
Con quella poca gente e' ha d'intorno;
Che runa e l'altra terra è forte e buona
Da mantener la guerra pili d'un giorno:
E quando salva sia la sua persona,
Si potrà vendicar di questo scorno,
Kifacendo l'esercito in un tratto,
Onde al fin Carlo ne sarà disfatto.
84
Il Re Agramante al parer lor s'attenne,
Ben che 'J partito fosse acerbo e duro.
Andò verso Arli, e parve aver le penne,
Per quel camin che più trovò sicuro.
Oltre alle guide, in gran favor gli venne,
Che la partita fu per l'àer scuro.
Ventimila tra d'Africa e di Spagna
Fur, eh' a Rinaldo uscir fuor de la ragna.
85
Quei ch'egli uccise, e quei che i suoifra-
[telli,
Quei che i duo figli del Signor di Vienna,
Quei che provaro empi nimici e felli
I settecento a cui Rinaldo accenna,
E quei che spense Sansonetto, e quelli
Che ne la fuga s'affogaro in Senna,
Chi potesse contar, conteria ancora
Ciò che sparge d'Aprii Favonio e Flora.
86
Istima alcun che Malagigi parte
Ne la vittoria avesse de la notte;
Non che di sangue le campagne sparte
Fosser per lui, né per lui teste rotte;
Ma che gì' infernali angeli per arte
Facesse uscir da le tartaree grotto, .
sentimenti militari dell'A. I romanzieri po-
polari conducevan le guerre con ingenuità
faiiciullescH. É poi scelto a proposito Arli,
che la tradizione indicava luogo di sangui-
nose lotte fra Cristiani e Saraceni; alle
quali rannodava i numerosi sepolcri, che
facevano tutto il loco varo; (Dante, laf.,
9, 15). V. e. XXXIX, 72.
— 8. Onde ... ne; d.il quale esercito . . .
sarà disfatto. Come si vede il ne è pleo-
nastico.
8-J. 5. in g. favor g. v. ; gli riuscì a grande
utile che la partenza (la partita) fu in ore
notturne.
— 6. Che la partita ecc. È proposizione
soggettiva.
85. 2. Signor di V.; Oliviero; i cui figli
sono Aquilante e Grifone.
— i. accenna; comanda. Bellissima ini-
magiue per indicare che un suo cenno è
un comando. Cosi pure nel cap. I: «Chi
negasse seguir quel ch'egli accenna».
— 8. Ciò che sp. ecc. ; i Mori, che Zeffiro
(Favonio) e Flora spargono.
86. 1. Istima ecc. Cosi neW Innam. II,
XXII, Malagigi aveva tratto in campo schie-
re infernali.
E con tante bandiere e tante lance,
Ch'insieme più non ne porrian due France:
87
E che facesse udir tanti metalli,
Tanti tamburi e tanti varii suoni,
Tanti anitriri in voce di cavalli,
Tanti gridi e tumulti di pedoni.
Che risonare e piani e monti e valli
Dovean de le longinque regioni;
Et ai Mori con questo un timor diede.
Che li fece voltare in fuga il piede.
88
Non si scordò il Re d'Africa Ruggiero,
Ch'era ferito e stava ancora grave.
Quanto potè più acconcio s'un destriero
Lo fece por, ch'area l'andar soave;
E poi che l'ebbe tratto ove il sentiero
Fu più sicuro, il fé' posare in nave,
E verso Arli portar commodamente,
Dove s'avea a raccòr tutta la gente.
89
Quei ch'aRinaldo e a Carlo dier le spal-
fFur, credo, centomila o poco manco), [le
Per campagne, per boschi e monte e valle
Cercaro uscir di man del popol Franco;
Ma la più parte trovò chiuso il calle,
E fece rosso ov'era verde e bianco.
Cosi non fece il Re di Sericana,
Ch'avea da lor la tenda più lontana.
90
Anzi, come egli sente che '1 Signore
Di Montalbano è questo che gli assalta.
87. 1. metalli; trombe. Cosi il T.\sso,
Ger. 9, 21 : « Dan liato allora ai barbari
metalli»; e cosi i Latini usavano aes.
— o. anitriri. È l' infinito anitrire (più
comunemente annitrire o nitrire) usato
sostantivamente Davanz.vti, Gcrman., 'iV.>:
« IO osservano gli anitriri e gli sbuffari ».
— 6. longinque, lontane Latinismo non
frequente.
— 8. li fece.;. V. il p. Non intendere li
per a loro come porterebbe il costrutto più
comune ; ma come soggetto dell'in, voltare:
(fece che essi voltassero in f. il piede) e
questo è costrutto popolare ancora in uso.
88. 3. acconcio, comodo, agiato. BUONAR-
ROTI, Fier. 51, 2: «ma questa gloria Basta
al vivere acconcio? »
— 4. soave, pari, senza scosse. V. e. xix,
81, n. 1.
89. 5. la più parte di quei centomila, che
fuggirono, trovarono i Cristiani, e perirono
quasi tutti: solamente ventimila riuscirono
a salvarsi in Arli.
— 7. il re di S.; Gradasso.
90. 2. questo, questi. Cosi 1' usarono il
Boccaccio, il Petrarca e altri. Petk. 3'r.
Arn. 3: « Vedi il padre di questo e vedi
l'avo ».
424
ORLANDO FURIOSO
Gioisce di tal giubilo nel core,
Che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
Che quella notte gli occorra tant'alta
E si rara avventura d'acquistare
Baiardo, quel destrier che non ha pare.
91
Avea quel Re gran tempo desiato
(Credo ch'altrove voi l'abbiate letto)
D'aver la buona Durindana a lato,
E cavalcar quel corridor perfetto.
E già con più di centomila armato
Era venuto in Francia a questo effetto;
E con Rinaldo già sfidato s'era
Per quel-cavallo alla battaglia fiera:
92
E sul lito del mar s'era condutto
Ove dovea la pugna diffinlre;
Ma Malagigi a turbar venne il tutto,
Che fé' il cugin, mal grado suo, partire,
Avendol sopra un legno in mar ridutto.
Lungo saria tutta l' istoria dire.
Da indi in qua stimò timido e vile
Sempre Gradasso il Paladin gentile.
93
Or che Gradasso esser Rinaldo intende
Costui ch'assale il campo, se n'allegra.
Si veste l'arme, e la sua Altana prende,
E cercando lo va per l'aria negra:
E quanti ne riscontra, a terra stende;
Et in confuso lascia afflitta et egra
La gente o sia di Libia o sia di Francia:
Tutti li mena a un par la buona lancia.
94
Lo va di qua di là tanto cercando,
Chiamando spesso, e quanto può più forte,
E sempre a quella parte declinando,
Ove più folte son le genti morte,
— 6. s. occorra; gli si presenti.
91. 1. Avea ecc. ciò appare daWJnnam.
I, I, 4; V, 7 segg. donde VA. riassume i par-
ticolari della slida tra Rinaldo e Gradasso,
e dell'intervento di Malagigi, che, volendo
condurre Rinaldo ad Angelica innamorata
di lui, lo trasse con inganno sopra una nave
quando ancora Gradasso non era giunto
sul luogo stabilito al combattimento.
93. 3. Alfana; V. e. il, 50.
— 8. li mena,- li conduce a un pari ; a
uno stesso punto, cioè alla morte. Forse
anche li tratta, come Danti-; disse, //?/.
27: «menai lor arte» e il Villani, 7, 5S,
1 : •« menare un tradimento » per trattare
con altri di un tradimento da coìnpiere.
94. 3. declinando, piegando. Negli esempi,
che si citano, vi è sempre l'idea di deviare
dalla direzione principale; idea, che qui
manca assolutamente. Per ciò questo luogo
è molto notevole.
Ch'ai fin s'incontra in lui brando per bran-
Poi che le lancio loro ad una sorte [do
Eran salite in mille scheggio rotte
Sin al carro stellato de la Notte.
95
Quando Gradasso il Paladin gagliardo
Conosce, e non perché ne vegga insegna.
Ma per gii orrendi colpi e per Baiardo,
Che par che sol tutto quel campo tegna;
Non è, gridando, a improverargli tardo
La prova che di sé fece non degna:
Ch'ai dato campo il giorno non comparse,
Che tra lor la battaglia dovea farse.
96
Soggiunse poi: Tu forse avevi speme,
Se potevi nasconderti quel punto.
Che non mai più per raccozzarci insieme
Fossimo al mondo: or vedi eh' io t' ho
[giunto.
Sie certo, se tu andassi ne l'estreme
Fosse di Stige, o fossi in cielo assunto,
Ti seguirò, quando abbi il destrier teco,
Ne l'alta luce, e giù nel mondo cieco.
97
Se d'aver meco a far non ti dà il core,
E vedi già che non puoi starmi a paro,
E più stimi la vita che l'onore.
Senza periglio ci puoi far riparo,
Quando mi lasci in pace il corridore;
E viver puoi, se si t'è il viver caro:
Ma vivi a pie; che non merti cavallo,
S' alla cavalleria fai si gran fallo.
98
A quel parlar si ritrovò presente
Con Ricciardetto il cavallier Selvaggio;
— 5. brando p. br.; brando contro brando.
È espressione foggiata sull'altra del e. i,
61 : testa per testa. V. e. xxxvii, 49, 8.
— 0. ad nna sorte, ad uno stesso modo.
V. e. vili, 75, n. 4.
— 8. al carro s. d. N. Virgilio, En. 5,
721 : « Et Nox atra poluin bigis subvecta te-
I nebat ».
j 95. 5. improverargli, rimproverargli. V.
' e. I, 29, n. 7.
I — 7. al dato campo; al campo stabilito.
« Il loco sia nel lito appresso il mare » (Imi.
I, V, 12).
96. 2. quel punto; j^llora. È modo anche
più notevole dell'altro, a quel punto, no-
tato al e. xxvii, 87, 6.
I — 5. Sie, sii. V. e. Xlii, 52, n. 2.
j — 6. Fosse di St. Lo Stige veniva imma-
i ginato dagli antichi ora come un fiume, ora
] come una morta palude. Qui il plurale fosse
I sta per il sing. ; o anche accenna ai sette
i giri che, secondo alcuni, faceva.
! 9V. 8. fai s. g. fallo; fai si gran torto. In
questo senso si cita dai vocabolari il solo
I esempio dell'Ar.
CANTO XXXI
425
E le spade ambi trassero ugualmente,
Per far parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo s'oppose immantinente,
E non pati che se gli fesse oltraggio,
Dicendo : Senza voi dunque non sono
A chi m'oltraggia per risponder buono?
99
Poi se ne ritornò verso il Pagano,
E disse: Odi, Gradasso; io voglio farte,
Se tu m'ascolti, manifesto e piano
Ch'io venni alla marina a ritrovarle :
E poi ti sosterrò con l'arme in mano,
Che t'avrò detto il vero in ogni parte;
E sempre che tu dica, mentirai.
Ch'alia cavalleria mancass'io mai.
100
Ma ben ti priego che prima che sia
Pugna tra noi, che pianamente intenda
La giustissima e vera scusa mia.
Acciò ch'a torto pili non mi ripenda;
E poi Boiardo al termine di pria
Tra noi vorrò eh' a piedi si contenda
Da solo a solo in solitario lato,
Si come a punto fu da te ordinato.
101
Era cortese il Re di Sericana^
Come ogni cor magnanimo esser suole;
Et è contento udir la cosa piana,
E come il Paladin scusar si vuole.
Con lui ne viene in ripa alla fiumana,
98. 8. per risp. bnono; buono a rispondere.
Buono si costruisce con a da i^ev: la Cru-
sca, che avverte ciò, cita esempi delle pri-
me due costruV.ioni, e non della terza, che
è la più rara.
99. 6. Che t'avrò; che t'ho detto il vero,
affermando che venni alla marina a ritro-
varti. Questo futuro è forse prodotto dal-
l'attrazione dell'altro ti sosterrò, poiché,
trattandosi non di cosa dubbiosa, nel rjual
caso si metterebbe il futuro (vedrai che io
ti avrò detto il vero = spero che compren-
derai che io ti ho detto il vero) ma di cosa
certa, sarebbe regolare il passato.
— 7. E sempre ecc. Costruisci : e men-
tirai sempre che tu dica. Per l'inserzione
della proposizione principale nella dipen-
dente cfr. e. XI, 27, 5; xiii, 18, 6.
100. 1-2 che... che. Su questa ripetizione
del che cfr. e. v, 27, n. 7.
— 5. al termine ; ai termini, alle con-
dizioni. Il plurale è più comune. Le condi-
zioni sono neìV lìinam. I, v, 8-12: «Io
senz' alfana e tu senza Baiardo : Che la
virtude d' ogni cavaliero Si disuguaglia as-
sai per il destriero ». « Il loco sia nel lito
appresso al mare... E denno andar soletti
e senza scorta ».
101. 5. alla fiumana, alla Senna.
Ove Rinaldo in semplici parole
Alla sua vera istoria trasse il velo,
E chiamò in testimonio tutto '1 cielo:
102
E poi chiamar fece il figliuol di Buovo,
L'uom che di questo era informato a pie-
Ch'a parte a parte replicò di nuovo [no;
L'incanto suo, né disse più né meno.
Soggiunse poi Rinaldo: Ciò eh' io provo
Col testimonio, io vo' che l'arme sieno,
Che ora e in ogni tempo che ti piace,
Te n'abbiano a far prova più verace.
103
Il Re Gradasso, che lasciar non volle
Per la seconda la querela prima,
Le scuse di Rinaldo in pace tolle.
Ma se son vere o false in dubbio stima.
Non tolgon campo più sul lito molle
Di Barcellona, ove lo tolser prima;
Ma s'accordaro per l'altra matina
Trovarsi a una fontana indi vicina:
104
Ove Rinaldo seco abbia il cavallo
Che posto sia communemente in mezzo:
Se '1 Re uccide Rinaldo o il fa vassallo.
Se ne pigli il destrier senz'altro mezzo;
Ma se Gradasso è quel «he faccia fallo,
Che sia condotto all'ultimo ribrezzo,
O, per più non poter, che gli si renda,
Da lui Rinaldo Durindana prenda.
10."}
Con maraviglia molta e più dolore
(Come v' ho detto) avea Rinaldo udito
Da Fiordiligi bella, ch'era fuore
De r intelletto il suo cugino uscito.
102. 1. il flgliuol di B., Malagigi.
— 5-8. Ciò... te n'abbiano. Avverti l'ana-
coluto: regolarmente: di ciò ch'io provo
col testimonio voglio che siano l'arme che
ti abbiano a far prova p. v.
103. 2. Per la s. ecc. ; per questa seconda
questione della veracità di R., non volle
lasciar la prima del cavallo.
— 4. in dubbio stima; dubita. È modo
non citato dai vocabolari.
104. 2. communemente, in comune. Il Vil-
lani disse, 6, QH: «pagare comunemente >-
e il Guicciardini S. /., 2; « possedere comu-
nemente ».
— 4. senz'altro m. ; senz' altro intervallo
di tempo. La locuzione non è frequente, ma
ha altri esempi. Segni, St. 1, 290: «Nel
qual mezzo, eh' ei (lo stato) si rimuta (nel
qual tempo, che passa mentre lo stato si
rimuta) ».
— 6. Che, cosicché. — all'a. ribrezzo; al
freddo della morte. Dante, Inf. 17, 8, disse
« ribrezzo della quartana », il freddo della
febbre quartana.
426
ORLANDO FURIOSO
Avea de Tarme inteso anco il tenore,
E del litigio che n'era seguito; [do
E ch'in somma Gradasso avea quel bran-
Ch'omò di mille e mille palme Orlando.
106
Poi che furon d'accordo, ritornosse
Il Re Gradasso ai servitori sui;
Ben che dal Paladiu pregato fosse,
Che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno, il Re pagano armosse;
Cosi Rinaldo; e giunsero ambedui,
Ove dovea non lungi alla fontana
Combattersi Baiardo e Durindana.
107
De la battaglia che Rinaldo avere
Con Gradasso dovea da solo a solo,
Parean gli amici suoi tutti temere;
E inanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir, molta forza, alto sapere
Avea Gradasso; et or che del figliuolo
Del gran Milone avea la spada al fianco.
Di timor per Rinaldo era ognun bianco.
108
E pili degli altri il frate di Viviano
Stava di questa pugnaiu dubbio e in tema.
Et anco volentier vi porria mano
Per farla rimaner d'effetto scema:
Ma non vorria che quel da Montalbano
iSeco venisse a inimicizia estrema ;
Ch'anco avea di quell'altra seco sdegno.
Che gli turbò, quando il levò sul legno.
109
Ma stiano gli altri in dubbio, in tema,
[in doglia;
Rinaldo se ne va lieto e sicuro.
Sperando ch'ora il biasrao se gli teglia.
Ch'avere a torto gli parca pur duro;
Si che quei da Pontieri e d'Altafoglia
Faccia cheti restar, come mai furo.
Va con baldanza e sicurtà di core
Di riportarne il trionfale onore.
110 (to
Poi clieTun quinci, cl'altroquindigiun-
Fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
S'accarezzaro; e fero a punto a punto
Cosi serena et amichevol fronte.
Come di sangue e d'amistà congiunto
Fosse Gradasso a quel di Chiaramente.
ìMa come poi s'andassero a ferire,
Vi voglio a un'altra volta differire.
105. 5. de l'arme... il tenore; dell'a. la no-
tizia; le notizie riguardanti a Durindana.
Boccaccio, Ninfale 93: «Che mai non se
ne seppe alcun tenore ».
106. s. Combattersi; contrastarsi colle
armi. Cosi spesso.
108. 1. il frate di V.; Malagigi.
109. 1. pur duro; il quale biasimo, sebbeu
gli sembrasse d' averlo a torto, pur gli pa-
reva duro.
— 5. Pontieri e Alt. Due castelli dei Ma-
ganzesi, {Inn. I, ii, 51), i quali erano nemici
suoi e di tutta la casa di Chiaramonte;
perciò invidiosi e maledici.
— 6. come mai furo, come non furono
mai per altre dimostrazioni simili. Mai, in
senso ne;;ativo, non è raro né negli scrit-
tori né neir uso parlato.
110. 3. S'accarezzare ; Si fecero compli-
menti. È frequente negli scrittori. — a pnn-
to a punto... come ; preci safiente, proprio
come di sangue ecc. L' espressione raddop-
piata acquista maggior forza.
CANTO XXXII
Sovviemmi che cantare io vi dovea
(Già lo promisi, e poi m'usci di mente)
D'una sospizion che fatto avea
La bella donna di Ruggier dolente,
De l'altra più spiacevole e più rea,
E di più acuto e venenoso dente,
Che, per quel ch'ella udi da Ricciardetto,
A devorare il cor l'entrò nel petto.
1. 2. m'uaci di mente. Artifizio che i poeti
romanzeschi usano talvolta per riattaccare
una narrazione interrotta. V. Inn. Ili, v.
.18. La promessa è al e. xxxi, 7.
— 5. De l'altra; questo nuovo sospetto
era più spiacevole di quello, che la assali
per il racconto di Ricciardetto. V. e. xx.x,
87, 88.
Dovea cantarne, et altro incominciai.
Perché Rinaldo in mezzo sopravenne;
E poi Guidon mi die che fare assai.
Che tra camino a bada uu pezzo il tenne.
D'una cosa in un'altra in modo entrai,
Che mal di Bradamante mi sovvenne.
Sovvienmene ora, e vo' narrarne inanti
Che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
o
Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli.
Che d'Agramaute io vi ragioni un poco,
2. 4. tra camino, nel cammino, durante
il. e. Nel e. XVI, 15, 2, tra via; nel e. xvi,
tra campagna: Inn. Ili, in, 32: « tra cam-
mino ».
— 6. mal, non. V. e. i, 57, u. 1.
CANTO XXXII
427
Ch'avea ridntte le reliquie in Arli,
Che gli restar del gran notturno fuoco;
Quandoa raccòr lo sparso campo, e a darli
Soccorso e vettovaglie era atto il loco:
L'Africa incontra, e la Spagna ha vicina,
Et è in sul fiume assiso alla marina.
4
Per tutto '1 regno fa scriver Marsilio
Gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e per amore ogni navilio
Atto a battaglia s'arma in Barcellona.
Agraraante ogni di chiama a concilio;
Né a spesa né a fatica si perdona.
Intanto gravi esazioni e ispesse
Tutte hanno le città d'Africa oppresse.
.5
Egli ha fatto offerire a Rodomonte,
Perché ritorni (et impetrar noi puote),
Una cugina sua, figlia d'Almonte,
E '1 bel regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse l'altier muover dal ponte,
Ove tant'arme, e tante selle vote
Di quei che son già capitati al passo,
Ha ragunate, che ne cuopre il sasso.
G
Già non volse Martìsa imitar l'atto
Di Rodomonte: anzi com'ella intese
Ch'Agramante da Carlo era disfatto,
Sue genti morte, saccheggiate e prese,
-E che con pochi in Arli era ritratto.
Senza aspettare invito, il camin prese;
Venne in aiuto de la sua corona,
E l'aver gli proferse e la persona;
7
E gli menò Brunello, e gli ne fece
Libero dono, il qual non avea offeso.
L'avea tenuto dieci giorni, e diece
Notti sempre in timor d'essere appeso:
E poi che né con forza né con prece
3. -1. fuoco; incendio di guerra. Viugilio,
En. 1, 570: «tanta incendia belli».
— 5. Quando; poiché: come spesso. V.
e. I, IS, n. 3.
— 8. assiso, situato. Fu usato anche in
prosa, sebbene non sia frequente. Arli (Ar-
les) è sul Rodano a poca distanza dal mare.
4. 1. scriver; coscrivere, arruolare. La-
tinismo comune anche in prosa.
— 2. trista; di cattiva qualità. Si disse
spesso di cose; i-aram, di persone : e. xxxi,
1, 56 n. 4.
— 3. Per f. e per amore, più comun. o
per amore. La Crusca non cita che questo
secondo modo.
5. 4. dargli; di dargli. Dipende da of-
frire. V. e. I, J, n. 1.
6. — Le stanze 6-9, che mancano nella
prima edizione, sono aggiunte già nell' edi-
zione del 2L
7. 5. con forza ecc. né per mezzo di armi
Da nessun vide il patrocinio preso,
In si sprezzato sangue non si volse
Bruttar l'altiere mani, e lo disciolse.
8
Tutte l'antique ingiurie gli remesse,
E seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar che gaudio avesse
11 Re di lei ch'ad aiutarlo andasse:
E del gran conto, ch'egli ne facesse,
Volse che Brunel prova le mostrasse:
Che quel, di ch'ella gli avea fatto cenno,
Di volerlo impiccar, fé' da buon senno.
9
Il manigoldo, in loco inculto et ermo,
Pasto di corvi e d'avoltoi lasciollo,
Ruggier, ch'un'altra volta gli fu schermo,
E che '1 laccio gli avria tolto dal collo,
La giustizia di Dio fa ch'ora infermo
S'è ritrovato, et aiutar non puollo:
E quando il seppe, era già il fatto occorso;
Si che restò Brunel senza soccorso.
10
Intanto Bradamante iva accusando
Che cosi lunghi sian quei venti giorni.
Li quai finiti, il termine era, quando
A lei Ruggiero et alla Fede torni.
A chi aspetta di carcere o di bando
Uscir, non par che'l tempo piti soggiorni
A dargli libertade, o de l'amata
Patria vista gioconda e disiata.
11
In quel duro aspettare ella talvolta
Pensa eh' Eto e Piròo sia fatto zoppo,
né per preghiere (V. e. xxvii, 93, 5) nes-
suno venne a difenderlo.
8. ì. remesse, rimesse, perdonò. Frequen-
te anche in prosa.
— 7. Che, ecc., poiché fece da senno ciò,
che Marfisa aveva accennato, cioè di volerlo
impiccare.
I 9. L manigoldo; antic. per boia, carne-
fice: etimologia incerta.
I — 3. un'altra volta; neìV Jnn. II, xxi,
i 42 segg. Brunello accusato dell'uccisione di
Bardulasto è mandato alla forca; Ruggero,
che lo vede passare, lo mette m libertà e
I lo difende innanzi ad Agramante; poiché
egli stesso, Ruggero, ha ucciso Bard.
' 10. 1. accusaado ecc. ; andava accusando,
rimproverando quei venti giorni, perché
fossero cosi lunghi. È una delle solite in-
versioni.
— 3. il termine, il tempo, quando Rugg.
dovea tornare a lei. Termine per temiìo
e. XIII, 47, n. 2.
— 6. soggiorni, indugi. Cosi nel e. xxvi,
66, 1.
— 8. vista. È omesso l'articolo. V. e. ii,
15, n. 8. , ■
11. 2. Da qui in avanti l'A. ha imitato
42S
ORLANDO FURIOSO
O sia la ruota guasta; eh' a dar volta
Le par che tardi, oltr' all'usato, troppo.
Pili luiiìjo di quel giorno a cui, per molta
Fede, nel cielo il giusto Ebreo fe'intoppo;
Pili de la notte ch'Ercole produsse,
Parca lei ch'ogni notte, ogni di fiisse.
1-2
Oh quante volte da invidiar le diero
E gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi !
Che quel tempo voluto avrebbe intero
Tutto dormir, che mai non si destassi,
Né potere altro ndir, tìn che Ruggiero
Dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ma non pur questo non può far, ma ancora
Non può dormir di tutta notte un'ora.
13
Di qua, di là va le noiose piume
Tutte premendo, e mai non si riposa.
Spesso aprir la finestra ha per costume.
Per veder s'anco di Titou la sposa
Sparge dinanzi al matutino lume
11 bianco giglio e la vermiglia rosa:
Non meno ancor, poi che nasciuto è '1 gior-
Brama vedere il ciel di stelle adorno, [no,
14
Poi che fu quattro o cinque giorni ap-
II termine a finir, piena di spene [presso
assai da vicino la Fiammetta e il Filostrato
del Boccaccio; e anche alcuni luoghi della
seconda Eroide di Ovidio, deW Inìiam. e
del Bret. Noteremo volta per volta i ri-
scontri. A Troilo nel Filostrato sembra più
lungo del solito il tempo, che egli aspetta
la sua amante Griselda. — Eto, Pìròo. Erano
due dei quattro cavalli aggiogati al carro
del sole. — la ruota, il carro del sole.
— 6. il giusto Ebreo; Giosuè, che, se-
condo la Bibbia, fermò il sole per aver
tempo di sbaragliare completamente i ne-
mici, che gli impedivano il racquisto di
Palestina — fé intoppo, fermò.
— 7. Ere. produsse; La notte, che dette
al mondo (produsse) Ercole. La notte, in cui
Ercole nacque, fu protratta a tre notti da
Giunone, perciié nascesse prima Euristeo.
Altri intende della notte, in cui fu generato
Ercole, che fu pur tripla delle altre.
12. 2. gli orsi. Dice Plinio S. N. 8, 36:
« tam gravi sonino premuntur ut ne vul-
neribus quidem excitari queant ».
— 4. che; sicché.
— 6. richiamassi. Questa terminazione
della terza persona fu comune anche in
prosa. V. e. II, 40, n. 8.
13. 4. anco, ancora ; se ancora spunta
V aurora.
— 7. nasciuto, nato. E forma rarissima
anche negli antichi.
14. 1-2. Poiché ecc. Poiché il tempo sta-
Stava aspettando d'ora in ora il messo
Che le apportasse: Ecco Ruggier che viene.
Montava sopra un'alta torre spesso.
Ch'i folti boschi e le campagne amene
Scopria d'intorno, e parte de la via
Onde di Francia a Montalban si già.
15
Se di lontano o splendor d'arme vede,
0 cosa tal, eh' a cavallier simiglia.
Che sia il suo disiato Ruggier crede,
E rasserena i begli occhi e le ciglia:
Se disarmato o viandante a piede.
Che sia messo di lui speranza piglia;
E se ben poi fallace la ritrova.
Pigliar nou cessa una et un'altra nuova.
16
Credendolo incontrar, talora arraossì,
Scese dal monte, e giù calò nel piano:
Né lo trovando, si sperò che fossi
Per altra strada giunto a Montalbano;
E col disir con ch'avea i piedi mossi
Fuor del castel, ritornò dentro in vano:
Né qua, né là trovoUo; e passò intanto
Il termine aspettato da lei tanto.
17
Il termine passò d'uno, di dui.
Di tre giorni, di sei, d'otto e di venti;
Né vedendo il suo sposo, né di lui
Sentendo nuova, incominciò lamenti
Ch'avrian mosso a pietà nei regni bui
bilito fu di quattro o cinque giorni vicino
a finire : ossia : poiché mancavano quattro o
e. g. alla line. Per il complemento di tempo,
senza prep. cfr. Fornaciari, Sint. p. 334.
— 5. Montava ecc. Fiammetta montava
nella più eccelsa parte della casa, per ve-
dere quanto il sole, sopra V orizzonte le-
vato, avesse del nuovo giorno passato
{Fiainm. 3).
— 7. Scopria, lasciava vedere. Cosi nel
e. XVII, 120, 5.
15. 5. Se disarmato ecc.; Se vede un viai;-
dante a cavallo ma disarmato, o pure un
viandante a piede, crede ecc. Ricorda che
i messi di cavalieri o di alti personaggi an-
davano a cavallo, ma disarmati e con al
collo un corno, per avvisare della loro pre-
senza e una tasca (e. i, 68) per lettere e
messaggi.
— S. Pigliar, pigliarne. V. e. i, 21, n. 7.
Anche Troilo {FU. 8, 35-36) scorge la sua
donna in ogni persona, che vede lontana.
16. 3. si sperò, sperò ; come al e. v, 23, 3.
— fossi, fosse. V. e. II, 40, n. 8,
17. 1-4. Il termine ecc. Filostr. 7, 16 : « Ma
il terzo e il quarto* il quinto e il sesto giorno
Dopo il decimo di già trapassato, Sperando
e non sperando il suo ritorno Da Troilo fu
con sospiri aspettato ».
CANTO XXXII
429
Quelle Furie crinite di serpenti ;
E fece oltraggio a' begli occhi divini,
Al bianco petto, all'aurei crespi crini.
18
Dunque fia ver (dicea) che mi convegna
Cercare un che mi fugge e mi s'asconde?
Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar chi mai non mi risponde?
Patirò che chi m' odia, il cor mi tegna?
Un che si stima sue virtù profonde,
Che bisogno sarà che dal ciel scenda
Immortai Dea che '1 cor d'amor gli accen-
19 [da?
Sa questo altier ch'io l'amo e ch'io l'ado-
Né mi vuol per amante, né per serva, [ro,
11 crudel sa che per lui spasmo e moro,
E dopo morte a darmi aiuto serva.
E perché io non gli narri il mio martòro
Atto a piegar la sua voglia proterva.
Da me s' asconde, come aspide suole.
Che, per star empio, il canto udir non vuole.
20
Deh ferma. Amor, costui che cosi sciolto
Dinanzi al lento mio correr s'affretta;
O tornami nel grado onde m'hai tolto,
— 6. Quelle Furie ecc. Ovidio, Met. 10,
349 ; le dice *atro crinitas angue sorores » ;
Da.nte inf. 9, 41 : « Serpentelli e ceraste a-
vean per crine ».
18. 6. Un che ecc. È messo assolutamente :
il costrutto intero sarebbe: e patirò che
mi faccia tutto questo uno, che stima le sue
virtù cosi prof., che sarà necessario scenda
una dea per accendergli il cuore.
19. 4. serva, serba, aspetta. Boccaccio,
Nov. 20 : « Le perdonanze e i digiuni ser-
barmi a far quando sarò vecchia ».
— 7. come aspide ecc. Fu antico pregiu-
dizio che i serpenti si ammaliassero col
canto, e che ponessero un orecchio a terra
e la coda nell'altro per non udire. Nel salmo
57: « Tamquam aspidis surdae et obturan-
tis aures suas ne audiat vocem incantau-
tis ». La similitudine piacque al Boccaccio
(Lab. d'Ani.) al Boiai-do [Inn. Il, xvir, 52,
e poi air Agostini.
— 8. per star empio, per mantenersi em-
pio e crudele.
20. 1. Deh ferma ecc. È rifacimento di un
pensiero del Petrarca, I son. 6: « Costei che
'n fuga è volta E de' lacci d'amor leggera
e sciolta Vola dinanzi al lento correr mio ».
Il Petrarca corre lento sulla via della virtù,
perché è trattenuto da amore in lotta con
la ragione, mentre Laura, libera dall'amore,
gli fugge sicura e spedita su quella via;
Bradamante invece vede fuggire Ruggero
lontano da lei, perché è libero dall'amore,
mentre essa, impigliata nei lacci amorosi,
non può correre spedita per conto suo dove
Quando né a te né ad altri era suggetta !
Deh, come è il mio sperar fallace e stolto.
Ch'in te con prieghi mai pietà si metta;
Che ti diletti, anzi ti pasci e vivi
Di trar dagli occhi lacrimosi rivi!
21
Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa!
Fuor che del mio desire irrazionale?
Ch'alto mi leva, e si ne l'aria passa.
Ch'arriva in parte ove s'abbrucia l'ale;
Poi non potendo sostener, mi lassa
Dal ciel cader: né qui finisce il male;
Che le rimette, e di nuovo arde: ond'io
Non ho mai fine al precipizio mio.
22
Anzi via pili che del disir, mi deggio
Di me doler, che si gli apersi il seno;
Onde cacciata ha la ragion di seggio,
Et ogni mio poter può di lui meno.
Quel mi trasporta ognor di male in peggio.
Né lo posso frenar, che non ha freno:
E mi fa certa che mi mena a morte.
Per ch'aspettando il mal neccia più forte.
23
Deh perché voglio anco di me dolermi ?
Ch'error, senon d'amarti, unqua commes-
Che maraviglia, se fragili e infermi [si?
Feminil sensi fur subito oppressi?
Perché dovev'io usar ripari e schermi,
Che la somma beltà non mi piacessi,
vuole, ma è costretta a seguire lui che la
fugge. È un concetto sottile e non bello né
chiaro, come quel del Petrarca.
— S. Di trar; Dipende veramente da ti
diletti ; poi per zeugma vi sono uniti gli
altri due verbi.
21. 2. desire irraz,; è il desiderio di ria-
vere colui, che, secondo le notizie avute e
la conferma dei fatti, non le apparteneva
più. Il desiderio amoroso è razionale quando
è corrisposto.
- 4. in parte, ove ecc.; arriva tanto alto,
diventa cosi intenso e si ardente da bru-
ciarmi r anima, sicché poi disillusa, ne re-
sto abbattuta e vinta. Per dir ciò prende
l' immagine dal mito d' Icaro, che, volendo
andare lant' alto, ebbe strutta la cera che
univa le ali fattegli dal padre Dedalo e cadde
miseramente.
22. 7-8. E mi fa certa ecc. E mi annunzia
la certezza della mia morte, perché questa
terribile attesa mi renda più penosa la vita
che mi resta. Quando sappiamo che una
malattia è mortale comincia infatti l'ago-
nia dell'anima.
23. 3. infermi, deboli. Petrarca, iv, canz.
2: «Con l'altre schiere travagliate e in-
ferme ».
— 6. Che, perché. — piacessi, piacesse.
V. e. X, 31, G
430
ORLANDO FURIOSO
Gli alti sembianti e le saggie parole?
Misero è ben chi veder-scliiva il sole.
2i
Et oltre al mio destino, io ci fui spinta
Da le parole altrui degne di fede.
Somma felicità mi fu dipinta,
Ch'esser dovea di questo amor mercede.
Se la persuasione, oiraé! fu finta,
Se fu inganno il consiglio che mi diede
Merlin, posso di lui ben lamentarmi,
Ma non d'amar Ruggier posso ritrarrai.
25
Di Merlin posso e di Melissa insieme
Dolermi, e mi dorrò d'essi in eterno;
Che dimostrare i frutti del mio seme
Mi fero dagli spirti de lo 'nferno,
Per pormi sol con questa falsa speme
In servitù: né la caglon dlscerno,
Se non ch'erano forse invidiosi
De i miei dolci, sicuri, almi riposi.
26
Si l'occupa il dolor, che non avanza
Loco, ove in lei conforto abbia ricetto:
Ma, mal grado di quel, vien la speranza,
E vi vuole alloggiare in mezzo il petto,
Rifrescandole pur la rimembranza
Diquelch'alsuopartirl'haRuggier detto:
E vuol, centra il parer degli altri atì'etti,
Che d'ora in ora il suo ritorno aspetti.
27
Questa speranza dunque la sostenne,
Finito i venti giorni, un mese appresso;
Si che il dolor si forte non le tenne,
Come tenuto avria, l'animo oppresso.
Un di che per la strada se ne venne,
Che per trovar Ruggier solca far spesso,
Novella udi la misera, ch'insieme
Fé' dietro all'altro ben fuggir la speme.
28 fne
Venne a incontrare un cavallier Guasco-
Che dal campo African venia diritto,
Ove era stato da quel di prigione,
Che fu inanzi a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu molto posto per ragione,
Fin che si venne al termine prescritto.
Domandò di Ruggiero, e in luì fermosse;
Né fuor di questo segno più si mosse.
29
Il cavallier buon conto ne rendette.
Che ben conoscea tutta quella corte:
E narrò di Ruggier, che contrastette
Da solo a solo a Mandricardo forte;
E come egli l'uccise, e poi ne stette
Ferito più d'un mese presso a morte:
E s'era la sua istoria qui conclusa,
Fatto avria di Ruggier la vera escusa.
30
Ma come poi soggiunse, una donzella
Esser nel campo, nomata Marfisa,
Cile men non era, che gagliarda, bella,
Né meno esperta d'arme in ogni guisa;
Che lei Ruggiero amava, e Ruggier ella;
Ch'egli da lei, ch'ella da lui divisa
Si vedea raro, e ch'ivi ogn'uno crede
Che s'abbiano tra lor data la fede;
31
E che, come Ruggier si faccia sano,
Il matrimonio publicar si deve;
E ch'ogni Re, ogni Principe pagano
Gran piacere e letizia ne riceve;
Che de l'uno e de l'altro sopra umano
Conoscendo il valor, sperano in breve
Far una razza d'uomini da guerra
La più gagliarda che mai fosse in terra;
24. 5, Se la persuas. ecc. Se la persuasione
in cui fui tratta fu ingannevole, perché pro-
dotta ili me dall' inganno di Merlino.
— 7. Merlin; V. e. III.
— 8. d'amar, da amar. V. e, v, 10, n. 5.
26. 4. Ti ; in lei. I due complementi di
luogo di questo verso corrispondono a loco
e in lei del secondo. — in mezzo il; V. e.
VI, 23, n. 8.
— 5. Rifrescandole. Per la forma cfr. e. xt,
11, n. 1.
27. 2. Finito i v. g. Per la sconcordanza
cfr. e. IX, 3-^. n. 1. Intendi: un mese dopo
finiti i venti giorni.
— 7. insieme; nello stesso tempo che u-
diva la novella.
— s. dietro all'a. b. ; dietro agli altri beni,
che se n' erano già andati, fece fuggire an-
che la speranza ultimo bene rimastole. Non
intendere, come alcuni fanno, ben per av-
verbio.
28. 1. un. e. Onascone. Forse l'A. sceglie
per questa circostanza un Guascone, perché
i Guasconi avean fama di ciarloni e amplifi-
catori. Nella Fiammetta (V) è un servitore,
che riferisce a Fiammetta come Panfilo è
innamorato d' un' altra donna bellissima,
eccitando cosi la sua disperata gelosia.
— 4. Che ; è correlativo di quel di del v.
precedente.
— 5. fu molto p. p. r. fu fatto molto ra-
gionare, fu incitato molto a parlare. È modo
affine a quel di Brunetto L. Tes. 22, 46:
« B 'l misi a ragione (lo trassi a ragionare)
di quei quattro elementi».
— 6. al term. pr.; al punto, che ella si
era prefisso come scopo del ragionamento.
— 8. segno ; punto Stabilito, prefisso.
Non si allontanò più da questo termine rag-
giunto, cioè da questo argomento.
29. 3. contrastette ; stette contro, resiste.
È forma, che non par citata dai vocabo-
lari. E pure è ben differente da contrastò.
30. 4. d' arme in o. g. ; in ogni guisa d'ar-
me; in ogni specie d'arme.
31. 8. L' edizione del 15;'.2 seguita dal Mo-
CANTO XXXII
431
32 [senza
(Crede.a il Gnascoii quel che dicea, non
Cagion; che ne l'esercito de' Mori
Opinione e universal credenza,
E publico parlar n'era di fuori.
I molti segni di benivolenza
Stati tra lor facean questi romori;
Che tosto, 0 buona o ria, che la fama esce
Fuor d'una bocca, in infinito cresce.
33
L'esser venuta a' Mori ella in aita
Con lui, né senza lui comparir mai,
Avea questa credenza stabilita;
Ma poi l'avea accresciuta pur assai.
Ch'essendosi del campo già partita.
Portandone Brunel, come lo contai.
Senza esservi d'alcuno richiamata.
Sol per veder Ruggier v'era tornata.
3i
Sol per lui visitar, che gravemente
Lauguìa ferito, in campo venuta era
Non una sola volta, ma sovente;
Vi stava il giorno e si partia la sera:
E molto più da dir dava alla gente.
Ch'essendo conosciuta cosi altiera.
Che tutto '1 mondo a sé le parca vile,
Solo a Ruggier fosse benigna e umile) ;
rali e quella del 1516, riprodotta dal Gian-
nini, han punto alla fine di questa stanza;
ma giustamente altri editori mettono il pun-
to e virgola, chiudendo fra parentesi le tre
stanze seguenti, perché il Come della st. 30
si riattacca, per la sintassi, al come della
st. 35; e i versi 2-4 della stessa st. 35 conten-
gono la proposizione principale delle stanze
30, 31. Il Morali, che ha messo i due punti
alla fine della st. 5 e. xxxvi, mentre l'ediz.
antiche hanno il punto, doveva, credo, cor-
reggere anche questo luogo.
32. 3. Opinione... credenza. La credenza,
secondo il Tommaseo, è men ferma dell' ojji-
nione; è opinione non ancor bene lìssata.
Cosi pure al e. xli, 23, 1.
— 6. romori, fama, dicerie: lat. rumor.
33. 5. Che ; il fatto che ecc.
— 7. d'ale, da alcuno. V. e. v, n. 10, 5.
— 8. Sol per veder R. Veramente alla
stanza 6 dice che Marfìsa andò per offrire
il suo aiuto ad Agr. ; ma forse qui avviene
ciò che spesso nell' A.; cioè il pensiero inde-
terminato alla fine di una stanza, si deter-
mina nella stanza seguente. Questo verso 8
dunque va unito e completato col verso 3
della st. seg. e cosi vien tolta ogni coutra-
dizione : Marfìsa era tornata sovente al
campo per veder R., ma la prima volta vi
tornò per aiutare Agramante.
34. 7. a se: in confronto a sé: cosi al e.
XLiii, 13i, e Dante Purg. 11, 106: «È più
corto Spazio all'eterno che un mover di
35 [io,
Come il Guascon questo affermò per ve-
Fu Bradamante da cotanta pena,
Da cordoglio assalita cosi fiero,
Che di quivi cader si tenue a pena.
Voltò, senza far motto, il suo destriero,
Di gelosia, d'ira e di rabbia piena;
E, da sé discacciata ogni speranza.
Ritornò furibonda alla sua stanza:
36
E senza disarmarsi, sopra il letto.
Col viso volta in giù, tutta si stese,
Ove per non gridar, si che sospetto
Di sé facesse, i panni in bocca prese;
E ripetendo quel che l'avea detto
TI cavalliero, in tal dolor discese,
Che più non lo potendo softerire.
Fu forza a disfogarlo, e cosi a dire:
37
Misera! a chi mai più creder debb'io?
Vo' dir ch'ogn'uno è perfido e crudele.
Se perfido e crudel sei, Ruggier mio,
Che si pietoso tenni e si fedele.
Qual crudeltà, qual tradimento rio
Unqua s'udi per tragiche querele.
Che non trovi minor, se pensar mai
Al mio merlo e al tuo debito vorrai?
3»
Perché, Ruggier, come di te non vive
Cavallier di più ardir, di più bellezza,
Né che a gran pezzo al tuo valore arrive.
Né a'tuoi costumi, né a tua gentilezza;
Perché non fai che, fra tue illustri e dive
Virtù, si dica ancor ch'abbi fermezza?
Si dica ch'abbi invìolabil fede?
ciglia Al cerchio, che più tardi in cielo è
torto >. Uso simile è al e. xiii, 70, l.
36. 3-4. sospetto... facesse, desse sospetto.
È il latino suspicionem facere ; ma è modo
raro auche fra i Latini. I vocabolari non
citano questa locuzione.
— 5. ripetendo, seco stessa. — l'avea, le
avea. v. e. vn, .35, n. 8.
— 8. f. f. a disfog. ecc.; fu forza disfo-
garlo. La prep. a in questa e simili espres-
sioni (sentire a dire, udire a gridare ecc.)
è d' uso dialettale. Ma qui 1' espressione è
anche più ardita, perché l' inlinito è sog-
gettivo.
37. 6. tragiche qner.; trngici lamenti;
ossia tragedie. Qui senti i ricordi classici
di Medea tradita da Giasone, di Arianna
tradita da Teseo ecc.
38. 3. a gran pezzo ; a gran distanza.
Casa, Lett. 250 : « K non 1' avrei potuto scri-
ver cosi bene a un gran pezzo ».
— 5. dive, eccellenti, quasi degne di un
essere soprannaturale. È il solo esempio fra
i citati, che abbia questo significato netto,
senza relazione a cose divine.
432
ORLANDO FURIOSO
A chi ogn' altra virtù s'inchina e cede.
39 [la,
Non sai che non corapar, se non v'è quel-
Alcun valore, alcun nobil costume?
Come né cosa (e sia quanto vuol bella)
Si può vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu ingannare una donzella
Di cui tu signor eri, idolo e nume,
A cui potevi far con tue parole
Creder che fosse oscuro e freddo il sole.
40
Crudel, di che peccato a doler t'hai.
Se d'uccider chi t'ama non ti penti?
Se '1 mancar di tua fé' si leggier fai.
Di ch'altro peso il cor gravar ti senti?
Come tratti il nimico, se tu dai
A me, che t'amo si, questi tormenti?
Ben dirò che giustizia in ciel non sia,
S'a veder tardo la vendetta mia.
41
Se d'ogn' altro peccato assai più quello
De l'empia ingratitudine l'uom grava,
E per questo dal ciel l'angel più bello
Fu relegato in parte oscura e cava;
E se gran fallo aspetta gran flagello.
Quando debita emenda il cor non lava;
Guarda ch'aspro flagello in te non scenda,
Che mi se'ingrato, e non vuoi farne emen-
42 [da.
Di furto ancora, oltre ogni vizio rio.
Di te, crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor, non ti dico io;
Di questo io vo'che tu ne vada assolto :
Dico di te che t'eri fatto mio,
E poi centra ragion mi ti sei tolto.
Renditi, iniquo, a me; che tu sai bene
Che non si può salvar chi l'altrui tiene.
43 [voglio,
Tu m' hai, Ruggier, lasciata : io te non
Né lasciarti volendo anco potrei;
— 8. A chi, a cui. V. e. vii, 60, n. 2.
39. 1. non compar, non comparisce, non
fa buona mostra, come nel e. xvii, 30, 1.
— 5. Facil ti fu. BoccACno, Fianim. 5:
« Or non pensavi tu quanto poco di gloria
ti seguiva ad ingannare una giovane, la
quale di te si fidava?... Io credetti non meno
agli dei da te giurati che a te ». Ovid. Er.
2, 63 : « Fallere credentem non est operosa
puellam Gloria ».
40. 1. a dol. t'hai, ti dorrai. V. e. xv,
35, n. 2.
— 3. fai, stimi. È frequente negli scrit-
tori e vive ancora. Beum, 43, 54: « ed oggi
ho mostro... Che non son nato come tu mi
fai».
41. 3. l'angel p. bello, Lucifero.
42. 5-6. Dico ecc. Boccaccio, Fiamm. 5:
«Non ti ricorda che più che una volta la
cosa obbligata non si può obbligare?»
I Ma per uscir d'affanno e di cordoglio.
Posso e voglio finire i giorni miei.
Di non morirti in grazia sol mi doglio;
Che se concesso m'avessero i Dei
Ch'io fossi morta, quando t'era grata,
Morte non fu giammai tanto beata.
44
Cosi dicendo, di morir disposta.
Salta del letto, e di rabbia infiammata
Si pon la spada alla sinistra costa;
Ma si ravvede poi che tutta è armata.
Il miglior spirto in questo le s'accosta,
E nel cor le ragiona: 0 donna nata
Di tant'alto lignaggio, adunque vuoi
Finir con si gran biasmo i giorni tuoi?
45
Non è meglio ch'ai campo tu ne vada,
Ove morir si può con laude ogn'ora?
Quivi, s'avvien ch'inanzi a Ruggier cada,
Del morir tuo si dorrà forse ancora:
Ma s'a morir t'avvien per la sua spada,
Chi sarà mai che più contenta mora?
Ragione è ben che di vita ti privi.
Poi eh' è cagion eh' in tanta pena vivi.
46
Verrà forse anco che prima che muori
Farai vendetta di quella Marfisa
Che t'ha con fraudi e disonesti amori,
Da te Ruggiero alienando, uccisa.
Questi pensieri parveno migliori
Alla donzella; e tosto una divisa
44. 1. Cosi ecc. Anche Florio nel Filocolo
e Troilo nel Filostrato, presi da gelosia, si
propongono di morire; ma non vi sonori-
scontri particolari di pensiero e d' imma-
gine.
— 4. si ravvede, si avvede, si accorge.
Cosi nel e. xlv, 7S, 1; ma non si citano che
questi due esempì.
— 5. Il m. spirto; l'angelo custode, che
è per noi lo spirito migliore di tutti gli al-
tri. Cosi nel e. xiv, 73, 6 angelo migliore,
dove troverai anche l'altra interpretazione
del Fornari.
45. 5. s' a morir t' avvien. Io intenderei :
se a morir V avvieni; e quest' uso ha per-
fetto riscontro in quel del Boccaccio, Nov.
83: « ovunque con persona a parlar s'avve-
niva ». Ma può esservi anche un costr. eguale
a quello della st. 30, 8.
— 7. ti privi. Il soggetto è Ruggero.
46. 1. Verrà, avverrà. Boccaccio, Nov. 28 :
« E per ventura veime che la donna ecc. ».
— muori, muoia. Cosi l'A. l'usò nel e. xxxvi,
32, 6, come usò segui per segua (xui, 47,
7); ruggi per rugga (xix, 79, 7) dove tro-
verai le note e i raffronti ; e sono tutte for-
me di congiuntivo.
— 5. parveno, pxarvero. È terminazione
popolare, viva ancora nel volgo Toscano.
CANTO XXXTT
433
Si fe'su l'arme, che volea inferire
Disperazione e voglia di morire.
47
Era la sopraveste del colore
In che rimau la foglia che s'imbianca
Quando del ramo è tolta, o che l'umore,
Che facea vivo l'arbore, le manca.
Ricamata a tronconi era, di fuore.
Di cipresso che mai non si rinfranca,
Poi c'ha sentita la dura bipenne:
L'abito al suo dolor molto convenne.
48
Tolse il destrier ch'Astolfo aver solon,
E quella lancia d'or, che, sol toccando,
Cader di sella i cavallier facea.
Perché la le die Astolfo, e dove e quando,
E da chi prima avuta egli l'avea,
Non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse, non però sapendo
Che fosse del valor ch'era, stupendo.-
49
Senza scudiero e senza compagnia
Scese dal monte, e si pose in camino
Verso Parigi alla più dritta via,
Ove era dianzi il campo Saracino;
Che la novella ancora non s'udia,
Che l'avesse Rinaldo paladino,
Aiutandolo Carlo e Malagigi,
Fatto tór da l'assedio di Parigi.
50
Lasciati avea i.Cadurci e la cittade
47. 3. 0 che ; o quando. V. e. iv, CO, n. '\
— Le stanze 47-18 nella prima edizione si
trovano dopo la prima stanza 31 del e. 35,
che in quella è il canto 3i.
— 5. di fuore; È espressione puramente
descrittiva. Infatti la sopravveste non po-
teva esser rican^^ta che di fuori. È pur da
credere che i tronchi di cipresso fossero
anche la divisa sull'armi, di cui alla line
della stanza precedente.
— 6. che mal n. s. r. ; che mai non ri-
mette polloni. Nota il Bolza, ma non cita
il luogo, che l'A. allude qui al fatto ricor-
dato anche da Plinio : « Cupressus, quae
excisa renasci non solet ».
48. 4. la le die ; glie la die. È colloca-
zione insolita e da evitare.
— 6. Non credo ecc. Tutto ciò è detto al
e. XXIII, 14-15.
— S. Che fosse ecc. ; che fosse del valore
stupendo che era, dei quale era. V. e. xiii,
37, 5.
49. 3. alla p. d. via; Si pose in cammino
per la via p. diritta. Nel e. i, 23, 5 abbiamo
« mettersi alla via » ; là vedrai la nota.
50. 1. Cadnrci; antico popolo della Gallia.
Oggi Quercy; città princip. Cahors. — Da
questa stanza alla st. 59 del canto seguente è
giunta fatta per l'ediz. del 153?.
Di Caorse alle spalle, e tutto '1 monte
Ove nasce Dordona, e le contrade
Scopria di Monferrante e di Clarraonte:
Quando venir per le raedesme strade
Vide una donna di benigna fronte.
Ch'uno scudo all'arcione avea attaccato;
E le venian tre cavallieri a lato.
51
Altre donne e scudier venivano anco,
Qual dietro e qual dinanzi, in lunga schie-
Domandò ad un che lepassò da fianco, [ra.
La figliola d'Amon, chi la donna era:
E quel le disse: Al Re del popol Franco
Questa donna, mandata messaggiera
Fin di là dal polo Artico, è venuta
Per lungo mar da l'isola Perduta.
52
Altri Perduta, altri ha nomata Islanda
L'isola, donde la Regina d'essa,
Di beltà sopra ogni beltà miranda,
Dal ciel non mai, se non a lei, concessa,
Lo scudo che vedete, a Carlo manda;
Ma ben con patto e condizione espressa.
Ch'ai miglior cavallier lo dia, sectindo
Il suo parer, ch'oggi si trovi al mondo.
53
, Ella, come si stima, e come in vero
E la più bella donna che mai fosse;
Cosi vorria trovare un cavalliero
Che sopra ogu'altro avesse ardire e posse :
Perché fondato e fìsso è il suo pensiero,
Da non cader per cento mila scosse.
Che sol chi terrà in arme il primo onore.
Abbia d'esser suo amante e suo signore.
54
Spera ch'in Francia, alla famosa corte
Di Carlo Magno, il cavallier si trovo,
Che d'esser più d'ognaltro ardito e forte
Abbia fatto veder con mille prove.
I tre che son con lei come sue scorte,
— 2. M monte: il monte d'Oro nell'Au-
vergne.
— 4. Monferr. Clarm. ; « due terre nell'Au-
vergne, vicinissime, che furono unite in
una al tempo di Luigi XIII e fanno ora la
città di Clermont-Ferrand » (Casella).
— 6. una donna. Le donne messaggere
erano molto in uso nei romanzi della Ta-
vola Rotonda, specialmente inviate da altre
donne.
52. 1. Altri Perduta. Cosi detta, perché
era quasi perduta in mari lontani e poco
conosciuti. Si cominciò a conoscere circa
il secolo vili.
— 3. miranda, (lat. miranda) ammira-
bile. Riferiscilo a regina.
53. 8. d'esser, da esser. V. e. v, 10, n. 5.
54. 5. con lei; con la messaggera; ma
non è chiaro ; perché finora il soggetto è
stato la regina.
Ariosto — Papini
aS
434
ORLANDO FURIOSO
Re sono tutti, e dirovvi anco dove: [uno,
Uno in Svezia, uno in Gozia, in Norvegia
Che pochi pari in arme hanno o nessuno.
55
Questi tre, la cui terra non vicina,
Ma raen lontaua è all'isola Perduta,
Detta cosi, perché quella marina
Da pochi naviganti è conosciuta.
Erano amanti, e son, de la Regina,
E a gara per raoglier l'hanno voluta;
E per aggradir lei cose fatt' hanno,
Che, fin che giri il ciel, dette saranno.
56
Ma né questi ella, né alcun altro vuole.
Ch'ai mondo in arme esser non creda il
[primo.
Ch'abbiate fatto prove, lor dir suole,
In questi luoghi appresso, poco istimo.
E s'un di voi, qual tra le stelle il sole,
Fra gli altri duo sarà, ben lo sublimo;
Ma non però, che tenga il vanto parme
Del miglior cavallier ch'oggi port'arme.
57 [ro
A Carlo Magno, il quale io stimo e ono-
Pel più savio Signor ch'ai mondo sia,
Son per mandare un ricco scudo d'oro,
Con patto e condiziou ch'esso lo dia
Al cavalliero, il quale abbia fra loro
Il vanto e il primo onor di gagliardia.
Sia il cavalliero o suo vassallo o d'altri,
Il parer di quel Re vo' che mi scaltri.
_ 7. Gozia; «il Gotland, ora provincia
della Svezia, che si vuole prendesse il nome
(lai Goti, perché loro antichissima abita-
zione » (Casella). « La Danimarca, il cui re
prende ancora il titolo di re dei Goti » (Mo-
llai). L' opinione del Casella era già stata
esposta dal Bolza e quella del Molini è ac-
colta dal Camerini. Ma se ricordiamo che
il Gotland si chiamava anticamente Gothia,
sembrerà più probabile la prima opinione.
La Danimarca è detta nel Furioso Dani-
smarca e Dazia.
55. -i. men lontana, delle altre terre.
— 7. aggr. lei; aggr. a lei, gradire a lei.
56. 6. lo sublimo; lo lodo, lo celebro.
Cosi nel e. xxxvin, 27; invece nel e. iii, 59,
4, significa levare in alto. Si cita solo un
esempio di Ristoro Canigiani (sec. xiv); ma
la N. Crusca a suo tempo non dimenticherà
l'Ariosto.
57. 8. mi scaltri ; mi scaltra, scaltrisca.
Dante, Purg. 20, usò pure la forma regol.
scaltro invece di scaltrisco. Qui abbiamo un
cong. come nella st. 46. Il Tommaseo registra
la forma scaltrare; ma non cita che que-
sto esempio, che, confrontato coi congiun-
tivi simili, non può derivarsi che da scal-
trire: cfr. e. xiii, 17, n. 7. Crede il Fornari
che l'A. abbia preso ispirazione a questo
58
Se, poi che Carlo avrà lo scudo avuto,
E l'avrà dato a quel si ardito e forte,
Che d'ogn' altro megliore abbia creduto,
Che'n sua si trovi o in alcun' altra corte,
Uno di voi sarà, che con l'aiuto
Di sua virtù lo scudo mi riporte;
Porrò in quello ogni amore, ogni disio;
E quel sarà il marito e'I signor mio.
59
Queste parole han qui fatto venire
Questi tre Re dal mar tanto discosto;
Che riportarne lo scudo, o morire
Per man di chi l'avrà, s'hanno proposto,
Ste' molto attenta Bradamante a udire
Quanto le fu da lo scudier risposto;
lì qual poi l'entrò inanzi, e cosi punse
Il suo cavallo, che i compagni giunse.
60
Dietro non gli galoppa ne gli corre
Ella; ch'adagio il suo camin dispensa,
E molte cose tuttavia discorre.
Che son per accadere: e in somma pensa
Che questo scudo in Francia sia per porre
Discordia e rissa e nimicizia immensa
Fra' Paladini et altri, se vuol Carlo
Chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.
61
Le preme il cor questo pensier ; ma molto
Più le lo preme e strugge in peggior guisa
Quel eh' ebbe prima, di Ruggier, che tolto
Il suo amor le abbia, e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo è si sepolto,
Che non mira la strada, né divisa
luogo dal seguente fatto. Morto Luigi XII
di Francia, Enrico Vili d' Inghilterra ri-
chiese che la vedova, sua sorella, tornasse
a lui; ma Francesco I, che avrebbe do-
vuto perdere cosi la terza parte delle en-
trate reali che a lei perveniva, rispose al
re che mandasse in Francia suoi cavalieri,
che con Tarme gli conquistassero la so-
rella. Enrico accettò e promise al cavaiier
vincitore sua sorella in isposa. Venne iti
Francia un cavaliere Britanno, vinse i ca-
valieri Francesi ed ebbe in isposa la prin-
cipessa Maria. Ma e al fatto e all' ispirazio-
ne, che ne avrebbe tolta l'A., manca buon
fondamento di verità.
59. 2. dal m. t. d.; dal mare, che ven-
gono da un mare tanto lontano. Beum, Inn.
G, 45: «Albracca... Che è discosta al Cat-
talo una giornata ».
— 7. r entrò In. ; le andò avanti, si al-
lontanò da lei. Cosi Dante, Purg. 24, 100:
« E quando innanzi a noi si entrato fue ».
60. 2. dispensa, fa Cosi nel e. xxxviii,
88, 6, e nel e. xv, 28, 5. In questo senso
non si cita che questo luogo dell' A.
61. 6. divisa, pensa, disegna. È signifi-
cato frequente.
CANTO XXXII
435
Ove arrivar, né se troverà inanzi
Commodo albergo, ove la notte stanzi.
62
Come nave, che vento da la riva,
0 qualch' altro accidente abbia disciolta
Va di nocchiero e di governo priva
Ove la porti o meni il fiume in volta;
Cosi l'amante giovane veniva
Tutta a pensare al suo Ruggier rivolta,
Ove vuol Rabican; che molte miglia
Lontano è il cor che de' girar la briglia.
63 [tergo
Leva al fin gli occhi, e vede il sol che '1
Avea mostrato alle città di Bocco,
E poi s'era attufifatto, come il mergo.
In grembo alla nutrice oltr' a Marocco :
E se disegna che la frasca albergo
Le dia ne' campi, fa pensier di sciocco;
Che soffia un vento freddo, e l'aria grieve
Pioggia la notte le minaccia o nieve.
64
Con maggior fretta fa movere il piede
Al suo cavallo; e non fece via molta,
Che lasciar le campagne a un pastorvede.
Che s'avea la sua gregge inanzi tolta.
La donna lui con molta instanzia chiede
Che le 'nsegni ove possa esser raccolta
62. 3. di governo pr.; priva di chi la in-
dirizzi, di chi regga il timone: governo
dunque sta per timoniere. Ma può anche
intendersi senza timone; poiché nelle pic-
cole barche, quando stan ferme a riva, si
suol levare il timone, che si rimette poi alla
partenza.
— 1. meni... in volta; aggiri, la porti
qua e là in balia della corrente.
— 8. il cor; l'animo; ma qui T animo
preso dal sentimento dell' amore.
63. 1-2. Leva ecc.; Leva gli occhi e vede
che il sole avea già passato le città della
Mauritania, (dove regnò Bocco suocero e
alleato di Giugurta, e finalmente suo tra-
ditore; 106 a. C.) ossia volgeva al tramonto.
— 3. mergo ; (lat. Mergiis) uccello aqua-
tico, detto anche smergo.
— 4. In gr. alla nutrice; in gr. a Teti mo-
glie dell'Oceano e dea del mare. Da alcuni
fu confusa con Teti moglie di Peleo e madre
di Achille. Qui sta per il mare stesso. Viro.
Georg. 4, 382, dice l'Oceano patrem rerum,
secondo l'antica idea di Talete, rinnovata
in certo modo dai Nettunisti, che dall' ac-
qua avessero origine e nutrimento tutte le
cose.
— 6. pensier di s. ; più comunemente :
pensier da sciocco.
64. 4. gregge. Di genere femminile 1' usa-
rono il Boccaccio e altri; ma è raro anche
negli antichi. Pulci, Morg. 1, 62: «Ecco
apparir una gran gregge al passo Di porci ».
0 ben 0 mal; che mal si non s'alloggia.
Che non siapeggio star fuori alla pioggia.
65
Disse il pastore: Io non so loco alcuno
Ch'io vi sappia insegnar, se non lontano
Più di quattro o di sei leghe, for ch'uno
Che si chiama la rocca di Tristano.
Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno;
Perché bisogna, con la lancia in maup,
Che se l'acquisti, e che se la difenda
Il cavallier che d'alloggiarvi intenda.
G6
Se, quando arriva un cavallier, si trova
Vota la stanza, il castellan l'accetta ;
Ma vuol, se sopravien poi gente nuova,
I Ch'uscir fuori alia giostra gli prometta.
Se non vien, non accade che si mova:
Se vien, forza è che l'arme si rimetta,
E con lui giostri, e chi di lor vai meno.
Ceda r albergo et esca al ciel sereno.
67 [tratto
Se duo, tre, quattro o pili guerrieri a un
Vi giungon prima, in pace albergo v'han-
E chi di poi vien solo, ha peggior patto, [no ;
Perché seco giostrar quei più lo fanno.
Cosi, se prima un sol si sarà fatto
Quivi alloggiar, con lui giostrar vorranno
1 duo, tre, quattro o più che verran dopo;
Si che s'avrà valor, gli fia a grande uopo.
68
Non men, se donna capita o donzella.
Accompagnata o sola a questa rocca,
E poi v'arrivi un'altra, alla più bella
L'albergo, et alla men star di fuor tocca.
Domanda Bradamante ove sia quella;
E il buon pastor non pur dice con bocca,
Ma le dimostra il loco anco con mano.
Da cinque o da sei miglia indi lontano.
69 [te.
La donna, ancor che Rabican ben trot-
Sollecitar però non lo sa tanto
Per quelle vie tutte fangose, e rotte
Da la stagion ch'era piovosa alquanto,
65. 2. sappia, possa. Esempio più spic-
cato di quello citato dal Gherardini : Sal-
viNi, Disc. ac. 1, 190: «Senza l'amicizia,
compagnia d' uomini sussistere non sa-
prebbe ».
— 7. se la dif.; la rocca di Tristano,
67. 4. quei pili; quei, che sono in mag-
gior numero; più è dunque usato sostan-
tivamente.
— S. gli f. a. g. uopo; gli sarà molto gio-
vevole, dovendo combattere con un mag-
gior numero. S'intende che uno combatteva
successivamente coi singoli nemici.
68. 4. alla men. Sottint. bella.
— 8. Da cinque ecc.; circa cinque ecc.
V. e. XIII, 32, n. 7.
436
ORLANDO FURIOSO
Che prima arrivi, chela cieca uotte
Fatt'abbia oscuro il mondo in ogni canto.
Trovò chiusa la porta; e a chi n'avea
La guardia, disse, ch'alloggiar volea.
70
Rispose quel, ch'era occupato il loco
Da donne e da gnerrier che venner dianzi,
E stavano aspettando intorno al fuoco.
Che ^sta fosse lor la cena inanzi.
Per ìm non credo l'avrà fatta il cuoco,
S'ella v'è ancor, né l'han mangiata inanzi
(Disse la donna): Or va, che qui gli atten-
Chesorusanza,e di servarla intendo, [do;
71
Parte la guardia, e porta l'imbasciata
Là dove i cavallier stanno a grand'agio.
La qual non potè lor troppo esser grata,
Ch'all'aer li fa uscir freddo e malvagio;
Et era una gran pioggia incominciata.
Si levan pure, e piglian l'arme adagio:
Restano gli altri; e quei non troppo in fret-
Escono insieme ove la donna aspetta. |ta
72
Eran tre cavallier che valean tanto,
Che pochi al mondo valean più di loro;
Et eran quei che'l di medesmo a canto
Veduti a quella messaggiera foro;
Quei ch'in Islanda s'avean dato vanto
Di Francia riportar lo scudo d'oro:
E perché avean meglio i cavalli punti.
Prima di Bradamaute erano giunti.
Di loro in arme pochi eran migliori,
Ma di quei pochi ella sarà ben l'nna;
Ch'a nessun patto rimaner di fuori
Quella notte intendea molle e digiuna.
Quei dentro alle finestre e ai corridori
Miran la giostra a lume de la luna
Che mal grado de'nugoli lo spande,
E fa veder, benché la pioggia è grande.
74
Come s'allegra un bene acceso amante
69. 5. cieca notte; oscura notte. Dante,
Jnf. 10, 58: » cieco carcere ».
71. 4. malvagio; (etimolog. incerta); con-
traino, molesto. \el e. xxxiii, 66, 8: cielo
malvagio; e Dante, /n/". 34, 95: cammino
'malvagio.
— 0. Si 1. pure; pure si levan.
73. 2. runa. Comunemente senza ar-
ticolo. BocrACCio, Nov. 21: « Lavorando
r un di appresso l'altro ».
— 5. corridori, corridoi. È forma ancora
viva in Toscana. Probabilmente accenna ai
loggiati, che jiiravano intorno al castello;
coperti, ma ai)erti dinanzi. — Quei dentro ;
quei di dentro, che erano dentro.
— 6. a lume: al lume. v. e. ii, 15, n
Le notti che vi è la luna, anche se vi sono
le nuvole, la luce è maggiore.
Ch'ai dolci frutti per entrar si trova,
Quando al fin senta dopo indngie tante,
Clie '1 taciturno chiavistel si muova:
Cosi voloutarosa Bradamante
Di far di sé coi cavallieri prova,
S'allegrò quando udi le porte aprire.
Calare il ponte, e fuor li vide uscire.
75
Tosto che fuor del ponte i guerrier vede
Uscire insieme o con poco intervallo,
Si volge a pigliar campo, e di poi riede
Cacciando a tutta briglia il buon cavallo,
E la lancia arrestando, che le diede
Il suo cugin, che non si corre in fallo.
Che fuor di sella è forza che trabocchi.
Se fosse Marte, ogni guerrier che tocchi.
7G
Il Re di Svezia, che primier si mosse.
Fu primier anco a rivei'sciarsi al piano;
Con tanta forza l'elmo gli percosse
L'asta che mai non fu abbassata in vano.
Poi corse il Re di Gozia, e ritrovosse
Coi piedi in aria al suo destrier lontano.
Rimase il terzo sotto sopra volto.
Ne l'acqua e nel pantau mezzo sepolto.
77
Tosto ch'ella ai tre colpi tutti gli ebbe
Fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,
Alla ròcca ne va, dove aver debbe
La notte albergo; ma prima che passi,
V'è chi la fa giurar che n'uscirebbe,
Sempre ch'a giostrar fuori altri chiamassi.
Il Signor di là dentro, che '1 valore
Ben n'ha veduto, le fa grande onore.
78
Cosi le fa la donna che venuta
Era con quelli tre quivi la sera.
Come io dicea, da l'isola Perduta,
Mandata al Re di Francia messaggiera.
Cortesemente a lei che la saluta.
Si come graziosa e aftabil era,
Si leva incontra, e con faccia serena
Piglia per mano, e seco al fuoco mena.
79
La donna, cominciando a disarmarsi,
74. 3. indngie. Per questa forma cfr. o.
XII, 40, n. 4.
— 4. muova. Il congiunt. indica l' animo
ancora incerto su ciò che avviene.
75. 6. che non si e. in fallo; la quale lan-
cia n')u si corre in fallo. Per 1' espi-essioiie
correr la lancia cfr. e. iv, 22, n. 4.
— 7. Che, poiché.
77. 2. Fatto. Fer la sconcordanza cfr. e.
IX, 32, n. 1.
— 6. chiamassi, chiamasse. V. e. Il, 40,
8. n.
78. iJ
I, 21, n.
Piglia p. m.; la piglia p. m. V. e.
CANTO XXXII
437
iS'avea lo scudo e di poi l'elmo tratto;
Quando una cuffia d'oro, in che celarsi
Soieauo i capei lunghi e star di piatto,
Usci con l'elmo; onde caderon sparsi
Giù per le spalle, e la scoprirò a un tratto,
E la feron conoscer per donzella.
Non men che fiera in arme, in viso bella.
80
Quale al cader de le cortine suole
Parer fra mille lampade la scena.
D'archi, e di più d'una superba mole.
D'oro e di statue e di pitture piena;
O come suol fuor de la nube il sole
Scoprir la faccia limpida e serena:
Cosi, l'elmo levandosi dal viso.
Mostrò la donna aprisse il paradiso.
81
Già 8on cresciute, e fatte lunghe in modo
Le belle chiome che tagliolle il Frate,
Che dietro al capo ne può fare un nodo,
Benché non sian come son prima state.
Che Bradamante sia, tien fermo e sodo
(Che ben l'avea veduta altre fiate),
Il Signor de la ròcca; e più che prima
Or l'accarezza, e mostra farne stima.
82 [sto I
Siedono al fuoco, e con giocondo e oue- i
Ragionamento dan cibo all'orecchia, j
Mentre, per ricreare ancora il resto
Del corpo, altra vivanda s'apparecchia.
La donna all'oste domandò se questo !
Modo d'albergo è nuova usanza o vecchia, >
E quando ebbe principio, e chi la pose; j
E '1 cavalliero a lei cosi rispose : i
79. 3. cuffia d'oro; cuffia di fili d'oro.
— 4. di piatto; nascosti. V. e. xxx, SO,
n. 6.
80. 1-i. Quale ecc. Certo la comparazione
è ispirata da Ovidio Met. 3, 111-114: « Sic
ubi toUuntur festis aulaea theatris Surgere
signa solent placidoque educta tenore Tota
patent imoque pedes in margine ponunt »;
ma chi ben guardi, quella dell' A. è tutta
diversa e allude piuttosto alle splendide rap-
presentazioni sceniche, che erano tanto in
uso ai suoi tempi alia corte di Ferrara
e altrove.
— 8. Mostrò ; parve che la donna aprisse
il p. Credo che mostrò sia qui usato im-
personalmente come spesso negli antichi.
Boccaccio, Corbacc. 219; «mostra che tu
creda (pare che tu cr.) » : Villani, 11,29,3:
« come mostra che voi vogliate fare ». Di
uso personale con proposizione dipendente
non si citano esempi ; ma è ancor vivo nel
parlar comune: cosi diremmo : * masticavi
che tu volessi o di voler far tante cose.
81. 2. che t. il Frate; per curarle una fe-
rita ricevuta nel capo dal pagano Marta-
sino : Innam. Ili, v, 45; vm, 51.
82. 5. oste, ospite. V. e. xvii, 71, n. 3.
83
Nel tempo che regnava Fieramente,
Clodìone, il figliuolo, ebbe una amica
Leggiadra e bella e di maniere conte,
Quant' altra fosse a quella etade antica;
La quale amava tanto, che la fronte
Non rivolgea da lei più, che si dica
Che facesse da Ione il suo pastore;
Perch'avea ugual la gelosia all'amore.
84
Qui la tenea , che '1 luogo avuto in dono
Avea dal padre, e raro egli n'uscia:
E con lui dieci cavallier ci sono,
E dei miglior di Francia tutta via.
Qui stando, venne a capitarci il buono
83. 1. Fieramente. È personaggio storico,
che s' incontra spesso nei romanzi della
Tavola Rotonda. Alcuni lo dicono figlio di
Marcomir V; e il primo a condurre i Fran-
chi al di qua dal Reno (120-427 d. C). Che
sia vissuto al tempo di Artù e di Tristan-^
(sec. vi) è anacronismo dei romanzieri. La
forma più comune del nome è Faramondo.
— 3. conte, gentili, ornate (lat. comptus).
Fran(\ da Harbeh. ; Kec/i/. d. donne, 296:
« Bella e conta è l'andatura >♦.
— 7. Ione, Io. Questa parola in latino
.si declinò Io, lus, e anche Io, lonis; donde
questa forma. Dice la favola che Io, fan-
ciulla, fu trasformata da Giove in una gio-
venca e data da Giunone in custodia ad
Argo, pastore dai cento ocelli.
84. 4. tutta via; inoltre, anche. Son dieci
e inoltre dei migliori di Francia. Berni,
Inn. 43, 34: «A caso andò a cader in un
fossato E tre garzon con esso tuttavia ».
— 5. il buono; il forte. V. e. xv, 15, n. 3.
— Questo racconto è composto con elementi
tolti da due romanzi, il B>-et e il Guiron-
Si dice nel Bret che Tristano, figlio del re
Meliadus, e nipote del re Marco di Corno-
vaglia, cavalcando un giorno con Dynadan,
incontra alcuni pastori, che, domandati dove
si possa albergare, indicano un sontuoso
palazzo; ma per entrarvi occorre vincere
in giostra i padi-oni. 1 cavalieri combat-
tono, vincono ed entrano; ma poco dopo so-
praggiungono altri due , che combattono
con Tristano e Dynadan. La pugna viene
interrotta e Tristano col suo compagno
vogliono partirsi. — Nel Guiron Guiron e
Danayn arrivano con una donzella a una
torre. Per entrarvi occorre vincere gli estra-
nei se vi sono; se non vi sono estranei si
entra, ma bisogna combattere con quelli,
che possono arrivare. Guiron e Danayn vi
trovano due cavalieri, che da loro sono
battuti e cacciati; quindi dal padrone della
torre sanno che 1' usanza el)be origine da
Uuterpandragon, che, venutovi un giorno
e trovatovi un cavaliere estraneo, non fu
438
ORLANDO FURIOSO
Tristano, et una donna in compagnia,
Liberata da lui poch'ore inante,
Che traea presa a forza un fier gigante.
85
Tristano ci arrivò che '1 sol già volto
Avea le spalle ai liti di Siviglia;
E domandò qui dentro esser raccolto,
Perché non c'è altra stanza a dieci miglia.
Ma Clodion, che molto amava, e molto
Era geloso, in somma si consiglia
Che forestier, sia chi si voglia, mentre
Ci stia la bella donna, qui non entre.
86
Poi che con lunghe et iterate preci
Non potè aver qui albergo il Cavalliero;
Or quel che far con prieghi io non ti feci,
Che '1 facci (disse), tuo mal grado, spero.
E sfidò Clodion con tutti i dieci
Che tenea appresso ; e con un grido altiero
Se gli offerse con lancia e spada in mano
Provar che discortese exs e villano;
87
Con patto, che se fa che con lo stuolo
Suo cada in terra, et ei stia in sella forte,
Ne la rocca alloggiar vuole egli solo,
E vuol gli altri serrar fuor de le porte.
Per non patir quest'onta, va il figliuolo
Del Re di Francia a rischio de la morte;
Ch'aspramente percosso cade in terra,
E cadon gli altri, e Tristan fuor li serra.
88
Entrato ne la rócca, trova quella
La qual v'ho detta a Clodion si cara,
E ch'avea, a par d'ognaltra, fatto bella
Natura, a dar bellezze cosi avara.
Con lei ragiona: intanto arde e martella
Di fuor r amante aspra passione amara :
dal padrone ospitato, perché allora il luogo
era piccolo e non bastava per due. Uut.
chiede di combattere col cavaliere estraneo,
ma ne è vinto. Il giorno appresso, partito
il suo vincitore, Unterpandragon può en-
trare e ottiene dal padrone che stabilisca la
legge ancora vigente. — Dopo narrato ciò
è imbandita a Guiron una cena; poi è man-
dato a riposare, ma agitato dall' amore non
dorme. La mattina, usciio egli e il compa-
gno, s'incontrano coi due che avean dovuto
dar loro luogo la sera avanti, e che ora si
vorrebbero vendicare; ma poi si calmano
e van tutti insieme.
85. 4. stanza, alloggio. Boccaccio, Nov.
93: « di stanza si procacciassero.
— 6. in somma si consiglia; brevemente
delibera. V. e. xxx, 49, n. 5. Il Bolza spiega
in somma cosi: dopo avervi alquanto
pensato. Ma in somm,a accenna sempre a
brevità nell' agire. I vocabolari non danno
un senso, che faccia al caso nostro.
Il qual non differisce a mandar prieghi
Al cavallier, che dar non gli la nieghi.
89 [ze,
Tristano, ancor che lei molto non prez-
Né prezzar, fuor ch'Isotta, altra potrebbe ;
Ch'altra né ch'ami vuol né che accarezze
La pozion, che già incantata bebbe;
Pur, perché vendicarsi de l'asprezze
Che Clodion gli ha usate, si vorrebbe,
Di far gran torto mi parria (gli disse)
Che tal bellezza del suo albergo uscisse.
90
E quando a Clodion dormire incresca
Solo alla frasca e compagnia domandi,
Una giovane ho meco bella e fresca,
Non però di bellezze cosi grandi.
Questa sarò contento che fuor esca,
E ch'ubbidisca a tutti i suoi comandi;
Ma la più bella, mi par dritto e giusto.
Che stia con quel di noi ch'è più robusto.
91
Escluso Clodione e mal contento.
Andò sbuffando tutta notte in volta.
Come s'a quei che ne l'alloggiamento
Dormiano ad agio, fesse egli l'ascolta;
E molto più, che del freddo e del vento.
Si dolca de la donna che gli è tolta.
La matina Tristano a cui n'encrebbe,
Gli la rendè; donde il dolor fin ebbe.
92
Perché gli disse, e lo fé' chiaro e certo.
Che qual trovolla, tal gli la rendea:
E benché degno era d'ogni onta in merto
De la discortesia ch'usata avea.
Pur contentar d'averlo allo scoperto
Fatto star tutta notte si volea:
Né l'escHsa accettò, che fosse Amore
Stato cagion di cosi grave errore;
93
Ch'Amor de' far gentile un cor villano,
89. 2. Isotta, moglie del re Marco di Cor-
novaglia.; amata da Tristano. Mentre la con-
duceva dall'Irlanda in Cornovaglia sposa • ;•
allo zio Marco, egli bevve inavvedutamente
un filtro amoroso, che la madre di lei aveva
preparato per lo sposo.
— 6. si vorrebbe ; La ragione di questo
congiuntivo la trovi nella st. 92. Vorrebbe
vendicarsi, ma finisce con un atto di gene-
rosità.
90. 2. alla frasca, a cielo "scoperto. La
N. Crusca cita la locuzione con un es. di
G. Pitti, Vita d'Ant. Giacomini: non cita
l'Ariosto.
91. 4. l'ascolta, la scolta. V. e. xxx, 51,
n. 8.
92 1. chiaro, sicuro. V. e. li, 60, n. 1.
— 3. in merto, in gastigo. Cosi Dante,
Inf. 31, 93: «Ond'egli ha cotal merto».
93. 1, Amor ecc. È il vecchio concetto
CANTO xxxn
439
E non far d'un gentil contrario effetto.
Partito che si fu di qui Tristano,
Clodion non ste' molto a mutar tetto:
Ma prima consegnò la rocca in mano
A un cavallier che molto gli era accetto,
Con patto ch'egli e chi da lui venisse,
Quest'uso in albergar sempre seguisse:
94 [sanza
Che '1 cavallier ch'abbia maggior pos-
E la donna beltà, sempre ci alloggi;
E chi vinto riraan, voti la stanza,
Dormasul prato, o altrove scendaepoggi.
E finalmente ci fé' por l'usanza
Che vedete durar fin al di d'oggi.
Or, mentre il cavallier questo dicea,
Lo scalco por la mensa fatto avea.
95
Fatto l'avea ne la gran sala porre,
Di che non era al mondo la più bella;
Indi con torchi accesi venne a tórre
Le belle donne, e le condusse in quella.
Bradamante, all'entrar, con gli occhi scor-
E similmente fa l'altra donzella; [re,
E tutte piene le superbe mura
Veggon di nobilissima pittura.
96
Di si belle figure è adorno il loco,
Che per mirarle oblian la cena quasi;
Ancor che ai corpi non bisogni poco.
Pel travaglio del di lassi rimasi;
E lo scalco si doglia, e doglia il coco.
Che i cibi lascin raffreddar nei vasi.
Pur fu chi disse: Meglio fia che voi
Pasciate prima il ventre, e gli occhi poi.
97
S'erano assisi, e porre alle vivande
Voleano man, quando il Signor s'avvide
Che l'alloggiar due donneèunerror gran-
[de:
L'una ha da star, l'altra convien che snide.
Stia la pili bella, e la men fuor si mande
Dove la pioggia bagna, e '1 vento stride.
Perché nonvi son giunte amendue a un'ora,
L'una ha a partire, e l'altra a far dimora.
98
Chiama duo vecchi, e chiama alcune sue
Donne di casa, a tal giudizio buone;
E le donzelle mira, e di lor due
Chi la più bella sia, fa paragone.
già espresso dal Guinizelli nella sua can-
zone: « A cor gentil ripara sempre amore ».
— 7. da lui venisse, discendesse da lui ; i
suol discendenti.
94. 5. finalmente; insomma, a dir breve.
— 8. scalco, (tedesco schalk, servo) il
servo che nei pranzi trincia la carne.
95. 1. Fatto ecc., fatta. Per la sconcor-
danza cfr. st. 77, n. 1, e Fornac, S. p. 310.
97. 3. è un error gr.; di fronte alla legge
stabilita: cfr. st. 6S.
Finalmente parer di tutti fue,
Ch'era più bella la figlia d'Amone ;
E non men di beltà 1' altra vincea,
Che di valore i guerrier vinti avea.
99
Alla donna d'Islanda, che non sanza
Molta sospizion stava di questo.
Il Signor disse: Che serviàn l'usanza,
Non v'ha, Donna, a parer se non onesto.
A voi convien procacciar d'altra stanza,
Quando a noi tutti è chiaro e manifesto
Che costei di bellezze e di sembianti,
Ancor ch'inculta sia, vi passa inanti.
100
Come si vede in un momento oscura
Nube salir d'umida valle al cielo,
Che la faccia che prima era si pura,
Cuopre del sol con tenebroso velo;
Cosi la Donna alla sentenzia dura
Chefuorlacacciaoveèlapioggiae'lgielo,
Cangiar si vide, e non parer più quella
Che fu pur dianzi si gioconda e bella.
101
S'impallidisce, e tutta cangia in viso;
Che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ma Bradamante con un saggio avviso,
Che per pietà non vuol che se ne vada.
Rispose: A me non par che ben deciso,
Né che ben giusto alcun giudicio cada.
Ove prima non s'oda quanto nieghi
La parte o affermi, e sue ragioni alleghi.
102
Io eh' a difender questa causa toglio,
Dico, 0 più bella o men ch'io sia di lei,
Non venni come donna qui, né voglio
Che sian di donna ora i progressi miei.
Ma chi dirà, se tutta non mi spoglio.
S'io sono 0 s'io non son quel eh' è costei^
E quel che non si sa, non si de'dii'^; '
E tanto men, quando altri n'ha a patire.
103 [me
Ben son degli altri ancor,c'hanno le chio-
Lunghe, com'io; né donne son per questo.
Se come cavallier ia stanza, o come
99. 3. serviàn, serviam, serbiamo. V. e. ix,
13, ti. 8.
— 5. procacciar d' alt. Il costrutto più
frequente è procacciarsi una cosa. Bru-
netto, Tes. : « (Lo struzzo) vasseue a pro-
cacciare di sua pastura ».
— 6. Quando; poiché. V. e. i, 18, n. 3.
101. 1. S'impallidisce. La forma riflessiva,
rara negli antichi, fu, dopo l'Ariosto, amata
dal Metastasio, dal Monti e da altri.
— 4. Che. È relativo di Bradamante.
102. 4. i progressi m.; il mio modo di pro-
cedere ; i miei atti. Cosi il Machiavelli,
Lett. 15, 88: « lu tutti i suoi progressi non
si vede cosa che offenda o che sia repren-
sibile ».
440
ORLANDO FURIOSO
Donna acquistata m'abbia, è manifesto.
Perché dunque volete darmi nome
Di donna, se di maschio è ogni mio gesto?
La legge vostra vuol che ne sian spinte
Donne da donne, e non da guerrier vinte.
104 [re,
Poniamo ancor, che, come a voi pur pa-
lo donna sia (che non però il concedo),
Ma che la mia beltà non t'osse pare
A quella di costei; non però credo
Che mi vorreste la mercé levare
Ili mia virtù, se ben di viso io cedo.
/Perder per men beltà giusto non parmi
/ Quel c'ho acquistato per virtù con l'armi.
105
E quando ancor fosse l'usanza tale.
Che chi perde in beltà, ne dovesse ire;
Io ci vorrei restare, o bene o male
Che la mia ostiuazion dovesse uscire.
Per questo, che contesa diseguale
È tra me e questa donna, vo'inferire
Che contendendo di beltà, può assai
Perdere, e meco guadagnar non mai.
106
E se guadagni e perdite non sono
In tutto pari, ingiusto è ogni partito:
Si eh' a lei per ragion, si ancor per dono
Speziai, non sia l'albergo proibito.
E s'alcuno di dir che non sia buono
E dritto il mio giudizio sarà ardito,
103. 6. gesto, opera. V. e. i, 4, n. 5.
104. 2. che. È relativo di io.
105. 3-4. bene o male... uscire; aver buono
o cattivo effetto. È locuzione non registrata
dai vocabolari.
— 7. contendendo ecc. ; se si fa questione
di beltà, essa non è in condizioni eguali con
me, perché, se è meno bella, perde per la
legge vigente, se è più bella, perde perché
io son cosi forte, da farmi ragione col bran-
do. Sicché essa non guadagnerebbe giam-
mai.
106. 3. SI ancor p. d. Bradam. aggiunge
alla ragione la preghiera.
Sarò per sostenergli a suo piacere,
Che '1 mio sia vero, e falso il suo parere.
107
La figliuola d'Amon mossa a pietade.
Che questa gentil donna debba a torto
Esser cacciata ove la pioggia cade.
Ove né tetto, ove né pure è un sporto,
Al signor de l'albergo persuade
Con i-agion molte e con parlare accorto,
Ma molto più con quel ch'ai fin concluse,
Che resti cheto, e accetti le sue scuse.
108
Qual sotto il più cocente ardore estivo,
Quando di ber più desiosa è l'erba,
Il fior ch'era vicino a restar privo
Di tutto quell'umor ch'in vita il serba,
Sente 1' amata pioggia e si fa vivo;
Cosi, poi che difesa si superba
Si vide apparecchiar la messaggiera.
Lieta e bella tornò, come prim'era.
109
La cena, stata lor buon pezzo avante.
Né ancor pur tocca, al fin godersi in festa,
Senza che più di cavalliero errante
Nuova venuta fosse lor molesta.
La goder gli altri, ma non Bradamante,
Pure, all'usanza, addolorata e mesta;
Che quel timor, che quel sosp^^tto ingiusto.
Che sempre avea nel cor, le toUea il gu-
110 [sto.
Finita ch'ella fu (che saria forse
Stata più lunga, se '1 desir non era
Di cibar gli occhi), Bradamante sorse,
E sorse appresso a lei la messaggiera.
Accennò quel Signore ad un che corse,
E prestamente allumò molta cera,
Che splender fé' la sala in ogni canto.
Quel che segui dirò ne l' altro canto.
— 8. sia. Il cong. indica che ciò è detto
secondo la mente di Brad.; quasi dica: gli
sosterrò che il mio parere, a tnio giudizio,
è vero e il suo è falso.
107. 4. sporto; una tettoia qualunque,
che ripari dalla pioggia.
CANTO XXXIII
Timagora, Parrasio, Polignoto,
1. 1. Questa descrizione del padiglione
ricorda la loggia istoriata del giardino di
Febosilla Inn. Il, xxv, '12 sgg. ; ma là il
Boiardo ritrae le glorie di quattro principi
Estensi; qui l'A. si leva più alto a senti-
menti patriottici. Inoltre il Boiardo la dice
Protogene, Timante, Apollodoro,
Apelle, più di tutti questi noto,
fatta coi mezzi naturali, per l'A. il padi-
glione è opera di demoni. In un frammento
di 84 ottave (Opere minori I, pag. 125 ed.
Polidori), che doveva tenere il luogo della
sala, Ta. aveva descritto lo scudo istoriato
d'Ullauia, ispirandosi allo scudo d'Enea. In
CANTO XXXIII
MI
E Zeusi, e gli altri ch'a quei tempi foro;
Di quai la fama (mal grado di Cloto,
Che spense i corpi e dipoi l'opre loro)
Sempre starà, fin che si legga e scriva,
Mercé de gli scrittori, al mondo viva:
2
E quei che furo a' nostri di, o sono ora,
Leonardo, Andrea Mantegna,Gian Bellino,
Duo Dossi, e quel ch'a par sculpe e colora,
Michel, più che mortale, Angel divino;
Bastiano, Rafael, Tizian ch'onora [bino;
Non men Cador, che quei Venezia e Ur-
E gli altri di cui tal l'opra si vede,
Qual de la prisca età si legge e crede;
3
Questi che noi veggiàn pittori e quelli
Che già mille e mill'anni in pregio furo,
Le cose che son state, coi pennelli
Fatt'hanno, altri sull'asse, altri sul muro.
Non pero udiste antiqui, né novelli
Vedeste mai dipingere il futuro:
E pur sì sono storie anco trovate.
Che son dipinte inanzi che siau state.
questo scudo aveva ritratto le guerre e
le devastazioni d' Italia dalla traslazione
della sede imperiale da Roma a Bisanzio ;
ma forse ritenendo quella descrizione troppo
vasta per uno scudo e troppo noiosa per il
lettore, mutò pensiero. — Timagoraecc. Tut-
ti questi son celebri pittori greci vissuti
nel IV secolo av. C.
— 5. Cloto. Qui sta per le Parche (Cloto
Lachesi Atropo) dalle quali dipendeva la
vita dei mortali. — di qnai, dei quali. V. e.
Il, 15, n. 8.
2. 2. Leonardo da Vinci (1452-1519) fu in-
gegno quasi universale; pittore eccellente
ardi di gareggiare con Michelangelo. A.
Mantegna (1431-1506) principale rappresen-
tante della scuola pittorica padovana. Gio-
vanni Bellini, detto Giamhellini (1426-1516)
fu il fondatore della vecchia scuola vene-
ziana. Doaso Dossi (1479-1512) e suo fratello
Giambattista (m. 1545) celebri pittori ferra-
resi ; specialm. il primo. Micìielangelo Buo-
narroti di Caprese presso Firenze (1475-
1564). Lazzaro Sebastiano (Bastiano); fu
pittore veneziano negligente, volle gareg-
giar con Raffaello; ebbe la protezione di
Michelangelo. Ra/faello Santi o Sanzio
d'Urbino (1483-1520) Tiziano Vecetlio di
Pieve di Cadoi-e (1477-1576).
— 3. a par; al par. Sull'omissione del-
l'art, cfr. e. II, 15, n. 8.
3. 2. già mille e m. a ; già da mille e mille
a.; già da molti anni V. e. i, 26, n. 8; xxii,
8, 48.
— 5. udiste; udiste dire che antichi di-
pingessero ecc.
t Ma di saperlo far non si dia vanto
i Pittore antico, né pittor moderno;
' E ceda pur quest'arte al solo incanto,
I Del qual trieman gli spirti de lo 'nferno.
La sala ch'io dicea ne l'altro Canto,
Merlin col libro, o fosse al lago Averuo,
O fosse sacro alle Nursine grotte.
Fece far dai demonii in una notte.
5
Quest'arte, con che i nostri antiqui fenno
Mirande prove, a nostra etade è estinta.
Ma ritornando ove aspettar mi denno
Quei che la sala hanno a veder dipinta,
Dico ch'a uno scudier fu fatto cenno.
Ch'accese i torchi: onde la notte vinta
Dal gran splendor si dileguò d'intorno;
Né pili vi si vedria, se fosse giorno.
6
Quel Signor disse lor: Vo' che sappiate
Che de le guerre, che son qui ritratte.
Fin al di d'oggi poche ne son state ;
E son prima dipinte, che sian fatte.
Chi l'ha dipinte, ancor l'ha indovinate.
Quando vittoria avran, quando disfatte
In Italia saran le genti nostre.
Potrete qui veder come si mostre.
7
Le guerre ch'i Franceschi da far hanno
Di là da l'Alpe, o bene o mal successe,
Dal tempo suo fino al millesim'anno,
4. 4. Del qual ecc. Agli incanti nou pos-
sono resistere e debbono obbedire anche a
loro dispetto i demoni.
— 7. f. sacro ; fosse stato consacrato. V.
e. III, 22. Presso il lago Averne era la grotta
della Sibilla Cumana; e in una grotta del
territorio di Norcia (lat. Nursia) si credette
nel M-E. che abitasse la stessa Sibilla dive-
nuta una fata potentissima. Si riteneva che
quivi andassero i maghi a consacrare i li-
bri degli incanti.
5. 2. è estinta. Qui l' A. scherza, e mostra
di non credere alla magia; alla quale però
si credeva ancora da molti ai tempi dell'A.
e dipoi.
— 3. a. mi denno; penso che mi aspetti-
no. Uno dei sensi comuni e ancor vivi del
verbo dovere.
6. 5. ancor; anche, inoltre: non solo le
ha dipinte, ma le ha anche indovinate.
— 6-8. Quando ecc. Costruisci: Potrete
qui veder come si mostri, potrete qui veder
dimostrato quando le genti nostre avran
vittoria ecc.
7. 3. Dal tempo suo ecc. Espressione am-
bigua, che però è dichiarata da quello che
segue, e vale: per lo spazio di mille anni
(500-1500) a cominciare dal tempo di Mer-
lino.
442
ORLANDO FURIOSO
Merlin profeta in questa sala messe;
Il qiial mandato fu dal Re Britanno
Al Franco Re ch'a Marcomir successe:
E perché lo mandassi, e perché fatto
Da Merlin fu il lavor, vi dirò a un tratto.
8
Re Fieramente, che passò primiero
Con l'esercito Franco in Gallia il Reno,
Poi che quella occupò, facea pensiero
Di porre alla superba Italia il freno.
Faceal perciò, che più '1 Romano Impero
Vedea di giorno in giorno venir meno:
E per tal causa col Britanno Arturo
Volse far lega; ch'ambi a un tempo furo.
9
Artur, ch'impresa ancor senza consiglio
Del profeta Merlin non fece mai,
Di Merlin, dico, del Demonio figlio,
Che del futuro antivedeva assai,
Per lui seppe, e saper fece il periglio
A Fieramente, a che di molti guai
Porrà sua gente, s'entra ne la terra
Ch'Apennin parte, e il mare e l'Alpe serra.
10
Merlin gli fé' veder che quasi tutti
Gii altri che poi di Francia scettro avran-
O di ferro gli eserciti distrutti, [no,
O di fame o di peste si vedranno;
E che brevi allegrezze e lunghi lutti,
— 5. dal Re Br. ; da Artù fu mandato a Fa-
ramondo.
— 7. mandassi; mandasse. V. e. ii, 40,
n. 8.
— ^. a un tratto; in uno stesso tempo.
8. 1. Fieramente; più comun.Faramondo,
figlio del capitano dei Franchi Marcomiro,
è, secondo alcune fonti, il primo re de'Fran-
chi Salii (420-427), che condusse il suo po-
polo dalla destra sulla sinistra del Reno.
È più fondata V opinione che il primo re
de' Franchi sia stato Teodeniero, ma que-
sta materia è ancora avvolta nelle tenebi'e.
— 3. facea pensiero. Tutto ciò che segue
in questa ottava è invenzione dell'A.
— 8. ambi a un tempo f. Invece Arturo è
posteriore più d'un secolo.
9. 3. del demonio figlio. Cosi vien detto
nel favoloso libro di Merlino; e nel romanzo
del Lancellot du Lac cap. I, si legge « com-
ment Merlin fut engendré dung diable ».
— 5-6. il periglio... a che di m. g. Costrui-
sci : il periglio di molti guai, a che egli
porrà sua gente ecc. È una delle inversioni
più ardite fra le molte, che si trovano nel
Furioso. Vedine altri notevoli esempi nei
e. vi, 31, 6; XIV, 51, 4; 122, 8; xv. 29, 6;
xxiii, 58, 1; XXIX, 23, 5, xxxvii, 27, 7-s ecc.
— 8. Ch'Apennin ecc. reminiscenza del
v. del Petr. « ch'Apennin parte e il mar cir-
conda e l'Alpe »,
Poco guadagno et infinito danno
Riporteran d'Italia; che non lice
Che '1 Giglio in quel terreno abbia radice.
11
Re Fieramonte gli prestò tal fede,
Ch'altrove disegnò volger l'armata:
E Merlin, che cosi la cosa vede.
Ch'abbia a venir, come se già sia stata,
Avere a prieghi di quel Re ai crede
La sala per incanto istoriata.
Ove dei Franchi ogni futuro gesto,
Come già stato sia, fa manifesto.
12
Acciò chi poi succederà, comprenda
Che, come ha d'acquistar vittoria e onore,
Qualor d'Italia la difesa prenda
Incontra ogn'altro Barbaro furore;
Cosi, s'avvien eh' a danneggiarla scenda.
Per porle il giogo e farsene signore.
Comprenda, dico, e rendasi ben certo
Ch' oltre a quei monti avrà il sepulcro a-
13 [perto.
Cosi disse; e menò le donne dove
Incomincian l'istorie: e Singiberto
Fa lor veder, che per tesor si muove,
Che gli ha Maurizio Imperatore offerto.
Ecco che scende dal monte di Giove
Nel pian dal Lambro e dal Ticino aperto.
Vedete Eutar, che non pur l'ha respinto.
Ma volto in fuga e fracassato e vinto.
14
Vedete Clodoveo, ch'a più di cento
Mila persone fa passare il monte.
10. 8. '1 Giglio. V. e. I, 16, n. 8.
11. 2. armata, esercito. L'usò prima il
Pulci, Mora. 22, 125; poi il Lippi il Fon-
TEGUERRi e altri.
— 5. a prieghi; ai pr. V. e. ii, 15, n. 8.
12. — É una stanza altamente patriottica,
che fa riscontro all'ultimo cap del Pi-in-
cipe del Machiavelli.
— 2. ha d'acquist. ; lia da acquistar, acqui-
sterà. V. e. V, 97, n. 2, e xv, 35, n. 2.
13. 2. Singiberto (535-575). Si divise coi
due fratelli il regno dei Franchi ed ebbe
l'Austrasia e alcune altre parti; ma non
scese mai in Italia; e l'A. gli attribuisce per
errore fatti, che appartengono a Childeber-
to (st. 15), che fu mosso dall' imperatoi-e
Maurizio contro i Longobardi e fu sconfìtto
da Autari (Kutari).
— 5. monte di Giove; il gran San Ber-
nardo, detto anche in francese Mont Joux,
e in lat. mons Jovis. Nell'Aspromonte è
detto monjeu (Casella).
— G. Lambro; afli. di sinistra del Po.
14. 1. Clodoveo. Qui pure l'A. sbaglia. Clo-
doveo non scese in Italia. Fu Clotario III,
che fu chiamato da Rertarido contro Gri-
moaldo, già duca di Benevento, ma allora
CANTO XXXIII
443
Vedete il Dnca là di Benevento,
Che con numer dìspar vien loro a fronte.
Ecco tìnge lasciar ralloggiamento,
E pon gli aguati: ecco, con morti et onte,
Al vin Lombardo la gente Francesca
Corre; e riraan come la lasca all'esca.
15
Ecco in Italia Childiberto quanta
Gente di Francia e capitani invia:
Né più che Clodoveo, si gloria e vanta
Ch'abbia spogliata o vinta Lombardia:
Che la spada del ciel scende con tanta
Strage de' suoi, che n'è piena ogni via,
Morti di caldo e di profluvio d'alvo;
Si che di dieci un non ne torna salvo.
16
Mostra Pipino, e mostra Carlo appresso.
Come in Italia un dopo l'altro scenda,
E v'abbia questo e quel lieto successo.
Che venuto non v'è perché l'offenda;
re dei Longob. Venne per Provenza fino ad
Asti. Grimoaldo ivi lo fermò e, stando ac-
campato, finse un pànico generale e una
fuga de' suoi, lasciando nel campo il baga-
glio e gran quantità di vini e di cibi. I Fran-
cesi si dettero a gozzovigliare e, mentre nel
fitto della notte dormivano, furon sorpresi
e pochi ne scamparono. (V. Paolo Diacono.
Historia Lanpobardorum).
— 6. con morti. Paolo Diacono nota e-
spressamente che Grimoaldo aveva menato
via tutti gli uomini (Op. cit. libr. 5, 3). Che
cosa dunque vuol dire con mprtiì e iaoUve
come si legano le due idee con morti ed
onte? Noi non possiamo riscontx-ar l'esat-
tezza della lezione, perché questo luogo
nelle altre ediz. curate dall' A. manca ; per
ciò potremmo supporvi un errore e legge-
re con miglior senso con motti ed onte.
— 8. la lasca all' esca. Paranomasia si-
mile a quelle di Dante più volte volto, canto
canta.
13. 1. Childiberto, o Childeberto II re de'
Franchi (570-596) venne più volte in Italia
per abbattere la potenza Longobarda, ec-
citato e sussidiato anche dall' imperatore
Maurizio. Autari, di cui parla la st. 13, non
lo fracassò e non lo vinse, ma prima con
doni, poi ritirandosi nelle piazze forti, lo
lasciò indugiare intorno a Modena e Par-
ma; finalmente per caldo e per dissente-
ria (profluvio d'alvo), cominciata una gran-
de mortalità fra i suoi, Childeb. se ne andò
per l'Adige.
16. 1. Pipino ecc. Pipino venne contro Astol-
fo penultimo re dei Longob., in aiuto di papa
Stefano II, Carlomaguo soccorse Adriano I
contro Desiderio (il successor) e Leone III
nelle sommosse, che gli si levaron contro
in Roma stessa (e al papa il suoonor rende).
Ma l'uno, acciò il Pastor Stefano oppresso,
L'altro Adriano, e poi Leon difenda: [de
L'un doma Aistulfo, e l'altro vince e pren-
II successore, e al Papa il suo onor rende.
17
Lor mostra appresso un giovene Pipino,
Che con sua gente par che tutto cuopra
Da le Fornaci al lito Pelestino;
E faccia con gran spesa e con lung'opra
Il ponte a Malamocco, e che vicino
Giunga a Rialto, e vi combatta sopra.
Poi fuggir sembra, e che i suoi lasci sotto
L'acque; che '1 ponte il vento e '1 mar gli
18 [ha rotto
Ecco Luigi Borgognon, che scende
Là dove par che resti vinto e preso,
E che giurar gii faccia chi lo prende.
Che pili da l'arme sue non sarà offeso.
Ecco che '1 giuramento vilipende;
Ecco di nuovo cade al laccio teso;
Ecco vi lascia gli occhi, e come talpe
Lo riportano i suoi di qua da l'Alpe.
19
Vedete un Ugo d'Arli far gran fatti,
17. I. un giovene Pipino. Secondo una tra-
dizione, della quale oggi si dubita, Pipino
tìglio di Carlomaguo e re d' Italia, volendo
[ sottometter Venezia, occupò (810) la sponda
dell' Adriatico dalle Fornaci, cioè dalla foce
del Po detta di Fossone, fino a quella parte
del Lido conosciuta adesso col nome di lit-
torale di Palesirina, che dal porto di Chiog-
gia va fino a quello di Malamocco. Poi con
un ponte di barche a Malamocco assali
j Rialto (l' isola maggioi-e di Venezia). Rot-
togli il ponte dalle burrasche, toccò una
grave sconfitta.
— 2. par. Si ricordi che si tratta di una
pittura: dunque non cuopre, ma par che
cuopra. Cosi negli altri luoghi simili.
18. 1. Luigi Borgognon. Lodovico III di
Borgogna, sceso in Italia per prenderne il
regno, fu vinto e fatto prigioniero da Beren-
gario I, che gli diede la libertà a patto che
non tornasse più in Italia: avendo esso rotto
la data fede, fu preso da Berengario, fatto
accecare e rimandato in Borgogna (905).
— 7. talpe. Ésing. come in Dante, Purg.
17, 3. La talpa ha occhi piccolissimi, spesso
coperti da una membrana palpebi'ale, ma
sente la luce e la distingue dall' oscurità ;
talvolta ha pure una apertura palpebrale.
19. 1. Ugo d'Arli. A Berengario I fu op-
posto dai partiti avversi Rodolfo II re di
Borgogna, che si fece coronar re d'Italia ;
ma morto Berengario (924), contro Rodolfo
fu chiamato Ugo conte di Provenza (d'Arli)
(925), che, temendo la rivalità di Berenga-
rio II, gh tese insidie e lo costrinse a fug-
gire alla corte di Ottone imperatore. Di là
444
ORLANDO FURIOSO
E che d'Italia caccia i Berengari;
E due 0 tre volte gli ha rotti e disfatti,
Or dagli Unni rimessi, or dai Bavàvi.
Poi da più forza è stretto di far patti
Con rinimico, e non sta in vita guari;
Né guari dopo lui vi sta l'erede,
E '1 regno intero a Berengario cede.
20
Vedete un altro Carlo che a' conforti
Del buon Pastor fuoco in Italia ha messo ;
E in due fiere battaglie ha duo Re morti,
Manfredi prima, e Coradino appresso.
Poi la sua gente, che con mille torti
Sembra tenere il nuovo regno oppresso.
Di qua e di là per la città divisa,
Vedete a un suon di vespro tutta uccisa.
21
Lor mostra poi (ma vi parea intervallo
tornò' nel 945 e trovò disposti gli animi,
aperte le porte; e «lasciando regnar di
nome Ugo e Lotario, governa egli » (Balro,
S. 104). — far gran fatti. « Fu principe tristis-
simo per costumi e pessime arti, ma ebbe
larghe vedute e mano molto vigorosa nel
governo d'Italia» (Canti;, S. ^. voi. 5, 166).
— 2. caccia i Berengari. Qui l'A. confonde
il primo e il secondo Berengario. Ugo non
ebbe che fare col primo, che era già morto-
quando egli venne in Italia, e non cacciò
ma, insidiandolo, fece che fuggisse d' Italia
Kereng. II.
— 3. E due 0 tre volte ecc. Continua la
confusione. Berengario II una sola volta
venne contro Ugo e non fu disfatto.
— 4. Unni... Bavari. Le soldatesche degli
imperatori tedeschi Arnolfo e ottone, dei
quali r uno favori Bereug. I, l' altro Be-
reng. II.
— 5. Poi da pili forza ecc. Alla dieta che
si tenne in Milano in favore di Bereug. II
(945), Ugo si contentò di mandare il tiglio
Lottarlo a implorare per sé il regno : dopo
due anni ritornò in Provenza, raccoman-
dando a Berengario il giovine re suo figlio,
e mori nel 947. Poco dopo mori Lottario,
forse fatto avvelenare da Berengario, che
aspettava il regno d' Itaha.
— s. cede; passa; latinismo, icedit). che
la Nuova Crusca non cita.
20. 1. nn altro Carlo. Carlo d'Angiò chia-
mato da Clemente IV (detto per ironia il
buon pastore) ruppe a Benevento Manfredi,
a Tagliacozzo Corradino (che non fu ucciso
in battagha, ma preso a tradimento e deca-
pitato a Napoli). Divenne re di Napoli e di
Sicilia (1266-1282). Colla rivoluzione del Ve-
spro (1282) fu cacciato dalla Sicilia.
— 7. divisa; dispersa (la sua gente) dalla
rivoluzione del Vespro Siciliano.
21. 1. vi parea, vi appariva. Dante, Inf. 18^
117: « Che non parea s'era laico o cherco ».
Di molti e molti, non ch'anni, ma lustri)
Scender dai monti un capitano Gallo,
E romper guerra ai gran Visconti illustri;
E con gente Francesca a pie e a cavallo
Par ch'Alessandria intorno cinga e lustri ;
E che '1 Duca il presidio dentro posto,
E fuor abbia l'agnato un po' discosto;
22
E la gente di Francia mal accorta,
Tratta con arte ove la rete è tesa.
Col conte Armeniàco, la cui scorta
L'avea condotta all'infelice impresa.
Giaccia per tutta la campagna morta.
Parte sia tratta in Alessandria presa:
E di sangue non men che d'acqua grosso,
Il Tanaro si vede il Po far rosso.
2.3
Un, detto della Marca, e tre Angioini
Mostra l'un dopo l'altro, e dice: Questi
— 3. nn e. Gallo; il conte d'Armagnac
(detto dai cronisti latini Armeniacus). Chia-
mato da' Fiorentini, guerreggiò contro G.
Galeazzo visconti. Mentre era all' assedio
di Castellazzo, pensò d'andare con un pugno
d'armati a riconoscere Alessandria e a pro-
vocare il presidio per trarlo fuori, dispei-an-
do altrimenti d' espugnare la città fortissi-
ma ; ma appunto sotto .Aless. fu rotto e uc-
ciso (1391) dal capitano di ventura Jacopo
Dal Verme al soldo dei Visconti.
— 4. gran Visconti illustri. Giangaleazzo
fu tristissimo principe, ma fece fiorire le
finanze, fu splendido nelle feste, favori
lettere e arti, fu amico degli Estensi ; l'A.
n'avea abbastanza per chiamarlo grande e
illustre.
— 6. lustri; vada perlustrando; osser-
vando. Latinismo usato in altro senso nel
canto III, 2. 3.
— 7. '1 Duca. C è anacronismo, parchi^
Gian Galeazzo ottenne il titolo di duca solo
nel 1395: inoltre non era il Visconti in Ales-
sandria; ma le sue milizie.
— 8. 1' agnato. Il Dal Verme fece appo-
stare segretamente 300 lance scelte, che do-
veano riuscire ai fianchi e alle spalle dei
nemici: quando egli ebbe assaliti i Francesi
e li ebbe stancati in battaglia, questi armati
freschi piombarono loro addosso e li fini-
rono (V. AMMIRATO, St. fior. 3).
23. 1. Un detto ecc. Giacomo di Borbone,
conte delle Marche, fu sposato dalla regina
di Napoli Giovanna II (1415); volendo essere
re di fatto e non di nome, suscitò malumori
e dovè fuggire in un monastero. — tre An-
gioini. Poco dopo, invitato da un geloso fa-
vorito della regina, venne Luigi III d'Angiò
(1417); ma fu sconfitto: pretesero pure al
regno di Napoli suo fratello Renato e il
figlio di questi Giovanni, ma furono sopraf-
fatti da Alfonso e da Ferdinando d'Aragona.
CANTO XXXIII
445
À Bruci, a Dauni, a Marsi, a Salentiui
Vedete come son spesso molesti.
Ma né de' Franchi vai né de'Latini
Aiuto si, ch'alcun di lor vi resti:
Ecco li caccia fuor del regno, quante
Volte vi vanno, Alfonso, e poi Ferrante.
24
Vedete Carlo ottavo, che discende
Da l'Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia ;
Che passa il Liri e tutto '1 regno prende
Senza mai stringer spada o abbassar lan-
[cia,
Fuor che lo scoglio ch'a Tifeo si stende
Hu le braccia, sul petto e sulla pancia;
Che del buon sangue d'Avalo al contrasto
La virtù trova d' Inico del Vasto.
25
Il Signor della rócca, che venia
Quest'istoria additando a Bradamante,
Mostrato che l'ebbe Ischia, disse: Pria
Ch'a vedere altro più vi meni avante,
10 vi dirò quel ch'a me dir solia
11 bisavolo mio, quand'io era infante,
E quel che similmente mi dicea
Che da suo padre udito anch'esso avea,
— :ì. Bruci; Bruzzi, popoli della Calabria ;
Dauni, pop. della Puglia ; Marsi, pop. dell'A-
bruzzo; Salentiui, pop. della Terra d'Otran-
to. Sono nomi antichi, che l'A. pone per
significare tutto il Napoletano.
— 5. de' Latini, degli Italiani parteggianti
pei Francesi. Cosi Dante, Inf. xxii, 65:
« Conosci tu alcun che sia latino^.-».
24. 3. Liri, fiume che bagna le Provincie
di Aquila, Roma, Caserta: nell'ultima parte
prende il nome di Garigliano.
— 4. Senza mai ecc. È noto che Carlo Vili
conquistò l'Italia senza colpo ferire. (V.
Guicciardini, S. /. lib. II).
— 5. Fuor che lo scoglio ecc. Ferdinando,
a cui il padre Alfonso avea rinunziato il
regno, tradito dai sudditi, che bramavano
i Francesi, e da Gianiacopo Trivulzio che
passò dalla loro parte, si riparò nell'isola
d'Ischia con pochi fidati; Carlo VIII non
riusci ad espugnare questo scoglio difeso
mirabilmente da Inico d'Avalos marchese
del Vasto, che ne era a guardia (1525) (Guic-
ciARD. S. /. lib. II, 2). — La favola antica
diceva che sotto lo scoglio d' Ischia fosse
sepolto Tifeo gigante, che fece guerra a
Giove; alla quale fantasia dettero origine i
fenomeni vulcanici dell' Isola.
— 7-8. Che ecc.; poiché trova al contra-
sto, gli resiste, la virtù d' Inico del Vasto,
del buon sangue d'Avalo. Avverti l'inver-
sione strana.
25. 7. similmente; Modifica anch'esso ave-
va udito.
2(j
E '1 padre suo da un altro, o padre o
Avolo, e l'un da l'altro, sin a quello [fosse
Ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse,
Che l'imagini fé' senza pennello.
Che qui vedete bianche, azzurre e rosse;
Udi che, quando al Re mostrò il castello
Ch'or mostro a voi su quest'altiero scoglio,
Gli disse quel ch'a voi riferir voglio.
27
Udi che gli dicea ch'in questo loco
Di quel buon cavallier che lo difende
Con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco
Che d'ognintorno e sino al faro incende,
Nascer debbe in quei tempi, o dopo poco
(E ben gli disse l'anno e le calende)
Un cavalliero a cui sarà secondo
Ogu' altro che sin qui sia stato al mondo.
28
Non fu Nireo si bel, non si eccellente
Di forze Achille, e non si ardito Ulisse,
Non si veloce Lada, non prudente
Nestor, che tanto seppe e tanto visse,
Non tanto liberal, tanto clemente,
L'antica fama Cesare descrisse;
Che verso l'uom, ch'in Ischia nascer deve,
Non abbia ogni lor vanto a restar lieve.
' 29
E se si gloriò l'antiqua Creta,
Quando il nipote in lei nacque di Celo,
26. G. Odi. Il Soggetto è quello {ch'a udir-
lo da quel proprio ritrovosse) del v. 3.
27. 2. Di quel buon cavallier. Da Inico nac-
que Alfonso marchese del Vasto; su cui
vedi le note delle st. 28 e 2V' e. xv, e i grandi
elogi, che fan di lui altri letterati, in Tira-
boschi, Istor. lett. VII, 77-79.
— 3. fuoco ; la guerra che ardeva in tutto
il Napoletano.
— 5. in quei tempi ecc. Nacque nel 1503
e mori nel 1546.
— 7. sarà secondo ecc. Il Giovio, Et. Vir.
bello ili. 335, dice di lui: « Idem mortali uni
foìinosissimef ei foi-tissime ducimi, qui
cunctos saeeuli nostri triiiìnphales du-
ces magnitudine animi et perpetuo libera-
litatis splendore superasti ».
— 6. le calende; il mese: è esempio forse
unico. I nostri antichi lo usarono più volte
in senso latino per il primo del mese.
28. 1. Nireo. Il più bello di tutti i Greci
dopo Achille (lliad. 1. ii). V. la nota pre-
cedente.
— 3. Lada, veloce corriere di Alessandro
Magno (Catullo carme 55).
— 5. liberal ... clemente. È noto che Ce-
sare fece larghi donativi ai soldati e ai cit-
tadini poveri, e perdonò a tutti i suoi ne-
mici.
29. 2. il nip. di Celo. Giove figlio di Sa-
446
ORLANDO FURIOSO
Se Tebe fece Ercole e Bacco lieta,
Se si vantò dei duo gemelli Delo;
Né questa isola avrà da starsi cheta,
Che uon s'esalti, e non si levi in cielo.
Quando nascerà in lei quel gran Marchese
Ch'avrà si d'ogni grazia il ciel cortese.
30
Merlin gli disse, e replicogli spesso.
Ch'era serbato a nascere all'etade,
Che più il Romano Imperio saria oppresso,
Acciò per lui tornasse in libertade.
Ma perché alcuno de' suoi gesti appresso
Vi mostrerò, predirli non accade.
Cosi disse; e tornò all'istoria, dove
Di Carlo si vedean l'inclite prove.
31
Ecco (dicea) si pente Ludovico
D'aver fatto in Italia venir Carlo ;
Che sol per travagliar l'emulo antico
Chiamato ve l'avea, non per cacciarlo:
E se gli scuopre al ritornar nimico
Con Veneziani in lega, e vuol pigliarlo.
Ecco la lancia il Re animoso abbassa,
Apre la strada, e, lor mal grado, passa.
32
Ma la sua gente ch'a difesa resta
Del nuovo regno, ha ben contraria sorte;
Che Ferrante, con l'opra che gli presta
turno e nipote di Urano o Celo, nacque in
Creta.
— 4. duo gemelli. Apollo e Diana nati in
Delo da Latona.
— 5. Né, neppure. V. e. ii, ■11, n. 4. —
cheta, che non s' esalti ; quieta senza esal-
tarsi, quieta si che non si esalti, che non
levi al cielo la propria gloria.
30. 3. il Romano Imperio ecc. L'impero
da Carlo Magno in poi si appellò sempre
romano e anche sacro! — oppresso; gra-
vato; specialmente dalle lotte lunghe e dif-
fìcili con Francesco I, alle quali il poeta
allude certamente anche per dar risalto al
re Francese, il cui valore e le cui virtù
principesche ammirava. V. st. '18, segg.
— 6. non accade, non importa.
31. 1. Ludovico: il Moro, che aveva. chia-
mato Carlo vili in Italia.
— 3. l'emulo antico ; il re di Napoli, che
volea travagliato non cacciato dal regno ; e
meno ancora che vi si stabilissero i Fran-
cesi.
— 8. Apre la strada. Accenna alla batta-
taglia di Fornovo, dove Carlo Vili con ar-
dimento e astuzia passò fra l'esercito della
Lega.
32. 3. Ferrante. Ferdinando II coli' aiuto
del marchese di Mantova, G. Francesco
Gonzaga, e dei Veneziani, batté ad Atella i
F'rancesi rimasti nel Napoletano, e coman-
dati da Montpensier.
Il Signor Mantuan, torna si forte,
Ch'in pochi mesi non ne lascia testa,
O in terra o in mar, che non sia messa a
[morte:
Poi per un uom che gli è conf raude estinto.
Non par che senta il gaudio d'aver vinto.
33
Cosi dicendo, mostragli il Marchese
Alfonso di Pescara, e dice: Dopo
Che costui comparito in mille imprese
Sarà più risplendente che piropo.
Ecco qui ne l'insidie che gli ha tese
Con un trattato doppio il rio Etiòpo,
Come scannato di saetta cade
Il miglior cavallier di quella etade.
34
Poi mostra ove il duodecimo Luigi
Passa con scorta italiana i monti ;
E, svelto il Moro, pon la Fiordaligi
Nel fecondo terren già de' Visconti:
Indi manda sua gente pei vestigi
— 7. per nn nom; Alfonso d'Avalos, padre
del celebre marchese di Pescara; il quale
corruppe un moro, (il rio Etiopo) perché
introducesse gli Aragonesi nel Castel Nuovo
di Napoli tenuto dai Francesi : ma il moro
patteggiò anche con questi (con un trattato
doppio) ; e, fatto venire una notte a parla-
mento il march. Alfonso, lo uccise con una
freccia nella gola.
34. 1. Poi mostra ecc. dopo Carlo Vili,
Luigi XII e le sue imprese a danno dell'Ita-
lia. Volle riprendere il milanese al Moro e,
cattivatasi l'amicizia dei Veneziani e del
Papa, scese con un esercito condotto da
Gianiacopo Trivulzio (scorta italiana) e vinse
il Moro, che fuggi in Germania (1199). Mi-
lano avrebbe potuto resistere, se non vi era
il tradimento, di cui alla st. 36.
— 3. svelto il Moro. Il Moro aveva nello
stemma un gelso o moro : di qui l'imma-
gine. — Fiordaligi V. e. xiv, 8.
— 5. Indi manda ecc. Luigi XII per toglier-
si il regno di Napoli tramò una frode con
Ferdinando il Cattolico, il quale doveva fin-
gere di sostenere il re di Napoli Federigo II;
poi, giunti i Francesi, insieme combatterlo.
Cosi fecero. Ma dopo poco tempo i due tra-
ditori non andarono d'accordo e i Francesi
furon battuti da Consalvo di Cordova prima
a Seminara e alla Cirignola (Puglia), poi
sul Garigliano (1503). Avverti che qui, trat-
tandosi di pitture, non abbiamo la conti-
nuità della storia, ma quadri dei fatti prin-
cipali. Quivi dunque si vedevano i Francesi
al Garigliano (1503) intenti a gettareil ponte
e passare (GuicciARDrar, S. I. lib. 0 cap. 2),
mentre Cousalvo si opponeva: e un altro
quadro appresso rappresentava la disfatta
che ebbero i Francesi stessi su quel fiume,
I
CANTO XXXIII
447
Di Carlo, a far sul Garigliano i ponti;
La quale appresso andar rotta e dispersa
Si vede, e morta, e nel fiume suramersa.
35
Vedete in Puglia non minor macello
De l'esercito Franco in fuga volto;
E Consalvo Ferrante Ispano è quello
Che due volte alla trappola l'ha colto.
E come qui turbato, cosi bello
Mostra Fortuna al re Luigi il volto
Nel ricco pian che, fin dove Adria stride,
Tra l'Apennino e l'Alpe il Po divide.
36
Cosi dicendo, sé stesso riprende [to;
Che quel ch'avea a dir prima, abbia lascia-
E torna a dietro, e mostra uno che vende
Il Castel che '1 Signor suo gli avea dato:
Mostra il perfido Svizzero che prende
Colui ch'a sua difesa l' ha assoldato;
Le quai due cose senza abbassar lancia,
Han dato la vittoria al Re di Francia.
37
Poi mostra Cesar Borgia col favore
Di questo Re farsi in Italia grande;
Ch'ogni baron di Roma, ogni Signore
Suggietto a lei par ch'in esilio raande.
Poi mostra il Re che di Bologna fuore
Leva la Sega, e vi fa entrar le Giande,
Poi come volge i Genovesi in fuga
Fatti ribelli e la città suggiuga.
38
Vedete (dice poi) di gente morta
Coperta in Giaradadda la campagna.
Par ch'apra ogni cittade al Re la porta,
E che Venezia appena vi rimagna.
Vedete come al Papa non comporta
Che, passati ì confini di Romagna,
Modana al duca di Ferrara toglia;
Né qui si fermi, e '1 resto tòr gli voglia:
39
E fa all' incontro a lui Bologna tórre;
Che v'entra la Bentivola famiglia.
Vedete il campo de' Francesi porre
A sacco Brescia, poi che la ripiglia;
E quasi a un tempo Felsina soccorre.
mentre cercavano di passarlo per recare
aiuti in Napoli. La disfatta toccata in Pu-
glia, e che precedette quella del Garigliano,
era rappresentata in un altro quadi'o li
presso.
35. 5. E come qui ecc. Dice, ili generale,
che, mentre nell' impresa di Napoli Luigi Xlf
fu sfortunato, fu invece assai fortunato nel
Milanese <nella ricca pianura del Po, com-
presa fra l'Appennino l'Alpe e l'Adriatico).
36. — Questa stanza parla di fatti, che
sono antecedenti alla presa del Napoletano
e si riferiscono alla conquista del Milanese,
di cui alla st. 31.
— 3. nno che vende. Bernardino da Corte,
che cedette, per oro, ai Francesi il castello
di Milano.
— 5. il perfido Svizzero. Lodovico il Moro
nel 1500 ritornò di Germania, e con merce-
nari Svizzeri tentò di riconquistare il du-
cato, ma i suoi soldati, col pretesto di non
voler battersi contro altri Svizzeri tenuti
dai Francesi, lo tradirouo e lo consegnarono
al nemico.
37. 1. Cesare Borgia, ebbe da Luigi XII il
titolo di duca e aiuti a levar di mezzo i
signorotti, che teuevan parte dello Stato
pontificio (Baron di Roma).
— 4. a lei, a Roma.
— 0. Leva la Sega. Il re di Francia dette
aiuto a papa Giulio II per cacciare da Bo-
logna i Bentivoglio (1506) (che aveano nel-
1' arme una sega) e stabilirvi l'autorità pa-
pale (una quercia con ghiande d'oro era
nello stemma di Giulio II Della Rovere).
— 7. 1 Genovesi ; prima sojjgètti agli Sfor-
za, passano, colla conquista di Milano, sotto
i Francesi; pur reggendosi a repubblica.
Ma le discordie fra nobili e popolo spin-
sero le cose al punto, che questo si sollevò,
chiese aiuti al papa, e elesse a suo capo un
tal Paolo da Novi. Luigi XII accorse e colle
armi sottomise la città (1507).
38. 2. Giaradadda ; paese fra l' Adda e
roglio; vi avvenne la famosa battaglia d'A-
gnadello dei Francesi contro i Veneziani
(U maggio 1509).
— 5. non comporta; non permette. Il sog-
getto è il re di Fr. Dante, Par. 25, 63:
« E la grazia di Dio ciò gli comporti ». È
vivo ancora. — Papa Giulio II, ostilissimo al
j duca di Ferrara, aveagli tolto i suoi pos-
sessi di Romagna (1510), poi Carpi, Modena
i (18 ag. 1510) e altre terre, e si avviava alla
I conquista di Ferrara. I Francesi aiutarono
! il duca prima debolmente, poi, comandati
I dal Trivulzio, più efiìcacemente: ritolsero al
I papa molte terre e anche Bologna, dove ri-
i misero i Bentivogli (22 maggio 1511); Mode-
! na fu data in deposito all' Imperatore, che
! più tardi la restituì al duca di Ferrara.
I — 8. Né q. s. f. Questo verso è legato un
i po' liberamente a quel che precede. Inten-
di : gli vieta che non si fermi qui ; cioè di
continuare i suoi progetti e di torgli il re-
sto, come era sua intenzione.
39. 4. A sacco Brescia. Brescia si era ribel-
lata ai Francesi per le loro prepotenze: ma
fu da loro presa e messa a sacco (1512,
18 febbr.).
j — - 5. Felsina. Fu il primitivo nome di
{ questa città etrusca; che poi. sembra dai
! Galli Boi, fu detta Bononia, Bologna. —
! « Ricuperata Brescia... (Gastone di Fois) de-
! liberò d'andare contro all'esercito de'colle-
448
ORLANDO FURIOSO
E '1 campo Ecclesiastico scompiglia:
E l'uno e l'altro poi nei luoghi bassi •
Par si riduca del lito de' Chiassi.
40 [grossa
Di qua la Francia, e di là il campo in-
La gente Ispana; e la battaglia è grande.
Cader si vede, e far la terra rossa
La gente d'arme in amendua le bande.
Piena di sangue uman pare ogni fossa:
Marte sta in dubbio u' la vittoria maude.
Per virtù d'un Alfonso alfin si vede
Che resta il Franco e che l' Ispano cede;
41
E che Ravenna saccheggiata resta:
Si morde il Papa per dolor le labbia,
E fa da' monti a guisa di tempesta.
Scendere in fretta una Tedesca rabbia.
Ch'ogni Francese, senza mai far testa,
Di qua da l'Alpe par che cacciat' abbia,
E che posto un rampollo abbia del Moro
Nel giardino, onde svelse i Gigli d'oro.
42
Ecco torna il Francese: eccolo rotto
Da l'infedele Elvezio ch'in suo aiuto
Con troppo rischio ha il giovine condotto,
Del quale il padre avea preso e venduto.
Vedete poi l'esercito, che sotto
La ruota di Fortuna era caduto.
Creato il novo Re, che si prepara
De l'onta vendicar, ch'ebbe a Novara:
I 43
ì E con migliore auspizio ecco ritorna.
I Vedete il re Francesco inanzi a tutti.
Che cosi rompe a' Svizzeri le corna.
Che poco resta a non gli aver distrutti:
Si che '1 titolo mai più non gli adorna,
j Ch'usurpato s'avran quei villan brutti,
Che domator de' Principi e difesa
Si nomeran de la Cristiana Chiesa.
j 44
} Ecco, mal grado de la lega, prende
Milano, e accorda il giovene Sforzesco.
j Ecco Borbou che la città difende
Pel Re di Francia dal furor Tedesco.
i Eccovi poi, che, mentre altrove attende
i Ad altre magne imprese il Re Francesco,
; Né sa quanta superbia e crudeltade
Usino i suoi, gli è tolta la cittade.
45
Ecco un altro Francesco eh' assimiglia
Di virtù all'avo, e non di nome solo;
gali, il quale partendosi dalle mura di Bo-
logna, si era fermato nel Bolognese » Guic-
ciardini S. I. lib. 10, e. 4.
— 7. E l'uno e l'altro: i Francesi e i pon-
tifici con gli Spaguuoli si ridussero poi a
Chiassi o Classe presso Ravenna, dove se-
gui la famosa battaglia (11 aprile 1512).
40 7. Per virtii d'un Alf. V. e. XIV, 3, n.
4, 5, 6,
41. 4. una Tedesca rabbia; un esercito di
Svizzeri condotti dal cardinale di Sion, i
quali cacciarono i Francesi dalla Lombar-
dia e vi ristabilirono Massimiliano Sforza,
figliuolo di Lodovico (1512 giugno). L'astrat-
to rabbia per gente rabbiosa usò già Dante,
Purff, XI, 113: «La rabbia fiorentina, che
superba Fu a quel tempo si com'era è
putta ». E forse e' è un ricordo della tede-
scarabbia del Petrarca, Canz. Italia mia.
42. 1. Ecco ecc. I Francesi tornano, con-
dotti dal La Tremouille e dal Trivulzio, ma
son battuti dagli Svizzeri a Novara (1513,
C giugno). Il giovane che conduce al suo
soldo trli Svizzeri è Massimiliano Sforza.
— 7. il novo re ; Francesco I (eletto re
nel 1515) vince a Marignaiio gli Svizzeri
(14 sett. 1515), e vendica la sconfitta toccata
a Novara dai Francesi.
— 5-8. l'esercito ecc. Vedete 1' esercito,
che era caduto s. 1. r. d. fort., vedetelo che
sì prepara, creato il nuovo re, a vendicarsi
de l'onta ecc. Vendicare per vendicarsi
l'abbiamo auche nel e. xlv, 16, 4. Non ci-
tasi dai vocabolari quest' uso notevole.
43. 5. '1 titolo ecc. Gli Svizzeri portavano
allora scritto nel loro gonfalone: Domato-
res princiiJUtn. Amatores iustitiae. Defen-
sores Sanctae Romanae Ecclesiae (.Mura-
tori ; Ann. ad ann.).
44. 1. Ecco ecc. Francesco I, vinti gii
Svizzeri a Marignano, entrò in Milano; e
lo Sforza dovette capitolare e rinunziare
ai suoi Stati (accorda la presa di Milano)
in favore del re di Francia, cui non avea
potuto resistere l'esercito della Lega (Papa,
Imperatore, Firenze, Ferd. d'Aragona).
— 3. Ecco Borbon, Dopo Marignano, ai
primi del 1516, Francesco ritornò in Fran-
cia, lasciando suo luogotenente a Milano il
duca Carlo di Borbone. Intanto per ripren-
dere il Milanese venne (1516) l'imperatore
Massimiliano, a cui il Borbone resistette;
sicché l'imperatore, avendo rinunziato al-
l'impresa, se ne tornò in patria.
— 5. altrove attende. Nel 1521 gli impe-
riali aveano portato le armi in Francia
stessa, dove il re era perciò trattenuto;
inoltre era minacciato da Enrico Vili d'In-
ghilterra.
— 8. gli è tolta la e. ; dalle armi impe-
riali e pontificie collegate (1521). I milanesi
stanchi del mal governo francese (super-
bia e crudeltate) contribuirono a questa
vittoria dei collegati e al ristabilimento della
casa Sforza.
45. 1. Francesco II Sforza, figlio di Lodo-
vico il Moro e nipote del grande France-
sco, che di capitano di ventura divenne
duca di Milano. Mentre il Lautrec era an-
CANTO XXXIII
449
Che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia
Col favor de la Chiesa il patrio suolo.
Francia anco torna, ma ritien la briglia,
Né scorre Italia, come suole, a volo;
Che '1 buon Duca di Mantua sul Ticino,
Le chiude il passo, e le taglia il camino.
46
Federico, ch'ancor non ha la guancia
De' primi fiori sparsa, si fa degno
Di gloria eterna, ch'abbia con la lancia.
Ma più con diligeuzia e con ingegno,
Pavia difesa dal furor di Francia,
E del Leon del mar rotto il disegno.
Vedete duo Marchesi, ambi terrore
Di nostre genti, ambi d'Italia onore;
47
Ambi d'un sangue, ambi in un nido nati.
Di quel Marchese Alfonso il primo è figlio,
Il qual tratto dal Negro negli aguati
Vedeste il teiTen far di sé vermiglio.
Vedete quante volte son cacciati
Cora intorno a ]SIilano e a Pavia per rito-
gliersi queste città perdute l'anno prece-
dente, Fr. Sforza, sostenuto dalle armi dei
collegati, rientrò in Milano. Il popolo ne fece
gran festa, ma più papa Leone, che ordinò
perfino grandi feste in Roma. (V. Murat.
A7in.).
— 3. fatto uscirne. Veramente erano già
usciti, ma tenevano assediata Milano per
riconquistarla. — fatto; e. ix, 32, n. 1.
— 5. torna; torna indietro per fuggire,
come avea fatto altre volte; ma questa
volta trovò un impedimento a Pavia, dove
teneva forte guarnigione il Marchese di
Mantova.
— 7. buon duca di M. Federigo II Gonzaga,
il primo che portò il titolo di duca, confe-
ritogli da Carlo V nel 1530, fu protettore di
letterati e artisti e gran capitano. Nel 1522,
quando avea 22 anni, sostenne con grande
accorgimento e valore la fortezza di Pavia
contro il Lautreo e contro i Veneziani al-
leati dei Francesi.
46. 2. si fa degno: è stimato degno. In-
terpretando cosi è chiaro il seguente con-
giuntivo: che abbia, perché abbia; il quale
indica clie questo fatto d' armi è, nella mente
dei suoi estimatori, fondamento della gloria
del Gonzaga.
— 6. del Leon del mar; di Venezia poten-
tissima in mare, e alleata, in questa guerra,
con Francia.
— 7. duo Marchesi. Il Marchese del Vasto
e il Marchese di Pescara, cugini, si segna-
larono spesso in queste guerre, special-
mente alla Bicocca, e a Pavia, contribuendo
alla vittoria degli imperiali.
47. 3. dal Negro. V. st. 35.
D'Italia i Franchi pel costui consiglio.
L'altro di si benigno e lieto aspetto
Il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto.
48
Questo è il buon cavallier di cui dicea,
Quando l'isola d'Ischia vi mostrai,
Che già profetizzando detto avea
Merlino a Fieramonte cose assai:
Che differire a nascere dovea
Nel tempo che d'aiuto più che mai
L'afflitta Italia, la Chiesa e l'Impero
Contra ai barbari insulti avria mistiero.
49
Costai dietro al cugin suo di Pescara
Con l'auspicio di Prosper Colonnese,
Vedete come la Bicocca cara
Fa parere all'Elvezio e più al Francese.
Ecco di nuovo Francia si prepara
Di ristaurar le mal successe imprese.
Scende il re con un campo in Lombardia;
Un altro, per pigliar Napoli, invia.
50
Ma quella che di noi fa, come il vento
D'arida polve, che l'aggira in volta.
La leva fin al cielo, e in un momento
A terra la ricaccia, onde l'ha tolta;
Fa ch'intorno a Pavia crede di cento
Mila persone aver fatto raccolta
Il Re, che mira a quel che di man gli esce,
Non se la gente sua si scema o cresce.
51
Cosi per colpa de' ministri avari,
E per bontà del Re che se ne fida.
Sotto l'insegne si raccoglion rari,
— 6. pel costui cousiglio ; per iì suo ac-
corgimento in guerra. Infatti contribuì più
volte alla disfatta dei Francesi.
49. 3. la Bicocca. Castello a tre miglia da
Milano; dove Prospero Colonna comandante
degli imperiali si era fortificato e dove ruppe
i Francesi comandati dal Lautrec, e gli Sviz-
zeri. Si dice che 3000 di questi restassero
sul campo e altrettanti Francesi (22 aprile
1522).
— 7. Scende il re. Francesco I, volendo ri-
prendere il Milanese, viene con un forte
esercito (1524) e ne manda una parte, sotto
il comando del Duca d'Albania, alla conqui-
sta del regno di \apoli.
50. 1. Ma quella, la fortuna.
— 7. quel che di man ecc. « Il re France-
sco nella Certosa di Pavia attendendo so-
lamente a vani piaceri e divertimenti senza
curarsi di assistere alle rassegne dei solda-
ti, si credeva d'avere un gran numero di
combattenti, e veramente li pagava, come
se li avesse ; ma per negligenza dei mini-
stri e frode dei capitani, mancanti di molto
eran tutte le compagnie» ( Ml"r.at., Ann.
ad ann.).
AUJOSTO
L'a
450
ORLANDO FURIOSO
Quando la notte il campo all'arme grida,
Che si vede assalir dentro i ripari
Dal sagace Spagnuol, che con la guida
Di duo del sangue d'Avalo ardiria
Farsi nel Cielo e ne lo 'nferno via.
52
Vedete il meglio de la nobiltade
Di tutta Francia alla campagna estinto.
Vedete quante lance e quante spade
Han d'ognintorno il Re animoso cinto :
Vedete che '1 destrier sotto gli cade;
Né per questo si rende, o chiama vinto-,
Ben ch'a lui solo attenda, a lui sol corra
Lo stuol nimico, e non è chi '1 soccorra.
53
Il Re gagliardo si difende a piede,
E tutto de l'ostil sangue si bagna:
Ma virtù al fine a troppa forza cede.
Ecco il Re preso, et eccolo in Ispagna:
Et a quel di Pescara dar si vede,
Et a chi mai da lui non si scompagna,
A quel del Vasto, le prime corone
Del campo rotto e del gran Re prigione.
54
Rotto a Pavia l'un campo e l'altro ch'era,
Per dar travaglio a Napoli, in camino.
Restar si vede, come, se la cera
Gli manca o l'olio, resta il lumicino.
Ecco che '1 Re ne la prigione Ibera
Lascia i figliuoli, e torna al suo domino:
Ecco la a un tempo egli in Italia guerra;
Ecco altri la fa a lui ne la sua terra.
51. 6. con la guida ecc. Nella battaglia di
Pavia (24 febbr. 1525) il Marchese di Pescara
fu veramente l'Achille dell'armata cesarea;
e fu coadiuvato dal cugino Alfonso.
53. 1. il re gagliardo. Frano. I fece vera-
mente prodigi di valore in quella battaglia.
54. 1. l'altro, che era giunto nello Stato
romano, avvenuto il disastro di Pavia, si
sciolse e il Duca d'Albania tornò in Francia.
— 6. Lascia i figlinoli. Francesco I fu li-
berato da Carlo V, sotto alcuni patti, per
il cui mantenimento dette ostaggi due dei
suoi figliuoli.
—1 8. altri ecc. Non trovo a chi l'A. vo-
glia determinatamente alludere. Alcuni in-
tendono Arrigo viri di Inghilterra, ma egli
in questo tempo (1525-1528) fu amico colle-
gato di Francesco I (Hume, St. d'ingh. V,
cap. 30). Né altre molestie ebbe la Francia ;
anzi il re si dette, trascurando gli atTari,
ai sollazzi e ai piaceri. Se non vi è una
inesattezza, condonabile al cumulo e alla
confusione degli avvenimenti in ([uesto pe-
riodo, si potrebbe intendere della guerra
morale che Carlo V faceva a Francesco I,
intimandogli il mantenimento del trattato
di Madrid, mentre invece il re di Francia
si univa alla Santa Lega contro la Spagna, |
' 55
Vedete gli omicidii e le rapine
In ogni parte far Roma dolente;
\ E con incendi e stupri le divine
I E le profane cose ire ugualmente.
! Il campo de la Lega le mine
' Mira d'appresso, e '1 pianto e '1 grido sente,
E dove ir dovria innanzi, torna in dietro,
I E prender lascia il successor di Pietro.
I 56
! Manda Lotrecco i I Re con nuove squadre
j Non più per fare in Lombardia l'impresa.
Ma per levar de le mani empie e ladre
11 capo e l'altre membra de la Chiesa;
Che tarda si, che trova al Santo Padre
Non esser più la libertà contesa.
Assedia la cittade ove sepolta
E la Sirena, e tutto il regno volta.
57
Ecco l'armata imperiai si scioglie
Per dar soccorso alla città assediata;
e inviava (un po' tardi invero) un esercito
(1526), che aiutasse i collegati. Sappiamo
che la lentezza di questi aiuti e la debolezza
del duca d' Urbino, capo dell'esercito della
Lega, dette agio al Borbone di fare il sacco
di Roma.
55. 1. Vedete ecc. Si accenna al sacco di
Roma (1527). Il poeta, che in questo brano
non colpisce mai Carlo V, non si perita di
pai'lare di questa infamia del sacco di R.,
perché è noto che Carlo V finse ipocrita-
mente di averne avuto dolore; vesti a lutto
e ordinò preghiere per la liberazione del
papa, prigioniero dell'esercito.
— 5. il campo della Lega, tra Papa, Ve-
nezia, Francia, a cui aderirono altri prin-
cipi italiani (1526).
— 7. torna indietro. L'esercito della Lega
era, al principio del sacco di Roma, in To-'
scana, ma ei-a stato inviato Guido Rangone
per soccorrere la città: egli, arrivato alle
porte e saputa la invasione degli imperiali,
si ritirò a Otricoli. L' esercito della Lega
poi barcamenò, sempre a poca distanza da
Roma, ma non si risolvette mai a tentarne
l'occupazione.
56. 1. manda L. ecc. Il re di Francia, d'ac-
cordo col re d'Inghilterra Enr. vili, risolve
di dare aiuto a Roma; e manda Lautrec
col titolo di Capitano generale della Lega
(giugno 1527); egli però s'indugia tanto in
Lombardia, che Carlo V dette ordine di li-
berare il pontefice; e Lautrec allora si di-
resse su Napoli (dove secondo la fav. è se-
polta la sirena Partenope).
— S. volta; volta da parte imperiale a
parte francese ; volge a favore dei Francesi.
57. I. si scioglie. V. e. xix, 41. L'armata
imper. salpò (si sciolse) da Posillipo, per
CANTO xxxm
451
Et ecco il Doria che la via le toglie,
E l'ha nel mar sommersa, arsa e spezzata.
Ecco Fortuna come cangia voglie.
Sin qui a' Francesi si propizia stata;
Che di febbre gli uccide, e non di lancia,
Si che di mille un non ne torna in Francia.
58
La sala queste et altre istorie molte,
' Che tutte saria lungo riferire.
In varii e bei colori avea raccolte;
Ch'era ben tal che le potea capire.
Tornano a rivederle due e tre volte,
Né par che se ne sappiano partire;
E rileggon più volte quel ch'in oro
Si vedea scritto sotto il bel lavoro.
59
Le belle donne, e gli altri quivi stati
Mirando e ragionando insieme un pezzo,
Fur dal Signore a riposar menati;
Ch'onorar gli osti suoi molt'era avvezzo.
Già sendo tutti gli altri addormentati,
Bradamante a corcar si va da sezzo;
E si volta or su questo or su quel fianco;
Né può dormir sul destro, né sul manco.
60
Pur chiude alquanto appresso all'alba i
E di veder le pare il suo Ruggiero, [lumi,
Il qual le dica: Perché ti consumi,
Dando credenza a quel che non è vero?
Tu vedrai prima all'erta andare i fiumi,
Ch'ad altri mai, ch'a te, volga il pensiero.
S'io non amassi te, né il cor potrei
andare contro 8 galee di Filippino Doria,
che era intorno a Salerno e che impediva
l'avvicinarsi di navi, che portassero viveri
agli assediati. Voleva tirare il Doria in alto
mare a combattere, ma il Doria la attra-
versò e ruppe.
— 3. il Doria; Filippino Doria, con alcune
navi, che per suo conto aveva in mare suo
zio Andrea Doria, il quale militava pei Fran-
cesi.
— 7. Che di febbre ecc.; cangia voglie,
poiché gli uccide ecc. L'esercito che asse-
diava Napoli fu colto dalla peste e dalla
malaria; e di 25000 uomini si ridussero a
4000. Cosi l'assedio cessò: e questi resti, ri-
tiratisi ad A versa, perii'ono quasi tutti di
stento e di malattie. L'A. dunque è esattis-
simo anche qui, come in tutto il resto di
questo brano storico.
58. 8. Si vedea ecc. le iscrizioni, che sotto
ciascun quadro si vedevano.
59. 4. osti; ospiti. V. e. xvii, 71, n. 3,
dove oste significa colui che dà ospitalità.
Così il Boccaccio, Nov. 92: «Messer Ghino,
di cui voi siete oste». — onorar... avvezzo;
avvezzo ad onorar.
60. 7. il cor; sott. mio, clie si rileva dal
miei del v, seg.
Né le pupille amar degli occhi miei.
61
E par che le suggiunga : Io sou venuto
Per battezzarmi e far quanto ho promesso ;
E s'io son stato tardi, m'ha tenuto
Altra ferita, che d'amore, oppresso.
Fuggesi in questo il sonno, né veduto
E pili Ruggier che se ne va con esso.
Rinova allora i pianti la donzella,
E ne la niente sua cosi favella:
62 [questo
Fu quel che piacque, un falso sogno; e
Che mi tormenta, ahi lassa! è un veggiar
Il ben fu sogno a dileguarsi presto; [vero.
Ma non è sogno il martire aspro e fiero.
Perché or non ode e vede il senso desto
Quel ch'udire e veder parve al pensiero?
A che condizione, occhi miei, sete.
Che chiusi il ben, e aperti il mal vedete?
63
Il dolce soniid mi promise pace;
Ma l'amaro veggiar mi torna in guerra:
Il dolce sonno è ben stato fallace;
Ma l'amaro veggiare, oimè! non erra.
Se '1 vero annoia, e il falso si mi piace,
Non oda o vegga mai pili il vero in terra:
Se '1 dormir mi dà gaudio, e il veggiar guai,
Possa io dormir senza destarmi mai.
64
0 felice animai ch'un sonno forte
Sei mesi tien senza mai gli occhi aprire!
Che s'assimigli tal sonno alla morte.
Tal veggiare alla vita, io non vo' dire;
Ch'a tutt'altre contraria la mia sorte
Sente morte a veggiar, vita a dormire:
Ma s'a tal sonno morte s'assimiglia.
Deh, Morte, or ora chiudimi le ciglia!
65
De l'orizonte il sol fatte avea rosse
L'estreme parti, e dileguate intorno
S'eran le nubi, e non parca che fosse
Simile all'altro il cominciato giorno;
Quando svegliata Bradamante armosse
Per fare a tempo al suo camin ritorno,
61. 3. tardi, tardo. Di tardi come agget-
tivo si citano esempi della vita di S. 31.
Maddalena e delle Favole d'Esopo, non
questo dell' A r.
64. 1. felice. Uno dei molti plur. ine della
3' declinaz. che usa Ta. sull'esempio di al-
tri scrittori ; ma il solo che sia maschile.
Pur negli altri scrittori il plurale della 3'
in e è sempre femminile. Al maschile si
cita solo Francesco da Barberino 150, 14:
« mettesi a far li suoi falli palese ».
— 3. tal; un sonno come il mio.
— 5. tutt'altre; tutte le altre. V. e. x,
54, 7. Petrarca I, canz. 14: « Fugge tutt'al-
tre persone ».
452
ORLANDO FURIOSO
Rendute avendo grazie a quel Signore
Del buono albergo e de l'avoto onore.
G6
E trovò che la donna messaggera
Con damigelle sue, con suoi scudieri
Uscita de la rocca, venut'era
Là dove Tattendean quei tre guerrieri;
Quei che con l'asta d'oro essa la sera
Fatto avea riversar giù dei destrieri,
E che patito avean con gran disagio
La notte l'acqua e il vento e il ciel mal-
67 [vagio.
Arroge a tanto mal ch'a corpo voto
Et essi e i lor cavalli eran rimasi,
Battendo i denti e calpestando il loto:
Ma quasi lor pili incresce, e senza quasi
Incresce e preme più, che farà noto
La raessaggiera appresso agli altri casi,
Alla sua Donna, che la prima lancia
Gli abbia abbattuti, c'han trovata in Fran-
68 [eia.
E presti 0 di moi'ire, o di vendetta
Subito far del ricevuto oltraggio,
Acciò la messaggiera, che fu detta
Ullania, che nomata più non aggio,
La mala opinion ch'avea concetta
Forse di lor, si tolga del coraggio,
La figliuola d'Amen sfidano a giostra.
Tosto che fuor del ponte ella si mostra.
09
Non pensando però che sia donzella,
Che nessun gesto di donzella avea.
Bradamante ricusa, come quella
Ch'in fretta già, né soggiornar volea.
Pur tanto e tanto fur molesti, ch'ella,
Che negar senza biasmo non potea.
Abbassò l'asta, et a tre colpi in terra
Li mandò tutti ; e qui fini la guerra:
70
Che senza più voltarsi mostrò loro
Loutan la spalle, e dileguossi tosto.
Quei che, per guadagnar lo scudo d'oro.
Di paese venian tanto discosto,
Poi che senza parlar ritti si foro.
Che ben l'avean con ogni ardir deposto,
65. 8. de l'avuto on. ; degli onori ohe avea-
le fatto il Castellano.
6G. 8. il ciel malvagio. V. C. XXXII, 71, 4.
67. 1. Arroge. V. e. XXVII, 31, n. 7.
— 4. quasi ecc. È un nuovo aiteggiamen-
to dato al modo popolare : quasi e sema
quasi; che si usa cosi senza interruzione
e vale: quasi quasi.
— 8. Gli abbia. Il cong. indica il fatto
come un pensiero della messaggera.
68. 4. pili; altra volta. Cosi nel e. xml,
IGO, 3. Non mi sembra citato dai vocabo-
lari questo significato notevolissimo.
— 6. coraggio; core. V. e. xviii, 32, n. 4.
70. fi. l'avean ecc.; avean depostoli par-
lare, non parlavano più.
I Stupefatti parean di maraviglia,
I Né verso Ullania ardian d'alzar le ciglia;
I 71
' Che con lei molte volte per camino
Dato s'avean troppo orgogliosi vanti:
Che non è Cavallier né Paladino
Ch'ai minor di lor tre durasse avanti.
La donna, perché ancor più a capo chino
Vadano, e più non sian cosi arroganti,
Fa lor saper che fu femina quella,
Non paladin, che li levò di sella.
j 72
I Or che dovete (diceva ella), quando
\ Cosi v'abbia una femina abbattuti,
' Pensar che sia Rinaldo o che sia Orlando,
Non senza causa in tant'onore avuti?
S'un d'essi avrà lo scudo, io vi domando
; Se migliori di quel che siate suti
Centra una donna, centra lor sarete?
Noi credo io già, né voi forse il credete.
73
I Questo vi può bastar;' né vi bisogna
Del valor vostro aver più chiara prova:
E quel di voi che temerario agogna
Far di sé in Francia esperienza nuova,
! Cerca giungere il danno alla vergogna
I In che ieri et oggi s'è trovato e trova;
' Se forse egli non stima utile e onore,
Qualor per man di taì guerrier si muore.
: '^i
Poi che ben certi i cavallieri fece
Ullania, che quell'era una donzella.
La qual fatto avea nera più che pece
La fama lor, ch'esser solca si bella;
! E dove una bastava, più di diece
Persone il detto confermar di quella:
Essi fur per voltar l'arme in sé stessi,
Da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.
75
[ E da lo sdegno e da la furia spinti,
1 L'arme si spoglian, quante n'hanno in dos-
I Né si lascian la spada onde eran cinti; [so;
I E del caste! la gittano nel fosso:
71. 3. Che. È dichiarativo dei vanti: si
vantavano che non è cavali, ecc.
72. 1. quando... v'abbia; O il quando val^
poic/ié,-dUa. latina (V. e. i, 18, n. 3); e il cong.
segue l'esempio di qualche scrittore latino,
che cosi adoperò il quando (Tacito, il. 3.
78: « quando validissimae cohortes a Vitel-
lio descivisseut); oppure è da intendere per
se: se è vero che cosi vi abbia ecc.: e in
tal modo avremmo un uso puram. italiano
ed è una piccante ironia.
7!}. 7. Se forse; se per avventura. V. e.
m, 68, n. 1.
— 8. qualor... si mnore; quando uno muo-
re, può morire. Petr., I. canz.9: «qualor
s' invia Per partirsi da noi l'eterna luce ».
75. 4. nel fosso; che cingeva il castello.
CANTO XXXIII
453
E giuran, poi che gli ha una donna vinti,
E fatto sul terreu battere il dosso,
Che, per purgar si grave error, staranno
Senza mai vestir l'arnie intero un anno;
76
E che n'andranno a pie pur tuttavia,
0 sia la strada piana, o scenda e saglia;
Né, poi che l'anno anco finito sia,
Saran per cavalcare o vestir maglia,
8'altr'arme, altro destrier da lor non fìa
Guadagnato per forza di battaglia.
Cosi senz'arme, per punir lor fallo.
Essi a pie se n'andar, gli altri a cavallo.
77
Bradamante la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova,
Di Carlo e di Rinaldo suo fratello,
Ch'avean rotto Agramante, udi la nuova.
Quivi ebbe buona mensa e buono ostello :
Ma questo et ogu'altro agio poco giova;
Che poco mangia e poco dorme, e poco.
Non che posar, ma ritrovar può loco.
78
Non però di costei voglio dir tanto.
Ch'io non ritorni a quei duo cavaliieri
Che d'accordo legato aveano a canto
La solitaria fonte i duo destrieri.
La pugna lor, di che vo' dirvi alquanto,
Non è per acquistar terre né imperi;
Ma perché Durindana il più gagliardo
Abbia ad avere, o a cavalcar Baiardo.
79 [nasse
Senza che tromba o segno altro acceu-
Quando a muover s'avean, senza maestro
Che lo schermo e '1 ferir lor ricordasse,
E lor pungesse il cor d'animoso estro.
L'uno e l'altro d'accordo il ferro trasse,
E si venne a trovare agile e destro.
1 spessi e gravi colpi a farsi udire
Ineominciaro, et a scaldarsi l'ire,
80
Due spade altre non so, per prova elette
Ad esser ferme e solide e ben dure,
Ch'a tre colpi di ([uei si fosser rette,
77. 2 alla via, su l;i via. V. e. i, 23, n. 5.
— S. ritrovar... loco; ritrovar posa ; sem-
pre in espressione negativa. È bel modo
ancor vivo.
79. I. Senza che trcmba ecc. Non era un
duello regolare colle debite formalità del-
l'araldo, che desse i segnali; e dei padrini,
che ricordassero gli accorgimenti della
scherma e animassero, come solea farsi, i
combattenti. — I due cavalieri son Rinaldo
e Gradasso: cfr. e. xxxi, HO.
— 4. estro; furore guerriero (Tommaseo) ;
ma cosi l'auimo.so sarebbe superlluo. Inten-
di estro per sitinolo, che è il suo significato
etimologico (gr. oistros = assillo).
Ch'erano fuor di tutte le misure:
Ma quelle tur di tempre si perfette,
Per tante esperienze si sicure,
Che ben poteano insieme riscontrarsi
Con mille colpi e più, senza spezzarsi.
81
Or qua Rinaldo or là mutando il passo
Con gran destrezza, e molta industria et
[arte,
Fuggia di Durindana il gran fracasso;
Che sa ben come spezza il ferro e parte.
Feria maggior percosse il Re Gradasso;
Bla quasi tutte al vento erano sparte:
Se coglieva talor, coglieva in loco
Ove potea gravare e nuocer poco.
82
L'altro con più ragion sua spada inchina,
E fa spesso al Pagan stordir le braccia;
E quando ai fianchi e quando ove confina
La corazza con l'elmo, gli la caccia:
Ma trova l'armatura adamantina;
Si ch'una maglia non ne rompe o straccia.
Se dura e forte la ritrova tanto,
Avvien perch'ella è fatta per incanto.
83
Senza prender riposo erano stati
Gran pezzo tanto alla battaglia fisi,
Che vòlti gli occhi in nessun mai de' lati
Aveano, fuor che nei turbati visi;
Quando da un'altra zuffa distornati,
E da tanto furor furon divisi.
Ambi voltaro a un gran strepito il ciglio,
E videro Baiardo in gran periglio.
84
Vider Baiardo a zulì'a con un mostro
Ch'era più di lui grande, et era augello:
30. 4. fuor di tutte le misure; smisurati,
straordinari.
81. 1. mutando il passo. V. e. II, 39, 7. lì
espressione già usata dal Boiardo, Ina. ii,
v. 35.
— 5. Feria... percosse; dava... percosse.
Gir. Cort. « Io feritti in un giorno colpi qua-
ranta»: forse dal Francese: sans coup ferir.
— S. gravare: danneggiare: cosi la Cr.
Quindi il gravare si riferisce più alle armi,
il nuocere alla persona.
82. 1. ragion; perizia v. e. xviii, 48: è af-
fine al ratio dei Latini, che vale metodo, re-
gola ecc.
— 8. fatta per incanto. Questo particolare
è aggiunto dall' Ar.; poiché neWInnaìn. del
Boiardo l'armatura di Gradasso non è in-
cantata: anzi ai colpi di Orlando (III, vii,
46, 50) non giova riparo: targa e usbergo
va in pezzi; vengono tagliati ìa. gorgiera e
parte del camaglio, il cimiero, il coiipo, il
torchiane.
83. 6. da tanto furor ecc.; furono distolti
da qiiesto loro furore.
454
ORLANDO FURIOSO
Avea più lungo di tre braccia il rostro;
L'altre fattezze avea di vipistrello;
Avea la piuma negra come inchiostro;
Avea l'artiglio grande, acuto e fello;
Occhi di fuoco, e sguardo avea crudele;
L'ale avea grandi, che parean due vele.
. 85
Forse era vero augel; ma non so dove
O quando un altro ne sia stato tale.
Non ho veduto mai né letto altrove,
Fuor ch'in Turpin, d'un si fatto animale.
Questo rispetto a credere rai muove,
Che l'augel fosse un diavolo infernale
Che Malagigi in quella forma trasse,
Acciò che la battaglia disturbasse.
86
Rinaldo il credette anco, e gran parole
E sconcie poi con Malagigi n'ebbe.
Egli già confessar non glie lo vuole;
E perché tór di colpa si vorrebbe.
Giura pel lume che dà lur. e al sole.
Che di questo imputato es.ser non debbe.
Fosse augello o demonio, il mostro scese
Sopra Baiardo, e con l'artiglio il prese.
87
Le redine il destrier ch'era possente.
Subito rompe, e con sdegno e con ira
Contra l'augello i calci adopra e '1 dente;
Ma quel veloce in aria si ritira:
Indi ritorna, e con l'ugna pungente
Lo va battendo, e d'ognintorno aggira.
Baiardo offeso, e che non ha ragione
Di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.
88
Fugge Baiardo alla vicina selva,
E va cercando le più spesse fronde.
Segue di sopra la pennuta belva
Con gli occhi fisi ove la via seconde;
Ma pure il buon destrier tanto s'inselva,
Ch'ai fin sotto una grotta si nasconde.
85. 4. in Turpin. V. e. xni, 10.
— 5. rispetto: motivo. Cosi nel e. vin.
21: ed è ancora comune nell'uso.
86. 2. E sconcie. I romanzi popolari usa-
vano spesso insulti triviali: vedine esempi
anche neW Imiamor. , I, i, 18, 40; e Fur.
XII, 39.
— 5. pel lume ecc. Alcuni intendono Dio;
ma credo che qui VA. abbia messo questa
espressione in doppio senso, per non far
Malagigi spergiuro. Rinaldo dunque intese
Dio; Mal. intese dire la luce, che accende il
sole.
87. 6. aggira, lo aggira.
— 7. ragione ; via, mezzo : è il ratio dei
latini (argumentandi ratio, maniera di
ragionare).
88. 4. ove la via sec. ; ove Baiardo tenga
la via, seguiti ad andare. È significato non
registrato dai vocabolari.
Poi che l'alato ne perde la traccia,
Ritorna in cielo, e cerca nuova caccia.
89
Rinaldo e il Re Gradasso, che partire
Veggono la cagion de la lor pugna,
Restan d'accordo quella differire
Fin che Baiardo salvino da l'ugna
Che per la scura selva il fa fuggire;
Con patto, che qual d'essi lo raggiugna,
A quella fonte lo restituisca.
Ove la lite lor poi si finisca.
90
Seguendo, si partir da la fontana.
L'erbe novellamente in terra peste.
Molto da lor Baiardo s'allontana; [stc.
Ch'ebbon le piante in seguir lui mal pre-
Gradasso, che non lungi avea l'Altana,
Sopra vi salse, e per quelle foreste
Molto lontano il Paladin lasciosse.
Tristo e peggio contento che mai fosse.
91
Rinaldo perde l'orme in pochi passi
Del suo destrier, che fé' strano viaggio;
Ch'andò rivi cercando, arbori e sassi,
Il più spinoso luogo, il più selvaggio,
Acciò che da quella ugna si celassi.
Che cadendo dal cielgli facea oltraggio.
Rinaldo, dopo la fatica vana,
Ritornò ad aspettarlo alla fontana,
92
Se da Gradasso vi fosse condutto.
Si come tra lor dianzi si convenne.
Ma poi che far si vide poco frutto.
Dolente e a piedi in campo se ne venne.
Or torniamo a quell'altro, al quale in tutto
Diverso da Rinaldo il caso avvenne.
Non per ragion, ma per suo gran destino
Senti anitrire il buon destrier vicino;
93
E lo trovò ne la spelonca cava.
Da l'avuta paura anco si oppresso,
Ch'uscire allo scoperto uon osava:
Perciò l'ha in suo potere il Pagan messo.
Ben de la convenzion si raccordava,
Ch'alia fonte tornar dovea con esso;
89. 3. differire; di dilTerire. V. e. i, 4, n. 1.
90. 1. seguendo... 1' erbe. Inversione non
bella; ma neli'A. ve ne sono anche delle
più ardite (xxxiii, 9, 6).
— 6. salse, V. e. vi, 41, n. 4.
92. 1. Se da Gr.; sottint. per vedere se:
v. e. XII, 87, n. 6.
— 3. si vide: vide sé fare poco frutto.
— 4. in campo; nel campo dei Cristiani,
donde era partito (xxxi, 12, 93 segg.).
— 7. N. per ragion ; non per diritto che
avesse a questa ventura.
93. 4. in suo p... messo ridotto in suo po-
tere.
CANTO XXXIII
455
Ma non è più disposto d'osservarla,
E cosi in mente sua tacito parla:
94
Abbial chi aver lo vuol con lite e guer-
lo d'averlo con pace più disio. [ra;
Da l'uno all'altro capo de la terra
Già venni e sol per far Baiardo mio.
Or ch'io l'ho in mano, ben vaneggia et erra
Chi crede che depor lo volesse io.
Se Rinaldo lo vuol, non disconviene.
Come io già in Francia, or s'egli in India
95 [viene-
Non raen sicura a lui fia Sericana,
Che già due volte Francia a me sia stata.
Cosi dicendo per la via più piana
Ne venne in Arli, e vi trovò l'armata;
E quindi con Baiardo e Durindana
Si parti sopra una galea spalmata.
Ma questo a un'altra volta ; ch'or Gradas-
Einaldo e tutta Francia a dietro lasso, [so,
A^oglio Astolfo seguir, eh' a sella e a
A uso facea andar di palafreno [morso
L'Ippogrifo per l'aria a si gran corso,
Che l'aquila e il falcon vola assai meno.
Poi che de' Galli ebbe il paese scorso
Da un mare all'altro, e da Pirene al Reno,
Tornò verso Ponente alla montagna
Che separa la Francia da la Spagna.
97
Passò in Navarra, et indi iu Aragona,
Lasciando a chi '1 vtdea gran maraviglia.
Restò lungi a sinistra Taracona,
Biscaglia a destra, et arrivò in Castiglia.
Vide Gallizia e 'I regno d'Ulisbona;
Poi volse il corso a Cordova e Siviglia:
Né lasciò presso al mar né fra campagna
Città che non vedesse tutta Spagna.
98
Vide le Gade, e la mèta che pose
Ai primi naviganti Ercole invitto.
I,
IV.
94. 1. e sol per far ecc. V. Jnn
— 6. volesse. V. e. xxxi, 12, u. 7.
95. 2. due volte. Xell'Or. Innam. Gradas-
.so, vinto da Astolfo, parte per l'Affrica; ri-
torna poi in aiuto di Agramante.
— 4. l'armata; d' .\gramante.
— 6. spalmata; v. e. Xiii, 14.
96. 1. Astolfo. V. e. XXII, 2S e xxiii, 9.
— 6. Da un mare all'altro; dal Mediter-
raneo alla Manica.
97.3. Restò; lasciò. SEGNI, St. 15, 383;
« (Il Granduca) restò adunque nell' esercito
intorno a Siena ottomila fanti ».
— 5. il regno d'Clisb.; il regno che ha
per capitale Lisbona, il Portogallo. V. e.
xtv, 13, n. 3.
— 7. fra campagna. V. e. xvi, 40.
— 8. che ; sicché.
98.1. le Gade; Cadice. Usato alla latina
Per l'Africa vagar poi si dispose
Dal mar d'Atlante ai termini d'Egitto.
Vide le Baleariche famose,
E vide Eviza appresso al camin dritto.
Poi volse il freno, e tornò verso Arzilla
Sovra '1 mar che da Spagna dipartilla.
99
Vide Marocco, Feza, Orano, Ippona,
Algier, Buzea, tutte città superbe,
C'hanno d'altre città tutte corona,
Corona d'oro, e non di fronde o d'erbe.
Verso Biserta e Tunigi poi sprona:
Vide Capisse e l'isola d'Alzerbe,
E Tripoli e Bernicche e Tolomitta,
Sin dove il Nilo in Asia si tragitta.
100
Tra la marina e la silvosa schena
Del fiero Atlante vide ogni contrada.
Poi die le spalle ai monti di Carena,
al plur. perché, dice Plinio (S. N. 3, 2), fu-
rono propriam. due isole vicinissime fra
loro. — la meta ecc. le colonne d'Ercole allo
stretto di Gibilterra.
— 3. vagar si dispose; si dispose a vagar.
— 5. Balear. famose ; per la loro fertilità
e ricchezza.
— 6. Eviza; oggi Iviza o Ivica, una delle
Baleari e propriam. delle Pitinse. Dopo aver
visto in generale le Baleari, vide in appresso
più particolarmente Eviza, sempre andando
dritto..
— 7. Arzilla, Arzila ; città marittima nel
Marocco a 40 klm. da Tangeri, sullo stretto
di Gibilterra.
99. 1. Feza; Fez; Orano, Oran; Ipiwna,
Bona; Buzea, Bugia. Tutte ciUh della costa
settentr. di Affrica, o costa di Barberia.
— 4. Corona d'oro. Perché le città minori
portavano in queste capitali le loro ric-
chezze.
— 6. Capisse; Cabes. Al-:erbe, Gerbe o
Gerbi, o Zerbi, isola a Sud del golfo di Cabes.
— 7. Bernicche; Berenice cirenaica; og-
gi : Bengast. — Tolomitta; Tolmeta o Tol-
meita. V. e. xviii, 165.
— 8. Sin dove ecc. Alcuni geografi anti-
chi, tra cui Erodoto, Mela, Plinio, posero
il Nilo come confine fra l'Asia e l'.Affrica:
cosi le bocche di destra si tragittano iu
Asia: l'A. dunque vuol dire: sino alle boc-
che del Nilo.
100. 3. monti di Carena. Cosi gli antichi
chiamavano quella diramazione dell'Atlan-
te, che divide la costa di Barberia dall'Af-
frica interna. Astolfo dal Nilo tornò indie-
tro, internandosi un po' nell'Affrica, fino
alla regione di Barca (Cirenaica) ; e per in-
ternarsi nell'Affrica dovè voltare le spalle
ai monti di Carena. Arrivato alla Cirenaica
456
ORLANDO FURIOSO
E sopra i Cirenei prese la strada;
E traversando i campi de l'arena.
Venne a' confin di Nubia in Albaiada.
Rimase dietro il cimiter di Batto,
E'I gran tempio d'Amou, ch'oggi è disfatto.
101
Indi giunse ad un'altra Tremisenne,
Che di Maumetto pur segue lo stilo.
Poi volse agli altri Etiopi le penne,
Che centra questi son di là dal Nilo.
Alla città di Nubia il camin tenue
Tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi Cristiani son, quei Saracini; [ni.
E stan con l'arme in man sempre a'confi-
102
Senàpo Tmperator de la Etiopia,
Ch'in loco tien di scettro in man la Croce,
scende nell'interno dell'Affrica, passando
sul deserto di Libia (i campi dell'arena).
— 4. Cirenei ; la Cirenaica ; oggi regione
di Barca. Fu colonizzata dai Greci e fonda-
tore della colonia fu Batto, che avea in Ci-
rene uno splendido monumento.
— 6. Albaiada; forse la steppa di Baiuda
in Nubia. Veramente questa si trova dentro
alla gran curva meridionale del Nilo, e per-
ciò non ai confini di Nubia; ma chi ha vi-
sto quanto erano confuse le carte dell'Af-
frica, che si avevano nel quattrocento, re-
sterà maravigliato dell'esattezza deil'A.
— 7. Rimase ; lasciò. V. st. 97, n. 3.
— S. tempio d'Amon; di Giove Ammone.
V. e. XXIX, 59.
101. 1. Tremisenne. Non quella di Barbe-
ria, V. e. XIV, 28, ma una Tremisenne di
Xubia. Ho trovato segnata questa Tremi-
senne in un gran mappamondo spagnuolo
del sec. xv. della bibliot. Estense, dove si
trova pure segnata la città di Nubia colla
nota che ivi regna il l'rete Ianni, cristiano
fra cristiani. La città di Xubia è collocata,
in questa carta, fra Dobaya e Cnoad (forse
Coalle deil'A.) due città, che restano sulla
stessa linea. (Per ciò Astolfo andò a Jllo
cioè a dritto filo). Questi nomi e questi luo-
ghi nou corrispondono alla realtà ; ma l'A.
non poteva saperne più de' suoi contempo-
ranei.
— 3. altri Etiopi. Gli antichi intesero per
Etiopia tutta la regione meridionale abitata
dai Neri, sia di qua che di là dal Nilo.
— 7. Cristiani son. Come si è visto alla
st. 101, 1, si credeva comunemente nel '400
che in Nubia fossero cristiani, e cristiano
fosse il Prete Ianni. Invece fu l' Abissinia,
che si converti al cristianesimo per l'opera
apostolica di S. Fromenzio (iv sec.) : ma poi
traviò dalla ortodossia abbracciando l'ere- [
sia dei Mouohsiti (Cantù, S. U., VII, 367).
102. 1. Senapo. Non trovo donde l'A. ab-
j Di gente, di cittadi e d'oro ha copia
' Quindi fin là dove il mar Rosso ha foce;
E serva quasi nostra Fede propia.
Che può salvarlo da l'esilio atroce.
Gli è, s'io non piglio errore, in questo loco
Ove al battesmo loro usano il fuoco.
103
Dismontò il duca Astolfo alla gran corte
Deutro di Nubia, e visitò il Senàpo.
Il castello è più ricco assai che forte,
Ove dimora d'Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e de le porte,
Gangheri e chiavistei da piedi a capo,
E finalmente tutto quel lavoro
Che noi di ferro usiamo, ivi usan d'oro.
104
Ancor che del finissimo metallo
Vi sia tale abondanza, è pur in pregio.
Colonnate di limpido cristallo
bia preso questo nome. Marco Polo dice che
nel loro linguaggio si chiamava Uiiecan.
Molto si è favoleggiato, sin dal tempo delle
Crociate, su questo Presto o Preteianni, si-
gnore cristiano potentissimo di un'immensa
oasi in mezzo alle regioni degli infedeli, ora
in Asia ora in Affrica; santo pontefice (in
loco tien di scettro in man la croc^ pieno
di ogni virtù. A introdurlo nei poemi ca-
vallereschi furon primi gli Italiani. Prima
si trova ueir Ugo d'Aivernia; dove è pure
l'idea ariostesca che in prossimità dell'E-
tiopia si trovi il paradiso terrestre e la boc-
ca 4eir inferno. Nel Guerrin Meschino si
dice delle grandi ricchezze del Presto e del
tributo pagatogli dal Sultano d'Egitto. L'A.
però fonde questi elementi con elementi
classici. .Senapo è superbo come Alessandro
Magno, che, secondo la leggenda, tentò di
giungere al paradiso terrestre; di questa
superbia è punito come Fineo (v. Argonaut.
IV, 479 segg.) che, avendo divulgato agli
uomini gli arcani dei numi, divenne cieco
e fu perseguitato dalle arpie. Calai e Zete,
figli di Borea, cacciarono le arpie nelle isole
Strofadi.
— 4. ha foce. Allo Stretto di Bab-el-Man-
deb, che sembra come la foce del Mar Rosso.
— 5. qnasi nostra Fede. È cristiano, ma ere-
tico. Essendo però in buona fede può, come
battezzato, salvarsi dall' inferno (da l'esilio
atroce).
— 8. usano il fnoco. « Gli cristiani di que-
sta provincia hanno tre segnali nel volto...
e si fanno col ferro caldo... Poiché son bat-
tezzati nell'acqua, si fanno colali segni e
dicono che è òompimento di battesimo »
(Marco Polo, 55-56).
104. 3. Colonnate; ornate di colonne. L'u-
sò come aggettivo il Sansovino e poi il Tas-
soni, Pens. 10, 19: « i portici colonnati ».
CANTO XXXIII
457
Son le gran loggie del palazzo regio.
Fan rosso, biauco, verde, azuiTO e giallo
Sotto i bei palchi im reluceute fregio.
Divisi tra proporzionati spazii,
Rubin, smeraldi, zaffiri e topazii.
105
In mura, in tetti, in pavimenti sparte
Eran le perle, eran le ricche gemme.
Quivi il balsamo nasce; e poca parte
N'ebbe appo questi mai Gerusalemme.
Il maschio ch'anoi vieu, quindi si parte;
Quindi vien l'ambra, e cerca altre ma-
f rem me:
Veugon le cose insomma da quel canto,
Che nei paesi nostri vaglion tanto.
lOG
Si dice che '1 Soldan, Re de l'Egitto,
A quel Re d;i tributo, e sta suggetto,
Perch'è in poter di lui dal camin dritto
La N. Crusca lo ritiene aggettivo, ma cita
solamente l'A. Kou mi par conveniente in-
tenderlo come sostantivo, perché le logge
non si possono dire veramente una serie di
colonne.
— 6. palchi; soffitti. É voce ancor viva
neir uso.
105. 3. balsamo. Per noi oggi è nome ge-
nerico di più sostanze balsamiche. Gli anti-
chi intesero il succo d' una pianta simile
alla vite, che nasceva solo in Giudea. Que-
sto succo colava da incisioni fatte nella cor-
teccia. V. Plix., i". N. 12, 51, 1 e Tacito,
St. lib. V, 5.
— 4. appo questi ; in confronto a questi
abitanti o a questo re. Novelle antiche ^\:
« semplice persona appo lui (in confronto
a lui) ». — mai, sempre. Gerusalemme in
confronto di questi abitanti ne ebbe sempre
poca parte. Di mal per sempre vedi altro
esempio spiccato al e. xx, 62, 5, e la nota
ivi appósta.
— 6. cerca altre maremme. Anticamente
l'ambra non si aveva che raccogliendola
sulla spiaggia, dove era rigettata dalle onde
del mare, a mano a mano che le tempeste
corrodevano le rocce sabbiose o argillose
che la contengono a pezzi. Perciò l'A. dice
che di là viene ad altre spiagge, portata
dal commercio. Di mareìnma per marina,
spiaggia manna, non si cita esenii)io. V.
e. XVII, 21, 7, dove ha il suo significato co-
mune.
106. 3. Perch' è in p. ecc. « Egli è opinione
che possa il re d'Etiopia con alcune porte
di ferro chiudere il Mio, che non iscorra
per r Egitto e indirizzare il corso di quello
verso il Mar Rosso, il che, se ciò fosse, po-
trebbe far morir di disagio quella nazione,
couciosiaché... diverrebbero sterili tutti i
campi dell' Egitto (Lavezuola).
Levare il Nilo, e dargli altro ricetto,
E per questo lasciar subito afflitto
Di fame il Cairo e tutto quel distretto.
Senapo detto è dai sudditi suoi:
Gli dician Presto o Preteianni noi.
107
Di quanti Re mai d'Etiopia forcT
Il pili ricco fu questi e il più possente;
Ma con tutta sua possa e suo tesoro.
Gli occhi perduti avea miseramente.
E questo era il minor d'ogni raartoro:
Molto era più noioso e più spiacente,
Che, quantunque ricchissimo si chiame,
Cruciato era da perpetua fame.
108
Se per mangiare o ber quello infelice
Venia cacciato dal bisogno grande.
Tosto appavia l'infernal schiera ultrice,
Le monstruose Arpie brutte e nefande,
Che col grifo e con l'ugna predatrice
Spargeano i vasi, e rapiau le vivande;
E quel che non capia lor ventre ingordo,
Vi rimanea contaminato e lordo.
109
E questo, percli'essendo d'anni acerbo,
E vistosi levato in tanto onore,
Che, oltre alle ricchezze, di più nerbo
Era di tutti gli altri, e di più core;
Divenne, come Lucifer, superbo,
E pensò muover guerra al suo Fattore.
Con la sua gente la via prese al dritto
Al monte onde esce il gran fiume d'Egitto.
110
Inteso avea che su quel monte alpestre,
Ch'oltre alle nubi e presso al ciel si leva.
Era quel Paradiso che terrestre
Si dice, ove abitò già Adamo et Eva.
Con camelli, elefanti, e con pedestre
Esercito, orgoglioso si moveva
Con gran desir, se v'abitava gente,
Di farla alle sue leggi ubbidiente.
Ili
Dio gli represse il temerario ardire,
E jnandò l'Angel suo tra quelle frotte,
Che cento mila ne fece morire,
E condannò lui di perpetua notte.
— 7. Senape. Vedi la nota 1 st. 102. Il
Fornari nota « I suoi Senapo o Giani, cioè
potente, il do mandano ».
— S. Presto: é rantico frane. p)restre^
prov. presteSy spagu. prestes^ prete.
109. !S. onde esce ecc. Già nell' Ugo d'Ai-
vernia e in altri poemi si trova modificata
l'idea biblica dei quattro fiumi "che nasce-
vano dal paradiso terrestre {Genesi 2) : vi
si trova il Nilo invece del Giordano. — Que-
sti monti, donde sorge il Nilo, erano, se-
condo le antiche credenze, i monti della
Luna in Etiopia, (vedi e. xxix, 59,^n. 7) che
sono, come si comprende, imaginarì.
458
ORLANDO FURIOSO
Alla sua mensa poi fece venire
L'orrendo mostro da l'infernal grotte,
Che gli rapisce e contamina i cibi,
Né lascia che ne gusti o ne delibi.
112
Et in disperazion continua il messe
l'no che già gli avea profetizzato
Che le sue mense non sariano oppresse
Da la rapina e da l'odore ingrato,
Quando venir per l'aria si vedesse
Un cavallier sopra un cavallo alato.
Perché dunque impossibil parea questo,
Privo d'ogni speranza vivea mestò.
113
Or che con gran stupor vede la gente
Sopra ogni muro, e sopra ogni alta torre
Entrare il cavalliero, immantinente
È chi a narrarlo al Re di Nubia corre,
A cui la profezia ritorna a mente;
Et obliando per letizia tórre
La fedel verga, con le mani inante
Vien brancolando al cavallier volante.
114
Astolfo ne la piazza del castello
Con spaziose ruote in terra scese.
Poi che fu il Re condotto inanzi a quello,
Inginocchiossi, e le man giunte stese,
E disse: Angel di Dio, Messia novello.
S'io non merto perdono a tante offese.
Mira che proprio è a noi peccar sovente,
A voi perdonar sempre a chi si pente.
115
Delmioerror consapevole,non chieggio
Né chiederti ardirei gli antiqui lumi:
Che tu lo possa far, ben creder deggio;
Che se' de' cari a Dio beati numi.
Tibastiilgran martir ch'io non ci veggio.
Senza ch'ogni or la fame mi consumi.
Almen discaccia le fetide Arpie,
Che non rapiscan le vivande mie:
116
E di raarmore un tempio ti prometto
Edificar de l'alta Regia mia.
Che tutte d'oro abbia le porte e '1 tetto,
E dentro e fuor di gemme ornato sia;
113. 6-7. obliando la f. v. Quando Fineo,
in Apollonio e V. Fiacco, sente venire Ca-
lai e Zete, che debbono liberarlo, prende
la verga su che si reggeva. Avverti come
l'A. ha imitato innovando e migborando,
perché la grande allegrezza non doveva dar
tempo al Senapo di pensare alla verga.
114. 7. Mira; considera, pensa. Dante,
Inf. 2 «Mirate la dottrina che s'asconde ».
115. 1. numi; santi del paradiso. Nel e.
XXXIX, 45, 3 li Gisse Divi. Già Dante, Par.
13 : « Ruppe '1 silenzio ne' concordi numi ».
116. 2. de l'alta ecc.; della mia reggia ti
farò un tempio. Marmore è latinismo raro
pur négU antichi,
E dal tuo santo nome sarà detto,
E del miracol tuo scolpito fìa.
Cosi dicea quel Re che nulla vede.
Cercando invan baciare al Duca il piede.
117
Rispose Astolfo: Né l'Angel di Dio,
Né son Messia novel, né dal ciel vegno;
Ma son mortale e peccatore anch'io.
Di tanta grazia a me concessa indegno.
10 farò ogn'opra acciò che '1 mostro rio,
Per morte o fuga, io ti levi del regno.
S'io il fo, me non, ma Dio ne loda solo.
Che per tuo aiuto qui mi drizzò il volo.
118
Fa questi voti a Dio, debiti a lui;
A lui le chiese edifica e gli altari.
Cosi parlando andavano ambidui
Verso il castello fra i Baron preclari.
11 Re comanda ai servitori sui,
Che subito il convito si prepari.
Sperando che non debba essergli tolta
La vivanda di mano a questa volta.
119
Dentro una ricca sala immantinente
Apparecchiossi il convito solenne.
Col Senàpo s'assise solamente
Il Duca Astolfo, e la vivanda venne.
Ecco per l'aria lo stridor si sente.
Percossa intorno da l'orribil penne:
Ecco venir l'Arpie brutte e nefande,
Tratte dal cielo a odor de le vivande.
1-20
Erano sette in una schiera, e tutte
A'^olto di donne avean pallide e smorte.
Per lunga fame attenuate e asciutte.
Orribili a veder pili che la morte.
L'alaccie grandi avean, deformi e brutte;
Le man rapaci, e l'ugne incurve e torte;
Grande e fetido il ventre, e lunga coda,
Come di serpe che s'aggira e snoda.
121
Si sentono venir per l'aria, e quasi
— 6. del mir. t. s. f. E vi farò scolpii'e in
basso rilievo il miracolo da te compiuto.
118. 4. f. i Baron ; passando tra i signori
del regno, che facevano ala.
— 8. a questa volta. V. e. XXX, 57, n. 3.
119. 8. a odor. Manca l'artic. V. e. il, 15,
n.
120. 3. attenuate. V. e. il, 13, n. 1. Viro.
En. 3, 218: «Pallida semper ora fame».
Dante, Inf. 13, 13. Gli antichi le dissero
tre o quattro.
— 7. lunga coda. Questo particolare man-
ca negli antichi. Si trova solo una coda
d'uccello data qualche volta alle arpie. Non
credere ai rimandi, che taluno fa al Tasso,
Ger. 4, 4 e d.\V Innainorato II, iv, .56, dove
si parla di code, ma non affatto d' Arpie
caudate.
CANTO XXXIII
459
Si veggon tutte a un tempo in su la mensa
Rapire i cibi, e riversare i vasi:
E molta feccia il ventre lor dispensa,
Tal che gli è forza d'atturare i nasi;
Che non si può patir la puzza immensa.
Astolfo, come l'ira lo sospinge,
Contra gli ingordi augelli il ferro stringe.
122
Uno sul collo, un altro su la groppa
Percuote, e chi nel petto, e chi ne l'ala;
Ma come fera in s'un sacco di stoppa,
Poi langue il colpo, e senza effetto cala;
E quei non vi lasciar piatto né coppa
Che fosse intatta; né sgombrar la sala
Prima che le rapine e il fiero pasto
Contaminato il tutto avesse e guasto.
123
Avuto avea quel Ke ferma speranza
Nel Duca, che l'Arpie gli discacciassi;
Et or che nulla ove sperar gli avanza.
Sospira e geme, e disperato stassi.
Viene al duca del corno rimembranza,
Che suole aitarlo ai perigliosi passi;
E conchiude tra sé, che questa via
Per discacciare i mostri ottima sia.
124
E prima fa che '1 Re con suoi Baroni,
JJi caldk cera l'orecchia si serra,
Acciò che tutti come il corno suoni.
Non abbiano a fuggir fuor de la teria.
Prende la briglia e salta su gli arcioni
De l'ippogrifo, et il bel corno afferra;
E con cenni allo scalco poi comanda
Che riponga la mensa e la vivanda.
125
E cosi in una loggia s'apparecchia
(.'on altra mensa altra vivanda nuova.
Ecco l'Arpie che fan l'usanza vecchia:
Astolfo il corno subito ritrova.
121. 5. gli è f. ; egli è forza. V. e. x, 10f>,
n. 5. — atturare, turare. V. e. XV, 2S, 11. 3.
— 7. come l'ira ecc. ; poiché l'ira ecc. È
uso ancor vivo.
l'2'2. 3. fera, colpisca. V. e. xxvi, 73, n. 7.
123. 2. discacciassi. V. C. XXXll, 12, n. 6.
l'24. 2. Di calda cera ecc. Cosi Ulisse fa
turare eoa cera gli orecchi dei suoi, perclié
non odano le sirene; e il Boiardo ii, 4, 31,
dice che Orlando a questo stesso fine si em-
pie le orecchie di foglie di rosa.
l'25. 4. ritrova ; afferra. Si cita questo solo
esempio dell' A.
Gli augelli che non han chiusa l'orecchia.
Udito il suon, non puon stare alla prova;
Ma vanno in fuga pieni di paura,
Né di cibo né d'altro hanno pili cura.
126
Subito il Paladin dietro lor sprona:
'Volando esce il destrier fuor de la loggia,
E col Castel la gran città abandona,
E per l'aria, cacciando i mostri, poggia.
Astolfo il corno tuttavolta suona:
Fuggon l'Arpie verso la zona roggia,
Tanto che sono all'altissimo monte
Ove il Nilo ha, se in alcun luogo ha, fonte.
127
Quasi de la montagna alia radice
Entra sotterra una profonda grotta.
Che certissima porta esser si dice
Di ch'alio 'nferno vuol scender talotta.
Quivi s'è quella turba predatrice,
Come in sicuro albergo, ricondotta,
E giù sin di Oocito in su la proda
Scesa, e più là, dove quel suon non oda.
128
All'infernal caliginosa buca
Ch'apre la strada a chi abandona il lume,
Fini l'orribil suon l'inclito Duca,
E fé' raccórre al suo destrier le piume.
I\Ia prima che jiiu inanzi io lo conduca,
Per non mi dipartir dal mio costume,
Poi che da tutti i lati ho pieno il foglio,
Finire il Canto, e riposar mi voglio.
126. 6. zona roggia; rossa, torrida. Dan-
te, Inf. 11, 73, disse ror/gia la infuocata
città di Dite. Avverti l'estensione di signi-
ficato in questo esempio dell' Ar.
— 8. se in alcun luogo ecc. Accenna a
quella incertezza SLiUe sorgenti del Nilo,
che agitò gli antichi. Lucano dice: «et gens,
si qua iacet, nascenti conscia Nilo ». E lo
stesso poeta rappresenta Cesare pronto a
rinunziare a tutti i suoi piani di grandezza
per la soluzione di quel problema.
127. 4. Di eh' ecc.; di chi. Questa elisione
è insolita e dura. Vedine altri esempi nel
e. XIX, 17, 6; XXXVII, 10, 3.
128. 2. il lume; la vita. Qui l'A. segue
l'idea pagana, che buoni e cattivi andasse-
ro, doijo morte, all'inferno, che poi si di-
videva negli Elisi, pei buoni, e nel Tartaro,
pei cattivi.
460
ORLANDO FURIOSO
CANTO XXXIV
Oh famelice, inique e fiere Arpie
Ch'all'accecata Italia e d'error piena,
Per punir lo.se antique colpe rie,
In ogni mensa alto giudicio mena!
Innocenti fanciulli e madri pie
Cascan di fame, e veggon ch'una cena
Di questi mostri rei tutto divora
Ciò che del viver lor sostegno fora.
2
Troppo fallò chi le spelonche aperse.
Che già molt'anjii erano state chiuse;
Onde il fetore e l'ingordigia emerse,
Ch'ad ammorbare Italia si diffuse.
Il bel vivere allora si summerse;
E la quiete in tal modo s'escluse, [fanni
Ch'in guerre, iu povertà sempre e in af-
È dopo stata, et è per star molt'anni:
3
Fin ch'ella un giorno ai neghittosi figli
Scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,
Gridando lor: Non fia chi rassimigli
Alla virtù di Calai e di Zete?
Che le mense dal puzzo e dagli artigli
Liberi, e torni a lor mondizia liete?
Come essi già quelle di Fineo, e dopo
Fé' il Paladin quelle del Re Etiope.
4
Il Paladin col suono orribil venne
Le brutte Arpie cacciando in fuga e in
[rotta,
Tanto ch'a pie d'un monte si ritenne,
1. 1. famelice. V. e. i, 41. Qui l'A. si volge
con ardore patriottico contro gli stranieri
che, come arpie, devastavano l' Italia.
2. 1. chi. Allude specialmente al Moro, a
Alessandro VI e a Giulio II, che chiama-
rono in Italia gli stranieri, che da un se-
colo l'avevano lasciata quasi tranquilla.
— 3. Onde; dalle quali spelonche. Qui il
signif. metaf. si avvicina al proprio; per-
ché l'A. considera barbari questi invasori,
e spelonctie le loro abitazioni.
3. 2. cacci; li cacci, li tragga dall'oblio,
in cui sono sommersi.
— 4. Calai, Zete; figli di Borea e Orizia,
che liberarono Fineo dalle Arpie.
— 5. Che. Si aspetterebbe un altro chi,
onde abbiamo qui una specie di sillessi,
per cui il che si riferisce al precedente chi,
quasi fosse uno che.
— S. Fé', hberò. V. e. xv, 52, n. 7.
4. 3. Tanto che, fintanto che. Cosi c. XLiii,
Ove esse erano entrate in una grotta.
L'orecchie attente allo spiraglio tenne,
E l'aria ne senti percossa e rotta
Da pianti e d'urli, e da lamento eterno;
Segno evidente quivi esser lo 'nferno.
f)
Astolfo si pensò d'entrarvi dentro,
E veder quei c'hanno perduto il gioruo,
Ij penetrar la terra fin al centro,
E le bolgie infernal cercare intorno.
Di che debbo temer (dicea) s'io v'entro?
Che mi posso aiutar sempre col corno.
Farò fuggir Plutone e Satanasso,
E '1 can trifauce leverò dal passo.
G
De l'alato destrier presto discese,
E lo lasciò legato a un arbuscello:
Poi si calò ne l'antro, e prima prese
Il corno, avendo ogni sua speme in quello.
Non andò molto inanzi, che gli ofi'ese
Il naso e gli occhi un fumo oscuro e fello,
Pili che di pece grave e che di zolfo:
Non sta d'andar per questo inanzi Astolfo.
7
Ma quanto va pili inanzi, piti s'ingrossa
Il fumo e la caligine, e gli pare
Ch'andare inanzi più troppo non possa;
Che sarà forza a dietro ritornare.
Ecco, non sa che sia, vede far mossa
Da la vòlta di sopra, come fare
Il cadavero appeso al vento suole.
Che molti di sia stato all'acqua e al sole.
8
Si poco, e quasi nulla era di luce
In quella affumicata e nera strada,
156, xxxvii, 120, 1. — si ritenne, si fermò.
V. e. XXV, 7, u. 6.
— 5. spiraglio; apertura; non l'egistralo
dai vocab.
— 7. eterno. In questo agg. c'è un'anti-
cipazione; da quel lamento che, per i dan-
nati, dura eterno. — d'urli, da urli. V. e. v,
10, n. 5.
5. 8. dal passo ; dal limitare, come è nel-
r Eneide lib. vi. Il cane trifauce è Cerbero.
G. 8. N. sta d'andar; non resta d' andar:
i e. XXVI, 114, n. 3.
7. 5 far mossa; muoversi; dondolarsi: in
questo senso non è registrato; ma forse è
un' estensione della frase : fare alcuna
mossa, movimento.
— 8. Che molti di ecc.: che sia cioè di-
ventato scheletrito e leggero.
CANTO XXXIV
461
Che non comprende e non discerne il Duce,
Chi questo sia che si per l'aria vada;
E per notizia averne si conduce
A dargli uno o duo colpi de la spada.
Stima poi, ch'uno spirto esser quel debbia ;
Che gli par di ferir sopra la nebbia.
9
AUor senti parlar con voce mesta:
Deh, senza fare altrui danno, giù cala!
Pur troppo il negro fumo mi molesta,
Che dal fuoco infernal qui tutto esala.
11 Duca stupefatto allor s'arresta,
E dice all'ombra: Se Dio tronchi ogni ala
AI fumo si, ch'a te più non ascenda,
Non ti dispiaccia che '1 tuo stato intenda.
10
E se vuoi che di te porti novella
Nel mondo su, per satisfarti sono.
L'ombra rispose: Alla luce alma e bella
Tornar per fama ancor si mi par buono,
Che le parole è forza che mi svella
Il gran desìr c'ho d'aver poi tal dono,
E che '1 mio nome e l'esser mio ti dica,
Ben che '1 parlar mi sia noia e fatica.
11
E cominciò: Signor, Lidia sono io,
Del Ee di Lidia in grande altezza nata,
Qui dal giudici© altissimo di Dio
Al fumo eternamente condannata,
Per esser stata al fido amante mio.
Mentre io vissi, spiacevole et ingrata.
D'altre infinite è questa grotta piena,
Poste per simil fallo in simil pena.
S. 3. il Duce ; il duca. Come titolo di no-
biltà non è registi", nei vocab.
— 4. Chi. Non intenderlo per che aosa :
infatti Astolfo aveva già compreso trattarsi
di persona, come apparisce dalla compa-
razione del cadavero, che rappresenta l'im-
pressione d' .Astolfo.
— 6. de la spada. È un uso affine a quello
notato nel e. xii, S7, n. 1.
9. 6. Se. È deprecativo. V. e. vi, 30, n. 8.
10. 'i. Tornar per fama ecc. Vedi, per que-
sto desiderio, Dante, Iiif. 16, 82; 28, 91 e
passini.
11. 1. Lidia. In questo racconto abbiamo
un palese ricordo della novella Boccaccesca
di Nastagio degli onesti; dove si narra d'una
donna punita coli' inferno, perché non cor-
rispose in amore il suo amante. E avverti
che come Dante pone i peccati d' amore nel
primo girone, cosi qui sono posti alla bocca
dell' inferno. Nei particolari è rinnovato un
racconto del Guiron. La tiglia del re di
Norhombellande ha innamorato di sé il pro-
de Febus ; che vuol prenderla conquistando
il regno di Norhomb. Il padre di lei manda
la figlia a placarlo, ed essa va ; e quantun-
que l'odii, cerca di lusingarlo. Gli impone
le più pericolose imprese, che egli supera ;
12
Sta la cruda Anassàrete più al basso.
Ove è maggiore il fi^mo, e più martire.
Restò converso al mondo il corpo in sasso,
E l'anima qua giù venne a patire;
Poi che veder per lei l'afflitto e lasso
Suo amante appeso potè solferire.
Qui presso è Dafne, ch'or s'avvede quanto
Errasse a fare Apollo correr tanto.
13
Lungo saria se gl'infelici spirti
De le temine ingrate, che qui stanno.
Volesse ad uno ad uno riferirti;
Che tanti son, ch'in infinito vanno.
Più lunj^o ancor saria gli uomini dirti,
A' quai l'essere ingrato ha fatto danno,
E che puniti sono in peggior loco.
Ove il fumo gli accieca, e cuoce il fuoco.
14
Perchè le donne più facili e prone
A creder son, di più supplicio è degno
Chi lor fa inganno. Il'sa Teseo e Giasone,
E chi turbò a Latin l'antiquo regno:
Sallo ch'incontra sé il frate Absalone
Per Tamar trasse a sanguinoso sdegno;
Et altri et altre: che sono infiniti,
Che lasciato han chi moglie e chi mariti.
Ma per narrar di me più che d'altrui,
E palesar l'error che qui mi trasse,
Bella, ma altiera più, si in vita fui.
ma vedendosi tante volte deluso ne ammala.
Essa, impietosita al fine, va per confortarlo,
e lo trova morente. Il modello del Guiroa
fu l'Anassarete d' Ovidio, (Metam. 14, 698),
da cui pure 1' A. ha tratto alcuni partico-
lari.
li. 1. Anassàrete. Fu, secondo le favole,
bellissima fanciulla di Cipro; amata da Ifi
gli si mostrò crudele. Ifi per disperazione
si impiccò; di che ella godette. Fu dagli
dei per pena convertita in sasso.
— 5. per lei. È complem. di appeso.
— 7. Dafne. Figlia del fiume Penco, fug-
gendo l'amore di Apollo fu trasformata in
lauro. OviD. Met. 1.
13. 3. Volesse, volessi. V. e. xxxi, 12, n. 7.
— G. essere ingrato. È usato assoluta-
mente, perciò non concorda con uomini.
14. 3. Teseo, Giasone, Enea, abbandona-
rono rispettivamente Arianna, Medea, Di-
done.
, — 5. Sallo chi ecc. Ammone figlio di Da-
vid tradi Tamar sorella d'Assalone, che per
j vendicarsi lo invitò a mensa e l'uccise. Am-
j mone e Assaione erauo ambedue figli di
: David, ma di madri diverse.
j 15. 3. Bella ecc. Il Galilei corresse « Bella
ed altera tanto in vita fui»; donde non si
I capisce che valore attribuì al imi. Il Lavez-
462
ORLANDO FURIOSO
Che nou so s'altra mai mi s'agguagliasse:
Né ti saprei beu dir, di questi dui
S'ia me l'orgoglio o la beltà avanzasse ;
Quantunque il tasto e l'alterezza nacque
Da la beltà eh'a tutti gli occhi piacque.
IG fliero
Era in quel tempo in Tracia un caval-
Estimato il miglior del mondo in arme,
Il qual da più d'un testimonio vero
Di singoiar beltà senti lodarme:
Tal che spontaneamente fé' pensiero
Di volere il suo amor tutto donami e,
Stimando meritar per suo valore,
Che caro aver di lui dovessi il core.
17
In Lidia venne; e d'nn laccio più forte
Vinto restò, poi che veduta m'ebbe.
Con gli altri cavallier si messe in corte
Del padre mio, dove in gran fama crebbe.
L'alto valore, e le più d'una sorte
Prodezze che mostrò, lungo sarebbe
A raccontarti, e il suo merto infinito,
Quando egli avesse a più grato uom ser-
.18 fvito.
Pamfilia e Caria, e il regno de' Cilici
Pe:.- opra di costui mio padre vinse;
zuola intese: « Bella, ma più altera che bel-
la». E con questa interpi'etazione vide fra
il verso 3 e i versi 5 e 6 palese contra-
dizione. Il Romizi, rispondendo al Lave-
zuola, dice : « A me pare naturale questo
confondersi di donna, che deve confessarsi
in colpa d' alterezza e che nou può lodarsi
tanto da sé della propria bellezza senza ap-
parir troppo vana ». Confesso di non aver
capito la mente dell'insigne commentatore.
A me sembra che, intendendo come il La-
vezuola, la contradizione sarebbe evidente;
e, a cosi breve distanza, anche stranissima.
Invece si deve intendere ben diversamente,
dando al inù il significatù dvinoì.tre^ di più :
Io fui iu vita XI betta, ma inoltre ìi altera
Che ecc.; con la quale interpreiazione si dà
la migliore isposizione, che u Lavezuola
invocava a togliere la coutradizione, e si
rimedia al duro anacoluto, come voleva fare
il Galilei. Per questo signilicaio di più con-
fronta Boccaccio, Noo. 70: «.Ed ancor vi
dico più che quando costui mi lascerà, io
non intendo per ciò di mai tornare a voi ».
16. 6. il suo amor. L' innaiTioi anieiilo per
fama è frequente negli anticlii racconti;
famosi gli amori di Jaufré RuJel, di Ger-
bino.
17. 2. Vinto (dal lat. vincire) legato. Si
cita con questo solo esempio dell'Ariosto.
— 5-6. le... prodezze di più d'una maniera
Inversione freq. neir.\r.
18. 1. Panfilia, Caria, Cilicia erano [irovin-
cie dell'Asia Minore; oggi .\iiatoUa.
Che l'esercito mai contra i nemici,
Se non quanto volea costui, non spinse.
Costui, poi che gli parve i benefici
Suoi meritarlo, un df coi Re si strinse
A domandargli in premio de le spoglie
Tante arrecate, ch'io fossi sua moglie.
l'J
Fu repulso dal Re, ch'in grande stato
Maritar disegnava la tiglluola,
Nou a costui che cavallier privato
Altro non tien che la virtude sola:
E '1 padre mio troppo al guadagno dato,
E all'avarizia, d'ogni vizio scuola.
Tanto apprezza costumi, o virtù ammira,
Quanto l'asino fa '1 suon de la lira.
20
Alceste, il cavallier di ch'io ti parlo
(Che cosi nome avea), poi che si vede
Repulso da chi più gratitìcarlo
Era più debitor, commiato chiede;
E lo minaccia, nel partir, di farlo
Pentii-, che la figliuola non gli diede.
Se n'andò al Re d'Armenia, emulo antico
Del Re di Lidia, e capital nemico;
21
E tanto stiraulò, che lo dispose
A pigliar l'arme, e far guerra a mio padre.
Esso per l'opre sue chiare e famose
Fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel Re d'Armenia tutte le altre cose
Disse eh' acquisteria: sol le leggiadre
E belle membra mie volea per frutto
De l'opra sua, vinto ch'avesse il tutto.
22
Io non ti potre' esprimere il gran danno
Ch' Alceste al padre mio fa in quella guer-
(ra.
Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno
Lo mena a tal, che non gli lascia terra,
Fuor ch'un Castel ch'alte pendici fanno
Fortissimo; e là dentro il Re si serra
Con la famiglia che più gli era accetta,
E col tesor che ttar vi puote in fretta.
23
Quivi assedionne Alceste; et in non mol-
Termine a tal disperazion ne trasse, |to
Che per buon patto avria mio padre tolto.
Che moglie, e servaancor me gli lasciasse
Con la metà del regno, s'indi assolto
— 6. si strinse a; si accinse a. Si cita un
es. del l^agiuoli, non questo dell'.*.
19. 8. Quanto l'asino ecc. lì proverbio an-
tico: asinvs ad lyram : quanto rasino am-
mira il suon della 1. Per l' uso del verbo
fare. Cfr. e. xxiv, 16, n. 2.
20. 4. era... debitor, dovev.3 V. e. v, 72, 3.
23. 4. che . . . gli lasciasse; di lasciargli.
V. e. 1, 38, n, 6.
— 5. assolto; libero: non comune.
CANTO XXXIV
463
Restar d'ogni altro danno si sperasse.
Vedersi in breve de l'avanzo privo
Era ben certo, e poi morir captivo.
24
Tentar, prima ch'accada, si dispone
Ogni rimedio che possibii sia;
E me, che d'ogni male era cagione,
Fuor de la ròcca, ov'era Alceste, invia.
Io vo ad Alceste con intenzione
Di dargli in preda la persona mia,
E pregar che la parte che vuol, tolga
Del regno nostro, e l'ira in pace volga.
25
Come ode Alceste ch'io vo a ritrovarlo,
Mi viene incontra pallido e tremante:
Di vinto e di prigione, a riguardarlo.
Più che di vincitore, ave sembiante.
Io che conosco ch'arde, non gli parlo,
Si come avea giù disegnato inante :
Vista l'occasion, fo pensier nuovo
Conveniente al grado in ch'io lo trovo.
26
A maledir comincio l'amor d'esso,
E di sua crudeltà troppo a dolermi,
Ch'iniquamente abbia mio padre oppresso
E che per forza abbia cercato avermi;
Che con più grazia gli saria successo
Indi a non molti di, se tener fermi
Saputo avesse i modi cominciati,
Ch'ai Re et a tutti noi si furon grati.
27
E se ben da principio il padre mio
Gli avea negata la domanda onesta
(Però che di natura è un poco rio
— tì. si sperasse; V. e. v, 20, u. 3.
25. 8. grado ; condizione. È frequente an-
che in prosa, e comune in alcune locuz.
Essere, Sentirsi in grado, mettere o met-
tersi in grado, ecc.
26. 5. Che eoo p. grazia. Si può intendere :
La qual cosa (cioè avermi) sarebbe avve-
nuta per parte mia con maggioi-e e più gra-
dita spontaneità. Grada nel senso di spon-
taneità che riesce accetta e gradita più
della concessione forzata, l'abbiamo anche
nel e. XLi, 55, 7; e il che nel senso di la
qual cosa vedilo nel e. xxiv, 38, 15; xxvni,
37, 7, enei Petrarca i, son. 17: « l^oria smar-
rire il suo naturai corso. Che grave colpa
fla d'ambeduo noi». — Si può anche inten-
dere il che come congiunzione dipendente
da un verbo dico da rilevarsi dal comincio
della proposiz. principale : e gli dico che
con più gradita spontaneità gli sarebbe
successo d'avermi ecc.
27. 2. negata la dom. Domanda si usò non
di rado per la cosa domandata : Boccaccio,
Filocolo, 1, 14 : « A me la mia domanda non
negare ».
— 3. rio, ritroso, severo. Non si cita che
questo esempio dell'Ariosto.
Né mai si piega alla prima richiesta),
Farsi per ciò di ben servir restio
Non doveva egli, e aver l'ira si presta;
Anzi, ognor meglio oprando, tener certo
Venire in breve al desiato merto.
28
E quando anco mio padre a lui ritroso
Stato fosse io l'avrei tanto pregato,
Ch'avria l'amante mio fatto mio sposo.
Pur, se veduto io l'avessi ostinato,
Avrei fatto tal opra di nascoso.
Che di me Alceste si saria lodato.
Ma poi ch'a lui tentar parve altro modo,
10 di mai non l'amar fisso avea il chiodo.
29
E se ben era a lui venuta, mossa
Da la pietà ch'ai mio padre portava.
Sia certo che non molto fruir possa
11 piacer ch'ai dispetto mio gli dava:
Ch'era per far di me la terra rossa,
Tosto ch'io avessi alla sua voglia prava
Con questa mia persona satisfatto
Di quel che tutto a forza saria fatto.
30
Queste parole e simili altre usai.
Poi che potere in lui mi vidi tanto;
E '1 più pentito lo rendei, che mai
Si trovasse ne l'eremo alcun Santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai,
Che col coltel che si levò da canto
(E volea in ogni modo ch'io '1 pigliassi)
Di tanto fallo suo mi vendicassi.
31
Poi ch'io lo trovo tale, io fo disegno
La gran vittoria in sin al fin seguire.
Gli do speranza di farlo anco degno
Che la persona mia potrà fruire.
S'emendando il suo error, l'antiquo regno
— 5. Farsi restio di s. ; farsi ricalcitrante
a servir. Generalmente si costruisce con a.
Del costrutto con di non si cita dai voca-
bolari alcun esempio.
— 7. tener certo. Rileva dal contesto un
dovea.
— 8. merto premio. V. e. il, 16. — Venir ;
di venir.
28. 8. fisso avea il eh. Modo popolare vi-
vissimo, che vale essere ostinato.
29. 3. fruir ecc. V., perii costrutto, xiii,
14, 8,
30. 3. '1 più pentito... che ecc. Abbiamo
la fusione di due costrutti, uno superlativo
e uno comparativo. Lo rendei il più pentito
uomo che mai si trovasse. — Lo rendei
più pentito di quanto si trovasse mai pen-
tito nell'eremo alcun santo. L'A. ama spesso
queste fusioni. V. e. ii, 6; xxxv, 45 ecc.
31. 3. degno... che potrà; degno di poter.
È forse uno speciale atteggiamento del co-
strutto latino: dignus ut ecc.
464
ORLANDO FURIOSO
Al padre mio farà restituire;
E nel tempo a venir vorrà acquistarme
Servendo, amando, e non mai piùper arme.
32
Cosi far mi promesse, e ne la rócca
Intatta mi mandò, come a lui venni.
Né di baciarmi pur s'ardi la bocca:
Vedi s'al collo il giogo ben gli tenni-,
Vedi se bene Amor per me lo tocca,
Se convien che per lui più strali impenni.
Al Re d'Armenia andò, di cui dovea
Esser per patto ciò che si preudea:
33
E con quel miglior modo ch'usar puote.
Lo priega ch'ai mio padre il regno lassi,
Del qual le terre ha depredate e vote,
Et a goder l'antiqua Armenia passi.
Quel Re, d'ira infiammando ambe le gote,
Disse ad Alceste, che non vi pensassi;
Glie non si volea tòr da quella guerra,
Fin che mio padre avea palmo di terra.
34
E s'Alceste è mutato alle parole
D'una vii feminella, abbiasi il danno.
Già a'prieghi esso di lui perder non vuole
Quel ch'a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole
Che seco effetto i prieyhi suoi non fanno.
All'ultimo s'adira, e lo minaccia
Che vuol, per forza o per amor lo faccia.
35
L'ira multiplicò si, che li spinse
Da le male parole ai peggior fatti.
Alceste centra il Re la spada strinse
Fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti;
E, mal grado lor tutti, ivi l'estinse;
E quel di ancor gli Armeni ebbe disfatti
Con l'aiuto de' Cilici e de' Traci
Che pagava egli, e d'altri suoi seguaci.
30
Seguitò la vittoria, et a sue spese.
Senza dispendio alcun del padre mio.
Ne rendè tutto il regno in mcn d'un mese.
Poi per ricompensarne il danno rio,
OltFalle spoglie che ne diede, prese.
In parte, e gravò in parte di gran fio
32. 6. impenni, guarnisca di penne ; vedi
se è necessario che amore fabbrichi ormai
altri strali amorosi da colpirlo ; è chiaro
che no. Gli strali avevano ad una estremità
Jissate alcune penne, che servivano a man-
tenerne la direzione.
SU. &. pensassi. V. e. xxxil, 12, n. 6.
34. 8. Che. Si rilevi dal minaccia un e
dice, ai potrebbe anche intendere : Io mi-
naccia pei'ché.
3.J. 5. mal grado lor t. ; v. e. xviii, 40, n. 1.
30. 1. Seguitò la vittoria; continuò la guer-
ra vittoriosa. La vittoria è in questa espres-
sione come personificata. V. st. 31, 2.
— 5-6. prese in parte; prese parte di quel-
Armenia e Cappadocia che confina,
E scórse Ircania fin su la marina.
37
In luogo di trionfo, al suo ritorno.
Facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi, per non ricever scorno;
Che lo veggian troppo d'amici forte.
Fingo d'amarlo, e più di giorno in giorno
Gli do speranza d'essergli consorte;
Ma prima centra altri nimici nostri
Dico voler che sua virtù dimostri.
38
E quando sol, quando con poca gente
Lo mando a strane imprese e perigliose,
Da farne morir mille agevolmente:
Ma lui successer ben tutte le cose;
Che tornò con vittoria, e fu sovente
Con orribil persone e monstruose.
Con Giganti a battaglia e Lestrigoni,
Ch' erano infesti a nostre regioni.
39
Non fudaEuristeomai,nonfumai tanto
Da la Matrigna esercitato Alcide
In Lerna, in Nèmea, in Tracia, in Eri-
Alle valli d'Etolia, alle Numide, [manto.
Sul Tevre, su l'Ibero, e altrove; quanto
Con prieghi finti e con voglie omicide
Esercitato fu da me il mio amante.
Cercando io pur di tórlomi davante.
40
Né potendo venire al primo intento,
Vengone ad un di non minore effetto:
Gli fo quei tutti ingiuriar, ch'io sento
Che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli che non sentia maggior contento,
Che diibbidirmi, senza alcun rispetto
le regioni e le aggregò alla Lidia; parte le
gravò di tributi.
— 6. fio ; triljuto. Fio in antico significò
feudo e anche tributo feudale. Villani 4,
21 : « Assolve tutti i baroni da fio ».
38. 4. Ini succ; gli successer. Cosi Dante,
Inf. 8. « Ma per dar lui esperienza piena ».
— 7. Lestrigoni. Popolo selvaggio antro-
pofago, le cui sedi son messe dalla favola
ora in Oriente ora in .Sicilia ora nella Cam-
pania. V. Odissea lib. 10, dove combattono
contro i compagni di Ulisse.
39. 2. Alcide; Ercole (figlio di Giove e di
Alcmena, che aveva per marito Anfitrione
figlio A' Alceo ) compi le famose 12 fatiche
comandategli dal fratello Kuristeo per sug-
gestione della matrigna Giunone : uccise
r idra di Lerna - strangolò il leone Nemeo
- vinse Diomede re di Tracia - prese il cin-
ghiale d'Erimanto - vinse il fiume Acheloo
- uccise il gigante Anteo in .affrica (alle
valli Numide) - sul Tevere uccise il tiranno
Lacinie - In spagna vinse il re Gerione to-
gliendogli le famose bellissime vacche.
CANTO XXXIV
465
Le mani ai cenni miei sempre avea pronte,
Senza guardare un pili d'un altro in fronte.
41
Poi che mi fu, per questo mezzo, avviso
Spento aver del mio padre ogni nimico,
E per lui stesso Alceste aver conquiso,
Che non si avea, per noi, lasciato amico ;
Quel ch'io gli avea con simulato viso
Celato fin allor, chiaro gli esplico:
Che grave e capitale odio gli porto,
E pur tuttavia cerco che sia morto.
42
Considerando poi, s'io lo facessi,
Ch'in publica ignominia ne verrei
(Sapeasi troppo quanto io gli dovessi,
E crudel detta sempre ne sarei);
Mi parve fare assai, ch'io gli togliessi
Di mai venir più inanzi agli occhi miei.
Né veder né parlar mai più gli volsi.
Né messo udi', né lettera ne tolsi.
43
Questa mia ingratitudine gli diede
Tanto martir, ch'ai fin dal dolor vinto,
E dopo un lungo domandar mercede,
Infermo cadde, e ne rimase estinto.
Per pena ch'ai fallir mio si richiede.
Or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto
Del negro fumo: e cosi avrò in eterno ;
Che nulla redenzione è ne l'Inferno.
44
Poi che non parla più Lidia infelice,
Va il Duca per saper s'altri vi stanzi:
Ma la caligine alta ch'era ultrice
De l'opre ingrate, si gl'ingrossa inanzi.
Ch'andare un palmo^ol più non gli lice:
Anzi a forza tornar gli conviene, anzi.
Perché la vita non gli sia intercetta
Dal fumo, i passi accelerar con fretta.
45
Il mutar spesso de le piante ha vista
Di corso, e non di chi passeggia o trotta.
Tanto, salendo inverso 1' erta, acquista.
Che vede dove aperta era la grotta;
E l'aria, già caliginosa e trista.
Dal lume cominciava ad esser rotta.
Al fin con molto affanno e grave ambascia
Esce da l'antro, e dietro il fumo lascia.
46
E perché del tornar la via sia tronca
A quelle bestie c'han si ingorde l'epe.
41. 6. esplico. Dante, Par. 6, 26, disse
replico, supplico.
— 8. E pur tuttavia; e di più sempre cer-
co ecc. Duuque non devi unir pur con
tuttavia.
43. S. nulla redenzione. È l'espressione bi-
blica: in inferno nulla est redemptio.
45. 1. il mutar d. 1. p.; il mutar dei passi.
V. e. II, 32, n. 7.
46. 2. epe; i ventri: cosi Inf. 25, 82.
Eaguna sassi, e molti ai'bori tronca.
Che v'eran qual d'amomo e qual di pepe;
E come può, dinanzi alla spelonca
Fabrica di sua man quasi una siepe:
E gli succede cosi ben quell'opra,
Che più l'Arpie non torneran di sopra.
47
I! negro fumo de la scura pece.
Mentre egli fu ne la caverna tetra,
Non macchiò sol quel ch'apparia, et iufece;
Ma sotto i panni ancora entra e penetra:
Si che per trovare acqua andar lo fece
Cercando un pezzo; e al fin fuor d'una
Vide una fonte uscir ne la foresta, [pietra
Ne la qual si lavò dal pie alla testa.
48
Poi monta il volatore, e in aria s'alza
Per giunger di quel monte in su la cima,
Che non lontan con la superna balza
Dal cerchio de la Luna esser si stima.
Tanto è il desir che di veder lo 'ncalza.
Ch'ai cielo aspira, e la terra non stima.
De l'aria più e più sempre guadagna;
Tanto ch'ai giogo va de la montagna.
49
Zaffir, rubini, oro, topazi e perle
E diamanti e crisoliti e iacinti
Potriano i fiori assimigliar, che per le
Liete piaggie v'avea l'aura dipinti:
Si verdi l'erbe, che possendo averle
Qua giù, ne foran gli smeraldi vinti ;
Né men belle degli arbori le frondi,
E di frutti e di fior sempre fecondi.
50
Cantan fra i rami gli augelletti vaghi
Azurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli, e cheti laghi
Di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi
— 4. amomo, pepe. Se il pepe delle Indie
el'amomo comune sono piante erbacee, l'a-
momo del Malabar e il pepe di Giaraaica
sono veri alberi; e il P. livide forse pur nei
nostri giardini, dove crescono rigogliosi.
47. 3. infece; infettò: dall' iuus. inflcere
(lat.). Fu usato solo nel passato rem. e nel
part. pass, (infètto), non in altri tempi.
48. 2. monte. L' idea del Paradiso terrestre
in Oriente su una montagna è comune nel
M. Evo; sicché deve dirsi sorella non figlia
di quella dantesca; però in alcuni partico-
lari r A. ha avuto presente anche Dante.
— 4. si stima; si crede generalmente.
49. 1-8. Tutta questa descriz. del par.
terrestre si i-iseute di quella dantesca.
— 5. possendo, potendo. V. c. xiv, 54,
n. 7.
50. 5. Una dolce aura. Dante, Pury. 2S.
« Un' aura dolce senza mutamento Avere
in sé».
Ariosto — Papini
30
466
ORLANDO FURIOSO
A un modo sempre, e dal suo stil non falli
Facea si l'aria tremolar d'intorno,
Che non potea uoiar calor del giorno:
ól
E quella ai fiori, ai pomi e alla verzura
Gli odor diversi depredando giva;
E di tutti faceva una mistura
Che di soavità l'alma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alla pianura,
Ch'acceso esser parca di fiamma viva:
Tanto splendore intorno e tanto lume
Kaggiava, fuor d'ogni mortai costume.
52
Astolfo il suo destrier verso il palagio
Che più di trenta miglia intorno aggira,
A passo lento fa muovere adagio,
E quinci e quindi il bel paese ammira;
E giudica, appo quel, brutto e malvagio,
E che sia al cielo et a natura in ira
Questo ch'abitàn noi fetido mondo:
Tanto è soave quel, chiaro e giocondo.
53
Come egli è presso al luminoso tetto,
Attonito riman di maraviglia.
Che tutto d'una gemma è '1 muro schietto,
Più che carbonchio lucida e vermiglia.
O stupenda opra, o dedalo architetto!
Qual fabrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le mirabil sette
Moli del mondo in tanta gloria mette.
54
Nel lucente vestibulo di quella
Felice casa un Vecchio al Duca occorre,
Che '1 manto ha rosso, e bianca la gonnella.
— 6. dal s. s. non falli ; non si allontani.
Per fallare in questo senso e costrutto si
cita solo l'A.
52. 2. aggira; gira. L'usarono anche al-
tri, ma non è freq. Giambullari, St. E. 64:
« E vedesi ch'ella (città) aggira intorno quin-
dici miglia ».
— 5. appo quel; in confronto a quello.
53. 3. schietto; Uscio. Dante, Inf. 13, «non
rami schietti ».
— 5. dedalo; abile, maraviglioso. L'usa-
rono i Latini : Viro. En. 7, 2S2, ha daedala
Circe. Poi 1' usarono il Tasso, il Monti.
— 7. sette moli. Le sette maraviglie del
mondo. È notizia che ci viene dagli antichi
(V. De septe'in orbis ìniraculis tradotto dal
greco in lat. nel 1610 ; e Plinio, S. .V. lib. 36):
esse erano: Le piramidi - i giardini pensili
di Babilonia - le mura di Babilonia - il Giove
olimpico di Fidia - il colosso di Rodi - il
tempio di Diana in Efeso - La tomba di Mau-
solo. Alcuni facendo una sola della seconda
e terza aggiunsero il palazzo di Ciro re de'
Medi.
54. 2. occorre; (lat. occurrit), si presen-
ta. V. e. XXVII, 41.
Che l'un può al latte, e l'altro al minio op-
[porre
I crini ha bianchi, e bianca la mascella
Di folta bai'ba ch'ai petto discorre;
Et è si venerabile nel viso,
Ch'un degli eletti par del Paradiso.
55
Costui con lieta faccia al Paladino,
Che riverente era d'arcion disceso.
Disse; O Baron che per voler divino
Sei nel terrestre paradiso asceso:
Come che né la causa del camino,
Né il fin del tuo desir da te sia inteso;
Pur credi che non senza alto misterio
Venuto sei da l'Artico emisperio.
56
Per imparar come soccorrer dei
Carlo, e la Santa Fé tór di periglio.
Venuto meco a consigliar ti sei
Per cosi lunga via senza consiglio.
Né a tuo saper, né a tua virtù vorrei
Ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;
Che né il tuo corno, né il cavallo alato
Ti valea, se da Dio non t'era dato.
57
Ragionerem più adagio insieme poi, .
E ti dirò come a procedere hai;
Ma prima vienti a ricrear con noi;
Che '1 digiun lungo de,' noiarti ormai.
Continuando il Vecchio i detti suoi,
Fece maravigliare il Duca assai,
Quando, scoprendo il nome suo, gli disse
Esser colui che l'Evangelio scrisse.
58
Quel tanto al Redentor caro Giovanni
— 4. l'nn... l'altro, riferiti a maschile e
femmin. sono d'uso freq.; cosi pure questi. ..
quegli: Tasso, Ger. xii 57, di Clorinda e
Tancr. : « E questi e quegli allin pur si ri-
tira » e r A. e. xxvii, 116, 8; xvi, 6, 5, dove
puoi vedere la nota. — opporre, contrappor-
re, mettere a riscontro. È significato tolto
daiV opponere dei Lat.: i nostri vocab. non
lo citano.
— 6. discorre, scorre (lat. discurrit).
5,). s. da l'Artico e. Veramente la Nubia è
sempre nell'emisfero bor. (artico); ma qui
o l'A. intende dire che questo luogo è come
segregato dal mondo ; o per emisperio art.
intende semplicemente le parti del Setten-
trione : sei venuto dalle parti settentrionali
del mondo. È preferibile la prima interpre-
tazione.
SI. 4. senza consiglio. Unisci a Set venu-
to; e vuol dire: Senza che tu lo volessi e
sapessi. Dante, Par. 20, 41 : « In quanto ef-
fetto fu del suo consiglio»; e cosi spesso.
— 6. esser qui g. ; l'esser qui g. L'omis-
sione degli articoli è frequentissima nell'Ar.
68. 1. Giovanni Evangelista. Osserva il
CANTO XXXIV
467
- Per cui il sermone tra i fratelli uscio,
Glie non dovea per morte finir gli anni;
Si che fu causa che '1 figliuol di Dio
A Pietro disse: Perché pur t'affanni
S'iovo' che cosi aspetti il venir mio?
Ben che non disse: Egli non de' morire,
Si vede pur che cosi volse dire.
59
Quivi fu assunto, e trovò compagnia,
Che prima Enoch, il Patriarca, v'era;
Eravi insieme il gran profeta Elia,
Che non han vista ancor l'ultima sera;
E fuor de l'aria pestilente e ria
Si goderan l'eterna primavera.
Fin che dian segno l'angeliche tube,
Che torni Cristo in su la bianca nube.
60
Con accoglienza grata il eavalliero
Fu dai Santi alloggiato in una stanza:
Fu provisto in un'altra al suo destriero
Di buona biada, che gli fu a bastanza.
De' frutti a lui del Paradiso diero.
Di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza
Scusa non sono i duo primi parenti,
Se per quei fur si poco ubbidienti.
61
Poi ch'a natura il Duca avventuroso
Satisfece di quel che se le debbo,
Come col cibo, cosi col riposo,
Che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;
Lasciando già l'Aurora il Vecchio sposo.
Raina che è fantasia popolare molto antica,
che il Paradiso terr. sia il ricovero dei sot-
tratti alla morte. Enoch ed Elia e anche S.
Giov. Evang., secondo una tradizione assai
diffusa, ebbero questo privilegio. Ma è que-
sta la prima volta che S. Giov., a differenza
di Enoch e d'Elia, si mostra ai mortali.
— 2. Per cui ecc. Qui l'A. traduce parte
di quel luogo della scrittura, donde venne
la tradizione che Giovanni fosse ancor vivo
(Evang. S. Giov. 21). Gesù apparso ai disce-
poli predice a Pietro il martirio; e doman-
dandogli questi che cosa sarebbe avvenuto
di Giovanni (quem diligebat Jesus), Gesù ri-
sponde; « Si eum volo manere donec ve-
niam, quid ad te?». «Exiit ergo sermo iste
iuter fratres, quia discipulus ille non mo-
ritur. Et non dixit ei Jesus; non moritur;
sed: si eum volo manere donec veniam,
quid ad te?». Il verso 8: Si vede pur ecc.
è un commento che l'A., seguendo la tra-
dizione, fa per conto suo, ma non è con-
forme alla i-etta interpretazione scritturale.
59. 8. Che tornì ecc. Evang. S. Luca, 21;
«Et tane videbuut fìliuni hominis venieù-
tem in nube ».
60. 3. fu provisto... al s. d. di buona b.
V. per il costrutto e. xxvi, 71, ii. 1.
61. 5. Vecchio sposo, Titone.
Ch'aiiccr per lungaetàmai non rincrebbe,
Si vide incontra ne l'uscir del letto
Il discepol da Dio tanto diletto;
62
Che lo prese per mano, e seco scorse
Di molte cose di silenzio degne;
E poi disse: Figliuol, tu non sai forse
Che in Francia accada, ancor che tu ne
[vegue.
Sappi che '1 vostro Orlando, perché torse
Dal carain dritto le commesse insegne,
E punito da Dio, che piti s'accende
Centra chi egli ama piti, quando s'offende.
63
Il vostro Orlando, a cui nascendo diede
Somma possanza Dio con sommo ardire,
E fuor de l'uman uso gli concede
Che ferro alcun non lo può mai ferire;
Perché a dif' sa di sua santa Fede
Cosi voluto \ ha constituire,
Come Sanso :e incontra a' Filistei
Coustitui a difesa degli Ebrei :
04
Renduto ha il vostro Orlando al suo
Di tanti benefizi iniquo morto; [Signore
Che quanto aver più lo dovea in favore,
N'è stato il fedel popol più deserto.
Si accecato l'avea l'incesto amore
— 6. l'incr.; le increbbe. V, e. vii, 35,
n. 8.
63. 1. scorse, discorse. È diverso dallo
scorse del e. xiv, 79, dove significa scor-
rere col pensiero. Quest' altro senso non è
nei vocabolari.
— 2. cose di silenzio degne. Forse è ispi-
razione del Dantesco; «Parlando cose che
il tacere è bello », Inf. 4, 101. — Di molte,
molte. V. e. XXIX, 19, n. 7.
— 6. le commesse insegne. Al e. IX, 1. 6:
« E della santa chiesa difensore ». Il potere
e r autorità datigli per combattere i nemici
di Dio avea volti a combattere i suoi rivali
in amore.
63. 5. a difesa ecc.; V. e. xxiv, 10.
64. 1. il vostro Ori. Riprende, per la sin-
tassi, il vostro Ori. della st. precedente.
— 2. ha... in. merto; ha reso iniqua ri-
compensa; ossia è ingiustamente ingrato.
Vedi la stessa locuzioue nel e. v, IJ, 5 e la
nota.
— 3-4. quanto.., piti... più. Dante, Purg.
33, 81; «Che più la perde quanto più s'aiu-
ta?». Comunem. al Quanto jjìù corrisponde
Tanto più : quanto più Orlando doveva fa-
vorire il popolo cristiano, tanto più questo
ne è stato abbandonato. — aver... in favo-
re; favorire, proteggere. Questa locuzione
non è registi'ata, fra le tante, dalla Crusca.
— 4. deserto ; abbandonato.
— 5. incesto; incestuoso; ma qui vale »?>t-
468
ORLANDO FURIOSO
D'una Pagana, ch'avea già sofferto [
Due volte e più venire empio e crudele, '
Per dar la morte al suo cugin fedele. ;
65 j
E Dio per questo la ch'egli va folle,
Emostra nudoilventre,ilpettoeil fianco;
E l'intelletto si gli offusca e folle,
Che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle ,
Nabuccodonosòr Dio punir anco, j
Che sette anni il mandò di furor pieno, j
Si che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno. ;
G6 i
Ma perch'assai minor del Paladino,
Che di Nabucco, è stato pur l'eccesso;
Sol di tre mesi dal voler divino
A purgar questo error termine è messo, l
Né ad altro effetto per tanto camino
Salir qua su t'ha il Redentor concesso.
Se non perché da noi modo tu apprenda,
Come ad Orlando il suo senno si renda, i
67 ;
Gli è ver che ti bisogna altro viaggio .
Far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la Luna a menar faggio.
Che dei pianeti a noi più prossima erra;
Perché la medicina che può saggio
Rendere Orlando là dentro si serra. '
Come la Luna questa notte sia
Sopra noi giunta, ci porremo in via. i
68
Di questo e d'altre cose fu diffuso |
Il parlar de l'Apostolo quel giorno.
Ma poi che '1 sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
E sopra lor levò la luna il corno;
Un carro apparecchiossi, ch'era ad uso
D'andar scorrendo per quei cieli intorno:
Quel già ne le montagne di Giudea
Da' mortali occhi Elia levato avea.
69 [rossi
Quattro destrier via più che fiamma
Al giogo il santo Evangelista aggiunse;
E poi che con Astolfo rassettossi,
E prese il freno, in verso il ciel li punse.
Rotando il carro, per l'aria levossi,
E tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
Che '1 Vecchio fé' miracolosamente,
Che, mentre Io passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
Et indi vanno al regno de la Luna.
Veggon per la più parte esser quel loco,
Come un acciar che non ha macchia al-
E lo trovano uguale, o minor poco [cuna;
Di ciò ch'in questo globo si raguna,
In questo ultimo globo de la terra,
Mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia ;
Che quel paese appresso era si grande.
Il quale a un picciol tondo rassimiglia
A noi che lo miriam da queste bande:
E ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia.
S'indi la terra e '1 mar ch'intorno spande.
Discerner vuol; che non avendo luce,
L'imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre montagne
puì'o; dal lat. incestits, che ebbe questo |
primo significato. Cicer. 11. Filipp. li: in- \
cesto ore.
— 6. sofferto; osato, avuto il cuore di. In
questo senso non è registrato dai vocabo-
lari, ì
— 7. due volte e p. Le due volte a cui si j
accenna, sono neh' Innamor. i, xxvi ; ii, ■
XX : il più è un particolare aggiunto dal-
l'Ar. — venire, divenire. Cosi nel e. i, 2, ?,. \
65. 4. e sé manco ; e neppur sé. Cosi il I
BOCCACCIO, Tes. 2,03, usò meno, « Né sem- 1
bianza mutò l'ardita fronte, Men nel suo j
cuor si mitigò la guerra ». |
— 6. Habnccodonoscr per i suoi peccati fu |
privato del regno e « mangiò l'erba come j
i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla ru-
giada del cielo, tanto che il pelo gli crebbe, !
come le penne alle aquile e le unghie come
agli uccelli » Daniele, 4.
66. 1. del Paladino ; dipende da Eccesso.
67. 4. più prossima. È superlat. relativo;
e manca l'articolo. V. e. ii, 15, 8.
68. 8. Elia ecc. V. Re, 2, 2. « Ecco un carro
di fuoco e de' cavalli di fuoco... ed Elia sali
al cielo in un turbo ».
C9. 3. rassettossi; si fu accomodato sul
carro. Pulci, Morg. 15, 28; 16, 64, disse:
Rassettarsi neWarme; e Rassett. in sella.
— 6. il fuoco eterno, la sfera del fuoco,
che, secondo gli antichi, era fra la terra e
la sfera della luna.
70. 4. Come un acc. Dante la immagina
come una nube lucida, spessa, densa e po-
lita come un diamante (.Par. 2, 32).
— 5. uguale o m. L'A. segui Plinio, che
nella St. N. 2, 11, dice la terra uguale alla
luna; ma gli antichi astronomi avevano già
dimostrato che la luna è molto minore della
terra. È noto che è 19 volte più piccola.
— 7. ultimo ; per rispetto alle altre sfere
celesti, al centro delle quali, ferma, si cre-
deva stesse la terra.
71. 2. Che; è congiunzione dichiarativa di
ìnaraviglia. — appresso ; d'appresso, da vi-
cino.
— 6. spande.; si spande. Così assoluta-
mente non è molto frequente; si cita solo
un esempio di Pier Crescenzi, non questo
dell'Ar.
72. 1. Altri; molto maggiori: V. e. xxx,
39. n. 8.
CANTO XXXIV
469
Sono là su, che non son qui tra noi;
Altri piani, altre valli, altre campagne,
C'han le cittadi, hanno i castelli suoi.
Con case de le quai mai le più magne
Non vide il Paladiu prima né poi:
E vi sono ampie e solitarie selve.
Ove le Ninfe ogu'or cacciano belve.
73
Non stette il Duca a ricercare il tutto;
Che là non era asceso a quello effetto.
Da l'Apostolo santo fu condutto
In un vallon fra due montagne istretto,
Ove mirabilmente era ridutto
Ciò che si perde o per nostro difetto,
0 per colpa di tempo o di Fortuna:
Ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
In che la ruota instabile lavora;
Ma di quel ch'in poter di tòr, di darlo
Non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
11 tempo al lungo andar qua giù divora:
Là su infiniti prieghi e voti stanno.
Che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
L'inutil tempo che si perde a giuoco,
E l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
Vani disegui che non hau mai loco,
1 vani desidèri sono tanti.
Che la più parte ingombran di quel loco:
— 4. suoi, loro.
73. 5. mirabilmente ; miracolosamente.
Dante, Purg. 25, 85: « Per sé stessa cade
Mirabilmente all' una delle rive ».
— S. Ciò che ecc. « Milton descrivendo
quel suo limbo della vanità o paradiso dei
pazzi (Par. peni. 3) pose un verso nel quale
si mostra quasi invidioso dell'Ar. Sentiva,
credo, quanto gli restasse al di sotto» (Ca-
sella). Il luogo suona cosi: «uè come va-
neggiarono gli antichi (tutte le vanità di
questo mondo) volano nella luna, la quale
è più verisimile che accolga belle schiere
di Santi ».
74. 2. In che ecc. ; nei quali ha gran po-
tere la ruota della fortuna.
— 6. al Inng. and. Oggi comunemente si
omette l'articolo in queste espressioni ; ma
gli antichi usarono spesso la prepos. articol.
che anche oggi può servire a dar dignità
allo stile. Bocc, Introda:.: «al vostro iu-
dicio ». Petr. I, son. 3. «al mio parer » ecc.
In tutto quésto luogo è evidente e chiara
l'allegoria satirica.
75. 2. a ginoco; al giuoco. Solita omis-
sione dell'articolo: cfr. e. ii, 15 n. 8.
— 5. sono tanti ; È il verbo di tutti i sog-
getti precedenti, non solo di desideri.
Ciò che in somma qua giù perdesti mai,
Là su .salendo ritrovar potrai.
76
Passando il Paladin per quelle biche.
Or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche.
Che dentro parca aver tumulti e grida;
E seppe ch'eran le corone antiche
E degli Assiri e della terra Lida,
E de' Persi e de' Greci, che già furo
Incliti, et or n'è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e d'argento appresso vede
In una massa, ch'erano quei doni
Che si fan con speranza di mercede
Ai Re, agli avari Principi, ai Patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
Et ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
Versi ch'in laude del Signor si fanno.
78
Di nodi d'oro, e di gemmati ceppi
Vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'erau d'aquile artigli; e che fur, seppi,
L'autorità ch'ai suoi danno i Signori.
I mantici ch'intorno hau pieni i greppi,
Sono i furai dei Principi e i favori
76. 1. biche; (a. a. tedesc. biga, mucchio)
mucchi; è parola vivissima nel contado to-
scano.
— 6. terra Lida. Il regno di Lidia fu po-
tentissimo; ultimo i-e Creso, debellato da
Ciro (VI sec. av. Cr.).
77. 7. cicale scoppiate: scoppiate per trop-
po cantare. Il cauto della cicala è inutile;
cosi il canto dei poeti cortigiani, che s'af-
faticano tutta la vita in vano a celebrare i
lor signori.
78. •>. i mal segniti; gli amori tutti, acni
si va dietro, per nostra disgrazia, cou spre-
co di tempo e d'energia. Altri intende mal
riusciti. Ma l'amore nel concetto del Poeta
(xxiVjl; XXXI, 1 ecc.), anche se corrisposto,
è un dolce tormento, è un laccio d'oro; se
non corrisposto che cosa avrebbe mai d'au-
reo e di gemmata ?
— 3. seppi. Alcuni, come il Bolza, lo in-
tendono per seppe; ma di tale cambiamento
non vi è esempio ; né 1' A. poteva pretendere
d'essere inteso. È prima persona: ed è na-
turale che, come l'A. ha saputo da Turpino
tutto il resto, avrà da lui saputo anche
questo.
— 5. greppi, i pendii scoscesi della valle.
Non intendere, come alcuni, la pelle con-
fìtta fra i due legni del mantice.
— 6. fumi; gli onori, le blandizie, che i
Principi, insieme col loro favore, danno ai
favoriti. Questa interpretaz. è confermata
dalle altre ediz. del '16 e del '21 che leggo-
470
ORLANDO FURIOSO
Che danno un tempo ai Ganimedi suoi,
Che se ne van col fior degli anni poi.
79
Ruine di cittadi e di castella
Stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda e sa che son trattati, e quella
Congiura che si mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
Di monetieri e di ladroni l'opra:
Poi vide bocce rotte di più sorti,
Ch'era il servir de le misere corti.
80
Di versate minestre una gran massa
Vede, e domanda al suo Dottor, ch'impor-
L'elemosina è (dice) che si lassa [te.
Alcun, che fatta sia dopo la morte.
Di varii fiori ad un gran monte passa.
Ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
no «D'alcun principe son fumi e favori 5^.
« De li Principi son fumi e favori». L'espres-
sione dar del fumo a uno per blandirlo,
adularlo, è ancora viva e comune.
— 7. ai Ganimedi suoi; ai loro favoriti. Per
Ganim. V. e. w, 47, n. 5. Questi favori si
perdono , col venire della vecchiaia, mule
adatta a servir nelle corti.
79. 4. Congiura ecc. Gli interpetri trovano
difficoltà in questo passo, dove voorlion ve-
dere determinate allusioni politiche. Ma
forse l'A. usò il singolare per il plurale, e
volle dire che in tutto quel mucchio di ro-
vine erano anche quelle congiure, che non
riescono a celarsi e che perciò non hanno
effetto e sono roba perduta. Quelle che si
celano e vanno al fine non sono qui. I trat-
tati violati producono la rovina delle città;
le congiure scoperte la rovina dei castelli e
dei loro signori, che le tramano.
— 5. serpi ecc. Qui l'A. lia voluto accen-
nai'e alle arpie, che descrive cosi anche al
e. xxxiii, 120. Le arpie sono celebri per la
loro rapacità.
— 7. bocce rotte. Come la boccia, finché
è salda si serba e si usa a qualche cosa, e
quando è rotta si getta nella strada, cosi
chi serve nelle'corii è dimenticato appena
cessa il bisogno del suo ser\izio.
80. L versate, rovesciati! al suolo.
— 2. eli' imporle, che si^juifichi.
— I. che fatta sia; che debba esser fatta.
Il Romizi intende di elemosine che gli eredi,
violando il testamento, non fanno: io credo
che si tratti di elemosine, die, invece di
farle in vita, mio, giunto a morte, ordina
sian fatte dggli eredi; e sono poco meri-
torie, perché fatte per paura dell' inferno
e per onestare una vita di colpe. Anche il
volgo cristiano dice: vai più una messa in
vita che cento in morte.
Questo era il dono (se però dir lece)
Che Constantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran copia di panie con visco.
Ch'erano, o Donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
Le cose che gli tur quivi dimostre;
Che dopo mille e mille io non finisco,
E vi son tutte l'occorrenzie nostre :
Sol la pazzia non v'è poca né assai;
Che sta qua giti, né se ne parte mai.
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui.
Ch'egli già avea perduti, si converse;
Che se non era interprete con lui.
Non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a (jnel che par si averlo a uni.
Che mai per esso a Dio voti non férse;
Io dico il senno; e n'era quivi un monte.
Solo assai più, che l'altre cose conte.
83
Era come un liquor suttile e molle.
Atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
E si vedea raccolto in varie ampolle,
Qual piti qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
Signor d'Anglante era il gran senno in-
E fu da l'altre conosciuta, quando [fuso;
— 7. dir; sottint. lo, ciò. È come un chie-
der venia allo scrupoloso lettore.
— 8. Constantino. Anche al tempo dell'A.si
credeva da qualcuno alla supposta dona-
zione fatta da Costantino a S. Silvestro;
quantunque l'avesse chiaramente mostrata
falsa L. Valla « De falso eredita et ementita
Costantini donatione » (lUO). L'A., probabil-
mente pel ricordo Dantesco, finge di cre-
derla ( Dante, Par. 19, 115) ; ma non do-
vette ignorare il lavoro del dotto umanista.
Cfr. e. XVII, 7S, n. 1.
SI. 6. E vi son ecc. La cong. e ha valore
di poiché; significato chiarissimo anche in
questo luogo del Petrarca, ti, son. 2^>:
♦ Non posso, e (poiché) non ho più si dolce
lima, Rime aspre e f(jsche far soavi e chia-
re ». — occorrenzie, bisogni, ciò che perdia-
mo e che quindi ci viene a mancare.
82. 3. Che. È il c/ie usato con molta li-
liertà, come fa il popolo. Verameule è re-
lativo, ma il periodo prende poi un'alti;i
piega, e il che, diventato superfluo, dovrebbe
cambiarsi piuttosto in e. Cosi nel e. i, 05, 5.
— 5. averlo. U lo è pleonastico.
— 0. férse, si fero. V. ii, 42, e. n. 1.
— 8. conte, conlate, raccontate. È scor-
ciamento popolare non raro negli anlicln
scrittori.
83. 1. sottile e molle ; di poca consistenza
e delicato, cosi che aU'aria svaniva. Molle
riferito a lir/uore è uso molto notevole.
— 7. quando; poiché. V. c. I, 18, 3.
CANTO XXXIV
471
Avea scritto di fuor: senno d'Orlando.
84
E cosi tutte l'altre avean scritto anco
II nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il Duca franco;
Ma molto più maravigliar lo fenno
Molti ch'egli credea che dramma manco
Non dovessero averne, e quivi deano
Chiara notizia che ne tenean poco ;
Che molta quantità n'era in quel loco.
85
Altri in amar lo perde, altri in onori.
Altri in cercar, scorrendo il mar, ricchez-
Altri ne le speranze de' Signori, [ze,
Altri dietro alle magiche sciocchezze.
Altri in gemme, altri in opre di pittori.
Et altri in altro che più-d'altro apprezze.
Di sofisti e d'astrologhi i-accolto,
E di poeti ancor ve n'era molto.
86
Astolfo tolse il SUO; che gliel concesse
Lo Scrittor de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
E par che quello al luogo suo ne gisse;
E che Turpin da indi in qua confesse
Ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
Ma ch'uno error che fece poi, fu quello
Ch' un' altra volta gli levò il cervello.
84. 3. Duca franco ; Alcuni intendono D.
francese ; ma l' Ar. nell'ediz. del '32, in que-
sto senso adoprò sempre la maiuscola: qui
col Bolza e con altri intenderai il prode, il
yeneroxo Duca. Nel e. xx, 9, è chiamato in-
\ece Duca Iiìfjlese, il che è pure una prova
contro la i)rima interpretazione.
— 6. dénno, dettero. V. e. xvii, 63, n. 5.
— 8. Che, poiché.
85. 4. magiche sciocchezze. Nel secolo xv,
XVI e XVII, le scienze occulte presero gran-
dissimo sviluppo ed ebbero molti proseliti.
Si ricordino i più famosi maestri: Paracel-
so (1493-1541); Agrippa (1486-1535); Cardano
da Gallarate (1501-76) ecc. Fa onore al buon
senso dell'A. questo sorriso su quelle scioc-
chezze, a cui tanti grandi ingegni crede-
vano.
86. 5. E che T. da indi ecc. ; e pare che
T., quando dice che Ast. saggio visse, vo- i
glia intendere da quel tempo in avanti. Su |
'i'urpiuo cfr. e. xiii, 40, n. 2. j
— 7. Ma che ecc.; Rileva dal contesto uu
verbo all'indicativo: ma aggiunge che ecc.
Questo errore immaginalo dall'A., è da lui '
dichiarato nel 4° dei cinque cauti. Astolfo
si innamora della moglie di un castellano '
e con insidie glie la toglie; ne è punito ca-
dendo nei lacci di Alcina, che lo fa ingoiare i
da una balena. Forse in questo tempo l'A. |
aveva abbozzato anche quel lavoro, j
87
La più capace e piena ampolla, ov'era
Il senno che solca far savio il Conte,
Astolfo toUe ; e non è si leggera,
Come stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che '1 Paladin da quella sfera
Piena di luce alle più basse smonte,
Menato fu da l'Apostolo santo
In un palagio ov'era un fiume a canto;
88
Ch'ogni sua stanza avea piena di velli
Di lin, di seta, di coton, di lana.
Tinti in vari colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
Fila a uu aspo traea da tutti quelli;
Come veggiàn l'estate la villana
Traer dai bachi le bagnate spoglie,
Quando la nuova seta si raccoglie.
89
V'è chi finito un vello, rimettendo
Ne viene un altro, e chi ne porta altronde;
Un'altra de le filze va scegliendo
87. 8. ov'era... a canto. Struttura popolare;
regolami, accanto al quale era un fiume.
88. 1. velli; batuflfoli. Fe/fó propriamente
è la lana delle pecore, ma anche altri l'usa-
rono per batuffolo di materia da filare.
Crescenzi, Agric. 5, 1, 12: « Prendi un vello
di lana o di lino ».
— 2. Di lin ecc. Già i Latini aveano detto
bianche, nere, purpureeìe fila delle Parche
a indicare la vita felice, infelice o illustre
degh uomini: l'A. induce maggior novità,
immaginando anche diversa la materia.
— 4. una femina cana; canuta (lat. cana).
Le Parche, secondo la mitologia, sono tre ;
una fila, la seconda torce il fuso e avvolge
il filo, la terza lo tronca. Qualche volta se ne
trova anche una sola; non mai due. Sembra
che qui l'Ar., oltre a dar novità all'imma-
gine prendendola, non da chi fila ma da chi
raccoglie in matasse la seta (ex, 56, n.4),
abbia anche voluto variare il mito riducendo
le Parche a due: cfr. i vv. 1-2 della st. se-
guente.
— 7. bachi, bachi da seta, che ano' oggi
in Toscana e altrove si chiamano semplice-
mente bachi.
89. 1-2. chi... e chi. Rappresentano una
sola persona, cioè la seconda Parca, o due
persone, cioè la Morte e la Natura indicate
più sotto '. Tutto il contesto avvalora la se-
conda interpretazione. Si osservi special-
mente l'altra del v. 5, st. 90, che sembra
accennare chiaramente a due sole Parche.
La Morte dunque, finito un vello, ne mette
un altro, il che è simbolo del fine della vita,
la Natura porta sempre d'altra parte (al-
tronde) uuovi velli, ossia nuove vite.
— 3. filze. Nel dialetto Reggiano si dice
472
ORLANDO FURIOSO
Il bel dal brutto che quella confonde.
Che lavor si fa qui, ch'io non l'intendo?
Dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
Le Vecchie son le Parche che con tali
Stami filano vite a voi mortali.
90
Quanto dura un de' velli, tanto dura
L'umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l'occhio e la Morte e la Natura,
Par saper l'ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha l'altra cura.
Perché si tesson poi per ornamento
Del Paradiso; e dei più brutti stami
Si fan per li dannati aspri legami.
91
Di tutti i velli ch'erano già messi
In aspo, e scelti a farne altro lavoro,
Erano in brevi piastre i nomi impressi,
Altri di ferro, altri d'argento o d'oro:
E poi fatti n"avean cumuli spessi,
filza per matassa (Catelani : Della patria
di L. A. e de'reggianismi e lombardismi
del medesimo).
— 4. Il bel dal br. La prima Parca non
distingue il bello dal brutto; e ciò rappre-
senta la vita naturale, che è uguale per
tutti; l'altra Parca presiede agli umani de-
stini, che «on differenti secondo la differente
vita morale di ciascuno di noi: cfr. st. 90,
4-6. Avverti quest' ufHcio tutto nuovo, che
Ta. assegna a una delle Parche.
91. 2. altro lavoro; ornamenti del para-
diso o legami per i dannati.
— 4. Altri di ferro; espressione ellittica
che compirai cosi: altri in piastre di ferro
ecc. « I nomi impressi nei diversi metalli
denotano la diversità dei costumi e del-
l'opre. Per la qual ragione i quattro secoli
vanno designati con l'oro, con 1' argento,
col rame e col ferro » (Foknari).
De' quali, senza mai farvi ristoro,
Portarne via non si vedea mai stanco
Un Vecchio, e ritornar sempre per anco.
92
Era quel Vecchio si spedito e snello,
Che per correr parea che fosse nato;
E da quel monte il lembo del mantello
Portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perché facea quello,
Ne l'altro Canto vi sarà narrato,
Se d'averne piacer segno farete
Con quella grata udienza che solete.
— 6. s. ni. farvi ristoro. Alcuni, fra cui ul-
timo il Romizi, intendono : senza mai rimet-
tervene altri. Ma di grazia, poiché questo
vecchio rappresenta il tempo e poiché al
tempo non resta che gettare in Lete il nome
e la memoria di chi è morto, che cosa do-
vrebbe mai rimettere in quei cumuli di
piastre ? che cosa può riportare il tempo
che passa, della vita dei mortali ? Intendi
dunque: Sema mai prender ristoro di que-
sta faccenda. La locuzione far 7'istoro, non
è registrata dai vocabolari. Forse è for-
mata per analogia dell' altra far sosta. Vi
per iìi questa cosa vedilo pure nel e. vn,
2, 1 ; e vedi la nota.
— 7. Portarne; a o di portarne; non si
vedeva mai stanco di portarne via e di ri-
tornar sempre p. a.
— 8. ritornar per anco; rit. per prenderne
ancora. Dante, Jnf.2ì,30: « .Mettetel sotto,
ch'io torno per anche».
9'2. 4. pien del n. a. s. ; pieno di piastre
col nome altrui ivi segnato; o anche: pieno
dei nomi altrui segnati nelle piastre.
— 8. grata. V. e. xviii, 1, n. 7. « Bacone
nel secondo libro de Augmentis scientia-
rum, loda molto questa bella allegoria del
tempo, che afìonda in Lete i nomi degli
uomini, mentre i cigni, ossia gl'illustri poe-
ti, li salvano » (Casella).
CANTO XXXV
Chi salirà per me, Madonna, in cielo
1. 1. Madonna. Che qui e negli altri luo-
ghi simiU del Poema si tratti di Alessandra
Benucci apparirà certo a chi pensi, che il
Poeta era neli'ardoi*e dei primi amori con
lei, quando dava l'ultima mano al Furioso
(1513-16); e che da lei stessa forse fu tal-
volta consigliato nelle minute correzioni,
che vi fece. Come supporre che Ella potesse
A riportarne il mio perduto ingegno?
Che, poi ch'usci da' bei vostri occhi il telo
Che '1 cor mi fisse, ognor perdendo vegno.
in quel tempo sospettare in lui amore per
altra donna? Vedi del resto e. i, 2, n. 5.
— 2. ingegno, senno; come nel e. xxix,
■17, 1.
— 4. fisse (lat. lixit), trafisse. E forma
assai usata dagli antichi, specialmente in
poesia; cosi pure il presente figo (xxvi,
35, 7): gli altri tempi sono più rari.
Canto xxxv
473
Né di tanta iattura mi querelo,
Pur che non cresca, ma stia a questo se-
Ch'io dubito, se piti si va scemando, [gno ;
Di venir tal, qual ho descritto Orlando.
2
Per riaver l'ingegno mio m'è avviso
Che non bisogna che per l'aria io poggi
Nel cerchio de la Luna o in Paradiso;
Ché'l mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
Nel sen d'avorio e alabastrini poggi
Se ne va errando; et io con queste labbia
Lo còrrò, se vi par ch'io lo riabbia.
3
Per gli ampli tetti andava il Paladino
Tutte mirando le future vite,
Poi ch'ebbe visto sul fatai molino
Volgersi quelle ch'erano già ordite:
E scòrse un vello che più che d'or tino
Splender parca; né sarian gemme trite,
S'in filo si tirassero con arte.
Da comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
Che tra infiniti paragon non ebbe;
E di sapere alto disio gli nacque.
Quando sarà tal vita, e a chi si debbo.
L'Evangelista nulla glie ne tacque:
Che venti anni principio prima avrebbe
Che coU'M e col D fosse notato
L'anno corrente dal Verbo incarnato.
5
E come di splendore e di beltade
Quel vello non avea simile o pare;
Cosi saria la fortunata etade
3. 2. le fut. vite; cioè i velli, che erano
ancora da filare e metter sull'aspo.
— 3. fatai molino, fatale aspo. Più co-
munemente si disse muUuello, ina trovasi
anche quest'altra forma: se ne cita un solo
esempio dalla Tipocosmia del Citolini.
— 4. ordite, cominciate. Petrarca, Tr.
Fama, 2, 121 : « Ma Nino, ond' ogn' istoria
umana è ordita, Dove lasc'io?».
4. 7. coH'M ecc. Alcuni computarono gli
anni dall' incarnazione, invece che dalla
nascita di Cristo. Ippolito d'Este, a cui qui
si allude, nacque nel 1479 dalla nascita di
Cristo dunque nel USO dall' incarnazione,
ossia 20 anni prima del MD. L' idea di rap-
presentar, con lettere, dei numeri gli venne
forse da Dante, Par. 19, 129.
— 8. dal V. ine. ; è il modo latino a
verbo incarnato invece di ab incarna-
tione Verbi; cosi dycQS,i post Christuinnor
tum invece di post nativitatem Christi.
a. 3. etade, vita, che dovea filarsi da
questo vello. Cosi intendo col Romizi. Il
Bolza intende tempo; ma ciò non si accorda
col seguente uscirne (un tempo, un' età,
Che dovea uscirne, al mondo singolare ;
Perché tutte le grazie inclite e rade,
Ch'alma natura, o proprio studio dare,
O benigna Fortuna ad uomo puote,
Avrà in perpetua et infallibil dote.
6
Del Re de' fiumi tra l'altiere corna
Or siede umil (diceagli) e piccol borgo:
Dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
D'alta palude un nebuloso gorgo;
j che viene da Ippolito?); né con quello che
segue ; infatti dei versi 5-8 il soggetto è,
! non già Vetade, ma un individuo. Abbiamo
dunque un uso analogo a quel di Dante.
I Convivio 384 : « Certo corso ha la nostra
età (vita)». E il Casa disse. Rime I, 9:
« Io, che r età solea viver nel fango ».
6. 1. l'altiere corna. Virgilio (Georg. 4,
371) dice del Po : « gemina auratus taurino
cornua vultu » e Georg. 1, 482 lo dice « Flu-
viorum rex Eridanus». Qui l'Ar. parla di
1 Ferrara, « le cui mura souo dall' Oriente e
da mezzodì dal Po bagnate » dice il Fornari ;
infatti anticamente passava a sud di Fer-
rara un ramo secondario del Po (Po di Fer-
j rara), che poi si divideva in altri due rami
(Po di Primaro e Po di Volano). Ora il Po
non ha più comunicazione con questi rami,
che sono soltanto canali. Dunque Ferrara
j rimaneva fra il ramo principale e il ramo
j .secondario, che partiva dalla Stellata, come
fra due corna.
I — 2. nmil... e p. borgo. Sulle umili origini
! di Ferrara si è molto favoleggiato. Alcuni
i la dissero fondata al tempo di Attila, da
genti che fra quelle paludi fuggivano il fu-
rore di lui : altri asserì che fosse fondata
dagli abitanti di Ferrariola « che era di là
dal Po, ove ora è la chiesa di S. Giorgio »
(Fornari). E questo sarebbe avvenuto nel
433. Ma se possiamo ritenere che al tempo
di Carlo Magno fosse veramente un umile
e piccol borgo, non possiamo con precisione
stabilirne le origini (cfr e. xliii, 61).
— 3. Dinanzi il Po ecc. Il luogo si pre-
senta non chiaro, perché non è facile sta-
bilire il significato, che han qui dinanzi e
di dietro. Ma si pensi che parla S. Giovanni
dai monti della Luna in Affrica, perciò di-
nanzi vorrà dire la parte sud est della
città, che era bagnata dal Po, come abbiamo
visto, di dietro sarà la parte nord ovest,
che anticamente era terreno paludoso fin
sotto le mura della città stessa. V. e. iii,
48, u. 3 ; e xliii, 61, 3).
— 4. gorgo. È qui usato per acqua sta-
gnante, ma profonda; come nel e. xliii, 61,
3 : « E ciò eh' è intorno è tutto stagno e
gorgo ». Più comunemente è quella profon-
dità, che fauno i mulinelli delle acque cor-
474
ORLANDO FURIOSO
Che, volgendosi gli anni, la pili adorna
Di tutte le città d'Italia scorgo.
Non pur di mura e d'ampli tetti regi,
Ma di bei studi e di costumi egregi.
7
Tanta esaltazione e cosi presta,
Non fortuita ò d'avventura casca;
Ma l'ha ordinatali ciel, perché sia questa
Degna in che l'uom di ch'ioti parlo, nasca:
Che, dove il frutto ha da venir, s'inesta
E con studio si fa crescer la frasca;
E l'artefice l'oro affinar suole,
In che legar gemma di pregio vuole.
Né si leggiadra né si bella veste [gno;
Unquaebbealtr'almainquel terrestre re-
E raro è sceso e scenderà da queste
Sfere superne un spirito si degno.
Come per farne Ippolito da Este
N'have l'eterna niente alto disegno.
Ippolito da Este sarà detto
L'uomo a chi Dio si ricco dono ha eletto.
renti. Ma già i Latini usarono gurges pur
nel senso dell'Ariosto.
— 5. Che, il qual borgo.
— 7. regi, nobili, insigni. Cosi nel e. xiii,
71, 3; XL, 28, tì.
7. 2. fortuita. Anche i Latini fecero tal-
volta questa parola parossitona: Oraz. Od.
2, 15, 17. — d'avv. casca. Alcuni intendono
d'avventura come modo avverbiale per
caso, e casca per avviene ; altri intendono
procede dal caso. La Crusca fa confusione
ponendo per i due signilicati del verbo ca-
scare quest'unico esempio. Io osservo che
d'avventura non può esser lo stesso di
fortuita, per ciò dovrà significare da. Av-
ventura, da Fortuna: e intendo il luogo
cosi: non avviene a caso o procede dalla
Fortuna, cui nel Cinquecento si attribuiva
tanta forza negli avvenimenti umani e che
ben differiva dal caso (xr,, 65; xxxiii, 50).
Quanto al verbo cadere lo interpreto pro-
cedere e credo che si adatti a fortuita per
zeugma. Avventura per Fortuna vedilo
al e. .\xxi, 49, 2; xlvi, So, ò.
— 1. Degna in che; degna elle in essa.
Per il costrutto latino cfr. e. in, 27, n. 1.
8. 3--1. E raro ecc. « Per le spere superne
intenderemo i corpi delle stelle... donde
vuole Platone cbe i spinti umani discen-
dano, e dopo la morte in esse ritornino, se
qua giù avranno puramente vissuto » (Fou-
NAK.1).
— 6. l'eterna mente ecc. Il disegno del-
l'eterna mente non si riferisce allo spirito;
che le anime, secondo Platone, sono create
ab eterno da Dio, ma all' unione del corpo
e dello spirito, donde nasce l'uomo.
— 8, 8i' r. dono. È la leggiadra e bella
Quegli ornamenti che, divisi in molti,
A molti basterian per tutti oi-narli.
In suo ornamento avrà tutti raccolti
Costui, di ch'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, por lui soffolti
Saran gli studi ; e s'io vorrò narrar li
Alti suoi merti, alfin son si lontano,
Ch'Orlando il senno aspetterebbe in vani).
10
Cosi venia l'imitator di Cristo
Ragionando col Duca: e poi che tutte
Le stanze del gran luogo ebbono visto,
Onde l'umane vite eran condiitte.
Sul fiume uscirò, che d'arena misto
Con l'onde discorrea turbide e brutte;
E vi trovar quel Vecchio in su la riva,
Che con gl'impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi sia a mente, io dico quello
Ch'ai fin de l'altro Canto vi lasciai.
Vecchio di faccia e si di membra snello,
Che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empia il mantello ;
Scemava il monte e non finiva mai:
Et in quel fiume che Lete si noma,
Scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che, come arriva in su la sponda
Del fiume, quel prodigo Vecchio scuote
11 lembo pieno, e ne la turbida onda
Tutte lascia cader l' impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
Ch'un minimo uso aver non se ne puotc;
j veste, di cui si parla nel primo verso della
I stanza. — a chi, a cui.
j 9. 5. soffolti, sorretti, protetti. Non ebbe
i a dire [loi cosi nella Sat. 2 vv. 85 segg.,
' dove invece si lamenta della miseria, in cui
I ha lasciato lui e lascia in generale gli stu-
! diosi il cardinale Ippolito.
i — 6. narrar li. Cosi ha rimato nel e. xv,
I 18; xvii, 27, e altrove.
I lo. 1. l'imit. di Cristo; l'apostolo S. Gio-
I vanni. 8an Paolo disse: » imitatores mei
1 estote sicut ego Cristi ».
— 4. eran condotte, alla Parca, perché le
filasse sull'aspo.
11. 2. vi lasciai; lasciai ivi, sulla riva del
j fiume. Il Poeta veramente non dice nell'al-
I tro canto che il vecchio andasse al fiume;
] ma, pur non dicendolo egli, il vecchio vi
landò; cosi qui Va. può dire d'avere in-
! terrotto quel canto quando il vecchio era
! sul fiume.
i — 8. perdea; faceva sparire: perché Pac-
j qua era torbida, e le piastre si profonda-
vano nella rena.
12. 6. Che, cosi che,
CANTO XXXV
475
E di cento mifrliaia che l'arena
Sul fondo involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e d'intorno quel fiume volando
Givano corvi et avidi avoltori,
Mulacchie e varii augelli, che gridando
Facean discordi strepiti e romori;
Et alla preda correau tutti, quando
Sparger vedean gli amplissimi tesori:
E chi nel becco, e chi ne l'ugna torta
Ne prende; ma lontan poco li porta.
14
Come vogliono alzar per Taria i voli.
Non han poi forza che "1 peso sostegna;
Si che convien che Lete pur involi
De' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
Bianchi, Signor, come è la vostra insegua.
Che vengon lieti riportando in bocca
Sicuramente il nome che lor tocca.
15
Cosi contra i pensieri empi e maligni
Del Vecchio che donar li vorria al fiume,
Alcun ne salvan gli augelli benigni:
Tutto l'avanzo oblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
Et or per l'aria battendo le piume.
Fin che presso alla ripa del fiume empio
Ti-ovano un colle, e sopra il colle un teni-
IG [pio.
Airimmortalitade il luogo è sacro,
Ove una bella Ninfa giù del colle
— 8. un se ne s. a. ; Sono i nomi che non
si obliano subito interamente.
13. 3. Mulacchie; dette anche monedule,
sono una specie di corvi (corvus frugile-
gus). — Tutti questi augelli sono i corti-
ijlan geatili di cui nella st. 20, 5-8.
— 6. ampi, tesori, le piastre d'oro e d'ar-
gento (e. xxxiv, 91, 4).
14. 1. la in. degna: la m. insigne: degno
cosi assolutamente, iu questo senso, vedilo
nel e. v, S5, 1; xv; 31, 1; xxvir, 23, 4; ecc.
Sembra che vi sia anche un filo d' ironia,
come puoi rilevare dalla st. 21, v. 4. Male
il Romizi: la tnem. che pur sembrerebbe
deijna di durare.
— 5. duo e. soli; Son due soli a indicare
quanto sieno rari i grandi poeti.
— tì. 1. V. insegna; l'insegna degli Estensi
era un'aquila bianca iu campo azzurro.
1,5. 4. consume; consuma: dal lat. coìi-
sumere. Cosi nel e. xlv, 37, S ; xl, (5. È ter-
minazione antiquata, rimessa a nuovo dal-
l'Ariosto e usata poi anche dall'Auguillara,
Mei. 14, 223.
— 7. empio, spietato; come nella St. 22,
4 ; perché non risparmia la memoria della
maggior parte degli uomini.
16. 2. Ove. È una brachilogia che svolge-
! Viene alla ripa del Leteo lavacro,
I E di bocca dei cigni i nomi folle;
i~E qiiélli affige intorno al simulacro
Ch'in mezzoiltempio una colonna estolle:
Quivi li sacraje_n^fa_tal governo,
I Ch.ejvili^Qòflj[ed£rj4ittnn^t^^
I 17
Chi sia quel Vecchio, e perché tutti al
Senza alcunfrutto i bei nomi dispensi, [rio
E degli augelli, e di quel luogo pio
Onde la bella Ninfa al fiume viensi,
Aveva 4stolfo_di saper desio
I gran mTsierre gl'incogniti sensi;
E domandò tlTtiitte queste cose
L nonio di Dio, clie cosi gli fTspose:
18
Tu dei saper che non si muove fronda
L:i giti, che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
In terra e in ciel, ma con diversa faccia. jyi\
Quel^ Vecchio, la cui baj-ba il petto inon-\ ',
Velóce si che mai niilla rimpaccTta- ffki," H
Gli cft'etti pari e la medesima opra u
Che '1 Tempo fa là giii, fa qui di sopra.
19
Volte che son le fila in su la ruota.
Là giù la vita umana arriva al fine.
La fama là, qui ne riman la nota;
Ch'immortali sariano ambe e divine
Se non che qui quel da la irsuta gota,
E là giù il Tempo ogni or ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio;
E quel l'immerge ne l'eterno oblio.
•20
E come qua su i corvi e gli avoltori
E le mulacchie e gli altri varii augelli
S'atìaticano tutti per trar fuori
De r acqua i nomi che veggion più belli:
Cosi là giù ruffiani, adulatori,
Riitìou, c_niedi, accusatori, e quelli
Che viveno alle corti e che vi sono
Più grati assai che '1 virtuoso e '1 buono,
21
E son chiamati cortigian gentili,
Perché sanno imitar l'asino e "1 ciacco;
rai cosi: ove è una ninfa che giù dal colle
viene ecc.
— 5. affige (lat. afiSgit) : oggi più comu-
nemente afflgge. — simulacro, della J.mmor-
talità, cui estolle una cotenna.
17. 1-6. Chi sia ecc. Costruisci: Astolfo
avea disio di sapere chi sia q. veccliio, e
percM tutti a. r. s. a. f. i b. n. d., e i gran
misteri e gl'incogniti sensi degli augelli e
di q. 1. p. ecc.
18. 4. faccia, aspetto, apparenza esteriore.
19. 3. la nota, il nome inciso.
20. 6. cinedo (gr. Kinaidos) ; giovane uomo
che fa copia di sé. — accusatori, spie.
•ì\. 2. l'asino e il e; l'asino, avvilendosi
476
ORLANDO FURIOSO
De' lor Signor, tratto che n'abbia i fili
La giusta Parfiar anzi Vxjiex© e Bacco,
Questi diTnfìoti dico, inerti e vili.
Nati solo ad empir di cibo il sacco.
Portano in bocca qualche giorno il nome;
Poi ne l'oblio lascian cader le some.
22
Ma come i cigni che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio;
Cosi gli nomini degni da' poeti
Son tolti dall'oblio, più che morte empio.
Oh ben accorti Principi e discreti.
Che seguite di Cesare T esempio,
E gli scrittor vi fate amici, donde
Non avete a temer di Lete l'onde!
23
Son, come i cigni, anco i poeti rari.
Poeti che non sian del nome indegni,
Si perché il ciel degli uomini pleclari
Non paté mai che troppa copia regni,
Ì5Ì per gran colpa dei iSignori avari
Che lascian mendicare i sacri ingegni;
Che le virtù premendo et esaltando
I vizii, caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio questi ignoranti ha privi
De lo 'ntelletto, e loro offusca mimi;
Che de la poesia gli ha fatto schivi,
Acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi.
Ancor ch'avesser tutti i rei costumi,
Pur che sapesson farsi amica Cirra,
Più grato odore avriau che nardo o mirra.
25
Non si pietoso Enea, né forte Achille
Fu, come è fama, né sT fiero Ettm^re;
E ne son stati e mille e mille e mille
Che lor si puon TTDn verità anteporre;
Ma i donati palazzi o le gran ville
Dai descendenti lor, gli ha fatto porre
In questi senza fin sublimi onori
Da l'onorate man degli scrittori.
26
Non fu si santo né benigno Augusto,
Come la tuba di "VjrgiH.Q. suonjt:
L'aver avuto in poesia buon gusto
La proscrizione iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
Né sua fama saria forse men buona,
Avesse avuto e terra e ciel nimici.
Se gli scrittor sapea tenersi amici.
27
Omero Agamennòn vittorioso,
E'Tè' 1 l'roian parer vili et inerti;
E che Penelopea fida al suo sposo
Dai Prochi mille oltraggi avea softerti.
E se tu vuoi che '1 ver non ti sia ascoso,
Tutto al contrario l'istoria converti:
Che i Greci rotti, e che Troia vittrice.
sotto la prepotenza dei signori, il ciacco
(porco) secondando i vizi loro.
— 5. Questi di eh' io ecc. Riprende i sog-
getti, che sono nei vv. 5, 6 della st. prece-
dente.
22. 4. p. che m. empio; spietato più che
morte, perché, mentre questa uccide la vita
ilei corpo, quello uccide la vita dello spirito
in questo mondo.
— '>. discreti, assennati. V. e. xxiii, 116,
n. 2.
— 6. Cesare ; Cesare Augusto, che favori
i letterati, e da loro, come da Virgilio e da
Orazio, ebbe, secondo l'Ar., fama immortale.
^^ 2. i lami. Non intenderei, come in
generale fanno, i lumi dello intelletto, per-
ché, mentre prima ha detto che Dio li ha
privi d'intelletto, qui con poca coerenza
direbbe che han l' intelletto, ma oll'uscato.
Intendo diinqliF'^M Occhi per vedèTT-4»- glo-
ria di coloro, che i grandi poeti han cele-
brato.
— f^ Che. Non intenderlo per perché,
come fanno alcuni; che non darebbe senso:
dipende da credi. Sarebbe più chiaro con
un e:^ chejlellMjjQ£slajSCC. — gli ha fat-
to. È noto che quando nei tempi composti
con l'ausiliare avere, il participio è richia-
mato dalle particelle pronominali lo li le ecc.,
che precedono, deve accordarsi con l' og- I
getto. È dunque in questo luogo dell'Ar.
un' eccezione, non frecjfiente, alla regola.
(FORNACiARi, Sint. p. 310).
— 6. Ancor che ecc. Questo verso re-
stringe il concetto espresso nell'ultimo della
st., dopo il quale, costruendo, lo porrai.
— 7. Cirra; Città marittima della Focide,
che serviva di porto alla vicina Delfo, dove
era il tempio d'Apollo. Qui per Apollo stesso.
Cosi Dante, Par. 1, 36. — Questa conside-
razione del Poeta non è veramente molto
lodevole; ed ebbe ragione l'Alfieri a ribat-
terla con un sonetto che termina dicendo
come il poeta, che celebra un tristo, « nel
lodarlo merca a sé vergogna Né dell' infa-
mia a lui può dramma tórre».
2.). 6. Dai discendenti ; uniscilo a donati.
— gli ha fatto. V. la nota al v. 3 della st.
■i\, per la sconcordanza del participio con
r oggetto. Per il verbo al singolare cfr.
e. XX, 82, n. 8.
26. 1. La proscrizione, che Ottaviano fece
quando era triumviro con Antonio e Crasso,
nella quale peri anche Cicerone. — gli per-
dona; gli fa perdonare. K significato che
manca nei vocabolari ; ed è molto notevole.
27. 3. Penelopea, Penelope. Cosi Dante,
Purg. 1, 9. Calliopea.
— 4. Prochi. Più comunemente proci. Cfr.
e. XXVII, 107.
— 7. Che i Greci ecc. Dione Grisostomo
CANTO XXXV
A7\
E che Penelopea fu meretrice.
28
Da l'altra parte odi che fama lascia
Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
Che riputata viene una bag:ascia,
Solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
E se di ciò ditìusamente io dico.
Gii scottori_jjiio, e fo il debito mio;
Ch'ai vòsTrómondo fui scrittore anch'io.
29
E sopra tutti gli altri io feci acquisto
Che gon mi mio levar tempo né morte :
E b'en convenne al mio lodato Cristo
Rendermi guidardon di si gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
Quando la cortesia chiuso ha le porte;
Che con pallido viso e macro e asciutto
La notte e '1 di vi picchiai! senza frutto.
30
Si che, continuando il primo detto,
Sono i jxQgti-»-^flLstudiosi pochi:
Che dove non han pasco né-ri££tto,
Insin le fere abbandonanoli loclii^
-^s"i fliiiélldO'irVecchió^benedetto
Gli occhi infiammò, che parveno duo fuo-
Poi volto al Duca con un saggio riso [chi ;
retoi'e (120 circa a. C.) sostenne ciò in una
delle sue orazioni, come altri antichi, Lico-
frone, Tzezes, Pausania, dissero, per amor
di paradosso, che Penelope non fu donna
onesta. V. Mazzoni, Difesa di Dante 1, 3,
12. L'A. trovando comode queste opinioni
per il suo assunto, se le appropria.
28, 2. Elissa. È il nome storico di Didone,
la quale sarebbe stata chiamata con que-
st'ultimo nome siguilicante, secondo alcuni,
Viragine, secondo altri. Errante, da' Fe-
nici poiché ebbe fondata Cartagine. Questa
riabilitazione di Didone fu fatta dal Pe-
trarca, Trionfo delta Castità, IS: «Taccia
il volgo ignorante, io dico Dido, Che studio
d'onestade a morte spinse. Non quel d'Enea,
com' è pubblico grido ».
— S. fui s. anch'io; scrisse l'.-Vpocalisse
e il vangelo.
•29. 3. E ben convenne ecc. E fu cosa de-
gna d' un Dio, quale si conveniva a un Dio,
il guiderdone di si gran qualità (sorte),
eh' egli mi dette per le lodi fatte di lui. !
— 5. di quei, di quegU scrittori, che vi-
vono a questi tempi tristi.
30. 1. continuando ecc. Dante, Inf. IO,
76: «E se, continuando il primo detto». j
— 3. dove; È l'elativo di lochi; abban- ;
donano i luoghi, dove ecc. È una delle tante j
e dure inversioni del Furioso. !
— 6. parveno ; parvero. Forma popolare j
ancor viva nella plebe toscana. |
Tornò sereno il conturbato viso;
31
Resti con lo scrittor de l'Evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto.
Quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
Ch'io non posso pii'i star su l'ali in alto.
Torno alla Donna, a cui con grave telo
Mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai ch'avea con breve guerra
Tre Re gittati, un dopo l'altro, in terra;
32
E che giunta la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova,
D'Agramante che rotto dal fratello,
S'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che '1 suo Ruggier fosse con quello.
Tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
Verso Provenza, dove ancora intese
Che Carlo lo seguia, la strada prese.
33
Verso Provenza per la via più dritta
Andando, s'incontrò in una donzella.
Ancor che fosse lacrimosa e afllitta,
Bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella si d'amor trafitta
Per lo figli uol di Mouodante, quella
Donna gentil ch'avea lasciato al ponte
L'amante suo prigion di Rodomonte.
34
Ella venia cercando un cavalliero,
Ch'a far battaglia usato, come lontra,
In acqua e in terra fosije, e cosi fiero.
Che lo potesse al Pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
Come quest'altra sconsolata incontra.
Cortesemente la saluta, e poi
Le chiede la cagion dei'dolor suoi.
35
Fiordiligi lei mira, e veder parie
Un cavallier ch'ai suo bisogno tìa;
E comincia del ponte a ricontarle,
Ove impedisce il Re d'Algier la via;
E ch'era stato appresso di levarle
— 8. Tornò ecc. Si può intendere : il Santo
cambiò in sereno il e. v.; e questo signifi-
cato del verbo tornare abbiamo, per esem-
pio, nel Petrarca, ii, canz. S: «Il pianto
d'Eva in allegrezza torni ». Ma si può an-
che intendere: Poi il conturbato viso, es-
sendosi volto al Duca con un saggio riso,
tornò sereno.
"ì. 3. in terra a v.; a venire in terra.
— 7. Io la lasciai; e. xxxiir, 70-77.
a». 1-4. E che g. ecc. I primi quattro versi
di questa st. sono quasi eguali ai primi
quattro della st. 77 e. xxxiii.
33. 6. f. di Monodante; Brandimarte. E la
donna è Fiordiligi. V. e. xxxi, 78.
35. 3. ricontarle. V. e. IX, 85, u. 6.
— 5, era st, ap. d. 1.; ei*a stato sul punto
478
ORLANDO FURIOSO
L'amante suo: non che pili forte sia:
Ma sapea darsi il Saracino astuto
Col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
36
Se sei (dicea) si ardito e si cortese,
Come ben mostri l'uno e l'altro in vista,
Mi vendica, per Dio, di chi mi prese
Il mio Signore, e mi fa gir si trista;
O consigliami al meno, in che paese
Possa io trovare un ch'a colui resista,
E sappia tanto d'arme e di battaglia,
Che '1 fiume e '1 ponte al Fagan poco vaglia.
37
Oltre che tu farai quel che conviensi
Ad uom cortese e a cavalliero errante,
In beneficio il tuo valor dispensi
Del pili fedel d'ogni fedele amante.
De l'altre sue virtù non appartiensi
A me narrar; che sono tante e tante.
Che chi non n'ha notizia, si può dire
Che sia del veder privo e de l'udire.
38
La magnanima I>onna, a cui fu grata
Sempre ogni impresa, che può farla degna
D'esser con laude e gloria nominata,
Subito al ponte di venir disegna:
Et ora tanto pili, ch'è disperata, [gna;
Vien volentier, quando anche a morir ve-
Che credendosi, misera! esser priva
Del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
39
Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa,
Rispose Bradamante, io m'offerisco
Di far l'impresa dura e perigliosa.
Per altre cause ancor, ch'io preterisco;
Ma più, che del tuo amante narri cosa
Che narrar di pochi uomini avvertisco.
Che sia in amor fedel; ch'a fé ti giuro
Ch'in ciò pensai ch'ogn'un fosse pergiuro.
di toglierle per sempre Brandimarte, la-
sciandolo affogare: invece poi lo soccorse
e si contentò di tenerlo prigione: e. xxxi,
75. Il Panizzi e il Caniei'iiii sottilizzano in
modo da render difficile questo facilissimo
luogo. Il Barotti intende il senso, ma non
dichiara, spiegando : poco mancò non fosse
cagione della morte del suo amante.
39. 4. preterisco (lat. praeterire) passo in
silenzio. V. e. xxii, t.
— 5. pili che; più perché. V. e. 27, 8;
C6, 5; v, 16, 5, ecc.
— G. narrar avvertisco, osservo, noto nar-
rar, che si narra ecc. Gli antichi usarono
più volentieri la forma avvertisco; noi pre-
feriamo la più breve avverto.
— 7. Che sia ; cbe cioè sia. Il cong. indica
la cosa riferita da Brad, secondo il pensiero
di Fiordil. — a fé ; in fede mia.
8. pergiuro (lat. periuru-s). Cosi nel
40
Con un sospir quest'ultime parole
Fini, con un sospir ch'usci dal core;
Poi disse : Andiamo; e nel seguente sole
Giunsero al fiume, al passo pieu d'orrore:
Scoperte da la guardia che vi suole
Farne segno col corno al suo Signore,
Il Pagan s'arma; e quale è il suo costume:
Sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume :
41
E come vi compar quella guerriera,
Di porla a morte subito minaccia.
Quando de l'arme, e del destrier, su ch'ora,
Al gran sepolcro oblazìon non faccia.
Bradamante che sa l'istoria ver.*.
Come per lui morta Issabella giaccia.
Che Fiordiligi detto le l'avea.
Al Saraciu superbo rispondea:
42
Perché vuoi tu, bestiai, che gl'innocenti
Facciano penitenzia del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti :
Tu l'uccidesti; e tutto '1 mondo sallo.
Si che di tutte l'arme e guernimenti
Di tanti che gittati hai da cavallo,
Oblazione e vittima più accetta
Avrà, ch'io te l'uccida in sua vendetta.
43
E di mia man le fia più grato il dono.
Quando, come ella fu, son donna anch'io:
Né qui venuta ad altro effetto sono,
Ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono.
Che '1 tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
Quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:
44
Ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
Guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi;
e. XXXIX, IG, 7; xi.ii, 25. Cavalca, Espos.
simb. 2, 13: « ruomo pergiuro e sacrilego ».
40. 3. seg. sole, seg. giorno.
— 8. s'apparecchia. Il BarOtti, il Bolza,
il Romizi preferirebbero la lezione della pri-
ma ediz. s'aiJpresenta. E perché? s'appre-
senta dipinge Rod. in aspettazione passiva;
s'apparecchia lo mostra pronto e disposto
alla lotta. Quindi molto più efficace t la
seconda lezione.
42. 8. te ruccida, uccida te per lei. Re-
golarmente, ma non elegantemente, avrebbe
dovuto dire le ti uccida. Ma con ragione il
Nisiely dice questo modo oscuro e strano.
43. 2. Quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— G. Che; È correlativo di prima del v.
precedente : prima che il tuo valore si pa-
ragoni al mio ; prima che veniamo al pa-
ragone delle armi. — sì compari, si para-
goni. Oggi del verbo comparare si usa solo
il presente e i tempi composti.
CANTO XXXV
479
E quelle olìerir sole al cimitero,
E tutte l'altre distaccar da' marmi;
E voglio che tu lasci ogni guerriero.
Rispose Rodomonte: Giusto parmi
Che sia come tu di'; ma i prigion darti
Già non potrei, ch'io non gli ho in queste
45 [parti.
Io gli ho al mio regno in Africa maiidati
Ma ti prometto, e ti do ben la fede.
Che se ra'avvien per casi inopinati
Che tu stia in sella, e ch'io rimanga a pie-
Faro che saran tutti Ifberati [de,
In tanto tempo, quanto si richiede
Di dare a un messo ch'in fretta si mandi
A far quel che, s'io perdo, mi comandi.
46
Ma s'a te tocca star di sotto, come
Più si conviene, e certo so che tìa.
Non vo' che lasci l'arme, né il tuo nome,
Come di vinta, sottoscritto sia;
Al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
Che spirau tutti amore e leggiadria.
Voglio donar la mia vittoria; e basti
Che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
47
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
Ch'aver non dei d'andar di sotto a sdegno.
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
Che fece d'ira, più che d'altro, seguo.
La Donna: né rispose a quel superbo:
Ma tornò in capo al ponticel di legno,
Spronò il cavallo, e con la lancia d'oro
Venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
48
Rodomonte alla giostra s'apparecchia:
Viene a gran corso; et è si grande il suono
Che rende il ponte, ch'intronar l'orecchia
Può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fé' l'usanza vecchia;
Che quel Pagan, si dianzi in giostra buono.
Levò di sella, e in aria lo sospese.
Indi sul ponte a capo in giù lo stese.
49
Nel trapassar ritrovò a pena loco
Ove entrar col destrier quella guerriera;
44. 3. cimitero, tomba. V. e. ili, 12.
45. tì. In t. tempo, in termine di tanto tem-
po, dentro quel tempo che si richiede ecc.
— 6-7. q. si rich. di dare; quanto è ne-
cessario dare, è bisogno di dare.
46. S. ti disp. amarmi, ti disp. ad am. —
ove, mentre. Petrarcv. I, son. 34: « m'ac-
compagnate ov'io vorrei star solo ». É vivo
ancora nella lingua.
47. 7. e. 1. lancia d'oro; quella che fu del-
l'Argalia. v. e. xxiii, 15.
48. 6. Che; poiché.
49. 2. ove entrar ; per dove passare. Nella
corsa che prendevano nello scontro, sia che
la lancia si rompesse, sia che scavalcasse
E fu a gran risco, e ben vi mancò poco.
Ch'ella non traboccò ne la riviera:
Ma Rabicano, il quale il vento e '1 fuoco
Concetto avean, si destro et agii era.
Che nel margine estremo trovò strada;
E sarebbe ito anco su 'n fìl di spada.
50
Ella si volta, e contra l'abbattuto
Pagan ritorna; e con leggiadro motto.
Or puoi (disse) veder chi abbia perduto,
E a chi di noi tocchi di star di sotto.
Di maraviglia il Pagan resta muto,
Ch'una donna a cader l'abbia condotto;
E far risposta non potè o non volle,
E fu come uom pien di stupore e folle.
51
Di terra si levò tacito e mesto;
E poi ch'andato fu quattro o sei passi.
Lo scudo e l'elmo, e de l'altre arme il resto
Tutto si trasse e gittò contra i sassi;
E solo e a pie fu a dileguarsi presto:
Non che di commission prima non lassi
A un suo scudier, che vada a far l'effetto
Dei prigion suoi, secondo che fu detto.
52
Partissi; e nulla poi più se n'intese.
Se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
Di costui l'arme all'alta sepoltura;
E fattone levar tutto l'arnese.
Il qual dei cavallieri, alla scrittura.
Conobbe de la corte esser di Carlo;
Non levò il resto, e non lasciò levarlo.
5.3
Oltr'a quel del fìgliuol di Monodante,
V'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
Che per trovare il Principe d'Anglante,
Quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante
Mandati via dal Saracino altiero:
Di questi l'arme fé' la Donna torre
Da l'alta mole, e chiuder ne la torre.
l'avversario, i cavalieri non potevano arre-
starsi, ma passavano l'uno da una parte
l'altro dall'altra. Bradamante trovò lo stretto
passo del ponte occupato dal cavallo di Ro-
domonte e poi da lui stesso; sicché ebbe
appena uno stretto passo sul margine del
ponte.
— 5. il vento e '1 f. V. e. xv, 40.
— G. Concetto avean, av. generato. Cosi
nel e. xxxvi, 60. In tal senso è citato solo
questo secondo esempio dell'Ar.
50. 7. non potè; La Principe ha. può te.
V. e. vili, 52, n. 4.
51. 7. a f. l'effetto, a eseguire l'opera-
zione dei prigionieri già fissata, cioè a li-
berare i prigionieri. Vedi per l'espressione
e. IX, 13, n. 8.
5*2. 8. n. lasciò lev. ; dai suoi scudieri.
480
ORLANDO FURIOSO
54
Tutte l'altre lasciò pender dai sassi,
Che fiir spogliate ai cavallier Pagani.
V'eran l'arme d'un Re, del quale i passi
Per Frontalatte mal tur spesi e vani :
10 dico l'arme del Re de' Circassi,
Che dopo lungo errar per colli e piani.
Venne quivi a lasciar l'altro destriero;
E poi senz'arme andossene leggiero.
55
S'era partito disarmato e a piede
Quel Re pagan dal periglioso ponte.
Si come gli altri ch'eran di sua Fede,
Partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
11 cor; ch'ivi apparir non avria fronte;
Che per quel che vantossi, troppo scorno
Gli saria farvi in tal guisa ritorno.
56
Di pur cercar nuovo desir lo prese
Colei che solo avea fìssa nel core.
Fu l'avventura sua, che tosto intese
(Io non vi saprei dir chi ne fu autore)
Ch'ella tornava verso il suo paese:
Onde esso, come il punge e sprona Amore,
Dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d'Amone.
57
Poi che narrato ebbe con altro scritto
Come da lei fu liberato il passo;
A Fiordiligi ch'avea il core afflitto,
E tenea il viso lacrimoso e basso.
Domandò umanamente ov'ella dritto
Volea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: 11 mio camino
Vo' che sia in Arli al campo Saracino;
58
Ove navilio e buona compagnia
Spero trovar da gir ne l'altro lito:
Ma non mi fermerò fin ch'io non sia
54. 2. fnr spogliate ecc. Si disse, a imita-
zione dei Laiim: spogliar la veste a uno;
ma non il passivo: la veste fu spogliata:
neppure dai Latini. È questo, credo, uno
degli ardimenti dell'Ai-., non citato dai vo-
cabolari.
— 4. P. Frontalatte. V. e. xxvii, 113. Il
cavaliere è Sacripante.
55. 6. fronte; ardire, coraggio. Signifi-
cato un poco differente da' due rilevati nel
e. XVII, 122, n. 2.
5!i. 2. Colei, Angelica.
— 3. Fu l'ayv. sna. Fu per lui fortuna in-
tendere ch'ella ecc., perché cosi evitò di
andar vagando a cercarla.
— 7. alla pesta; alla traccia; anche al
plurale. Si dice più comunemente delle be-
stie. — Di Sacripante non si parla più nel
poema.
68. 2. nell'altro lìto, in Affrica. '
Venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perché in prigion non stia,
Più modi e più: che, se mi vien fallito
Questo che Rodomonte t'ha promesso,
Ne voglio avere uno et un altro appresso.
59
Io m'offerisco (disse Bradamante)
D'accompagnarti un pezzo de la strada,
Tanto che tu ti vegga Arli davante,
Ove per amor mio vo' che tu vada
A trovar quel Ruggier del Re Agramante,
Che del suo nome ha piena ogni contrada;
E che gli rendi questo buon destriero.
Onde abbattuto ho il Saracino altiero.
60
Voglio ch'a punto tu gli dica questo:
Un cavallier che di provar si crede,
E fare a tutto '1 mondo manifesto
Che contra lui sei mancator di fede;
Acciò ti trovi apparecchiato e presto,
Questo destrier, perch'io tei dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
E che l'aspetti a far teco battaglia.
61
Digli questo, e non altro; e se quel vuole
Saper da te ch'io son, di' che noi sai.
Quella rispose umana come suole:
Non sarò stanca in tuo servizio mai
Spender la vita, non che le parole ;
Che tu ancora per me cosi fatto hai.
Grazie le rende Bradamante; e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
62
Lungo il fiume le belle e pellegrine
Giovani vanno a gran giornate insieme,
Tanto che veggono Arli, e le vicine
Rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
Quasi de' borghi et alle sbarre estreme.
Per dare a Fiordiligi atto intervallo,
Che condurre a Rnggier possa il cavallo.
59. 5. q, Rugg. del re A.; q. R. cavaliere
del R. Agr.
— 7. rendi, renda. È terminazione fre-
quente negli antichi per la seconda persona
del cong. della seconda coniugazione: cosi
leggili per legga; dichi per dica ecc.
60. 7. trovi, prenda: cfr. e. iv, 53, n. 5.
62. 1. il flnme. Rodano.
— 5. confine ; Questo plurale femminile
trovasi nel e. xli, 21; xxxvii, 81; Cinque
canti II, 51; e spesso néiV Innamorato; II,
vili, 60; XV, 7; xix, 55, ecc.
— 6. alle sbarre estr.; all'estremo con-
fine. È ripetizione, sotto altra forma, del
concetto precedente. Pucci Centiloquio 61,
27: « Poi in Calavra sua passò la sbarra (il
confine) ».
— 8. Che; Intenderei perché: opportuno
interv. di tempo perché F. possa cond. ecc.
Può essere anche relat. a Fiord.
CANTO XXXV
481
63
Vien Fionliligi, et entra nel rastrello,
Nel ponte e nella porta; e seco prende
Chi le fa compagnia fin all' ostello
Ove abita Ruggiero, e qnivi scende;
E, secondo il mandato, al damigello
Fal'imbasciata, e il buon Frontin gli ren-
Indi va, che risposta non aspetta, de;
Ad eseguire il suo bisogno in fretta.
G-l:
Euggier riman confuso e in pensiergran-
E non sa ritrovar capo né via [de.
Di saper chi lo sfide, e chi gli mande
A dire oltraggio, e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
O possa domandar uomo che sia,
Non sa veder né imagìnare; e prima,
Ch'ogn'altro sia che Bradamante, istima.
65
Che fosse Rodomonte, era più presto
Ad aver, che fosse altri opinione;
E perché ancor da lui debba udir questo.
Pensa, né imaginar può la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto '1 resto
Del mondo, con chi lite abbia e tenzone.
In tanto la donzella di Dordona
Chiede battaglia e forte il corno suona.
66 [te
Vien la nuova a Marsilio e ad Agraraan-
Ch'un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante.
Et impetrò di vestir piastra e maglia,
E promesse pigliar questo arrogante.
Il popol venne sopra la muraglia;
Né fanciullo restò, né restò veglio.
Che non fosse a veder chi fesse meglio.
67
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
Il destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la Donna cortese,
E per la briglia al Saracin lo tenue,
E disse: Monta, e fa che '1 tuo Signore
Mi mandi un cavallier di te migliore.
63. 1. nel rastrello. V. e. vili, 3, n. 6. II ra-
strello chiudeva l' imboccatura del ponte
levatoio sulla fossa di cinta delle città.
— 5. al damigello; a uno dei servi di
Ruggero. — gli rende, gli consegna. Si disse
specialmente delle lettere. Caro, 2, 125:
« Tiberio mi ha reso la lettera di V. S. ».
04. 6. domandar, domandarlo.
6.5. 1. Che fosse ecc. Era più presto, più
disposto ad avere opinione che fosse Ro-
domonte, che altri.
ce. 6. la muraglia, il muro, che cingeva
la città.
67. 2. Serp. da la Stella; Stella o Estellaf;
città di Spagna. Innamor. Il, xxiii, 9:
«Serpentin de la Stella, il fier garzone».
Ariosto — Papini
68
Il Re African, ch'era con gran famiglia
Sopra le mura alla giostra vicino,
Del cortese atto assai si maraviglia.
Ch'usato ha la Donzella a Serpentino.
Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia,
Diceva, udendo il popol Saracino.
Serpentin giunge; e come ella comanda,
Un miglior da sua parte al. Re domanda.
69
Grandonio di Volterna furibondo,
Il più superbo cavallier di Spagna,
Pregando fece si, che fu il secondo.
Et usci con minacele alla campagna:
Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
Che quando da me vinto tu rimagna.
Al mio Signor menar preso ti voglio:
Ma qui morrai, s'io posso, come soglio.
70
La Donna disse lui: Tua villania
Non vo' che men cortese far mi possa.
Ch'io non ti dica che tu torni pria
Che sul duro terren ti doglian l'ossa.
Ritorna, e di' al tuo Re da parte mia.
Che per simile a te non mi son mossa:
Ma per trovar guerrier che '1 pregio vaglia,
Son qui venuta a domandar battaglia.
71 '
Il mordace parlare, acre et acerbo
Gran fuoco al cor del Saracino attizza;
Si che senza poter replicar verbo,
Volta il destrier con colera e con stizza.
Volta la Donna, e contra quel superbo
La lancia d'oro e Rabicano drizza.
Come l'asta fatai lo scudo tocca,
Coi piedi al cielo il Saracin trabocca. •
7-2
Il destrier la magnanima guerriera
Gli prese, e disse: Pur tei prediss'io.
Che far la mia imbasciata meglio t'era.
Che de la giostra aver tanto disio.
Di' al Re, ti prego, che fuor de la schiera
Elegga un cavallier che sia par mio;
Né voglia con voi altri aftaticarme,
Ch'avete poca esperienza d'arme.
68. 2. famiglia, famigliari, il seguito. Cosi
nel e. V, 76; xxxiv, 22, 7.
— 5. può pigi. Il vincitore della giostra
poteva prendere il vinto e le cose sue.
— 6. udendo, mentre il popol S. udiva.
Per l'espressione cfr. e. xii, 76, u. 4.
69. 8. s' io posso ; se sono potente.
70. 3. Ch'io ecc. ; si che io non ti dica
che tu torni ecc.
— 6. mossa. Grandonio nella foga dell'ira,
non avverte, com' è naturale, questo fem-
minile.
— 7. il pregio vaglia, meriti, valga la
pena, si disse anche maritare, francare
il pregio,
:ji
482
ORLANDO FURIOSO
73
Quei da le mura, che stimar non sanno
Clii sia il guerriero iu su l'arcion si saldo,
Quei più famosi nominando vanno,
Che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia molti detto hanuo:
La più parte s'accorda esser Rinaldo:
Molti su Orlando avrian fatto disegno;
Ma il suo caso sapean di pietà degno.
74
La terza giostra il figlio di Lanfusa
Chiedendo, disse: Non che vincer speri,
Ma perché di cader più degna scusa
Abbian, cadendo anch'io, questi guerrieri.
E poi di tutto quel ch'in giostra s'usa,
yi messe in punto e di cento destrieri
Che tenea in stalla, d'un tolse l'elètta,
Ch'avea il correre acconcio, e di gran fret-
75 fta.
Contra la Donna per giostrar si fece;
Ma prima salutolla, et ella lui.
Disse la Donna: Se saper mi lece.
Ditemi in cortesia, chi siate vui.
Di questo Ferraù le satisfece;
Ch'usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: Voi già non rifiuto;
Ma avria più volentieri altri voluto.
76
E chi? Ferraù disse. Ella rispose:
73. 1. stimar; immaginar, o anche indo-
vinare. Cosi nel e. xlii, 65, 5. I vocabolari
non citano questo significalo assai notevole.
74. 1. il f. d. Lanf., Ferraù. V. e. xxv, 7i.
— 7. tolse l'eletta. Più comuuem. fece
l'eletta, fece la scelta. Non si cita che que-
st'esempio delI'Ar.
— 8. e. acconcio; Forse significa bello:
aveva un bel trotto e veloce. Non si trova
questo senso spiccato nei vocabolari.
;5. 4. Ditemi ecc. Nei romanzi della Ta-
vola Rotonda non si suol domandare il
nome che dopo la battaglia: e spesso i ca-
valieri si rifiutano di dirlo. Sicché questo
luogo accenna più tosto a un uso del ciclo
carolingio. Le altre circostanze, come te-
nere il cavallo all'abbattuto eoe , apparten-
gono al ciclo Brettone. .Si capisce che Bra-
damante domandali nome, perché, venendo
Ferraù a visiera calata, come facevano in
generale, vuole accertarsi che non sia Rug-
gero. Non ebbe bisogno di far questo con
altri, perché, essendo venuti con minacce e
villanie, davan sicuro indizio di non esser
Ruggero. F'erraù invece si presenta corte-
semente salutando. Dal seguito poi si ca-
pisce che Ella ora si era mostrata colla vi-
siera alzata, perché, riconosciuta come
donna, se ne riportasse al campo d'Agra-
mante la novella, che poteva svegliare la
memoria e l'amore di Ruggero.
Ruggiero; e a pena il potè proferire;
E sparse d'un color, come di rose.
La bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi: Le cui famoso
Lode a tal prova m'han fatto venire.
Altro non bramo, e d'altro non mi cale.
Che di provar come egli in giostra vale.
77
Semplicemente disse le parole
Che forse alcuno ha già prese a malizln.
Rispose Ferraù: Prima si vuole
Provar tra noi chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel che di molti suole.
Poi verrà ad emendar la mia tristizia
Quel gentil cavallier che tu dimostri
Aver tanto desio che teco giostri.
78
Parlando tutta volta la Donzella,
Teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
Si sente rimaner mezzo conquiso;
E taciturno dentro a sé favella:
Questo un angel mi par del paradiso;
E ancor che con la lancia non mi tocchi,
Abbattuto son già da' suoi begli occhi.
79
Preson del campo; e, come agli altri av-
Ferraù se n'uscì di sella netto, [venne,
Bradaraante il destrier suo gli ritenne,
E disse: Torna, e serva quel c'hai detto.
Ferraù vergognoso se ne venne,
E ritrovò Ruggier ch'era al conspetto
Del re Agramante; e gli fece sapere
Ch'alia battaglia il cavallier lo chere.
80
Ruggier, non conoscendo ancor chi fosse
Chi a sfidar lo mandava alla battaglia,
Quasi certo di vincere, allegrosse;
E le piastre arrecar fece e la maglia:
76. 2. potè. La Principe ha puote.
— 6. Lode, opre lodevoli. V. e. xv, 2, n. \.
77. 1-2. Questa è una riflessione dell'Ai'.;
e contiene niente altro che uno scherzo ri-
ferentesi all' ultimo verso della st. prece-
dente.
— 6. tristizia ; insufllcienza. Come si
dice ttnsto un oggetto di cattiva qualità,
cosi qui tristizia significa cattiva qualità
del guerriero.
79. 3. gli ritenne, come il gli prese della
stanza 72, significano l'atto stesso che essa
fece a Serpentino: cioè ratteune il cavallo,
che vuoto del cavaliere sarebbe fuggito, e
lo restituì ai cavalieri, perché vi montassero
di nuovo.
80. 1-2. chi fosse chi ; chi fosse colui che.
Ma SI disse e si dice più comunemente cìii
fosse che.
— 1. le piastre; la piastra: cfr. e. i, 17,
n. :ì ; vi, t-0, n. '.>.
CANTO XXXV
483
Né l'aver visto alle gravi percosse,
Che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
— 5. alle gr. percosse ; È complemento
di eran caduti; ma è inversione non bella.
Come s'armasse e come uscisse, e quanto
Poi ne segui, Io serbo all'altro Canto.
è romper le maglie dell'armatura; vedi
— 6. gli smaglia; gli fiacca. Smagliare i quindi il passaggio al senso metaforico.
CANTO XXXVI
4 [tese
Couvieu clie, ovunque sia, sempre cor-
sia un cor gentil, ch'esser non può altri-
Che per natura e per abito prese [mente;
Quel che di mutar poi non è possente;
Convien che, ovunque sia, sempre palese
Un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
L'abito poi difficile a mutarsi.
•>
Di cortesia, di gentilezza esempi
Fra gli antiqui guerrier si vider molti,
E pochi fra i moderni ; ma degli empi
Costumi avvien ch'assai ne vegga eascolti
In quella guerra, Ippolito, che i tempi
Di segni ornaste a gli niniici tolti,
E che traeste lor galee captive
Di preda cardie allp paterne rive.
1. 3. Che; perché.
— 4. n. è possente... di ecc. Esser po-
tente o possente si costruisce, in questo
senso di potere, con di con a e anche con in.
— 7. Natura inch. ; Natura lo inchina.
Non si può intendere come massima gene-
rale, ma deve riferirsi al cuore villano,
perché sopra ha detto che natura inchina
a cortesia il cuor gentile : dunque natura
non inchina al male tutti i cuori, ma solo
i cuori villani.
2. 4. ne vegga ecc. Il soggetto è io.
— 5. In quella g.; Nella guerra contro i
Veneziani (1509), che fini con la battaglia
della Polesella (22 dicembre), nella quale il
Cardinale Ippolito fece prodigi di valore,
prese molte navi ai nemici e pose le loro
bandiere (segni) nel duomo di Ferrara. V.
e. IH, 57, n. 5; xl, 4, n. 7. — che. Non in-
tenderlo nella quale ; perché non nella
guerra si ornano i templi, delle bandiere
prese ecc.; ma dopo la guerra: intendilo per
quando ; prendendo in quella guerra come
espressione di tempo. Cosi hai l'uso rego-
lare del che nei complementi di tempo.
— 6. segni, bandiere. V. e. xv, 23, n. 1.
— 7. lor galee. Vedi la nota 7, e. xl, 4.
— 8. alle paterne r. ; alle patrie rive. Pa-
terno per patì-io usarono i Latini {Dii pa-
Tutti gli atti crudeli et inumani
Ch'usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(Non già con volontà de' Veneziani,
Che sempre esempio di giustizia foro),
Usaron l'empii e scelerate mani
Di rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi
Ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
4
Ben che fu quella ancor brutta vendetta,
Massimamente contia voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
Era d'assedio, ben sapea che spesso
Per voi pili d'una tìamma fu interdetta,
terni per da patrii); ma di sci-ittori ita-
liani non trovo citato esempio.
3. 1. Tutti gli atti ecc. I soldati dei Ve-
neziani, specialmente i mercenari Schia-
voni, nel riconquistare i territori perduti
dopo la battaglia di Gliiaradadda (14 mag-
gio 1509) e nell'avanzarsi contro Ferrara,
commettevano ogni nefandezza (Murat. a.
Est. II, 286). Il Giovio poi dice che dal ba-
stione, di cui alla st. 5, n. 8, per mezzo di
un ponte di navi quei mercenari scendevano
nell'agro Ferrarese e tutto devastavano con
ferro e con fuoco {Vita d'Alfonso I).
4. 1. vendetta, della rotta di Ghiaradadda.
— 2-3. appresso C. essendo. Nel settembre
del 1509, essendo i Veneziani fortificati in
Padova, dove li teneva assediati l'impera-
tore Massimiliano, il duca .A.lfonso mandò
a lui in aiuto fanti e cavalli sotto il comando
del Cardinale Ippolito, il quale co' suoi con-
sigli miti impedì (pare) che si commettes-
sero dagli imperiali e da' suoi nei dintorni
di Padova simili eccessi (Muratori, a. Est.
Il, 286).
— 4. hen sapea. Intendi: massimam. con-
tro voi, il quale essendo presso Cesare,
mentre Padova era stretta d'assedio, que-
sta Padova ben sapeva che spesso ecc. Av-
verti l'andamento saltuario del periodo, fe-
nomeno non raro nel Furioso.
— 5. interdetta, impedita. Cosi nel e. xx,
484
ORLANDO FURIOSO
E spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
Da villaggi e da templi, come piacque
All'alta cortesia che con voi nacque.
5
Io non parlo di questo né di tanti
Altri lor discortesi e crudeli atti^»
Ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
Debbe poter, qual volta se ne tratti.
Quel di. Signor, che la famiglia inanti
Vostra mandaste là dove ritratti
Dai legni lor con importuni auspici
S'erano in luogo forte gl'inimici,
6
Qual Ettorre et Enea sin dentro ai flnt-
Per abbruciar le navi Greche, andaro; fti,
Un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
117, 8; E il Petrarca, i, canz. 1: « Le vive
voci m'erano interditte».
— G-7. spento... da Tillaggi. « Contenen-
dosi anche in spento l'idea di remozioue
del fuoco, è a quest'idea subordinato il co-
strutto » (Romizi).
5. 4. qnal volta; ogni qual volta. V. e. v,
9, n. S.
— h. Quel di ecc. Qui comincia il periodo
che ha il suo verbo nel vidi della st. Seg.
Tutti i principali editori e annotatori del
Furiosa [Ba.roi\.\, Molini, Casella, Bolza, Ro-
mizi) metton punto al fine della stanza, e
per ciò converrebbe intendere questo luogo
cosi: intendo dire di ciò che avvenne quel
di. Ma sottintender tutto ciò è molto duro.
Meglio il Morali, seguito dal Panizzi, dal
Camerini e qualcun altro, mette i due punti
e collega questi quattro versi con quel che
segue. L'edizioni del 1516 e del 1532 hanno il
punto, ma, quanto a punteggiatura, le anti-
che edizioni sono spessissimo difettose. For-
se il criterio, che ha spinto il Morali a cor-
reggere questo luogo, doveva guidarlo pure
nel e. xxxii, st. 31, 8; dove il punto fer-
mo guasta, anche più che qui, l'andamento
sintattico. — Il fatto, a cui qui si accenna,
avvenne il 30 novembre 1509 alla Polesella,
dove i Veneziani avevano costruito due
forti bastioni sulle due rive del Po (Uwgo
forte) e di li, usciti dalle navi, combattevano
(MuRAT. Ant. E. II, 292). — la famiglia; qui
certo vuol dire il vostro seguito d'armati:
i vostri soldati. 11 Guicciardini (S. I. 8, 5),
dice: « Raccolti quanti inù giovani potette
della città e i soldati, che continuamente
concorrevano agli stijìendi suoi, mandò al-
l'improvviso ad assaltare il bastione (quello
verso Ferrara) ». Ed ecco dunque che cosa
era la famiglia.
— 7. con imp. ausp. È espressione e im-
magine derivata da Virgilio, Georg., 1,
470, dove son detti importunae volucres
gli uccelli di malaugurio, che predissero la
.morte di Cesare. Intendono: per nostra
sfortuna, con auguri infausti per noi, per-
ché i soldati del duca di Ferrara furono
quel giorno rotti e messi in fuga; ma l'e-
spressione dell' Ar. sarebbe strana ; infatti
gli auguri erano fausti o infausti per colui,
che sotto il loro influsso operava: dunque
' qui dovremmo avere con favorevoli au-
guri se l'espressione dovesse riferirsi al
primo successo dei Veneziani. Io invece in-
tendo : si ritirarono nei bastioni per loro
sfortuna, con auguri a loro sfavorevoli,
' perché, sebbene per allora fossero disfatti
i Ferraresi, pure poco appresso il Cardinale
Ippolito « ritornò con parte delle genti ad
' assaltare il bastione e avendo con 1' ucci-
sione d'alcuni di loro rimessi (dietro il ba-
stione) gl'inimici, ch'erano usciti a scara-
i mucciare, occupò e fortiflcò la parte pros-
sima dell'argine, in modo che, senza die
gl'inimici lo sapessero (perché era loro
impedita la vista appunto del bastione), con-
[ dusse al principio della notte le artiglierie
I in sulla ripa opposita all'armata; e distesele
j con silenzio grande, cominciò con terribile
I impeto a percuoterla » (Guicciard., S. /, 8,
I 5 ). Dunque il bastione fu proprio la causa
I della loro finale disfatta e rovina, e per ciò
di cattivo augurio. D'altra parte l'.\riosto,
che ha altre volte celebrato la gloria degli
Estensi per il fatto della Polesella, come
potrebbe qui rilevare la prima disfatta dei
Ferraresi e non parlare piuttosto della loro
vittoria finale?
C. 1. Ettorre... Enea. Omero nel lib. XV
dell' Iliade dice che Ettore e i più forti
Troiani andarono per incendiare le navi
greche, ma non rileva gesta particolari di
Enea. Forse l'Ar. lo mise accanto ad Et-
tore in omaggio nWEìieide, dove Enea ap-
pare il più grande eroe troiano, dopo l'Et-
tore, ómW Iliade. E avverti inoltre che l'Et-
tore Omerico non si avanzaselo lasciando
indietro gli altri, come fecero questi due
giovani, ma si avanza in mezzo ai suoi.
— 3. Ercol... Alessandro. Ercole Cantelmo,
.Alessandro Ferrumino si spinsero per zelo
di combattere troppo avanti, e il secondo
appena scampò; il primo « giovane di gran-
de aspettazione, i maggiori del quale ave-
vano già dominato nel reame di Napoli il
Ducato di Sora,... condotto prigione da al-
cuni soldati .Schiavoni in su una galea, e
venuti in questione di chi di loro dovesse
esser prigione, gli fu da uno di essi, con
inaudito esempio di barbara crudeltà tron-
cata la testa» (GuicriARDiNi, 5. /. 8, 5). In
questi particolari si accorda il Giovio, e
per ciò è da scartare la versione del Bem-
bo, che dice come, sdrucciolatogli il cavallo
CANTO XXXVI
485
Da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
E spronando il destrier, passarci tutti,
E 1 nemici turbar fin nel riparo,
E gir si innanzi, ch'ai secondo molto
Aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7
Salvossi il Ferruftin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca di «ora, che consiglio
Fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo
Fra mille spade al generoso figlio,
E menar presoanave,esopra un schehno
Troncargli il capo? Ben mi maraviglio
Che darti morte lo spettacol solo
Non potè, quanto il ferro a tuo figliuolo.
8 [appreso
Schiavon crudele, onde hai tu il modo
sotto, cadendo il giovane, fu dai galeotti
ucciso. Il Giovio però, a differenza del Guic-
ciardini, dell'Ar. e del Bembo, dice che fu
portato troppo avanti dal cavallo sfrenato.
Ei lo chiama Girolamo non Ercole. — vidi.
È chiaro da questo luogo che l'Ariosto si
trovò a quel fatto d'arme. Avverti che poco
dopo (il 16 dicembre) fu spedito in ambasce-
ria a Roma (cfr. canto xl, 3); perciò non
si trovò al fatto glorioso della Polesella (22
dicembre).
— 4. a paro a paro ; insieme. Dante, Purg.
21, 93 : « Venendo teco si a paro a paro ».
7. 2-6. Che cor ecc. Questa movenza fu
imitata dal Monti Bassv. 2, 130: « Che cor.
misero Ugon, che sentimento Fu allora il
tuo che di morte vedesti L'atro vessillo
volteggiarsi al vento? » — duca di Sora, il
padre del Cantelmo.
— 5. menar, menarlo. — a nave, alla
nave. — schelmo, o scalmo (gr. xkalmóx) è
propriam. la caviglia, a cui si ferma il remo.
Qui, dicono alcuni, vale bordo delia na ce,
dove sono gli scalmi. Io credo che proprio
su uno scalmo fatto a forcella, incavato sul
bordo stesso della nave, si appoggiasse il
collo dell'infelice, come su comodo cippo.
— 7. lo spettacol; La vicinanza delle due
schiere avversarie era tale, che il padre
dovette, forse, assistere con gli occhi, certo
seguire con l' anima ansiosa tutti i mo-
menti di quel tragico fatto. Il corpo dello
sventurato giovane, redento con danari, fu
portato a Ferrara, dove dall'addolorato pa-
dre gli fu data sepoltura.
— 8. potè. L'ed. del 1516 h&puote.— a tuo
flgl. Ricorda che regolarmente si omette
l'articolo nell'espressione a mio figlio, non
neir altra a mìo figliuolo: e cfr. Founa-
tiARi, Sint. p. 132.
8. 1. Schiavoni. Tutte le migliori fonti si
accordano nello scagionare di questo ec-
cesso i Veneziani, attribuendolo ai loro mer-
cenari, specialmente Schiavoni, che erano
i più tìeri e crudeli.
De la milizia? In qual Scizia s'intende
Ch'uccider si debba un.poi ch'egli è preso.
Che rende l'arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui, perché ha difeso
La patria? Il sole a torto oggi rispleude,
Crudel seculo, poi che pieno sei
Di Tiesti, di Tantali e di Atrei.
0
Festi, Barbar crudel, del capo scemo
11 più ardito garzon, che di sua etade
Fosse da un polo a l'altro, e da l'estremo
Lito degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofago, in Polifemo
La beltà e gli anni suoi trovar pietade,
Ma non in te, più crudo e più fellone
D'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10
Simile esempio non credo che sia
Fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
Tutti fur gentilezza e cortesia;
Né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
A quei ch'avea, toccando lor gli scudi,
Fatto uscir de la sella, ma tenea
Loro i cavalli, e rimontar Iacea.
11
Di questa donna valorosa e bella
Io vi dissi dì sopra, che abbattuto
— 2. in q. Scizia. Scizia è qui preso per
luogo abitato da gente crudele. Plinio di-
pinge gli uomini della Scizia crudeli, antro-
pofagi, non dissimili dalle fiere, clie abita-
vano quelle vaste solitudini (li. N. lib. VI,
17). — s'intende, si ritiene come fermo e
stabilito.
— 8. Di Tiesti ecc. Tieste commise ne-
fandi, delitti contro il fratello Atreo, che
si vendicò facendone a pezzi il figliuolo e
dandoglielo a mangiare. Tantalo si dice
che uccise il proprio figlio Pelope e lo die a
mangiare agli Dei, che ospitava, per pro-
vare se ciò conoscessero.
9. 2. di sua etade; della sua età. Aveva 22
anni ed era bellissuno e colto.
— 5. Antropofago. È, secondo il Boiardo,
II, XVIII, 37, re dei Lestrigoni: « Questo
avea gli occhi rossi come un drago E tutto
di gran barba il viso chiuso ». Secondo O-
mero invece, re dei Lestrigoni è Antifate
(Odiss. 1. 10). — Polifemo. Era figlio di Net-
tuno, era ciclope e pur esso antropofago
(Odissea, lib. 9).
— 8. Lestrigone; V. e. xxxv, 38, n. 7.
10. 2. di quai, dei quali. V. e. II, 15, n. 8:
dei quali ogni studio, ogni desiderio fu d'es-
ser gentili e cortesi.
— 6. toccando, colpendo. V. e. ni, 68,
u. 4.
— 8. rimontar f. ; rimontar li facea. V.
e. i, 21, n. 7. Questa cortesia è frequente
nei romanzi della Tavola rotonda.
48^^
ORLANDO FURIOSO
Aveva Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
E ciascun d'essi poi rimesso in sella;
E dissi ancor che '1 terzo era venuto,
Da lei mandato a disfidar Rugjijlero,
Là dove era stimata un cavalìiero.
12
Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
E l'armatura sua fece venire.
Or, mentre che s'armava al Re presente,
Tornaron quei Signor di nuovo a dii*e
Chi fosse il cavallicr tanto eccellente.
Che di lancia sapea si ben ferire;
E Ferrali, che parlato gli avea,
Fu domandato, se lo conoscea.
13
Rispose Ferrali: Tenete certo
Che non è alcun di quei ch'avete detto.
A me parca, ch'il vidi a viso aperto,
Il frate] di Rinaldo giovinetto:
Ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto,
E so che non può tanto-I icciardetto,
Penso che sia la sua sortila, molto
(Per quel ch'io n'odo) a lui simil di volto.
14
Ella ha ben fama d'esser forte a pare
Del suo Rinaldo e d'ogni Paladino;
Ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
Che vai più del frate!, più del cugino.
Come Ruggier lei sente ricordare.
Del vermiglio color che '1 matutino
Hparge per l'aria, si dipinge in faccia,
E nel cor triema, e non sa che si faccia.
15
A questo annunzio, stimulato e punto
Da l'amoroso strai, dentro infiauimarse,
E per l'ossa senti tutto in un punto
Correre un giaccio che 'I timor vi sparse,
Timor ch'un nuovo sdegno abbia consunto
Quel grande amor che già per lui si l'arse.
Di ciò confuso non si risolveva.
S'incontra uscirle, o pur restar doveva.
16
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
11. 4. Ferrauto. L'Ar. altrove sempre Fer-
rali ; il Boiardo Ferraguto ; la cronaca del
pseudo-Turpino Ferracutus.
— 5. rimesso, lasciato, fatto rimontare.
— 8. Là dove ecc., nel cospetto di Agra-
niante, dove da esso e dal suo seguilo si
credeva che questo guerriero fosse uu uomo.
13. 5. esperto, provato. Cosi nel e. xin,
27, 3.
— 8. simil di volto. V. e. xxv, 9.
14. 3-4. Mi pare che vai. L'indicativo dopo
il verbo parere è raro, ma lia buoni esempi
anche in prosa: Cavalca, Esjj. S. 2, '41:
« mi pare che... reputano ».
— 6. matntino, mattino. V. e. iv, 10. n. 6.
15. 4. giaccio. V. e. i, 41, n. 1.
Che d'uscire alla giostra avea gran voglia,
Et era armata, perché in altra guisa
È raro, o notte o di, che tu la coglia;
Sentendo che Ruggier s'arma, s'avvisa
Che di quella vittoria ella si spoglia
Se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
Pensa ire inanzi, e averne ilpregio stima.
17
Salta a cavallo, e vien spronando in
Ove nel campo la figlia d' Amone [fretta
Con palpitante cor Ruggiero aspetta,
Desiderosa farselo prigione;
E pensa solo ove la lancia metta.
Perché del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
E sopra l'elmo una Fenice porta;
18
O sia per sua superbia, dinotando
Sé stessa unica al mondo in esser forte,
O pur sua casta intenzi'on lodando
Di viver sempre mai senza consorte.
La figliuola d'Amon la mira; e quando
Le fattezze ch'amava, non ha scorte,
Come si nomi le domanda, et ode
Esser colei che del suo amor si gode.
19
0 per dir meglio, esser colei che crede
Che goda del suo amor, colei che tanto
Ha in odio e in ira, che morir si vede.
Se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
Non per deslr di porla in terra, quanto
Di passarle con l'asta in mezzo il petto,
E libera restar d'ogni suspetto.
20
Forza è a Marfisa ch'a quel colpo vada
A provar se '1 terreno è duro o molle;
E cosa tanto insolita le accada.
Ch'ella n'è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
E vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d'Amon non meno altiera
16. 4. È raro ecc. V. e. xvm, 99.
— 8. averne il pr., riportarne il premio.
Qui con estensione di signilicato riuscirne
vittoriosa. V. e. xvn, 97, n. 6; xi.ni, 55, S.
17. 8. una Fenice. Il Boiardo, Inn. I, xviii,
4, le dà invece per cimiero uu drago verde,
che getta fuoco. Ma come quello conveniva
alla feroce indomabile natura di M., cosi la
Fenice conviene ai nuovi destini, che le at-
tribuisce l'Ar. Per la Fenice cfr. e. xxv, 97;
XXVI, 3.
19. 3. morir si vede, morir si sente. B'io
retti S. Fr. 125 ; « Veggendosi S. Francesco...
venire meno ».
— 7. in mezzo il p.; Puoi intendere: pas-
sarle il petto per il mezzo; o anche: pas-
sarle con la lancia nel mezzo del petto.
CANTO XXXVI
487
Gridò: Che fai? tu sei mia prigioniera.
21
Se bene uso con gli altri cortesia,
Usar teco, Marfisa, non la voglio,
Come a colei che d'ogni villania
Odo che sei dotata e d'ogni orgoglio.
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
Come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma si per rabbia si confonde.
Che non può esprimer fuor quel che ri-
22 [sponde.
Mena la spada, e più ferir non mira
Lei, che '1 destrier, nei petto e ne lapancia ;
Ma Bradamante al suo la briglia gira,
E quel da parte subito si lancia;
E tutto a un tempo con isdegno et ira
La figliuola d'Anion spinge la lancia,
E con quella Marfisa tocca a pena,
Che la fa riversar sopra l'arena.
23
A pena ella fu in terra, che rizzosse, ,
Cercando far con la spada mal'opra:
Di nuovo l'asta Bradamante mosse,
E Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Benché possente Bradamante fosse,
Non però si a Marfisa era di sopra,
Che l'avesse ogni colpo riversata;
Ma tal virtù ne l'asta era incantata.
24
Alcuni cavallieri in questo mezzo.
Alcuni, dico, de la parte nostra,
Se n'erano venuti dove, in mezzo
L'un campo e l'altro si facea la giostra
(Che non eran lontani un miglio e mezzo).
Veduta la virtù che '1 suo dimostra;
Il suo che non conoscono altrimente
Che per un cavallier de la lor gente.
25
Questi vedendo il generoso figlio
Di Troiano alle mura approssimarsi.
Per ogni caso, per ogni periglio
Non volse sproveduto ritrovarsi;
E fé' che molti all'arme dier di piglio,
E che fuor dei ripari appresentàrsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
Di Marfisa la giostra avea intercetta.
20. 8. Che fai? ecc. Scavalcato il nemico,
questi era, per legge di cavalleria, posto
fuori di combattimento. E la giostra era
lìnita.
21. 8. non può ecc.; non può esprimere
chiaramente con parole esplicite {fuor)
quello che risponde; cioè molte parole di
risposta restano mozze e confuse, per l'ira,
nella sua gola.
22. 1. mira; ha riguardo : cfr. st. 51, n.6.
24. 0. suo, il loro cavaliere, cioè Brada-
mante. V. e. xiH, 40, n. 3.
25. 1. Questi vedendo; vedendo Agramante
questi cavalieri cristiani.
26
L'innamorato giovene mirando
Stava il successo, e gli tremava il core.
De la sua cara moglie dubitando;
Che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
81 mosse l'una e l'altra con furore;
Ma visto poi come successe il fatto,
Restò maraviglioso e stupefatto:
27
E poi che fin la lite lor non ebbe, [tro;
Come avean l'altre avute, al primo incon-
Nel cor profundamente gli uè 'nerebbe.
Dubbioso pur di qualche strano incontro.
De l'una egli e de l'altra il ben vorrebbe;
Ch'ama amendue : non che daporre incon-
[tro
Sien questi amori: è l'un fiamma e furore,
L'alti'o benivolenza più ch'amore.
28
Partita volentier la pugna avria,
Se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia.
Perché non vinca la parte di Carlo,
Che già lor par che superior ne sia,
Saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da l'altra parte i cavallier Cristiani
Si fanno innanzi, e son quivi alle mani.
29
Di qua, di là gridar si sente all'arme,
Come usati eran far quasi ogni giorno.
Montichi è apiè, chi non è armato s'arme,
Alla bandiera ognun faccia ritorno,
Dicea con chiaro e bellicoso carme
Più d'una tromba che scorrea d'intorno:
E come quelle svegliano i cavalli.
Svegliano i fanti i timpani e i taballi.
26. 3. moglie. V. e. xvi, 14, u. 7.
— 8. maravigliaso ; maravigliato. V. e. x,
90, n. 7.
27. 8. L'altro b. L'Ar. con fino accorgi-
ineuto prepara la grande rivelazione che
Marfisa è sorella di Ruggero.
28. 6. nel campo; nel campo della giostra
e vogliono disturbarlo, intervenendo.
29. 5. carme, squillo, suono. Cosi spesso
i poeti con significato preso dal Carmen dei
Latini. Tasso, Ger. 20, 30: « E canta ia più
guerriero e chiaro carme Ogni sua tromba ».
— S. Svegliano. L' ediz. del 1532 legge
svegliando, che piacque meglio al Panizzi
e che il Morali corresse ritenendolo errore
di stampa. Il Panizzi spiega: Più d'una
tromba dicea: monti chi è a pie ecc.; e i
timpani lo dicevano svegliando i fanti come
le trombe svegliano i cavalli. Mi pare che
abbia ragione il Panizzi. — taballi o tim-
balli; « Sono due strumenti di rame in fog-
gia di due grandi pentole vestite di cuoio e
per di sopra nel largo della bocca con pelle
488
ORLANDO FURIOSO
30
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
Quanto si possa imagiuar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
A cui mirabilmente aggrava e iucresce
Che quel, di ch'era tanto disiosa.
Di por Marti sa a morte, non riesce;
Di qua, di là si volge e si raggira,
He Ruggier può veder, per cui sospira.
31
Lo riconosce all'aquila d'argento.
Ch'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
Si ferma a contemplar le spalle e '1 petto.
Le leggiadre fattezze e '1 movimento
Pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
Iraaginaudo ch'altra ne gioisse,
Da furore assalita cosi disse:
32
Dunque baciar si belle e dolce labbia
Deve altra, se baciar non le poss' io?
Ah non sia vero già ch'altra mai t'abbk ;
Che d'altra esser non dei, se non sei mio.
Pili tosto che morir sola di rabbia
Che meco di mia man mori, disio;
Che se ben qui ti perdo, almen l'inferno
Poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
33
Se tu m'occidi, è ben ragion che deggi
Darmi de la vendetta anco conforto;
Che voglion tutti gli ordini e le leggi.
Che chi dà morte altrui, debba esser morto.
Néparch'aucoil tuo danno il mio pareggi;
Che tu mori a ragione, io moro a torto.
Farò morir chi brama, cime! ch'io mora;
Ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora.
34
Perché non dei tu, mano, essere ardita
D'aprir col ferro al mio nimico il core ?
Che tante volte a morte m'ha ferita
Sotto la pace in sicurtà d'Amore,
Et or può consentir tornii la vita,
Né pur aver pietà del mio dolore.
Contraquesto empioardisci, animo forte:
Vendica mille mie con la sua morte.
o5
Gli sprona contra in questo dir; ma pri-
Guardati (grida), perfido Ruggiero: [ma.
Tu non andrai, s'io posso, de la opima
Spoglia del cor d'una donzella altiero.
Come Ruggiero ode il parlare, estima
Che sia la moglie sua, com'era in vero,
[ La cui voce in memoria si bene ebbe,
Ch'in mille riconoscer la potrebbe.
I M
Ben pensa quel che le parole deano
Volere inferir più; ch'ella l'accusa
Che la convenzion ch'insieme fenno,
Non le osservava: onde per farne iscusa.
Di volerle parlar le fece cenno;
Ma quella già con la visiera chiusa
Venia dal dolor spinta e da la rabbia,
Per porlo, e forse ove non era sabbia.
I ^7
Quando Ruggier la vede tanto accesa,
Si ristringe ne l'arme e ne la sella:
da tambui'o, e si suonano con due bacchet-
te, battendo con esse vicendevolmente a
tempo or sopra T uno or sopra l' altro di
questi strumeuti... i quali anticamente era-
no per lo più in uso tra' Saraciui siccome
lo sono ancor oggi... L'uso di questo stru-
iiiento passò poscia tra' Cristiani » ( Redi,
Annota^:, al Bacco in T. v. 401).
30. 4. aggrava, grava, da fastidio. Cosi
anche altri, alamanni, Op. 1, 108: » Se non
t' aggrava il riposarti alquanto ».
— 8. Se Rnggier; Sottintendi: per vedere
se Rugg. ecc. V. e. xii, 87, n. 6.
;52. 1. dolce, dolci. V. e. xxxiii, 64, n. 1.
— 6. mori, mora, muora. K congiunti-
vo: cfr. e. XV, S6, n. 5, e meglio e. xxxii,
16, 1.
iHì. 1. deggi, deggia. Vedi la nota prece-
dente. Avverti che qui abbiamo una delle
solite sottigliezze: se tu mi uccidi continua-
mente coi tormenti d'amore, è giusta che
tu mi dia il conforto della vendetta, e che
10 ti uccida in battaglia.
— 4. chi dà morte ecc. Questa massima
ricorda il motto : « Qui gladio ferit, gladio
perii ».
34. 4. Sotto la pace; non in guerra, ma
mentre io stava tranquilla sotto la guaren-
tigia della pace, e nella sicurezza che mi
prometteva l'amore stabilito fra noi.
— 5. consentir tèrmi; cons. di tormi.
35. 3. de la opima ecc. V. e. in, 30, n. 6.
— 6. moglie. V. e. xvi, 14, n. 7. Qui pure
vale promessa moglie.
■ — 8. in mille, tra m. È uso latino. La
X. Crusca non par che lo citi, e altri citano
solo esempi del Trecento, non questo del-
l'Ariosto. Villani, 11, 135: «non avere in
noi... carità (fra noi, l'uno per l'altl-o) ».
36. 2. Inferir pili, significare di più. Rug-
gero pensa che le parole di Brad, volevano
significare non solo che non riporterebbe
quella vittoria su lei, ma inoltre che essa
lo accusava di fede mancata. — oh' ella. Il
che è congiunzione dipendente da inferire,
e la proposizione, che segue, è oggettiva
dichiarativa.
— 8. porlo ecc. Altrove l'Ar. (st. 37, 8; e
e. xviii, 12) usò porre in terra per atter-
rare; qui dunque abbiamo il principio di
questa frase, che poi si arresta per reti-
cenza; dando luogo a un altro pensiero:
per porlo... non già in terra sulla sabbia,
ma nel sepolcro, dove non è sabbia.
CANTO XXXVI
489
La lancia arresta; ma la tien sospesa,
Piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch'a ferirlo e a fargli offesa
Venia con niente di pietà rubella,
Non potè sofferiv, come fu appresso,
Di porlo in terra, e fargli oltraggio espres-
38 [so.
Cosi lor lancie van d'effetto vote
A quello incontro; e basta bqji s'Amore
Con l'un giostra e con l'altro, e gli percuo-
D'una amorosa lancia in mezzo il core, [te
Poi che la donna sofferir non puote
Ui far onta a Ruggier, volge il furore
Che l'arde il petto, altrove; e vi fa cose
Che saran tìn che giri il ciel, famose.
39
In poco spazio ne gittò per terra
Trecento e più con quella lancia d'oro :
Ella sola quel di vinse la guerra.
Messe ella sola in fuga il popol Moro.
Kuggier di qua di là s'aggira et erra
'J'aiito, che se le accosta e dice: Io moro,
S'io non ti parlo; oiniè! che t'ho fatto io,
Che mi debbi fuggire? Odi, per Dio.
40
Come ai meridional tiepidi venti.
Che spirano dal mare il fiato caldo.
Le nievi si disciolveno e i torrenti
37. 3. sospesa, non appoggiata fortemente
alla resta : cosi il colpo, essendo più ela-
stico, era meno nocivo. E inoltre non drizza
il colpo al petto o alla lesta, ma in parti
meno importanti.
— 6. di pietà rub. È costrutto molto a-
malo dall'Ariosto Cfr. e. ix, 13, n. 2; v, 3;
xxvii, 105.
— 7. potè. L'ed. del 151(i ha puote.
38. 3-4. e gli percuote ecc. Puoi intendere :
« e percuote a lui (all'uno e all'altro) il
cuore proprio nel mezzo con amorosa lan-
cia ». K anche: «e percuote loro (oggetto)
con una amorosa lancia in mezzo al cuo-
re ». V. e. VI, 23, n. 8.
— 7. l'arde il p, ; le arde il p. Cfr. e. vii,
35, n. 8.
— S. giri il ciel; girino le sfere celesti. \
Secondo l'antico sistema planetario.
39. 1. In p. spazio ; in poco tempo. Cosi j
nel e. xxvii, 3, 1. j
— 5. erra; va qua e là vagando per co- j
gliere il momento opportuno di parlarle. \
— 8. debbi, debba. V. st. 33, u. 1.
40. 1. Come ecc. Ovidio, Metani. ;>, 660: i
« Ulve sub adventum spirau'is lene Favo- j
ni. Sole remollescit quae frigore constitit i
unda ». I
— 3. disciolveno. È una forma derivata dal
sing. clisciolve, con formazione analoga alla
prima coniugazione (ama, amano). Se ne
hanno moltissimi esempi negli scrittori di |
E il ghiaccio che pur dianzi era si saldo;
Cosi a quei prieghi, a quei brevi lamenti
Il cor de la sorella di Rinaldo
Subito ritornò pietoso e molle.
Che l'ira, più che marmo, indurar volle.
41
Non vuol dargli, o non puote, altra ri-
Ma da traverso sprona Rabicano [sposta;
E quanto può dagli altri si discosta.
Et a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudine in reposta
Valle si trasse ov'era un piccol piano
Ch'in mezzo avea un boschetto di cipressi
Che parean d'una stampa tutti impressi.
42
In quel boschetto era di bianchi marmi
Fatta di nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
Notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
Che già non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
Tanto, ch'ai bosco e alla donzella giunge.
43
Ma ritorniamo a Marfisa che s'era
In questo mezzo in sul desti'ier rimessa,
E venia per trovar quella guerriera
Che l'avea al primo scontro in terra messa ;
E la vide partir fuor de la schiera,
E partir Ruggier vide e seguir essa;
Né si pensò che per amor seguisse,
Ma per finir con l'arme ingiurie e risse.
44
Urta il cavallo, e vien dietro alla pesta
Tanto ch'a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta.
Chi vive amando, il sa, senza ch'io il seri-
Ma Bradamante offesa più ne resta; [va.
Che colei vede onde il suo mal deriva.
Chi le può tòr che non creda esser vero
lutti i secoli. V. Nannucci, An. cr. p. 114.
I/Ar. ha usato questa terminazione in otto
luoghi, se non in' inganno. In sei il Morali
ha corretto la e in o; in due (questo e e.
xxxix, 8, 1 ) ha lasciato, forse per svista,
la lezione originale. Poiché l' Ar. ama le
forme talvolta meno usate, e questa ha ot-
timi esempì, il Morali avrebbe dovuto la-
sciarla in ogni luogo.
— 3-4. i torrenti e il gh. È una figura
di endiadi; intendi dunque il ghiaccio dei
torrenti.
42. 3. carmi; iscrizione. V. e. xxiv, 57,
n. 5.
— 4. a chi saperlo, per chi di saperlo.
— 5. panni, opino, penso. Cosi nel e.
XXIX, 39, 6. Per l'indicativo dipendente cfr.
st. 11, n. 3-1.
43. 7. seguisse; la seguisse.
44. 7. tòr che non; impedire che non. In
490
ORLANDO FURIOSO
Che l'amor ve la sproni di Ruggiero ?
45
E perfido Ruggier di nuovo chiama.
Non ti bastala, perfido (disse ella),
Che tua perfidia sapessi per fama,
Se non mi facevi auco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c'hai brama:
E per sbramar tua voglia iniqua e fella,
10 vo' morir, ma sforzerommi ancora
Che mora meco chi è cagion ch'io mora.
46
Sdegnosa più che vipera, si spicca,
Cosi dicendo, e va contra Marfisa;
Et allo scudo l'asta si le appicca
Che la fa a dietro riversare in guisa,
Che quasi mezzo l'elmo in terra ficca;
Né si può dir che sia colta improvisa:
Anzi fa incoutra ciò che far si puote;
E pure in terra del capo percuote.
47
La figliuola d'Amon, che vuol morire
0 dar morte a Marfisa, è in tanta rabbia,
Che non ha mente di nuovo a ferire
Con l'asta, onde a gittar di nuovo l'abbia;
Ma le pensa dal busto dipartire
11 capo mezzo fitto ne la sabbia:
Getta da sé la lancia d'oro, e prende
La spada, e del destrier subito scende.
48
Ma tarda è la sua giunta; che si trova
Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(Poi che s'ha vista alla seconda prova
Cader si facilmente sull'arena).
Che pregar nulla, e nulla gridar giova
A Ruggier che di questo avea gran pena:
Si l'odio e l'ira le guerriere abbaglia,
Che fan da disperate la battaglia.
49
A mezza spada vengono di botto;
E per la gran superbia che l'ha accese,
questo senso togliere, come impedire, si
costruisce con la negazione che non e an-
che col semplice che.
46. 3. le appicca, le mette.
— 6. improvisa; improvvisamente. L'ag-
gettivo sta per l'avverbio.
8. del capo, col capo. È uso ancora
vivo ed elegante.
47. 3. non ha mente, non pensa, non pone
mente. V. e. xii, 53, n. 7. — ferire, percuo-
tere ; e. II, 76, u. 3.
— 4. a gittar... l'abbia; possa gittarla.
Significato frequentissimo del verbo avere,
specialmente nelPAnosto: cfr. e. xvi, 18, 6;
xvu, 38, 5; XVIII, 76, 1, ecc.
— 5. le pensa... dìpart.; pensa dipartirle.
48. 3. s'ha vista... cader; s'è vista 0. L'au-
siliare avere in quest'espressione è vera-
mente duro.
49. 1. A mezza sp. ; alla distanza di mezza
Van pure innanzi, e si son già sì sotto
Ch'altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
Lasciau cadere, e cercan nuove off'ese.
Prlega Ruggiero e supplica amendue.
Ma poco frutto han le parole sue.
50
Quando pur vede che '1 pregar non vale,
Di partirle per forza si dispone:
Leva di mano ad amendua il pugnale.
Et al pie di un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han pili da far male.
Con prieghi e con minacele s'interpone:
Ma tutto è in van: che la battaglia fanno
A pugni e a calci, poi ch'altro non hanno.
51 [prende
Ruggier non cessa: or l'una or l'altra
Per le man, per le braccia e la ritira;
E tanto fa, che di Marfisa accende
Contra di sé, quanto si può più, l'ira.
Quella che tutto il mondo vilipende,
All'amicizia di Ruggier non mira;
Poi che da Bradamante si distacca.
Corre alla spada e con Ruggier s'attacca.
52
Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui:
Ma ti farò pentir con questa mano
j Che vo' che basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier con parlar molto umano
I Marfisa mitigar ; ma contra lui
I La trova in modo disdegnosa e fiera,
Ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo Ruggier la spada trasse.
Poi che l'ira anco lui fé' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
Che cosi a' riguardanti dilettasse.
Come dilettò questo e fu giocondo
Alla gelosa Bradamante, quando
Questo le pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada avea tolta ella di terra,
E tratta s'era a riguardar da parte;
spada; a corpo a corpo, rinunziando a ogni
accorgimento, a ogni prudenza di battaglia.
— 4. puon, possono. V. e. x, 61, n. 6.
51. 6. non mira; non ha riguardo. Cosi
nel e. XLiv, 2, 7; o anche non pensa come
nel e. XIV, 105, 3.
52. 5. Cerca Engg. ecc. Contro Marfisa egli
si difende con lo scudo e parando i colpi;
e intanto procura di calmarla.
53. 5. a' rig. dilett. Colla preposiz. a il
verbo dilettare non è oggi comune, ma
non è morto ancora. Presso gli antichi fu
assai frequente.
— 7. quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
CANTO XXXVI
491
E le parea veder che '1 Dio di guerra
Fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una Furia iufernal quando si sferra
Sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è ch'uu pezzo il giovene gagliardo
Di non far il poter ebbe riguardo.
55
Sapea ben la virtù de la sua spada;
Che tante esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
L'incanto, o nulla giovi, o stia di piatto;
Si che ritien che '1 colpo suo non cada
Di taglio 0 punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza ;
Ma perde pure un tratto la pazienza;
56
Perché Marfisa una percossa orrenda
Gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che '1 capo difenda
Ruggiero, e '1 colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
Ma di stordir non però il braccio resta:
E s'avea altr'arme che quelle d' Ettorre,
Gli potea il fiero colpo il braccio tórre:
57
E saria sceso indi alla testa, dove
Disegnò di ferir l'aspra Donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
A pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove;
Par che ne gli occhi avvampi una facella:
E quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta.
.54. 5. Una Furia ecc. Questo paragone non
è fatto in grazia dell' odio che Bradamante
le porta, ma per la violenza con cui Mar-
fisa suol gettarsi alla guerra. Nei Cinque
Canti IV, 6, Marfisa è pur paragonata a
«Una Furia che uscisse dello inferno».
55. 1. la virtù ecc. Fu fabbricata da Fa-
lerina (Innam. II, iv, 6): «E con incanto
fabbrica una spada Che tagliar possa ogni
cosa affatala ».
— 4. di piatto, nascosto ; cfr. e. xxx, 86
n. 6. Intendi : conviene che l' incanto si na-
sconda, non apparisca dinanzi a questa
spada. È come una correzione del Se ne
vada del v. 3.
— 5. ritien che 'I colpo; ritiene il colpo
perché non cada ecc. È un iperbato.
56. J. pesta, batte, va a battere. Cosi nel
e. X, 111, 2. È significato non registrato dai
vocabolari. — l'aquila era l'insegna di Rug^
gero; cfr. e. xxvi, 9S, n. 8; e xxx, 74, 5-7.
— 6. resta, manca. Altrove l'Ar. ha re-
star poco che, mancar poco che; e. xvii,
125,; XX, 130.
57. 7. caccia una p.; caccia, spinge un
colpo di punta, una puntata. È espressione
ardita, ma molto eflìcace, che nessun voca-
bolario registra.
58
Io non vi so ben dir come si fosse:
La spada andò a ferire in un cipresso,
E un palmo e più ne l'arbore cacciosse:
In modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
Un gran tremuoto; e si senti con esso
Da queir avel ch.'in mezzo il bosco siede.
Gran voce uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce orribile: Non sia
Lite tra voi : gli è ingiusto et inumano
Ch'alia sorella il fratel morte dia,
0 la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia.
Credete al mio parlar che non è vano:
In un medesimo utero d'un seme
Foste concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti foste da Ruggier secondo:
Vi fu Galacìella genitrice,
58. 4. In modo ecc. Il luogo era piantato
cosi fitto, cosi spesso : e sottintendi : che
bastò sbagliare di poco il colpo diretto a
Marfisa, per colpire in un cipresso.
— 8. ch'ogni m. ecc.; che eccede ogni
voce mortale.
60. 1. Concetti ecc.; generati. Cosi nel e.
XXXV, 49, 6. — Questo riconoscimento per
mezzo soprannaturale è comune nei ro-
manzi popolari Toscani. Ruggero e Marfisa
forse erano fratelli anche nella mente del
Boiardo, che (Inn. II, i. 73) parla di Ruggero
e di una bambina nati da Galaciella e venuti
alle mani di Atlante; e inoltre vela di mi-
stero la nascita di Marlìsa, mentre ne fa una
donna fortissima degna del fratello e dell' e-
ducatore. L'.\. penetrò forse le intenzioni del
Boiardo, o le seppe da lui stesso nella stretta
familiarità, che si dice legasse il giovane
Lodovico al Conte di Scandiano. — Del resto
di questi due gemelli tigli di Galaciella par-
lava già la tradizione cavalleresca, donde tol-
se il Boiardo tutta la storia della discendenza
di Ruggero (Inn. II, i). Ecco in breve l'an-
tica storia di Galaciella. Era figlia del re
Agolante e sorella d'Almonte e di Troiano;
guerriera fortissima. Venne col padi-e e col
fratello Almonte all'assedio di Risa (Reggio
in Calabria) per vendicare ie perdite fatte
dai loro antenati, re d'Affrica, nella guerra
contro i Franchi. Risa era difesa da Rìc-
cieri, re di Sicilia, il quale, dal Boiardo
priiuaedall'Ar. poi, è fatto discendere, per
il ramo di Clodovaco, da Astianatte tiglio
di Ettore, precisamente come per il ramo
di Costanzo Cloro, ne è fatta discendere la
casa di Carlo Magno. Galaciella combatte
con Riccieri, è vinta e fatta prigioniera.
Beltramo fratello di Riccieri se ne inna-
492
ORLANDO FURIOSO
I cui fratelli avendole dal mondo
Cacciato il genitor vostro infelice.
Senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
Di voi ch'usciste pur di lor radice,
La fér, perché s'avesse ad aiì'ogare,
S'un debol legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna che voi, benché non nati,
Avea già eletti a gloriose imprese.
Fece che 'l'iegno ai liti inabitati
Sopra le Sirti a salvamento scese;
Ove, poi che nel uìondo v'ebbe dati.
L'anima eletta al Paradiso ascese;
Come Dio volse e fu vostro destino :
A questo caso io mi trovai vicino.
62
Diedi alla madre sepoltura onesta,
Qual potea darsi in si deserta arena;
E voi teneri avvolti ne la vesta
Meco portai sul monte di Carena;
E mansueta uscir de la foresta
Feci e lasciare i figli una leena,
De le cui poppe dieci mesi e dieci
Ambi nutrir con molto studio feci.
mora, ma essa ama il suo vincitore Ric-
cieri e da lui è sposata. Beltramo per ven-
detta mette in città i nemici, ma è bruciato
vivo come traditore. Alcune fonti dicono
che fosse bruciata viva anche Galaciella,
altre invece che Almonte, mosso dall'amore
fraterno, la trafugasse in Affrica. Avverti
come l'Ar. cambia in uu fratricidio la pietà
di Ahnonte (st. 60, 7-8), forse per rendere
più odiosa a Ruggiero e a Marlisa la stirpe
d'Agolante e attirarli più facilmente al cri-
stianesimo. ì>ie\V Asì^romonte si dice che
Galaciella ebbe un figlio maschio e una fem-
mina. — Con questi elementi compose il Bo-
iardo la sua storia, a cui si mantenne fe-
dele l'Ar. ampliandola e colorandola.
— 3. 1 e. fratelli ; Secondo TAr. andarono
all'assedio di Risa Almonte e Troiano (xxx,
83, 1-2) ; ma questi, secondo le antiche fonti
cavalleresche, non vi andò.
61. 3-4. che '1 legno... ai liti... scese. Vie
fusione di due pensieri: il legno approdò e
Galaciella scese. Quindi più che un uso spe-
ciale del verbo scendere vedrei qui un ar-
dimento sintattico. La prova di ciò si ha
nel seguente verso, dove il soggetto é Ga-
laciella.
— 4. Sirti; due insenature sulla costai
di Barberia, dette la grande e la piccola i
.sirte (oggi : golfo di Sidra e golfo di Gabes).
— ,S. nel mondo v. e. d. Più comunemente i
'lare al mondo. Questo modo dell' Ariosto |
non par citato dai vocabolari.
(>'2. 1. onesta, onorata. Latinismo frequen-
te ijionestus).
— 6. leena, lionessa. Latinismo (leaena).
63
Un giorno che d'andar per la contrada
E da la stanza allontanar m'occorse,
Vi sopravenne a caso una masnada
D'Arabi (e ricordarveue de' forse)
Che te, Marfisa, tolser ne la strada;
Ma non poter Ruggier che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
E di Ruggier guardian più diligente.
64
Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
Il tuo Maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse,
Che tra' Cristiani a tradigion morrai:
E perché il male influsso non seguisse,
Tenertene lontan m'affaticai;
Né ostare alfin potendo alla tua voglia,
Infermo caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma innanzi a morte, qui dove previdi
Che con Marfisa aver pugna dovevi,
Feci raccór con infernal sussidi
A formar questa tomba i sassi grevi;
Et a Caron dissi con alti gridi:
Dopo morte non vo' lo spirto levi
Di questo bosco, fin che non ci gingna
Ruggier con la sorella per far pugna.
66
Cosi lo spirto mio per le belle ombre
Ha molti di aspettato il venir vostro:
Si che mai gelosia più non t' ingombre,
O Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ormai, che de la luce io sgom-
E mi conduca al tenebroso chiostro, [bre,
63. 2. allontanar m'occorse: Regolarmente
allontanarmi m'occorse. Forse abbiamo qui
l'omissione della particella per non ripe-
terla due volte, come nel e ii, 72, 3; vi,
31 ; xvn, 92 ecc. ; ma fors'anche abbiamo la
forma attiva per la riflessiva come nel e.
XIV, 68, 7; XXV, 43, 7; xl, 43, 7. L' una e
l'altra interpretazione dunque è ugualmente
probabile.
— 6. non poter; Sottint. togliere.
64. 3. senti' pr.; conobbi le stelle fisse
predir, che le stelle fìsse predicevano. In
.senso un po' diverso l'usò il Petr. i, cauz.
12 : «Si ricca donna dev'esser contenta, S'al-
tri vive del suo eh' ella noi senta ».
— 4. Che tra' c. Per questa predizione
cfr. e. XLi 61, segg.
— 5. il male infl.; il malo infl. V. per
r espressione e per il pensiero il canto iv,
35, n. 4.
6G. 6. al ten. chiostro; all'inferno; secon-
do il concetto pagano come appare dal v. 5
della st. precedente. Qui pure come nel e.
XXIX, 28, si usano, con molta libertà, non
so con quanta opportunità e chiarezza, im-
magini e concetti della mitologia classica.
CANTO XXXVI
493
Qui si tacque: e a Marfisa et alla figlia
D'Amon lasciò e a Ruggier gran maravi-
67 (glia.
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, et ella lui;
E ad abbracciarsi, senza offender quella
Che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
E rammentando de l'età novella
Alcune cose: Io feci, io dissi, io fui;
Vengon trovando con più certo effetto,
Tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla sorella non ascose
Quanto avea nel cor fissa Bradamante;
E narrò con parole affettuose
De le obligazion che le avea tante :
E non cessò, ch'in grand'anior compose
Le discordie ch'insieme ebbono avaute ;
E fé', per segno di pacificarsi,
Ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar poi ritornò Marfisa
Chi stato fosse, e di che gente il padre;
E chi l'avesse morto, et a che guisa,
S'in campo chiuso, o fra l'armate squad re ;
E chi commesso avea che fosse uccisa
Dal mar atroce la misera madre:
Che, se già l'avea udito da fanciulla,
Or ne tenea poca memoria o nulla.
70
Ruggiero incominciò, che da' Troiani
Per la linea d'Ettorre erano scesi:
— chiostro, come nel e. xix,78, vale senipli-
cemente luogo chiuso.
67. 7. e. p. e. effetto, con fatti pia certi,
che servono loro di prova: e. vi, 7, u. 5.
Questi fatti mostrano che l'apparizione d'A-
tlante non è stata un'allucinazione, perciò
sono prove più certe dell'apparizione e della
rivelazione d'Atlante stesso.
68. 2. Quanto ecc.; quanto egli avea fissa
nel cuore Bradamante.
— 5. non cessò che; non cessò finché. V.
e. xni, 7. n. 4.
69. 4. S'in e. chioso; se in duello. — chiuso
da steccato. È espressione tecnica.
70. 1. da' Troiani ecc. Il Boiardo, Imi.
Ili, v, 18 segg. fa dire da Ruggero a Brada-
mante tutta questa istoria; che cioè i Gre-
ci, presa Troia, uccisero tutti i prigioni.
Cercarono anche Astianatte, piccolo figlio
di Ettore, ma esso fu trafugato dalia madre
Andromaca, sostituendolo con altro bam-
bino, che fu preso e ucciso. Il piccolo Astia-
natte fu da un fedel cavaliere portato in
Sicilia, ivi crebbe prode in armi e sposò la
regina di Messina. Fece guerra ai Greci e
ne fu ucciso. I Greci presero Messina e la
giovane sposa fuggi a Reggio, dove partorì
Polidoro. Da Polidoro nacque Polidante, da
Che poi che Astianatte de le mani
Campò d'Ulisse e da li aguati tesi,
Avendo un de' fanciulli coetani
Per lui lasciato, usci di que' paesi;
E dopo un lungo errar per la marina
Venne in Sicilia, e dominò Messina.
71
I descendenti suoi di qua dal Faro
Signoreggiar de la Calabria parte;
E dopo pili successioni andaro
Ad abitar ne la città di Marte.
Pili d'uno Imperatore e Re preclaro
Fu di quel sanguein Roma e in altra parte,
Cominciando a Costante e a Costantino,
Sino a Re Carlo figlio dì Pipino.
72 [sti,
Fu Ruggier primo, e Gianbaron di que-
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo
Che fé', come d'Atlante udir potesti.
Di nostra madre l'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
Per l'istorie vedrai celebri al mondo.
Segui poi, come venne il Re Agolante
Con Alraonte e col padre d'Agramante.
questi Floviano, che fu padre a Clodovaco
e Costante. Da Costante discese il ramo di
Carlo Magno, da Clodovaco il ramo di Buovo.
Dei figli di Buovo uno dominò in Antona,
uno fu Signore di Risa e fu un antenato di
Ruggero. Quindi Ruggero narra la storia
di Galaciella come l'abbiamo sopra esposta
alla st. 60. L'Ariosto non suppone che Rug-
gero abbia raccontato ciò a Bradamante nel-
VOrlando Innam., anzi suppone che essa
ne avesse qualche notizia d'altra parte;
infatti nel e. xxx, 83 Bradamante, rinfac-
ciandogli la sua crudeltà verso chi 1' ama,
dice •< Fu morto da Troian, non so se il
sai, Il padre tuo ».
— 3. Astianatte. Dionigi di Mileto, Lo-
gografo greco, dice che Astianatte fu fatto
schiavo da Pirro, mentre altri dissero (Ovio.
Met. 13, 415) che Ulisse lo precipitò dalle
mura. Il Boiardo e r.\r. composero le due
tradizioni in una nuova idea.
— 5-6. Avendo lasciato... usci. Si attribuì*
sce a lui infante ciò che fece la madre e il
servo: la madre sostituì un altro fanciullo,
il servo usci con Astianatte da Troia. —
Ini, sé. Cosi e. IV, 6, 3; v, 45, 2 e altrove.
71. 6. in altra parte, a Bisanzio e in
Francia.
— 7. C. e a Cost. ; coni, da Cost. Questo è
il costrutto più comune, quando è indicato
il termine, a cui l'azione finisce.
72. 3. d'Atlante, da Atlante. V. e. v, 10,
n. 5.
— 8. col p. d'Agram.; Troiano; ma vedi
quanto si è detto alla st. CO, n. 3.
494
ORLANDO FURIOSO
E come menò seco una donzella
Ch'era sua figlia tanto valorosa.
Che molti Paladin gittò di sella;
E di Ruggiero al fin venne amorosa,
E per suo amor del padre fu ribella,
E battezzossi, e diveutògli sposa.
Narrò come Beltramo ti-aditoi'e
Per la cognata arse d'incèsto amore;
74
E che la patria e '1 padre e duo fratelli
Tradì, cosi sperando acquistar lei;
Aperse Risa a gli nimici, e quelli
Fér di lor tutti i portamenti rei:
Come Agolaute e i figli iniqui e felli
Poser Galaciella, che di sei
Mesi era grave, in mar senza governo,
Quando fu tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa con serena fronte
Fisa al parlar che '1 suo german iacea:
Et esser scesa da la bella fonte
Ch'avea si chiari rivi, si godea.
Quinci Mongrana, e quindi Chiaramente,
73. 1. una donzella, Galaciella.
— 4. amorosa, amante. È uso antico rin-
novato forse dair.w. Si citano solamente
esempi del Trecento.
— 5. del padre... rib.: ribelle al padre.
V. e. IX, 13. n. 6.
— 8. incesto. V. e. xxxiv, 64. n. 5.
74. 1. dno fratelli; il Boiardo non accenna
che a Ruggero secondo; d'altro fratello di
Beltramo non parla.
— 4. portamenti; trattamenti: fecero di
tutti loro, rei trattamenti; li trattarono ma-
lamente. È significato ed espressione molto
singolare, che i vocabolari non registrano.
Le edizioni del '16 e del '21 leggono: « Feron
di lutti portamenti rei » lezione, che con-
ferma la data interpretazione.
— 6. poser Gal. Il Boiardo invece: « Si
pose disperata alla marina»; cioè fuggi da
sé stessa per mare.
— 7. senza governo; senza timone e ti-
moniere : governo significa l' uno e l'altro.
V. e. XXXII, 62, n. 3.
75. 4. si godea, si compiaceva. Godere è
usato, in tutti i sensi, con le particelle pro-
nominali o senza egualmente.
— 5. Quinci M. ecc. Buovo d' Antona ha
due figli, Sinibaldo e Guidone; il primo fa
edificare il castello di Mongrana, da cui la
sua schiatta prende il nome; il secondo ha
due figli, Chiaramoute e Bernardo. Essendo
Chiaramonte morto di lo anni, Bernardo ne
prende il nome per sé e per i suoi figli
(Bolza). Queste due case avevano dato alla
Francia i più illustri guerrieri, come Oli-
viero, Grifone, .^quilante; Orlando, Kinaldo,
Bradamante.
Le due progenie derivar sapea,
Ch'ai mondo fur molti e molt'anni e lustri
Splendide, e senza par d'uomini illustri.
76
Poi che '1 fratello al fin le venne a dire
Che '1 padre d'Agramante e l'avo e '1 zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
E posero la moglie a caso rio;
Non lo potè più la sorella udire,
Che lo 'nterroppe, e disse: Fratel mio
(Salva tua grazia), avuto hai troppo torto
A non ti vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
Insanguinar, ch'erano morti inante,
Dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perché, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
L)al viso; poi che dopo offese tante
Non pur posto non hai questo re a morte,
Ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre)
— 8. e senza p. d'n. i. Intenderei : e illustri
d'uomini, per uomini senza pari, che non
avevano eguali. Cosi avremmo una, e non
la più ardita, delle tante inversioni, fami-
liari all'Ar. Ma si può anche intendere: e
senza eguale {queste progenie non ebbero
i l'eguale) quanto ad uomini illustri: cosi
j (Vuom. ili. sarebbe un complemento di li-
' mitazione.
I 76. 2. '1 padre; Troiano. V. st. 60, n. 3.
j — 4. caso, pericolo. Boccaccio, Nov. 1:
i « Veggendo me in caso di morte dir cosi >.
; Ed è ancora comune in alcune locuzioni,
i come questa del Boccaccio.
— 6. Che lo 'nt. ; la quale lo 'u.
— 7. Salva t. grazia. ; con tua buona gra-
zia. Non si cita che questo esempio dell'Ar.
— 8. del padre morto, della morte del
padre.
77. 1-2. in A. e in Tr... insang. ; tinger le
mani nel sangue di A. e Tr. Nel e. iv, 14 è
costruito con la prep. di. La Crusca rileva
il significato, non i costrutti.
— 5. non ti levi, non ti leverai. Spesso
abbiamo notato una certa libertà nell' uso
de' tempi (i, 81, n. 3; in, 71, 1); ma il pre-
sente per il futuro è enallage ancora co-
munissima nell'uso popolare; cosi se uno
domandi : quando ine lo dici ? l'altro potrà
rispondere: non te dico mai.
— 8. al soldo suo. L'espressione dovette
suonare un po' rude per Ruggero, ma era
vero che egli, specialmente dal giorno che
fu ferito, stava nella corte d'Agramante
alle cure di lui, quasi al suo soldo (xxx,
74 segg.).
CANTO XXXVI
495
Che di questa armatura non mi spoglio,
Fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio.
Di te, se più ti veggo fra le squadre
Del Re Agramante, o d'altro signor moro,
Se non col ferro in man per danno loro.
79
Oh come a quel parlar leva la faccia
La bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier, che cosi faccia,
Come Marfisa sua ben l'ammonisce;
E venga a Carlo e conoscer si faccia,
Che tanto onora, lauda e riverisce
Del suo padre Ruggier la chiara fama,
Ch'ancor guerrier senza alcun par lo ciiia-
80 [ma.
Ruggiero accortamente le rispose
Che da principio questo far dovea;
Ma per non bene aver note le cose.
Come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
La spada al fianco, farebbe opra rea
Dandogli morte, e saria traditore;
Che già tolto l'avea per suo Signore.
81
Ben, come a Bradamante già promesse,
Promettea a lei di tentare ogni via.
Tanto ch'occasione, onde potesse
78. 3, n. mi spoglio; non mi spogliei'ò.
V. st. 77, 5. « Marfisa parla veramente se-
condo lo spirito del medio evo, quando l'uc-
cisione d'un parente era qup*i un sacro le-
gato di vendetta » (Casella).
— 5. fin ora, fin d'ora. Dante, Inf. 27,
101 ; « Fin or t' assolvo ». In questo senso
si disse anche fino ad ora.
80. 5-6. gli pose la sp. al f. Ciò è detto
weW" Innaìn. II, xxi, 51-52. Ruggero, ricor-
dando ad Agramante un suo atto valoroso
e generoso, gli chiede: « Fammi, signor, ti
prego, cavaliero ». E Agramante « Con
molta festa il fece cavaliero ». Chi ornava
cavaliero un altro si legava con lui con
una parentela spirituale, sicché il nuovo ca-
valiero non doveva mai per veruu caso por-
tare le armi contro di esso. È vero che Rug-
gero era Saracino e la cavalleria era solo
fra cristiani, ma spesso i romanzieri trat-
tano i cavalieri saraciui alla stregua dei
cristiani. Ruggero poi, essendo d' origine
cristiana e predestinato a ritornare alla sua
religione, è sempre un perfetto cavaliere.
81. 3. Tanto che; finché. Cosi nel canto
XXXIV, 1, 3; XLiii, 15G, 7.
Levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
La colpa a lui, ma '1 Re di Tartaria,
Dal qual ne la battaglia, che seco ebbe,
Lasciato fu, come saper si debbe.
82
Et ella che ogni di gli venia al letto,
Buon testimou, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
Da l'una e da l'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, l'ultimo efi"etto
È che Ruggier ritorni alla bandiera
Del suo Signor, fin che cagion gli accada.
Che giustamente a Carlo se ne vada.
83
Lascialo pur andar (dicea Marfisa
A Bradamante), e non aver timore;
Fra pochi giorni io farò bene in guisa.
Che non gli fia Agramante più Signore.
Cosi dice ella; né però devisa
Quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia al fin Ruggiero
Per tornare ^1 suo Re volgea il destriero;
84
Quando un pianto s'udi da le vicine
Valli sonar, che li fé' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
Che di femina par, che si lamenti.
Ma voglio questo Canto abbia qui fine,
E di quel che voglio io siate contenti;
Che miglior cose vi prometto dire,
S'all'altro Canto mi verrete a udire.
— 6. ma '1 Re, ma al re. L'ediz. del 1532
ha proprio questa elisione, che è molto no-
tevole. Non saprei citarne altro esempio.
Nell'altre due edizioni la stanza è differente.
— 8. Lasciato ecc.; Fu lasciato come da
lei e dagli altri si deve sapere ; cioè fu la-
sciato gravemente ferito.
82. 5. l'n. effetto, di tanti discorsi.
— 7. gli accada, gli si presenti. Cosi nel
e. XIX, 41, 4.
— 8. Che; perché.
83. 5. devisa, divisa, indica, mostra. È
forma molto singolare: cfr. e. xxxvii, 62,
8. Per il significato cfr. Berni. Inn, 29, 24;
«il luogo gli divisa».
84. 3. fan l'or, chine. È un'immagine che
dipinge l'atto di piegarsi sporgendo il capo
verso quei rumori, che attirano la nostra
curiosità.
— 4. Che; è relativo di voce.
496
ORLANDO FURIOSO
CANTO XXXVJT
Se, come in acquistar qualch'altro dono
Che senza industria uou può dar Natura,
Affaticate notte e di si sono
Con somma diligenzia e lunga cura
Le valorose donne, e se con buono
Successo n' è uscit'opra non oscura;
Cosi si fosson poste a quelli studi
Ch' immortai fanno le mortai virtudi;
2
E che per sé medesime potuto
Avesson dar memoria alle sue lode,
Non mendicar da gli scrittori aiuto.
Ai quali astio et invidia il cor si rode.
Che '1 ben che ne puon dir, spesso è ta-
[ciuto,
E '1 mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
Tanto il lor nome sorgeria, che forse
Viril fama a tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a molti di prestarsi l'opra
In far l'un l'altro glorioso al mondo,
Ch'anco studiau di far che si discuopra
Ciò che le donne hanno fra lor d'imnion-
Non le vorrian lasciar venir di sopra, [do.
E quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
Dico gli antiqui; quasi l'onor debbia
D'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
* Tutto questo cauto è aggiunto per l'e-
dizione del 1532 e composto nel 1531 ; come
si rileva dairacceniio alla moglie di Luigi
Gonzaga andatagli sposa appunto in que-
st'anno. V. st. 8, n. 5.
1. 1. Se eco. In questo esordio vi sono
molti pensieri simili a quelli dell'esordio
del e. XX. — dono, dote, buona qualità, che
è dono della Natura, ma aiutala dalla vo-
lontà operosa.
— 5. e se con buono ecc. Questo se in-
tralcia il periodo. Più chiaro e regolare sa-
rebbe senza.
2. 1. E che; e se. Per questo significato
cfr. e. IV, 60, n. 5.
— 2. sue, loro. V. e. xiii, 40, n. 3. —
lode, lodi, opere lodevoli. V. e. xv, 2, n. 1.
— 3. Non mendicar; e avessero potuto
non mendicar.
— 5. puon, possono. V, e. x, 61, n. G.
3. 1. prestarsi l'opra. « É detto prover-
l)iale quando due si difendono o laudano
l'un l'altro... Appar traslato da rustici vi-
cini, i quali vicendevolmente s' aiutano »
(FORNARl).
— I. fra lor, in mezzo a loro ; nel loro
celo.
Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
Formando in voce, o descrivendo in carte
(Quantunque il mal, quanto può, accresce
[e impingua,
E minuendo il ben va con ogni arte),
Poter però, che de le donne estingua
La gloria si, che non ne resti parte; fga.
Ma non già tal, che presso al segno giun-
Né ch'anco se gli accosti di gran lunga:
5
Ch'Arpalice non fu, non fu Torairi,
Non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
Non chi seguita da' Sidonii e Tiri
Andò per lungo mare in Libia a porse;
Non Zenobia, non quella che gli Assiri,
I Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
4. 7. presso al segno ; pr. a quel segno, a
quell'altezza, a cui meritamente dovrebbe
giungere. La stranezza dell'espressione di-
pende appunto dal pensiero incompleto. Un
fatto simile abbiamo nel e. xiii, 62, 4, dove
r espressione toccherà il punto del bene
vale: toccherà quel punto del bene, a cui
si può giungere; cioè il punto sommo.
— 8. anco; pure. V. e. xvi, 36, n. 8.
5. 1. Arpalìce ; V. e. XX, 1, n. 5. — Te-
miri, regina de' Massageti, che vinse Ciro.
— 2. chi, quella che; come il Petrarca,
ir, son. 70: «Ma chi né prima simil né se-
conda Ebbe » ; Camilla, che combatté per
Turno, Pentesilea, regina delle Amazzoni,
che combatté per Troia.
— 3. seguita. Bidone, che parti da Tiro
accompagnata daTirii e Sidonii (Sidone era
città Fenicia in Siria soggetta, come Tiro,
allo stesso re) e andò in Libia a fondarvi
Cartagine. Virgilio, En. I.
— 5. Zenobia, bellissima regina dei Pal-
mireni, combatté prima con successo contro
i Romani al tempo dell' imperatore Aure-
liano, ma alfine, vinta, (272 d. C.) fu fatta pri-
gioniera, e condotta al trionfo del suo vin-
citore, che poi le donò una villa magnifica a
Tivoli. — quella che gli A. ecc. è Semiramide
regina degli Assiri.
— 6. I P. e gl'I... scórse; « Benché sola-
mente gì' Indiani scorresse con vittoria,
perciò che il regno degli Assiri e de' Persi
ricevette dal morto marito; nondimeno dir
si può che di questi non meno che di quelli
si potesse appellare vincitrice, tenendo sotto
'1 freno tanti diversi e ferocissimi popoli e
alle volte non senz'arme » (Fornari).
CANTO XXXVIl
497
Non fur queste e poch'altre degne sole,
Di cui per arme eterna fama vele.
6
E di fedeli e caste e saggie e forti
Stato ne son,non pur in Grecia e in Roma,
Ma in ogni parte, ove fra gl'Indi e gli Orti
De le Esperide il sol spiega la chioma;
De le quai sono i pregi a gli onor morti,
Si ch'a pena di mille una si noma;
E questo, perché avuto hanno ai lor tempi
Gli scrittori bugiardi, invidi et empi.
7
Non restate però, donne, a cui giova
Il bene oprar, di seguir vostra via;
Né da vostra alta impresa vi rimuova
Tema che degno onor non vi si dia:
Che, come cosa buona non si trova
Che duri sempre, cosi ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl'inchiostri
Per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
8
Dianzi Marnilo et il Pontan per vui
Sono, e duo Strozzi, il padre e '1 figlio stati:
C è il Bembo, e' è il Capei, e' è chi, qual lui
Vediamo, ha tali i cortigian formati:
C' è un Luigi Alaman; ce ne son dui,
Di par da Marte e da le Muse amati.
Ambi del sangue che regge la terra
Che 1 Menzo fende, e d'alti stagni serra.
9 [to
Di questi l'uno, oltre che 'I proprio istin-
— 7-S. degne... di cni. V. e III, 27, n. 1.
6. 2. Stato n. son. Per questa sconcor-
danza, che si legge nelle migliori antiche
edizioni e che alcuni a torto si ostinano a
correggere, vedi e. v, 58, n. 5.
— 4. D. Esperide, d. Esperidi. Per la
forma cfr. e. ix, 84, n. 1. Nelle isole Espe-
ridi (del Capo Verde) pose la favola gli orti
delle Esperidi. Qui dunque dagli Indi agli
or. d. E. vuol dire da oriente a occidente.
— 5. a gli on.; cosi l'ed. del 1532. Male il
Morali corregge e gllon.-. i pregi non sono
onorati, sono morti agli onori.
7. 1. giova, piace: è il lat. iuvat.
— 6. né ria, neppure ria. V. e. li, 41, n. 4.
— 8. Per voi, favorevoli a voi.
8. 1. Dianzi ecc. Questi primi quattro
poeti erano già morti quando l'A. scriveva
questo canto. Per ciò al terzo verso dob-
biamo sottintendei'e: ora C è il Bembo ecc.
Michele Marnilo d'origine greca, insigne
umanista, mori nel 1500. L'Ar. ha una bella
poesia latina ad Ercole Strozzi scrittagli ap-
pena ricevuta la trista notizia di quella
morte. — Pontan; Giovanni Pontano (1126-
1503) anch' egli celebre umanista di Cerreto
di Spoleto : visse e fiori a Napoli.
— 2. duo Strozzi; Tito Vespasiano Strozzi
(m. 1505) e il figlio Ercole (ucciso a tradi-
mento 1508) furono assai lodati per le loro
poesie latine e volgari.
— 3. Bembo, Pietro, veneziano (1470-1547)
umanista, storico e poeta insigne. — il Ca-
pei, Bernardo Cappello, nobile veneziano,
amico del Bembo, che ne apprezzava mol-
tissimo l'ingegno poetico (morto 1565). —
chi ecc. Baldassarre Castiglione, che col
suo libro II Cortegiano forma i cortigiani
cosi compiti ed eccellenti com' egli era.
— 5. L. Alamanni, (1495-1556) scrisse con
grande eleganza, elegie, egloghe, satire, so-
netti, iuni, ecc. : è specialmente famoso per
il poema La Coltivazione. — dui ecc. Uno è
certamente Luigi Gonzaga da Gazolo, detto
Rodomonte per la sua forza e il suo ardire
(1500-1532, 3 dicembre). « Al tempo che Roma
fu da' soldati tedeschi messa a sacco, essen-
do Luigi Gonzaga imperiale, vi si trovò tra
quelle squadre anch'esso. 11 perché incorse
allo sdegno di Clemente VII di tal forma, che
egli, cercando di fargli ogni danno, tentò
per ogni via che Isabella figlia del signor
Vespasiano dalla Colonna, e per isposa al
Gonzaga già promessa, non andasse al suo
marito, ma che fusse a un altro maritata...
Ultimamente la costanzia della donna fu
i tale che vinse ogni impedimento e guerra,
' ond'ella fu lasciata ire (1531) al suo primo
j sposo » (Foruari). — Sull'altro non son d'ac-
i cordo i commentatori. Alcuni credono col
' Fornari che sia Luigi Gonzaga di Castel-
giuffredi; «ma da lui non sappiamo che
fosser coltivate molto le lettere » (Tirabo-
i scHi S. L., VII, 1, 62). E l'Aifò, che nella vita
' di Luigi Gonzaga Rodomonte, tratteggia
pure la vita di lui, dice « Se non fu lette-
rato non disprezzò tuttavia chi professava
di esserlo ». Altri col Molini e col Bolza ci-e-
dono che sia Francesco Gonzaga, ma questi
mori nel 1719 ; mentre questo canto fu scritto
nel 1531. — ^■i è un terzo Luigi Gonzaga (m.
1549) figlio di Giampietro, uomo dottissimo
e così reputato nella poesia da fare scri-
vere da Pietro Aretino, malconteuto per la
pochezza d' un dono ricevutone : « se voi
sapeste sì ben donare come sapete ben ver-
sificare, Alessandro e Cesare potrebbero an-
dare a riporsi »; ma che fosse prode in armi
non abbiamo altra testimonianza, che que-
sti versi dell'Ariosto, se a lui si riferiscono,
come crede l'Affò nella succitata vita. Però,
tutto ben ponderato, sembra da credere
che a quest'ultimo qui si riferisca l'A-
riosto.
— 8. Menzo, Mincio. V. e. xiii, 59, n. 7.
Questa terra è Mantova, che siede quasi
nel mezzo d' una laguna formata dalle ac-
que del Mincio.
9. 1. l'uno, è Luigi da Gazolo.
Ariosto — Papini
498
ORLANDO FURIOSO
Ad onorarvi e a riverirvi inchina,
E far Parnasso risonare e Cinto
Di vostra laude, e porla al ciel vicina;
L'amor, la fede, il saldo e non mai vinto
Per minacciar di strazii e di mina,
Animo ch'Issabella gli ha dimostro,
Lo fa assai pili, che di sé stesso, vostro :
10
Si che non è per mai trovarsi stanco
Di farvi onor nei suoi vivaci carmi.
E s'altri vi dà biasnio, non è ch'anco
Sia più pronto di lui per pigliar l'armi.
E non ha il mondo cavallier che manco
La vita sua per la virtù rispiarrai.
Dà insieme egli materia ond'altri scriva,
E fa la gloria altrui, scrivendo, viva.
11
Et è ben degno che si ricca donna,
Ricca di tutto quel valor che possa
Esser fra quante al mondo portin gonna,
Mai non si sia di sua costanzia mossa;
E sia stata per lui vera colonna.
Sprezzando di fortuna ogni percossa:
Di lei degno egli, e degna ella di lui;
Né meglio s'accoppiaro unque altri dui.
12
Nuovi trofei pon su la riva d'Oglio;
— 2. inchina, lo inchina.
— 3. Parnasso... Cinto; l'uno è monte
delle Focide, sacro alle Muse (oggi Liacu-
7^a}; l'altro è monte dell' isola di Delo, dove
nacque Apollo, che da questo fu detto Cintio.
— 7. Issabella. V. st. S, n. 5.
10. 1. per m. tr. st.; non è per trovarsi
mai stanco, non si troverà certo mai stanco
di lodarvi, perché ha nella moglie un inci-
tamento continuo a far ciò.
— 2. vivaci, che vivranno. È significato
latino. OviD. Ex. P. 4, 8, 47: « Cai'mine Ut
vivax virtus expersque sepulchri Notiliam
serae posteritatis hubet ».
— 3. non è ch'anco ; non è neppure chi ecc.
C/li è troncato anche nel e. xix, 47, 6; e
xxxm, 127, 4. — Per il significato di anco
in frase negativa cfr. e. xvi, 30, n. 8.
— 6. rispiarmi ; risparmi. É forma popolare
ancora vivissima nel volgo Toscano.
11. 1. ricca. «Allude alla dote di più di
ventimila ducati, che con questa donna a
Rodomonte veniva; quantunque l'Ariosto
poi rivolge quel titolo di ricca ai beni del-
l'animo per darle maggior lode e più sta-
bile e certa » (Fornari).
— 7. Di lei ecc. Verso e concetto simile
è al e. XLV, 81, 8.
— 8. unque, e unqua (lat. uìiquam) mai.
12. 1. Nuovi trofei; li dice nuovi, perché
in mezzo a ferri, fuochi, navi e ruote vi
si vede alcun ben scritto foglio ; mentre i
comuni trofei sono di armi soltanto ; e ciò
a dimostrare che la gloria guerresca si
Ch' in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a
[ruote
Ha sparso alcun tanto ben scritto foglio,
Che '1 vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
Fa chiaro il vostro onor con chiare note,
E Renato Trivulcio, e '1 mio Gnidetto;
E '1 Molza, a dir di voi da Feho eletto.
13
C è '1 Duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
Del Duca mio, che spiega l'ali, come
Canoro Cigno, e va cantando a volo,
E fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'è il mio Signor del Vasto, a cui non solo
unisce in lui alla letteraria. — riva d'Oglio.
Gazuolo è terra posta in riva all'Oglio.
— 4. Che '1 vie. f. ecc.; il Mincio può
avere invidia all'Oglio, cioè Virgilio può
invidiare il Gonzaga. O è una delle iperboli
cosi frequenti nelle adulazioni di quel tem-
po (Giammatteo Toscano, lodando questo
Gonzaga in un epigramma, scrisse: « Etru-
scis numeris alter Homerus eras » Tiraho-
scHi S. L. VI, 61); o si ha da intendere, col
Fornari, del doppio valore del Gonzaga nelle
armi e nei versi, mentre Virgilio solo nella
poesia fu grande. Egli stesso, il poeta ro-
mano, confronta sul finire della Georgica
la gloriosa opera militare di Augusto colla
sua modesta vita tutta data agli studi; e
questa chiama dimessamente ignobile o-
tium.
— 5. E. Bentivoglio, (1506-1573) nipote del
duca Alfonso, amico dell' .\riosto, e scrittore
molto felice in ogni genere di poesia ita-
liana, ma specialmente nella satira, in cui
gareggia con l'Ariosto.
— 7. R. Trivulcio, di Milano « ha compo-
sto in ottava rima alcune stanze amorose »
(FoRNAE.1). — Guidetto, Francesco Guidetti,
consolo dell'Accademia Fiorentina, uno dei
collaboratori alla celebre edizione del Boc-
caccio del 1527 (v. Manni, Illustr. al Bocc.
p. 042), discreto poeta, che alcuno, non so
su qual fondamento, crede aver giovato al-
l'Ariosto nella correzione del suo poema.
— 8. Molza Francesco Maria (1489-1544)
modenese è uno dei migliori lirici petrar-
chisti del Cinquecento. « Portò dalle fasce
lo 'ngegno atto e disposto alla poetica »
(Fornari).
13. 1. Ercol; figliuolo del duca Alfonso,
ebbe il titolo di duca di Chartres (lat. Car-
nutex) per avere sposata Renata di Fran-
cia. Il Giraldi (Dialogo 12) lo annovera tra
i valorosi poeti di quel tempo e aggiunge
che fin dall' infanzia soleva scrivere mera-
vigliosamente in poesia. Mori nel 1559.
— 5. Signor del Vasto, Alfonso d'AvalOS
marchese del Vasto di cui vedi ciò che si
CANTO XXXVII
499
Di dare a mille Atene e a mille Rome
Di sé materia basta; cli'anco accenna
Volervi eterne far con la sua penna.
14
Et oltre a questi et altri ch'oggi avete,
Che v'hanno dato gloria e ve la danno,
Voi per voi stesse dar ve la potete;
Poi che molte lasciando l'ago e '1 panno,
Son con le Muse a spegnersi la sete
Al fonte d'Aganippe andate e vanno;
E ne ritornan tai, che l'opra vostra
E più bisogno a noi, eh' a voi la nostra.
15
Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
Render buon conto, e degno pregio darle,
Bisognerà ch'io verghi più d'un foglio,
E ch'oggi il canto mio d'altro non parie :
E s'a lodarne cinque o sei ne toglio,
Io potrei l'altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d'ognuna,
O pur fra tante sceglierne sol una?
16
Sceglieronne una; e sceglierolla tale.
Che superato avrà l'invidia in modo,
Che nessun'altra potrà avere a male,
Se l'altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur sé fatta immortale
Col dolce stil di che il miglior non odo;
Ma può qualunque, di cui parli o scriva,
Trar del sepolcro e far ch'eterno viva.
17
Come Febo la candida sorella
Fa più di luce adorna, e più la mira.
Che Venere o che Maia o ch'altra stella
dice nel e. xv, 28, n. 3 e xxxiii, 4T. Ad av-
valorare questo luogo dell'Ariosto, cito una
lettera del Contile, che era alla corte di
lui: «E il più delle volte (parla) di poesia,
dove egli ancora mostra bellissimo inge-
gno, come alcune sue cose ne posson far
testimonio » (Leti. 1, pag. 90). Avverti che
i due luoghi sopra citati e questo, dove l'A.
fa l'elogio d'Alfonso, furono scritti per l'e-
dizione del 1532, ossia tutti e tre nel 1531,
come abbiamo avvertito anche nel e. xv, 2S,
n. 3. — non solo ecc. Costruisci: a cui non
basta di dare di sé (dei fatti suoi, coi fatti
suoi) solamente materia a mille ecc.
— 6. a mille A.; a scrittori com' ebbero
Atene e Roma, ma in numero mille volte
maggiore. — Atene, Ateni. V. e. ix, 84, n. 1.
14. 6. Aganippe; celebre fonte sacra alle
Muse, nel monte Elicona in Beozia.
— 8. È... bisogno; bisogna. I costrutti
una cosa è bisogno o è a bisogno a uno
sono fuori dell' uso, ma non rari presso gli
antichi.
17. 3. Maia , Mercurio , figlio di Maia.
Cfr. e. XXXI, 77, n. 4. Dante, Par. 22, ìii:
Che va col cielo o che da sé si gira:
Cosi facondia più ch'all'altre, a quella
Di eh' io vi parlo, e più dolcezza spira;
E dà tal forza all'alte sue parole,
Ch'orna a' di nostri il ciel d'un altro sole.
18
Vittoria è '1 nome ; e ben conviensi a nata
Fra le vittorie, et a chi, o vada o stanzi.
Di trofei sempre e di trionfi ornata.
La vittoria abbia éeco, o dietro o inanzi.
Questa è un'altra Artemisia, che lodata
Fu di pietà verso il suo Mausolo; anzi
Tanto maggior, quanto è più assai belf o-
[pra.
Che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
19
Se Laodamia, se la moglier di Bruto,
S'Arria, s'Argia, s'Evadne, e s'altre molte
« circa e vicino a lui Maia e Dione », che
sono le madri di Mercurio e di Venere e
stanno per i pianeti di questo nome.
— 4. Che ya ecc. ; Le Stelle fìsse, se-
condo l'antica astronomia, stavano confìtte
e ferme nel loro proprio cielo e •si move-
vano insieme con esso, e i pianeti avevano
un moto loro proprio nella propria sfera,
al disotto delle stelle tìsse. Anche queste
avevano lume dal sole.
— s. ch'orna; che questa donna orna ecc.;
cioè: essa appare a noi come un altro sole.
18. 1. Vittoria ecc. Vittoria Colonna cele-
bre poetessa del Cinquecento (1490-1547);
figlia del famoso capitano Fabrizio e mo-
glie del non meno famoso Francesco mar-
chese di Pescara, presa di gran dolore per
la morte del marito, di lui cantò nella mag-
giore e miglior parte delle sue rime.
— 2. vada o stanzi; rimanga nella sua
famiglia o entri nell'altra, che l'accolse, si
trova sempre tra le vittorie. Accenna al
padre e al marito celebri guerrieri. E que-
sto pure credo significhi il dietro o inansi
del V. 4: dietro riguardando la sua fami-
glia, inansi riguardando l'ardire e l' inge-
gno militare, pieno di speranza, del suo
marito.
— 5. Artemisia, regina di Caria, che al
suo marito Mausolo inalzò un celebre mo-
numento, che fu una delle sette maraviglie
del mondo.
— 8. trarlo di sopra; trarlo dalla tomba
alla luce dell' immortalità e della gloria.
19. 1-2. Laodamia, si uccise perii dolore del
marito Protesilao, morto nella guerra di
Troia. — Porzia, figlia di Catone e moglie di
Bruto II si uccise per il dolore della morte di
Bruto. — Arria, essendo stalo il marito Peto
condannato a morte da Claudio Nerone per
una congiura, si feri a morte e porse al
marito il ferro stesso, perché s' uccidesse
500
ORLANDO FURIOSO
Meritar laude per aver volato,
Morti i mariti, esser con lor sepolte;
Quanto onore a Vittoria è più dovuto.
Che di Lete e del rio che nove volte [te,
L'ombre circonda, ha tratto il suo consor-
Malgrado de le Parche e de la Morte!
20
S'al fiero Achille invidia de la chiara
Meonia tromba il Macedonico ebbe;
Quanto, invitto Francesco di Pescara,
Maggiore a te, se vivesse or, l'avrebbe I
Che si casta mogliere e a te si cara
Canti l'eterno onor che ti si debbe,
E che per lei si '1 nome tuo rimbombe,
Che da bramar non hai più chiare trombe.
21
Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
Io n'ho desir, volessi porre in carte,
Ne direi lungamente; ma non tanto,
Ch' a dir non nerestasse anco gran parte:
E di Marfisa e dei compagni intanto
La bella istoria rimarria da parte,
La quale io vi promisi di seguire,
S'in questo Canto mi verreste a udire.
(42 d. C). — Argia andò cercando il corpo
di Polinice, morto nella guerra sotto Tebe,
per seppellirlo, e pianse poi il marito per
tutta la vita. — Evadne, moglie di Capaneo,
si gittò sul rogo, dove ardeva il corpo del
marito.
— 6. del rio ecc. lo Stige, che secondo
Virgilio {Georg. 4, 4S0; En. 6, 439) gira
nove volte attorno all'abitazione dei morti :
« novies circumfusa coercet». Cfr. e. xxxi,
96, 6, dove forse il plur. fosse a ciò si ri-
ferisce.
20. 1-2. S'al fiero A. ecc. «Giunto Ales-
sandro alla famosa tomba Del fero Achille
sospirando disse : O fortunato che si chiara
ti'omba (poesia d'Omero) Trovasti e chi di
te si alto scrisse » Petrarca, I, son. 135.
Questi versi, che hanno ispirato l'Ar., furono
ispirati al Petrarca dal racconto, che tro-
viamo di questo fatto in Plutarco {Vita di
Alessandro M.), e in Cicerone, che lo com-
pendia nell'orazione proArchia: «Alexan-
der cum in .Sigaeo ad Achillis tuinulum
adstitisset: O fortunate, inquit, adolescens,
qui tuae virtutis Homerum praeconem in-
veneris ■».
— 2. Meonia tromba. ; il cauto d' Omero
che era della Meonia. « Tromba traduce il
praeconeìn (banditore) di Cicerone. E la
tromba si dà alla musa epica» (Cardltci,
Comm. al son. del Petr.).
— 5. mogliere. Per la forma cfr. e. xviii,
53, n. 7.
21. s. Se... mi verreste; Regolarmente do-
vrebbe dire : ve mi foste venuti a udire.
Avverti però per questo e altri simili luo-
Ora essendo voi qui per ascoltarmi.
Et io per non mancar de la promessa.
Serberò a maggior ozio di provarmi
Ch'ogni laude di lei sia da me espressa;
Non perch'io creda bisognar miei carmi
A chi se ne fa copia da sé stessa;
Ma sol per satisfare a questo mio.
Che d'onorarla e di lodar, disio.
23 [etate
Donne, io conchiudo in somma, ch'ogni
Molte ha di voi degne d'istoria avute;
Ma per invidia di scrittori state
Non sete dopo morte conosciute:
Il che non più sarà, poi che voi fate
Per voi stesse immortai vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
Si sapria meglio ogni lor degno gesto.
24
Di Bradamante e di Marfisa dico,
Le cui vittoriose inclite prove
Di ritornare in luce m'affatico;
Ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch'io so, ben volentieri esplico;
Si perché ogni bell'opra si de', dove
Occulta sia, scoprir; si perché bramo
A voi, donne, aggradir, ch'onoro et amo.
25
Stava Ruggier, corn' io vi dissi, in atto
Di partirsi, et avea commiato preso,
E dall'arbore il brando già ritratto.
Che, come dianzi, non gli fu conteso;
ghi (XX, 31, 5) che sebbene, per lo più, si
usi il cong., il condizionale ha una speciale
ragione di essere. Mentre il congiuntivo
mette in stretto rapporto di dipendenza la
protasi e 1' apodosi, (Vi promisi che, se mi
foste venuti a udire avrei detto, altrimenti
no); il condizionale invece lascia quasi in-
dipendenti i due pensieri (io avrei detto in
ogni modo; e di ciò vi avvertii nel caso
che aveste voluto venire a udirmi). Uso ben
dififerente da quello notato al e. xlvi, 42, 1.
22. 2. m. de la prom., mancar quanto alla
liromessa. È conqjlemento di limitazione.
— 3-4. provarmi che ecc. ; provarmi a e-
sprimere ogni lode di lei. L'espressione è
resa dura non solo dal congiuntivo invece
dell' iulìnito (I, 38, n. 6), ma anche dalla
forma passiva.
— 0. se ne fa copia, se ne fa abbondanza;
fa, produce da sé stessa in suo van^a^'gio
abbondanza di carmi. Nel e. ix 13, 2, mer-
canti e corsari fan coiiia (producono ab-
bondanza) di donzelle nel loro paese.
— s. lodar, lodarla. Per 1' omissione del
pronome cfr. e i, 27, n. 7.
24. 5. esplico; Cosi Dante disse ì'epllco, e
supplico. Par. G, 91 ; 26, 94.
25. 4. non gli f. e; da Atlante, come av-
CANTO XXXVII
50i
Quando un gran pianto, che non lungo
Era lontan, lo fé' restar sospeso; [tratto
E con le donne a quella via si mosse,
Per aiutar, dove bisogno fosse.
26
Spingonsiinanzi evia piùchiaroil suon
Viene, e via più son le parole intese, [ne
Giunti ne la vallea, trovan tre donne
Che fan quel duolo, assai strane in arnese;
Che fin all'ombilico ha lor le gonne
Scorciate non so chi poco cortese :
E per non saper meglio elle celarsi,
Sedeano in terra, e non ardian levarsi.
27
Come quel figlio di Vulcan, che venne
Fuor de la polve senza madre in vita,
E Pallade nutrir fé' con solenne
Cura d'Aglauro al veder troppo ardita,
Sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
Su la quadriga da lui prima ordita;
Cosi quelle tre giovani le cose
Scerete lor tenean, sedendo, ascose.
venne nel e. xxxvi, 58. Ivi non è detto che
Atlante gli impedi di ritirare la spada, ma
si rileva dal contesto.
26. 1. suon ne. Cosi Dante usò in rima
per li e l'A. e. xxxiv, 49 pe?' le.
5-6. ha lor le g. score. Lo sfregio fatto
a UUania e alle sue compagne era in uso
nel medio evo; e tal crudeltà commise an-
che Alberico da Romano. Xel Bret Tristano
vede una donzella, che porta uno scudo
istoriato da recarsi alla regina del reame
di Logres da parte della donna del Lago.
Poco dopo la messaggera torna piangendo
e dice che un cavaliere le ha tolto lo scudo.
Tristano Ja conforta, iusegue il fellone e
l'uccide. Nella Tavola Rotonda poi, che
riproduce con variazioni questo episodio, è
detto che la donna tornò con le vesti ta-
gliate alla cintura. A queste fonti ha cer-
tamente attinto l'Ar.
27. \. Come q. f. ecc. Erittouio inventò
i cocchi per nascondere i suoi piedi di serpe.
Vulcano, tentando invano violentare Mi-
nerva, sparse in terra i segni delia sua vio-
lenza; da essi uaccpie Krittouio, proles xine
tnatre creata (Ovid. Met. x, 144). Il Fan-
ciullo fu dato da Minerva in cura ad Aglauro
col divieto d'aprire il cesto in che era chiuso.
— 1. d'Aglauro; da Aglauro ^v, 10, n. 5).
Aglauro infranse il divieto di Pallade, e
curiosa volle vedere i segreti di Erittonio
e perciò fu cambiata in pietra di paragone.
— 6. ordita, cominciata (lat. ordior) ; la
'luadriga ebbe principio da lui. Petrarca,
Tr. F., 2, 124: «Ma Nino onde ogni stoi'ia
umana è ordita (comincia) ».
— 7-8. le cose secreto lor ten. ; teneano
secreta le e. lor. Inversione dura.
28
Lo spettacolo enorme e disonesto
L'una e l'altra magnanima guerriera
Fé' del color che nei giardin di Pesto
Esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
Tosto le fu, eh' Ullania una d'esse era,
Ullania che da l'Isola Perduta
In Francia messaggiera era venuta r
29
E riconobbe non men l'altre due;
Che, dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n'andaron le parole sue
A quella de le tre, ch'ella piti onora;
E le dnmamla chi si iniquo fue,
E si di legge e di costumi fuora,
Che quei segreti agli occhi altrui riveli,
Che, quanto può, par che Natura celi.
30
Ullania che conosce Bradamante,
Non meno ch'alle insegne, alla favella.
Esser colei che pochi giorni inante
Avea gittati i tre gueiTier di sella;
Narra che ad un Castel poco distante
Una ria gente e di pietà ribella.
Oltre all'ingiuria di scorciarle i panni,
L'avea battuta, e fattol'altri danni.
.31
Né le sa dir che de lo scudo sia,
Né dei tre Re che per tanti paesi
Fatto le avean si lunga compagnia:
Non sa se morti, o sian restati presi;
E dice e' ha pigliata questa via.
Ancor ch'andare a pie molto le pesi.
Per richiamarsi de l'oltraggio a Carlo,
Sperando che non sia per tolerarlo.
32
Alle guerriere et a Ruggier, che meno
Non han pietosi i cor, ch'audaci e forti,
De' bei visi turbò 1' jier sereno
L'udire, e più il veder si gravi torti:
Et obliando ogn'altro affar che avieno,
E senza che li prieghi o che li esorti
La donna afflitta a far la sua vendetta,
Piglian la via verso quel luogo in fretta.
33
Di comune parer le sopraveste.
Mosse da gran bontà, s'aveano tratte,
Ch'a ricoprir le parti meno oneste
Di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol ch'Ullania peste
'28. 3. Pesto, città della Magna Grecia,
ora disfatta, della quale eran famose le rose.
— 4. da primavera, in primavera. V. e.
XI, 65, n. 2. ^
30. G. di pietà rib. V. e. IX, 13, n. 6.
31. 7. richiamarsi; lagnarsi, dolersi.
3"2. 3. l'aer; l'aspetto; la sembianza. È
d'uso frequente negli antichi, ma già nel
Cinquecento sa d'arcaico.
502
ORLANDO FURIOSO
Le strade a piè,ch'avea a piede anco fatte,
E se la leva in groppa del destriero;
L'altra Marfisa, l'altra il buon Ruggiero.
34
Ullania a Bradamante che la porta,
Mostra la via che va al Castel più dritta:
Bradamante all' incontro lei conforta,
Che la vendicherà di chi 1' ha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta
Sagliono un colle or a man manca or ritta;
E prima il sol fu dentro il mare ascoso.
Che volesser tra via prender riposo.
35
Trovaro una villetta che la schena
D'nn erto colle, aspro a salir, tenea;
Ov'ebbou buono albergo e buona cena.
Quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d'intorno, e quivi piena
Ogni parte di donne si vedea, [stuolo
Quai giovani, quai vecchie; e in tanto
Faccia non v'apparia d'uE uomo solo.
3fi
Non più a Giason di maraviglia denno,
Né agli Argonauti che venian con lui
Le donne che i mariti morir fenno
E i figli e i padri coi fratelli sui.
Si che per tutta l'isola di Lenno
Di viril faccia non ai vider dui;
Che Ruggier quivi, e con chiRuggier era
Maraviglia ebbe all'alloggiar la sera.
37
Fero ad Ullania et alle damigelle.
Che veuivan con lei, le due guerriere
La sera proveder di tre gonnelle,
34. 6. or a m. m. or ritta; avendo cioè
il colle ora a mano manca ora alla dritta.
K ciò è detto a indicare i giri che la torta
via faceva per rendere meno ripida la sa-
lita. Manritta e marritta dicesi ancora
l)er ììiano dritta, xxirte destra.
35. I. una villetta; un caseggiato, un
gruppo di case in aperta campagna.
36. 1. denno, dettero. V. e. xvii,63, il. 5.
— 3. Le donne ecc. Giasone, l'eroe Tes-
salo, che fu capo della spedizione degli Ar-
gonauti nella Colchide alla conquista del
vello d'oro, approdò all' isola di Leinno,
nella quale le donne, sdegnate contro i ma-
riti loro, che le trascuravano per attendere
alle guerre, uccisero tnlti gli uomini. Ri-
mase solo Toante, salvato dalla pietà della
figlia Isifile.
— 4. sui, loro.
— 7. Che; è correlativo di più del v. 1.
Avverti poi che regolarmente dovrebbe se-
guire il modo congiuntivo : che Rugger
maraviglia avesse. Cfr. Fohnaciari, Stnt.
p. 380.
37. 3. proveder ecc. Per il costrutto cfr.
e. V, 91, n. 3.
Se non cosi polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
Donne ch'abitan quivi, e vuol sapere
Ove gli uomini sian, ch'un non ne vede;
Et ella a lui questa risposta diede:
38
Questa che forse è maraviglia a voi.
Che tante donne senza uomini siamo,
È grave intollerabil pena a noi,
Che qui bandite misere viviamo.
E perché il duro esilio più ci annoi.
Padri, figli e mariti, che si amiamo,
Aspro e lungo divorzio da noi fanno,
Come piace al crudel nostro tiranno.
39
Da le sue terre, le quai son vicine
A noi due leghe, e dove noi siàn nate.
Qui ci ha mandato il barbaro in confine,
Prima dì mille scorni ingiuriate;
Et ha gli uomini nostri, e noi meschine
Di morte e d'ogni strazio minacciate.
Se quelli a noi verranno, o gli tìa detto
Che noi diàn lor, venendoci, ricetto.
40
Nimico è si costui del nostro nome,
Che non ci vuol più, ch'io vi dico, ap-
I presso,
Né eh' a noi venga alcun de' nostri, come
L'odor l'ammorbi del femineo sesso.
Già due volte l'onor de le lor chiome
S' hanno spogliato gli alberi e rimesso.
Da indi in qua che 'I rio Signor vaneggia
Li furor tanto: e non è chi '1 correggia;
41
Che '1 popol ha di lui quella paura
Che maggior aver può l'uom de la morte:
Ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
Una possanza fuor d'umana sorte.
— 4. n. COSI polite; non molto polite,
eleganti. Kd è esempio molto notevole, per-
ché in tutti (iiielli che si citano dai vocabol.
v' è un senso di maraviglia e tuono escla-
mativo, che qui manca affatto. Per esempio
nota la differenza con questo luogo del
Tasso, Ger. 1, 49: «Cosi vien sospiroso e
cosi porta Basse le ciglia e di mestizia
piene >s e con quel dell'Ariosto st. 47. 3.
40. 3. Né ch'a noi ecc. Rileva dal contesto
un vuol: né vuol ch'a noi ecc.
•— 6. S'h. spogliato. Quando il verbo usato
riflessivamente è transitivo ed ha il proprio
oggetto, si può usare anche in prosa l'au-
siliare avere invece di essere; ma di regola
si accorda il participio con l'oggetto. For-
naci ahi S. p. ir)9.
41. id. Che maggior ecc.; quella paura, die
un uomo può aver della morte, quando ne
teme moltissimo.
— 4. f. d'um. sorte, fuor della maniera
CANTO XXXVII
503
Il corpo suo di gigantea statura
È pili, che di cent'altri insieme, forte.
Né pur a noi sue suddite è molesto;
Ma fa alle strane ancor peggio di questo.
42
Se l'onor vostro, e queste tre vi sono
Punto care, ch'avete in compagnia.
Più vi sarà sicuro, utile e buono
Non gir pili inanzi, e trovar altra via.
Questa al Castel de l'uom di eh' io ragiono,
A provar mena la costuma ria [danno
Che v' ha posta il crudel con scorno e
Di donne e di guerrier che di là vanno.
43
Marganor il fellou (cosi si chiama
Il signore, il tiran di quel castello).
Del qual Nerone, o s'altri è ch'abbia fama
Di crudeltà, non fu più iniquo e fello,
Il sangue uman, ma '1 feminil più brama,
Che '1 lupo non lo brama de l'agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
Da lor ria sorte a quel castel condutte.
44
Perché quell'empio in tal furor venisse,
Volson le donne intendere e Ruggiero:
Pregar colei, eh' in cortesia seguisse.
Anzi che cominciasse il conto intero.
Fu il Signor del castel (la donna disse)
Sempre crudel, sempre inumano e fiero;
Ma tenne un tempo ilcormalignoascosto,
Né si lasciò conoscer cosi tosto:
45
Che mentre duo suoi figli erano vivi,
Molto diversi dai paterni stili,
Ch'amavan forestieri, et eran schivi
umana; di qualità sovrumana. V. e. viu,
75, n. 4.
i'2. 6. la costuma ria. V. e. XIX, 66, n. 6.
43. 1. Marganor. K nome preso dal Jìret
e dal Lancellot, ma in questi romanzi è un
prode e leale cavaliere.
— 2. il tiran; Troncamento insolito an-
che in poesia. V. e. xvi, 7, n. 4; xix, 51,
n. 8.
— 5-6. ma il fem. piri b. ecc. Osserva qui
la unione di due costrutti, fatta per mezzo
del più che serve per due confronti : brama
il sangue umano, e inii che V umano in ge-
nere il femminile in specie, più che il lupo
non brama il s. de l'ag. Ma questa unione
è fatta con tanta agilità, che appena s'av-
verte.
44. 4. il conto; il racconto. L' usano spe-
cialmente gli antichi del Dugento e Tre-
cento.
45. 2. d. p. stili, dallo stile, dal costume
paterno. Cosi usò stile nel e. xv, 90, 6.
Stile al plurale usò il Petrarca, II, son.
44: « Né dir d'amore in stili alti e ornati ».
— 3. forestieri; i for.
Di crudeltade e degli altri atti vili;
Quivi le cortesie fiorivan, quivi
I bei costumi e l'opere gentili:
Che '1 padre mai, quantunque avaro fosse,
Da quel che lor piacea non li rimosse,
46
Le donne e i cavallier che questa via
Facean talor, venian si ben raccolti,
Che si partian de l'alta cortesia
Dei duo germani inamorati molti.
Ameudui questi di cavalleria
Parimente i santi ordini avean tolti:
diandro l'un, l'altro Tanacro detto,
Gagliardi, arditi, e di reale aspetto.
47
Et eran veramente, e sarian stati
Sempre di laude degni e d'ogni onore,
S' in preda non si fossino si dati
A quel desir che nominiamo amore;
Per cui dal buon sentier fur traviati
Al labirinto et al camin d'errore;
E ciò che mai di buono aveano fatto,
Restò contaminato e brutto a un tratto.
48
Capitò quivi un cavallier di corte
Del Greco Imperator, che seco avea
Una sua donna di maniere accorte,
46. 2. raccolti, accolti. V. e. vii, 9, u. 3.
— 8. Gagliardi, arditi. Il Morali stampa
per errore : gagliardi e arditi. La e manca
nell'ediz, del 1532.
47. 3. SI dati; dati tanto. È espressione
ellittica comunissima ancora nell' uso: com-
pleta : si dati come veramente si dettero.
E anche oggi diremmo : sarebbe più ricco
se non fosse tanto generoso: e anche: sa-
rebbe più ricco se non fosse cosi (tanto)
generoso (com' è).
— 6. al camin d'errore, al cammino del-
l'errore; alla via dell'errore.
48. 1. Capitò ecc. Questa storia, come
pure il principio della storia di Tanacro,
sono variante d' un tema comunissimo nei
romanzi del ciclo Brettone. Cosi nel Bret
Tristano ed Isotta capitano in una torre,
il cui padrone ha due figli. Uno di essi s'in-
namora d' Isotta, vuol rapirla a Tristano e
si apposta sul suo passaggio, ma è ucciso.
Veda il lettore i nuovi elementi Ariosteschi.
— 3. di maniere accorte. Cosi nel C. iv,
72, 2. 11 Carducci commentando V accorte-
parole del Petrarca, canz. « si è debile il
filo » dice: — Accorte ha oggidì senso noti
cattivo, ma che pare alieno da cose d'amo-
i-e, ove non c'entri un po' di civetteria. Ma
il Petrarca 1' ha spesso in senso gentile e
amoroso, né solo egli : l'autore delVIntellig.
in cosa, ove furberia non entra, dice: « L'id-
dìi chiamò assai pietosamente Con sue pa-
role assai savie ed accorte ». Vocabolaristi
504
ORLANDO FURIOSO
Bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s'inamorò si forte,
Ctie morir, non l'avendo, gli parea:
Gli parea che dovesse, alla partita
Di lei, partire insieme la sua vita.
49
■ E perché i prieghi non v'avriano loco,
Di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal Castel lontano un poco.
Ove passar dovean, cheto s'ascose.
L'usata audacia e l'amoroso faoco
Non gli lasciò pensar troppo le cose:
Si che vedendo il cavallier venire,
L'andò lancia per lancia ad assalire.
50
Al primo incontro credea porlo interra.
Portar la donna e la vittoria in dietro;
Ma '1 cavallier, che mastro era di guerra,
L'osbergo gli spezzò, come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra.
Che lo fé' riportar sopra un feretro;
E ritrovandol morto, con gran pianto
Gli die sepulcro agli antiqui avi a canto.
51
Né pili però né manco si contese
L'albergo e l'accoglienza a questo e a
[quello.
Perché non men Tanacro era cortese.
Né meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese
Con la moglie un Baron venne al castello,
A maraviglia egli gagliardo, et ella,
Quanto si possa dir, leggiadra e bella;
52
Né men che bella, onesta e valoro.sa,
E degna veramente d'ogni loda :
Il cavallier, di stirpe generosa.
Di tanto ardir, quanto più d'altri s'oda.
E ben convieiisi a tal valor, che cosa
o altri nulla ci dicono che faccia al caso.
Da questo luogo di Dante, Conv. iv, 25,
« Dicere che la nobile natura lo suo corpo
abbellisca e faccia compio e accorto, non
è altro dire se non che l'acconcia a perfe-
zione d'ordine », non poti'ebbe arguirsi che
accorto avesse anche il senso del decens
lat.? —
— 5. in lei s' in. a Innamorarsi in uno
è vivo ancora ed è bello, perché dice T in-
tensità dell'affetto» (Tommaseo).
49. 8. lancia per 1.; lancia contro lancia;
avendo lancia contro lancia. Cosi nel canto
XXXI, 91, 5, «brando per brando» e nel
e. I, 61, 8, abbiamo in significato simile, ma
non eguale, « testa per testa ».
rri. 2. loda; I^r la forma cfr. e xv, 2,
n. 1.
— 1. qnanto più d'a. s'o.; quanto altri,
di cui più si senta parlare. È il medesimo
costrutto notato alla st. 41, 2.
Di tanto prezzo e si eccellente goda.
Olindro il cavallier da Lungavilla;
La donna nominata era Drusilla.
53
Non men di questa il giovene Tanacrc
Arse, che '1 suo fratel di quella ardesse.
Che gli fé' gustar fine acerbo et acro
Del desiderio ingiusto eh' in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
E santo ospizio ogni ragione elesse.
Pili tosto che patir che 'i duro e forte
Nuovo desir lo conducesse a morte.
54
Ma perch'aveadinanzi agli occhi il tema
Del suo fratel che n'era stato morto.
Pensa di tórla in guisa, che non tema
Ch' Olindro s'abbia a vendicar del torto.
Tosto s'estingue in lui, non pur si scema
Quella virtù su che solca star sorto;
Che non lo sommergean dei vizii l'acque.
De le quai sempre al fondo il padre giac-
55 [que
Con gran silenzio fece quella notte
Seco raccor da vent'uomini armati ;
E lontan dal castel fra certe grotte.
Che si trovan tra via, messe gli aguati.
Quivi ad Olindro il di le strade rotte
E chiusi i passi fur da tutti i lati;
E ben che fé' lunga difesa e molta,
Pur la moglie e la vita gli fu tolta.
56
Ucciso Olindro, ne menò captiva
La bella donna, addolorata in guisa,
53. 3. gli fé g. ecc.; pose un termine pre-
maturo e crudele al desiderio ingiusto, che
egli concepì per lei ; ossia : fini il desiderio
con una morte crudele e prematura.
54. 1. il tèma; « La parola tèma significa
soggetto, argomento. Pare che l' Ariosto
mirasse al senso cTOroscopo o Destino, in
cui fu presa anche delta voce, volendo in-
dicare che Tanacro avea davanti agli occhi
il destino del fratello ucciso; oppure la
prese nel senso di lesione, esempio » (Mo-
llili). Cqsì Suppositi, Atto V, se. 0: «questo
mi fia tèma e regola ». Già il Monti avvi-
cinò i due esempi.
— 6. star sorto, slare ancorato contro •
le burrasche del vizio. Per il significato cfr.
e. IV, 57, 11. .5.
— 7. Che; cosi che. V. e. i, 57, u. 7.
55. 2. da venti, circa venti.
56. 1. Ucciso ecc. Questa seconda parte
del racconto è un rifacimento e un amplia*
mento di ciò che, sulle tracce di Plutarco
(fnlorno alla virtù delle donne), dicono il
Barbaro (De re uxoria, 2, 1) e il Castiglione
nel Cortegiano (1. 3.). Il Barbaro racconta
che Sinalo e Siuorige, signori di Gallia, era-
no intimi amici, binato prese in moglie Ca-
CANTO XXXVII
505
Ch' a patto alcun restar non volea viva,
E di grazia chiedea d'essere uccisa.
Per morir si gittò giù d'una riva
Che vi trovò sopra un vallone assisa;
E non potè morir, ma con la testa
Botta rimase, e tutta fiacca e pesta.
57
Altrimente Tanacro riportarla '
A casa non potè che s'una bara.
Fece con diligenzia medicarla;
Che perder non volea preda si cara.
E mentre che s'indugia a risanarla,
Di celebrar le nozze si prepara;
Ch'aver si bella donna e si pudica
Debbe nome di moglie, e non d'amica.
58 [brama,
Non pensa altro Tanacro, altro non
D'altro non cura, e d'altro mai non parla.
Si vede averla offesa e se ne chiama
In colpa, e ciò che può, fa d'emendarla.
* Ma tutto è invano: quanto egli più l'ama,
^Quanto più s'affatica di placarla;
Tant'ella odia più lui, tanto è più forte
Tanto è più ferma in voler porlo a morte.
59
Ma non però quest'odio cosi ammorza
La conoscenza in lei, che non comprenda
Che, se vuol far quanto disegna, è forza
Che simuli, et occulte insidie tend,a;
E che '1 desir sotto contraria scorza
(Il quale è sol, come Tanacro offenda)
nia, Sinorige se ne innamorò, uccise Sinato
e sposò la donna; la quale si Anse lieta di
queste nozze per vendicarsi. Andati nel
tempio di Diana per consacrare il matri-
monio, Cania mesce in una fiala del veleno,
ne beve lei e ne dà a bere a Sinorige. Cania
morente si rivolge a Diana esprimendo la
sua gioia per la vendetta. Nel Cortegiano
si rivolge anche a Sinato, pregandolo di
accoglierla seco.
— 5. riva, ripa. Cosi Dante. Inf. 17, 9:
« Ma in sulla riva non trasse la coda ». V.
e. XIII, 46, n. 7.
— 6. assisa; posta. Cosi nel xxxii, 3, 8;
XLiv, 73, 3. — Ti, in quel luogo, dove av-
venne il fatto.
58. 3. Si vede av. ; vede sé averla; vede
che egli 1' ha off.
— 4. fa d' emendarla. Intendo : fa ciò che
può, da emendarla; in modo da emendarla.
L'Ar. apostrofa spessissimo il da; cfr. e. v,
10, n. 5. Ma potrebbe anche esservi la fu-
sione di due costrutti (ii, (ì; xvi, 46, n. 2): fa
ciò che può per emendarla — fa di emen-
darla. Fare per fare iti modo è comune e
si costruisce appunto con di.
59. 5. sotto contr. se ; sotto apparenza
diversa dal vero; desiderio d'amore non
d'offesa.
— 6. Il quale ; Si riferisce a desir. Nota
Veder gli faccia; e che si mostri tolta
Dal primo amore, e tutto a lui rivolta.
60
Simula il viso pace; ma vendetta
Chiama il cor dentro, e ad altro non at-
Molte cose rivolge, alcune accetta, [tende.
Altre ne lascia, et altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta.
Avrà il suo intento; e quivi al fin s'appren-
E dove meglio può morire, o quando, [de.
Che '1 suo caro marito vendicando ?
61
Ella si mostra tutta lieta, e finge
Di queste nozze aver sommo disio;
E ciò che può indugiarle, a dietro spinge,
Non ch'ella mostri averne il cor restio.
Più de l'altre s'adorna e si dipinge:
il forzato distacco. — come T. off. Penso che
sia propos. predicativa, e il come sia per
che: il quale è solo che Tan. offenda, di
offender T. (V. e. i, 38, n. 6). Regolarmente
come per die si usa coi verbi dire, dichia-
rare, mostrare, conoscere, comprendere
e simili. Qui dunque avremmo un uso sin-
golare. Altrimenti bisogna supporvi una
brachilogia: il quale è solo di trovar modo
come T. off.
— 8. e tutto. Cosi l'ediz. del 1532 e cosi
le pili antiche e le migliori. rwMo dunque
è avverbio e vale interamente. Cosi, ma
in modo meno spiccato, il Boccaccio Fi-
locol. 2, 105, citato dal Gherardini : « Ac-
ciocché non paia che io voglia tutto ogni
cosa fare a mia maniera ».
60. 3. rivolge, seco stessa, nell'animo.
— 4. in dubbio appende, sospende, lascia
in dubbio. È immagine non chiara, ed è
locuzione non citata dai vocabolari.
— 5. a morir si metta; a morir si di-
sponga. È maniera ardita e forse nuova,
ma che ha riscontro in altre simili, come
mettersi al brutto, mettersi al buono, al
cattivo ecc.
— 6. quivi, a ciò. Non trovo nei voca-
bolari esempio di quivi riferito a cosa,
invece che a luogo: questo quindi è molto
notevole.
— 7. E dove... 0 quando; in quale altro
luogo e in quale altro tempo potrà morir
meglio che qui, e ora che può far vendetta
del marito?
61. 4. Non ch'ella ecc.; non solamente
ella non mostra d'avere il e. restio di que-
sto ; ma spinge addietro ciò che può ind.
V. e. VII, 62, n. I. Restio di è costruzione
usata dall'Ar. nel e. xxxiv, 27. .E sarà più
semplice interpretare cosi, che dare al ne
il significato di a ciò.
— 5. Pili de l'altre spose novelle : si abbi-
glia più di quanto sogliono le spose novelle.
506
ORLANDO FURIOSO
Olindro al tutto par messo in oblio;
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
Come ne la sua patria far si suole.
62
Non era però ver che questa usanza
Che dir volea, ne la sua patria fosse:
Ma, perché in lei pensier mai non avanza,
Che spender possa altrove, imaginosse
Una bugia, la qual le die speranza
Ui far morir chi '1 suo signor percosse:
E disse di voler le nozze a guisa
De la sua patria; e '1 modo gli devisa,
63
La vedovella che marito prende.
Deve, prima (dicea) eh' a lui s'appresse,
Placar l'alma del morto ch'ella offende,
Facendo celebrargli offici e messe,
In remissiou de le passate mende.
Nel tempio ove di quel son l'ossa messe;
E dato fin ch'ai sacrificio sia,
Alla sposa l'annel lo sposo dia:
64
Ma ch'abbia in questo mezzo il sacer-
Sul vino ivi portato a tale effetto [dote
Appropriate orazion devote,
Sempre il liquor benedicendo, detto;
Indi che '1 fiasco in una coppa vote,
E dia alli sposi il vino benedetto:
Ci. 3. Ma perché ecc. Ma perché ella era
sempre e tutta occupata solo in quest' ar-
gomento e in questi pensieri, le riuscì in-
ventare una bugia ecc. Questo è detto per
dimostrare che l'amore intenso la rese in-
dustre e acuta. — avanza. È metafora tolta
dall'uso del danaro, come puoi vedere dal
seguente spendere: non le avanza mai un
pensiero da spendere per altro clie per Olin-
dro; per ciò lungamente pensando riusci
a trovare un' opportuna bugia.
— 8. devisa, divisa, dichiara. V. e. xxxvi,
83, 5.
63. 7. dato fin che... sìa; Più regolarmen-
te: dato che sia line al sacntizio. È uso
comunissimo, nella nostra lingua, nelleprop.
temporali interporre il cìie fra il participio
passato e l'ausiliare (essere o avere). V.
1<"0RNAC!AU1, S. p. 370.
— 8. dia. O è imperativo che vale deve
dare; o bisogna rilevare dal precedente
(/^ue del v. 2 un è costume, bisogna o si-
mili. Quantunque più sem|)lice la prima in-
terpetrazione, credo la seconda più confa-
cente allo stile dell'Ar. Dicasi lo stesso dei
congiuntivi della st. seguente.
64. 2. a tale effetto, per tal fine; cioè
perché vi sian dette sopra le rituali pre-
ghiere.
— 4. Sempre il 1. bened., sempre, durante
la recita delle orazioni, deve benedirlo con
segni di croce o con l'acqua santa.
Ma portare alla sposa il vino tocca,
Et esser prima a porvi su la bocca.
65
Tanacro, che non mira quanto importe
Ch'ella le nozze alla sua usanza faccia,
Le dice: Pur che '1 termine si scórte
D'essere insieme, in questo si compiaccia.
Né s'avvede il meschin ch'essa la morte
D' Olindro vendicar cosi procaccia,
E si la voglia ha in uno oggetto intensa.
Che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
66
Avea seco Drusilla una sua vecchia,
Che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all'orecchia.
Si che non potè udire uomo di casa:
Un subitano tosco m'apparecchia,
Qual so che sai comporre, e me lo invasa;
C ho trovato la via di vita torre
Il traditor figliuol di Marganorre.
67
E me so come, e te salvar non meno:
Ma differisco a dirtelo più ad agio.
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
j Et acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Cundia un fiasco pieno
I Trovò da por con quel succo malvagio,
j E lo serbò pel giorno de le nozze;
I Ch'ornai tutte l' indugie erano mozze.
65. 1. non mira; non scorge, non riesce
a penetrare. È simile, non uguale a quel
di Dante, Inf. 9, 62: « Mirate la dottrina che
s'asconde Sotto il velame delli versi strani ».
— quanto importe, che importanza abbia
per lui.
— 7. E 81 ecc. Ed ha la volontà cosi fis-
samente rivolta (intensa) in un solo og-
getto, ad una sola cosa. Intenso l'A. usò
in questo signilicato pur nella Sat. 1, 186:
■« Non aver se non qui la voglia intensa ».
E il Petrarca I, son. 199 : « In quel bel viso ..
Fermi eran gli occhi desiosi e 'ntensi ».
Purei Latini dal verbo intendo ebbero i
due participi inte>itus e iìitensus. — I versi
7 e 8 possono riferirsi ugualmente alla sposa
e a Tanacro: nell'una la volontà sarebbe'
intenta solo alla vendetta, nell' altro solo
al possesso della donna: e l'uno e l'altra
egualmente hanno 1' anima occupata d' un
solo pensiero: cfr. st. 58, 1-2; 62, 3-4.
66. 5. subitano, che operi subito. Cosi usò
subitano veleno il Firenzuola, As. 294.
— 6. me lo invasa; mettimelo in un vaso.
V. e XXIX, 72, 11. 5.
— 7. la via di vita t. ; manca un di ; la via
di torre di vita. V. e. n, 72, n. 3.
67. 6. Trovò. Il soggetto è la sposa; ma
bisogna rilevarlo dal contesto. Per la sin-
tassi dovi-ebb' essere sempre la vecchia.
— 8. indngie; indugi. V. e. xn, 40, n. 4.
CANTO XXXVII
507
fi8
Lo statuito giorno al tempio venne,
Di gemme ornata e di leggiadre gonne;
Ove d'Olindro, come gli convenne,
Fatto avea l'arca alzar su due colonne.
Quivi l'officio si cantò solenne:
Trasseno a udirlo tutti, uomini e donne;
E lieto Marganor più de l'usato,
Venne col figlio e con gli amici a lato.
60
Tosto ch'ai fin le sante esequie foro,
E fu col tosco il vino benedetto,
Il sacerdote in una coppa d'oro
Lo versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
.Si conveniva e potea far l'effetto:
Poi die allo sposo con viso giocondo
Il nappo; e quel gli fé' apparire il fondo.
70
Renduto il nappo al sacerdote, lieto
Per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
In lei si cangia e quella gran bonaccia.
Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto.
Ogni indugio veniva mozzo, tolto via dalla
premura di Tauacro.
68. 3. come gli convenne. Nessun commen-
tatore dice una parola; ma è luogo non chia-
ro. Intanto il £/;ì, quantunque potrebbe anche
riferirsi alla donna (xi, 37, .óì, dovremo ri-
ferirlo a un maschile, se il senso io per-
mette: dunque o a Olindro o a Tanacro.
Riferito a OUndro sarà un perfetto storico,
come abbiamo nel e. xxvii, 52, 2 (Qual si
convenne a donna ed a guerriera), e iu-
tendei'emo : la donna avea fatto alzar Parca
d' Olindro sopra due colonne, come a lui
conveniva, in modo a lui conveniente, de-
coroso. Ricordando l'amore delI'Ar. per gli
arcaismi potremmo anche intendere: come
la donna a lui in suo cuore promise per
onorarlo e vendicarlo insieme. GUittonk,
Rime, 1, 67: « Del gran dolcior, che al boiio
ha Dio convento {convenuto, promesso) ».
Riferendolo a Tanacro, intenderemo: dove
Tanacro avea fatto alzar s. d. e. V arca d'O.
come gli fu necessario fare per compiacere
la sposa. Questa sarebbe T interpretazione
più confacente al contesto; poiché dar tale
ordine, a lui più che alla futura sposa si
conveniva. Farebbe forse ditlicoltà supplire
il soggetto? -Hai vicino il raffronto. Nella
st. precedente il trovò è nelle medesime
condizioni; e lo stesso vedrai nel e. xx, 108,
7. — Se intendi il gli per le ne leverai un
senso meno chi;\ro e meno conveniente.
— 6. Trasseno, Trassero. V. e. vii, 63,
n. 8.
69. 5. q. al s. decoro ecc.; ne bevve poco
come conviene al decoro di una donna, ma
tanto quanto facesse l'effetto.
E par ch'arda negli occhi e ne la faccia;
E con voce terribile e incomposta
Gli grida: Traditor, da me ti scosta.
71
Tu dunque avrai da me solazzo e gioia,
Io lagrime da te, martiri e guai ?
10 vo' per le mie man ch'ora tu muoia:
(Questo è stato venen, se tu noi sai.
Ben mi duol e' hai troppo onorato boia.
Che troppo lieve e facil morte fai;
Che mani e pene io non so si nefande.
Che fosson pari al tuo peccato grande.
72
Mi duol di non vedere in questa morte
11 sacrificio mio tutto perfetto:
Che s'io '1 poteva far di quella sorte
Ch'era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
Riguardi al buon volere, e l'abbia accetto;
Che non potendo, come avrei voluto,
10 t' ho fatto morir come ho potuto.
73
E la punizion che qui, secondo
11 desiderio mio, non posso darti,
Spero l'anima tua ne l'altro mondo
Veder patire; et io starò a mirarti.
Poi disse, alzando con viso giocondo
I turbidi occhi alle superne parti :
Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
Col bnon voler de la tua moglie accetta;
74
Et impetra per me dal Signor nostro
Grazia, ch'in Paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
Regno anima non vien, di' ch'io l'ho meco;
Che di questo empio e scelerato mostro
Le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
Spenger si brutte e abominose pesti?
70. 7. incomposta: Si disse spesso della
voce per indicare eh' è fuori dell' ordinario,
sia per forza che per asprezza.
71. 5. t. 0. boia; la donna stessa; {boia
dal gr. brìeia, aggett. neutr. plur.; stringhe
di cuoio bovino da stringere, per punizione,
il collo agli schiavi).
— 6. Che; È dipendente da mi duol; e
cosi credo pure del che del v. seguente. La
ripetizione da movimento e passione a que-
sto luogo.
72. 2. tutto perfetto; fatto cioè con quella
crudeltà, che conveniva a te ed era mio de-
siderio.
73. 4. Veder patire. Ha per complemento,
diretto la punizione del v. l.
— S. Col b. voler ecc. ; accetta il sacri-
fizio qual è, ed anche il buon volere di tua
moglie che fosse ancor più crudele.
74. 6. 1. spoglie op. V. e. xiii, 3, n. 6.
— 7. ohe, quali. V. e. xiii, 3, n. 7.
508
ORLANDO FURIOSO
75
Fini il parlare insieme con la vita;
E morta anco parea lieta nel volto
D'aver la crudeltà cosi punita
Di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
Fu da lo spirto di Tanacro sciolto.
Fu prevenuta, credo; cli'eft'etto ebbe
Prima il veneno in lui, perché più bebbe.
7G
Marganor che cader vede il figliuolo,
E poi restar ne le sue braccia estinto,
Fu per morir con lui, dal grave duolo
Ch'alia sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe a un tempo, or si ritrova solo:
Due temine a quel termine 1' han spinto.
La morte a l'un da l'una fu causata;
E l'altra all'altro di sua man l'ha data.
77
Amor, pietà, sdegno, dolore et ira.
Disio di morte e di vendetta insieme
Queir infelice et orbo padre aggira.
Che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
Che di sua vita ha chiuse l'ore estreipe;
E come il punge e sferza l'odio ardente,
Cerca offendere il corpo che non sente.
78
Qual serpe che ne l'asta ch'alia sabbia
La tenga fissa, indarno i denti metta;
O qual mastin ch'ai ciottolo che gli abbia
Gittato il viandante, corra in fretta,
E morda in vano con stizza e con rabbia,
Né se ne voglia andar senza vendetta;
Tal Marganor d'ogni mastin, d'ogni angue
Via più crudel,fa centra il corpo esangue.
79
E poi che per stracciarlo e farne scem-
Non si sfoga il fellon né disacerba, jpio
Vien fra le donne di che è pieno il tempio,
Né più l'una de l'altra ci riserba;
Ma di noi fa col brando crudo et empio
Quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, eh' in un momento
Trenta n'uccise, e in- feri ben cento.
Egli da la sua gente è si temuto,
Ch'uomo non fu ch'ardisse alzar la testa.
76. 4. alla sprov.; improvvisamente.
77. 1. sdegno... ira; lo sdegno accenna al
disitrezzo della persona o della cosa; l'ira
è impeto di breve furore.
— 5. mira, vede. V. e. xii, S, n. 8.
— 7. come, poiché. V. e. vi, 21, n. 7.
78. 7. Tal, cosi. V. e. XLV, 40, 1.
7!). 1. per str.; per quanto la stracci. V.
e. XV, 69, n. 6.
— 4. ci riserba; ci risparmia. Villani,
12, 42: « Xou riserbando dignità» e Pucfi,
Gentil. : « Chiusi ed orti e Xepi non riserbo ».
Fuggon le donne col popol minuto
Fuor de la chiesa, e chi può uscir, non re-
Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto [sta.
Dagli amici con prieghi e forza onesta,
E lasciando ogni cosa in pianto al basso.
Fatto entrar ne la ròcca in cima al sasso
81
E tuttavia la colera durando.
Di cacciar tutte per partito prese ;
Poi che gli amici e '1 popolo pregando.
Che non ci uccise a fatto, gli contese :
E quel medesmo di fé' andare un bando,
Che tutte gli sgombrassimo il paese;
E darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al Castel più s'avvicine !
82
Da te mogli cosi furo i mariti.
Da le madri cosi i figli divisi.
S'alcuni sono a noi venire arditi,
Noi sappia già chi Marganor n'avvisi;
Che di multe gravissime puniti
N' ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
Di cui peggior non s'ode né si legge.
83
Ogni donna che trovin ne la valle,
La legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
Che percuotan con vimini alle spalle,
E la faccian sgombrar queste contrade:
Ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
Quel che Natura asconde et Onestade;
E s'alcuna vi va ch'armata scorta
Abbia di cavailier, vi resta morta.
80. 6. f. onesta; rispettosa. Ricorda il
■parlando onesto di Dante, Inf., e. 10, 23.
— 8. Fatto entrar; 10 retto dal fa del v.
5; ma si deve rilevare dal contesto un nuo-
vo soggetto egli. È un ardimento anche più
notevole di quello rilevato alle st. 67, 6;
81. 4. a fatto; tutte quante. Generalmente
a fatto significa senza scelta e distinzione.
Riferito a numero, come qui, non ha nei
vocabolari esempil^en chiari. — gli conteac.
Per il singolare cfr. e. ix, 82, n. 8. Ma qui
pili che un nuovo esempio da aggiungere
a quelli, è forse da vedervi l'azione princi-
pale di popolo, che ha fatto dimenticare
gli amici.
— 5. andare un bando; pubblicarsi un
bando, un avviso. K modo molto amato da-
gli antichi. Sacchetti, 1, 288: « Per alcun
caso convenne andare un bando ».
— 7. le confine, i conlìni. V. e. xxxv,
62, n. 5.
82. 3. venire, di venire.
— 5. multe; Qui forse vale pene. V. e.
XXIII, 3, n. 4.
83. 2. vi cade; vi capita per sua sventura.
È significato ancor vivo e bello.
CANTO XXXVII
509
84
Quelle e' hanno per scorta cavallieri,
Son da questo nimico di pietate,
Come vittime, tratte ai cimiteri
Dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
E poi caccia in prigion chi l'ha guidate:
E Io può far; che sempre notte e giorno
Si trova più di mille uomini intorno.
85
E dir di più vi voglio ancora, ch'esso,
S'alcun ne lascia, vuol che prima giuri
Su l'ostia sacra, che '1 femineo sesso
In odio avrà, fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
Dunque vi pare, ite a veder quei muri
Ove alberga il fellone, e fate prova
S' in lui più forza o crudeltà si trova.
86
Cosi dicendo, le guerriere mosse
Prima a pietade, e poscia a tanto sdegno.
Che se, com'era notte, giorno fosse,
Sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
E tosto che l'Aurora fece segno
Che dar dovesse al sol loco ogni stella,
Kipigliò l'arme e si rimesse in sella.
87
Già sendo in atto di partir s'udirò
Le strade risonar dietro le spalle
D'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
Fece a tutti voltar giù ne la valle:
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
Di mano, andar per uno istretto calle
Vider da forse venti armati in schiera,
Di che parte in arcion, parte a pied'era;
88
E che traean con lor sopra un cavallo
1 Donna ch'ai viso aver parca molt'anni,
] A guisa che si mena un che per fallo
; A fuoco 0 a ceppo o a laccio si condanni:
j La qual fu, non ostante l' intervallo,
j Tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
Esser la cameriera di Drusilla:
89
La cameriera che con lei fu presa
Dal rapace Tanacro, come ho detto,
Et a chi fu di poi data l' impresa
Dì quel venen che fé' '1 crudele effetto.
Non era entrata ella con l'altre in chie.'<a;
Che di quel che segui stava in sospetto :
Anzi in quel tempo de la villa uscita.
Ove esser sperò salva, era fuggita.
90
Avuto Marganor poi di lei spia.
La qual s'era ridotta in Ostericche,
Non ha cessato mai di cercar via
Come in man l'abbia, acciò l'abbruci o
E finalmente l'Avarizia ria, [impicche:
Mossa da doni e da proferte ricche.
Ha fatto ch'un Baron, ch'assicurata
L'avea iu sua terra, a Marganor l'ha data:
91
E mandata glie 1' ha fin a Costanza
Sopra un somier, come la merce s'usa,
Legata e stretta, e toltole possanza
Di far parole, e in una cassa chiusa:
Onde poi questa gente l' ha ad istanza
De l'uom ch'ogni pietade bada sé esclusa,
Quivi condotta con diseguo ch'abbia
L'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
92
Come il gran fiume che di Vèsulo esce,
Quanto più inanzi e versoilmardiscende,
E che con lui Lambra e Ticin si mesce,
84. 3, cimiteri, tombe. V. e. ni, 12, n. 1.
85. 6. vi pare, vi par bene, vi pare op-
portuno. Parere come i corrispondenti ver-
bi latini e greci, pigliano talvolta questo
significato: Dante, Inf. 16, 90: «Perché al
maestro parve di partirsi ». Nota che pure
il costrutto è latino: si vobis videtur per-
dere.
86. 3. fosse; fosse stato. È il solito pas-
saggio da un tempo a un altro, che ab-
biamo tante volte notato. V. e. i, 81, n. 3.
87. 1. 8' udirò; udirò a sé; udirono riso-
nare, dietro le loro spalle, le strade ecc.
— 5-6. un tiro di mano. Come si dice un
tiro di schioppo, cosi si disse un tiro di
mano per indicare ciò che più completa-
mente Dante disse, Purg. 3, 69: « Quanto
un buon gittator trarrla con mano»; e
l'Ar. Il, 47, 8: «Quanto in due volte si può
Irar con mano ».
— 7. da f. venti, circa forse venti. V. e.
xiii, 32, a. 7.
88. 3. A guisa che; nel modo che, come.
Dante, Conv. 215; « La divina virtù a guisa
che discende nell'angiolo discende iu lei ».
— 7. villa; V. st. 35, n. 1.
S9. 3. a chi, a cui.
— 6. Che; Forse è relativo di ella del v.
precedente.
90. 1. spia; indizio. V. e. vir, 31, n. 8.
— 2. Osterfcche. Daxtk Inf. 32, 26, Oste-
ric. Tedesco Oesterreic/i, Austria.
91. 3-4. e toltole e in u. e. chiusa. È
un' endiadi : e toltole possanza di far pa-
role chiudendola perciò in una cassa.
92. 1. Vèsulo; monte Veso, Monviso, latin.
Vesidus. 11 fiume è il Po.
— 3. E che e. lui ecc. Cosi spiegherei
questo anacoluto: dopo il v. 2 il Poeta, tra-
scinato dal quanto, che dà all'orecchio
r illusione d' un qtiando, continua come se
avesse detto: quando più innanzi e verso il
mar discende e quando (cfr. e. iv, 60, n. 5)
con lui il Lambro e il Ticino si m.
510
ORLANDO FURIOSO
Et Adda e gli altri onde tributo prende,
Tanto più altiero e impetiioso cresce;
Cosi Ruggier, quante più colpe intende
Ui Marganor, cosi le due guerriere
Se gli fan contra più sdegnose e fiere.
93
Elle fur d'odio, elle fur d' ira tanta
Contra il crude], per tante colpe, accese,
Che di punirlo, mal grado di quanta
Gente egli avea, conclusìon si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
Pena lor parve e indegna a tante offese;
Et era meglio fargliela sentire,
Fra strazio prolungandola e martire.
94
Ma prima liberar la Donna è onesto.
Che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
Fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
Uno incontro più acerbo né più forte;
Si che hau di grazia di lasciar gli scudi
E la Donna e l'arnese, e fuggir nudi:
93. 3. mal grado ecc.; a dispetto di q. g.
E diverso da quello del e. xxvii, 17, 7.
— 4. conci, si prese; si concluse. Comu-
uem. fare conclusione, venire a conci.
L'Ar. forse ebbe in mente ■prendere una
risoluzione; di qui il nuovo modo.
— 5. tr. santa; tr. mite. Come l'Ariosto
potè usarlo in questo senso? Forse intese
dire: una pena cosi mite, quale, non gli
uomini comuni, ma i santi, sempre pronti
al perdono, gli avrebbero data. — O forse
un supplizio cosi mite, che, in confronto a
quello che Marg. meritava, sarebbe conve-
nuto a un santo.
— 6. indegna a t. off.; sproporzionata a
t. off. Nel e. XXVI, 97, 2, abbiamo indegna
a un uomo forte per sconveniente a un
u. f. Del primo significato non fanno parola
i vocabolari: ed è sfuggito anche alla N.
Crusca.
— 7-8. Et era ecc. « Sentimenti comuni
al medio evo quando la morte pareva poco
per i colpevoli, se non era aggravata con
strazi raffinati » (Casella).
94. 1. la Donna, di cui nella st. 88.
— 2. birri; Vroim&meniQ sgìierri di po-
lizia; (gr. pìjrsùs, rosso; donde mlt. byr-
rus cappuccio rosso, che questi antichi a-
genti portavano e che dette loro il nome).
— 3. e. calcagno presto, col cale, pronto
a spronare.
— e. né pili forte, né p. nemico, avverso.
Petrai-.ca, I, canz. 10: «Oh mia forte ven-
tura» che il Leopardi spiega fortuna ne-
mica.
— 8. l'arnese, l'armatura del corpo. V.
e. xxvii, 78, n, 5. — fugg. nudi; nudi del-
l'armatura pesante per correre più veloci.
95
Si come il lupo che di preda vada
Carco alla tana, e quanto più si erede
D'esser sicur, dal cacciator la strada
E da' suoi cani attraversar si vede;
Getta la soma, e dove appar raen rada
La scura macchia inanzi, affretta il piede.
Già men presti non fur quelli a fuggire,
Che li fusson quest'altri ad assalire.
96
Non pur la donna e l'arme vi lasciato,
Ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
E da rive e da grotte si lanciaro.
Parendo lor cosi d'esser più sciolti.
Il che alle donne et a Ruggier fu caro ;
Che tre di quei cavalli ebbono tolti
Per portar quelle tre che '1 giorno d'ieri
Feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97
Quindi espediti segueno la strada
Verso r infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada.
95. 1-6. Si come ecc. Confronta questa
comparazione con quella di Sino Italico,
Puniche, 7, 71V-722: « Qual dalla fame sti-
molato azzanna Dal pastore non visto il
marzio lupo un' agnelletta .... ove il pastore
Desto a' belati gli si sbarri incontro Impau-
rito la spirante preda Dalle fauci profonde
egli rigetta E crucciato sen fugge a bocca
aperta (Occioni).
— 4. si vede. Nota il passaggio dal con-
giuut. vada all'indie, si vede: e avverti
che r indicai, serve a dar' risalto a questa
circostanza, che sarebbe apparsa seconda-
ria col verbo al congiuntivo.
— 7. Già; certo. Petrarca i, canz. 0,
49: «Già di voi non mi doglio», dove il
Carducci nota: « Ha in qualche luogo forza
d'affermare e non di tempo».
— 8. li fusson ecc. Li va unito ad assa-
lire. Spostamento già molte volte notato;
e. I, 47, n. 6. — fusson, fossero. È forma
popolare viva anche oggi nel volgo toscano
accanto alle altre fàsseno, fósseno.
96. 3. rive, ripe. V. e. xiii, 42, n. 7.
— 4. Parendo ecc. Questa osservazione
si riferisce al secondo verso; lasciarono
anche i cavalli, pai'endo loro cosi ecc. Di
tali inversioni abbiamo notato molti esempi.
— 0. Che; È relativo.
97. 1. segueno. Come nella prima coniug.
si fece da ama, amano, cosi nelle altre gli
antichi: G. Cavalcanti ha pìaceno; il Bo-
iardo IH, II, combatteno (Nannucci. An.
cr. pag. 111). Il Morali per errore ha stam-
pato seguono; ma l'ediz. del '32 ha se-
gueno. Cfr. e. xxxix, 8, n. 1.
— 2. villa, il borgo; come appare più
sotto.
CANTO XXXVII
611
Per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada, fla;
Lo niega indarno, e piange e grida e stril-
Ma per forza Ruggier la leva in groppa
Del buon Frontino, e via con lei galoppa.
98 [basso
Ginnseno in somma onde vedeauo al
Di molte case un ricco borgo e grosso,
Che non serrava d'alcun lato il passo.
Perché né muro intorno area né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
Ch'un'alta ròcca sosteuea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
Ch'esser sapean di Marganor la stanza.
99
Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
Che v'erano alla guardia de l'entrata,
Dietro chiudon la sbarra, e già d'avanti
Veggion che l'altra uscita era serrata:
Et ecco Marganorre, e seco alquanti
A pie e a cavallo, e tutta gente armata;
Che con brevi parole, ma orgogliose,
La ria costuma di sua terra espose.
100
Marfisa, la qual prima avea composta
Con Bradamante e con Ruggier la cosa,
— 5. che non ben le acc. Intenderei il
non hene come eufemismo per male: che
le accada male, qualche male. Più duro mi
sembra intendere: che non bene (non per
sua fortuna) le accada ciò (di esser ricon-
dotta presso Marg.).
— 7. Ma. Nota lo svolgersi del pensiero :
lo nega invano; invano dice di non volere
andare, perché essi non le danno ascolto;
allora essa oppone dei fatti; e piange e
grida e strilla; ma Ruggero oppone fatti
pili risolutivi, levandola in gr.
98. 1. Ginuseno, giunsero. Forma popo-
lare ancora in uso nel volgo Toscano. —
in somma; in breve. V. e. xxxil, 85, n. 2. Il
Bolza e il Romizi spiegano forse meno bene
da ultimo, in fine.
99. 1. borgo; È la borgata, che formava
sempre la parte esterna dei castelli anti-
chi; e nel mezzo, in luogo elevato, sorgeva
la rocca, dove abitava il signore. V. e. ii,
41, n. 7.
— 3. Dietro ecc. Per chiuderli nel borgo,
in modo che non potessero fuggire, chiu-
sero dietro di loro la porta {la sbarra, con
estensione di significato), per cui erano en-
trati, mentre altri custodi avean già chiusa
l'altra porta in fondo al borgo, la quale era
dinanzi ai guerrieri che si avanzavano.
— «. La r. costuma V. e. xix, 66, n. 6. E
per questo costume st. 83.
100. 1. composta, concordata. Pulci, Mor-
gante, 27, 170: « Avea con Carlo quel segno
composto ». E non è raro neppure in prosa.
Gli spronò incontro in cambio di risposta :
E com'era possente e valorosa,
8enza ch'abbassi lancia, o che sia posta
In opra quella spada si famosa.
Col pugno in guisa l'elmo gli martella,
Che lo fa tramortir sopra la sella.
lOL
Con Marfisa la giovane di Francia
Spinge a un tempo il destrier, né Ruggier
Ma con tanto valor corre la lancia, [resta,
Che sei, senza levarsela di resta.
N'uccide, uno ferito ne la pancia,
Duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:
Nel sesto che fuggia l'asta si roppe.
Ch'entrò alle schene e riusci alle poppe.
102
La figliuola d'Amon quanti ne tocca
Con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:
Fulmine par, che '1 cielo ardendo scocca.
Che ciò eh' incontra, spezza e getta a tar-
li popol sgombra, chi verso la ròcca, [ra.
Chi verso il piano; altri si chiude e serra,
Chi ne le chiese, e chi ne le sue case;
Né, fuor che morti , in piazza uomo rimase.
103
Marfisa Marganorre avea legato
In tanto con le man dietro alle rene,
Et alla vecchia di Drusilla dato,
Ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
S'a penitenzia del suo error non viene:
Levi la legge ria di Marganorre,
E questa accetti, ch'essa vi vuol porre.
104
Non fu già d'ottener questo fatica;
Che quella gente, oltre al timor ch'avea
— 4. E com' era; e poiché era ecc. V. e.
v, 21, n. 7.
101. 8. Ch'entrò; la quale asta entrò ecc.
— alle schene. La prepos. a serve a dar ri-
salto preciso al punto, dove la lancia entrò
e donde usci: entrò di dietro proprio nella
schiena. Entrò nelle o per le sch. accen-
nerebbe a quel luogo più vagamente.
102. 3. il cielo ardendo, mentre il cielo
arde per il lampo.
-- 4. Che; È l'elativo di fulmine: più
chiaramente e che.
103. 4. Ch'appagata ecc. Puoi intendere:
Si tiene di ciò paga e contenta; ma anche:
la quale, appagata e contenta, si tiene di
ciò, va orgogliosa di ciò. Tenersi d' una
cosa per andarne lieto e orgonlioso è modo
comunissimo nella nostra lingua.
— 7. Levi. O è congiuntivo dipendente
dal se non del v. prec. : e se non levi: o
è imperativo. Per questa seconda interpre-
tazione rafifronta con la st. 63, S.
104. I. d'ottener q. fatica. Più comunem.
ad, ottener; ma spesso di per a usarono
B12
ORLANDO FURIOSO
Che più faccia Marfisa che non dica,
Ch'uccider tutti et abbruciar volea,
Di Marganorre affatto era nimica
E de la legge sua crudele e rea.
Ma 'J popolo facea, come i più fanno,
Ch'ubbidiscon più a quei che più in odio
105 [hanno.
Però che l'un de l'altro non si fida,
E non ardisce conferir sua voglia,
Lo lascian ch'un banditìca. un altro uccida,
A quel l'avere, a questo l'onor toglia:
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida.
Fin che Dio e Santi alla vendetta invoglia;
La qual, se ben tarda a venir, compensa
L'indugio poi con punizione immensa.
106
Or quella turba d'ira e d'odio pregna
Con fatti e con mal dir cerca vendetta.
Com'è in proverbio, ognun corre a far le-
AH'arbore che'l vento in terra getta, [gna
Sia Marganorre esempio di chi regna;
Che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
Peccati, avean piacer piccioli e grandi.
107
Jlolti a chi fur le mogli o le sorelle
0 le figlie 0 le madri da lui morte.
gli scrittori di tutti i tempi ; e in questa e
simili locuzioni è vivo ancora. Boccaccio,
Introd. : « ed i più di tali servigi non usati ».
— 4. Ch' ucc. Il che è relat. di Marf.
lOò. 2. conferir, confidare. Il Tommaseo
intende comunicare, far partecipe, citando
per il significato transitivo, questo solo es.
La Crusca non lo cita.
— 3. Lo lasc. ch'nn b.; lo lascian bandire
uno. V. e. I, 38, n. 6.
— 7-8. se ben tarda ecc. Forse l'Ar. ebbe
presente la sentenza di Valerio Massimo, 1,
1, ext. 3 : « Lento gradu ad vindictam sui di-
vina procedit ira, tarditatemque sùpplicii
gravitate pensat ».
106. 2. con mal dir; O è una forma sin-
golare di maledir, o è dir male per dir
villania, come nel Boccaccio, Nov. 38:
« Molte volte ne gli disse male e ne '1 ga-
stigò ».
— 3-4. ognun ecc. È un proverbio greco
che Erasmo traduce cosi : Unente quivis
Ugna coUigit arbore; e che alcuni com-
mentatori citano a sproposito (Romizi, Fonti
latine dell'Ori. Fur. p. 174).
— 6. chi mal opra ecc. Il Giusti cita (pag.
84) il proverbio Toscano chi mal fa mal
aspetta; l'altro più breve suona invece-co-
munemente chi la fa raspetti; ina esiste
anche la forma chi la fa t'aspetta; nell'uso
e nella letteratura. E vollero significare che
chi fa male sente di meritare la pena e di
doversela aspettare come un fatto certo e
inevitabile.
Non più celando l'animo ribelle,
Correan per dargli di lor man la morte:
E con fatica lo difeser quelle
Magnanime guerriere e Ruggier forte ;
Che disegnato avean farlo morire
D'affanno, di disagio e di martire.
108
A quella vecchia che l'odiava quanto
Femina odiare alcun nimico possa,
Nudo in mano lo dier, legato tanto,
Che non si scioglierà per una scossa;
Et ella per vendetta del suo pianto,
Gli andò facendo la persona rossa
Con un stimulo aguzzo ch'un villano.
Che quivi si trovò, le pose in mano.
109
La messaggiera e le sue giovani anco.
Che quell'onta non son mai per scordarsi,
Non s' hanno più a tener le mani al fianco.
Né meno che la vecchia, a vendicarsi.
Ma si è il desir d'offenderlo, che manco
Viene il potere, e pur vorrian sfogarsi :
Chi con sassi il percuote, chi con l'unge;
Altra lo morde, altra con gli aghi il punge.
110
Come torrente che superbo faccia
Lunga pioggia tal volta o nievi sciolte.
Va ruinoso, e giù da' monti caccia
Gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte:
Vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
Gli cade, e si le forze gli son tolte,
Ch'un fanciullo, una femina per tutto
Passar lo puote, e spesso a piedeasciutto:
IH
Cosi già fu che Marganorre intorno
Fece tremar, dovunque udiasi il nome;
Or venuto è chi gli ha spezzato il corno
Di tanto orgoglio, e si le forze dome.
Che gli puon far sin a' bambini scorno.
108. 4. Che ecc. È verso quasi uguale a
quel del e. xv, 77, 4.
— 7. stimnlo. È un pungolo, col quale si
incitano buoi e cavalli a camminare.
109. 3. Non s' hanno p. a t.; non hanno da
Viiersi più le mani sui fianchi (inoperose),
né hanno meno da vendicarsi. È riferito
come pensiero loro: esse pensano che non
debbono più tenersi ecc.
— 7. unge, unghie. V. e. T, 41, n. 1.
110. 4. i campi; la terra dei campi.
— 6. Gli cade, viene abbassata, umiliata.
111. 1. Già fu; Fu già tempo. V. e. xii,
44, n. 7.
— 3. spezz. il corno. È modo comune
romper le corna a y,no per abbatterne
l'orgoglio. È la stessa immagine, ma è va-
riata 1' espressione.
— 5. sin a' bambini ; perfino i bambini.
V. e. II, 28, n. 8.
CANTO XXXVII
513
Chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
Alla ròcca voltar, ch'era sul sasso.
112
La die senza contrasto in poter loro
Chi v'era dentro, e cosi i ricchi arnesi,
Ch' in parte messi a sacco, in parte foro
Dati ad Ullania et a' compagni offesi.
Eicovrato vi fu lo scudo d'oro,
E quei tre Re ch'avea il tiranno presi,
Li quai venendo quivi, come parrai
D'avervi detto, erano a pie, senz'armi:
113
Perché dal di che fur tolti di sella
Da Bradaraante, a pie sempre eran iti
Senz'arme, in compagnia de la Donzella,
La qual venia da si lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella.
Che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
Ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:
114
Perchó stata saria, com'eran tutte
Quelle ch'armate avean seco le scorte,
AI cimitero misere condutte
Dei duo fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
E disoneste parti, duro e forte; [ammorza
E sempre questo e ogn'altro obbrobrio
Il poter dir che le sia fatto a forza.
— 6. Chi pelargli. Dipende da un può che
deve rilevarsi dal v. preced.: chi può pe-
largli ecc. Fors' anche è infinito storico :
chi gli pelava la barba ecc. Quantunque
per il senso sia preferibile questa seconda
iuterpretaz., per l'andamento sintattico mi
sembra pi'eferibile T altra.
113. 5. se m. o. p. f. di quella ; se fu il
meglio o il peggio di lei, se avvenne per il
meglio o per il peggio dì lei; se fu meglio
o peggio per lei. In queste tre espressioni
ti'ovi appunto i due costrutti che V Ar. ha
fuso in uno, cominciando come comincia
la terza e finendolo come finiscono le altre.
Abbiamo notato più volte questo fatto sin-
tattico nel Furioso, II, 6, 3; xxvi; 46, 2;
XXXV, 45, 7; ecc.
— 8. se ne p. l'impresa; se perdevano la
battaglia (vi, io, S; xvii, 104, 1) per lei; in-
trapresa per lei.
114. 3. misere condutte ; Regolarmente mi-
sera condutta. Abbiamo dunque un' attra-
zione uguale a quella notata al e. xi, 27,
n. 6; xxiii, 4G, 7.
— .4. morte; uccise, uccisa.
— 8. le, a Ullania : il poter dir che que-
sta cosa obbrobriosa (obbrobrio) di sco-
prirle il corpo, è stata fatta a lei a forza,
per forza.
115
Prima ch'indi si partan le guerriere.
Fan venir gli abitanti a giuramento.
Che daranno i mariti alle mogliere
De la terra e del tutto il reggimento;
E castigato con pene severe
Sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch'altrove è del marito,
Che sia qui de la moglie è statuito.
116
Poi si fecion promettere eh' a quanti
Mai verriau quivi, non darian ricetto,
O fosson cavallieri, o fosson fanti,
Né 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
Se per Dio' non giurassino e per Santi,
0 s'altro giuramento v' è più stretto,
Che sarian sempre de le donne amici,
E dei nimici lor sempre nimici;
117
E s'avranno in quel tempo, e se saranno.
Tardi o piti tosto, mai per aver moglie.
Che sempre a quelle sudditi saranno,
E ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch'esca l'anno.
Disse, e che perdan gli arbori le foglie;
E se la legge in uso non trovasse,
Fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.
118
Né quindi si partir, che de l'immondo
Luogo dov'era, fi"r Drusilla torre,
E col marito in uno avel, secondo
Ch'ivi potean piti riccamente porre.
La vecchia facea in tanto rubicondo
Con lo stiraulo il dosso a Marganorre:
Sol si dolca di non aver tal lena.
Che potesse non dar triegua alla pena.
119
L'animose guerriere a lato un tempio
Videno quivi una colonna in piazza.
Ne la qual fatt'avea quel tiranno empio
Scriver la legge sua crudele e pazza.
Èlle, imitando d'un trofeo l'esempio.
Lo scudo v'attaccaro e la corazza
Di Marganorre, e l'elmo; e scriver fenno
115. 6. contrastare, opporsi. V. e. xviii,
57, 2.
117. 1. E s'avr.; E se avr.
— 2. Tardi o pili tosto ; Più comunemente
tosto o tardi, e più t. o pia tar. È modo
non registrato dai vocabolari.
— 5. p. eh' esca 1' anno ; prima che fini-
sca l'a. Skrdonati, st. 16, 129: « Intanto era
uscito l'autunno». Non si cita l'Ar.
US. 1. che, finché. V. e. iii, 7, n. 4.
119. 1. a lato un temp. ; a 1. di un t. Nes-
sun vocabolario, neppure la N. Crusca cita
questo costrutto, ma solo a lato di.
— 2. Videno, videro. V. st. 98, n. 1.
— 5. l'esempio, il modello: e. xi, 22, 3.
Ariosto — Papini
33
514
ORLANDO FURIOSO
La legge appresso, ch'esse al loco dennu.
120 I
Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa |
Fé' por la legge sua ne la colonna,
Contraria a quella che già v'era incisa
A. morte et ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
Quella d'Islanda, per rifar la gonna;
Che comparire in corte obbrobrio stima.
Se non si veste et orna come prima.
121
Quivi rimase Ullauia; e Marganone
Di lei restò in potere : et essa poi, '
Perché non s'abbia in qualche modo a
fsciorre,
E le donzelle un'altra volta annoi,
Lo fé' un giorno saltar giù d'una torre.
Che non fa' il maggior salto a' giorni suoi.
— S. dénno, dettero: cfr. e. xvii, 63, ii. 5.
1>20. 1. tanto che, fin tanto che. V. c.xxxiv,
4, n. :'..
— 6. Quella d"I.; la donna d'Islanda,
lUlania.
HI. ù. Che, cosi elle.
Non più di lei, né più de' suoi si parli;
Ma de la compagnia che va verso Arli.
122
Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso
L'ora di terza andavo; e poi che furo
(Giunti dove in due strade è il camin fesso
(L'una va al campo, e l'altra d'Arli al mu-
[i-o),
Tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spes-
[so
A tòr commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; et io il mio Cauto ho qui finito.
— 7. Non più di lei ecc. Al castello di
Marganorre scompaiono Io scudo e i tre re,
né se ne sa più nulla. Forse il Poeta aveva
prima un piano differente; per esempio di
farne una causa di discordia: cfr. canto
xxxu, 60.
li'2. 1-2 appresso l'ora d. t. ; dopo l'ora
di terza; tre ore prima di mezzodì. V. e.
vili, 19, n. 6.
— -1. al campo, dei Cristiani.
CANTO XXX Vili
Cortesi donne, che benigna udienza
Datea'miei versi, io vi veggo al sembian-
Che quest'altra si subita partenza [te,
Che fa Ruggier da la sua fida amante,
Vi dà gran noia, e avete displicenza
Poco minor ch'avesse Bradamante ;
E fate anco argumento ch'esser poco
In lui dovesse l'amoroso fuoco.
2
Per ogni altra cagion ch'allontanato
Centra la voglia d'essa se ne fnsse,
Ancor ch'avesse più tesor sperato
Che Creso o Crasso insieme non ridusse,
1. 5. displicenza (lat. displicentia). È la-
tinismo raro pur negli antichi.
_ 7. fate... argnmento; argomentate. È
locuzione mollo usata ed elegante.
2. 1-5. Per ogni ecc. Per qualunque altra
ragione se ne fosse allontanato... Io cre-
derei con voi che non fosse penetrato al
suo cuore lo str. ecc. Avverti l'andamento
popolare della sintassi nel primo ver.so; Per
ogni altra ragion che (per cui) equivale
appunto a Per qualunque altra ragione.
— 4. Creso, ricchissimo i-e di Lidia. —
Crasso. * Egli non istimava alcuno ricco, il
quale non potesse di sue sostanze nutrire
un esercito » (Plutarco).
Io crederla con voi che penetrato
Non fosse al cor lo strai che lo percusse;
Ch'un almo gaudio, un cosi gran contento
Non potrebbe comprare oro né argento.
Pur, per salvar l'onor, non solamente
D'escusa, ma di laude è degno ancora:
Per salvar, dico, in caso ch'altrimente
Facendo, biasmo et ignominia fora:
E se la donna fosse renitente
Et ostinata in fargli far dimoia.
Darebbe di sé indizio e chiaro segno
0 d'amar poco, o d'aver poco ingegno.
4
Che se l'amante de l'amato deve
La vita amar più de la propria, o tanto
(Io parlo d'uno amante a cui non lieve
3. 1. Pur, per s. l'o.; Pur, essendosene
allontanato per salvar l' onor. È una bra-
chilogia.
— 3. Per salvar ecc. Per salvarlo, dico,
e cioè quando (in caso che) facendo altri-
menti, sarebbe ecc. Da questa spiegazione
puoi vedere che il Poeta passa qui a una
considerazione generale; quasi dica: Pur-
ché tali azioni si facciano per salvar l'o-
nore nel caso ecc. E allora se una donna
fosse renitente ecc.
4. 2. 0 tanto, quanto la propria. Giusta-
CANTO XXXVIII
515
Colpo d'Amor passò pili là del manto);
Al piacer tanto pili, ch'esso riceve,
L'onor di quello antepor deve, quanto
L'onore è di più pregio, che la vita
Ch'a tutti altri piaceri è preferita.
5
Fece Ruggiero il debito a seguire
n suo Signor, che non se ne potea,
Se non con ignominia, dipartire;
Che ragion di lasciarlo non avea.
E s'Alraonte gli te' il padre morire,
Tal colpa in Agramante non cadea;
Ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
Emendato ogni error dei maggior suoi.
Farà Ruggiero il debito a tornare
Al suo Signore; et ella ancor lo fece,
Che sforzar non lo volse di restare,
Come potea, con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
A un altro tempo, s'or non satisfece :
Ma all'onor, chi gli manca d'un momento,
Non può in cent'anni satisfar né in cento.
7 \:
Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamaute e Marfisa, che contratta
Col parentado avean grande ami stanza,
mente il Xisiely dice questa espressione
oscura. Cosi nella st. 51, 7.
— 4. pili là del m. È immagine del Pi -
TRARCA, I canz. 1: «Sentendo il crude! di
ch'io ragiono In lin allor percossa di suo
strale Non essermi passata oltre la gonna ».
— 5. ch'esso r.; è relativo a piacere.
— 8. Ch' a t. a.; la quale vita è poi su-
periore e preferibile a tutti gli altri piac.
V. e. XXXIII, 64, n. 5.
ó. 1. il debito, il suo dovere. V. e. iv, 56, 8.
— 2. che; Questo e l'altro del v. 4 pos-
sono essere relativi a Ruggero e anche
congiunzioni. V. e. ni, 6, n. 6.
— 5. E s'Alm. Nel e. xxx, 83, I, l'Ar.
dice che Ruggero fu morto da Troiano :
ma là e qui vuol significare in genere la
famiglia di Agolante; la quale assali Risa.
— 7. effetti; benefici. Cosi nel e. v, 72,
1; e XLiv, 68, 6.
6. 4. e. iterata pr. ; pregando e ripregando.
È il latino iterata prece.
— 5. satisfare. Domina l'idea di debito.
Debito verso Bradamante era la promessa
fattaJe e. xxii, 34-35.
— 7. d'un m. ; un solo momento. La prep.
di si usa spesso a indicare un termine di
tempo o di luogo: ha tardato di quattro
giorni; si allontanò di tre miglia ecc. È
frequente nella letteratura e nell'uso vivo.
1. 4. Col parentado. É un'espressione mol-
to abbreviata: con l' idea del futuro paren-
Andaro insieme ove Re Carlo fatta
La maggior prova avea di sua possanza.
Sperando o per battaglia o per assedio,
Levar di Francia cosi lungo tedio.
8
Di Bradamaute, poi che conosciuta
In campo fu, si fé' letizia e festa :
Ogniun la riverisce e la saluta;
Et ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come ndi la sua venuta.
Le venne incontra ; né Ricciardo resta
Né Ricciardetto od altri di sua gente,
E la raccoglion tutti allegramente.
9
Come s'intese poi che la compagna
Era Marfisa, in arme si famosa,
Che dal Cataio ai termini di Spagna
Di mille chiare palme iva pomposa;
Non è povero o ric£o che rimagna
Nel padiglion : la turba disiosa
Vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e pre-
Sol per veder si bella coppia insieme, [me
10
A Carlo riverenti appresentàrsi.
Questo fu il primo di (scrive Turpino)
Che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
Che sol le parve il figlio di Pipino
Degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
Tra quanti, o mai nel popol Saracino
O nel Cristiano, Imperatori e Regi
Per virtii vide o per ricchezza egregi.
11
Carlo benignamente la raccolse,
E le usci incontra fuor dei padiglioni;
E che sedesse a lato suo poi volse
Sopra tutti Re, Principi e Baroni.
Si die licenzia a chi non se la tolse;
Si che tosto restaro in pochi e buoni.
Restaro i Paladini e i gran Signori:
La vilipesa plebe andò di fuori.
12
Marfisa cominciò con grata voce:
Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
Che dal mar Indo alla Tirinzia foce.
tado. Potrebbe anche accennare alla comu-
nanza di origine che Ruggero di Risa avea
con Chiaramonte; derivando ambedue da
Ettore troiano: cfr. e. xxx vi, 70. — ami-
stanza. Pulci, 5, 8, 8: « Per parentado an-
tico ed amistanza ».
S. 1. Di Br.; per Brad. V. e. xiii, 33, n. 3.
— 8. raccoglion, accolgono. V. e. vii, 9,
n. 3.
10. 5. Degno a cui; degno che a lui. V.
e. IH, 27, n. 1.
— 6. Tra quanti o mai; Tra quanti mai
o nel p. Saracino ecc. Le inversioni sono
molto frequenti nel Nostro.
12. 3. a. Tirinzia f. « lo stretto di Gibil-
terra aperto, secondo la favola, da Ercole,
516
ORLANDO FURIOSO
Dal bianco Scita all'Etiope adusto
Riverir fai la tua candida croce,
Né di te regna il pili saggio o '1 più giusto;
Tua fama, ch'alcun termine non serra.
Qui tratto m' ha fin da l'estrema terra.
13
E per narrarti il ver, sola mi mosse
Invidia, e sol per farti guerra io venni ;
Acciò che si possente un Re non fosse,
Che non tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
Del Cristian sangue; et altri fieri cenni
Era per farti da crudel nimica,
.Se non cadea chi mi t'ha fatto amica.
14 [dre
Quando nuocer pensai più alle tue squa-
lo trovo (e come sia dirò più adagio)
Che '1 buon Ruggier di Risa fu mio padre,
Tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
Di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un IMago in fin al settimo anno,
A cui gli Arabi poi rubata m'hanno;
15
E mi venderò in Persia per ischiava
A un Re che poi cresciuta io posi a morte;
Che mia virginità tur mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
Tutta cacciai la sua progenie prava;
che si disse anche Tirinzio da Tirinto città
dove nacque » (Casella).
— 4. Dal ì). S. ecc.; dalla Scizia bianca
di neve all'Etiopia adusta dal sole.
— 8. da Testrema terra; dall'estremità
della terra. Veniva dall' India: cfr. e. xviii,
99, n. 1. Per l'espressione cfr. e. i, 24, n. 6.
i;j. 2. Invidia; C. xvin, 133-34: « Marlìsa
avuto avea lungo desire Al paragou dei
Paladin venire, E fare esperienza se l'ef-
fetto si pareggiava a tanta nominanza ».
Innamor. I, xx, 45.
— 1. legge, religione.
— 6. cenni; dimostrazioni, altre imprese
che mi t'avrebbero dimostrato crudele ne-
mica. Dante, Purg. 22, 27 : « Ogni tuo dir
d'amor m' è caro cenno ».
— 8. Se non cadea ; Se non accadeva. La
Crusca non cita l'Ariosto, ma solo un es.
del Bartoli, Vii. di S. Ign. 1, 23: « (Dio) fa
cadere tutte le cose a' tempi loro ». — chi;
cosa che. Di quest'uso molto amato ibill'A.
abbiamo notato già altri esempi in più luo-
ghi, ma è raro negli altri scrittori. Alcuni
riferiscono il chi a persona, o a Ruggero
0 a Bradamante o all'ombra d'Atlante; ma
veramente nessuno di essi e tutti insieme
han contribuito, con la rivelazione di fatti
importantissimi per lei, a renderla amica
di Carlo Magno.
14. 4. Tradito ecc. V. e. xxxvi, 00 segg.
E presi il regno, e tal fu la mia sorte,
Che diciotto anni d'uno o di duo mesi
Io non passai, che sette regni presi.
IG
E di tua fama invidiosa, come
10 t'ho già detto, avea fermo nel core
La grande altezza abbatter del tuo nome:
Forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
E faccia cader l'ale al mio furore,
L'aver inteso, poi che qui son giunta,
Come io ti son d'affinità congiunta.
17
E come il padre mio parente e servo
Ti fu, ti son parente e serva anch'io:
E quella invidia, e quell'odio protervo
11 quale io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
Anzi contra Agramante io lo riservo,
E contraogn'altro che sia al padre o al zio
Di lui stato parente, che fur rei
Di porre a morte i genitori miei.
18
E seguitò, voler Cristiana farsi,
E dopo ch'avrà estinto il Re Agramante,
Voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
A battezzare il suo regno in Levante,
Et indi contra tutto il mondo armarsi.
Ove Macon s'adori e Trevigante;
E con promission, ch'ogni suo acquisto
Sia de l'Imperio, e de la Fé di Cristo.
19
L'Imperator, che non meno eloquente
Era, che fosse valoroso e saggio,
Molto esaltando la Donna eccellente,
E molto il padre e molto il suo lignaggio,
Rispose ad ogni parte umanamente,
E mostrò in fronte aperto il suo coraggio ;
E conchiuse ne l'ultima parola.
Per parente accettarla e per figliuola.
20
E qui si leva, e di nuovo l'abbraccia,
E, come figlia, bacia ne la fronte.
10. 4. 0 forse era in err.; o forse era in
errore credendo di farlo. È una delle so-
lite espressioni abbreviate. V. st. 7, n. 4.
— 5. che questa v. dome; avviene die
l'avere inteso ecc. domi questa voglia e
faccia cHder l'a. a. m. f. L'edizione del '32
legge chi, e si potrebbe conservarlo, inten-
dendolo come nel v. 8 della st. 13.
— 8. d'aff. cong. Infatti Ruggero di Ris;i
suo padre e la Casa di Carlomag-no avevano
per ceppo antico Ettore Troiano : cfr. e
XXXVI, 70; e la nota alla st. 7, 4.
18. 6. Trevigante. V. c. XII, 59, n. 5.
19. 5. umanamente, cortesemente (lat. hu-
mane).
— 6. coraggio, cuore. V. e. xviii, ,32, u. 4.
20. 1. E qui; e a questo punto, allora. È
vivo ancora nella nostra lingua.
CANTO XXXVIII
517
Vengono tntti con allegra faccia
Quei di Mongraiia e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fora, quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
Vedute avea pili volte al paragone,
Quando Albraeca assediar col suo girone.
21
Lungo a dir fora quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sausonetto
Ch'alia città crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
Ch' all' occision de'Maganzesi rei,
E di quei venditori empii di Spagna
L'aveano avuta si fedel compagna.
22
Apparecchiar per lo seguente giorno,
Et ebbe cura Carlo egli niedesmo.
Che fosse un luogo riccamente adorno,
Ove prendesse MaVtìsa battesmo.
I Vescovi e gran chierici d'intorno.
Che le leggi sapean del Cristianesnio,
Fece raccorre, acciò da loro in tutta
La santa Fé fosse Marfisa instrutta.
23
Venne in pontificale abito sacro
L'Arcivesco Turpino e battizolla:
Carlo dal salutifero lavacro
Con cerimonie debite levoll '.
— 4. Q. di Mongrana ecc. V. e. xxxvi,
75, 4. Alla casa di Mongrana appartenevano,
fra i più celebri, Oliviero, Grifone e Aqui-
lante.
— 6. pr. conte, le prodezze insigni.
— 8. (Jnando ecc.; quando insieme asse-
diarono Albraeca con la sua fortezza (giro-
ne). Questo leggesi neìV Innamor. I, e. xx.
Rinaldo avea provato il valore di Marf. an-
che in un combattimento accanito, che a-
veva avuto eoa lei. Iniiam. I, xvii, 6,;;
xviii, 7; XIX, 32. — Girone, circuito di mur.i,
che cingeva le ròcche, e cingeva pure la
ròcca d'Albracca.
21.4. alla città crud. ; alla città delle?
donne omicide: e. xix, 51 segg. — Sauso-
netto era in Affrica prigioniero di Rodo-
monte; XXXV, 53; XXXIX, 33. È una delle
molte piccole dimenticanze dell' A.
— 6. Ch'airoccision ecc. V. e. xxvi, S segg.
22. 1. Apparecchiar. Il suo complemento
è: ove prendesse ecc, : apparecchiarono il
luogo dove ecc.; e Carlo ebbe e. egli me-
desimo che ecc.
— 5. I Vesc. e gr. Sull' uso dell' articolo
cfr. e. XXVII, 132, n. 4.
23. 2. Arci vesce, arcivescovo. È forma
rara pur negli antichi.
— 4. levolla. Levare dal fonte battesi-
male vale tenere a battesimo, far da pa-
drino.
Ma tempo è ormai ch'ai capo voto e niacro
Di senno si soccorra con l'ampolla.
Con che dal ciel più basso ne venia
11 duca Astolfo sul carro d'Elia.
24
Sceso era Astolfo dal giro lucente
Alla maggiore altezza de la terra.
Con la felice ampolla che la mente
Dovea sanare al gran mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtù eccellente
Mostra Giovanni al duca d'Inghilterra:
Con essa vuol ch'ai suo ritorno tocchi
Al Re di Nubia e gli risani gli occhi;
25
Acciò per questi e per li primi inerti
Gente gli dia, con che Biserta assaglia.
E come poi quei popoli inesperti
Arini et acconci ad uso di battaglia,
E senza danno passi pei deserti
Ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
A punto a punto l'ordine che tegna.
Tutto il Vecchio santissimo gl'insegna.
26
Poi lo fé' rimontar su quello alato
Che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
Il Paladin lasciò, licenziato
Da san Giovanni, le contrade sante; -
E secondando il Nilo a lato a lato,
Tosto i Nubi apparir si vide inante;
E ne la terra che del regno è capo,
Scese da l'aria e ritrovò il Senapo.
27
Molto fu il gaudio, e molta fu la gioia
Che portò a q«el Signor nel suo ritorno;
— 7. dal e. p. basso; dal cielo della Luna,
che è degli altri il più basso, e che più
sotto chiama il u^>'0 (la sfera) lucente.
24. 2. Alla m. a. d. t.; sulla montagnadel
paradiso terrestre, che è il punto più alto
della terra.
— :!. felice a.; salutifera amp.: Nel e.
XXIX, 24, 2, si ha felice liijuor. In questo
senso si citano solamente questi due luoghi
dell' Ar.
— 4. g. mastro, d. g. Orlando.
25. 1. p. li pr. morti ; acquistati cacciando
le arpie.
— 3-S. E come ecc. Costruisci: il vecchio
santissimo gli insegna come armi e accon-
ci ecc.; come passi senza danno ecc.; gli
insegna punto per punto minutamente l'or-
dine che deve tenere in far ciò; insomma
tutto gli insegna.
28. 1. q. alato; il cavallo alato. È notevole
quest' estensione di signilicato che abbiamo
anche nel e. xxxiii, bS, 7.
— 5. a lato a 1. ; accosto accosto, vicino
vicino; molto da vicino.
— 7. capo; capitale. Nubia.
518
ORLANDO FURIOSO
Che ben si raccordava de la noia
Che gli avea tolta, de l'Arpie, d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
Di quello umor che già gli tolse il giorno,
E che gli rende la vista di prima.
L'adora e cole, e come un Dio sublima.
■28
Si che non pur la gente che gli chiede
Per muover guerra al regno di Diserta,
Ma centomila sopra gli ne diede,
E gli te' ancor di sua persona ofi'erta.
La gente a pena, ch'era tutta a piede,
Potea capir ne la campagna aperta;
Che di cavalli ha quel paese inopia
Ma d'elefanti e di camelli copia.
29
La notte inanzi il di che a suo camino
L'esercito di Nubia dovea porse.
Montò su rippogrifo il Paladino,
E verso Mezzodì con fretta corse,
Tanto clie giunse al monte che l'Austrino
Vento produce, e spira t atra l'Orse.
Trovò la cava, onde per stretta bocca,
Quando si desta, il furioso scocca.
30
E come raccordògli il suo maestro,
Avea seco arrecato un utre voto,
Il qua], mentre ne l'antro oscuro alpestre.
27. 3. raccordava ; ricordava.
— 5. gli discuoia; gli assottiglia la gros-
sezza di queir umor, che già ecc. La pu-
pilla essendo limpida e trasparente sembra
un umore sottile: in certe cecità la mem-
brana alterandosi diventa biancastra e li-
vida, cosicché pare che quel primitivo u-
more sia divenuto più spesso e duro, come
una pelle (cuoio).
— 7. E che; Uniscilo al poi del v. 5.
— 8. sublima, esalta: cfr. e. xxxii, 56,
n. 6; e osserva che qui ha un siguiflcato
olle tiene di quello e dell'altro al e. in, 59, 4.
iS. 3. sopra; sopra quella, oltre quella.
Cosi usò sopra il Boccaccio, Nov. 13: «K
molte delle altre comperar sopra quelle».
— 4. E gli fé ecc. Intendi che si offri
d' andare egli stesso ; e di fatto vi andò :
cfr. e. XLiv, 19, 5.
29. 5. Tanto che, finché. V. xxxvii, 120,
n. 1. — a monte. «Intende forse dei monti
Lupata o di altro appartenente a quel si-
stema orografico, che i geografi cliiamaiio
australe » (Casella). — Anstrino, australe.
Cosi nel e. iv, 30 « polo austrino ». Il vento
australe spira verso nord, ossia verso le
costellazioni dell'Orsa maggiore e minore.
— 7. la cava; la caverna.
30. 1-2. un utre. Quest'idea è felice pa-
rodia di Omero, Odissea, x, 1-100, il quale
immagina che Eolo dia ad Ulisse, chiusi in
un otre, tutti i venti, perché non impedis-
Affaticato dorme il fiero Noto,
Allo spiraglio pon tacito e destro:
Et è l'agnato in modo al vento ignoto,
Che, credendosi uscir fuor la dimane,
Preso e legato in quello utre rimane.
31
Di tanta preda il Paladino allegro,
Ritorna in Nubia, e la medesma luco
Si pone a caminar col popol Negro,
E vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
Verso l'Atlante il glorioso Duce
Pel mezzo vien de la minuta sabbia.
Senza temer che'l vento a nuocer gli abbia.
32
E giunto poi di qua dal giogo in parte.
Onde il pian si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
Del campo, e la meglio atta a disciplina;
E qua e là per ordine la jiarte
A pie d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
In vista d'uom eh'a gran pensieri intende.
33
Poi che, inchinando le ginocchia, fece
Al santo suo maestro orazione.
Sicuro che sia udita la sua prece,
Copia dì sassi a far cader si pone.
sero il suo ritorno in patria. Qui i venti
sono rinchiusi; perché non sollevino le sab-
bie del deserto. V. st. 39, 6.
31. 2. la m. luce; lo stesso giorno. Lvce
per giorno usò già Dante, canz. 7, 4'i:
« Cosi foss' ella più pietosa donna Ver me
che chiamo di notte e di luce ».
— 6. Duce; forse qui vale Duca, come
nel e. XXXIV, 8, 3.
32. 1. di qua dal giogo. Il Bolza, che ha
descritto questo viaggio, crede che Astolfo
siasi spinto fino all'estremità occidentale
dell'. atlante; ma, poiché si vede che il Duca
mirava alla capitalo di Agrainante, a Bi-
serta, non si capirebbe, perché avesse fatto
tanto inutile viaggio. È da credere invece,
che, giunto alla altezza della Tunisia, abbia
piegato verso Nord, abbia passato i monti
e siasi avviato verso Biserta. Si ricordi che
l'Atlante andava, anche per gli antichi, fino
al capo Bon. Inoltre, dicendo che Astolfo
andava verso l'Atlante, significa in gene-
rale la direzione verso ovest.
— 5. parte, distribuisce.
— 6. A p. d'un colle ecc; proprio alle
falde di un colle, dove cioè il colle si sdraia
nella pianura.
— s. intende; mira, si volge, volge la
mente.
33. 2. Al santo, a San Giovanni evange-
lista.
— 4. Copia di 8. Vi è una bella trasfor-
CANTO XXXVIII
519
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di naturai ragione
Crescendo, si vedean venire in giuso,
E formar ventre e gambe e collo e muso:
34
E con chiari anitrir giù per quei calli
Venian saltando, e giunti poi nel piano
Scuotean le groppe, e fatti eran cavalli.
Chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando ne le valli
SStava alla posta, lor dava di mano:
Si che in poche ore fur tutti montati:
Che con sella e con freno erano nati.
35
Ottanta mila cento e dua in un giorno
Fé', di pedoni, Astolfo cavallieri,
Con questi tutta scorse Africa intorno,
Facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
II Re di Fersa e '1 Re degli Algazeri,
Col Re Branzardo a guardia del paese:
E questi si fér centra al Duca Inglese;
36
Prima avendo spacciato un suttil legno
Ch'a vele e a remi andò battendo l'ali,
mazione del mito di Deucalione e Pirra,
che, gettandosi sassi dietro le spalle, pro-
generarono uomini e donne: Ovidio, Met.
1, 398-413. — a far cader; giù per il colle.
34. 1. anitrir, anitriri. v. e. xxxiii, 92,
u. 8.
— 4. leardo (antico francese liart d'o-
rigine ignota) grigio pomellato. — rovano, o
roano; mantello bigio, con criuiera gambe
e coda nera. L' etimologia è ignota.
— 6. 1. dava di mano; li afferrava.
— 7. fnr t. niont.; forse si riferisce a
cavalli. Quantunque potrebbe riferirsi an-
che a uomini, rilevando questo sostantivo
da turba. E dicesi in linguaggio tecnico
soldato montato quello a cavallo, in con-
trapposizione al soldato a piedi. Vedi que-
sta espressione nel e. vii, 3, 5.
35. J. Ottanta m. ecc. Queste determina-
zioni numeriche (e. xv, 4) hanno lo scopo
di dar colorito storico alla narrazione:
cfr. e. XIII, 40, n. 2.
— 6. Il re di Fersa ecc. « Il re di Fersa
Folvo anche rimane E Bucifar il re dell' Al-
gazera : L' uno al deserto alle terre lonta-
ne, E l'altro guarda verso la riviera » « Il
vecchio Branzardo di Bugea (.^gl'amante)
vuol che a Biserta in suo luogo si stea»
{lìinamor. II, xxviii, 50-52).
36. 1. nn suttil legno; un legno leggero,
agile.
— 2. andò b. l'ali; andò veloce come vo-
lando. Piacque spesso all' Ariosto (xviii,
137; xLiii, 52, 56) e ad altri scrittori (Viro.
En. 3, 520 ; Dante, Inf. 26, 125) paragonare
Ad Agramante avviso, come il regno
Patia dal Re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
Tanto che giunse ai liti Provenzali;
E trovò in Arli il suo Re mezzo oppresso;
Che '1 campo avea di Carlo un miglio ap-
37 [presso.
Sentendo il Re Agramante a che peri-
Per guadagnare il regno di Pipino, [glio.
Lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
Principi e Re del popol Saracino.
E poi ch'una o due volte girò il ciglio
Quinci a Marsilio e quindi al Re Sobrino,
I quai d'ognialtro fur, che vi venisse,
I duo più antiqui e saggi, cosi disse:
38 [gna
Quantunque io sappia come mal conve-
A un capitano dir: Non mei pensai.
Pur lo dirò; che quando un danno vegna,
Da ogni discorso uman lontano assai,
A quel fallir par che sia escusa degna;
E qui si versa il caso mio; ch'errai
A lasciar d'arme l'Africa sfornita.
Se da li Nubi esser dovea assalita.
39
Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
A cui non è cosa futura ignota,
Che dovesse venir con si gran stuolo
A farne danno gente si remota ?
Tra i quali e noi giace l'instabil suolo
Di quella arena ognior da venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
Et ha in gran parte l'Africa deserta.
40
Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
Se partirmi di qui senza far frutto,
0 pur seguir tanto l'impresa deggio.
Che prigion Carlo meco abbi condutto;
il correr delle navi al volar degli uccelli.
Omero disse i remi ali delle navi.
— 3. avviso; li apposizione di leijno. Al
Galilei non parve abbastanza chiaro e pro-
pose « A dire ad Agramante come il regno ».
37. 5. poi che... girò. Per il costrutto cfr.
e. XIII, 74, n. 1.
38. 1-2. come mal e. ecc. Valerio Mas-
simo, 8, 2, 2: « Scipio Africanus turpe esse
aiebat in re militari dicere: non putaram».
— 6. q. si versa; iu questo consiste. Co-
munemente senza la particella si: la que-
i stione versa in questo. Forse ha agito sul
i costrutto il versari latino, che significa
i pure essere. Ciceuone, 8, Phìl. 2: « lUi in
i pace versantur » sono, stanno in pace.
i 39. 6. da venti mota, da v. mossa. Dante,
I Purg. 23, 19: « Cosi di retro a noi, più to-
] sto mota ».
I — 8. deserta, disertata, guasta, deva-
i stata. Cosi nel e. ni, 25, 1.
j 40. 4. abbi, abbia. Per questa termina-
1 zione cfr. e. xvii, 86, n. 5.
520
ORLANDO FURIOSO
O come insieme io salvi il nostro seggio,
E questo imperiai lasci distrutto.
S'alcun di voi sa dir, priego uol taccia.
Acciò si trovi il meglio, e quel si faccia.
41
Cosi disse Agramante; e volse gli occhi
Al Re di Spagna, Che gli sedea appresso,
Come mostrando di voler che tocchi
Di quel c'ha d'etto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
Per riverenzia, e cosi il capo flesso,
Nel suo onorato seggio si raccolse;
Indi la lingua a tai parole sciolse:
42
O ben 0 mal che la Fama ci apporti,
Signor, di sempre accrescereha in usanza.
Perciò non sarà mai ch'io mi scontorti,
0 mai pili del dover pigli baldanza
Per casi o buoni o rei, che sieno sorti:
Ma sempre avrò di par tema e speranza
Ch'esser debban minori, e non del modo
Che a noi per tante lingue venir odo.
43
E tanto men prestar gli debbo fede,
Quanto più al verisimile s'oppone.
Ur se gli è verisimile, si vede,
Ch' abbia con tanto numer di persone
Posto ne la pugnace Africa il piede
Un Re di si lontana regione.
Traversando l'arene a cui Cambise
41. G. flesso, piegato. Del participio pas-
sato non si cita altro esempio elle questo
dell'Ar. È dal verbo flettere.
42. 1. 0 ben o mal; o buone o cattive
notizie.
— 6. avrò d. p. tema e sp.; avrò tema
che sieno minori se la fama sia di casi
buoni ; avrò speranza che siano minori se
la fama sarà di casi rei; e neh' un caso e
neh' altro la tema e la speranza si bilance-
ranno (del par) : cioè non mi lascerò più
lusingare dalla faina di casi buojii che op-
primere dalla fama di casi tristi.
— 7. del modo; di quella maniera, che
(come) a noi li odo venire.
4:5. 1. gli, alla Fama. V. e. xr, 37, u.. 5.
— 3. Or se gli è ecc. ; ora si vede, si com-
prende facilmente s'egli è verosimile che
con tanto numero ecc.
— 5. pugnace Africa; bellicosa Afr. Qui
Africa è presa nel senso primitivo, ristretto
al paese adiacente a Cartagine, conie lo u-
sarono per primi i_^Romani, riferendosi a
questo territorio, "che fu lor prima pro-
vincia.
— 7. a cui Cambise ecc. Cambise re di
Persia <^ ad Ammonis quoque nobilissimuni
templum expugnanduni exercitum niittit,
qui tempestalibus et arenarum molibus op-
pressus interiit» (iustino, Hist. 1).
Con male augurio il popol suo commise.
44
Crederò ben, che sian gli Arabi scesi
Da le montagne, et abbian dato il guasto,
E saccheggiato, e morti uomini e presi.
Ove trovato avian poco contrasto,
E che Brauzardo che di quei paesi
Luogotenente e Viceré è rimasto,
Per le decine scriva le migliaia.
Acciò la scusa sua più degna paia.
45
Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi
Per miracol dal ciel forse piovuti:
O forse ascosi venner ne le nubi;
Poi che non far mai percamin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
Se ben di più soccorso non l'aiuti?
Il tuo presidio avria ben trista pelle.
Quando temesse un popolo si imbelle!
46
Ma se tu mandi ancor che poche navi.
Pur che si veggan gli stendardi tuoi.
Non scioglieran di qua si tosto i cavi,
Che fuggiranno nei confini suoi
Questi, o sieu Nubi 0 sieno Arabi ignavi,
Ai quali il ritrovarti qui con noi.
Separato pel mar da la tua terra,
Ha dato ardir di romperti la guerra.
47
Or piglia il tempo che, per esser senza
Il suo nipote Carlo, hai di vendetta.
— 8. Con male ang. Per male invece di
malo cfr. e. iv, 85, n. 4. Per il fatto, narra
Giustino che « offensus superstitiouibus At-
gyptiorum, Apis caeterorumque deorum ae-
des dirui iubet ». Questo sacrilegio fu per
lui di cattivo augurio.
44. 1. gli Arabi ecc. Agramante lasciando
Bucifar a guardia della riviera di Barberia
aveva detto « E l' altro guarda verso la ri-
viera Se forse qualche genti cristiane Ov-
ver gli Arabi ti donino affanno ». É noto
che gli Arabi sono un popolo diverso dai
Mori e che quelli, essendo nomadi e vivendo
spesso di conquista e di rapina, dovevano
essere in continua nimicizia con questi.
45. 5. rubi, derubi, metta a sacco. V. e.
XV, 58, n. 8.
— 7. b. trista pelle, ben poco valore, sa-
rebbe di cattiva qualità. È significato non
registrato dai vocabolari.
4C. 1. ancor che p. n. C'è una delle solite
inversioni, cosi frequenti nell'Ar., e non già,
come pensa alcuno, un significato speciale
di ancor che. Intendi: se tu mandi navi,
ancorché poche, ancorché siano poche.
— 3. cavi (dalla forma spagnuola cabo,
propriam. capo, estremila della fune, poi
la fune stessa) grosso canapo delle navi.
1 47. 1. il tempo, P occasione (lat. (r/n^ws).
CANTO XXXVIII
521
Poi ch'Orlando non c'è, far resistenza
Non ti può alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
L'onorata vittoria che t' aspetta,
Volterà il calvo, ove ora il crin ne mostra,
Con molto danno e lunga infamia nostra.
4S
Con questi et altri detti accortamente
Llspauo persuader vuol nel concilio.
Che non esca di Francia questa gente,
Fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il Re Sobrin che vide apertamente
Il camino a che andava il Re Marsilio,
Che più per Tutil proprio queste cose.
Che pel commun dieea, cosi rispose:
49
Quando io ti confortava a stare in pace,
Fosse io stato. Signor, falso indovino ;
0 tu, se io dovea pure esser verace,
Creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
E non più tosto a Rodomonte audace,
A Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
Li qnali ora vorrei qui avere a fronte:
Ma vorrei più degli altri Rodomonte,
50
Per rinfacciargli che volea di Francia
Far quel che si faria d'un fragil vetro,
E in cielo e ne lo 'nferuo la tua lancia
Cosi nel e. J, 76, 5; xviii, 75, 4. Nella ediz.
del 1516 si leggeva « Piglia l'occasion ».
— 4. setta. Qui ha il suo proprio sigui-
licato. Per un guerriero Maomettano il cri-
stianesimo non doveva essere che una setta
nemica.
— 5. per non veder; per poco accorgi-
mento. Cosi nel e. xxx, 82, S.
— '. Volterà il calTo. Il Casella lo riferi-
sce a vittoria e spiega ; « Confonde la For-
tuna con la Vittoria, perché questa è data
spesso da quella ». Altri lo riferiscono a
tempo; e cosi avremmo più esatta corri-
spondenza col motto di Dionisio Catone:
«Fronte capillata, post est occasio calva»;
(V. e. XVIII, 161, n. 5.). Il riferimento è, a
dir vero un poco lontano ; ma abbiamo nel
Furioso molti distacchi simili.
48. 6. Il camino a eh. a.; dove tendeva,
dove voleva andare a riuscire; a qual fine
mirava.
— 7. per l'ntil pr. , per domare Carlo M.,
che era per lui un nemico troppo vicino.
49. 2. Fosse; fossi. V. e. xxxi, 12, u. 7.
— 5. a Rodom. a M. a A. a M. Ciò appare
daW Iniiam. II, i, 6ò; 45-51.
50. 1. volea di Francia ecc. Innam. II,
VI, 10, v. 4. « Tutta in tre giorni la (Francia)
voglio pigliare ».
— 3. E in cielo ecc. Innam. II, i, tó:
« In cielo'e nell'inferno il re Agramante Se-
guirò sempre e passerogli avante ».
Seguire, anzi lasciarsela di dietro;
Poi nel bisogno si gratta la pancia
Ne l'ozio immerso abomiuoso e tetro:
Et io che per predirti il vero allora
Codardo detto fui, son teco ancora ;
51
E sarò sempre mai, fin eh' io finisca
Questa vita ch'ancor che d'anni grave.
Porsi incontra ogni di per te s'arrisca
A qualunque di Francia più nome have.
Né sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
Di dir che l'opre mie mai fosser prave:
E non han più di me fatto né tanto
Molti che si donar di me più vanto.
52
Dico cosi, per dimostrar die quello
Ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
Né da viltade vien né da cor fello,
Ma d'amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch'ai paterno ostello.
Più tosto cbe tu poi, vegli redire:
Che poco saggio si può dir colui
Che perde il suo per acquistar l'altrui.
53
S'acquisto c'è, tu'l sai. Trentadui fummo
Re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
Or, se di nuovo il conto ne rassumrao
C'è a pena il terzo, e tutto '1 resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio sum-
Ma se tu vuoi seguir, temo di corto, imo:
Che non ne rimarrà quarto, né quinto;
E '1 miser popol tuo tìa tutto estinto.
54
Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
— 5. si gr. la pancia. Espressione volgare
ancor viva e comune per esprimere indo-
lenza.
— 6. tetro; oscuro, che rende oscuri.
51. 3. s" arrisca ; L'Ar. ed altri usarono
più volte risco per risico, donde arriscare,
piuttosto che da arrisicare per sincope.
— 7. né tanto, quanto me. Cosi nella
st. 4, 2.
52. 4. d'amor, da amor. V, e. v, 10, n. 5.
— 6. poi, puoi. Cosi anche nel e. xlvi,
106, dove il Morali mette puoi. •« Poi era
scritto dagli antichi; noi puoi » (N'annucci,
An. Cr., p. 640. — vegli, voglia. V. st. 40, n. 1.
— redire (lat. redire) ritornare: Dante,
Par. 18, 11, ha reddire.
5:ì. 3. rassummo; rassommo, assommo
(da rassuvimart^); se sommo il conto, se
faccio la somma. Per la parola e per il si-
gnificato si cita questo solo esempio del-
l'Ariosto. •
6. di corto. Appartiene alla proposizione
seguente: temo che di corto (fra breve) non
ne rimarrà ecc.
— 7. quarto né quinto. Manca l'articolo:
il quarto né il quinto.
54. 1. ove ecc.; mentre ora siamo pochi,
522
ORLANDO FURIOSO
Siàn pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
Se ben prolunga, nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
Mostra che non minor d'Urlando sia:
C'è il suo lignaggio, e tutti i Paladini,
Timore eterno a' nostri Saracini:
55
Et hanno appresso quel secondo Marte
(Ben che i nimici al mio dispetto lodo),
Io dico il valoroso Braudimarte,
Xon men d'Orlando ad ogni prova sodo;
Del qual provata ho la virtude in parte,
Parte ne veggo all'altrui spese et odo.
Poi son pili di che non c'è Orlando stato;
E pili perduto abbiàn che guadagnato.
56
Se per a dietro abbiàn perduto, io temo
Che da qui inanzi perderèn più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo:
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciata al punto estremo.
qualora ci fosse stato Orlando non ci sa-
rebbe rimasto alcuno.
— 4. n. sorte ria. È soggetto.
— 6. Mostra che... sia, mostra di essere.
V. e. I, 38, n. 6.
55. 5. provata ho ecc. Forse l' Ariosto
pensava e voleva riferirsi a quella grande
battaglia sotto le mura di Parigi, nella
quale Orlando e Brandimarte fecero contro
i Saracini mirabili prove (Innam. IH, viii).
Il Poeta finge che Sobrino ignori la sorte
di Brandimarte, che era stato fatto prigione
da Rodomonte (xxxi, 75).
— 7. Poi son p. di'. Questo luogo non è
chiaro. Si può iutendere: poi (inoltre) se
qualcuno non vuol dare a Rinaldo e a Bran-
dimarte r importanza che io ho data loro,
faccio rillettere che Orlando manca da più
giorni; eppure (e) abbiamo in questi giorni
più perduto che guadagnato: dunque la
mancanza d'Orlando non è troppo grande
vantaggio. — E anche: oltre Rinaldo essi
hanno ancora Brandimarte, che vale non
meno di Orlando; poiché (poi) son più
giorni che Orlando manca, eppure abbiamo
perduto più che g. Questo prova che Ri-
naldo e Brandimarte compensano Orlando.
— Poi per poiché Petrarca, i son. 49: « Ma
poi vostro destino a voi pur vieta D'essere
altrove, provvedete almeno ecc. »; e per «ìj-
pure è frequente nella letteratura e comune
ancora nelP uso. È preferibile la prima in-
terpretazione.
— 8. abhiàn, abbiam. V. e. ix, 43, n. 8.
.56. 2. p. in grosso; in misura maggioi'e.
È espressione assai usata con varie sfuma-
ture di significato.
— 5. n'ha lasciata, n' ha lasciato. Y. e.
E cosi il Re d'Algier, di cui dir posso.
Che, se fosse fedel, come gagliardo.
Poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
57
Ove sono a noi tolti questi aiuti,
E tante mila son dei nostri morti;
E quei ch'a venir han, son già venuti.
Né s' aspetta altro legno che n'apporti:
Quattro son giunti a Carlo, non tenuti
Manco d'Orlando o di Rinaldo forti;
E con ragion; che da. qui sino a Battro
Potresti mal trovar tali altri quattro.
58
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
E Sansonetto e i tìgli d'Oliviero.
Di questi fo più stima e più tema aggio,
Che d'ogni altro lor Duca e Cavalliero,
Che di Lamagnao d'altro stran linguaggio
Sia contra noi per aiutar l' Impero:
Bench'importa anco assai la gente nuova
Ch' a' nostri danni in campo si ritrova.
59
Quante volte uscirai alla campagna.
Tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perde il campo Africa e Spagna,
Quando siàn stati sedici per otto;
VI, 3f, n. 5. Nell'ediz. del 1516 e del 1521 si
leggeva n^fia lasciati. Il Panizzi cosi legge,
ma questa bizzarra attrazione è confer-
mata da altri luoghi citati nel e. vi, ed è
per ciò da ritenere autentica.
— 8. P. uopo era G.; faceva poco bi-
sogno Gr.
67. 1. Ove, mentre. V. e. xxxv, 46, 8.
— 2. mila, migliaia. Mila non solo si
pone dopo un aggettivo numerale; ma an-
che dopo un quantitativo, specialmente da-
gli antichi, e trovasi molti mila, molle,
tante mila (Caro, En. 12, 220).
— 3. E quei ecc. E tutti quegli aiuti, che
potevamo avere, sono già tutti venuti.
— 7. a Battro, capit. della Battriana pro-
vincia della Persia. Qui vuol dire da ponente
(dov'è la Fi-ancia) all'oriente (dove è Battro).
58. 1. Non so ecc. Verso non bello per
troppi monosillabi e per troppe s.
— 7. la gente nuova. Accenna agli aiuti
Scozzesi e Inglesi condotti da Rinaldo.
69. 2. Tanto, tante volte. I vocabolari ci-
tano un solo esempio della Vita di Santa
Maria Maddalena, 53: «Io voglio morire
mille volte, se tanto potessi risuscitare».
— 4. siàn, siamo. 11 passo, che alcuni
trovano non chiaro e imbrogliano con di-
stinzioni e sottigliezze, è chiarissimo: se il
campo d'Affr. e Spagna perde quando sia-
mo stati sedici contro otto, che avverrà
quando, essendosi unita a Francia l' Ale-
magna, la Scozia, l'Inghilterra, non più se-
CANTO XXXVIII
523
Che sarà, poi ch'Italia e che Lamagna
Con Francia è unita, e '1 popolo Anglo e
E che sei contra dodici saranno? [Scotto ;
Ch'altro si può sperar, che biasmo e dan-
60 [no ?
La gente qui, là perdi a un tempo il re-
[gno,
S'in questa impresa pili duri ostinato ;
Ove, s'al ritornar muti disegno,
L'avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno,
Ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato :
Ma e' è rimedio, far con Carlo pace;
Ch'a lui deve piacer, se a te pur piace.
61
Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
dici si troveranno contro otto, ma sei (de'
nostri) contro dodici (cristiani) ? — Ed è
chiaro che è sempre il numero dei Saracini
contrapposto a un numero di cristiani.
60. 3. s'al ritornar m. dis.; Intenderei: se
muti disegno quanto al ritorno. E giacché
prima l'idea era di disfare ad ogni costo
cario Magno (cfr. innam. II, 1, 63, 6-i), ora il
disegno dovrebb'essere di tornare in Africa.
— al. in questo senso vedilo nel Petrarca,
canz. « Italia mia, benclié il parlar sia in-
darno alle plagile mortali (in risguardo alle
piaghe m.)». Ma è un uso notevole e raro.
— 4. servi, serbi l'avanzo di noi, quelli
che di noi ancora avanzano.
— 5. caso. La Crusca intende atto, e
cita questo solo esempio. Io vorrei piut-
tosto intendere caso nella sua comune ac-
cezione di supposizione : la supposizione
che tu debba lasciar MarsiUo nessuno la
farà, perché è indegna di te, ti farebbe di-
sonore, giacché ognuno ti taccerebbe d'in-
gratitudine. Caso per supiposizione veddo
nelle frasi comuni facciamo il caso che,
nel caso che (es. Mi sono premunito nel
caso che uno mi attaccasse). In ogni modo,
anche intendendolo, come la Crusca, per
atto, vi è r idea di atto che per avventura
potesse compiersi da Agramante.
— 6. Ch'ognun. Intendendo caso per atto,
il che è relativo usato liberamente a ino'
del popolo e il ne è pleonastico: del quale
ognun te ne terrebbe m. in. Intendendo
caso per supiposizione, il che sta per poi-
ché.
— 7. C è r. far; e' è rimedio; cioè far
con C. p.
— 8. Ch'alni deve p. ; la qual pace deve
piacere (suppongo che a lui piaccia) se ecc.
Il verbo dovere, in questo senso, è ancor
vivo neir uso : <• Questo libro deve averlo
pubblicato il tale »; cioè credo, e son quasi
certo lo abbia p. il t. Vedine altro esempio
nel e. XXXIII, 5, 3.
61. 1. non ci sia il t. o.; non sia salvo in
Se tu che prima offeso sei, la chiedi;
E la battaglia più ti sta nel core.
Che, come sia tìn qui successa, vedi;
Studia almen di restarne vincitore:
Il che forse avverrà, se tu mi credi, ^
Se d'ogni tua querela a un cavalliero •)
Darai l'assunto; e se quel fìa Ruggiero.
62 [tale,
Io 'I so, e tu '1 sai che Euggier nostro è
Che già da solo a sol con l'arme in mano,
Non men d'Orlando o di Rinaldo vale,
Né d'alcun altro cavallier Cristiano. .
Ma se tu vuoi far guerra universale;
Ancor che '1 valor suo sia sopraumano,
Egli però non sarà pili ch'un solo.
Et avrà di par suoi contra uno stuolo.
A me par, sa te par, ch'a dir si mandi
Al Re Cristian, che per tìnir le liti,
E perché cessi il sangue che tu spandi
Ogni or de' suoi, egli de' tuo' infiniti ;
Che contra un tuo guerrier tu gli domandi,
Che metta in campo uno dei suoi più arditi ;
E faccian questi duo tutta la guerra,
Fin che l'un vinca, e l'altro resti in terra:
64
Con patto, che qual d'essi perde, faccia
Che'l suo Re all'altro Re tributo dia.
Questa coudizion non credo spiaccia
A Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido si ne le robuste braccia
Poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
questa cosa il tuo onore, se ecc. È modo
vivissimo ancora.
— 4. Che ecc. Questa è un' amara rifles-
sione di Sobrino per sconfortarlo e sconsi-
gliarlo dalla battaglia.
— S. l'assunto, l'impresa erano espres-
sioni tecniche dei duelli e dei combatti-
menti: quindi i modi dar l'assunto, aver
Vas., prender Vass. o l'impresa di una
querela e simili.
Hi. 2. Che già, che certamente. È signi-
ficato del già ancora comune nell' uso. Pk-
TRARCA, I, son. 116: «già sol io non in-
vecchio ».
63. 4. infiniti. Riferiscilo tanto a suoi che
a tuoi: (che tra tutti sono infiniti).
— 5. Che. Sulla ripetizione del che cfr.
e. v. 27, n. 6.
— 7. tntta la g.; tutta quella guerra, che
dovremmo far noi, la faccian loro, e la
facciano in modo che uno resti interamente
oppresso.
64. 1. faccia, produca, con la sua disfatta,
l'effetto che ecc.
-^ 4. sul Tantaggio sia; abbia vantaggio
su noi. È locuzione non citata dai vocabo-
lari.
— 5-6. Mi fido si... che ecc. Ho tanta fi-
ducia nella forza di Ruggero; che non può
524
ORLANDO FURIOSO
E ragion tanta è da la nostra parte,
Che vincerà, s'avesse incontra Marte.
65
Con questi et altri più efficaci detti,
Fece Sobrin si, che'l partito ottenne;
E gl'interpreti tur quel giorno eletti,
E quel di a Carlo l'imbasciata venne.
Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,
Vinta per sé quella battaglia tenue,
Di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,
In ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
6(5
Di questo accordo lieto parimente
L'uno esercito e l'altro si godea;
Che '1 travaglio del corpo e de la mente
'i'ntti area stanchi, e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
De la sua vita disegnato avea;
Ognun maledicea l'ire e i furori
Ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.
67
Rinaldo che esaltar molto si vede,
Che Carlo iu lui di quel che tanto pesa,
Via più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
Lieto si mette all'onorata impresa:
Ruggier non stima; e veramente crede
essere a meno che egli vinca: la mia molta
fiducia mi assicura che vincerà. — Dunque
la correlazione non è né potrebbe essere
tra la fiducia di Sobrino e la vittoria di
Ruggero; ma fra questa e il presentimeuto,
che da quella fiducia è ingenerato. Cosi
diremmo ; ne ho tanta paura che certo
quella disgrazia accadrà: cioè la paura mi
dà il presentimeuto che la disgrazia acca-
drà. Potremmo anche, meno bene, dare al
si il significato confermativo {certainente,
invero), che ha spesso negli antichi, e che
abbiamo notato nel e. xvi, 43, n. 4, e allora
il che del v. 6, sarebbe pron. i-elativo, o
congiunzione dichiarativa com' era nella
prima ediz. « Io mi confido iu le robuste
braccia, Poi di R. cbe vinc. ne f. ».
G5. 2. il partito ottenne; ottenne che fosse
accett. il part.; la proposta. Nel e. xx, 54, 8
l'espressione è passiva: il parere si ot-
tenne, il parere suo, ciò che a lui pareva
bene, fu da lui ottenuto.
— 8. In eh', in chi; in cui.
«C. 2. si godea, si compiaceva di questo
accordo l'uno esercito e l'a., ugualmente
lieto. ^j'A Crusca in questo senso non cita
nessun esempio della forma riflessa, che
rende la forma latina deponente e accenna
con pi'oprietà l'intimo sentimento.
67. 2. Che C. Può essere congiunzione di-
chiarativa: e vede che Carlo ecc.; e può
essere anche nel senso di poiché. — di
quel; quanto a quel. È complem. di limi-
tazione: va, 10, n. 6.
Che contra sé non potrà far difesa:
Che suo pari esser possa non gli è avviso.
Se ben in campo ha Mandricardo ucciso.
68 [to
Ruggier da l'altra parte, ancor che mol-
Onor gli sia che '1 suo Re l'abbia eletto,
E pel miglior di tutti i buoni tolto,
A cui commetta un si importante efifetto;
Pur mostra affanno e gran mestizia in vol-
Non per paura che gli turbi il petto; [to.
Che non eh' un sol Rinaldo, ma non teme
Se fosse con Rinaldo Orlando insieme:
69
Ma perché vede esser di lui sorella
La sua cara e fidissima consorte,
Ch'ognior scrivendo stimola e martella,
Come colei ch'è ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie offese aggiunge quella
I Centrare in campo a porle il frate a morte,
■Se la farà, d'amante, cosi odiosa,
Ch'a placarla mai più fia dura cosa.
70
Se tacito Ruggier s'affligge et ange
De la battaglia che mal grado prende.
La sua cara moglier lacrima e piange.
Come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l'auree chiome frange,
E le guancie innocenti irriga e offende;
E chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destìn crudele.
71
D'ogni fin che sortisca la contesa,
A lei non può venirne altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa im-
[presa,
— 8. Se ben... ha. V. e. xvi, 2, n. 4.
SS. 4. A cui commetta; affinché a lui com-
metta; lo ha scelto per affidargli ecc. La
proposizione relativa invece della finale è
uso latino, passato abbondantemente nella
nostra lingua. — effetto; di finire la guerra.
— 7. Che non eh' un s. R.; poiché non
dico che tema un sol R., ma non teme ecc.
Su quest'espressione vedi e. vii,«62, n. 1.
69. 3-4, Ch'ognior ecc., la quale, scriven-
dogli, continuamente lo stimola a farsi cri-
stiano e lo martella, lo rimprovera, della
sua ostinazione a durare con Agramante,
come colei che si sente ingiuriata forte-
mente da questo suo contegno, e come a-
mante e come cristiana.
— 7. odiosa. Qui è attivo: che odia,
come nel e. xliv, 55, 2. È già nel Cavalca,
Vit. SS. PP- 2, 250: « Due chierici scellerati
insieme odiosi (che si odiavano 1' un l'al-
tro)»; e in altri scritti del Trecento.
— 8. Ch'a placarla ecc. Sul costrutto cfr.
FORNACiARi, Sint. p. 199.
70. 1. ange (lat. angitur), s'angustia.
— 3. moglier, mogliere. V. e. xvni, 53,
n. 7 e XVI, 14, u. 7.
CANTO XXXYIII
525
Pensar non vuol; che par clie '1 cor le to-
felia.
Quando anco, per punir più d'una offesa,
La ruina di Francia Cristo voglia,
Oltre che sarà morto il suo fratello,
Seguirà un danno a lei pili acerbo e fello:
72 [no
Che non potrà,senonconbiasmoe scor-
E nimicizia di tutta sua gente,
Fare al marito suo mai più ritorno.
Si che lo sappia ognun publicamente,
Come s'avea pensando notte e giorno,
Più volte disegnato ne la mente:
E tra lor era la promessa tale,
Che'l ritrarsi e il pentir più poco vale.
73
Ma quella usata ne le cose avverse
Di non mancarle di soccorsi fidi.
Dico Melissa maga, non soft'orse
Udirne il pianto e i dolorosi gridi :
E venne a consolarla,e le proferse,
Quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
E disturbar quella pugna futura
Di ch'ella piange e si pon tanta cura.
74
Rinaldo intanto e l'inclito Ruggiero
Apparecchiavan l'arme alla tenzone,
Di cui dovea l'eletta al cavalliero
"l. 4. che par ecc., poiché pare che que-
sto pensiero le tolga dal petto il cuore, le
strappi il cuore.
— 5. Quando anco. Avverti il passaggio :
ma anche quando Ruggero sia vincitore (e
questo è il pensiero che più l'alletta).
72. 1. Che. Può essere perchè; e anche
congiunzione dichiarativa dipendente da
seguirà un (tanno: il danno che ecc.
— S. pentir, pentirsi. Abbiamo notata
spessissimo nell'Ar. l'omissione delle par-
ticelle pronominali. Del resto anche il solo
pentir si usò per pentirsi già da Dante
Inf. 27, 19; e Purg. 5, 55. — Ritrarsi e pen-
tirsi sarebbe giovato poco a lei, perché le
promesse fatte a Ruggero erano cosi so-
lenni, che senza gravissimi motivi egli non
le avrebbe concesso di ritirarle. E questi,
tra cavalieri, non eran motivi suflìcienti.
— più poco, poco da qui in avanti: sarebbe
giovato prima di confermare tante pro-
messe, ormai non più.
73. 5. le proferse. Invece del comune si-
gnific. di offrire, piacerebbe meglio qui
quello di promettere; ma non posso con-
fortarlo con esempi.
— 8. si pon cura...; si dà pensiero. La
Crusca cita di questa locuz. un altro solo
esempio d'un antico romanzo in prosa.
74. 3. dovea. Intendono generalmente si
doveva, era dovuta; ma su quale auto-
rità? Io credo invece che il soggetto sia
Ruggero: e che questo soggetto abbia fa-
Che del Romano Imperio era campione.
E come quel che, poi che'l buon destriero
Perde Baiardo, andò sempre pedone.
Si elesse a pie, coperto a piastra e a ma-
glia.
Con l'azza e col pugnai far la battaglia.
75
0 fosse caso, o fosse pur ricordo
Di Malagigi suo provido e saggio
Che sapea quanto Balisarda ingordo
Il taglio avea di fare all'arme oltraggio;
Combatter senza spada tur d'accordo
L'uno e l'altro guerrier,coine detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
De l'antiquo Arli, in una gran pianura.
76
A pena avea la vigilante Aurora
Da l'ostel di Titon fuor messo il capo
Per dare al giorno terminato, e all'ora
Ch'era prefissa alla battaglia, capo;
Quando di qua e di là vennero fuora
I deputati; e questi in ciascun capo
Degli steccati i padiglion tiraro.
Appresso ai quali arabi un aitar fermare.
cilmente suggerito il verbo, perché è ap-
punto r ultimo e il più prossimo dei due
nomi.
— 5. E come quel che; e come cfilui cbe.
O anche: e poiché quegli. — Era dovuta a
Rinaldo l' eletta dell' arme, perché Agra-
mente era lo stidatore.
— 6. Perde Baiardo; V. e. XXIU, 84 Sgg.
— t^. Con l'azza (ted. hache per il fi'ancese
hache). Arme in asta lunga circa un brac-
cio con ferro in cima e un altro a traver-
so, che da una parte è acuto, dall'altro a
guisa di martello.
7.">. 1. 0... pur. V. e. VI, 4, U. 7.
— 3. quanto Bai. Era fatta per incanto
e tagliava qualunriue arme, fosse pure in-
cantata: Innam. II, iv ; xi, G.
' — 7. Del luogo ecc. ; quanto al luogo.
Complemento di limitazione. — s'acc. p. alle
m. Sottintendi di combattere presso alle
mura.
70. 3-4. dare... capo, dar principio. La
Crusca non cita né questo significato di
capo, né questa locuzione. Altri cita solo
questo esempio deU'.\riosto.
— 3. terminato, stabilito. Cosi nel e. xi.v,
64; e'cosi il Boiardo, Innam. Ili, v, 5, ma
è raro pur negli antichi. ,
— 6. I deputati, ( partic. da deputare)
i servi destinati a tali lavori preparatori;
non già i giudici ilei campo, come taluno
stranamente intende.
— 7. i padiglion; Per i due guerrieri:
cfr. e. xxYii, 48.
— 8. un aitar Generalmente se ne fa-
ceva uno solo nello steccato: ma poiché
526
ORLANDO FURIOSO
77 [schiera,
Non molto dopo, iustrutto a schiera a
Si vide uscir l'esercito Pagano.
In mezzo armato, e sontuoso v'era
Di barbarica pompa il Re Africano;
E s'un baio corsier di chioma nera.
Di fronte bianca, e di duo pie balzano
i A par a par con lui venia Ruggiero,
' A cui servir non è Marsilio altiero.
78
L'elmo, che dianzi con travaglio tanto
Trasse di testa al Re di Tartaria,
L'elmo che celebrato in maggior Canto
Portò il Troiano Ettòr mill'auni pria.
Gli porta il Re Marsilio a canto a canto :
Altri Principi et altra Baronia
8'hanno partite l'altr'arme fra loro,
qui si tratta di due religioni differenti, cosi
sono due gli altari. — ai quali ambi, ad
auibi i quali, ad ambedue i quali (padi-
glioni). — fermaro ; eressero, posero. Bo-
soNE DA Gubbio, Avv. Cic. 78: «Quivi fer-
marono gli loro padiglioni e tende ».
77. 1. instrntto, ordinato. V. e. vi, 44, n. 6.
— '.i-i. sontuoso... di b. p.; magnifico per
b. p. .Veramente suntuoso si disse di cose,
che richiedono grande spesa, e in latino an-
che di persone, che spendono oltre il con-
venevole; e sonava biasimo. Questo dunque
dell'Ai', è un uso molto notevole.
— G. di duo p. balzano (alcuni da balza,
. quasi quel bianco sia una balza; altri dal-
l'arab. bàlhiisan — con ornamenti); bal-
zano in due piedi (complem. di limitazione).
— 8. A cui servir ecc. ; a servire il quale
Marsilio non si l'ifiuta per alterezza. Essere
(Utero a fare una cosa in questo senso si
trova anche nel e. xv, 75, 4, dove però l'ar-
dimento scompare dietro l'altro costrutto
regolare non fu tardo a salutar. Qui in-
vece appare nettissimo il modo e il costrut-
to, che nessun vocabolario, neppur la N.
Crusca, registra: e pure è bello.
7S. 3. che e. in m. canto; celebrato nel
canto di Omero, nell' Iliade, dove Omero
parla di quest'elmo nel lib. vi e lo chiama
lutto splendente (v. ATA). L'.vr. chiama 1' I-
liade caìtto maggiore del suo.
— 4. mill'anni. È detto per un gran nu-
mero indeterminato. Si ritiene in generale
che Omero vivesse nel sec ix av. C; dun-
que la guerra Troiana, che è molto più an-
tica, sarebbe avvenuta ben prima di mille
anni dal tempo di Carlo Magno.
— 5. Gli porta; 1' elmo e la lancia eran
comunemente portati dagli scudieri; men-
tre lo scudo era portato al collo dallo stesso
cavaliere. — a canto a e. Con la ripet. acqui-
sta valore come di superlativo. IO questa
vicinanza indica 1' affetto e la simpatia.
— 7. l'altr'arme ; le armi difensive ; coraz-
Ricche di gioie e ben fregiate d'oro.
i 79
I Da l'altra parte fuor dei gran ripari
Re Carlo usci con la sua gente d'arme,
I Con gli ordini medesmi e modi pari
j Che terria, se venisse al fatto d'arme.
i Cingonlo intorno i suoi famosi Pari;
i E Rinaldo è con lui con tutte l'arme,
i Fuor che l'elmo che fu del Re Mambrino,
i Che porta Uggier Danese, Paladino.
' 80
! E di due azze ha il duca Namo l'una,
i E l'altra Salamon Re di Bretagna.
: Carlo da un lato i suoi tutti laguna;
I Da l'altro son quei d'Africa e di Spagna.
i Nel mezzo non appar persona alcuna:
I Voto riman gran spazio di campagna,
i Che per bando commune, a chi vi sale,
ì Eccetto ai duo guerrieri, è capitale.
I ^1
I Poi che de Tarme la seconda eletta
I Si die al campion del popolo Pagano,
I Duo sacerdoti, l'un de l'una setta.
za, usbei'go, gambali ecc. delle quali Rugg.,
si vesti nel padiglione come fecero Mau-
dricardo e Rodomonte nel e. xxvii, 48-19;
Rinaldo invece ne venne già vestito.
79. 2. gente d'arme, gli armati, l' eser-
cito. Esce dunque come a battaglia, per
opporsi, nel caso di bisogno, al nemico.
— 5. Pari, Paladini. In italiano si cita
solo questo esempio. Negli antichi romanzi
si trovano spesso chiamati cosi : Nel lin-
manzo d'Alessandro, citato dal Du Cangi';,
si legge: « Eslisez douze Pers, qui soieiu
oompagnon, Qui meuent vos batailles ».
50. 1. due azze. Rinaldo avea scelto (pri-
ma eletta) l'azza: ne porta dunque due, una
per sé e una per l' avversario, che aveva
diritto di scelta (la seconda eletta).
— 7. a chi vi sale; a chi vi salta, a chi
va dentro questo spazio. Cosi nel e. xxvii,
60, 7, abbiamo Salire in campo; e li\ tro-
verai la nota.
— 8. è capitale; è delitto capitale. Ri-
corda la formola delle xii tavole capital
esto. Il soggetto è cosa, fatto o simile, sot
tinteso ; non è già il cfie dei v. 7, riferen-
tesi a spazio. Quel che è un relativo pleo-
nastico simile a quelli notati nel e. i, 65,
5; XX, 63, 7; xxxiit, 105, 4,
51. 1. la Sec. el.; la seconda scelta. La
prima 1' aveva fatta Rinaldo , eleggendo
l'azza.
— 3. setta, qui religione, senza nessun
senso dispregiativo. Esempio cosi spiccato
manca nei vocabolari. Forse potremmo an-
che intendere setta semplicemente per se-
guaci e spiegare : due sacerdoti uscirono,
uno dalla schiera dei suoi seguaci, l'altro
CANTO xxxviri
527
L'altro de l'altra, uscir coi libri in mano.
In quel del nostro è la vita perfetta
Scritta di Cristo ; e l'altro è l'Alcorano,
Con quel de lEvangelio si fé' inante
L'Imperator, con l'altro il Re Agraraaiiti^.
82
Giunto Carlo all'aitar che statuito
I suoi gli aveano, al ciel levò le palme,
E disse: 0 Dio, c'iiai di morir patito
Per redimer da morte le nostr'alme;
O Donna, il cui valor fu si gradito.
Che Dio prese da te l'umane salme,
E nove mesi fu nel tuo santo alvo,
Sempre serbando il fior virgineo salvo:
S:]
Siatemi testimoni, ch'io prometto
Per me e per ogni mia successione
Al Re Agramante, et a chi dopo eletto
Sarà al governo di sua regione,
Dar venti some ogni anno d'oro schietto,
S'oggi qui riman vinto il mio campione;
E ch'io prometto subito la triegua
Incominciar, che poi perpetua segua:
84
E se 'n ciò manco, subito s'accenda
La formidabil ira d'ambidui.
La qual me solo e i miei figliuoli offenda,
Non alcun altro che sia qui con nui;
Si che in brevissima ora si comprenda
Che sia il mancar de la promessa a vui.
Cosi dicendo, Carlo sul Vangelo
Tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.
85
Si ievan quindi, e poi vanno all'altare
Che riccamente avean Pagani adorno;
dall'altra. In questo senso usò setta Dante
nel Conv. 49: « E ciascuna di queste rei-
tadi ha si gran setta, che ecc. ».
— 7. Con quel ecc. Intendi che Carlo si
avanzò avendo seco il sacerdote che teneva
il Vangelo, Agr. col papasso che teneva
l'Alcor.; non già che i re tenessero in mano
i libri essi stessi: cfr. st. S6, 3.
8'2. 1. statuito, fatto, inalzato. In questo
senso citasi solamente questo luogo del-
l'Ariosto.
— 3. patito, sofferto; ti s^ei sottoposto
alla morte.
— 6. salme, corpo. Qui vale per il sin-
golare salma, che, in tal senso, comune-
mente si usa.
— 8. Sempre serbando sottintendi tu. Ma
non è sintatticamente chiaro.
83. 2. successione. L'astratto per il con-
creto: successore.
— 5. some. Era una misura fissa di der-
rate o di altre cose, che si caricavano a
soma di cavallo o simih : e variò da luogo
a luogo intorno alle 1000 libbre.
84. 2. ambidul, Cristo e la Vergine.
85. 2. Pagani, ì Pag. L' omissione dell' ar-
Ove giurò Agramante, ch'oltre al mare
Con l'esercito suo farla ritorno.
Et a Carlo darla tributo pare.
Se restasse Ruggier vinto quel giorno;
E perpetua tra lor triegua saria.
Coi patti ch'avea Carlo detti pria.
86
E similmente con parlar non basso, [te,
Chiamando in testimonio il granMaumet-
Sul libro che in man tiene il suo Papasso,
Ciò che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo si partono a gran passo,
E tra i suoi l'uno e l'altro si rimette :
Poi quel par di campioni a giurar venne;
E'I giuramento lor questo contenne:
87
Ruggier promette, se de la tenzone
Il suo Re viene o manda a disturbarlo
Che né suo guerrier piti, né suo Barone
Esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che se cagione
Sarà del suo Signor quindi levarlo.
Fin che non resti vinto egli o Ruggiero,
Si farà d'Agramante cavalliero.
88
Poi che le cerimonie finite hanno
Si ritorna ciascun da la sua parte ;
Né v'indugiano molto, che lor danno
Le chiare trombe segno al fiero Marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno.
Con senno i passi dispensando et arte.
Ecco si vede incominciar l'assalto,
Sonar il ferro, or girar basso, or alto.
89
Or in anzi col calce, or col martello [de
Accennan quando al capo e quando al pie-
Con tal destrezza e con modo si snello.
Ch'ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier che combattea contra il fratello
Di chi la misera alma gli possiede,
A ferir lo venia con tal riguardo,
Che stimato ne fu manco gagliardo.
90
Era a parar, più ch'a ferire, intento;
ticolo determinativo è frequentissima nel
Fiirioso.
se. 3. Papasso, (grec. papds), nome dei
sacerdoti in oriente. Dalla stessa radice è
papa.
87. 5. cagione, colpa. Boccaccio, Fiamm.
74: « Dando di ciò al sozzo tempo cagione ».-
E comunemente: «per cagion mia» e simili.
— 0. q. levarlo; levarlo da questo com-
battimento.
88. 4. le eh. trombe; degli araldi.
— 6. dispensando, facendo : cosi nel e.
XXXII, 60, n. 2.
89. 1. calce... martello. Si ricordi che era
un'azza.
528
ORLANDO FURIOSO
E uon sapea egli stesso il suo desire.
Spegner Rinaldo saria mal contento;
Né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
90. 2. il suo desire. È dichiarato dai due
versi seguenti. — Nella ediz. del 1510 il
cauto finiva con la stanza 88. Nell'edizione
Ove convien V istoria differire.
Ne l'altro Canto il resto intenderete,
S'udir ne l'altro Canto mi vorrete.
del 1521 furono qui trasportate le st. 11 e
12 del seguente : « Or innanzi col calce »
« Era a parar »; e quest'ultima leggermente
modificata per la chiusa.
CANTO XXXIX*
, L'affanno di Ruggier ben veramente
È sopra ogn'altro duro, acerbo e forte,
Di cui travaglia il corpo, e piti la mente,
Poi che di due fuggir non può una morte;
O da Rinaldo, se di lui possente
Fia meno, o se fia più, da la consorte:
Che se '1 fratel le uccide, sa ch'incorre
Ne l'odio suo, che più che morte aborre.
2
Rinaldo, che non ha simil pensiero,
In tutti i modi alla vittoria aspira:
Mena de l'azza dispettoso e fiero; [mira.
Quando alle braccia, e quando al capo
Volteggiando con l'asta il buon Ruggiero
Ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;
E se percuote pur, disegua loco
Ove possa a Rinaldo nuocer poco.
q
Alia più parte dei signor Pagani
Troppo par disegnai esser la zuffa:
Troppo è Ruggier pigro a menar le mani ;
Troppo Rinaldo il giovine ribuffa.
* L'ediz. del 1516 ha in più, al principio
di questo canto, undici stanze; dieci delle
quali furono, già per l'ediz. del 1521, sop-
presse ; due portate nel canto precedente
e una aggiunta di nuovo, e poi leggermente
modificata per l'edizione del 1532, dove è
la prima del canto.
1. 3. Di cui, del quale Ruggero questo af-
fanno travaglia il corpo.
— 1. dì due... una m., di due morti che
gli si presentano, non può fuggirne una; o
(la Rinaldo (o la morte datagli da Rinaldo)
o ecc. Neil' ediz. del 1521 più chiaramente :
« Né de le due fuggir potea una morte ».
2. 3. m. de l'azza; m. con Pazza. V. e.
XXV, 53, n. 5.
— 7. disegna, prende di mira. Per questo
significato non si cita che questo luogo del-
l'Ariosto. — se . . . pur. Se anche. È una
tmesi.
a. 4. ribuffa. Il Fanfani e il Tommaseo
lo derivano da J;i</7'a, che vive ancora in
Smarrito in faccia il re Re degli Africani
Mira l'assalto e ne sospira e sbuffa:
Et accusa Sobrin, da cui procede
Tutto l'error, che '1 mal consiglio diede.
4
Melissa in questo tempo, ch'era fonte
Di quanto sappia incantatore o mago,
Avea cangiata la feminil fronte,
E del gran Re d'Algier presa l'imago.
Sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,
E parca armata di pelle di drago;
E tal lo scudo, e tal la spada al fianco
Avea, quale usava egli, e nulla manco.
5
Spinse il demonio, inanzi al mesto figlio
Del Re Troiano, in forma di cavallo;
E con gi'an voce e con turbato ciglio
Disse: Signor, questo è pur troppo fallo.
qualche dialetto nel senso di colpo (e quindi
l'italiano buff'etto), e spiegano: dà bòtte,
percuote. Il Bolza, senz' altra spiegazione^
intende iìiveste con violenza. Io credo che
sia il verbo rabbiifTare in una forma ana-
loga ad altre usate dall'Ar. {rifrescare, ri-
cogliere, ricontare), e intendo: lo investe
e lo scompiglia con la furia dei suoi colpi.
È frequente nel Boiardo, I, ni, 81; xviii,
26; II, IX, 13; x, 41.
4. 1. fonte, che conosceva largamente e
usava generosamente. Cosi diciamo fonte
di scienza e simili.
— 3. fronte, figura. Cosi l' Anguillara
disse {Met. 14, 192): «viver sott'altra fron-
te » e il Tasso [Ger. 10, 68): «o vesta ir-
suta fronte ».
— 6. di p. di drago; V.C. xiv, US. « Sic-
come Giuturna (Eneide 12, 224 segg.), so-
rella di Turno, sotto la forma di Camerte
disturba i patti giurati fra il re Latino ed
Knea, cosi parimente l'Ar. ecc. » (Dolce).
Ricorda il duello fra Raimondo di Tolosa
e Argante (Ger. 7) interrotto da Gradino, e
il duello fra Sacripante e Agricane {Inn.,
I, XI, 15), interrotto da Torindo.
CANTO XXXTX
529
Ch'un giovene inesperto a far periglio
Contra un si forte e si famoso Gallo
Abbiate eletto in cosa di tal sorte,
Che 'I regno e Toner d'Africa n' iniporte.
6
Non si lassi seguir questa battaglia
Che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Eodomonte sia; né ve ne caglia
L'avere il patto rotto e '1 giuramento.
Dimostri ognun, come sua spada taglia:
Poi ch'io ci sono, ognun di voi vai cento.
Potè questo parlar si in Agramante,
Che senza più pensar si cacciò inante.
7
Il creder d'aver seco il Re d'Algìeri
Fece che si curò poco del patto;
E non avria di mille cavallieri
Giunti in suo aiuto si gran stima fatto.
Perciò lancio abbassar, spronar destrieri
Di qua, di là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue fìnte larve
La battaglia attaccò, subito sparve.
8
I duo campion che vedeno turbarsi
5. 5. far periglio; far prova. Cosi nel e.
XIX, 70, 3. È il latino periculum facere. Fu
modo molto amato dal Monti: Mascher. 1,
85; Bardo, 5, 74; II. 5, 288.
— 7-8. di tal sorte che, di tal maniera
che. V. e. vili, 75, n. 4.
— 8. n' importe, ne importi, porti con
sé. Il congiuntivo, invece del più comune
indicativo, rende il costrutto latino nelle
proposizioni consequenziali.
6. 2. Che ne sarebbe in ecc. ; la quale ne
sarebbe di troppo d. ; apporterebbe troppo
d. Sono locuzioni comuni nella nostra lin-
gua essere in vantaggio, in danno e simili.
— 3. Sn Rodom. sia. Il Romizi: « Si lasci
a Rodomonte il peso della battaglia che ha
da esser generale ». Io intendo : Sia sopra
Rodomonte la responsabilità (dei patti in-
franti). Questa interpretazione mi pare più
confacente a ciò che precede e a ciò che
segue, sf aggiunga che 1' espressione sia
sopra di me (la qual non mi par citata dai
vocabolari) è simile alle altre prendo la
cosa sopra dì vie; mettila sopra di me ecc.,
le quali tutte accennano alla responsabilità,
piuttosto che alla esecuzione di una cosa.
— 3-4. né ve ne e... l'avere. I costrutti
regoiai'i sarebbero: né vi caglia d'avere;
né vi caglia avere. Il tie è pleonastico e
nuoce alla chiarezza.
— 7. Potè. L'ediz. del 1516 ha puote.
7. 7. larve. V. e. xvii, 46, n. 5. Dalla di-
chiarazione, che a quel luogo si dà, appa-
risce che finte qui ridonda.
8. I. vedeno, vedono. V. e. xxxvi, 40,
n. 3. — turbarsi, disturbarsi.
Ariosto — Papiri
Contra ogni accordo contra ogni promes-
Senza più l'un con l'altro travagliarsi, [sa,
Anzi ogni ingiuria avendosi rimessa.
Fede si dan, né qua né là impacciarsi.
Fin che la cosa non sia meglio espressa,
Chi stato sia che i patti ha rotto inante,
0 '1 vecchio Carlo, o '1 giovene Agramante.
9
E replican con nuovi giuramenti
D'esser nimici a chi mancò di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti:
Chi porta inanzi, e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti
In un atto medesimo si vede.
Son tutti parimente al Correr presti;
Ma quei corrono inanzi, e indietro questi.
10
Come levrier che la fugace fera
Correre intorno et aggirarsi mira.
Né può con gli altri cani andare in schiera,
Che '1 cacciator lo tien, si strugge d'ira,
Si tormenta, s'affligge e si dispera,
Schiattisce indarno, e si dibatte e tira:
Cosi sdegnosa infin allora stata
Marfisa era quel di con la cognata.
11
Fino a quell'ora avean quel di vedute
Si ricche prede in spazioso piano;
E che fosser dal patto ritenute
Di non poter seguirle e porvi mano,
— 5. Fede ecc. Si danno promessa di
non impacciarsi né nelle faccende d' un
pai'tilo, né in quelle dell'altro.
— 6. espressa, chiara. V. e. xi, 81, n. 7.
9. 3. Sozzopra ecc. Tutte le genti se ne
vanno in scompiglio. Per la forma sozzo-
2)ra cfr. e. xiv, 128, n. 8.
— 4. chi rit. il p. , chi torna indietro.
V. e. xxvii, 66, n. 6.
— 6. In un atto m. ; nello stesso atto del
correre : cioè corrono tutti, ma i vili in-
dietro, i valorosi avanti.
10. 1. la fugace f. È epiteto Virgiliano,
En. 9, 59: « feras fuyaces ».
— 6. Schiattisce o squittisce (etimologia
incerta ). È 1' abbaiare acuto e interrotto
dei bracchi, che aspirano alla preda. —
tira, la corda che lo tiene legato.
— 8. Marf... con la cogn. Intendi: Mar-
fisa e la cognata.
11. 2. Si ricche ecc. cosi ricche che era
ragionevole lo sdegno loro. Credo che sia
quel si, che usiamo tanto spesso nelle pro-
posizioni consequenziali, omettendo l'apo-
dosi. Vedine l'esempio nella st. 17, 2: «Si
la relig. g. p. il e. {che non potè tratte-
nersi)-». Potrebbe anch'essere esclamativo:
prede tanto ricchel; e anche come il si,
di cui nel e. xvi, 43, n. 4.
— .3-4. ritenute di n. poter: Ritenere
lino 0 ritenersi di fare e anche di non
34
530
ORLANDO FURIOSO
Kam ancate s'erano e dolute,
E n'avean molto sospirato in vano.
Or che i patti e le triegue vider rotte,
Liete saltar ne l'Africane frotte.
12
Marfisa cacciò l'asta per lo petto
Al primo che scontrò, due braccia dietro:
Poi trasse il brando, e in men che non Flio
[detto,
Spezzò quattro elmi, che sembrar di vetro.
Bradamante non fé' minore effetto;
Ma l'asta d'or tenne diverso metro:
Tutti quei che toccò, per terra mise;
Duo tanti fur, né però alcuno uccise.
13
Questo si presso l'una all'altra fero,
Che testimonie se ne fur tra loro;
Poi si scostaro, et a ferir si diero.
Ove le trasse Tira, il popol Moro.
Chi potrà conto aver d'ogni guerriero
Ch'a terra mandi quella lancia d'oro?
0 d'ogni testa che tronca o divisa
Sia da l'orribil spada di Marfisa?
14
Come al soffiar de' più benigni venti.
Quando Apennin scuopre l'erbose spalle,
Muovonsi a par duo turbidi toii'enti
Che nel cader fan poi diverso calle;
Svellouo i sassi e gli arbori eminenti
Da l'alte ripe, e portan ne la valle
Le biade e i campi; e quasi a gara fanno
A chi far può nel suo camin più danno:
fare una cosa (trattenere o trattenersi dal
farla) son costrutti, che, sebbene non citati
dai vocabolari, vivono ancora nell' uso. Per
la negazione cfr. gli usi simili al canto v,
53, 1; XXXVI, 44, 7.
12. 2. dae tr. dietro; la cacciò fino a farla
passare due braccia dietro il dorso.
— 8. Duo tanti, di quelli colpiti da Mar-
fisa.
13. 2. testimonie. Nel e. xii, 51, 8, usò te-
stimonia: là troverai la nota,
— 6. quella lancia d'o. Osserviamo col
Gioberti che Bradamante, cui l'Ar. ha fatto
priucipalmente donna, è una guerriera non
mai truce ; e V espediente delia lancia d'oro
riesce ottimo per non bruttare di sangue
questa gentile figura. Nel Poema ella non
uccide che il gran traditore Pinabello. Ma
già il Boiardo aveva preparato in lei un
tipo speciale di guerriera, in cui il valore
e la forza si univano alla generosità e aUa
finezza del sentimento.
14. 1-8. Come al soff. Virgilio, Kn. 2,
305: « veluti... rapidus montano flumine
torrens Sternit agros sternit sata laeta
boumque labores, Praecipitesque Irahit sil-
vas ».
— 7. i campi, la terra smossa dei campi.
Il Caro, traducendo stupendamente Virgi-
15
Cosi le due magnanime guerriere,
Scorrendo il campo per diversa strada.
Gran strage fan ne l'Africane schiere,
L'una con l'asta, e l'altra con la spada.
Tiene Agraraante a pena alle bandiere
La gente sua, ch'in fuga non ne vada.
In van domanda, in van volge la fronte;
Né può saper che sia di Rodomonte.
16
A conforto di lui rotto avea il patto
fCosi credea) che fu solennemente,
I Dei chiamando in testimonio, fatto;
Poi s'era dileguata si repente.
Né Sobrin vede ancor: Sobrin ritratto
In Arli s'era, e dettosi innocente;
Perché di quel pergiuro aspra vendetta
Sopra Agramante il di medesmo aspetta.
17
Marsilio anco è fuggito ne la terra:
Si la religion gli preme il core.
Perciò male Agramante il passo serra
A quei che mena Carlo Imperatore
D'Italia, di Lamagna e d'Inghilterra,
Che tutte gente son d'alto valore;
Et hanno i Paladin sparsi tra loro,
Come le gemme in un riccamo d'oro:
18
E presso ai Paladini alcun perfetto
Quanto esser possa al mondo cavalliero,
Guidon Selvaggio, l'intrepido petto,
E i duo famosi figli d'Oliviero.
Io non voglio ridir, ch'io l'ho già detto,
Di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti Saracino
Tanto, che non v'è numero né fine.
lio, disse : « tempestoso e rapido torrente.
Che dal monte precipiti e le selve Ne meni
e i colti e le ricolte e i campi ».
16. 5. Ne... ancor; Neanche, neppure. Que-
ste tm^i sono frequenti nel Nostro (quando. ..
anche, o ... pure, se ... bene). V. e. xvi, 36,
n. 8.
— 6. e dettosi inn.; e si era protestato
innocente dello spergiuro fatto, per non
averne la responsabilità dinanzi all' eser-
cito, e per scongiurare dal suo capo l' ira
degli dei.
— 7. pergiuro. (Lat. perluì^ium) giura-
mento falso. È forma, come si vede, più
vicina al latino, sebbene meno usata.
17. 6. gente, genti. V. e. ix, 84, n. 1.
— 8. riccamo. È forma probabilmente
dialettale, se pure l'Ar. non volle acco-
starsi alla forma antica raccamare (arabo
raquatna).
18. 1. alcun. Sottintendi hanno.
— 4. i figli d'oi. Grifone e Aquilante che
non erano del numero dei Paladini. V. e.
XV, 8, n. 6.
CANTO XXXIX
531
19
Ma differendo questa pugna alquanto.
Io vo" j^;«ssar senza navilio il mare.
Non ìio con quei di Francia da far tanto
Ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare
La grazia che gli die l'Apostol santo,
Io v'ho già detto, e detto aver mi pare,
Che \' Re Branzardo, e il Re de l'Algazera
Per girli incontra armasse ogni suaschie-
•20 ir;i
Furon di quei ch'aver poteano in 'retta
Le schiere di tutt' Africa raccolte.
Non men d' inferma età che di perfetta
Quasi ch'ancor le temine tur tolte.
Agramante ostinato alla vendetta
Avea già vota l'Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
Esercito facean timido e imbelle.
21
Ben lo mostrar; che gli nimici a pena
Vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo, come pecore, li mena
Dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti;
E fa restarne la campagna piena;
Pochi a Biserta se ne son ridotti:
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
Salvossi ne la terra il Re Branzardo,
22
Via più dolente sol di Bucifaro,
Che se tutto perduto avesse il resto.
19. 7-S. Che... armasse. Vi è il congiun-
tivo, perché il fatto è accennato come un
pensiero, come una credenza {mi pare) del-
l' autore. V. e. v, 67, n. S. — Di ciò si parla
nel e. XXXVIII, 35.
20. 1. Fnroa ecc. Queste schiere furon
composte di quei ecc.
— 3. inferma età, mal ferma età; fan-
ciulli e vecchi. V. e. xviir, 178, n. S.
— 4. Quasi che. È frequente nella lette-
l'atura, e pur nell' uso vivente, invece del
semplice quasi; specialmente avanti a pa-
role indicanti quantità (quasiché tutti; qua-
siché nessuno, quasiché mille, quasiché
troppi ecc.).
21. 2. che; è correlativo di' appe»a.
— 3. A. e. pec. li mena ecc. Il Bolza in-
tende: li caccia e ne fa strage. Mi sembra
dar troppo alla parola menare. Io intendo :
li caccia; ma avverti che anche questo è
un significato notevole e non registrato dai
vocabolari. In ogni modo poiché menare è
tirarsi dietro, questa idea poteva facilmen-
te dar luogo all'altra di cacciarsi avanti.
Dunque Ast. li caccia davanti ai suoi; e
molti restano uccisi per la campagna, po-
chi arrivano a Biserta.
— S. ne la terra, dentro la città. V. e.
X, 75, n. 2.
22. 1. Via pili ecc.; molto più dolente di
[ Biserta è grande, e farle gran riparo
Bisogna, e senza lui mal può far questo.
Poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,
Gli viene in mente come tien prigione
Già molti mesi il paladiu Dudone.
2?,
Lo prese sotto a Monaco in riviera
Il Re di iSarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col re de l'Algazera
Pensò Branzardo, e ne mandò mes.*;aggio
Al capitan de' Nubi, perché intese
Per vera spia, ch'egli era Astolfo Inglese.
24
Essendo Astolfo paladiu, comprende
Che dee aver caro un Paliidino sciorre.
Il gentil Duca, come il caso intende,
Col Re Branziì '^o in un voler concorre.
Liberato Dudou, grazie ne rende
Al Duca, e seco si mette a disporre
Le cose che appartengono alla guerra,
Cosi quelle da mar, come da terra.
25
Avendo Astolfo esercito infinito
Da non gli far sette Afriche difesa;
E rammentando come fu ammonito
Dal santo Vecchio, che gli die l' impresa
Bucifaro soltanto, del solo Bucifaro, della
perdita di Bucifaro, che se avesse ecc.
— 8. Già m. mesi .; già da m. mesi. V. e. i,
38, n. 6. Qui il poeta si riferisce inieramente
diW Innamorato II, xiv, 66, dove Dudone,
lottando con Rodomonte, è vinto e legato ;
poi (XV, 21) dalla gente di Rodomonte con-
dotto prigione in Affrica e da Agramante af-
fidato con speciali raccomandazioni (xvui,
53) a Bucifar, prima d'intraprendere la
grande spedizione in Francia.
23. 2. nel primo passaggio. Si ricordi che
Rodomonte (Innam, li, iii, 35, 36),- irritato
per le incertezze d'Agramante, risolve di
passare egli in Francia coi suoi (II, xi). E
questo è il primo passaggio di esercito Af-
fricauo; il secondo passaggio fu, poco dopo,
quello d'Agramante. Si potrebbe anche dir
primo per rispetto all'altro che R, fece,
dopo aver raccolto in Affrica per ordine di
Agramante un nuovo esercito {Furioso,
XIX, 25, n. 5).
— 4. del Danese, di Uggeri il Danese.
— 8. spia, notizia. V. e. xii, 31, u. 8.
24. 8. quelle da mar ecc. Il da serve a
qualificare o specificare: quelle cose che
appartengono al mare ecc.
25. 3. rammentando ccme f. a, ; rammen-
tando in qual modo fu ammonito, quali am-
monizioni ebbe.
532
ORLANDO FURIOSO
Di tór Provenza e d'Acquamorta il lito
Di man di Saracin che l'avean presa;
D'una gran turba fece nuova eletta,
Quella ch'ai mar gli parve manco inetta.
26
Et avendosi piene ambe le palme,
Quanto potean capir, di varie fronde
A laui'i, a cedri tolte, a olive, a palme,
A'^enne sul mare e le gittò ne l'onde.
Oh felici, e dal ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
Di quelle froudi, come fur ne l'acque!
27
Crebbero in quantità fuor d'ogni stima;
Si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
Le vene eh' attraverso aveano piuma,
Mutaro in dure spranghe e in grosse travi;
E rimanendo acute in ver la cima.
Tutte in un tratto diventaro navi
Di differenti qualitadi e tante,
Quante raccolte fur da varie piante.
28
Miracol fu veder le fronde scarte
Produr fuste, galee, navi da gabbia.
— 5. Acquamorta, Aiguesmortes.
— 6. di SaraciD, dei Sarac. V. e. ii, 15,
n. 8. — a. presa: Si rifeiùsce a Provenza,
che è il tutto, mentre il lito di Acquari), è
solo una parte. Che S. Giovanni gli desse
anche questa impresa si dice qui per la
prima volta; ma ciò è accaduto anche per
r otre dei venti, di cui l'Ar. parla solo
quando se ne presenta il bisogno ad Astol-
fo: cfr. e. xxxviii, 30, 1-2.
— 7. nuova eletta; La prima scelta fu
fatta nel e. xxxviii, 32.
2fi. 2. capir, contenere. Cosi nel e. in, 21,
3 e cosi spessissimo. È strano che vocabo-
lari come quel del Petrocchi e del Fanfani
non citino questo significato!
— 6. Grazia, Oh grazia. Questo miracolo
rammenta il mirabile ìnonstrion di Vir-
gilio (En. 10, 80 segg), che fa prendere fi-
gura di ninfe alle navi di Enea per sot-
trarle all' incendio di Turno. Il Cieco da
Ferrara fa che Malagigi per opera di de-
moni improvvisi una flotta (Mambr. ix ,
41), che, cessato il bisogno, sparisce (xiii, 4).
27. 7. e tante; Si riferisce a qualitadi o a
navi ? E all'uno e all'altro mi pare che possa
riferirsi : navi di qualità differente, e tante
di numero quante erano le foglie raccolte
dalle varie piante. Oppure: navi di qualità
differenti e tante (queste qualità) per nu-
mero, quante furono le piante varie, da cui
furono raccolte. Questa seconda interpre-
tazione risponde meglio al contesto, la pri-
ma richiede meno sforzo di sintassi.
2H. 2. fuste. V. e. viii, CO, u. 2. — navi da
gabbia, navi di grande alberatura, che ave-
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
E remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non mancò al Duca poi chi avesse l'arte
Di governarsi alla ventosa rabbia;
Che di Sardi e di Corsi non remoti,
Nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.
29
Quelli che entrare in mar, contati foro
Ventiseimila, e gente d'ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro,
Cavallier saggio, e in terra e in acqua for-
Stava l'armata ancora al lito Moro, |te.
Miglior vento aspettando, che la porte.
Quando un navilio giunse a quella riva.
Che di presi guerrier carco veniva.
30
Portava quei ch'ai periglioso ponto.
Ove alle giostre il campo era si stretto,
Pigliato avea l'audace Rodomonte,
Come più volte io v'ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del Conte
vano la gabbia in alto per starvi alla ve-
detta. V. e. Il, 28, n. 8.
— 7. dì Sardi; dei Sardi, ebbe nocchie-
ri ecc. dei Sardi; cioè della Sardegna.
— 8. Nocchier. Il nocchiero propriamente
è il timoniere; il padrone, specialmente
nelle navi commerciali, era quel che oggi
è il capitano : e si disse cosi, perché spesso
era anche il proprietario. Il pennese o pe-
nese o ponese era una specie di magazzi-
niere degli attrezzi. Credono alcuni che da
questo luogo apparisca che il pennese a-
vesse anche talvolta il comando come il
nocchiero o il pilota, ma io penso che an-
che l'ufficio comune del pennese possa met-
tersi fra quelli, che, disbrigati a dovere, con-
tribuiscono moltissimo al buon andamento
della nave; specialmente in circostanze dif-
ficili, quando il mancare a tempo debito di
un arnese, può produrre la rovina. E pur
tale ufficio richiede, non meno degli altri,
persone pratiche. — pilota era un ufficiale
di prua che esaminava il tempo, la rotta;
scandagliava il fondo ecc. ; mentre il noe-
\ chiero stava al timone e il padrone aveva
1 il comando e la direzione generale.
j 29. 2. e gente d'ogni sorte. Intenderei: ed
era gente atta ad ogni sorte di occupazioni
1 marittime: gente d'ogni maniera per le
1 diverse specie di uffici e di occupazioni
navali. Sarebbe dunque una espressione
monca della seconda parte.
j — 4. e in t. e in a. f. ; forte nelle batta-
i glie di terra e in ((uelle di mare : cfr, e.
XIII, 13, 6; XXXI, 77, 5.
— 5. Moro; Mauro, Affricano (gr. mau-
ros, nero).
30. 5. il cognato... del C. Oliviero fratello
d'Alda, moglie d'Orlando.
CANTO XXXIX
533
E '1 fedél Brandimarte e Sansouetto,
Et altri ancor, che dir non mi bisogna,
D'Alemagna, d'Italia e di Guascogna.
31 [corto
Quivi il nocchier ch'ancor non s'era ac-
De gii :?vimici, entrò con la galea,
Lasciando molte miglia a dietro il porto
D'Algieri, ove calar prima volea.
Per un vento gagliardo ch'era sorto,
E spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette e in loco fido.
Come vieu Progne al suo loquace nido.
32
Ma come poi l'Imperiale augello,
I Gigli d'oro, e i Pardi vide appresso,
Restò pallido in faccia, come quello
Che '1 piede incauto d'improvisoha messo
Sopra il serpente venenoso e fello,
Dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso,
Che spaventato e smorto si ritira.
Fuggendo quel, ch'è pieu di tosco e d'ira.
33
Già non potè fuggir quindi il nocchiero,
Né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
Con Sansonetto e con molti altri tratto
Ove dal Duca e dal figliuol d'Uggiero
Fu lieto viso a gli suo' amici fatto;
E per mercede lui che li condusse,
Volson che condannato al remo fusse.
31. 4. calar, approdare. Cosi nel e. xlii,
23, 3. Pkcokone, 4, 1: « Calaronsi in quel
porto ».
— 8. Progne, la rondine. Dice la favola,
che Progne, fig^lia di Pandione, per vendi-
carsi del manto Tereo, che le aveva ol-
traggiata la sorella Filomela, uccise il fi-
glio Iti avuto da Tereo : e fu dagli Dei can-
giata in rondine. — loquace n. È epiteto
virgiliano: En. 12, 475: « alta atria lustrai
hirundo Pabula parva legens nidisque lo-
quacibus escas ». Ritrae il continuo cin-
guettio dei piccoli.
82. 1-2. r imp. augello, l'aquila. — 1 G.
d'oro e i P. V. e. X, 77, n. 2.
— 3. come quello ecc.; Virgilio, En. 2,
379-SO: « Improvisum aspris velut qui seu-
' tibus anguem Pressit humi nitens ».
SS. 1. Già; ma. La Crusca cita esempi, nei
quali già non ha questo siguilìcato netta-
mente avversativo; cosi quel di Dante;
Purg. 11: «Quest'ultima preghiera... Già
non si fa per noi ». Questo dunque del-
l'Ar. è un esempio molto notevole.
— 2. di piatto, nascosti. V. e. xxx, St5,
n. 6; xxxii, 79, 4; xxxvi, 55,4.
— 6. a gli suo'; ai suoi, ai loro am.
— 8. Volson, volsouo, volsero, vollero.
^V. e. v, 15, n. 2. Questa terminazione del
pass. rem. della seconda coniugazione si
trova spesso negli antichi anche in prosa.
34
Come io vi dico, dal figliuol d'Otone
I cavallier Cristian furon ben visti,
E di mensa onorati al padiglione.
D'arme e di ciò che bisognò, provisti.
Per amor d'essi differi Dudone
L'andata sua; che non minori acquisti
Di ragionar con tai Baroni estima.
Che d'esser gito uno o duo giorni prima.
35
In che stato, in che termine si trove
E Francia e Carlo, istruzion vera ebbe;
E dove pili sicuramente, e dove,
Per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor venia intendendo nuove,
S' udì un rumor che tuttavia più crebbe;
E un dar all'arme ne segui si fiero,
Che fece a tutti far più d'un pensiero.
3G
Il duca Astolfo e la compagnia bella,
Che ragionando insieme si trovaro,
In un momento armati furo e in sella,
E verso il maggior grido in fretta andaro.
Di qua e di là cercando pur novella
Di quel rumore; e in loco capitaro,
Ove videro un uom tanto feroce,
Che nudo e solo a tutto '1 campo nuoce.
37
Menava un suo bastou di legno in volta.
Ch'era si duro e si grave e si fermo.
Che declinando quel, facea ogni volta
Cader in terra nn uom peggioch'infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta;
Né più se gli facea riparo o schermo,
Se non tirando di lontan saette :
Da presso non è alcun già, che l'aspette.
38
Dudone, Astolfo, Brandimarte essendo
Corsi in fretta al remore, et Oliviero,
De la gran forza e del valor stupendo
Stavan maravigliosi di quel fiero;
Quando venir s'un palafren correndo
Videro una donzella in vestir nero.
Che corse a Brandimarte e salutollo
E gli alzò a un tempo ambo le braccia al
[collo.
34. 6. acquisti. Più coinuuem. il singo-
lare. Il plur. fu suggerito da Baroni.
— 7. Di ragionar; regolarmente: ragio-
nar senza prep. di ; per il qual uso vedrai
Fornaci ARI, Sint. p. 362, nota.
35. 4. calar, approdar. V. st. 31, 4.
37. 3. declinando, calando. Cosi nel cauto
XLIII, 189, 4.
— 8. già, però. Questo significato limi-
tativo in proposizione negativa è frequente.
Ma potrebbe anche intendersi come confer-
mativo: certo.
38. 4. maravigliasi, maravigliati. V, e. x,
90, n. 7.
534
ORLANDO FURIOSO
39
Questa era Fiordiligi, che si acceso
Avea d'amor per Brandiniarte il core,
Che, quando al ponte stretto il lasciò pre-
Vicina ad impazzar fu di dolore. [so,
Di là dal mare era passata, inteso
Avendo dal Pagau che ne fu autore,
Che mandato con molti cavallieri
Era prigion ne la città d'Algieri.
40
Quando fu per passare, avea trovato
A Marsilia una nave di Levante,
Ch'un vecchio cavalliero avea portato
De la famiglia del Re Monodante;
Il qual molte Provincie avea cercato, [te,
Quando per mar, quando per terra erran-
Per trovar Brandimarte ; che nuova ebbe
Tra via di lui, ch'in Francia iltroverebbe.
41
Et ella conosciuto che Bardino
Era costui, Bardino che "ipito
Al padre Brandimarte pi jolino.
Et a Rocca Silvana avea notrito,
E la cagione intesa del camino.
Seco fatto i'avea scioglier dal lito.
Avendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.
42
Tosto che furo a terra, udir le nuove,
Ch'assediata d'Astolfo era Biserta:
Che seco Brandimarte si ritrove
Udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove,
Come lo vede, che ben mostra aperta
Quella allegrezza eh' i precessi guai
Le fero la maggior ch'avesse mai.
43
Il gentil cavallier, non men giocondo
Di veder la diletta e fida moglie
"40. 4. De la famiglia; uno dei sudditi, dei
servi di Monodante fé di Damogir, padre
di Brandimarte. Su questo Bardino cfi*.
Innam. Il, 11, 23; e Fur. e. viii, 86, n. 3.
— 7. che; e che. È coovùma.\.o & il qunle
del V. 5. Più chiaro sarebbe stato eoa la
congiunzione.
41. 6. scioglier, salpare. V. e. x, ■14, n. 1^
42. 2. d'Astolfo, da Astolfo.
— 3. si ritrovo. Più regolarmente: si ri-
trovasse. Il congiun. invece dell' indicativo,
perché nou era cosa certa.
— 7-8. eh' i precessi ecc.; che i prece-
denti guai le resero la maggiore ch'avesse
mai. Il passaggio dal dolore al piacere
rende maggiore il godimento. — precessi,
precedenti {^ro^rìdiTa. preceduti: è un altro
particip. ùi precedere). Dopo l'Ar. il Mo.nti;
II. 13, 1024: «E i tre d'Ippozion gagliardi
figli... dal globoso Suol d'Ascania venuti il
di precesso ».
Ch'amava pili che cosa altra del mondo,
L'abbraccia e stringe e dolcemente acco-
(glie:
Né per saziare al primo né al secondo
Né al terzo bacio era l'accese voglie;
Se non ch'alzando gli occhi ebbe veduto
Bardin che con la Donna era venuto.
44
Stese le mani, et abbracciar lo volle,
E insieme domandar perché venia;
Ma di poterlo far tempo gli lolle
11 campo ch'in disordine fuggia
Dinanzi a quel baston che '1 nudo folle
Menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
li gridò a Brandimarte: Eccovi il Conte.
4.Ó
Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi,
Che questo Orlando fosse, ebbe palese
Per alcun segno che dai vecchi Divi
Su nel terrestre paradiso intese.
Altrimente restavan tutti privi
Di cognizion di quel Signor cortese;
Che per lungo sprezzarsi, come stolto,
Avea di fera, piti che d'uomo, il volto.
46
Astolfo per pietà che gli trafisse
44. 6. e gli facea d. v. Il Galilei intese,
come è più ovvio, clie soggetto ne fosse il
che del verso precedente riferito a bastone ;
e poiché là è oggetto e qui dovrebbe fare
l)ruscaniente da soggetto, propose di cor-
reggere e si facea dar via (Orlando). Ma
chi proibisce di far soggetto Orlando e di
le-'gere come sta scritto ? Cosi intenderemo :
Orlando menava intorno il bastone e gli
faceva dar via, gli faceva far largo dalia
gente, che fuggiva appunto dinanzi a quel
bastone.
45. 1. Astolfo ecc. Costruisci: Astolfo,
eh' era quivi, ebbe palese, conobbe chiaro
nel medesimo tempo (cfr. e. xxiv, 62, 7)
che Fiordiligi, che questo fosse Orlando.
- \i. vecchi Divi. V. e. x.KXiv: 58, 59. —
Sono Enoch, Elia e S. Giovanni. — Divi per
saìiti forse l'usò primo l'Ar. (imitando l' uso
degli scrittori latiui cristiani) ; e dopo lui
il Tasso, Ger. 11,7; e il Monti, Poes. 1, Ui.
I — 5. Altrimente; Cioè: se non erano
Fiordiligi e Astolfo.
— 6. Di cognizion, della cognizione. Per
' romissione dell' artic. cfr. e. ii, 15, n. 8.
i — 7. sprezzarsi; trascurarsi nella per-
' sona. Si cita solamente quest' esempio del-
l'Ar. — come stolto, j^oicìié era stolto. Cor-
risponde al latino quippe qui.
46. 1. trafflsse. Forse la doppia è prò-
i dotta da azione dialettale, o anche è messa
' per rendere meglio il transfixit latino. Cosi
I altrove essemplo (lat. exemplum).
CANTO XXXIX
535
Il petto e il cor, si volse lacrimando;
Et a Dudoa (che gli era appresso) disse,
Et indi ad Oliviero: Eccovi Orlando.
Quei gli occhi alquanto e le palpebre fisse
Tenendo in lui, l'andar raffigurando;
E '1 ritrovarlo in tal calamitade,
Gli empi di maraviglia e di pietade.
47
Piangeano quei Signor per la più parte ;
Si lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanfo.
Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte
Di risanarlo, e non di fargli il pianto:
E saltò a piedi, e cosi Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
E s'avventaro al nipote di Carlo
Tutti in un tempo ; che volean pigliarlo.
48
Orlando che si vide fare il cerchio,
Menò il baston da disperato e folle;
Et a Dudon che ai facea coperchio
Al capo de lo scudo, et entrar volle.
Fé' sentir ch'era grave di soperchio:
E se non che Olivier col brando tolle
Parte del colpo, avria il bastone ingiusto
Kotto lo scudo, l'elmo, il capo e il busto.
49
Lo scudo roppesolo, e sull'elmetto
Tempestò si, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto,
E del baston più di duo braccia afferra
Con valor tal che tutto il taglia netto.
Brandimarte ch'adesso se gli serra.
— 2. Il petto e il cor. È immagine presa
dalle trafitture materiali e significa, fuor di
metafora, che non fu un dolore leggero, ma
elle gli passò proprio il cuore.
— 5. gli occhi e le palp. f . ; tenendo in
lui fìssi gli occhi senza batter palpebra.
47. 2. dolse... increbbe. I) dolore è pena
dell'animo, il ì-increscimento (lat. ìncvè-
scere, divenir pesante) è il peso che questa
pena dà: denti'o sentirono un dolore, che
mal sopportavano.
— 3. Tempo è... trovar, È tempo di trov.
— 4. fargli il pianto, (.\el e. xxxi, 107,
si ha fare il duolo) compiangere. Per que-
sta locuzione si cita soltanto V esempio del-
l'Ariosto.
— 6. Dudon santo. Innam. Il, x, 13 : «Ma
poi di tal bontà si dava (poteva darsi) il
vanto, eh' era appellato in soprannome il
Santo ». V. 0. XL, 76, n. 6.
48. 4. entrar, cacciarsi avanti e sotto i
colpi d' Orlando in modo da afferrarlo alla
vita.
— 6. se non che. V, e. xxi, 42, n. 5.
49. 4. afferra; colpisce. Cosi nel e. vii, 6,
6. Innamor. i, xviii, 17: « Fusberta come
un legno l'altra afferra ». E il Berni nel-
Vlìmam. più volte I, 18, 24 ; 18, 21 ; 32, 7.
Gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe
Le braccia, eAstolfo il pigliane legambe.
50
Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
Da sé l'Inglese fa cader riverso:
Non fa però, che Brandimarte il lassi,
Che con più forza l'ha preso a traverso.
Ad Olivier che troppo inanzi tassi,
Menò un pugno si duro e si perverso,
Che lo fé' cader pallido et esangue,
E dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.
51
E se non era l'elmo più che buono,
Ch'avea Olivier, l'avria quel pugno ucciso:
Cadde però, come se fatto dono
Avesse de lo spirto al paradiso.
Dudone e Astolfo che levati sono.
Benché Dudone abbia gonfiato il viso,
E Sansonetto che '1 bel colpo ha fatto.
Adesso a Orlando son tutti in un tratto.
52
Dudon con gran vigor dietro l'abbraccia
Pur tentando col pie farlo cadere:
Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,
Né lo puon tutti insieme anco tenere.
Chi ha visto toro a cui si dia la caccia,
E ch'alle orecchie abbia le zanne fiere.
Correr mugliando, e trarre ovunque corre
I cani seco, e non potersi sciorre;
53
^ Imagini ch'Orlando fosse tale.
Che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale.
Là dove steso il gran pugno l'avea;
E visto che cosi si potea male
Far di lui quel ch'Astolfo far volea.
Si pensò un modo, et ad effetto il messe,
Di far cadere Orlando, e gli successe.
54
Si fé' quivi arrecar più d'una fune,
E con nodi correnti adattò presto;
Et alle gambe et alle braccia alcune
— 8. ne le gambe, per le gambe. Cosi
nel e. IV, 43, 1 : piriiiar tiel freno.
.50. 8. uscirgli ; Dipende da un fé, che deve
rilevarsi dal c/li fé del verso precedente.
52. 1. Ne... anco; neppure. V. e. xvi, 36,
n. 8.
.'5:5. 2. Che. È pronome relativo.
— 3. sale, si alza, si leva. Anche i La-
tini dissero salire a terra (Lucrezio, 1, 1S7),
ma nel senso di uscir fuori , saltar su
dalla terra. Qui abbiamo un senso non
eguale, ma afl3ne al latino. Gli antichi usa-
rono non di rado la locuzione salire in
piedi per alzarsi in piedi.
— 8. gli successe, gli ri usci bene. V. e.
X, 57, n. 6.
54. 2. adattò, le adattò. — nodi correnti,
nodi scorsoi.
536
ORLANDO FURIOSO
Fé' porre al Conte, et a traverso il resto. |
Di quelle i capi poi parti in commune,
E li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
Cavallo 0 bue, fu tratto Orlando in terra.
55
Come egli è in terra, gli son tutti ados-
E gli legan più forte e piedi e mani, [so,
Assai di qua di là s'è Orlando scosso;
Ma sono i suoi risforzi tutti vani.
Comanda Astolfo che sia quindi mosso,
Che dice voler far che si risani.
Dudon ch'è grande,i!levainsu leschene,
E porta al mar sopra l'estreme arene.
56
Lo fa lavar Astolfo sette volte,
E sette volte sotto acqua l'attuffa;
Si che dal viso e da le membra stolte
Leva la brutta rugine e la muflfa:
Poi con certe erbe, a qr"sto effetto colte,
La bocca chiijder fa, che soffia e buffa:
Che non volea ch'avesse altro meato
Onde spirar, che per lo naso, il fiato.
57
Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso
In che il senno d'Orlando era rinchiuso;
E quello in modo appropinquògli al naso,
Che nel tirar che fece il fiato in suso.
Tutto il votò: maraviglioso caso!
Che ritornò la mente al primier uso;
E ne' suoi bei discorsi l'intelletto
Rivenne, più che mai lucido e netto.
58
Come chi da noioso e grave sonno
Ove o vedere abominevol forme
— 5. parti in commune, distribuì a tutti
gli altri in modo da operare in comune.
Nota adunque la brachilogia.
.55. 4. risforzi, sforzi raddoppiati : V. la
nota nel e. xl, 20, 1 ; xli, 70, 5.
— 8. estreme ar. V. e. i, 24, n. 6.
56. 3. m. stolte. Vi è un' enallage : mem-
bra di lui stolto.
— 4. rugine, ruggine. Qui vale sudiciu-
ine incallito, inveterato. Avverti la meta-
fora ardita ma bella, e la forma più vicina
al latino ferruginem.
— 6. buffa, sbuffa. Gelli, Lettur. 3, 175:
« Buffare nella nostra lingua non significa
altro che soffiare con impeto e alquanto più
presto che il solito ».
— 8. che per lo naso. Avverti il brusco
cambiamento di costrutto. Dovrebbe dire :
altro meato... che il naso : ma la propo-
sizione correlativa sente T azione della pro-
posizione relativa onde spirar, (per il quale
spirar); e su questa si modefia.
57, 6. Che ; poiché.
68, 1. C. chi da n. ecc. Il Nisiely vorrebbe
sottinteso un oppresso da noioso ecc. Il
Di mostri che non son, né ch'esser ponno,
0 gli par cosa far strana et enorme,
Ancor si maraviglia, poi che donno
È fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
Cosi, poi che fu Orlando d'error tratto.
Restò maraviglioso e stupefatto.
59
E Brandimarte, e il fratel d'Alda bella,
E quel che '1 senno in capo gli ridusse,
Pur pensando riguarda, e non favella.
Come egli quivi, e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quel-
Né sapea imaginar dove si fusse. [la,
Si maraviglia che nudo si vede,
E tante funi ha da le spalle al piede.
60
Poi disse, come già disse Sileno
A quei che lo legar nel cavo speco:
Solvile me, con viso si sereno.
Con guardo si men de l'usato bieco,
Che fu slegato, e de' panni ch'avieno
Fatti arrecar, partici paron seco.
Consolandolo tutti del dolore.
Che lo premea, di quel passato errore.
61
Poi che fu all'esser primo ritornato
Orlando più che mai saggio e virile,
Panizzi dice probabile che si debba sottin-
tendere ]jn rinvenire da rilevarsi dal ri-
venne del V. precedente. Io credo, col Ro-
mizi, che sia da intendere da per dopo. Di
quest' uso si cita da alcuni vocabolari (non
mi pare dalla Crusca) un esempio solo del
Sacchetti, senza indicazione del luogo :
« E da' piedi tocca le gambe; (dopo i piedi
tocca 1. g.)». Qui, come è chiaro, non in-
dica tempo, ma successione di azioni come
nell'Ariosto. L'ebbero anche i Latini. Livio,
14, 34: «Ab lùs praeceptis (dopo tali or-
dini) concionem dimisit consul ».
— 8. Verso interamente ripetuto : canto
XXXVI, 20, 8.
69. 4. Come egli ecc. Dipende da pensando.
V. e. IX, 92, n. 4.
CO. 3. SolTite me; scioglietemi. Virgilio
nell'Egl. 6 dice che Cromi e Mnasilo sor-
presero Sileno dormente e avvinazzato in
un antro. Lo legarono e gli dipinsero il
viso con le moi-e. Svegliatosi il vecchio,
disse ridendo: «Quo vincula nectitis? Sol-
vite me, pueri, satis est potuisse videri »,
— 4. 81 men. Comunemente si unisce a
ìneno non il cosi ma il tanto : tanto meno.
— 6. participaron s. ; gli dettero quella
parte che gli occorse. Partecipare è usato
generalm. nel senso di mettere a parte
uno di una cosa, e si costruisce con la
prep. a. Qui dunque è notevole 1' estensio-
ne di significato e anche il costrutto.
CANTO XXXIX
637
D'amor si trovò insieme liberato;
Si che colei che si bella e gentile
Gli parve dianzi, e eh' avea tanto amato,
Non stima pili, se non per cosa vile.
Ogni suo studio, ogni disio rivolse
A racquistar quanto già Amor gli tolse.
62
Narrò Bardino intanto a Brandimarte,
Che morto era il suo padre Monodante;
E che a chiamarlo al regno egli da parte
Veniva prima del fratel Gigliante,
Poi de le genti ch'abitau le sparte
Isole in mare, e l'ultime in Levante;
Di che non era un altro regno al mondo
Si ricco, populoso, o si giocondo.
63
Disse, tra pili ragion che dovea farlo,
Che dolce cosa era la patria; e quando
Si disponesse di voler gustarlo,
Avriapoi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose, voler Carlo
Servir per tutta questa guerra e Orlando ;
E se potea vederne il fin, che poi
Penseria meglio sopra i casi suoi.
64
Il di seguente la sua armata spinse
Verso Provenza il figlio del Danese:
Indi Orlando col Duca si ristrinse.
Et in che stato era la guerra, intese:
Tutta Biserta poi d'assedio cinse.
Dando però l'onore al Duca Inglese
D'ogni vittoria: ma quel Duca il tutto
Facea, come dal Conte venia instrutto.
65 [glia
Ch'ordine abbian tra lor, come s'assa-
La gran Biserta, e da che lato e quando,
61. 3. D'amor, da amor,
— S. quanto g. A. g. t., di Compiere cioè
gloriose imprese per la fede di Cristo.
62. 4. Gigliante; Il Boiardo lo chiama Zi-
liaute. Era fratello minore di Brandimarte.
Vedine la storia nell' Innamorato, II, xi,
48; XIII, 33.
— 6. Isole. Il Boiardo le chiama riso?(3
lontane.
— S. Si ricco ecc. Innam. II, xi, 46: « Ove
adunate ha già ricchezze tante Che stimar
noi potria T ingegno umano ».
63. 1. ragion che, ragioni perché, per le
quali.
64. 3. si ristrinse, si raccolse a stretto
colloquio. Si disse anche ristringersi in-
sieme. L'usarono più volte il Sacchetti e
il Machiavelli: Stor. F. 3, 5: «Quelli, che
per la rovina della repubblica si ristrin-
gono ».
65. 1. Ch'ordine ab. 1. 1. come ecc.; che patti
stabiliscano fra loro; che cosa concordino
fra loro sul modo di assalire B. Sulla frase
avere ordine cfv. e. v, 42, n. 4; xiii, 11,3;
XXII, 79, 3.
Come fu presa alla prima battaglia,
Chi ne l'onor parte ebbe con Orlando,
S'io non vi seguito ora, non vi caglia;
Ch'io non me ne vo molto dilungando.
In questo mezzo di saper vi piaccia.
Come dai Franchi 1 Mori hanno la caccia.
66
Fu quasi il Re Agramante abbandonato
Nel pericol maggior di quella guerra;
Che con molti Pagani era tornato
Marsilio e '1 Re Sobrin dentro alla terra;
Poi su l'armata e questo e quel montato,
Chedubbio avean di non salvarsi in terra;
E duci e cavallier del popol Moro
Molti seguito avean l'esempio loro.
67
Pure Agramante la pugna sostiene;
E quando finalmente più non puote.
Volta le spalle e la via dritta tiene
j Alle porte non troppo indi remote.
' Rabican dietro in gran fretta gli viene,
Che Bradamante stimola e percuote.
D'ucciderlo era disiosa molto;
Che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.
68
II medesmo desir Marfisa avea.
Per far del padre suo tarda vendetta,
E con gli sproni, quanto pili potea,
Facea il destrier sentir ch'ella avea fretta.
Ma né l'una né l'altra vi giungea
Si a tempo, che la via fosse intercetta
Al Re d'entrar ne la città serrata,
Et indi poi salvarsi in su l'armata:
69
Come due belle e generose parde
66. 4. alla terra, alla città di Adi.
67. 4. alle porte, di Arli.
es. 4. Facea il destr. sentir. Più regolar-
mente: facea al destrier sentir. Nella ediz.
del '16 si legge: «Facea al cavai sentir».
(FORNAriARi, S. p. 201, 202). Qui è una specie
di costrutto alla latina. Un costrutto simile
avevamo, nell'edizione del '21, ai w. 6, 7;
« che la via fosse intercetta D'entrare iì r<r
ne la città serrata ». Là l'Ar. tolse, qui in-
trodusse una durezza.
— 7. la via d'entrar; la via da entrar,
per ent. V. e. v, IO, n. 5.
69. 1. Come ecc. Era uso a^n raro nel
Medio evo addomesticare i pardi per la
caccia. Ne parla anche il Petrarca, Tr.
cast. 37 : « Non corse mai si levemente al
varco Di fuggitiva cerva un leopardo Li-
bero in selva o di catene scarco » (cioè li
bero dal guinzaglio). — generose; che per
la fina educazione alla caccia san fare quello
e più di quello che il cacciatore da loro
vorrebbe. Cosi diciamo generoso un ca-
vallo. Il Parenti, il Bolza, il Bresciani e al-
tri ebbero su questo luogo una polemica.
538
ORLANDO FURIOSO
Che fuor del lascio sien di pari uscite,
Poscia ch'i cervi o le capre gagliarde
Indarno aver si veggano seguite,
Vergognandosi quasi, che fur tarde,
{Sdegnose se ne tornano e pentite;
Cosi tornar le due donzelle, quando
Videro il Pagan salvo, sospirando.
70
Non però si fermar; ma ne la frotta
Degli altri che fuggivano, cacciarsi,
Di qua di là facendo ad ogni botta,
Molti cader, senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta.
Che per fuggir non potea ancor salvarsi ;
Ch'Agramante avea fatto per suo scampo
Chiuder la porta ch'uscia verso il campo,
71
E fatto sopra il Rodalo tagliare
I ponti tutti. Ah sfortunata plebe,
Che dove del tiranno utile appare,
Sempre è in conto di pecore e di zebe!
Chi s'affoga nel fiume e chi nel mare,
Chi sanguinose fa di sé le glebe.
Molti perir, pochi restar prigioni;
Che pochi a farsi taglia erano buoni.
che ormai non ha più alcuna importanza.
Fu mossa da chi ignorava che i pardi si
addomesticassero per la caccia; e quindi
avea necessità d'adattare il luogo all' idea
dei pardi ancora feroci: il che si faceva
leggendo sasso invece di lascio e intenden-
dolo fuor della caverna.
— 2. fuor del lascio ; fuori del guinzaglio,
libere dal guinz. Lascio per guinzaglio' usò
pure il Redi, Lett. 3, •^6^i^. « con un levriere
al lascio ». Nelle altre due edizioni l'Ar.
aveva scritto « Che de le lasse sien ecc. »
e lassa abbiamo nel e. xli. :jo e in altri
scrittori. L'Ariosto forse cambiò in questa
forma meno usata per evitare l' incontro
di tante a.
— 3. capre, nel senso di capre selva-
tiche..
— 6. pentite, di non essere state più sol-
lecite.
— 8. sospirando
e Marfisa.
70. 6. per fuggir, per quanto fuggisse.
V. e. XV, 69, ìì. 6. — non... ancor; neppure
(e. XVI, 36, n. 8); e va unito a. fuggire: che
neppure per fuggire, fuggendo, poteva ecc.
71. 4. zebe ((orse dal led. zibbe, agnello)
capra giovine; qui iu generale ca.jj>"e. Oggi,
per lo più, è poetico.
— 8. farsi taglia ecc. « Con pochi sarebbe
tornato conto di farli prigioni, affinché poi
pagassero la taglia» (Bolza): pochi erano
buoni a farsi il riscatto, a riscattarsi; cioè
erano volgo, che valeva meglio uccidere
che far prigioni.
Riferiscilo a Bradam.
72
De la gran moltitudine ch'uccisa
Fu da ogni parte in questa ultima guerra
(Ben che la cosa non fu ugual divisa;
Ch'assai pili andar dei Saracin sotterra
Per man di Bradamante e di Marfisa),
Se ne vede ancor segno in quella terra;
Che presso ad Arli,ove il Rodano stagna,
Piena di sepolture è la campagna.
73 [sciorre
Fatto avea intanto il Re Agramante
E ritirare iu alto i legni gravi,
Lasciando alcuni, e i piti leggieri, a tórre
Quei che volean salvarsi in su le navi.
Vi ste' duo di, per chi fuggia raccorre,
E perché venti eran contrari e pravi:
Fece lor dar le vele il terzo giorno;
Ch'in Africa credea di far ritorno.
74
Il Re Marsilio che sta in gran paura
Ch'alia sua Spagna ilfìo pagar non tocche,
E la tempesta orribilmente oscura
Sopra suoi campi all'ultimo non scocche;
Si fé' porre a Valenza, e con gran cura
Cominciò a riparar castella e rocche,
E preparar la guerra che fu poi
La sua ruina e degli amici suoi.
72. 3. non fu ug. divìsa; non fu ugual-
mente divisa. Quest' uso notevolissimo non
è citato neppure dalla Nuova Crusca, sotto
eguale.
— 8. Piena di sep. ecc. Anche Dante ram-
menta queste sepolture, Inf. 9: « Siccome
ad Arli ove il Rodano stagna Fauno i se-
polcri tutto il loco varo ». E l'Ar. l' ebbe
certo presente. Presso Arli vi fu un antico
e molto celebre sepolcreto Romano, sacro
agli dei Mani ; e anche nei tsinpi cristiani
si aggiunsero leggende, che ne continua-
rono e ne accrebbero la celebrità. Di questi
sepolcri fa menzione anche la cronaca del
pseudo-Turpino cap. 30: De his qui sepulli
sunt apiul urbem Arelatem in Aijliscam-
pis (Alyscamps = campi Elisii). Come è
chiaro, questo che dice l'Ar. è sua inven-
zione, come è invenzione del Boiardo la
guerra d'Agramante in Francia; ma la leg-
genda carolingia riteneva che quelle tombe
fossero di morti nelle guerre di Carlomagno.
7.J. 2. in alto, in alto mare. V. e. viii,
;JG, n. 8.
— 7. lor dar; dare ai legni le vele, spie-
garle.
74. 5. porre, sbarcare. Gli antichi usa-
rono porre per sbarcare, approdare, ma
intransitivo: Pulci Lue. Gir. Calv.ì,5:
« Usanza sai eh' è de' navigatori Di porre
in terra e far talvolta prede ». Di questo
uso transitivo non trovo citato esempio.
— 7. che fu poi ecc. Nei Cinque Canti
CANTO XXXIX
539
75
Verso Africa Agramante alzò le vele
De' legni male armati, e voti quasi,
D'uomini voti, e pieni di querele;
Per ch'in Francia i tre quarti erau rimasi.
Chi chiama il Re superbo, chi crudele,
Chi stolto; e come avviene in simil casi,
Tutti gli voglion mal ne'lor secreti;
Ma timor n'hanno, e stan per forza cheti.
7fi
Per duo talora o tre schiudon le labbia.
Ch'amici sono, e che tra lor s'han fede,
E sfogano la colera e la rabbia;
E '1 misero Agramante ancor si crede
Ch'ognun gli porti amore e pietà gli abbia:
E questo gl'intervien, perché non vede
Mai visi se non finti, e mai non ode
Se non adulazion, menzogne e frode.
77
Erasi consigliato il Re Africano
Di non smontar nel porto di Biserta,
Però ch'avea del popol Nubiano
Che quel lito tenea, novella certa;
Ma tenersi di sopra si lontano,
Che non fosse acre la discesa et erta;
I, 63 : « E (Carlo M.) promise (a Oi'lando) lo
scettro e la corona. Poi che n' avesse il re
Marsilio spinto. Del regno di Navarra e
d'Aragona, La qual impresa allora era in
procinto ».
76. 1. Per duo. Credo che il ììer significhi
fra, in ; quando sono in due, fra due o tre.
È uso simile a quello del e. xii, 7, 3, ma
un po' diverso, e assai notevole. I vocabo-
lari non citano quest' uso.
— 3. colera... rabbia. La collera è l'umor
nero, è sentimento dell'animo; la rabbia è
la manifestazione brutale di quell'umore.
— 5. p. gli abbia, p. abbia a lui. Più co-
niunem. con la prep. di; ma se ne hanno
altri esempi : Fior. S. Fr. 41 : « li quale
avea sempre pietà agli animali mansueti ».
— 8. frode, frodi. V. e. IX, 81, n. 1.
77. 4. Che q. 1. t. Credo che sia proposiz.
dichiarativa e si debba intendere: perocclié
intorno al popolo Nubiano avea la certa
notizia che esso teneva quel lito. Infatti
questa è la novella che ad Agr. doveva in-
teressare. Intendendo il che come relativo
di i^opolo N. l'efficacia del pensiero è molto
minore.
— 5. Ma tenersi ecc. Si consiglia, deli-
bera di tenersi con le navi un po' sopra
Biserta, cosi lontano da essa, che la discesa
a terra non sia per lui aspra e difficile.
— 6. erta. È metafora suggerita dalla
parola disce-'ia. Come le discese ripide sono
precipitose e piene di pericolo, cosi questa
discesa dalle navi a terra poteva condurre
Agramante e i suoi al precipizio, alla ro-
Mettersi in terra, e ritornare al dritto
A dar soccorso al suo popolo afflitto.
78
Ma il suo fiero destin che non risponde
A quella intenzion provida e saggia,
Vuol che l'armata che nacque di fronde
Miracolosamente ne la spiaggia,
E vien solcando inverso Francia l'onde,
Con questa ad incontrar di notte s'aggia,
A nubiloso tempo, oscuro e tristo.
Perché sia piti in disordine sprovisto.
79
Non ha avuto Agramante ancora spia,
Ch'Astolfo mandi una armata si grossa;
Né creduto anco a chi '1 dicesse, avria,
Che cento navi un ramuscel far possa:
E vien senza temer eh' intorno sia
Chi contra lui s'ardisca di far mossa;
Né pone guardie né veletta in gabbia.
Che di ciò che si scuopre avvisar abbia.
80
Si che i navili che d'Astolfo avuti
Avea Dudon, di buona gente armati,
E che la sera avean questi veduti,
Et alla volta lor s'eran drizzati.
Assalir gli nimici sproveduti,
Gittaro i ferri, e sonsi incatenati,
Poi ch'ai parlar certificati foro.
Ch'erano Mori, e gli nimici loro.
vina. Anche il Tasso, Ger. 5, 45, disse:
« ogn' erta impresa e dura ».
— 7. al dritto, dirittamente, senza va-
gare né qua né là, appena sbarcato. V. e,
XV, 46, 8.
7S. 8. Perché ecc. Il destino vuole che
quest' incontro avvenga di notte, al buio,
perché Agramante si trovi sprovveduto in
disordine maggiore che se l' incontro fosse
avvenuto di giorno.
79. 1. spia, notizia.
— 3. Ne... anco, neppure. V. e. xvi, 36,
n. 8.
— 6. s'ardisca. V. e. xvi, 5, n. 3.
— 7. veletta, vedetta. V. e. x, 51, n. 1.
— gabbia: V. e. li, 28, n. 8.
— 8. avvisar abbia, avvisar possa. V. e.
xviii, 14, u. 3.
SO. 1. navili. Plurale di navilio, che è la
forma prediletta dell'Ar.: navi: V. e. x, 44,
n. 5. — d'Astolfo, da Astolfo.
— 3. che. Si riferi.sce a navili: e sta per
la gente che vi era sopra.
— 6. Gittaro i ferri; queste navi gitta-
rono le ancore. — ferri, per ancore usa-
rono spesso nel linguaggio marinaresco.
V. e. XVII, 36. Male alcuni intendono i raffi.
— sonsi incatenati, si incatenarono. I mari-
nari dunque gettarono le ancore e incate-
narono le navi. « Cosi si faceva per opporre
una specie di muraglia al nemico e com-
battere come da terra ferma ; non potendo
540
ORLANDO FURIOSO
81
Ne l'arrivar che i gran navili fenno
(Spirando il vento a' lor desir secondo),
Nei Saracin con tale impeto denno,
Che molti legni ne cacciare al fondo:
Poi cominciare oprar le mani e il senno,
E ferro e fuoco e sassi di gran pondo
Tirar con tanta e si fiera tempesta,
Che mai non ebbe il mar simile a questa.
82
Quei diDudone, a cui possanza e ardire
Più del solito è lor dato di sopra
(Che venuto era il tempo di punire
I Saracin di più d'una mal'opra),
Sanno appresso e lontan si ben ferire,
Che non trova Agraniante ove si cuopra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
Da lato ha spade e graffi e picche e accette.
83
D'alto cader sente gran sassi e gravi
Da machine cacciati e da tormenti;
E prore e poppe e fraccassar di navi,
per questa ordinanza né esser presi di fian-
co, né circondati. Cosi usaron gli antichi
e i nostri nel medio evo, specialmente i
Genovesi, come alla battaglia di Laiazzo e
di Curzola». (Coeazzixi, Rivista maritt.
Giugno 1899).
SI. 1. fenno; fecero. È il plurale di fé;
come dénno di de. V. e. xvii, 63, n. 5.
— 5. cornine, oprar; com. ad adoprar. 0-
prare in questo senso è frequentissimo ne-
gli antichi scrittori.
— c. fuoco, i fuochi artificiati, che si lan-
ciavano sui nemici. V. e. xiv, 103, n. 5. —
e sassi. Si lanciavano con le petriere o man-
gani.
82. 6. ove si cuopra; non trova parte
della sua armata che possa ripararsi dai
dardi. Intendere, come il contesto più sem-
plicissimo porterebbe: non trova luogo
(love eyli possa ripararsi, sembra strano
per un capo valoroso e ardito come Agra-
niante.
— 8. graffi ; per afferrare i cordami e
fermare e tirare le navi.
83. 2. tormenti. Nel C xvf, 56, abbiamo
pure uniti macchine e lormenti; e quelle
sono per dare assalti, questi per lanciare
pietre o altro : ma qui valgono la stessa
cosa. Volendo sottilizzare potremmo inten-
dere: da ogni specie di macchine, e sopra
tutto da quelle che i Latini usavano e chia-
mavano tormenti.
— 3. E prore e poppe. Dipendono da fra-
Et aprire usci al mar larghi e patenti;
E '1 maggior danno è de l' incendi pravi,
A nascer presti, ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol tórre
Del gran periglio, e via più ognor vi corre.
84
Altri che '1 ferro e rinimico caccia,
Nel mar si getta, e vi s'affoga e resta:
Altri che muove atempo e piedi e braccia,
Va per salvarsi in quella barcao in questa;
Ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,
E la man per salir troppo molesta.
Fa restare attaccata ne la sponda:
Ritorna il resto a far sanguigna l'onda.
85
Altri che spera in mar salvar la vita,
0 perderlavi almen con minor pena,
Poi che notando non ritrova aita,
E mancar sente l'animo e la Iena,
Alla vorace fiamma c'ha fuggita.
La tema di annegarsi anco rimena:
S'abbraccia a un legno ch'arde, e per timo-
C'ha di due morte, in ambe se ne muore, [re
86
Altri per tema di spiedo o d'accetta
Chevedeappresso,almar ricorre in vano,
Perché dietro gli vien pietra o saetta
Che non Io lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, mentre che diletta
II mio cantar, consiglio utile e sano
Di finirlo più tosto che seguire
Tanto, che v'annoiasse il troppo dire.
cassar : e vede un fracassar di prore e pop-
pe e navi. — Eppure si lo zeugma che l'in-
versione son fatti con tanta agilità, che
appena si avvertono.
84. 1. Altri che; altri cui.
— 6. per salir t. m.; che si rende loro
troppo molesta per salire, volendo salire.
— 7. Fa restare. Come sopra st. 80, si
attribuisce qui per metonimia alla barca
ciò che fauno quelli che vi son dentro ; i
quali con accette o spade tagliano le mani
a chi si attacca al bordo per salire : cosi
la mano resta e il corpo cade giù a far
sanguigna V onda.
85. 8. due morte, due moi'ti, quella nel
fuoco e quella nell'acqua. Per la forma cfr.
e. IX, 84, n. 1. Della descrizione di questa
battaglia dice il Nisiely: « Niuno storico
greco o latino rappresentò mai una trage-
dia navale con tanto spavento di pericoli,
di male, e di morte al par di questa del-
l' Ariosto ».
CANTO XL
541
CANTO XL
1
Lungo sarebbe, se i diversi casi
Volessi dir di quel naval conflitto ;
E raccontarlo a voi mi parria quasi,
Magnanimo figliuol d'Ercole invitto,
Portar, come si dice, a Samo vasi.
Nottole a Atene, e crocodili a Egitto :
Che quanto per udita io ve ne parlo.
Signor, miraste, e feste altrui mirarlo.
o
Ebbe lungo spettacolo il fedele
Vostro popol la notte e '1 di che stette.
Come in teatro, l' inimiche vele
Mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possono e qiierele.
Ch'onde veder di sangue umano infette,
Per quanti modi in tal pugna si muora.
Vedeste, e a molti il dimostraste allora.
3
Noi vide io già, ch'era sei giorni inauti,
Mutando ogn'ora altre vetture, corso
Con molta fretta e molta ai piedi santi
Del gran Pastore a domandar soccorso:
Poi né cavalli bisognar né fanti;
1. 6. crocodili, coccodrilli; (greco croco-
deilos). È forma usata anche da altri; Caro,
Apologia 200. — a Eeitto.SuUa mancanza
dell'articolo cfr. cu, 15, n. 8. Questi tre pro-
verbi passarono dal greco nell' uso nostro,
e son derivati dall' abbondanza di queste
cose nelle rispettive regioni.
— 7. ve ne parlo; ve ne dico. Cosi 1' usò
Dante, /«A 25, 16: « E si fuggi che non parlò
più verbo ».
2. 4. astrette, strette. V. la nota 3, canto
XVI, 28. Parla qui della battaglia della Po-
lesella fra gli Estensi e i Veneziani,
— 5. Che gridi... vedeste. Figura di zeug-
ma. Questo che e quello del verso seguente
valgono quanti, quante, come nel xxvir,
31, e come spesso nella nostra lingua.
3. 1. vide, vidi. V. e. il, 41, n. 5. E vedine
altri esempi antichi in Nannucci, Analisi
Crit. dei verbi ital. pag. 180. Di questa
battaglia (22 dicembre 1509) l'A. parla anche
ai e. HI, 57; xlvi, 97. Egli non la vide, per-
ché il 16 dicembre era stato mandato al
papa Giulio li a chiedere aiuti contro Ve-
nezia. Del resto cfr. e. xxxvi, 6, n. 3: e là
vedrai che l'A. si trovò nei primi combat-
timenti.
— 2. Mutando... altre v. Costrutto abbre-
viato: mutando ogn' ora vetture e pren-
dendone altre.
! Ch'intanto al Leon d'or l'artiglio e '1 raor-
Fu da voi rotto si, che più molesto [so
Non l'ho sentito da quel giorno a questo.
4 [fatto,
Ma Alfonsin Trotto il qual si trovò in
Aunibal e Pier Moro e Afranio e Alberto,
E tre Arìosti, e il Bagno e il Zerbinatto
Tanto me ne contar, eh' io ne fui certo:
Me ne chiarir poi le bandiere affatto.
Vistone al tempio il gran numero offerto,
E qnindice galee ch'a queste rive
Con mille legni star vidi captive.
5
Chi vide quelli incendi e quei naufragi,
Le tante uccisioni e si diverse,
Che, vendicando i nostri arsi palagi,
Fin che fu preso ogni navilio, ferse;
Potrà veder le morti anco e i disagi
Che '1 miser popol d'Africa sofferse
Col Re Agi-amante in mezzo l'onde salse.
La scura notte che Dudon l'assalse.
— 6. leon d'or; l'arme dei Veneziani,
che, avendo a protettore S. Marco, ne pre-
sero il simbolo (il leone) come stemma. —
il morso, il dente. É una metonimia.
4. 1. Alfonsin Trotto. Era il fattore del
duca di Ferrara, una specie di ministro
della casa reale. Contro lui si trovano nelle
opere dell'A. dué'^sonetti, che alludono a
un'ingiustizia, della quale egli sarebbe stato
ispiratore e esecutore; ma i sonetti non sem-
brano dell'A., e la sua colpa dovette esser
poca 0 nulla, se l'A. gli fece grazia di questo
onorevole ricordo nel suo poema.
— 2. Annibal; forse Annibale Malagnzzi
cugino del poeta, che a lui diresse le satire
3 e 1. — Pier Moro, Afranio, Alberto, il Zer-
binatto son gentiluomini Ferraresi, di cui
nulla si sa.
— 3. tre Ariosti; Alfonso Ariosti, cui il
Castiglione dedicò il Cortegiano e Alessan-
dro e Carlo fratelli del poeta, che furono
militari. — ilBagno. Ludovico da Bagno, cor-
tigiano del duca di Ferrara, che aveva te-
nuto a battesimo il figlio dell'A., Virginio.
A lui e al fratello Alessandro dedicò l'A. la
seconda satira.
— 7. quindice gal. Il Muratori nelle An-
tichità Est. le dice 13, ma Ippolito nella de-
scrizione di questa battaglia, riportata da
Celio Calcagnini, le dice 15. Son dette 15
anche nel e. in, 57, 5. — qnindice, e. xi, 51,
n. 3.
5. 5. Potrà veder; colla fantasia.
542
ORLANDO FURIOSO
Era la notte, e non si vedea lume,
Quando s'incomincjàr l'aspre contese;
Ma poi che '1 zolfo e la pece e '1 bitume
Sparso in gran copia, lia prore e sponde ac-
E la vorace fiamma arde e consume [cese,
Le navi e le galee poco difese;
Si chiaramente ognun si vedea intorno,
Che la notte parca mutata in giorno.
7
Onde Agramante che per l'àer scuro
Non avea l'inimico in si gran stima,
Né aver contrasto si credea si duro.
Che, resistendo, al fin non lo reprima;
Poi che rimosse le tenebre furo,
E vide quel che non c-edeva in prima.
Che le navi nimiche eran duo tante;
Fece pensier diverso a quel d'avante.
8
Smonta con pochi, ove in più lieve barca
Ha Brigliadoro e l'altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca,
Fin che si trova in pili sicuro mare
Da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,
E mena a condizioni acri et amare.
Gli arde il fuoco, il mar sorbe, il ferro strug-
Egli che n'è cagion, via se ne fugge, [gè:
9
FuggeAgramante,ethaconluiSobrino
Con cui si duci di non gli aver creduto.
0. 5. consume, consuma. Questa termina-
zione in e della terza persona dei verbi di
lirima coniug. usarono più volte gli antichi
per analogia coi verbi della seconda. Dante,
Par. 16, 7, ha racoorce per raccorcia, L'A.,
più che per la rima, T Jia usato per la sma-
nia, che ha spesso, di risuscitare alcune
parti morte della nostra lingua. V. e. ii,
41, n. 5.
— 6. navi ... galee. Le navi sono pro-
priamente d' alto bordo, a vele quadre ,
senza remi, lente e tarde ; le galee sono di
forme sottili, a vele latine, eoa remi e basso
bordo, atte al combattimento.
7. 7. duo tante. Comunemente duo tanti
usato avverbialmente, ed è raro che tanto
si accordi col sostantivo. Tutto questo verso
è spiegazione del verso precedente.
— 8. diverso a. Diverso si costi'uisce con
(la e con a indiflerentemente.
S. 2. Brigliadoro. V. e. xxx, 75.
— ?,. varca, passa. Dantb, Itif. 12, 4:
« lascia lui e varca (passa innanzi) ».
— 5. carca, carica. Nel senso militare
vale comunem. andar addosso con vio-
lenza.
— 7, sorbe, assorbe. Si trova già nel
Dittamondo, 2, 10 ; e nel Caro, En. 1, 955
« e questo... il mar sorbissi ».
5). 1. con lui; con sé. V. e. iv, 6, n. 3.
Quando previde con occhio divino,
E '1 mal gli annunziò, ch'or gli è avvenuto.
Ma torniamo ad Orlando paladino.
Che, prima che Biserta abbia altro aiuto,
Consiglia Astolfo che la getti in terra,
Si che a Francia mai pili non faccia guerra.
10
E cosi fu publicamente detto, [strutto.
Che '1 campo in arme al terzo di sia in-
Molti navili Astolfo a questo effetto
Tenuti avea, né Dudon n'ebbe il tutto;
Di quai diede il governo a Sansonetto,
Si buon guerrier al mar come all'asciutto:
E quel si pose, in su l'ancore sorto,
Contra a Biserta, un miglio appresso al
11 [porto.
Come veri Cristiani Astolfo e Orlando,
Che senza Dio non vanno a rischio alcuno,
Ne l'esercito fan publico bando.
Che sieno orazi'on fatte e digiuno;
E che si trovi il terzo giorno, quando
Si darà il segno, apparecchiato ogniuno
Per espugnar Biserta, che data hanno,
Vinta che s'abbia, a fuoco e a saccomanno.
12
E cosi, poi che le astinenze e i voti
Devotamente celebrati foro,
Parenti, amici, e gli altri insieme noti
— 3. divino, indovino : alla latina. Ora-
zio, Od. 3, 27; «divina avis»; Berni, /wn.
■16, 54: e che le Sibille fur donne divine».
— 7. Consiglia, ecc. L' idea è tolta dal Bo-
iardo, Jnn. II, 1, 19: «Era in quel tempo
gran teri'a Biserta, Ch'oggi è disfatta al
lido, alla marina. Però ch'in questa guerra
fu deserta. Orlando la spianò con gran
ruina ». L'A. dà la direzione della guerra
ad Astolfo, quantunque ne sia Orlando l'ispi-
ratore.
10. 2. in arme... instr. ; che il campo, in
;irrae, sia ordinato in battaglia perii terzo
di. È il latino ìnstruere aciem, che signi-
lica appunto: preparare l'esercito perla
battaglia. Non far dunque dipend. i/i antu'
da insirutto.
— 5. Di quai, dei quali. V, e. li, 15, n. S.
— 7. sorto. Altrove il semplice sorgere,
che vale appunto gettar l'ancore: iv, 51,
n. 5; X, 10, 7.
11. 7. data hanno ; hanno votata al fuoco
e al saccheggio.
— 8. saccomanno. V. e. XXX, 9, n. i.
12. 3. e gli altri insieme n. ; e nello slesso
modo gli altri conoscenti. Cosi usò insieme
il Villani, 10, 192, 1: «Cinquecento pedoni
Toscani vestiti insieme ». — noti per cono-
scenti si cita con un solo esempio del Li-
bro di Cato, 3, 1, 1: «Eziandio a quelli,
che non sieno tuoi noti ». — Alcuni meno
bene: che si conoscevano tra loro.
CANTO XL
54c
Si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e voti,
Abbracciandosi insieme lacriraoro,
Tra loro usando i modi e le parole
Che tra i più cari al dipartir si suole.
13
Dentro a Biserta i sacerdoti santi
Supplicando col popolo dolente,
Battonsi il petto, e con dirotti pianti
Chiamano il lor Macon che nulla sente.
Quante vigilie, quante ofiferte, quanti
Doni promessi son privatamente!
Quanti in publico templi, statue, altari.
Memoria eterna de' lor casi amari!
14
E poi che dal Caai ni benedetto,
Prese il popolo l'arme o tornò al muro.
Ancor giacca col suo Titou nel letto
La bella Aurora, et era il cielo oscuro,
Quando Astolfo dauncanto,eSansonetto
Da un altro, armati agli ordini lor furo :
E poi che '1 segno che die il Conte udirò,
Biserta con grande impeto assalirò.
15
Avea Biserta da duo canti il mare,
Sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabrica eccellente e singulare
Fu antiquamente il suo muro construtto.
Poco altro ha che l'aiuti o la ripare;
Che poi che '1 Re Branzardo fu ridutto
Dentro da quella, pochi mastri, e poco
Potè aver tempo a riparare il loco.
IG
Astolfo dà l'assunto al Re de' Neri,
Che faccia a' merli tanto nocumento
Con falariche, fonde e con arcieri,
Che levi d'affacciarsi ogni ardimento;
— 5. restauro, ristoro. Si cita questo solo
esempio dell'A.
— 6. lacrimerò. È terminazione frequente
negli antichi e formata secondo la regola
dei verbi di seconda e terza coniugazione
(sedè, sederono, sederò ; udì, udirono, udi-
rò). Dante, Inf. 26, 36, ha levatasi.
— 8. si suole. Sottintendi usare.
13. 1. santi; Si disse di sacerdoti pagani
anche dall' anguillara, Eneide, \, 100:
« Di far quanto avea detto il Santo padre ».
14. 1. Cadi. Il Sigoli nel Viaggio al Monte
Sinai spiega : « il Cadi, cioè il vescovo loro
(dei Turchi) ».
— 2. muro; mura della città. V. e. xiv,
101, 8.
— 6. ordini; schiere. V. e. xvii, 90, 7.
15. 6. Branzardo, ecc. V. e. xxxviii, 35 e
XXXIX, 19.
— 7. dentro da q. Dentro si unisce colle
prep. di, a, da.
16. 1. Re de' Neri, il Seuapo.
— 3. falariche. Era un'immensa lancia
con una pesantissima punta di ferro. Si
Si che passin pedoni e cavallieri
Fin sotto la muraglia a salvamento,
Che vengon, chi di pietre e chi di travi,
Chi d'asce e chi d'altra materia gravi.
17
Chi questa cosa e chi quell'altra getta
Dentro alla fossa, e vien di mano in mano;
Di cui l'acqua il di inanzi fu intercetta
Si, che in più parte si scopria il pantano.
Ella fu piena et atturata in fretta,
E fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando et Olivier procm-a
Di far salire i fanti in su le mura.
18
I Nubi d'ogni indugio impazienti.
Da la speranza del guadagno tratti,
Non mirando a pericoli imminenti,
Coperti da testuggini e da gatti,
Con arieti e loro altri instrumeuti
A forar torri, e porte rompere atti,
Tosto si fero alla città vicini;
Né trovaro sprovisti i Saracini:
19
Che ferro e fuoco e merli e tetti gravi
Cader facendo a guisa di tempeste.
Per forza aprian le tavole e le travi
De le machine in lor danno conteste.
Ne l'aria oscura e nei principii pravi
Molto patir le battezzate teste;
Ma poi che '1 sole usci del ricco albergo,
Voltò Fortuna ai Saracini il tergo.
scagliava con macchine apposite negli as-
sedi, si usò anche talvolta avviluppare il
ferro, sotto la punta, con stoppa impeciata
o altre materie infiammabili, che si accen-
devano prima di lanciarla. — fonde; liondo.
È forma arcaica (lat. funda).
17. 2. Tien di m. in mano; vengono suc-
cessivamente a gettar qualcosa nella fossa,
che si pareggia fino al piede del muro.
— 5. atturata, turata. V. e. xvi, 2S, n. 3;
XLV, 15.
IS. 4. testuggini; lat. testudo. Era un b«
raccone composto di tavole, coperto di pelh
non conciate e posto su ruote, il quale ser-
viva a proteggere gli uomini, che si avvi-
cinavano alle mura d'una città assediata,
specialmente per battervi 1' ariete. — gatti.
Nel Medio evo si chiamarono cosi le te-
stuggini arietate, cioè quei casotti che ave-
vano dentro 1' ariete. Qui dunque testuggini
sono i casotti mobili senza ariete per ser-
vire a diversi usi negli assedi; i gatti sono
gli stessi casotti più grandi e forniti di a-
rieti, cioè di grosse travi colla testa di ferro
in figura talvolta di ariete, colle quali ur-
tavano e aprivauo le mura delle città.
19. 5. pr. pravi; nei principi sfavorevoli.
In questo senso non è registrato dai voca-
bolari.
544
ORLANDO FURIOSO
20
Da tutti i canti risforzar l'assalto.
Fé' il conte Orlando e da mare e da terra,
tìansonetto ch'avea l'armata in alto,
Entrò nel porto, e s'accostò alla terra,
E con trombe e con archi facea d' alto,
E con vari tormenti estrema guerra;
E facea insieme espedir lance e scale,
Ogni apparecchio e munizion navale.
21
Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,
E quel che fu si dianzi in aria ardito.
Aspra e fiera battaglia da la parte
Che lungi al mare era più dentro al lito.
Ciascun d'essi venia con una parte
De l'oste che s'avea^ quadripartito.
Quale a mur, quale aporte, e quale altrove,
Tutti davan di sé lucide prove.
22
Il valor di ciascun meglio si puote
Veder cosi, che se fosser confusi:
Chi sia degno di premio, e chi di note
Appare inanzi a mill'occhi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote,
E gli elefanti altre ne portano usi.
Che su lor dossi cosi in alto vanno,
Che i merli sotto a molto spazio stanno.
23
Vien Brandimarte, e pon la scala a'
E sale, e di salir altri conforta: [muri.
Lo seguon molti intrepidi e sicuri;
Che non può dubitar chi l'ha in sua scorta.
Non è chi miri, o chi mirar si curi.
Se quella scala il gran peso comporta.
!Sol Brandimarte a gli nimici attende;
Pugnando sale, e al fine un merlo prende.
24
E con mano e con pie quivi s'attacca,
Salta sui merli, e mena il brando in volta.
Urta, riversa e fende e fora e ammacca,
E di sé mostra esperienzia molta:
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,
Che troppa soma e di soperchio ha tolta.
E for che Brandimarte, giù nel fosso
Vanno sozzopra, e l'uno all'altro adosso.
20. 1. risforzar. Tutti i commentatori in-
tendono rinforzar. Il Gherardini meglio:
rijnoliar con nuovo sforzo; e cita questo
solo esempio. Vedi la forma rifl. e. xlt,
70, 5.
— 3. in alto; in allo mare. V. e.
36, n. 1.
— 5
— 6,
Vili,
d'alto; dall'alto (delle navi).
tormenti; macchine da guerra. V.
e. XVI, 5(5, 4.
— 7. espedir, mettere in pronto, prepa-
rare. È significato preso dal latino, e raro
in italiano. Virgilio dice expedlre cerer^em
canistr-is ; preparare il pane nelle ceste.
!»1. 2. E quel ecc. ; Astolfo.
— 6. oste ; esercito. Dal lat. hostis, che
propriam. era l'esercito nemico.
22. 3. note, biasimi. Guicciardini, St. I.
2, SO: « Détte quest'atto non piccola nota ».
— 5, trannosi, traggonsi. V. xix, 70, n. 4.
— C. usi; assuefatti a questo lavoro.
Per ciò non perde il cavallier l'ardire.
Né pensa riportare a dietro il piede;
Ben che de' suoi non vede alcun seguire,
Ben che berzaglio alla città si vede.
Pregavan molti (e non volse egli udire)
Che ritornasse; ma dentro si diede:
Dico che giù ne la città d'un salto
Dal muro entrò che trenta braccia era alto.
26
Come trovato avesse o piume o paglia,
Prese il duro terren senza alcun danno;
E quei c'ha intorno, affrappa e fora e ta-
[glia,
Comes affrappa e taglia e fora il panno.
Or contra questi or contra quei si scaglia;
E quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che l'han veduto
Dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.
27
Per tutto '1 campo alto rumor si spande
Di voce in voce, e il mormorio e '1 bisbiglio.
24. 4. mostra esperienza; Più comunem.
dare esperienza, dar prova. Cosi nel canto
XXXI, 24, 8. Canti carnasc. Otton. 60: «E
perché me' vi diamo Di questo esperienza ».
— 6. troppa e di sop.. Troppa sarebbe
per la l'esistenza della scala, di soverchio
per il bisogno. Ma tal distinzione in questo
luogo non pare a proposito e perciò le due
espressioni debbono intendersi nello stesso
significato e nello stesso uso, che abbiamo
notato nel e. vii, 38, 8.
— 8. sozzopra, sottosopra. V. e. xiv,
128, n. 7.
25. 4. berzaglio. Per il facile cambiamento
di s in z, gli antichi non di rado usarono
questa forma invece della più comune ber-
saglio. Dante, Par. 26, 24.
— 6. si diede; si gettò. È simile, ma di-
verso a quel di Dante, Inf. 23, 44: « Supin
si diede (si abbandonò) alla pendente roc-
cia ». Ed è piuttosto il costrutto latino se
dare intra, che il Forcellini non cita, ma
lo cita il Georges con esempio di Cicerone.
Con ragione il Lavezuola notò un risconti'O
fra Brandimarte e Alessandro, il quale.espu-
gnando una città degli Ossidraci, sale per
primo sulle mura, è preso di mira da
ogni parte, resta velut in solitudine desti-
tutus, non ascolta gli amici, che lo invi-
tano a saltar giù tra loro, si scaglia d' un
salto nella città piena di nemici (Romizi).
26. 3. affrappa. V. e. xiv, 130, n. 5.
CANTO XL
545
La vaga Fama intorno si fa grande,
E narra, et accrescendo va il periglio.
Ove era Orlando (perché da più bande
Si dava assalto), ove d'Otone il figlio,
, Ove Olivier, quella volando venne
Senza posar mai le veloci penne.
•28
Questi guerrier, e più di tutti Orlando,
Ch'amano Brandimarte e l'hanno in pregio
Udendo che, se van troppo indugiando,
Perderanno un compagno cosi egregio,
Piglian le scale, e qua e là montando,
Mostrano a gara animo altiero e regio
Con si audace sembiante e si gagliardo,
Che i nemici tremar fan con lo sguardo.
■29
Come nel mar che per tempesta freme,
Assaglion l'acque il temerario legno,
Ch'or da la prora, or da le parti estreme
Cercano entrar con rabbia e con isdegno;
Il pallido nocchier sospira e geme.
Ch'aiutar deve, e non ha cor né ingegno;
Una onda viene al fin, ch'occupa il tutto,
E dove quella entrò, segue ogni flutto:
30
Cosi di poi ch'ebbono presi i muri
Questi tre primi, fu si largo il passo.
Che gli altri ormai seguir pouno sicuri.
Che mille scale hanno fermate al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
Botto in più lochi, e con si gran fraccasso
Che si poteva in più che in una parte
Soccorrer l'animoso Brandimarte.
31
Con quel furor che '1 Re de' fiumi altiero,
Quando rompe tal volta argini e sponde,
E che nei campi Ocnei s'apre il sentiero,
E i grassi solchi e le biade feconde,
E con le sue capanne il gregge intero,
E coi cani i pastor porta ne l'onde;
Guizzano i pesci agli olmi in su la cima,
Ove solean volar gli augelli in prima:
27. 3. vaga; V. e. xxii, 93, n. 6.
28. 6. regio, nobile, grande. Si cita que-
sto solo esempio dell'A. ; ma forse è da ag-
giungervi anche l'altro del e. xiu, 71, 3.
29. 2. Assaglion, assalgon. Queste forme
del verbo salire le usarono gli antichi an-
che in prosa, ma dopo il Cinquecento ri-
masero soltanto alla poesia.
30. 4. Che; è relativo; e perciò male al-
cune edizioni lo scrivono con l'accento.
31. 1. re de' fiumi; il Po. È espressione
Virgiliana, Geoì-gi. I, 4S2 : « fluviorum rex
Eridanus ». j
— 3. E che ; e quando. V. e. vi, 60, n. 5.
— e. Ocnei; il territorio Mantovano. V. e.
xiii, 59, n. S.
— 7. Guizzano ecc. Orazio, Od. i, 2: «Pi-
scium et summa genus haesit ulmo Nota
quae sedes fuerat columbis ».
Ahiosto — Papini
32
Con quel furor l'impetuosa gente
La dove ayea in più parti il muro rotto,
Lntro col ferro, e con la face ardente
A distruggere il popol mal condotto.
Omicidio, rapina, e man violente
Nel sangue e ne l'aver, trasse di botto
La ricca e trionfai città a mina
Che fu di tutta l'Africa regina. '
33
D'uomini morti pieno era per tutto-
L de le innumerabili ferite '
Fatto era un stagno più scuro e più brutto,
Ui quel che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indulto
Ardea palagi, portici e meschite.
Di pianti e di urli e di battuti petti
!5uonano i voti e depredati tetti.
34
I vincitori uscir de le funeste
Porte vedeansi di gran preda onusti
Chi con bei vasi e chi con ricche veste.
Chi con rapiti argenti a' Dei vetusti:
Chi traea i figli e chi le madri meste-
^ur tatti stupri e mille altri atti ingiusti.
Dei quali Orlando una gran parte intese,
iNe lo potè vietar, né '1 Duca Inglese.
35
Fu Bucifar de l'Algazera morto
Con esso un colpo da Olivier gagliardo
Perduta ogni speranza, ogni conforto
S uccise di sua mano il Re Branzardo
Con tre ferite onde mori di corto
Fu preso Folvo dal Duca dal Pardo
Questi erau tre ch'ai suo partir lasciato
Avea Agramante a guardia de lo stato
36
Agramante ch'in tanto avea deserta
L armata, e con Sohrin n'era fuggito,
32. 4. mal condotto, mal ridotto, ridotto
agli estremi.
— 5. man viol. ecc.; Dante, Inf. 12, 105:
« Che dier nel sangue e nell'aver di piglio ».
3:5. 4. Di quel, ecc.; dello stige. Dante,
Inr. 9, 30: « Questa palude che '1 gran puzzo
spira Cinge dintorno la città dolente».
— 5. indntto; propagato. È significato
che manca nella N. Crusca.
— 6. meschite, moschee.
34. 3. veste, vesti. V. e. ix, 84, n. 1.
— 7. intese; ebbe notizia.
— 8. lo. Si riferisce a tutto il pensiero.
— potè. È presente: l'ed. del lòlòha. puote.
35. 2. con esso n. e. V. e. xxi, 49, n. 1.
— 6. Duca d. Pardo, Astolfo, cosi' detto
dal pardo, che aveva nell'arme. V. e. xv,
75, 6.
— 7. Questi eran tre ecc. Cosi nel Bo-
iardo, Innam. II, xxviii, 53.
36. 1. av. deserta; av. abbandonata. Cosi
546
ORLANDO FURIOSO
Pianse da lungi e sospirò Biserta,
Veduto si giau fiamma arder sul lito.
Poi pili d'appresso ebbe novella certa
Come de la sua terra il caso era ito;
E d'uccider sé stesso in pensier venne,
E lo facea; ma il Ke Sobrin lo tenne.
37
Dicea Sobrin: Che più vittoria lieta,
Signor, potrebbe il tuo nimico avere,
Che la tua morte udire, onde quieta
Si sperarla poi l'Africa godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta:
Quindi avrà cagion sempre di temere.
Sa ben, che lungamente Africa sua
Esser non può, se rqn per morte tua.
•OS
Tutti i sudditi tuoi, morendo privi
De la speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che n'abbi a liberar, se vivi,
E trar d'affanno e ritornarne in festa.
So che, se muori, siàn sempre captivi,
Africa sempre tributaria e mesta.
Dunque, s'in util tuo viver non vuoi,
Vivi, Signor, per non far danno ai tuoi.
39
Dal Soldano d'Egitto, tuo vicino,
Certo esser puoi d'aver danari e gente :
Mal volentieri il figlio di Pipino
In Africa vedrà tanto potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino
Per ritornarti in regno, il tuo parente:
Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi,
Tutti in soccorso avrai, se tu li chiedi.
40
Con tali e simil detti il Vecchio accorto
Studia tornare il suo Signore in speme
Di racquistarsi l'Africa di corto;
Ma nel suo cor forse il contrario teme.
Sa ben quanto è a mal termine e a mal por-
E come spesso in van sospira e geme [to.
Chiunque il regno suo si lascia tòn-e,
E per soccorso a' Barbari ricorre.
41
Annibal e lugurta di ciò foro
Buon testimoni, et altri al tempo antico:
Dante, lìif. 26, 102: « dalla qual (compa-
gnia) non fui deserto ».
— 4. Veduto, veduta. V. e. ix, 32. n. 1.
37. 1. Che pili T. 1. Si potrebbe veder qui
una delie molte forzate inversioni dell'A. e
intendere: che vittoria più lieta, qual vit-
toria più lieta, che udire, ecc. Ma a chi ha
presenti i due esempi del e. vm, 43, 8; xm,
3,7 sembrerà meglio interpretare: qual mag-
gior vittoria allegra. Questo epiteto di a/la-
grò è di Graz.: Sai. 1, 8: « Victoria laeta».
38. 5. siàn; slam. V. e. ix, 43, n. ».
;{9. 5. Norandino, « re di Damasco e di
tutta Soria ». V. e. xvii, 23.
40. 3. di corto, in breve. V. e. i, Ci, 3.
Al tempo nostro Ludovico il Moro,
Dato in poter d'un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
Ben ebbeesempio(avoiSignormio, dico).
Che sempre ha riputato pazzo espresso
Chi pili si fida in altri, ch'in sé stesso.
42
E però ne la guerra che gli mosse
Del Pontefice irato un duro sdegno,
Ancor che ne le deboli sue posse
Non potessi egli far molto disegno,
E chi lo difendea, d'Italia fosse
Spinto, e n'avesse il suo nimico il regno ;
Né per minacele mai, né per. promesse
S'indusse che lo stato altrui cedesse.
43
Il Re Agramante all'Oriente avea
Volta la prora, e s'era spinto in alto;
Quando da terra una tempesta rea
Mosse da banda impetuoso assalto.
Il nocchier ch'ai governo vi sedea.
Io veggo (disse alzando gli occhi ad alto)
Una procella apparecchiar si grave.
Che contrastar non le potrà la nave.
44
S'attendete, Signori, al mio consiglio,
Qui da man manca ha un'isola vicina,
41. 1. Annibale, ricorse a Prusia re di
Bitinia, ma questi lo dette alla vendetta dei
Romani. — lugurta fu dato agli stessi Ro-
mani da Bocco re di Mauritania, suo ge-
nero.
— 3. Ludovico il M., fu tradito dagli Sviz-
zeri suoi mercenari e consegnato aLuigiXir,
re di Francia.
— 5. Alfonso d'Este, fratello del cardi-
nale Ippolito, a cui qui si volge il poeta,
privo dei soccorsi dei Francesi, che dopo la
battaglia di Ravenna erano stati scacciati
d'Italia, resistette sempre vivacemente alle
pretese e alle persecuzioni di papa Giu-
lio II, e più tardi di Leone X, alla cui « in-
discrezione » il re di Francia lo abbandonò
(Muratori, Ant. Est. ii, 321).
42. 4. potessi. V. e. Il, 40, u. 8. — far...
disegno in una cosa si disse egualmente
che far dis. sopra una cosa; più raramen-
te : di uìia cosa.
— 5. chi lo dif. i Francesi.
— 6. il suo nini., gli Spagnuoli. — spinto,
cacciato: v. e. xlii, 23, n. 7.
— 8. s'indusse che ced. ecc.; s'indusse a
cedere. V. e. i, 38, n. 6.
43. 4. da handa, di fianco.
— 6. ad alto, in alto. V. e. iv, 50, 1.
— 7. apparecchiare, apparecchiarsi. I vo-
cabolari non citano questo significato ri-
flessivo. Vedine usi simili nei canti xxv, 43,
7; XXVI, 03, 2; xlv, 10, 4.
44. 2. ha, vi ha. Gli antichi usarono avoe
CANTO XL
547
A cui mi par ch'abbiamo a dar di piglio,
Fin che passi il furor de la marina.
Consenti il Ee Agraraaute; e di periglio
Usci, pigliando la spiaggia mancina,
Che per salute de' nocchieri giace
Tra gli Afri e di Vulcan l'alta fornace.
45
D'abitazioni è l'isoletta vota.
Piena d'umil mortelle e di ginepri.
Gioconda solitudine e remota
A cervi, a daini, a caprioli, a lepri;
E fuor ch'a piscatori, è poco nota,
Ove sovente a rimondati vepri
Sospendon, per seccar, l'umide reti:
Dormeno intanto i pesci in mar quieti.
46
Quivi trovar che s'era un altro legno,
Cacciato da fortuna, già ridutto.
Il gran guerrier ch'in Sericana ha regno,
Levato d'Arli, avea quivi condatto.
Con modo riverente e di sé degno
L'un Re con l'altro s'abbracciò all'asciut-
Ch'erano amici e poco inanzi furo [to;
Compagni d'arme al parigino muro.
per essere molt« spesso senza il vi o ci,
die più comunemente oggi si mette. Vedi
la nota 3, e. xlv, 41.
— 3. dar di piglio. Male i vocabolari, ci-
tando questo esempio, spiegano approduì-e,
perché qui vale afferrare appena possono
per la violenza del vento. E accenna a tutti
•luei mezzi, che usano i marinari per ap-
prodare quando 1' acqua è agitata; come
gettare uncini, o funi o altro, per costringer
la barca a prender terra.
— 8. di Vulcan l'a. f.; l'Etna, per l'intera
Sicilia, e non, come credono alcuni, l'isola
eolia detta Vulcano, che sarebbe troppo lon-
tana per potere indicare il confine marittimo
tra l'Affrica e la Sicilia. Inoltre l'Etna è la
famosa alta fornace, dove Vulcano fabbri-
cava i fulmini di Giove. .L'A. nel e. xii, 2 ;
dice fuoco di Vulcano il fuoco dell' Etna.
L' isola dunque, dove approda Agramante,
si trovava tra l'Affrica e la Sicilia; ma poi-
ché non doveva esser lontana da Lampe-
dusa, come appare dalla st. 55, poteva es-
sere la piccola isola di Limosa; se pure
l'A. non pensò ad un'isola immaginaria.
4.5. C. rimond. vepri , ad alti pruni ri-
mondati da' piccoli rami, perché non im-
piccino le reti. Male il Fornari e altri in-
tendono cespugli, su cui si buttino orizzon-
talmente le reti: per quanto rimondati, le
impiglierebbero sempre. Son dunque alti
pruni, che servono da pali, a cui si so-
spendono le reti. Cosi fanno per lo più i pe-
scatori.
46. 2. fortuna, tempesta.
— 4. avea q. e. Il soggetto è legno, che
47
Con molto dispiacer Gradasso intese
Del Re Agramante le fortune avverse:
Poi confortollo, e, come Ee cortese.
Con la propria persona se gli offerse;
Ma eh' egli andasse all'iufedel paese
D'Egitto, per aiuto, non sofferse.
Che vi sia (disse") periglioso gire,
Dovria Pompeio i profugi ammonire.
48
E perché detto m'hai che con l'aiuto
Degli Etiopi sudditi al Senapo,
Astolfo a tòrti l'Africa è venuto;
E ch'arsa ha la città che n'era capo;
E ch'Orlando è con lui, che diminuto
Poco inanzi di senno aveva il capo;
Mi pare al tutto un ottimo rimedio
Aver pensato a farti uscir di tedio.
' 49
To piglierò per amor tuo l'impresa
D'entrar col Conte a singular certame.
Centra me so che non avrà difesa.
Se tutto fosse di ferro o di rame.
Morto lui, stimo la cristiana chiesa.
Quel che l'agnelle il lupo ch'abbia fame.
Ho poi pensato (e mi tia cosa lieve)
Di fare i Nubi uscir d'Africa in breve.
50
Farò che gli altri Nubi che da loro
Il Nilo parte e la diversa Legge.
E gli Arabi e i Macrobi, questi d'oro
Ricchi e di gente, e quei d'equino gregge,
Persi e Caldei (perché tutti costoro
Con altri molti il mio scettro corregge);
Farò ch'in Nubia lor faran tal guerra.
Che non si fermeran ne la tua terra.
51
Al Ee Agramante assai parve opportuna
Del Ee Gradasso la seconda oft'erta;
E si chiamò obligato alla Fortuna,
Che l'avea tratto all'isola deserta:
Ma non vuol tórre a condizione alcuna.
avea condotto qui Grad., levatolo, toltolo
d'Arli. V. e. XXXIII, 95.
47. 7. Ti; È avverbio di luogo: che sia
periglioso gir quivi. Questi spostamenti
sono frequentissimi nel poema.
4S. 5-e. diminuto di s. , scemo, privo di s.
È il latino diminutus dello stesso signifi-
cato. Cosi SvETONio, August, 99: «mentis
diminutio » pazzia.
50. 2. il Nilo parte ecc. V. e. XXXiil, 101,
n. 7.
— 3. Macrobi (gr. Tnacròs, lungo; 6io.v,
vita; longevi) antico popolo Etiope, di cui
s'ignora la precisa residenza.
— 6. il mio se. corr. Questo dominio, che
per un re di Sericana era immenso, non
faccia maraviglia in un poeta romanzesco.
51, 5. torre; accettare; acconsentire.
548
ORLANDO FURIOSO
S ì racquistar credesse indi Biseita,
Che battaglia per lui Gradasso prenda;
Che 'u ciò gli par che l'onor troppo offenda.
52
S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io
(Rispose) a cui la pugna più conviene:
E pronto vi sarò; poi faccia Dio
Di me, come gli pare, o male o bene.
Facciàn (disse Gradasso) al modo mio,
A un nuovo modo ch'in peusier mi viene:
Questa battaglia pigliamo ambedui
Incontra Orlando, e un altro sia con lui.
53 (gno
Pur ch'io non resti fuor, non me ne la-
(Disse Agramante), r sia primo o secondo :
Ben so ch'in arme ritrovar compagno
Di te miglior non si può in tutto il mondo.
Et io (disse Sobrin) dove rimagno?
E se vecchio vi paio, vi rispondo [glio
Ch'io debbo esser più esperto; e nel peri-
Presso alla forza è buono aver consiglio.
54
D'una vecchiezza valida e robusta
Era Sobrino, e di famosa prova;
E dice ch'in vigor l'età vetusta
Si sente pari alla già verde e nuova.
Stimata fu la sua domanda giusta;
E senza indugio un messo si ritrova,
Il qual si mandi agli Africani lidi,
E da lor parte il conte Orlando sfidi;
55
Che s'abbia a ritrovar con nuraer pare
Di cavallieri armati in Lipadusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
Medesmo che li cinge, è circonfusa.
Non cessa il messo a vela e a remi andare,
Come quel che prestezza al bisogno usa,
Che fu a Biserta; e trovò Orlando quivi,
Ch'a' suoi le spoglie dividea e i captivi.
— 6. indi; dopo quella battaglia.
.V2. 3-4. faccia... male o b.; mi dia buono
o cattivo esito.
5:5. 8. Presso, accanto, insieme.
'A. 2. di famosa pr.; di famosa prodezza.
V. e. XVII, 105, 7.
— 4. nuova, giovanile.
55. 1. Che s'abbia ecc. Sottintendi: e (iti.
dica elle s'abbia ecc.
— 3. Una isoletta ecc. È un' isola del pe-
rimetro di circa 10 miglia, posta tra 1' Af-
frica e Malta, cinta dallo stesso mare Me-
diterraneo, che cingeva risoletta, ove tro-
vavansi Agramante e Crad. Vi si veggono
ancora le rovine d'un'antica torre, che chia-
mano torre d' Orlando. Forse l'A. lo sapeva
e dacie gli venne l'idea di far questo luogo
scena del gran duello.
— 7. Che fu a B.; finclió fu a B. Vedi
e. xiii, 7, n. I.
56
Lo 'nvito di Gradasso e d'Agraraante
E di Sobrino in publico fu espresso,
Tanto giocondo al Principe d'Anglante,
Che d'ampli doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi compagni udito iuante.
Che Durindana al fianco s'avea messo
Il Re Gradasso: ond'egli per desire
Di racquistarla, in India volea gire,
57
Stimando non aver Gradasso altrove,
Poi ch'udì che di Francia era partito.
Or più viciu gli è offerto luogo, dove
Spera che '1 suo gli fia restituito.
Il bel corno d'Almonte anco lo muove
Ad accettar si volentier lo 'nvito,
E Brigliador non men; che sapea in mano
Esser venuti al figlio di Troiano.
58
Per compagno s'elegge alla battaglia
Il fedel Brandimarte e '1 suo cognato.
Provato ha quanto l'uno e l'altro vaglia;
Sa che da trambi è sommamente amato.
Buon destrier, buona piastra e buona ma-
E spade cerca e lance in ogni lato [glia,
A sé e a' compagni. Che sappiate parme,
Che nessun d'essi avea le solite arme.
59
Orlando (come io v'ho detto più volte)
De le sue sparse per furor la terra :
Agli altri ha Rodomonte le lor tolte.
Ch'or alta torre in ripa un fiume serra.
Non se ne può per Africa aver molte;
Si, perchéinFranciaaveatrattoallaguer-
II Re Agramante ciò ch'era di buono; |ra
Si, perché poche in Africa ne sono.
60
Ciò che dì ruginoso e di brunito
Aver si può, fa ragunare Orlando;
56. 3. Principe d'Angl.; Orlando. .-Vnglante
o Angers supposto castello d'Orlando. Mi-
lone suo padre è detto nelle cronache Milo
de Angleriis; cosi nel e. xii, 66, 6.
57. 1. non aver, non poter avere fra mane.
— 5-7. Il b. corno... Brigliador. Il corno
era stato dato ad Agramante da Brunello
{Innamorato II, xvi, 13), che lo aveva ru-
bato ad Orlando (Ivi, II, xi, 8, 9), e Briglia-
doro eragli stato dato da Rugg. (e. xxx, 75.
5S. 2. cognato, Oliviero fratello di Alda,
che era sposa d'Orlando.
— 4. trambi, entrambi. È forma non re-
gistrata; si cita invece la forma tramOechw.
5i). 3. Agli altri, ecc. V. e. xxxi, 6.0;
XXXV, 53.
— 4. in ripa nn f. V., per l' espressione,
e. xiii, 42, n, 7.
— 5. per Africa; per l' Affr. Differisce da
in Affrica, perché contiene l'idea di an-
dare cercando.
CANTO XL
549
E coi compagni intanto va pel lite
De la futura pugna ragionaudo. [scito
Gli avvien ch'essendo fuor del campo u-
Più di tre miglia, e gli occhi al cielo aizan-
Vide calar con le vele alte un leguo [do
Verso il lito African senza riteguo.
61
Senza nocchieri e senza naviganti,
Sol come il vento e sua fortuna il mena.
Venia con le vele alte il leguo avanti
Tanto, che si ritenue in su l'arena.
Ma prima che di questo più vi canti,
L'amor ch'a Ruggier porto, mi rimena
Alla sua istoria; e vuol ch'io vi racconte
Di lui e del guerrier di Chiaramente.
tì-J
Di questi duo guerrier dissi, che tratti
S'erano fuor del marziale agone.
Viste conveuziou rompere e patti,
E turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti,
E stato sia di tanto mal cagione,
O rimperator Carlo, o il Re Agramante,
Studian saper da chi lor passa avaute.
63
Un servitor in tanto di Ruggiero,
Ch'era fedele e pratico et astuto.
Né pel conflitto dei duo campi fiero
Avea di vista il patron mai perduto,
Venne a trovarlo, e la spada e '1 destriero
Gli diede, perché a' suoi fosse in aiuto.
Montò Ruggiero e la sua spada tolse.
Ma ne la zuffa entrar non però volse.
64
Quindi si parte; ma prima rinuova
La couvenzion che con Rinaldo avea;
60. 7. calar, avvicinarsi. Si usò dagli an-
tichi calare in un porto per approdare.
Giov. Fior. Pecorone, 1, 79: «Volsero la
nave e calaronsi in quel porto ». L' Ariosto
estese il costrutto e il significato.
— 8. senza ritegno. È dichiarato da quel
che segue.
61. 4. si ritenne; si fermò. V. e. xix, 26,
n. 3.
— 8. guerrier di Ch. Rinaldo, e. ii, 67,
n. 1.
6-2. 1. dissi. Canto xxxix, 8, 9.
— 4. legione, schiera armata. Qui dun-
que non si tratta di queir ordine romano,
che a tutti è noto.
— 5. disfatti, violati. Significato non re-
gistrato dai vocabolari. La N. Crusca, che
ne cita;tauti, non ha ricordato questo.
63. 5. spada... destriero. Nel combatti-
mento aveano usato azza e pugnale. V. e.
xxxviii, 74.
— 6. fosse in a.; venisse in aiuto. Dino
COMP. Cr. 1: * I quali promisero essere in
suo aiuto ».
Che se pevgiuro il suo Agramante trova.
Lo lascierà cou la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier fare altra prova
D'arme non volse; ma solo atteudea
A fermar questo e quello, e a domandarlo
Chi prima roppe, o '1 Re Agramante, o Car-
65 [lo.
Ode da tutto '1 mondo che la parte
Del Re Agramante fu, che roppe prima.
Ruggiero ama Agramante. e se si parte
Da lui per questo, error non lieve stima.
Fur le gente Africane e rotte e sparte
(Questo ho già detto iuanzi) e da la cima
De la volubil ruota tratte al fondo,
Come piacque a colei ch'aggira il mondo.
66
Tra sé volve Ruggiero, e fa discorso.
Se restar deve, o il suo Signor seguire.
jGli pon l'amor della sua Donna ujjmorgfl
Per non lasciarlo in Africa più gire: '
Lo volta e gira, et a contrario corso
Lo sprona, e lo minaccia di punire.
Se '1 patto e '1 giuramento non tien saldo,
Che fatto avea col paladin Riualdo.
67
Non men da l'altra parte sferza e sprona
La vigilante e stimulosa cura.
64. 3. perginro, spergiuro. Cosi pure nel
e XXXIX, 16 e XLir, 25. È forma più vicina
al latino pierlurus.
— 4. setta; seguaci iu religione.
— 8. roppe, ruppe i patti.
6.J. 1. da tatto '1 m.; da tutta la gente.
È un francesismo passato nella nostra lin-
gua fin dal trecento. Sacchetti, Nov. 110:
« E tutto il mondo era tratto e traeva (a
quei rumori»). Forse l'Ar. l'usò cosi anche
nel e. IV, 28, 8.
— 3. se sì parte ecc. Intendi: se si parte
da Agramante perché turbò il duello, stima
commettere errore non lieve contro la ge-
nerosità, la quale, in tant^ disgrazia, vuole
che un amico aiuti l'amico sfortunato. Il
Panizzi l'iflette che, avendo Ruggero giurato
di lasciare Agramante se egli rompeva i
patti, error non lieve è restare e perciò pro-
penderebbe a leggere « e, se si parte Da lui
per questo error non lieve, stima » e seb-
bene si parta da lui per q. er. n. 1 , lo stima
ancora. Ma la nostra interpr. è confer-
mata dalla lez. della ediz. del 1516 e 1521 :
«se si parte Per ciò da lui far grande er-
ror si stima» e dalia puntegg. della ed.
1532. Vedi del resto st. 67.
— 8. colei, la Fortuna, che sulla sua
ruota gira per il mondo.
66. 6. lo m. di pun. minaccia di punirlo.
V è il solito spostamento del pronome : cfr.
e. I, 47, n. 6. \
67. 2. stimulosa cura; lo stimolante pen-
550
ORLANDO FURIOSO
Che s'Agramantein quel caso abbandona,
A viltà gli sia ascritto et a paura.
Se del restar la causa sarà buona
A molti, a molti ad accettar fia dura.
Molti diran che nou si de' osservare
Quel ch'era ingiusto e illicito a giurare.
68
'^ Tutto quel giorno e la notte seguente
[stette solingo, e cosi l'altro giorno,
jPur travagliando la dubbiosa mente,
j Se partir deve o far quivi soggiorno.
•Pel Signor suo conclude finalmente
1 Di fargli dietro in Africa ritorno.
^Potea in lui molto il coniugale amore,
iMa vi potea più il debito e l'onore.
bé
Torna verso Arli; che trovar vi spera
L'armata ancor, ch'in Africa il transporti:
Né legno in mar né dentro alla rivera,
Né Saracini vede, se non morti.
Seco al partire ogni legno che v'era.
Trasse Agramante; e '1 resi" arse nei por-
Fallitogli il pensier, prese n cumino [ti :
Verso Marsilia pel lito marino.
70
A qualche legno pensa dar di piglio,
Ch'a prieghi o a forza il porti all'altra riva.
Già v'era giunto del Danese il figlio
Con l'armata de' bai'bari captiva.
Non si avrebbe potuto un gran di miglio
Gittar ne l'acqua: tanto hi copriva
La spessa moltitudine di navi.
Di vincitori e di prigioni, gravi.
71
Le navi de' Pagani, ch'avanzaro
Dal fuoco e dal naufragio quella notte.
Eccetto poche ch'in fuga n'andaro,
Tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
siero che se ecc. Stlmulosa (lat. stimiilo-
sus) fu già usato dal Buti, Inf. 3: « Siene
privati del sangue da pungenti e stimulosi
animali ».
— 8. a giurare, giurandolo. V. e. iv, 11,
n. 1.
68. 3. travagliando. Il soggetto è Ruggero,
che travagliava, affaticava la mente, dub-
biosa se deve ecc. L' ediz. del 1516 ha « tra-
vagliando iu la d. mente ».
— 6. Di fargli ecc. Costruisci: di far ri-
torno in Affrica dietro a lui. Questo sposta-
mento del pronome è duro e non chiaro.
— 7. coniugale; della promessa sposa.
V. e. XVI, 14, n. 4.
69. 3. rivera, fiume Rodano.
— 6. arse. È usato intransitivamente:
andò iu fiamme per mano dei cristiani.
70. 2. all' a. riva; iu Affrica, sul lido af-
fricano.
— 3. del Danese il f.; Dudone figlio di
Uggeri il Danese.
Sette di quei ch'in Africa regnare.
Che, poi che le lor genti vider rotte,
Con sette legni lor s'eran renduti,
Stavan dolenti, lacrimosi e muti.
72
Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
Ch'a trovar Carlo andar volea quel giorno;
E de' captivi e di lor spoglie ordito
Con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel lito,
E i Nubi vincitori allegri intorno,
Che faceano del nome di Dudone
Intorno risonar la regione.
73
Venne in speranza di lontan Ruggiero,
Ch« questa fosse armata d' Agramante;
E, per saperne il vero, urtò il destriero:
Ma riconobbe, come fu più inante,
Il Re di Nasamona prigioniero,
Barabirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo e Balastro e Rimedonte,
Che piangendo tenean bassa la fronte.
74
Ruggier che gli ama, sofferir non puote
Che stian ne la miseria in che li trova.
Quivi sa ch'a venir con le man vote,
Senza usar forza, il pregar poco giova.
La lancia abbassa e chi li tien percuote:
E fa del suo valor l'usata prova:
Stringe la spada, e in un piccol momento
Né fa cadere intorno più di cento.
75
Dudone ode il rumor, la strage vede,
Che fa Ruggier; ma chi sia non conosce:
Vede i suoi c'hanno in fuga volto il piede
Con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto il destrier, lo scudo e l'elmo chiede ;
Che già avea armato e petto e braccia e
[cosce:
Salta a cavallo, e si fa dar la lancia;
E non oblia ch'è Paladin di Francia.
76
Grida che si ritiri ognun da canto.
Spinge il cavallo e fa sentir gli sproni.
Ruggier cent'altri n'avea uccisi in tanto,
E gran speranza dato a quei prigioni:
E come venir vide Dudon santo
72. 4. adorno, bello. V. e. X, 60, n. 6. In-
tendi: coi captivi e colle loro spoglie avea
ordito un bel trionfo in lunga pompa.
73. 5. Il re di Nasamona Puliano, Agri-
calte, Bambirago e Balastro erano già morti.
V. e. XVI, 46, 81 ; xviii, 45. È una dimenti-
canza deir.4riosto. Manilardo nel e. xii, 84,
1, stramazza stordito da un colpo d'Orlan-
do, e nel canto xiv, 29 un messo riferisce
che giace al dampo con gli altri, ma non
si dice che sia morto.
76. 5. Dudon santo. Nei poemi cavallere-
schi D. si disse santo, perché, lasciata la mo-
CANTO XL
551
Solo a cavallo, e gli altri esser pedoni,
Stimò che capo e che Signor lor fosse;
E centra lui con gran desir si mosse.
77
Già mosso prima era Dudon; ma quan-
Senza lancia Kuggier vide venire, [do
Lunge da sé la sua gìttò, sdegnando
Con tal vantaggio il cavallier ferire.
Ruggiero, al cortese atto riguardando,
Disse fra sé: Costui non può mentire,
Ch'uno non sia di quei guerrier perfetti
Che Paladin di Francia sono detti.
78
S'impetrar lo potrò, vo' che '1 suo nome,
Inanzi che segua altro, mi palese:
E cosi domaudollo, e seppe come
Era Dudon figliuol d'Uggier Danese.
Dudon gravò Ruggier poi d'ugual some;
E parimente lo trovò cortese.
Poi che i nomi tra lor s'ebbono detti.
Si disfidare, e vennero agli effetti.
79
Avea Dudon quella ferrata mazza
Ch'in mille imprese gli die eterno onore.
Con essa mostra ben, ch'egli è di razza
Di quel Danese pien d'alto valore.
La spada ch'apre ogni elmo ogni corazza,
Di che non era al mondo la migliore.
Trasse Ruggiero, e fece paragone
Di sua virtude al paladin Dudone.
80
Ma perché in mente ogni ora avea di
Offender la sua donna che potea; [meno
glie, si fece e mori crociato (Bolza). E il
Boiardo Innatn. II, x, 13: «Ma poi di tal
bontà si dava il vanto, Ch'era appellato in
soprauome il Santo ».
78. 1. s'impetr. lo p.; se im. 1. p. I cava-
lieri generalmente non potevano doman-
darsi il nome.
— 5. d'ug. some, si fece dire il nome an-
che da lui. È immagine Dantesca, Purg. 18,
84 : « Del mio carcar diposto avea la soma.
(Erasi sgravato del carico, che io gli aveva
imposto con le mie interrogazioni) ».
— 8. effetti, fatti.
79. 1. Avea ecc. Innani. II, xiv, 62; «E'
non portò mai lancia il giovinetto (Dudone),
Ma piastra e maglia e scudo e bacinetto E
una mazza ferrata di gran peso »: e II, x,
13: «E con sua mazza poderosa e dura A
molti Saracin dette la morte ».
— 6. la migliore, una miglioi'e. V. e. vi,
20, n. 4.
— 7. fece paragone, dette prova. V. e. I,
61, n. 4.
80. 1. di; Uniscilo a ofTendere: di offen-
der meno.
Et era certo, se spargea il terreno
Del sangue di costui, che la offeudea
(De le case di Francia instrutto e pieno,
La madre di Dudon esser sapea
Armelina, sorella di Beatrice,
Ch'era di Bradaniantc genitrice) :
81
Per questo mai di punta non gli trasse,
E di taglio rarissimo feria.
Schermiasi ovunque la mazza calasse.
Or ribattendo, or dandole la via.
Crede Turpin che per Ruggier restasse,
Che Dudon morto in pochi colpi avria :
Né mai, qualunque volta si scoperse,
Ferir, se non di piatto lo sofferse.
82
Di piatto usar potea, come di taglio,
Ruggier la spada sua ch'avea gran schena ;
E quivi a strano giuoco di sonaglio
Sopra Dudon con tanta forza mena,
Che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio,
Che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser più grato a chi m'ascolta,
Io differisco il Canto a un'altra volta.
81. 4. dandole la via ; Scansandosi per la-
sciarla passare a vuoto.
— 5. restasse che ecc. 11 Bolza intende:
Che stesse in Ruggiero, che avrebbe morto
in pochi colpi Dudone. Ma non dà senso.
Credo che si abbia un' espressione incom-
pleta, da finire cosi : Crede Turpino che per
Ruggier restasse (mancasse, non avvenisse)
che Dudone fosse morto ; poiché, altrimenti
lo avrebbe ucciso in pochi colpi. O anche,
come crede il Romizi: Crede T. che per
Ruggiero, il quale lo avrebbe morto in pochi
colpi, restasse ciò, non avvenisse ciò. Anche
quegto sarebbe ardimento confacente allo
stile dell'Ariosto. Restare per mancare si
usò spesso dagli scrittori ; ma in frase ne-
gativa. In espressione affermativa non se
ne citano esempì.
— 8. ferir... lo soff. ; sofferse, ebbe animo,
di ferirlo. C è lo spostamento del pronome
tante volte notato. V. e. i, 47, n. 6.
8'2. 2. g. schena. L'antica spada aveva una
larga lama rettilinea con taglio da ambe-
due le parti, e un ringrosso lungo il mezzo,
che era appunto la schiena. Essendo questo
ringrosso molto resistente, Ruggiero poteva
colpire di piatto, senza che l'arme si pie-
gasse.
— 3. giuoco di 8on. Il giuoco di sonaglio
era simile a quello di mosca cieca. I giuo-
catori, trovandosi, si davano dei colpi con
fazzoletti annodati. Per ciò menare a so-
naglio o a giuoco di sonaglio vale menare
colpi alla cieca e alla disperata.
552
ORLANDO FURIOSO
CANTO XLI
L'odor cli'è sparso inbennotrita e bella
O chioma o barba o delicata vesta
Di giovene leggiadro o di donzella
Ch'amor sovente lacrimando desta,
.Se spira e fa sentir di sé novella,
E dopo molti giorni ancora resta.
Mostra con chiaro et evidente effetto,
Come a principio buono era e perfetto.
2
L'almo liquor ch^' ai meditori suoi
Fece Icaro gustar con suo gran danno,
E che si dice che già Celte e Boi
Fé' passar l'Alpe, e non sentir l'affanno ;
Mostra che dolce era a principio, poi
Che si serva ancor dolce al fin de l'anno.
L'arbor ch'ai tempo rio foglia non perde,
Mostra ch'a primavera era ancor verde.
t. 4. Ch'amor ecc.; cui amore sovente de-
sta in pianti. É una perifrasi per dire in-
namorata, ed è fatta con immagine ed
espressioni Petrarchesche: I, son. 7: «La
donna, che colui, che a te ne invia. Spesso
dal sonno lacrimando desta ». Il gerundio
sta per il participio presente.
— 5. f. s. d. 8. novella, da notizia della
sua presenza. È una locuzione nuova e ar-
dita che fonde due pensieri e due espres-
sioni: fa sentire Vociare di se; da novella
di sé; donde fa sentire novella di sé.
— 6. dopo m. giorni. Questo complemento
si riferisce anche al verso precedente, e va
collocato dopo il se.
— 7. effetto; fatto che serve di prova. V.
e. VI, 7. n. 5.
3. 1. meditori, mietitori. È forma dialet-
tale Emiliana, ancor viva, e non registrata
dai vocabolari.
— 2. Icaro, o Icario, figliuolo di Ebaio
re di Sparta, fu compagno di Bacco, da cui
imparò l'uso del vino. Avendone dato a bere
a' suoi mietitori ne furono ubriacati; si che,
temendo di essere stati avvelenati, lo ucci-
sero. V. Luciano, Dialog. degli Dei 6.
— 3. Celte, Celti. È la forma latina Cel-
tae. Ai Celti apparteneva il popolo de' Boi.
Questi Celti o Galli passarono le Alpi in di-
versi periodi di emigrazioni successive, co-
minciate, secondo Livio, al tempo di Tar-
quinio Prisco, e si stabilirono nella valle del
Po, allettati certamente dall;i fertilità di
quelle terre e dalla bontà dei loro prodotti.
— 6. serva (lat. servai), conserva, man-
tiene.
— 8. ancor; mostra che anche a prima-
L' inclita stirpe che per tanti lustri
Mostrò di cortesia sempre gran lume,
E par ch'ogu'or più ne risplenda e lustri,
Fa che con chiaro indizio si presume.
Che chi progenerò gli Estensi illustri,
Dovea d'ogni laudabile costume
Che sublimar al ciel gli uomini suole.
Splender non men che fra le stelle il sole.
4
Ruggier, come in ciascun suo degno ge-
D'alto valor, di cortesia solea [sto,
Dimostrar chiaro segno e manifeste,
E sempre più magnanimo apparea;
Cosi vei'so Dudon lo mostrò in questo,
Col qual (come di sopra io vi dicea)
Dissimulato avea quanto era forte.
Per pietà che gli avea di porlo a morte
5
Avea Dudon ben conosciuto certo.
Ch'ucciderlo Ruggier non I' ha voluto;
Perch'or s'ha ritrovato allo scoperto,
Or stanco si, che più non ha potuto.
Poi che chiaro comprende e vede aperto
Che gli ha rispetto, e che va ritenuto;
Quando di forza e di vigor vai meno.
Di cortesia non vuol cedergli almeno.
6
Per Dìo (dice), Signor, pace facciamo;
Ch'esser non può più la vittoria mia:
vera ecc. Di tali spostamenti abbonda il Fu-
rioso. V. st. 1, 6.
3. 4. presume. Può essere cong. per pre-
suma, cfr. e. XIII, 10, n. 3; ma può essere
anche indicativo.
— 5. progenerò, fu progenitore. In questo
senso citasi soltanto quest'es. dell'A.
— 7. sublimar, elevar. V. e. iv, 12, 3.
4. 1. gesto (lat. gero), atto.
— 4. apparea, apparia. V. e. vi, 4, n. 6.
— 5. in questo; in questo atto (gesto),
detto di sopra: o più generalmente: in que-
sta cosa detta di sopra.
— 6. Col qual, Dudone. Nella Principe :
Con lui.
— 8. pietà, dolore prodotto da pietà, pie-
toso dolore di p. a m. I vocabolari non ci-
tano questo significato. — gli, egli. Nella
Principe egli. V. e. vn, 75, 7.
5. 2. l' ha. Il lo è ripetizione mutile. Del
complem. duplicato vedi esempi nel e. xxiv,
41, 8; 83, 5, e altrove.
— 6. ritenuto, cauto.
— 7. Quando, poiché. V. c. I, 18, n, 3.
CANTO XLI
553
Esser non può pili mia ; che già mi chiamo
Vinto e prigion de la tua cortesia.
Ruggier rispose: Et io la pace bramo
Non men di te; ma che con patto sia,
Che questi sette Re e' hai qui legati,
Lasci eh' in libertà mi sieno dati.
7
E gli mostrò quei sette Re eh' io dissi
Che stavano legati a capo chino;
E gli soggiunse che non gli impedissi
Pigliar con essi in Africa il camino.
E cosi furo in libertà remissi
Quei Re; che gliel concesse il Paladino;
E gli concesse ancor, ch'un legno tolse,
Quel eh' a lui parve, e verso Africa sciolse.
8
Il legno sciolse, e fé' scioglier l(i vela,
E si die al vento perfido in possanza.
Che da principio la gonfiata tela
Drizzò a camino, e dièalnocchierbaldan-
II lito fugge, e in tal modo si cela, [za.
Che par che ne sia il mar rimase sanza.
Ne l'oscurar del giorno fece il vento
Chiara la sua perfidia e '1 tradimento.
9
Mutossi da la poppa ne le sponde,
6. 5. Et io; anch' io. Pulci, Monj. 11, 49:
« io per me son disposto.... ire a morire.
Disse Rinaldo: ed io».
— 6. che. È comune l'uso del che nelle
espressioni deprecative e imperative (che
tu sia benedetto: che venga subito ecc.);
nelle quali si sottintendono i verbi {desi-
dero, voglio e simili.
7. 3. impedissi, impedisse. V. e. ii, 40, u. >S.
— 4. Pigliar, di pigliar. — in A; verso
r.\. Boccaccio, nov. 17: «il suo amore in
lei (verso di lei) si raddoppiò ». Cosi nel e.
V, 12, 5.
— 5. remissi, rimessi. Latinismo antiqua-
to e non frequente.
— 7. E gli concesse ecc. In questo verso
bisognerebbe supporre uno strano costrut-
to: gli concesse che tolse per gli concesse
di togliere o che togliesse. Ma sembra me-
glio intendere: E gli concesse di più (ancor.),
gli fece altre concessioni, poiché tolse un
legno ecc.
— 8. sciolse, salpò. Quest'espressione, che
si usa generalmente ellittica (cfr. e. x, 44,
n. 1), l'abbiamo completa nel verso se-
guente.
8. 2. si die; V. e. xix, 20, 3.
— 4. Drizzò a camino; dr. al cammino,
alla via stabilita. Andare, drizzare, met-
tere, mettersi a camino sono espressioni
frequenti per mettere, mettersi in via per
una direzione determinata.
9. — La descrizione di questa tempesta
ha molte reminiscenze e imitazioni del Bo-
Indi alla prora, e qui non rimase anco.
Ruota la nave, et i nocchier confonde;
Ch'or di dietro or dinanzi or loro è al fian-
Surgono altiere e minacciose l'onde: [co.
Mugliando sopra il mar va il gregge bian-
[co.
Di tante morti in dubbio e in penastanno,
Quanto son l'acque cli'a ferir li vanno.
10
Or da fronte or da tergo il vento spira,
E questo inanzi, e quello a dietro caccia:
Un altro da traverso il legno aggira,
E ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel che siede al governo, alto sospira
Pallido e sbigottito ne la faccia;
E grida in vano, e in van con mano accen-
Or di voltare, or di calar l'antenna, [na
11
Ma poco il cenno, e '1 gridar poco vale:
Tolto è '1 veder da la piovosa notte.
La voce, senza udirsi, in aria sale,
In aria che feria con maggior botte
De' naviganti il grido universale,
E '1 fremito de Tonde insieme rotte : [bande
E in prora e in poppa e in amendue le
Non si può cosa udir, che si comande.
TARno, Inn. Ili, 4-6; di Ov. Metani. 11, 47 (,
segg.; di Virgilio, En. 1, 87, segg. e del
Boccaccio, nov. 17 ; ma tutto cosi mirabil-
mente unito, che par fatta di getto. Note-
remo solo i riscontri più spiccati.
— 2. non r. anco, e neppure qui rimase.
V. e. XVI, 36, n. S.
— 6. il gregge b. ; le onde spumose. Bo-
iardo, Inn. Ili, IV, 3, chiama le onde « Un
gregge bianco che si pasce al basso. Ma
sempre mugge e sembra una mina ».
— 7. Di tante m. ecc. OviD. Met. 11, 537:
« totidemque videntur Quot veniant fluctus
mere atque irrumpere inortes ».
— S. Quanto, quante. È usato avverbial-
mente, come anche alla st. 26, 1. La con-
cordia delle tre edizioni curate dal Poeta
esclude 1' errore. È un fenomeno inverso
di quello notato al e. v, 18, 7. I vocabolari
non lo citano. — acque, onde.
10. 1. da fronte, dalla fronte. V. e. il, 15,
n. 8.
— 2. questo... quello, questo che spira di
fronte... quello che spira da tergo.
— 4. pur, sempre.
— 8. antenna. È quello stile, che si mette
a traverso all' albero, e dove si fermano le
vele: calar l'antenna è dunque calar la
vela.
11. 3. La voce, del comandante. Ovid. 11,
485: « Non sinit audiri vocem fragor aequo-
ris uUam».
— 4. con m. botte, con maggior colpo, e
perciò facendo maggior rumox'e.
554
ORLANDO FURIOSO
12
Da la rabbia del vento, che si fende
Ne le ritorte, escono orribil suoni:
Di spessi lampi l'aria si raccende.
Risuona '1 ciel di spaventosi tuoni.
V'è chi corre al timon, chi i remi prende;
Van per uso agli uffici a che son buoni:
Chi s'affatica a sciorre e chi a legare:
Vota altri l'acqua, e tornailmarnel mare.
13
Ecdo stridendo l'orribil procella
Che '1 repentin furor di Borea spinge.
La vela centra l'arbore flagella :
11 mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi; e di fortuna fella
Tanto la rabbia ia^ietuosa stringe,
Che la prora si volta, e verso l'onda
Fa rimaner la disarmata sponda.
14
Tutta sotto acqua va la destra banda,
E sta per riversar disopra il fondo.
Ognun, gridando, a Dio si raccomanda;
Che più che certi son gire al profondo.
D'uuo in un altro mal Fortuna manda:
Il primo scorre, e vien dietro il secondo.
II legno vinto in più parti si lassa,
E dentro l' inimica onda vi passa.
12. 1-3. Da la rabbia ecc. Viro. Eh. 1, 91 :
« Insequitur clamorque virum stridorque
rudentum... Intouuere poli et crebris micat
ignibus aether ». Ovid. Met. 11, 495, ripete
le stesse immagini. — ritorte in senso ma-
rinaresco sono certe corde speciali; ma qui
è detto per le sartie in generale.
— 6. per nso, per abitudine. Ovid. 1. e.
4S6 : « Sponte tamen properant ».
— 8. vota ecc. Ovid. 1. e. 488 : « Egerit hic
fluctus aequorque refundit in aequor».
13. 2. Che; cui. Viro. En. 1, 102: « Talia
iactanti stridens Aquilone procella, Velum
adversa ferit fluctusque ad sidera tollit.
Kranguntur remi, tura prora avertit et un-
dis dat latus ».
— 3. flagella, sbatte.
— 4. attinge, tocca, arriva, (lat. attiri-
Oit).
— 7. si volta. In linguaggio marinaresco
si dice : la nave si traversa; e allora si ca-
lavano le spere. V. e. xix, 53, n. 2.
— 8. disarmata, senza remi.
14. 1. banda. Era questo il vocabolo na-
zionale, in uso prima che venisse dall'olan-
dese il babordo (banda sinistra per rispetto
al pilota) e il tribordo, (banda destra).
— 2. sta per rìv. Il soggetto è la destra
banda, che andando sott' acqua fa venire
in alto il fondo della nave.
— 4. gire, di gire. V. e. i, 4, u. 1.
— 6. 11 p. scorre; il primo male passa.
— 7. si lassa ; si apre, si sconnette. Cosi
nel e. XXVI, 111. Quantunque l'idea e il vo-
15
Muove crudele e spaventoso assalto
Da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tant'alto.
Che par ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra l'onde in su tal salto,
Ch'a mirar giù par lor veder lo 'nferno.
0 nulla 0 poca speme è che conforte ;
E sta presente inevitabil morte.
16
Tutta la notte per diverso mare
Scorsero errando ove caccioUi il vento ;
Il iìero vento che dovea cessare
Nascendo il giorno, e ripigliò augumento.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:
Voglion schivarlo, e non v'hanno argu-
[mento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
Il crudo vento e la tempesta ria.
17
Tre volte e quattro il pallido nocchiero
Mette vigor, perché '1 timon sia volto
E trovi più sicuro altro sentiero;
Ma quel si rompe, e poi dal mar gli è fol-
lia si la vela piena il vento fiero, [to.
Che non si può calar poco né molto:
Né tempo han di riparo o di consiglio;
cabolo siano ispirati da Virgilio (En. 1,
126, « Vicit byems mjjis laterum compagi-
bus omnes (naves) Accipiunt inimicam im-
brem »), pure lassare e lassarsi sono del
dialetto Emiliano e Ferrarese e vivono tut-
tora. I vocabolari li citano con questi due
soli esempì Ariosteschi. Oggi i marinari
dicono lascare, che è l'allentarsi delle com-
messure.
la. 2. verno; tempesta. È il latino e Vir-
giliano hyems V. e. xviii, 141, n. 6.
— 3. Veggon ecc. OviD. Met. 11, 50, 3;
« Et nunc sublimis veluti de vertice monlis
Despicere in valles imumque Acheronta vi-
detur; Nunc ubi demissam curvum circum-
stetit aequor Suspicei'e inferno summum
de gurgite coelum ».
— - s. E sta ecc. ViRG. En. 1,95: «Praesen-
temque viris intentant omnia mortem ».
10. 1. p. diverso mare; per diverse parti
del mare; qua e là per il mare. È il latino
diversus. Virg. En. 11, 855: « Cur, inquit,
diversus abis? perché vai qua e là? » La
Crusca intende mare tempestoso, ma non
conferma il signilicato con nessun esempio.
— 3. dovea cess. Secondo la previsioni
dei marinari.
— 6. non v'hanno arg.; non ne hanno il
mezzo : vi per ne vedilo al e. vii, 2, 1; ar-
gomento per ìnezjso in Dante, Purr/. 2, 31 :
« Vedi che sdegna gli argomenti umani ».
17. 5. Ha SI la v. p. : il vento ha empito
cosi la vela, che questa ecc.
CANTO XLI
555
Che troppo appresso è quel mortai peri-
18 [glio.
Poi che senza rimedio si comprende
La irreparabil rotta de la nave,
Ciascuno al suo privato utile attende,
Ciascun salvar la vita sua cura have.
Chi può più presto al palischermo sceu-
Ma quello è fatto subito si grave [de ;
Per tanta gente che sopra v'abbonda,
Che poco avanza a gir sotto la sponda.
19 [ne
Euggier che vide il Comite e '1 Padro-
E gli altri abbandonar con fretta il legno,
Come senz'arme si trovò in giubbone,
Campar su quel battei fece disegno:
Ma lo trovò si carco di persone,
E tante venner poi, che l'acque il segno
Passaro in guisa, che per troppo pondo
Con tutto il carco andò il legnetto al fondo:
20
Del'mare al fondo; e seco trasse quanti
Lasciaro a sua speranza il maggior legno.
Allor s'udi con dolorosi pianti
Chiamar soccorso dal celeste regno:
Ma quelle voci andaro poco inanti,
Che venne il mar pieu d' ira e di disdegno,
E subito occupò tutta la via.
Onde il lamento e il flebil grido ascia.
21
Altri là giii, senza apparir più, resta;
Altri risorge e sopra l'onde sbalza;
Chi vien nuotando e mostra fuor la testa,
Chi mostra un braccio, e chi una gamba
[scalza.
Euggier che '1 minacciar de la tempesta
Temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
E vede il nudo scoglio non lontano.
Ch'egli e i compagni avean fuggito in vano.
22
Spera, per forza di piedi e di braccia
Nuotando, di salir sul lito asciutto.
Soffiando viene, e lungi da la faccia
L'onda respinge e l' importuno flutto.
Il vento in tanto e la tempesta caccia
11 legno voto, e abbandonato in tutto
Da quelli che per lor pessima sorte
Il disio di campar trasse alla morte.
18. 4. saldar, di salvar.
19. 1. Còmite, più comunemente cornilo.
Prima fu una carica di corte, poi militare,
quindi passò a indicare colui, che nelle navi
comandava la ciurma. — Padrone. V. canto
XVIII, 135, 4.
— 3. Come ecc. Cosi senz'arme e in giub-
bone come trovavasi. Essendo in nave avea
spogliate le armi ed era rimasto in giub-
bone, che era una veste, che si portava
sotto l'armatura.
— 4. Campar, di campar.
20. 2. a sua sp., sperando in esso.
— 5. and. p. inanti, continuarono poco.
23
Oh fallace degli uomini credenza !
Campò la nave che dovea perire;
Quando il Padrone e i galeotti senza
Governo alcun l'avean lasciata gire.
Parve che si mutasse di sentenza
Il vento, poi che ogni uora vide fuggire:
Fece che '1 legno a miglior via si torse,
Né toccò terra, e in sicura onda corse.
24
E dove col nocchier tenne via incerta,
Poi che non l'ebbe, andò in Africa al dritto,
E venne a capitar presso a Biserta
Tre miglia o due, dal lato verso Egitto;
E ne l'arena sterile e deserta
Eestò, mancando il vento e l'acqua, fìtto.
Or quivi sopravenne, a spasso andando,
Come di sopra io vi narrava. Orlando.
25
E disìoso di saper se fusse
La nave sola, e fusse o vota o carca,
Con Brandimarte a quella si condusse,
E col cognato, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s' introdusse,
Tutta la ritrovò d'uomini scarca:
Vi trovò sol Frontino il buon destriero.
L'armatura e la spada di Euggiero;
26
Di cui fu per campar tanto la fretta,
Ch'a tòr la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe quella il Paladin, che detta
Fu Balisarda, e che già sua fu un tempo.
So che tutta l'istoria avete letta.
Come la tolse a Falerina, al tempo
Che le distrusse anco il giardinsi bello;
E come a lui poi la rubò Brunello ;
27
E come sotto il monte di Carena
Brunel ne fé' a Euggier libero dono.
Di che taglio ella fosse, e di che schena,
N'avea già fatto esperimento buono;
Io dico Orlando: e però n'ebbe piena
Letizia, e ringrazionne il sommo Trono;
E si credette (e spesso il disse dopo)
2.3. 1. Oh fallace ecc. Cicerone De Ovat,
2, 7: «O fallacem homiuum spem ».
— .3. Quando, poiché. V. e. I, IS, n. 3.
Quest'idea della nave, che senza guida è
condotta sul lido, sembra tolta dalla nov. 17
del Boccaccio; cosi pure tutto ciò che si
dice del palischermo.
2G. 1. tanto, tanta. V. st. 9, 8.
— 2. non... pur, neppur : non ebbe nep-
pur tempo a tor ecc. V. e. vi, 4, n. 7.
— 4. già sua. V. e. VII, 76, u. 1, e Boiar-
do, Inn. II, IV, 6.
27. 3. di che schena. V. e. XL, 82, n. 2.
— 6. 8. Trono; Dio. Come si dice Trono
per re; cosi so)n»io trono per il re dei re.
556
ORLANDO FURIOSO
Che Dio gliele mandasse a si grande uopo :
28
A si gi'ande uopo, quant'era, dovendo
Condursi col Signor di Sericana;
Ch,'oltre che di valor fosse tremendo,
Sapea ch'avea Baiardo e Durindana.
L'altra armatura, non la conoscendo,
Non apprezzò per cosa si soprana
Come chi ne fé' prova apprezzò quella;
Per buona si, ma per più ricca e bella.
29
E perché gli facean poco mestiero
L'arme (ch'era inviolabile e affatato),
Contento fu che l'avesse Oliviero;
Il brando no, che '-il pose egli a lato:
A Brandimarte consegnò il destriero.
Cosi diviso et ugualmente dato
Volse che fosse a ciaschedun compagno,
Ch' insieme si trovar, di quel guadagno.
30
Pel di de la battaglia ogni guerriero
Studia aver ricco e nuovo abito in dosso.
Orlando riccamar fa nel quartiero
L'alto Babel dal fulmine percosso.
Un can d'argento aver vuole Oliviero,
— 8. gliele; gliela. Gli Scrittori Toscani
antichi usarono spesso yliele indeclinabile.
Forse fu corruzione di gliene, che anche
oggi il popolo Toscano usa per qualunque
pronome (lo, la, li, le). V. Forxaciari, No-
velle scelte del Bocc, p. 66, n. 12.
28. 1. quant'era, dov.; quant'era questo,
o il suo, perché doveva, ecc.
— 2. Condursi; andare (sottint. a coni-
battere) col s. di S. È uso non chiaro.
— 4. avea B. e Dur. Come li aveva avuti?
V. e. xxxiu, 88, segg. XXX, 74.
— 5. L'altra arm. Era quella di Ettore,
che Ruggero avea tolto a Maudricardo. V.
e. XXX, 74; ma Orlando non lo sapeva.
— 8. ma por più r. e b.; Per buona l'ap-
prezzò, ma per più ricca e bella che buona.
Nella ediz. del 1516 avea scritto ina più per
r. e b. Il cambiamento è stato molto op-
portuno, come puoi facilmente vedere, poi-
ché apparisce meglio il confronto delle qua-
lità dell' armatura.
29. 8. ch'ins. si trovar. È una sillessi, o
costruzione a senso. Dovrebbe dire che in-
sieme si trovò; ma ciaschedun compagno
sveglia r idea del plurale.
80. 3. riccamar. È forma puramente dia-
lettale. Nel e. XXXIX, 17, 6: « riccamo »,
— 4. L'alto Babel la torre di Babele, per-
cossa dal fulmine, per indicare la superbia
degli infedeli abbattuta nei loro capi. La
Bibbia non parla del fulmine: è dunque un
simbolo aggiunto dal poeta.
— 5. Un can d'arg. Quest'insegna signi-
fica, secondo tutti j commentatori, che Oli-
Che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso
Con un motto che dica: Fin che vegna:
E vuol d'oro la vesta, e di sé degna.
31
Fece disegno Brandimarte, il giorno
De la battaglia, per amor del padre,
E per suo onor, di non andare adorno
Se non di sopraveste oscure et adre.
Fiordiligi le fé' con fregio intorno,
Quanto pili seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto ;
D'un schietto drappo, e tutto nero il resto.
32
Fece la donna di sua man le sopra-
Vesti a cui l'arme converriau più fine.
De quai l'osbergo il cavallier si cuopra,
E la groppa al cavallo e '1 petto e '1 crine.
Ma da quel di che cominciò quest'opra,
Continuando a quel che le die fine,
E dopo ancora, mai segno di riso
Far non potè, né d'allegrezza in viso.
33 I mento
Sempre ha timor nel cor, sempre tor-
Che Brandimarte suo non le sia tolto.
Già r ha veduto in cento lochi e cento
In gran battaglie e perigliose avvolto;
Né mai, come ora, simile spavento
viero ancora aspettava l'occasione di dar
'■ gran prova del suo valore per la causa dei
' Cristiani, come il cane da caccia aspetta
i che sbuchi la preda per slanciarsi contro
: di essa.
— 6. lassa (da lassare, lasciare), guin-
I zaglio. È parola comune nel linguaggio
della caccia antica. 11 guinzaglio sul collo
indica che il cane è già pronto per la cac-
cia, e non manca che la preda.
31. 2. per am. d. pad. ; per lutto del padre
morto. V. e. XXXIX, 62.
— 3. per suo on. ; per onorare la memo-
ria del padre, per onore di lui.
— 4. sopraveste. Questa forma è nel No-
stro sempre plurale: al sing. sopravesta.
— 8. schietto, puro, liscio, senza ricami.
82. 3. De quai; delle quali. Il Morali av-
verte: «Un siinil de che vi è molte volte,
j (otto) r ho lasciato stare in tre luoghi soli,
cioè al e. IX, 94; xxi, b-i; xli, 32». Senza
indagare e discutere i criteri del Morali, io
I credo che sarebbe stato meglio lasciarlo
I dovunque non fosse manifesto errore di
; stampa. Nei primi due luoghi citati sta per
i dei, ed è nota la frequente omissione del-
l'apostrofo nei manoscritti e nelle stampe
anticbe; ma qui è proprio l'uso della prop.
de per di. Noi lo abbiamo restituito in sei
luoghi.
— 5. da quel di'. Costruisci: ma conti-
nuando (senza porre interruzione) da quel
di ecc., a quello, che ecc., mai ecc.
CANTO XLI
557
Le agghiacciò il sangue e irapallidille il
E questa novità d'aver timore [volto;
Le fa tremar di doppia téma il core.
34
Poi che son d'arme e d'ogui arnese in
Alzano al vento i cavallier le vele, [punto,
Astolfo e Sansonetto con l'assunto
Riman del grande esercito fedele.
Fiordiligi col cor di timor punto,
Empiendo il ciel di voti e di querele,
Quanto con vista seguitar le puote,
Segue le vele in alto mar remote.
35
Astolfo a gran fatica e Sansonetto
Potè levarla da mirar ne l'onda,
E ritrarla al palagio, ove sul letto
La lasciaro alì'aunata e tremebonda.
Portava in tanto il bel numero eletto
Dei tre buon cavallier l'aura seconda.
Andò il legno a trovar l'isola al dritto.
Ove far si dovea tanto conflitto.
3G
Sceso nel lito il cavallier d'Anglante,
Il cognato Oliviero e Bvandimarte,
Col padiglione il lato di Levante
Primi occupar; né forse il fèr senz'arte.
Giunse quel di medesimo Agramante,
E s'accampò da la contraria parte;
Ma perché molto era inchinata l'ora,
Differir la battaglia ne l'aurora.
37
Di qua e di là sin alla nuova luce
Stanno alla guardia i servitori armati.
La sera Brandimarte si conduce
Là dove i Saracin sono alloggiati,
E parla, con licenza del suo duce.
Al Re Africau; ch'amici erano stati:
34. 4. Riman. Su questo sing. cfr. la n. 4,
del e. XIV, 10.
3.5. 2. Potè. La Principe ha puote.
36. 4. né forse ecc. Lo fecero perché, pre-
vedendo che, per 1' ora già tarda, la pugna
sarebbe avvenuta nella mattina seguente,
avrebbero avuto cosi il sole di dietro e non
negli occhi. Nelle partite cavalleresche re-
golari, il sole si divideva equamente dal
giudice del campo, ma qui si tratta di guer-
ra più che di una partita cavalleresca, e
chi può, prende il suo vantaggio. K cosi
non mostrarono poca generosità, come op-
pone qualche commentatore, ma fecero co-
noscere di essere ben accorti e pratici del
mestiere delle armi.
37. e. amici ecc. Amici veramente erano
stati; perché, andando Brandimarte, in
cerca d'Orlando, dalla corte di Dolistone
in Francia, era stato da una tempesta spinto
in Affrica. Ivi, sentendo parlare del grande
esercito di Agramante, va al campo di lui
per provare i migliori guerrieri ; è accolto
E Brandimarte già con la bandiera
Del Re Agramantein Franciapassatoera.
38
Dopo i saluti e '1 giunger mano a mano,
Molte ragion, si come amico, disse
Il ledei cavalliero al Re pagano,
Perché a questa battaglia non venisse:
E di riporgli ogni cittade in mano.
Che sia tra '1 Nilo e '1 segno ch'Ercol fìsse,
Con volontà d'Orlando gli offeria,
Se ci'eder volea al tìglio di Maria.
39
Perché sempre v'ho amato et amo mol-
Questo consiglio (gli dicea) vi dono; [to,
E quando già, Sisrnor, per me 1' ho tolto.
Creder potete eli' io l'estimo buono.
Cristo conobbi Dio, Maumette stolto;
E bramo voi por ne la via in eh' io sono :
Ne la via di salute. Signor, bramo
Che siate meco, e tutti gli altri ch'amo.
40
Qui consiste il beu vostro; né consiglio
Altro potete prender, che vi vaglia,
E men di tutti gli altri, se col figlio
Di Milon vi mettete alla battaglia;
Che '1 guadagno del vincere al periglio
De la perdita grande non si agguaglia.
Vincendo voi, poco acquistar potete;
Ma non perder già poco, se perdete.
41
Quando uccidiate Orlando, e noi venuti
Qui per morire o vincere con Ini,
Io non veggo per questo che i perduti
Dominii a racquistar s'abbian pervni.
Né dovete sperar che si si muti
ed onorato, come figlio del re Monodante,
vi conosce anche Ruggero. lunanior. Il,
xxvn, xxvni. Ma il B. non dice che Bran-
dimarte venisse in Francia sulle navi di
Agramante, meno ancora sotto le sue ban-
diere, perché era già cristiano. Forse l' A.,
per rendere più efficace il tentativo di Bran-
dimarte e aver miglior modo di farlo av-
vicinare ad Agramante, ha supposto ciie
egli dall'Affrica, per sua comodità, appro-
fittando del passaggio degli infedeli, tra-
versasse il mare sulle loro navi (con la
loro bandiera). Credere che l'A. abbia di-
menticato la conversione di Brandimarte e
r abbia fatto militare tra gli infedeli è in-
verosimile e strano.
38. 3. fedel, cristiano. Cosi alla st. 49, 2.
— 6. segno eh' Er., le colonne d' Ercole.
V. e. IV, 61, n. S.
39. 3. quando, poiché. V. e. I, 18, n. 3.
— 5. Manmette, Maometto.
40. 3. E men... se; e meno di tutti gli altri
consigli vi varrà quello di mettervi ecc.
Costrutto non chiaro, osserva con ragione
il Nisiely.
558
ORLANDO FURIOSO
Lo stato de le cose, morti nui,
Ch'uomini a Carlo manchino da porre
Quivi a guardar fin all'estrema torre.
42
Cosi parlava Brandimarte, et era
Per sug<jiungere ancor molte altre cose;
Ma fu con voce irata e faccia altiera
Dal Pagano interrotto, che rispose:
Temerità per certo e pazzia vera
E la tua. e di qualunque che si pose
A consigliar mai cosa o buona o ria,
Ove chiamato a consigliar non sia.
43
E che '1 consiglio che mi dai, proceda
Da ben che m'hai Voluto, e vuommi an-
[cora,
10 non so, a dire il ver, come io tei creda,
Quando qui con Orlando ti veggo ora.
Crederò ben, tu che ti vedi in preda
])i quel dragon che l'anime devora.
Che brami teco nel dolore eterno
Tutto '1 mondo poter trarre all' inferno.
44 [regno
Ch' io vinca o perda, o debba nel mio
Tornare antiquo, o sempre starne in ban-
In mente sua n'ha Dio fatto disegno, (do,
11 qual né io, né tu, né vede Orlando.
.Sia quel che vuol, non potrà ad atto inde-
Di Re inchinarmi mai timor nefando, [gno
S' io fossi certo di morir, vo' morto
Prima restar, ch'ai sangue mio far torto.
45
Or ti puoi ritornar; che se migliore
Non sei dimani in questo campo armato.
Che tu mi sia paruto oggi oratore,
Mal troverassi Orlando accompagnato.
Queste ultime parole usciron fuore
Del petto acceso d'Agramante irato.
Ritornò l'uno e l'altro, e ripososse,
Fin che del mare il giorno uscito fosse.
4fi [mati.
Nel biancheggiar de la nuova alba ar-
E in un momento fur tutti a cavallo.
Pochi sermon si sou tra loro usati:
Non vi fu indugio, non vi fu intervallo:
41. 8. fin all'es. V., per il costrutto, e. ir,
28, n. 8.
4:5. 2. vuommi, vuoimi, mi vuoi. Dantk,
Par. XVI, « O fronda mia, in cui io com-
piacemmi (coinpiaceimi) ».
— 6. Di q. dragon ; del dsnionio. È espres-
sione biblica : « Leo rugiens circuit (juerens
(luem deverei». S. Pietro, Ep. I, 5.
44. 1. Ch'io V. ecc. Dipende da ìia fatto
disegnò: Dio ha già designato che io vinca
o perda ecc. Il ne è pleonastico.
45. 1. se migliore ecc. Se domani armato
in questo campo tu non sei migliore di
quello che mi sei sembrAto oggi (come)
oratore. ■
Che i ferri de le lancie hanno abbassati.
Ma mi parria, Signor, far troppo fallo.
Se, per voler di costor dir, lasciassi
Tanto Ruggier nel mar, che v'affogassi.
47
Il giovinetto con piedi e con braccia
Percotendo venia l'orribil onde.
Il vento e la tempesta gli minaccia;
Ma più la conscienza lo confonde.
Teme che Cristo ora vendetta faccia;
Che, poi che battezzar ne l'acque monde,
Quando ebbe tempo, si poco gli calse,
Or si battezzi in queste amare e salse.
48
Gli ritornano a mente le promesse
Che tante volte alla sua donna fece;
Quel che giurato avea quando si messe
Contra Rinaldo, e nulla satisfece.
A Dio, eh' ivi punir non lo volesse.
Pentito disse quattro volte e diece ;
E fece voto di core e di fede
D'esser Cristian, se ponea in terra il piede:
49
E mai più non pigliar spada né lancia
Contra ai Fedeli in aiuto de' Mori;
Ma che ritorneria subito in Francia,
E a Carlo renderla debiti onori;
Né Bradamante più terrebbe a ciancia,
E verria a fine onesto de i suo' amori.
Mii-acol fu, che senti al fin del voto
I Crescersi forza, e agevolarsi il nuoto.
50
Cresce la forza e l'animo indefesso:
Ruggier percuote l'onde e le respinge.
L'onde che seguon l'una all'altra presso,
Di che una il leva, un'altra lo sospinge.
Cosi montando e discendendo spesso
Con gran travaglio, al fin l'arena attingo;
E da la parte onde s'inchina il colle
Più verso il mar, esce bagnato e molle.
47. .3. gli minaccia ; V. e. xir, G, n. 7.
— 6. Che; perché. V. e. i, 27, 8 e pas-
sim. — battezzar, battezzarsi. Questa forma
neutra non è citata dai vocabolari.
48. 7. di core e di f. Uniscilo a Cristian:
cristiano per cuore e per fede.
49. 5. terr. a ciancia, o in Ciancia; ter-
rebbe a bada con parole.
50. 1. l'animo, il coraggio.
— 4. Di che; delle quali onde. — sospin-
ge. Par voglia dire spinge in baaso dal lat.
sub, pingere, come si rileva dal verso se-
guente. Ma è significato non citato dai vo-
cabolari.
— 7. s'inch. il colle; dove lo scoglio è
meno scosceso e meno a picco e perciò dà
l)iù facile approdo.
•— 8. bagnato e molle. V. e. vi, G, n. 3.
CANTO XLI
559
51
Fui- tutti gli altri che nel mar si diero,
Vinti da l'onde, e al fin restar ne l'acque.
Nel solitario scoglio usci Ruggiero,
Come all'alta Bontà divina piacque.
Poi che fu sopra il monte inculto e fiero
Sicnr del mar, nuovo timor gli nacque
D'avere esilio in si strette Confine,
E di morirvi di disagio al fine.
Ma pur col core indomito, e costante
Di patir quanto è in ciel di lui prescritto,
Pei duri sassi l' intrepide piante
Mosse, poggiando in ver la cima al dritto.
Non era cento passi andato inante.
Che vide d'anni e d'astinenzie aiflitto
Uom ch'avea d' Eremita abito e segno,
Di molta riverenzia e d'onor degno;
53
Che, come gli lu presso, Saulo, Sanlo,
Gridò, perché persegui la mia Fede?
(Come allor il Signor disse a san Paulo,
Che '1 colpo salutifero gli diede)
Passar credesti il mar, né pagar naulo,
E defraudare altrui de la mercede.
Vedi che Dio, ch'ha lunga man, ti giunge.
51. 1. nel DJ. si dlero; si dettero al mare,
si misero in mare. È costrutto venuto dal
latino, che dice se dare in viam, in mare,
mettersi in via, in mare.
— 5. fiero; aspro, orrido. V. e. i, 13; iv,
G8; XLii, 20.
— 7. confine, confini. Villani, I, 44, 1 :
« Le sue confine erano... iufiuo alla città
d'Adria ».
ó'2. 6. afflitto, estenuato dagli anni e dalle
astinenze. Bocc. Nov. 6: «l'orare e il di-
sciplinarsi... dover gli uomini... afflitti ren-
dere ».
— 7. segno. Forse sta per segni; cioè
croci e sacre immagini in dosso. Può anche
intendersi per portamento ; ma i vocabo-
lari non citano questo significato.
03. 1. Saulo, Saulo. S. Paolo era un ebreo
di Tarso, che si chiamava saulo. Andando
a Damasco per sterminarvi i cristiani fu
colpito per via da una luce divina, mentre
una voce gli gridava « Saule, Saule, cur me
persequeris ? » Per ciò si converti a Cri- '
sto. V. Atti dee/li Apostoli, cap. 7, S, 9.
— 5. naulo, nolo. È forma antica di na-
volo, e pili vicina al lat. naulum. Rug-
gero passò il mare per grazia di Cristo,
che fu come la barca della sua salvezza:
ed egli deve, come nolo, convertirsi a lui.
— 7. ch'ha 1. m. Il Morali scrive eh' a
l. in.; ma è chiaro che nell'ediz. del '32 è
corso questo errore di stampa e che è sfug-
gito pure al Morali. '
Quando tu gli pensasti esser più lunge,
54
E seguitò il santissimo Eremita,
Il qual la notte inanzi avuto avea
In vision da Dio, che con sua aita
Allo scoglio Ruggier giunger dovea:
E di lui tutta la passata vita,
E la futura, e ancor la morte rea.
Figli e nipoti et ogni discendente
Gli avea Dio rivelato interamente.
55
Seguitò r Eremita riprendendo
Prima Ruggiero; e al fin poi confortollo.
Lo riprendea ch'era ito diff"erendo
I Sotto il soave giogo a porre il collo;
E quel che dovea far, libero essendo.
Mentre Cristo pregando a sé chiamollo,
Fatto avea poi con poca grazia, quando
Venir con sferza il vide minacciando.
56
Poi confortollo che non niega il cielo
Tardi o per tempo Cristo a chi gliel chic-
E di quegli operarli del Vangelo [de;
Narrò, che tutti ebbono ugual mercede.
Con caritade e con devoto zelo
Lo venne ammaestrando ne la Fede
Verso la cella sua con lento passo,
— S. gli; Uniscilo a esser; essergli, es-,
sere a lui p. 1.
54. 2. avuto av. ; avea saputo.
— (3. morte rea; crudele, per tradimento
dei Maganzesi. V. e. xxxvi, 64, 4 ; e più
sotto st. 61.
55. 4. sotto il s. g. S. Matteo, 11, 30:
«luguin meum suave est et onus meum
leve»; cosi dice Cristo.
— 6. pregando, invitandolo a sé con dol-
cezza.
— 7. grazia. Intendi: quella spontaneità
che rende grato il sacrifizio. Questo è
pure il senso di grazia nel e. xxxiv, 26, 5.
I vocabolari non danno né questo signi-
ficato, né altro che ^^i adatti a questi due
luoghi.
5C. 2. Cristo. È soggetto di ìiega.
— 3. di q. operarli. Accenna alla para-
bola evangelica del padrone, che avendo
preso a lavorar nella sua vigna diversi
operai in diverse ore del giorno, volle, la
sera, pagarli tutti di egual moneta. S. Mat-
teo 20.
— 6. Lo venne... verso ecc. Molto spiccia-
mente si potrebbe sottintendere un andati-
do (verso la cella); ma chi ricorda l'amore
dell' A. per le strane inversioni, special-
mente delle particelle pronominali intende-
rà piuttosto : Con caritade e con divoto zelo
ammaestrandolo nella fede, venne verso la
cella sua ecc.
560
ORLANDO FURIOSO
Ch'era cavata a mezzo il duro sasso.
57
Di sopra siede alla devota cella
Una piccola chiesa che risponde
All'Oriente, assai commoda e bella:
Di sotto un bosco scende sin all'onde,
Di lauri e di ginepri e di mortella,
E di palme fruttifere e feconde;
Che riga sempre una liquida fonte,
Che mormorando cade giù dal monte.
58
Eran degli anni ormai presso a quaranta
Che su lo scoglio il fraticel si messe;
Ch'a menar vita solitaria e santa
Luogo oportuno il bàlvator gli elesse.
Di frutte colte or d'una or d'altra pianta,
E d'acqua pura la sua vita resse,
Che valida e robusta e senza affanno
Era venuta all'ottantesimo anno.
59
Dentro la cella il V ecchio accese il fuoco,
E la mensa ingombrò di varii frutti,
Ove si ricreò Ruggiero un poco.
Poscia eh' i panni e i capelli ebbe asciutti.
Imparò poi più ad agio in questo loco
Di nostra Fede i gran misterii tutti;
Et alla pura fonte ebbe battesmo
Il di seguente dal Vecchio medesmo.
60
Secondo il luogo, assai contento stava
Quivi Ruggier; che '1 buon servo di Dio
Fra pochi giorni intenzion gli dava
Di rimandarlo ove più avea disio.
— 8. a mezzo ecc. Tiiteudi che sopra que-
sto scoglio era una chiesa; a metà di esso,
scavata nel sasso, la cella, ai piedi poi si
stendeva un bosco.
.57. 3. Air oriente. Le chiese sono tutte, in
generale, rivolte all'oriente, come a indi-
care che da esse viene il sole di verità e
di vita.
-^ 7. liquida, limpida. V. e. i, 37, n. 3.
.jS. 1. degli anni. E un complemento di
limitazione, affine a quello, che usiamo nel
linguaggio comune: es. «Il tale degli anni
deve averne presso a quaranta ». Ma col
verbo essere oggi non T useremmo. For-
s'anche è da vedervi la fusione di due co-
strutti come nel e. xvm, 81, 5: Eran degli
anni, eran molti anni: eran presso a qua-
rani' anni.
— 3. ch'a m. ; cui (lo scoglio) a m.
60. 1. Secondo il 1.; fatta ragion del luogo.
Boccaccio, J\'ov. 99: «Quivi, secondo cena
sprovveduta, furono assai bene serviti ».
Intendi dunque: Ruggero stava qui assai
contento come poteva stare in luogo cosi
lontano da Bradamante, ma vi stava con-
tento perché il buon servo di Dio gli pro-
metteva di rimandarlo fra pochi giorni ecc.
Di molte cose intanto ragionava
Con lui sovente, or al regno di Dio,
Or a gli proprii casi appertinenti,
Or del suo sangue alle future genti.
61
Avea il Signor, che '1 tutto intende e
Rivelato al santissimo Eremita, [vede,
Che Ruggier da quel di ch'ebbe la Fede,
Dovea sette anni, e non più, stare in vita;
Che per la morte che sua Donna diede
A Pinabel, ch'a lui fia attribuita,
Saria, e per quella ancor di Bertolagi,
Morto dai Maganzesi empi e malvagi:
62
E che quel tradimento andrà si occulto.
Che non se n'udirà di fuor novella;
Perché nel proprio loco fia sepulto,
Ove anco ucciso da la gente fella:
Per questo tardi vendicato et ulto
Fia da la moglie e da la sua sorella:
E che col ventre pien per lunga via
Da la moglie fedel cercato fia:
63
Fra l'Adice e la Brenta a piò de' colli
— 3. intenzion gli d. V. e. vii, 78, u. 5.
— 7. appertinenti (dall' inusit. apperti-
nere, che è forma latina). Sannazz. Are.
10; «Le medicine appertinenti ai morti».
CI. 4. Dovea ecc. L'A. svolge un accenno
del Boiardo, che nel e. II, xvi, 53 avea detto
di Ruggiero: «il cielo e la fortuna vuole
Che a tradimento sia ucciso con pene ».
— 7. Bertolagi. V. e. xxvr, 13. Pinabello
era stato ucciso da Bradamante, Bertolagi
da Aldigiero e Ricciardetto, ma i Magan-
zesi ne avrebbero fatto carico a lui, perché
Bradamante sarebbe divenuta sua moglie:
e degli altri due, Ruggero era stato com-
pagno e ispiratore.
62. 3. nel proprio; nello stesso. Castigl.
Cortigiano, 9: «calunnie che al proprio
Boccaccio son date ». Oggi per lo più coi
soli pron. personali : es. « Consegnalo a me
proprio (a me stesso).
— 5. vendicato et ulto. Ulcisci era, per
i Latini, vendicare l'offesa; vindicare, pu-
nire il misfatto : ulto dunque dice non solo
la punizione del reo, ma anche la vendetta,
che si prende l'offeso. Ma ormai questo è
poetico e si usa solo nel particip. pass, e
nel sost. verb. ultore. Tutto questo, che se-
gue, su Ruggero e la sua famiglia, è detto
per riempir la lacuna della genealogia K-
stense esposta nel e. in, dove di queste ori-
gini si ha un cenno fuggevole.
63. 1. Fra l'A. ecc. Determina il territo-
rio Padovano. Dice la leggenda che Ante-
nore Troiano dojìo la rovina di Troia ve-
nisse in Italia e fondasse Padova presso ai
colli Euganei,' ricchi di sorgenti sulfuree,
V. Viro. Georg. I, 251 segg.
CANTO XLI
561
Ch'ai Ti-oiauo Antenòr piacqueno tanto,
Con le sulfuree vene e rivi molli,
Con lieti solchi e prati ameni a canto,
Che con l'alta Ida volentier mutolli,
Col sospirato Ascanio e caro Xanto,
A parturir verrà ne le foreste
Che son poco lontane al Frigio Ateste:
64
E eh' in bellezza et in valor cresciuto
Il parto suo che pur Ruggier tìa detto,
E del sangue Troian riconosciuto
Da quei Troiani, in lor Signor tìa eletto;
E poi da Carlo, a cui sarà in aiuto
Incontra i Longobardi giovinetto,
Dominio giusto avrà del bel paese,
E titolo onorato di Marchese.
65
E perché dirà Carlo in latino : Este
Signori qui, quando faragli il dono;
Nel secolo futur nominato Este
Sarà il bel luogo con augurio buono;
E cosi lascierà il nome d' Ateste
De le due prime note il vecchio suono.
Avea Dio ancora al servo suo predetta
Di Ruggier la futura aspra vendetta:
66
Ch' in visione alla fedel consorte
Apparirà dinanzi al giorno un poco;
E le dirà chi l'avrà messo a morte,
E, dove giacerà, mostrerà il loco:
Onde ella poi con la cognata forte
Distruggerà Pontieri a ferro e a fuoco;
Né farà a' Magauzesi minor danni
Il figlio suo Ruggiero, ov'abbia gli anni.
67
D'Azzi, d'Alberti, d'Obici discorso
— 2. piacqueno, piacquero. È termina-
zione popolare ancor viva nel volgo To-
scano.
— 5. Ida, monte vicino a Troia, ^Scanio,
lago e fiume della Bitinia soggetta a Pria-
mo, Xanto, 0 Scamandro, fiume della pia-
nura Troiana.
— 8. Ateste, nome antico di Este (forse
da Athesis, Adige) castello del Padovano:
detto Frigio, perché fabbricato, secondo la
leggenda, da' Troiani popolo della Frigia.
Cfr. e. in, 24, 25, dove dice le stesse cose.
65. 1. E perché ecc. L'etimologia Ariostesca
di Este non ha fondamento alcuno di ve-
rità. Non è che l'antico Ateste accorciato.
Este ìlio domini era veramente la formula
d' investitura.
— 4. con aagnrio b., con felice augurio
di continuo e forte dominio.
66. 2. Apparirà. Il sogg. è Ruggero.
— 5. cognata; Marfisa.
— 8. ov'abl). ; quando abbia. Petr. Ili,
canz. 6: « L' anima a cui vien manco Consi-
glio, ove '1 martir l'adduce in forse ».
67. 1. Obici. Comunemente Obizi. Per gli
Fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,
Insino a Nicolò, Leonello, Berso,
Ercole, Alfonso, Ippolito e Issabella.
Ma il santo Vecchio, ch'alia lingua ha il
[morso,
Non di quanto egli sa pei'ò favella:
Narra a Ruggier quel che narrar convien-
E quel eh' in sé de' ritener, ritiensi. {si;
68
In questo tempo Orlando e Brandimarte
E '1 marchese Olivier col ferro basso
Vauno a trovar il Saracino Marte
(Che cosi nominar si può Gradasso)
E gli altri duo che da contraria parte [so;
Han mosso i buon destrier più che di pas-
lo dico il Re Agramante e '1 Re Sobrino:
Rimbomba al corso il lito e '1 mar vicino.
69
Qnando allo scontro vengono a trovarsi,
E in tronchi vola al ciel rotta ogni lancia,
Del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi,
Del gran rumor che s'udi sino in Francia.
Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi;
E potea stare ugual questa bilancia,
Se non era il vantaggio di Baiardo,
Che fé' parer Gradasso più gagliardo.
70
Percosse egli il destrier di minor forza,
Ch'Orlando avea, d'un urto cosi strano.
Che lo fece piegare a poggia e ad orza,
j E poi cader, quanto era lungo, al piano.
Orlando di levarlo si risforza [mano;
Tre volte e quattro, e con sproni e con
E quando al fin noi può levar, ne scende.
Lo scudo imbraccia, e Balisarda prende.
71
Scontrossi col Re d'Africa Oliviero;
altri nomi vedi il e ili.
68. 5. da contraria p., a quella dov' era
Orlando con i suoi.
— 6. i b. destr. Il Morali legge, certo
per errore o svista, il b. dest. che io ho
corretto secondo l'ediz. del 1532.
69. 1. trovarsi; colpirsi. V. e. xxx, 59,
u. 2.
— 3. Del gr. r. ; per il gr. r. V. e. Xiii,
33, n. 3. Queste esagerazioni, frequentissime
nel Boiardo, erano proprie del poema ca-
valleresco popolare. L'A. sacrifica anche
egli, sebbene parcamente, all'usanza.
70. 3. a poggia e ad o. Poggia e orza e-
rano due direzioni opposte della nave ; per-
ciò qui vuol dire di qua e di là dal cavallo.
— 5. risforza; raddoppia gli sforzi. V.
e. XL, 27, 1; e xxxix, 55, 4.
— 8. Lo sondo imbr. S' intende che lo a-
veva al braccio anche avanti, ma per rial-
zare il cavallo lo aveva messo per un mo-
mento al collo (dove solevano portarlo) a
in terra, ---j'ì .i.i^-'.'m ^
Ariosto — Papini
36
562
ORLANDO PU/IIOSO
E fur di quello incontro a paro paro,
Brandimarte restar senza destriero
Fece Sobrin: ma non si seppe chiaro
Se v'ebbe il destrier colpa o il cavallioro,
Ch'avvezzo era cader Sobrin di raro.
O del destriero o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si ritrovò giù del cavallo.
72
Or Brandimarte che vide per terra
Il Re Sobrin, non l'assali altrimente;
Ma contra il Re Gradasso si disserra,
Ch'avea abbattuto Orlando parimente.
Tra il Marchese e Agramante andò la guer-
Come fu cominciata primamente: [ra
Poi che si roppon l'iste ne gli scudi,
S'eran tornati incontra a stocchi ignudi.
73
Orlando, che Gradasso in atto vede,
Che par ch'a lui tornar poco gli caglia;
Né tornar Brandimarte gli concede,
Tanto lo stringe e tanto lo travaglia;
Si volge intorno, e similmente a piede
Vede Sobrin che sta senza battaglia, [te
Ver lui s'avventa; e al muover de le pian-
Fa il ciel tremar del suo fiero sembiante.
74
Sobrin, che di tanto uom vede l'assalto.
Stretto ne l'arme s'apparecchia tutto:
Come nocchiero a cui vegna a gran salto
Muggendo incontra il minaccioso flutto,
Drizza la prora; e quando il mar tant'alto
Vede salire, esser vorria all'asciutto.
Sobrin lo scudo oppone alla mina
Che da la spada vien di Fallerina.
75
Di tal finezza è quella Balisarda,
Che l'arme le puon far poco riparo:
In man poi di persona si gagliarda,
In man d'Orlando, unico al mondo o raro.
Taglia lo scudo; e nulla la ritarda,
Perché cerchiato sia tutto d'acciaro:
Taglia lo scudo, e sino al fondo fende,
E sotto a quello in su la spalla scende.
71. 2. di q. in.; in quell'incontro. È com-
plemento di limitazione.
— 6. avvezzo... cader; avv. a cader. V. e.
I, 4, n. 1.
— 7. 0 sno pur, 0 pur suo. V. evi, 4, n. 7.
72. 3. si disserra; si scaglia; si precipita.
Di questo verbo l'A. fece molto uso. V. e.
I, 61; XXXI, 11.
— 4. parimente com' egli Sobrino.
— 7. roppon, ruppono, ruppero.
— 8. stocchi, spade. Cosi l'A. nel canto
xviii, 46, 180, ecc.
74. 5. drizza la pr.; gli volge contro la pr.
per non esser rovesciato.
— 8. di Fallerina. V. e. vii, 76, n. 1.
75. 6. Perché, benché. Cosi spesso, non
solo negli antichi, ma anche, specialmente
in poesia, presso i moderni. Dante, Purg.
76
Scende alla spalla; e perché la ritrovi
Di doppia lama e di maglia coperta.
Non vuol però che molto ella le giovi,
Che di gran piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin; ma indarno è che si provi
Ferire Orlando, a cui per grazia certa •
Diede il Motor del cielo e de le stelle,
Che mai forar non se gli può la pelle.
77
Raddoppia il colpo il valoroso Conte,
E pensa da le spalle il capo tòrgli.
Sobrin che sa il valor di Chiaramonte,
E che poco gli vai lo scudo opporgli.
S'arretra, ma non tanto, che la fronte
Non venisse anco Balisarda acórgli.
Di piatto fu, ma il colpo tanto fello, [lo.
Ch'ammaccò l'elmo, e gl'intronò il cervel-
78
Cadde Sobrin del fiero colpo in terra,
Onde a gran pezzo poi non è risorto.
Crede finita aver con lui la guerra
Il Paladino, e che si giaccia morto;
E verso il Re Gradasso si disserra,
Che Brandimarte non meni a mal porto:
Che '1 Pagan d'arme e di spada l'avanza
E di destriero, e forse di possanza.
79
L'ardito Brandimarte in su Frontino,
Quel buon destrier che di Ruggier fu dian-
Si porta cosi ben col Saracino, [zi,
Che non par già che quel troppo l'avanzi:
E s'egli avesse osbergo cosi fino.
Come il Pagan, gli staria meglio inanzi;
Ma gli convien, che mal si sente armato.
Spesso dar luogo or d'uno or d'altro lato.
8, 131 : « Che, perché il capo reo lo mondo
torca. Sola va dritta ». V. la st. seg. 1.
76. 4. Che, cosicché. È usato in questo
senso non di rado in prosa e in poesia.
L'A. lo ha frequentissimo. — di gran piaga,
di grande apertura.
— 5. indarno è; indarno avviene. '
— 6. P; grazia certa; certamente per
grazia.
77. 4. E che; e sa che.
— 5. la fronte... anco; anche la fronte
oltre lo scudo.
— 7. Di piatto ecc. Costruisci: il colpo fu
di piatto, ma tanto fello. É una delle tante
sti'ane inversioni del Furioso.
78. 2. a gran pezzo; per molto tempo.
Nel e. xii, 66, 4, ha sino a gran pezzo. Nel
e. xxxii, 38 a gran pezzo significa di gran
lunga. Nel primo senso non è registrato
dai vocabolari.
— 6. Che, affinché. V. e. xxiii, 87. Po-
trebbe essere anche pronome relativo, usato
in signilicato finale, come il q>^i dei Latini.
— 7. Che; perché, poiché.
79. 8. dar luogo; ai colpi; sfuggirli.
CANTO XLI
663
80
Altro destrier non è che meglio intenda
Di quel Frontino il cavalliero a cenno:
Par che, dovunque Durindana scenda,
Or quinci or quindi abbia a schivarla sen-
[no.
Agramante e Olivier battaglia orrenda
Altrove fanno, e giudicar si denno
Per duo guerrier di pari in arme accorti,
E pochi diflerenti in esser forti.
81
Avea lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino in terra; e contra il Re Gradasso,
Soccorrer Brandimarte disiando.
Come si trovò a pie, venia a gran passo.
Era vicin per assalirlo, quando
Vide in mezzo del campo andare a spasso
Il buon cavallo onde Sobrin fu spinto;
E per averlo, presto si fu accìnto.
82
Ebbe il destrier, che non trovò contesa,
E levò un salto, et entrò ne la sella.
Ne l'una man la spada tien sospesa,
Mette l'altra alla briglia ricca e bella.
Gradasso vede Orlando, e non gli pesa,
Ch'a lui ne viene, e per nome l'appella.
Ad esso e a Brandimarte e all'altro spera
Far parer notte, e che non sia ancor sera.
83
Voltasi al Conte, e Brandimarte lassa,
E d'una punta lo trova al camaglio :
Fuor che la carne, ogni altra cosa passa:
Per forar quella è vano ogni travaglio.
Orlando a un tempo Balisarda abbassa:
Non vale incanto ov'ella mette il taglio.
L'elmo, lo scudo, l'osbergo e l'arnese,
Venne fendendo in giù ciò ch'ella prese;
80. 7. dì pari, del pari.
— 8. pochi differenti, poco differenti. V.
e. V, 18, n. 7.
81. 8. si fu acc; si accinse. V. e. ili, 14, n. 2.
Si. 5. e non gli p. ; e non gli dispiace.
— 6. Ch'a Ini ecc. il quale (Orlando) ne
viene a lui (Gradasso) e Io chiama per nome.
— 8. e che; e quando; e fargliela parer
tale quando non sia ancor sera. V. canto
xxin, 70, n. 8.
83. 2. lo trova, lo colpisce. V. sopra, st.
09, 1. — camaglio, (capomaglio) armatura di
maglia che copriva il collo e poteva coprire
anche il capo degli uomini d' arme.
— 6. Non vale in. Innam, II, iv, 27: «Ed
era fatta con tanta ragione Che taglia in-
canto ed ogni fatagione ».
— 7. L'elmo ecc. Questo verso è dichiara-
zione del seguente : Venne fendendo in giù
ciò ch'ella pr., cioè elmo, scudo ecc. È una
delle solite inversioni non chiare del Furioso.
Nella Principe si ha « Dall'elmo al scudo e dal
scudo air arnese, Venne ecc. » che l'Ariosto
84
E nel volto e nel petto e ne la coscia
Lasciò ferito il Re di Sericana,
Di cui non fu mai tratto sangue, poscia
Ch'ebbe quell'arme: or gli par cosa strana
Che quella spada (e n' ha dispetto e ango-
Le tagli or si; né pur è Durindana, [scia)
E se pili lungo il colpo era o più appresso,
L'avria dal capo insino al ventre fesso.
85
Non bisogna più aver ne l'arme fede.
Come avea dianzi; che la prova è fatta.
Con più riguardo e più ragion procede,
Che non solea; meglio al parar si adatta.
Brandimarte ch'Orlando entrato vede,
Che gli ha di man quella battaglia tratta,
Si pone in mezzo all'una e all'altra pugna,
Perché in aiujio, ove è bisogno, giugna.
86
Essendo la 1 attaglia in tale istato,
Sobrin ch'era giaciuto in terra molto,
Si levò, poi eh' in sé fu ritornato;
E molto gli dolca la spalla e '1 volto: '
Alzò la vista, e mirò in ogni lato;
Poi dove vide il suo Signor, rivolto.
Per dargli aiuto i lunghi passi torse
Tacito si, ch'alcun non se n'accorse.
87 [chi
Vien dietro ad Olivier che tenea gli oc-
Ai Re Agramante, e poco altro attendea;
E gli feri nei deretan ginocchi
Il destrier di percossa in modo rea,
Che senza indugio è forza che trabocchi.
Cade Olivier, né '1 piede aver potea.
Il manco pie ch'ai non pensato caso
Sotto il cavallo in staffa era rimaso.
88
Sobrin raddoppia il colpo, e di riverso
Gli mena, e se gli crede il capo tórre;
cambiò per togliere, come fece sempre, l'in-
contro duro delle tre consonanti.
84. 4. quell'arme; che era fatta per in-
canto e atfatata. V. e. xxxiii, 82, 8.
— 6. né pur è D.; e pur non è 1).
— 7. pili lungo, a braccio più disteso.
So. 3. ragion, perizia. V. e. xvni, 48.
— 5. entrato, in combattimento.
— 7. pugna, detto per metonimia invece
di combattente.
80. 5. la vista, gli occhi, e non la vista
delVelmo, come intendono alcuni, a torto,
perché, per vedere, i guerrieri non avean
bisogno di ciò.
87. 2. poco al. att. ; attendeva a poco altro.
Col compi, diretto non è frequente. Dante,
Inf. 19, 122; «sempre attese Lo suou delie
parole ».
— 6. aver, ritrarre. La Crusca non cita
questo significato.
88. 2. se gli crede ecc., si crede torgli il e.
564
ORLANDO FURIOSO
Ma lo vieta l'ucciav lucido e terso,
Che temprò già Vulcan, portò giàEttorre.
Vede il periglio Brandimarte, e verso
n Re Sobrino a tutta briglia corre;
E lo fere in sul capo, e gli dà d'urto:
Ma il fiero vecchio è tosto in pie risurto ;
89
E torna ad Olivier per dargli spaccio,
Si ch'espedito all'altra vita vada;
0 non lasciare al men ch'esca d'impaccio,
Ma che si stia sotto '1 cavallo a bada.
Olivier e' ha di sopra il miglior braccio.
Si che si può difender con la spada,
Di qua di là tanto percuote e punge,
Che, quanta è lun^a, fa Sobrin star luuge.
90
Spera, s'alquanto il tien da sé rispinto,
In poco spazio uscir di quella pena.
Tutto di sangue il vede molle e tinto,
E che ne versa tanto in su l'arena.
Che gli par ch'abbia tosto a restar vinto:
Debole è si, che si sostiene a pena.
Fa per levarsi Olivier molte prove.
Né da dosso il destrier però si muove.
91
Trovato ha Brandimarte il Re Agraman-
E cominciato a tempestargli intorno: [te,
Or con Frontin gli è al fianco, or gli è da-
[vante,
Con quel Frontin che gira come un torno.
Buon cavallo ha il figliuol di Monodante:
Non l'ha peggiore il Re di Mezzogiorno :
Ila Brigliador che gli donò Ruggiero
Poi che lo tolse a Mandricardo altiero.
92
Vantaggio ha bene assai de l'armatura;
A tutta prova 1' ha buona e perfetta.
Brandimarte la sua tolse a ventura,
Qual potè avere a tal bisogno in fretta:
Ma sua animosità si l'assicura,
Ch'in miglior tosto di cangiarla aspetta;
Come che '1 Re African d'aspra percossa
La spalla destra gli avea fatta rossa,
— 7. dà d'urto; urta. Locuzione analoga
alle più comuni dar di cozzo, dar di pi-
glio ecc. ; e che pur altri usarono.
89. 5. miglior br. ; braccio destro. Cosi il
Tasso, Ger. 19, 18, e altri antichi.
— 8, quanta è 1. ; quanto è 1. V. e. v, 18,
n. 7.
91. 6. il re di Mezz.; Agramante, re d'Af-
frica.
92. 1. de l'armat. quanto all'arra. V. e.
VII, 10, n. 6.
— 5. animosità, coraggio. Oggi non è
usato, ma negli antichi non è raro. Vasari,
Vite, 1, 296: «espresse... in una battaglia
la paura, T animosità, la destrezza ».
— 7. Come che... avea. Più comune col
cong. come si vede nel v. 1 della stanza seg.
93
E serbi da Gradasso anco nel fianco
Piaga da non pigliar però da gioco.
Tanto l'attese al varco il guerrier franco.
Che di cacciar la spada trovò loco. ^
Spezzò lo scudo, e feri il braccio manco,
E poi ne la man destra il toccò un poco.
Ma questo un scherzo si può dire e un
[spasso
Verso quel che fa Orlando e '1 Re Gradasso.
94
Gradasso ha mezzo Orlando disarmato;
L'elmo gii ha in cima e da dui lati rotto,
E fattogli cader lo scudo al prato,
Osbergo e maglia apertagli di sotto :
Non l'ha ferito già; ch'era affatato.
Ma il Paladino ha lui peggio condotto;
In faccia, ne la gola, in mezzo il petto
L'ha ferito, oltre a quel che già v'ho detto.
95
Gradasso disperato, che si vede
Del proprio sangue tutto molle e brutto,
E ch'Orlando del suo dal capo al piede
Sta dopo tanti colpi ancora asciutto;
Leva il brando a due mani, e ben si crede
Partirgli il capo, il petto, il ventre e '1 tut-
E a punto, come vuol, soprala fronte [to;
Percuote a mezza spada il fiero Conte.
96
E s'era altro ch'Orlando, l'avria fatto;
L'avria sparato fin sopra la sella:
Ma, come colto l'avesse di piatto.
La spada ritornò lucida e bella.
De la percossa Orlando stupefatto,
Vide, mirando in terra, alcuna stella:
Lasciò la briglia, e '1 brando avrialascia-
Ma di catena al braccio era legato. [.to;
Boccaccio, Nov. 18: « Comecché ella non
se ne accorge ».
g."?. 1. serbi; abbia avuto. È il latino ser-
vare, che ha pur questo significato. Viro.,
Eri. 7, 178 : « servans sub imagiiie falcem».
— 2. pigliar... da gioco; pigi, in burla.
Nel e. viii, 50 si ha pigliare a gioco. Pi-
gliar da gioco non è citato dai vocabol.
Forse è espressione composta con le altre
due comuni: pigHare a giuoco — esser cosa
da giuoco ; quasi dica pigliar come cosa
da giuoco. — però. Avendo detto cosi in ge-
nerale piaga vuol fare avvertire che però
era una piaga grave.
94. 2. dui, due V. e. i, 16, n. 2.
95. 3. E che. Rileva dal contesto un vede
I che.
{ — S. a mezza spada; alla distanza di mez-
za spada. V. e. xxxvi, 49, 1. Qui potrebbe
anche intendersi che lo percuote col mezzo,
colla parte centrale della spada e quindi
con colpo pieno.
96. 1. l'avr. fatto; avrebbe fatto ciò che
dice nel v. 6 della st. precedente.
CANTO XLT
565
97
Del suon del colpo fu tanto smarrito
Il corridor ch'Orlando avea sul dorso,
Che discorrendo il polveroso lito,
Mostrando già quanto era buono al corso.
De la percossa il Conte tramortito,
Non ha valor di ritenergli il morso.
Segue Gradasso, e l'avria tosto giunto,
Poco più che Baiardo avesse punto.
98
Ma nel voltar degli occhi, il Re Agra-
Vide condotto all'ultimo periglio: [mante
Che ne l'elmo il figliuol di Monodante
Col braccio manco gli ha dato di piglio;
E glie r ha dislacciato già davante,
E tenta col pugnai nuovo consiglio:
Né gli può far quel Re difesa molta.
Perché di man gli ha ancor la spada tolta.
99 [do;
Volta Gradasso, e più non segue Orlan-
Ma, dove vede il Re Agramante, accorre.
L'incauto Brandimarte, non pensando
Ch'Orlando costui lasci da sé tórre.
Non gli ha né gli occhi né '1 pensiero, iu-
[stando
Il coltel ne la gola al Pagan porre.
Giunge Gradasso, e a tutto suo potere
Con la spada a due man l'elmo gli fere.
100
Padre del ciel, dà fra gli eletti tuoi
Spiriti luogo al martir tuo fedele,
97. 5. De la pere; per la percossa.
98. 6. E tenta ecc.; e col pugnale tenta
di attuare un nuovo consiglio, una nuova
idea, quella cioè di finirlo.
— 7. gli può far ecc. ; può far contro lui.
99. 5. instando... porre. Comunemente in-
stando di porre, insistendo per porre. Ma
l'A. omette spesso queste prepos. V. e. i,
4, n. 1.
Che giunto al fin de' tempestosi suoi
Viaggi, in porto ormai lega le vele.
Ah Durindana, dunque esser tu puoi
Al tuo signore Orlando si crudele ?
Che la più grata compagnia e più fida
Ch'egli abbia al mondo, inanzi tu gli uc-
101 [cida.
Di ferro un cerchio grosso era duo dita
Intorno all'elmo, e fu tagliato e rotto
Dal gravissimo colpo, e fu partita
La cuffia de Tacciar ch'era di sotto.
Brandimarte con faccia sbigottita-
Giù del destrier si riversciò di botto;
E fuor del capo fé' con larga vena
Correr di sangue un fiume in su l'arena.
102
Il Conte si risente, e gli occhi gira.
Et ha il suo Brandimarte in terra scorto;
E sopra in atto il Serican gli mira.
Che ben conoscer può che glie l'ha morto.
Non so se in lui potè più il duolo o l'ira;
Ma da piangere il tempo avea si corto, [ta:
Che restò il duolo, e l' ira usci più in fret-
Ma tempo è omai che fine al Canto io met-
[ta.
j 101. 1. Di ferro ecc. L'elmo antico aveva
alla base questo cerchio grosso d' acciaio,
che spesso era decorato con fregi e pietre
preziose.
I — 4. La cuffia de l'acc. ; la cuffia d'acciaio,
che formava il disotto, e come la fodera
dell' elmo. — la cuf. de l'acc. Negli antichi
il primo articolo anteposto al sostantivo
principale talora ne chiamò un secondo pel
sostantivo dipendente. Bocc Nov. 59: «le
colonne del porfido ». Il Bembo dice questa
\ una regola ; alla quale però, già ai suoi
\ tempi, molti mancavano.
i 102. 3-4. in atto... che; in tal atto che.
CANTO XLII
Qual duro freno, o qual ferrigno nodo,
Qnal, s'esser può, catena di diamante
Farà che l'ira servi ordine e modo.
Che non trascorra oltre al prescritto inan-
Quando persona che con saldo chiodo [te.
T'abbia già fissa Amor nel cor constante.
Tu vegga o per violenzia o per inganno
Patire o disonore o mortai danno?
1. 2. catena di diam. Era di diamante la
catena di Ercole, con cui legò Cerbero.
Ovidio, Met. 7, 714: « nexis adamante ca-
tenis ».
E s'a crudel, s'ad inumano eft'etto
Quell'impeto talor l'animo svia.
Merita escusa; perché allor del petto
Non ha ragione imperio né balia.
Achille, poi che sotto il falso elmetto
2. 3. petto, animo. Petu. I, canz. 7 : « per
isfogare il petto ». E l'A. nei Cinque Canti,
2, 70 : « palesarle il petto (aprir l'animo) ».
— 5. falso elm. Patroclo vestitosi delle
armi di Achille (falso elm.), fu ucciso da
Ettore, che per vendetta fu poi ucciso da
Achille stesso e trascinato intorno alle mura
di Troia legato al carro di lui. II. 22.
566
ORLANDO FURIOSO
Vide Patroclo insanguinar la via,
D'uccider chi l'uccise non fu sazio,
Se noi traea, se non ne facea strazio.
3
Invitto Alfonso, simile ira accese
La vostra gente il di che vi percosse
La fronte il grave sasso, e si v'offese,
Ch'ognun pensò che l'alma gita fosse:
L'accese iu tal furor, che non difese
Vostri nimici argini o mura o fòsse.
Che non fossino insieme tutti morti,
Senza lasciar chi la novella porti.
4
Il vedervi cade»- causò il dolore
Che i vostri a furof^ mosse e a crudeltade.
S'eravate in pie voi, forse minore
Licenzia avrieuo avute le lor spade.
Eravi assai, che la Bastia in manche ore
V'aveste ritornata iu potestade.
Che tolta in giorni a voi non era stata
Da gente Cordovese e di Vranata.
5
Forse fu da Dio vindice permesso
Che vi trovaste a quel caso impedito,
Acciò che '1 crudo e scelerato eccesso
Che dianzi fatto avean, fosse punito:
Che, poi ch'in lor man vinto si fu messo
Il miser Vestidel, lasso e ferito.
Senz'arme fu tra cento spade ucciso
Dal popol la più parte circonciso.
6
Ma perch'io vo' concludere, vi dico
Che nessun'altra quell'ira pareggia.
Quando Signor, parente, o sozio antico
3. 2. il di'; il 13 gennaio 1512. Vedi Io
stesso fatto narrato al e. ni, 54.
— 3. il grave sasso. Questo sasso si spiccò
da un merlo colpito da una palla di arti-
glieria. Muratori, Ant. Est. Il, 308. Questo
particolare manca nel e. nr.
— 5. furor; l' ira accese questa gente in
(con) tal furor. Petrarca, 1, son. 198 : « Ira
è breve furor, ma chi noi frena È furor
lungo ". — difese, difesero. V. e. ix, 82, n. 8.
.\on si capisce perché il Panizzi e altri si
scandalizzino di questo sing.
— 7. Che; cosi che.
4. 5. in manclie ore ; in manco (meno) ore.
V. e. V, 18, n. 7: vi sarebbe bastato ripren-
der la Bastia in meno ore dei giorni, in cui
la tolsero.
— S. gente C. e di G., gente Spagnuola in
generale.
ó. 2. a quel caso, a quel fatto, avveni-
mento. Cosi nel e. xxxi, 107, 4 e cosi non
di rado altri scrittori.
— 6. Vestidel. V. c. Ili, 54.
— 8. popol... Ciro. Molti militi assoldati
dagli Spagnuoli erano Mori, che, secondo
la legge maomettana, sono circoncisi.
Dinanzi agli occhi ingiuriar ti veggia.
Dunque è ben dritto per si caro amico,
Che snbit' ira il cor d'Orlando feggia;
Che de l'orribil colpo che gli diede
Il Re Gradasso, morto iu terra il vede.
7
Qual Nomade pastor che vedut'abbia
Fuggir strisciando l'orrido serpente
Che il flgliuol che giuocava ne la sabbia,
Ucciso gli ha col venenoso dente,
Stringe il baston con colera e con rabbia;
Tal la spada, d'ogni altra più tagliente,
Stringe con ira il cavallier d'Anglante:
Il primo che trovò, fu '1 Re Agramante,
8
Che sanguinoso e de la spada privo.
Con mezzo scudo e con l'elmo disciolto,
E ferito in più parti ch'io non scrivo.
S'era di man di Brandimarte tolto.
Come di pie all'astor sparvier mal vivo,
C. 6. feggia, ferisca: da /lèdere, come
seggia, veggia da sedere, vedere. Dante,
Inf. 15, 39; 18, 75: « e fa' che feggia Lo viso
in te di quest'altri dannati ».
7. 1. Momade, Numida, della Numidia. È
forma greca. Plinio, St. iV. 5, 2: « Numidae
vero Noinades a perinutandis pabulis ».
8. 5. Come di pie ecc. È questo uno dei
luoghi più difficili e più tormentati del Fu-
rioso. Intanto dobbiamo stabilire che la
lesione è corretta, e devesi rigettare ogni
lezione diversa propostadagli antichi editori
e accettata da alcuni moderni. Là concordia
delle tre edizioni curate dall'A. esclude ogni
errore. Ciò posto, il luogo mi sembra da
intendere cosi: come di pie all' astore si
toglie mal vivo uno sparviero, al quale spar-
viero un cacciatore, o per invidia (della
preda fatta dallo sparviero altrui) o per
una r;igione stolta qualsiasi (come sarebbe
per giuoco, per provarne la forza, per inav-
vertenza ecc.) abbia lasciato andar dietro
(lasciato alla coda) quell'astore. — In questa
interpretazione il relativo a cui ha il suo
riferimento, naturale e più semplice, a spar-
viero. Quanto all' espressione lasciò alla
coda io la intendo per lo lasciò alla coda.
Sono moltissimi nel Furioso i luoghi, dove
è omessa la particella pronominale. Si con-
frontino specialmente e. ii, 49, 3; in, 49, 2;
X, 7, 7, nei quali esempi non è certo meno
ardita che qui l'omissione del pronome. Il
modo poi lasciare alla coda per mandar
dietro, è tutt' altro che oscuro; né è più
ardito di altri, come levare assalti (xvii,
81), cavalier celeste (ii, 55); Ecuba con-
versa in rabbia (x, 34) ecc. Il Boiardo,
Inn. III, IX, 17: « (Un cervo) venne presso a
Fiordispina un cubito Si che appunto alla
coda (dietro) i can gli scapola (gli manda) ».
CANTO XLII
567
A cui lasciò alla coda invido o stolto.
Orlando giunse, e messe il colpo giusto
Ove il capo si termina col busto.
si osservi poi come con questa interpreta-
zione si corrispondano perfettamente i ter-
mini e le parti della comparazione: Bran-
dimarte è l'astore, dalle cui zampe esce
malconcio Agramaute (lo sparviero) di forza
minore, e che per sua sfortuna si trovò ad
essere assalito da quel potente. V invido
o stolto, riferito a un uccellatore, riman
fuori dei termini della comparazione ed è
soltanto un elemento descrittivo e comple-
mentare, che giova e non nuoce alla nostra
interpretazione. Le interpretazioni, che al-
tri danno, si riducono a tre: 1. Come uno
sparviero si toglie mal vivo di pie all' a-
store , al quale un uccellatore invido o
stolto lasciò andar dietro lo sparviere stesso.
In questa interpretazione vi è, senza biso-
gno, il riferimento forzato e non naturale del
pronome a cui all'astore; e la conseguente
confusione dei termini della comparazione,
perché, mentre cosi è lo sparviero mandato
dietro all'astore ad assalirlo, dall' altro lato
è Brandimarte che assale, e Agramante è
lo sparviero assalito e vinto. 2. Come uno
sparviero si toglie mal vivo di pie all'astore,
al quale si lasciò andar dietro (andò dietro)
invido della sua preda; o stolto perché non
conobbe la sua inferiorità. In questa inter-
pretazione vi è lo stesso riferimento sfor-
zato del pronome a cui; e la stessa confu-
sione dei termini della comparazione, come
abbiamo notato sopra. Di più sottintendere
il pronome sd è più raro nel Furioso, che
sottintendere il pronome lo la li ecc. Ne
abbiamo, se non erro, quattro soli esempi,
(XIV, 68; XXV, 43; xxxvi, 63; xl, 43) mentre
dell' altra omissione ne abbiamo diecine.
Inoltre o stolto che cosa può voler dire
per un uccello di rapina? Uno sparviero
qual motivo poteva avere, oltre l' invidia
della preda, per lanciarsi contro un astore?
E questa distinzione di sentimenti non sa-
rebbe eccessiva in un uccello? 3. Il Raina
(Fonti) propose di far punto a mal vivo e
di riferir l'altro verso ad Agramante, in-
tendendo: Orlando giunse a colui (ad Agra-
mante), cui aveva lasciato alla coda ( che era
rimasto dietro agli altri) o perché invi-
dioso della potenza d' Orlando, o perché,
stolto, non lo credeva degno del suo para-
gone. Ma a questa interpretazione osta la
punteggiatura, che nelle tre edizioni è quale
l'abbiamo riportata, e più ancora il senso.
Non è vero che Agr. si tenesse indietro da
Orlando, infatti nel primo scontro si attacca
con Oliviero, subito dopo è assalito da Bran-
dimarte. Orlando poi è sempre cosi impe-
Sciolto era l'elmo e disarmato il coUo,
Si che lo tagliò netto, come un giunco.
Cadde e die nel sabbion l'ultimo crollo
Del regnator di Libia il grave trunco.
Corse lo spirto all'acque onde tirollo
Caron nel legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra lui non si ritarda,
Ma trova il Serican con Balisarda.
10
Come vide Gradasso d'Agramante
Cadere il busto dal capo diviso.
Quel ch'accaduto mai non gli era inanto,
Tremò nel core, e si smarrì nel viso;
E all'arrivar del cavallier d'Anglante,
Presago del suo mal, parve conquiso.
Per schermo suo partito alcun non prese
Quando il colpo mortai sopra gli scese.
11
Orlando lo feri nel destro fianco
Sotto l'ultima costa; e il ferro, immerso
Nel ventre, un palmo usci dal lato manco.
Di sangue sin all'elsa tutto asperso.
Mostrò ben, che di man fu del più franco,
E del meglior guerrier de l'universo
Il colpo ch'un Signor condusse a morte,
Di cui non era in Pagania il più forte.
12
Di tal vittoria non troppo gioioso,
Presto di sella il Paladiu si getta;
E col viso turbato e lacrimoso
A Brandimarte suo corre a gran fretta.
Gli vede intorno il capo sanguinoso:
L'elmo che par ch'aperto abbia una accet-
Se fosse stato fral più che di scorza, [ta,
Difeso non l'avria con minor forza.
13
Orlando l'elmo gli levò dal viso
E ritrovò che '1 capo sino al naso
guato con Gradasso e Sobrino, che non sa-
premmo dire come e quando Agramante
avrebbe potuto, anche volendo, attaccarsi
con lui. — Alcuno pensò a significati tecnici
speciali, che il verbo lasciare avesse allora
nell'uso della caccia, ma né scrittori, né
commentatori antichi parlano di ciò. E
d'altra parte è ipotesi, oltreché gratuita,
non necessaria.
9. 5. all'acque, alla riva d'Acheronte.
— 6. col graffio adnn. Caronte presso i
Greci e Romani è figurato per lo più col
remo, ma presso gli Etruschi, che ebbero
questo mito molto familiare, si vede inoltre
munito di ordigni diversi (spade, martelli,
forche, uncini) per tormentare i dannati.
(Daremberg e Saglio, Dictionìiaire d'anti-
quités grecques et romaines).
— 8. trova, colpisce. V. e. xxx, 59, n. 2.
11. 8. il più f. ; uno più f. V. e. vi, 20,
n. 4.
568
ORLANDO FURIOSO
Fra l'uno e l'altro ciglio era diviso:
Ma pur gli è tanto spirto anco rimaso,
Che de' suoi falli al Re del Paradiso
Può domandar perdono anzi l'occaso;
E confortare il Conte, che le gote
Sparge di pianto, a pazienzia puote;
14
E dirgli : Orlando, fa che ti raccordi
Di me ne l'orazion tue grate a Dio;
Né men ti raccomando la mia Fiordi...,
Ma dir non potè ligi, e qui fìnio.
E voci e suoni d'angeli concordi
Tosto in aria s'udir, che l'alma uscio;
La qual disciolta dal corporeo velo
Fra dolce melodia ^ali nel cielo.
15
Orlando, ancor che fardovea allegrezza
Di si devoto fine, e sapea certo
Che Brandimarte alla suprema altezza
Salito era; che '1 ciel gli vide aperto;
Pur da la umana voloutade, avvezza
Coi fragil sensi, male era soiferto
Ch'un tal più che fratel gli fusse tolto,
E non aver di pianto umido il volto.
16
Sobrin che molto sangue avea perduto,
Che gli piovea sul fianco e su le gote,
Riverso già gran pezzo era caduto,
E aver ne dovea ormai le vene vote.
Ancor giacca Olivier, né riavuto
Il piede avea, né riaver lo puote
Se non ismosso, e de lo star che tanto
Gli fece il destrier sopra, mezzo infranto;
17
E se '1 cognato non venia ad aitarlo.
Si come lacrimoso era e dolente.
Per sé medesmo non potea ritrarlo;
E tanta doglia e tal niartir ne sente.
Che ritratto che l' ebbe, né a mutarlo
Né a fermarviai sopra era possente;
E n'ha insieme la gamba si stordita,
Che muover non si può, se non si aita.
18
De la vittoria poco rallegrosse
Orlando; e troppo gli era acerbo e duro
Veder che morto Brandimarte fosse.
Né del cognato molto esser sicuro.
Sobrin, che vivea ancora, ritrovosse.
Ma poco chiaro avea con molto oscuro;
Che la sua vita per l'uscito sangue
Era vicina a rimanere esangue.
19
Lo fece tór, che tutto era sanguigno,
II Conte, e medicar discretamente;
E confortolio con parlar benigno,
Come se stato gli fosse parente;
Che dopo il fatto nulla di maligno
In sé tenea, ma tutto era clemente.
Fece dei morti armi e cavalli tórre;
Del resto a' servi lor lasciò disporre.
20
Qui della istoria mia, che non sia vera,
Federigo Fulgoso è in dubbio alquanto;
Che con l'armata avendo la riviera
13. 6. anzi l'occ; prima della morte. V.
e. IX, 31, 4.
14. 1. raccordi. V. e. XXXVIII, 27, 3.
— 5. concordi. Uniscilo a suoni e voci,
non ad angeli.
15. 1. ancor che... dovea. Per l'indio, cfr.
e. V, n. 7.
8. E non aver; e che non avesse, senza
aver il volto umido di pianto. L'andamento
del periodo è irregolare ; ma è uno di quegli
anacoluti frequentissimi nello stile popolare
e negli scrittori.
10. 3. già gr. p., già da gr. p. V. e. i,
26, n. 8.
— 7. ismosso, slogato. Bembo, Stor. 3,
43: « per cagion d' un pie smossoglisi ». Ma
non è frequente. — de lo st.; per lo st. V.
e. xiii, 33, n. 3.
17. 5. Hintarlo, muoverlo per passeggiare.
Altrove (V. e. ii, 39, 7) ha mutare il passo
0 i passi, espressioni forse tolte dal Bo-
iardo (II, V, 35). Mutare il piede è fog-
giata su queste per analogia.
— 8. si aita, viene aiutato.
IS. 5. Sobrin ecc. Sobrino fu ritrovato che
viveva anc. ; ancora vivente. Il che vale,
press'a poco, quando, mentre. Si usa dopo
i verbi trovare, vedere, sorprendere e si-
mili; e indica un'azione, che si sta com-
piendo contemporaneamente a quella indi-
cata dal verbo principale : V ho trovato
che piangeva, a piangere, piangente. É
comunissimo nella nostra lingua.
— 6. Ma poco ecc., per la gran debo-
lezza avea oscurata la vista.
— 8. esangue, spenta. Per lo più si dice
di cor2)o, volto, membra e simili: vita
esangue è un ardimento dell' A.
19. 1. che. È come quello notato al v. 5
della st. precedente.
— 2. discretamente, con cura, da savie
e abili persone. È simile a quel del Bocc.
Nov. 98: « Se il calzolaio non è discreto (ca-
pace, assennato) ».
20. 2. Federigo Fulgoso, o Fregoso. Si usa-
vano ambedue le forme. Fu questi della
nobilissima famiglia Fregosa di Genova.
Capitano dell'armata, combatté special-
mente contro il corsaro Cortogoli, che dan-
neggiava la riviera Genovese: lo sorprese
>iel porto di Biserta e gli distrusse com-
pletamente le navi. Poi si fece prete, fu
vescovo di Gubbio, arcivescovo di Salerno
e cardinale. È chiaro che il Poeta mise
queste ottave non per altro, che per far
l'elogio di questa famiglia.
CANTO XLTI
5C9
Di Barberia trascorsa in ogni canto,
Capitò quivi, e l'isola si fiera,
Montuosa e inegual ritrovò tanto,
Che non è (dice) in tutto il luogo strano,
Ove un sol pie si possa metter piano:
21
Né v^àakoiLtieo che ne Talpestre
Scoglio sei cavallieri, il fior del mondo,
Potesson far quella battaglia equestre.
Alla quale obiezion cosi rispondo:
Ch'a quel tempo una piazza de le destre.
Che sieno a questo, avea lo scoglio al fon-
[do;
Ma poi, ch'un sasso che'ltremuoto aperse.
Le cadde sopra, e tutta la coperse.
22
Si che, 0 chiaro fulgor de la Fulgosa
Stirpe, 0 serena, o sempre viva luce,
Se mai mi riprendeste in questa cosa
E forse iiianti a quello invitto Duce
Per cui la vostra patria or si riposa,
Lascia ogni odlo,einamor tutta s'induce;
Vi priego che non siate a dirgli tardo.
Ch'esser può che né in questo sia bugiardo.
23
In questo tempo, alzando gli occhi al
Vide Orlando venire a vela in fretta [mare.
Un navilio leggier, che di calare
Facea sembiante sopra l' isoletta.
Di chi si fosse, io non voglio or contare,
31. 5. destre, acconce, adatte. V. e. xiii,
40, n. 7.
— 6. Che sieno; che possano essere, pos-
sano trovarsi.
•2i. 4. inv. Duce; Ottaviano Fregoso, fra-
tello di Federigo, doge nel 1513. si adoprò
con la moderazione e con la giustizia a
render la pace alla patria e a calmar le
fazioni; pace e calma, che durarono poco.
Ottaviano mori nel 1522. Queste stanze de-
vono quindi essere state scritte nel 1513, ed
è ben naturale; appartenendo esse al ter-
zultimo canto della prima edizione. Qual-
che commentatore crede erroneamente, che
qui si tratti di Andrea Doria, che invece
ebbe il predominio in Genova nel 1528.
— 6. in amor... sMnd.; è tutta amore. È
imitazione del modo latino in amorem in-
ducere (Catullo, 30, 8), innamorare; con
allargamento di uso e di significato. Si cita
questo solo esempio dell'A.
— 8. né; neppure. V. e. li, 41, n. 4,
23. 3. calare, approdare. V. e. xxxix, 31,
n. 4.
— 5. Di chi si fosse, ecc. Il Borgognoni,
(Rass. settimanale, 29 dicembre 1880) crede
che qui abbiamo una dimenticanza dell'A.,
perché non dice mai più altrove di chi fosse
questo naviglio, ma è chiarissimo, che era
la nave, su cui veniva Rinaldo: e. xliii,
150, 151.
Perch'ho pili d'uno altrove che ra' aspetta.
Vergiamo in Francia,poi che spinto n'han-
I Saracin, se mesti o lieti stanno. [no
24
Veggiàn che fa quella fedele amante
Che vede il suo contento ir si lontano;
Dico la travagliata Bradamante,
Poi che ritrova il giuramento vano,
Ch'avea fatto Ruggier pochi di inante.
Udendo il nostro, e l'altro stuol Pagano.
Poi ch'in questo ancor manca, non le avan-
In ch'ella debba più metter speranza, [za
25
E ripetendo i pianti e le querele.
Che pur troppo domestiche le furo,
Tornò a sua usanza a nominar crudele
Ruggiero, e '1 suo destin spietato e duro.
Indi sciogliendo al gran dolor le vele,
II elei che consentia tanto pergiuro.
Né fatto n'avea ancor segno evidente,
Ingiusto chiama, debole e impotente.
2G
Ad accusar Melissa si converse
E maledir l'oracol de la grotta;
Ch'a lor mendace suasion s'immerse
Nel mar d'Amore, ov'è a morir condotta.
Poi con Marfisa ritornò a dolerse
Del suo fratel che le ha la fede rotta:
Con lei grida e si sfoga, e le domanda,
Piangendo, aiuto, e se le raccomanda.
27
Marfisa si ristringe ne le spalle,
E, quel sol che può far, le dà conforto;
Né crede che Ruggier mai cosi falle,
Ch'a lei non debba ritornar di corto :
E se non torna pur, sua fede dàlie,
Ch'ella non patirà si grave torto;
O che battaglia piglierà con esso,
O gli farà osservar ciò c'ha promesso.
— 7. spinto, cacciato. È notevole; e non
è citato, in questo senso, dai vocabol.
24. 1. Veggiàn. V. e. ix, 43, n. 8. Per il
racconto cfr. e. xxxvin, 87.
— 7. Poi ch'in q. ecc. Poi che egli manca
anche a un giuramento si fatto, non le re-
sta pili cosa, in cui senta di dover riporre
la sua speranza.
23. 2. domestiche, consuete. Petrarca,
ir, son. 56 : « Cui domestica febbre assalir
deve ».
— 6. pergiuro, spergiuro. V. e. xl, 64.
— 7. segno evid. ; vendetta esemplare.
Significato notevole, non citato dai vocabol. *
26. 3. suasion (lat. suasionem) persua-
sione.
27. 3. falle, falli, commetta tal fallo ecc.
È congiuntivo da fallare, come anie per
ami da amare.
— 7. 0 che; 0. V. e. iv, 35, 5.
570
ORLANDO FURIOSO
28
Cosi fa ch'ella un poco il duol raffrena
Ch'avendo ove sfogarlo, è meno acerbo.
Or ch'abbiam visto Bradamaute in pena,
Chiamar Ruggierpergiuro,erapioesuper-
Veggiamo ancor, se miglior vita mena [bo;
Il fratel suo che non ha polso o nerbo,
Osso 0 medolla che non senta caldo
De le fiamme d'Amor; dico Rinaldo:
29
Dico Rinaldo il qual, come sapete,
Angelica la bella amava tanto;
Né l'avea tratto all'amorosa rete
Si la beltà di lei, come l'incanto.
Aveano gli altri i aladin quiete.
Essendo ai Mori ogni vigore affranto:
Tra i vincitori era rimaso solo
Egli captivo in amoroso duolo.
30
Cento messi a cercar che di lei fusse,
Avea mandato, e cereonne egli stesso.
Al fine a Malagigi si ridusse,
Che nei bisogni suoi l'aiutò spesso.
A narrar il suo amor se gli condusse
Col viso rosso e col ciglio demesso.
Indi lo priega che gli insegni dove
La desiata Angelica si trova.
31
Gran maraviglia di si strano caso
Va rivolgendo a Malagigi il petto.
Sa che sol per Rinaldo era rimaso
D'averla cento volte e più nel letto:
Et egli stesso, acciò che persuaso
Fosse di questo, avea assai fatto e detto
Con prieghi e con minacele per piegarlo ;
Né mai avuto avea poter di farlo:
32
E tanto pili, ch'allor Rinaldo avrebbe
Tratto fuor Malagigi di prigione.
Fare or spontaneamente lo vorrebbe,
Che nulla giova, e n'ha minor cagione:
29. 4. r incanto ; la fontana dell' amore
(V. e. I, 5, n. 1 e Innam. II, 15, 59 segg.)
alla quale beve R., mentre Ang. beve, poco
appresso, alla fontana del disamore (Inn.
II, 20, 45).
32. 1-2. Sa, ecc. Tutto ciò è raccontato dal
Boiardo I, v. Angelica tornata al Calai
portò seco Malagigi che avea preso e le-
gato al fonte di Merlino. Ma sentendo tor-
mentoso amore per Rinaldo, dice al mago
che gli darebbe la libertà se riuscisse a
condurglielo. Per quante arti egli usi non
riesce nell'impresa, cosi che deve tornare
prigioniero di Angelica.
— 4. Che nulla g. ecc.; Ora che non
gioverebbe a nessuno come allora giovava
a Malagigi, e n'ha minor cagione perché
non ha gli inviti insistènti di Angelica, come
Poi priega lui che ricordar si debbe
Pur quanto ha offeso in questo oltr'a ragio-
Che per negargli già, vi mancò poco [ne;
Di non farlo morire in scuro loco.
33
Ma quanto a Malagigi le domande
Di Rinaldo importune più pareano.
Tanto, che l'amor suo fosse più grande.
Indizio manifesto gli faceano.
I prieghi che con lui vani non spande,
Fan che subito immerge ne l'oceano
Ogni memòria de la ingiuria vecchia,
E che a dargli soccorso s'apparecchia.
34
Termine tolse alla risposta, e spene
Gli die, che favorevol gli saria,
E che gli saprà dir la via che tiene
Angelica, ossia in Francia o dove sia.
E quindi Malagigi al luogo viene
Ove i demòni scongiurar solia;
Ch'era fra monti inaccessibil grotta:
Apre il libro, e li spirti chiama in frotta.
35
Poi ne sceglie un che de' casi d'Amore
Avea notizia, e da lui saper volle,
Come sia che Rinaldo ch'avea il core
Dianzi si duro, or l'abbia tanto molle:
E di quelle due fonti ode il tenore,
Di che l'una dà il fuoco, e l'altra il toUe;
E al mal che l'una fa, nulla soccorre,
Se non l'altra acqua che contraria corre.
36
Et ode come avendo già di quella,
Che l'amor caccia, beuto Rinaldo,
Ai lunghi prieghi d'Angelica bella
Si dimostrò cosi ostinato e saldo:
E che poi giunto per sua iniqua stella
A ber ne l'altra l'amoroso caldo, [acque,
Tornò ad amar, per forza di quelle [eque.
Lei che pur dianzi oltr'il dover gli spia-
allora; e si sa che è imona ragione d'amare
il sapersi amato. Il P.inizzi nota d' inesat-
tezza questo luogo, perché, dice, Malagigi
fu veramente liberalo; ma non ha pensato
che per il giuramento fatto, non essendogli
riuscita l' impresa, tornò spontaneamente
ad Angelica. Inn. l, ix.
— 6. ha offeso. È detto in generale, sot-
tintendendo diversi complementi cioè lui.
Angelica, amore.
— 7. mancò poco di ecc. Più regolarm.
mancò poco che non lo facesse. V. e. i,
48, n. 1.
83. 5. vani non ap. È il latino fundere
preces.
35. 5. tenore, notizia. Boccaccio, Nin-
fale, 93; « Che mai non se ne seppe alcun
tenore ».
— 8. contrarla; con virtù contrarie.
CANTO XLII
571
37
Da iniqua stella e fier destili fu giunto
A ber la fiamma in quel ghiacciato rivo;
Perché Angelica venne quasi a un punto
A ber ne l'altro di dolcezza privo,
Che d'ogni amor le lasciò il cor si emunto,
Ch'indi ebbe lui, più che le serpi a schivo :
Egli amò lei, e l'amor giunse al segno
In ch'era già di lei l'odio e lo sdegno.
38
Del caso strano di Rinaldo a pieno
Fu Malagigi dal demonio instrutto,
Che gli narrò d'Angelica non meno,
Ch'a un giovine African si donò in tutto;
E come poi lasciato avea il terreno
Tutto d'Europa, e per l'instabil flutto
Verso India sciolto avea dai liti Ispani
Su l'audaci galee de' Catalani.
39
Poi che venne il cugin per la risposta.
Molto gli dissuase Malagigi
Di più Angelica amar, che s'era posta
D'un vilissimo Barbaro ai servigi;
Et ora si da Francia si discosta.
Che mal seguir se ne potria i vestigi:
Ch'era oggimai più là ch'a mezza strada,
Per andar con Medoro in sua contrada.
40
La partita d'Angelica non molto
Sarebbe grave all'animoso amante;
Né pur gli avria turbato il sonno, o tolto
Il pensier di tornarsene in Levante:
Ma sentendo ch'avea del suo amor colto
Un Saracino le primizie inante.
Tal passione e tal cordoglio sente,
Che non fu in vita sua mai più dolente.
41
Non ha poter d'una risposta sola;
Triemail cor dentro, e trieman fuorlelab-
Non può la lingua disnodar parola; [bla;
La bocca ha amara, e par che tosco v'ab-
Da Malagigi subito s'invola; [bia.
E come il caccia la gelosa rabbia,
Dopo gran pianto e gran ramaricarsi,
Verso Levante fa pensier tornarsi.
37. 1. fu giunto, fu spinto. È d' uso raro.
Si cita un solo esempio del Fiore eli virtù;
« E giunselo a tanto che ella lo fece vestire ».
— 3. Angelica ecc. Poco dopo Angelica,
lasciata Albracca e tornata in Francia con
Orlando, si avvenne nella fonte del disa-
more e bevve. Innani. II, xx, 45.
3S. 7. sciolto, salpato. V. e. x, 44, n. 1.
— 8. audaci. I Catalani furono nel medio
evo grandi navigatori, tanto da competer
quasi con Venezia, Genova e Pisa (Casella).
40. 3. Né pur, ecc.; E neanche il pensiero
di tornarsene in levante a cercare di lei
gli avrebbe turbato o tolto il sonno, lo
avrebbe sgomentato.
42
Chiede licenzia al figlio di Pipino;
E trova scusa che '1 destrier Baiardo,
Che ne mena Gradasso Saracino
Contra il dover di cavallier gagliardo,
Lo muove per suo onore a quel camino,
A ciò che vieti al Serican bugiardo
Di mai vantarsi che con spada o lancia
L'abbia levato a un Paladin di Francia.
43
Lasciollo andar con sua licenzia Carlo,
Ben che ne fu con tutta Francia mesto;
Ma finalmente non seppe negarlo:
Tanto gli parve il desiderio onesto, [lo;
Vuol Dudon, vuol Guidone accorapagnar-
Ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi, e se ne va via solo,
Pien di sospiri e d'amoroso duolo.
44
Sempre ha in memoria, e mai non se gli
Ch'averla mille volte avea potuto, [tolle,
E mille volte avea ostinato e folle
Di si rara beltà fatto rifiuto;
E di tanto piacer ch'aver non volle.
Si bello e si buon tempo era perduto;
Et ora eleggerebbe un giorno corto
Averne solo, e rimaner poi morto.
45
Ha sempre in mente, e mai non se ne par-
Come esser puote ch'un povero fante [te.
Abbia del cor di lei spinto da parte
Merito e amor d'ogni altro primo amante.
Con tal pensier che '1 cor gli straccia e
Rinaldo se ne va verso Levante; [parte,
E dritto al Reno e a Basilea si tiene.
Fin che d'Ardenna alla gran selva viene.
46
Poi che fu dentro a molte miglia andato
Il Paladin pel bosco avventuroso,
Da ville e da castella allontanato.
Ove aspro era più il luogo e periglioso,
43. 6. lo niega, lo vieta. Cosi nel e. xxv,
7. Petr. I, canz. 5: « S'egli avvien che an-
cor non mi si nieghi Finire... Queste voci
meschine ».
44. 6. tempo, opportunità. Gli esempi ci-
tati dai vocabolari danno più tosto il senso
di tonpo opportuyio. Questo dell'A. è più
spiccato e rende il tempus dei Latini:
« Tempus habes tale quale nemo habuii
unquam » Cic. Phil. 9.
45. 1. Ha sempre ecc. Questo verso è una
variazione del primo della st. precedente.
— 3. sp. da parte; cacciato fuori. Ma-
niera non registrata dai vocabolari.
4C. I. a molte miglia, alla distanza di
molte miglia. Cosi nel e. iv, 68, 6; v, 76,
6; XXXII, 85, 4.
— 2. avventuroso, che offre molte avven-
ture. Non si cita che questo es. dell'A.
572
ORLANDO FURIOSO
Tutto in un tratto vide il ciel turbato,
Sparito il sol tra nuvoli nascoso,
Et uscir fuor d'una caverna oscura
Un strano mostro in feminil figura.
47
Mill'occhi in capo avea senzapalpebre ;
Non può serrarli e non credo che dorma:
Nonmencliegli occhi, avea l'orecchie cre-
[bre;
Avea in loco di crin serpi a gran torma.
Fuor de le diaboliche tenebre
Nel mondo usci la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda,
Che pel petto si gira, e che l'annoda.
48 [prese
Quel ch'a Rinaldo in mille e mille im-
Più non avvenne mai, quivi gli avviene;
Che come vede il mostro ch'all'offese
Se gli apparecchia, e ch'a trovar lo viene.
Tanta paura, quanta mai non scese
In altri forse, gli entra ne le vene;
Ma pur l'usato ardir simula e finge,
E con trepida man la spada stringe.
49 [salto.
S'acconcia il mostro in guisa al fiero as-
Che si può dir che sia mastro di guerra:
Vibra il serpente venenoso in alto,
E poi contra Rinaldo si disserra;
Di qua di là gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo contra lui vaneggia et erra:
Colpi a dritto e a riverso tira assai;
Ma non ne tira alcun che fera mai.
50
Il mostro al petto il serpe ora gli appicca
Che sotto l'arme e sin nel cor l'agghiaccia ;
Ora per la visiera gliele ficca,
E fa ch'erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo da l'impresa si dispicca,
E quanto può con aproni il destrier caccia :
Ma la Furia infernal già non par zoppa,
Chespicca un salto,e gli è subito in groppa.
47. 3. cretre, spesse. Dante, Par. 19, 69.
— 7. ha p. la coda; Più comunemente:
ha per coda. Questo mostro è personifica-
zione della gelosìa.
48. 4. Se gli app.; si appai*, contro di lui.
Cosi pure nel e. xlhi, 81, 3: «Amor, che
si gli ha la mano avvezza (che ha cosi av-
vezza la mano contro di lui) ».
■19. 4. si disserra; si scaglia. V. e. XLI,
72, 3.
— 6. Taneggia et. e : si agita invano e va
errando qua e là. Vaneggiare ha dunque
il suo significato comune di far cose vane.
50. 3. gliele, glielo. Gli antichi scrittori,
specialmente Toscani, lo usarono indecli-
nabilmente per tutti i generi e numeri. Boc-
caccio Nov. 85 : « E tutto gliele graffiò (il
viso) ».
51
Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,
Sempre ha con lui la maledetta peste;
Né sa modo trovar, che se ne scioglia,
Ben che '1 destrier di calcitar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
Non ch'altrimente il serpe lo moleste;
Ma tanto orror ne sente e tanto schivo,
Che stride e geme, e duolsi ch'egli è vivo.
52
Nel più tristo sentier, nel peggior calle
Scorrendo va, nel più intricato bosco,
Ove ha più asprezza il balzo, ove la valle
È più spinosa, ov'è l'aer più fosco.
Cosi sperando torsi da le spalle
Quel brutto, abominoso, orrido tosco;
E ne saria mal capitato forse,
Se tosto non giungea chi lo soccorse.
53
Ma lo soccorse a tempo un cavalliero
Di belio armato e lucido metallo,
Che porta un giogo rotto per cimiero.
Di rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
Cosi trapunto il suo vestire altiero,
Cosi la sopravesta del cavallo :
La lancia ha in pugno, e la spada al suo
E la mazza all'arcion, che getta foco, [loco,
54
Piena d'un foco eterno è quella mazza
Che senza consumarsi ogn'ora avvampa:
Né per buon scudo, o tempra di corazza,
0 per grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque si debbe il cavallier far piazza,
Giri ove vuol l'inestinguibil lampa:
Né manco bisognava al guerrier nostro.
Per levarlo di man del crudel mostro.
55
E come cavallier d'animo saldo.
Ove ha udito il rumor, corre e galoppa.
Tanto che vede il mostro che Rinaldo
Col brutto serpe in mille nodi aggroppa,
E sentir fagli a un tempo freddo e caldo;
Che non ha via di torlo si di groppa.
Va il cavalliero e fere il mostro al fianco,
E lo fa traboccar dal lato manco.
56
Ma quello ò appena in terra che si rizza,
E il lungo serpe intorno aggira e vibra.
51. 2. con lui, con sé. V. c.-iv, 6, n. 3.
— 4. calcitar, trar calci. La forma usata
comunemente è calcitrare.
— 8. ch'egli è tìto, perché è vivo.
52. 7. ne saria ecc. Il ne è causale, saria
mal capitato per causa, per opera di lui.
Cosi Boccaccio, Nov. 84: «amici n'erano
divenuti e spesso w' usavano insieme (per
questa cagione) ».
6:1. 4. Di rosse fiamme. É questa la sua
insegna.
— 5. altiero, bello. Cosi nel e. xii, 8, 2.
CANTO XLII
573
Quest'altro più con Tasta uon l'attizza ;
Ma di farla col fuoco si delibra.
Lamazzaimpugna, e dove il serpe guizza,
Spessi come tempesta i colpi libra;
Né lascia tempo a quel brutto animale,
Che possa farne un solo o bene o male:
57
E mentre a dietro il caccia o tiene abada,
E lo percuote, e vendica mille onte,
Consiglia il Paladin che se ne vada
Per quella via che s'alza verso il monte.
Quel s'appiglia al consiglio et alla strada;
E senza dietro mai volger la fronte,
Non cessa, che di vista se gli folle,
Benché molto aspro era a salir quel colle.
58
Il cavallìer, poi challa scura buca
Fece tornare il mostro da Tinferno,
Ove rode sé stesso e si manuca,
E da mille occhi versa il pianto eterno;
Per esser di Rinaldo guida e duca
Gli sali dietro, e sul giogo superno
Gli fu alle spalle, e si mise con lui
Per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.
59
Come Rinaldo il vide ritornato,
Gli disse che gli avea grazia infinita,
E ch'era debitore in ogni lato
Di porre a beneficio suo la vita.
Poi lo domanda come sia n%mato,
Acciò dir sappia chi gli ha dato aita;
56. 4. di farla; di fargliela. Sarebbe dun-
que omesso, come spessissimo, il pronome
personale. Farla a nno è modo comune per
fargli un tiro qualunque. — si delibra,
si delibera. Sulla forma riflessiva. Cfr. e. iv,
49, n. 1.
— 6. libra, aggiusta, assesta, vibra. È il
latino Hì)rare. Viro. En. 9, 437: « summa
telum librabat ab aure ». È uso notevole non
citato dai vocabolari.
— 8. farne nn s. ; fare un sol colpo; me-
nare un sol colpo.
ó<. 7. Non cessa che; non cessa finché.
V. e. vili, 7, n. 4.
— 8. molto aspro ecc., quel colle era mol-
to aspro a salire : o meglio deve intendersi
a salire "^Qv salendo come nel e. iv, 14, 1;
II, 17, 5 : era cosa m. aspra a s. q. e. |
5S. 2. il m. da l'inferno ; il mostro infer-
nale.
— 6. Gli sali dietro; sali il colle dopo,
dietro di lui. — superno, più alto. V. e. ii, j
70, 1. Intendi: quando Rinaldo fu arrivato i
sul colle, lo Sdegno, che era andato dietro j
al mostro, vi sali pure e lo raggiunse (gli
fu alle spalile) sul giogo superno. I
59. 3. era debitore ecc.; era debitore di I
porre (aveva il dovere di porre) sempre' e
in ogni luogo la vita per lui. I
E tra guerrieri possa, e iuanzi a Carlo
De l'alta sua bontà sempre esaltarlo.
60
Rispose il cavallier: Non ti rincresca
Se '1 nome mio scoprir non ti vogli' ora:
Ben tei dirò prima ch'un passo cresca
L'ombra; che ci sarà poca dimora.
Trovaro, andando insieme, un'acqua fre-
Che col suo mormorio facea talora [sca
Pastori e viandanti al chiaro rio
Venire, e berne l'amoroso oblio.
61
Signor, queste eran quelle gelide acque.
Quelle che spengon l'amoroso caldo.
Di cui bevendo, ad Angelica nacque
L'odio ch'ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s'ella un tempo a lui prima dispiacque,
E se ne l'odio il ritrovò si saldo.
Non derivò, Signor, la causa altronde,
Se non d'aver beuto di queste onde.
62
Il cavallier che con Rinaldo viene,
Come si vede inauzi al chiaro rivo.
Caldo per la fatica il destrier tiene,
E dice: Il posar qui non fia nocivo.
Non ria (disse Rinaldo) se non bene;
Ch'oltre cheprema il mezzogiorno estivo,
M'ha cosi il brutto mostro travagliato.
Che 'I riposar mi fia commodo e grato.
63
L'un e l'altro smontò del suo cavallo,
E pascer lo lasciò per la foresta;
E nel fiorito verde a rosso e a giallo
Ambi si trasson l'elmo de la testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo,
Spinto da caldo e da sete molesta,
E cacciò, a un sorso del freddo liquore
Dal petto ardente e la sete e l'amore.
60. 4. dimora, indugio. Per arrivare a
questo (ci), avremo poco da indugiare.
61. 1. quelle g. acque, la fontana del di-
samore. «Merlin fu quel che l'ebbe edifi-
cata Perché Tristano il cavaliere ardito.
Bevendo a quella lasci la regina, Che fu ca-
gione alfin di sua rovina ». Innam. I, iii,
33. Angelica ne bevve tornata in Francia
di levante. Inn. II, xx, 45.
— 8. d'aver; da aver. V. e. v, 10, n. 5.
Questo è detto neir/ji>t. I, iii, 35.
62. 3. caldo ecc. Si può riferire al cava-
liere o al cavallo.
63. 3. nel f. verde ecc., nel verde fiorito
di rosso e di giallo, con fiori rossi e g.
— 5. liquido, limpido. V. e. i, 37, n. 3.
— 7. a un sorso, a un medesimo sorso,
con un m. s. Inn. I, iii, 35: « E di sete e
d'amor tutto si priva. Perché bevendo quel
freddo liquore Cangiossi tutto 1' amoroso
core ».
574
ORLANDO FURIOSO
64
Quando lo vide l'altro cavalliero
La bocca sollevar de l'acqua molle,
E ritrarne pentito ogni pensiero
Di quel desir ch'ebbe d'amor si folle;
Si levò ritto, e con sembiante altiero
Gli disse quel che dianzi dir non volle:
Sappi Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno,
Venuto sol per sciorti il giogo indegno.
65
Cosi dicendo, subito gli sparve,
E sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve;
S'aggirò intorno, e disse: Ove è costui?
Stimar non sa se &"an magiche larve;
Che Malagigi un de' ministri sui
Gli abbia mandato a romper la catena.
Che lungamente l'ha tenuto in pena:
66
O pur che Dio da l'alta ierarchia
Gli abbia per ineffabil sua boutade
Mandato, come già mandò a Tobia,
Un angelo a levar di cecitade.
Ma buono o rio demonio, o quel che sia.
Che gli ha renduta la sua libertade.
Ringrazia e loda; e da lui sol conosce
Che sano ha il cor da l'amorose angosce.
67
Gli fu nel primier odio ritornata
Angelica, e gli parve troppo indegna
D'esser, non che si lungi seguitata.
Ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per Baiardo riaver tutta fiata
C4. 2. molle. Riferiscilo a bocca molle di
quell'acqua.
— 3. pentito. Riferiscilo a. pensiero. Ogni
pensiero dei passati desideri è ora un pen-
timento.
65. 5. Stimar; comprendere. V. e. xxxv,
73, n. 1.
— 6. Che Malagigi ecc. Rileva dal conte-
sto e pensa che Malag. gli abbia mandato
uno dei demoni suoi ministri ecc., o pur
che Dio ecc.
66. 3. Tobia, israelita pio e giusto, che
divenuto cieco, fu risanato col fiele d'un
pesce indicato al figlio dall'arcangelo Raf-
faele mandato da Dio.
— 4. levar; levarlo. V. e. i, 21, n. 7.
5. bnono o r. demouio. Di demonio in
senso buono non si cita nella nostra lingua
che questo luogo dell' a. Veramente il greco
daimonion, da cui deriva, significava, in
generale, genio.
— 7. Ringrazia e loda. Sottint. lo. — co-
nosce, riconosce, a lui è debitore. Cosi nel
e. XLiv, 96, 8; XXVII, 83, 8; e cosi non di
rado nella nostra letteratura.
67. 3. D'esser non che ecc. C è una delle
solite inversioni: non che d'esser segui-
tata ecc.
Verso India in Sericana andar disegna,
Si perché l'onor suo lo stringe a farlo,
Si per averne già parlato a Carlo.
68
Giunse il giorno seguente a Basilea,
Ove la nuova era venuta inante.
Che '1 conte Orlando aver pugna dovea
Contra Gradasso e contrail re Agi-amante.
Né questo per avviso si sapea.
Ch'avesse dato il cavallier d'Anglante;
Ma di Sicilia in fretta venut'era
Chi la novella v'apportò per vera.
69
Rinaldo vuol trovarsi con Orlando
Alla battaglia, e se ne vede lunge.
Di dieci in dieci miglia va mutando
Cavalli e guide, e corre e sferza e punge.
Passa il Reno a Costanza, e in su volando.
Traversa l'Alpe, et in Italia giunge.
Verona a dietro, a dietro Mantua lassa;
Sul Po si trova, e con gran fretta il passa.
70
Già s'inchinava il sol molto alla sera,
E già apparia nel ciel la prima stella.
Quando Rinaldo in ripa alla riviera
Stando in peusier s'avea da mutar sella,
0 tanto soggiornar, che l'aria nera
Fuggisse inanzi all'altra aurora bella,
Venir si vede un cavalliero inanti
Cortese ne r#spetto e nei sembianti.
71
Costui, dopo il saluto, con bel modo
Gli domandò s'aggiunto a moglie fosse.
Disse Rinaldo: Io son nel giugal nodo;
Ma di tal domandar maravigliosae.
Soggiunse quel: Che sia cosi, ne godo:
Poi, per chiarir perché tal detto mosse,
Disse: Io ti priego che tu sia contento
Ch'io ti dia questa sera alloggiamento;
72
Che ti farò veder cosa che debbe
Ben volentier veder chi ha moglie a lato.
Rinaldo, si perché posar vorrebbe,
Ormai di correr tanto affaticato;
Si perché di vedere e d'udire ebbe
Sempre avventure un desiderio innato;
Accettò l'offerir del cavalliero,
E dietro gli pigliò nuovo sentiero.
68. 1. Basilea, città nel nord-ovest della
Svizzera.
69. 5. in sn volando, velocemente salendo.
70. 1. s'inchinava, declinava : cfr. c. XLV,
77, n. 7.
— 3. in ripa, a. r. ; in riva al fiume Po.
— 4. mutar sella; mutar cavalcatura.
71. 3. Io s. n. g. nodo. ; io sono ammoglia-
to: con Clarice. Virgilio, En. 4, 6, disse
vinclo fugali.
72. 6. avventure. Uniscilo a udire.
CANTO XLII
575
73
Un tratto d'arco fuor di strada uscire,
E inanzi un gran palazzo si trovare,
Onde scudieri in gran frotta venire
Con torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò Rinaldo, e voltò gli occhi in giro,
E vide lece il qual si vede raro,
Di gran fabrica e bella e bene intesa;
Né a privato uom couvenia tanta spesa.
74
Di serpentin, di porfido le dure
Petre fan de la porta il ricco vòlto.
Quel che chiude, è di bronzo, con figure
Che sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto un arco poi s'entra, ève misture
Di bel mosaico ingannau l'occhio molte.
Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia
De le sue loggie ha lunga cento braccia.
75
La sua porta ha per sé ciascuna loggia,
E tra la porta e sé ciascuna ha un arco:
D'ampiezza pari sen, ma varia foggia
Fé' d'ornamenti il mastro lor non parco.
Da ciascuno arco s'entra, ove si poggia
Si facil, ch'un somier vi può gir carco.
Un altro arco di su trova ogni scala;
E s'entra per ogni arco in una sala.
76
Gli archi di sopra escono fuor del segno
Tanto, che fan coperchio alle gran porte;
E ciascun due colonne ha per sostegno.
Altre di bronzo, altre di pietra forte.
Lungo sarà, se tutti vi disegno
Gli ornati alloggiamenti de la corte;
E oltr'a quel ch'appar, quanti agi sotto
La cava terra il mastro avea ridotto.
73. 3. veniro, vennero. V. e. vi, 81, n. 3.
'i. 2. vòlto, volta; ma meno comune.
— 7. qnadro. recinto quadrato.
75. 1. La s. porta ecc.: Nelle quattro log-
ge, alla metà, vi è una porta con arco spor-
gente, dalla quale si accede, per una scala,
al piano superiore.
— 5. Da e. arco ecc. In ciascuno di que-
sti anditi si trova l'accesso ad una comoda
scala, che conduce al piano superiore.
— 7. Un a. arco. In cima a ciascuna scala
vi era un altro andito a volta, che condu-
ceva ad una sala.
76. 1. Gli archi di s. Tutti questi anditi
lasciano sporgere la parte superiore, l'arco,
che sorretto da colonne, comprende e copre
la porta.
— 4. p. forte, pietra dura, perciò più o
meno preziosa.
— 5. Lungo sarà. V. c. Ili, 31, n. 5. — di.
segno, descrivo. Boccaccio Nov. 2: «dise-
gnò la forma della camera».
— 6. allogg. d. corte; la parte abitabile
di questo regio palazzo.
77
L'alte colonne e i capitelli d'oro.
Da che i gemmati palchi eran suflfulti,
I peregrini marmi che vi fòro
Da dotta mano in varie forme sculti.
Pitture e getti, e tant'altro laverò [ti),
(Ben che la notte agli occhi il più ne occul-
Mostran che non bastare a tanta mole
Di duo Ee insieme le ricchezze sole.
78
Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
Ch'erano assai ne la gioconda stanza,
V'era una fonte che per piti ruscelli
Spargea freschissime acque in abondanza.
Poste le mense avean quivi i donzelli;
Ch'era nel mezzo per ugual distanza:
Vedeva, e parimente veduta era
Da quattro porte de la casa altiera.
79
Fatta da mastro diligente e dotto
La fonte era con molta e suttil opra.
Di loggia a guisa, e padiglion ch'in otte
Faccie distinto, intorno adombri e cuopra.
Un ciel d'oro, che tutto era di setto
Colorito di smalto, le sta sopra;
Et otto statue son di marmo bianco.
Che sostengon quel ciel col braccio manco.
80
Ne la man destra il cerno d'Araaltea
Sculto avea lor l'ingenioso mastro,
Onde con grato murmure cadea
L'acqua di fuore in vaso d'alabastro,
Et a sembianza di gran donna avea
Ridutte con grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e di faccia difi"erente.
Ma grazia hanno e beltà tutte ugualmente.
81
Fermava il pie ciascun di questi segni
77. 5. getti; lavori di getto. Celi ini, Oref.
63: «Ciò fatto nettisi il getto dalla oocca».
78. 1. Sopra; oltre. Boccaccio, Nov., 13:
« E molte altre (possessioni) comperar so-
pra quelle ».
— 2. stanza, abitazione.
— 6. Ch'era; perch'era. La fontana a-
veva la forma di un gran padiglione, che
sorgeva in mezzo a questa gran sala, e
che perciò si vedeva ugualmente dalle quat-
tro grandi porte di essa. Essendo il padi-
glione nel centro della sala, vi erano state
poste le mense.
— 7. Vedeva; rispondeva, era di fronte
alle quattro porte.
79. 3. in otto faccie. Era dunque otta-
gonale.
80. 1. il corno d'A. V. c. VI, 73.
— 5. Et a sembianna ecc. Intendi: le otto
statue, che erano i pilastri del padiglione,
aveauo sembianza di donna.
81, 1. segni, statue. Dante, Purg. 12, 46:
576
ORLANDO FURIOSO
Sopra due belle imagini più basse,
Che con la bocca aperta facean segni
Che '1 cauto e l'armonia lor dilettasse;
E quell'atto in che son, par che disegni
Che l'opra e studio lor tutto lodasse
Le belle donne che sugli omeri hanno,
Se fosser quei di cu' in sembianza stanno.
82
I simulacri inferiori in mano
Avean lunghe et amplissime scritture.
Ove fatean con molta laude piano
I nomi de le più degne figure;
E mostravano ancor poco lontano
« 0 Roboam già non par che minacci Quivi
il tuo segno (la tua immagine scolpita) ».
— 4. lor dilettasse, fosse loro gradita;
si dilettassero di canti e d'armonie.
— 5. disegni, esprima, significhi, V. canto
XVII, 72.
— 6. Che l'opra ecc. È un luogo varia-
mente interpretato. Alcuni seguendo il Ba-
rotti: pare che l'atteggiamento in cui sono
scolpite le esprima intente a lodare le
immagini di quelle donne, che portano
sulle spalle, come se fossero non già im-
magini, ma quelle persone vive e vere che
rappresentano. In somma questi intendono
disegni che lodasse come mostri che lodi,
di lodare; e a. se fossero sottintendono
come: ma con quale autorità? Il Ruscelli
e il Bolza invece: pare che l'atto in che
sono dia segno, (voglia indicare) che se fos-
sero in realtà quelli di cui son simulacro,
r opera loro (di sorreggerle) e tutto il loro
studio (di cantare; della poesia) loderebbe
le belle donne ecc. A questa interpretazione
non fa difficolta il lodasse per loderebbe,
che ha riscontro nel e. xv, 101, 8-9; e e.
XI, 70, 4-7; ma è piuttosto il concetto, che
ne soffre. Infatti il Poeta vuol dire non già
che pareva che le avrebbero lodate se ecc. ;
ma che pareva le lodassero veramente :
tanto era espressivo il loro atteggiamento,
il vero però è questo, die l'A. fino a tutto
il V. 7 ha pensato come crede il Barotti,
nel verso 8 ha pensato come dice il Ru-
scelli. C è dunque una brachilogia. E tutto
il luogo suona cosi: E l'atto, in cui erano,
pareva che esprimesse che 1' opra loro e
tutto il loro studio fosse volto a lodare, lo-
dasse le belle donne ecc. ; e le loderebbero
veramente, se invece di esser marmo fos-
sero quei, di cui hanno sembianza. Vien
durezza a questo luogo anche dallo scam-
bio dei tempi pare, disegni, lodasse. L' a-
more dell' Ar. per gli scorci e le brachilogie
vedilo nel e. ni, 16, 2; 18, 4; 57, 4; xvi, 17,
1; XVII, 115, 2; ecc.
82. 3. piano, chiaro, chiari. Per la scon-
cordanza vedi e. XXXI, 12, n. 6.
I propri loro in note non oscure.
Mirò Rinaldo a lume di doppieri
Le donne ad una ad una, e i cavallieri.
83
Laprima inscrizion ch'agli occhi occor-
Con lungo onor Lucrezia Borgia noma,[ro.
La cui bellezza et onestà preporre
Debbe all'antiqua la sua patria Roma.
I duo che voluto han sopra sé tórre
Tanto eccellente et onorata soma.
Noma lo scritto, Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza; un Lino, et uno Orfeo.
84
Non men gioconda statua né men bella
Si vede appresso, e la scrittura dice:
Ecco la figlia d'Ercole, Issabella,
Per cui Ferrara si terrà felice
Via più, perché in lei nata sarà quella.
Che d'altro ben che prospera e fautrice
E benigna Fortuna dar le deve.
Volgendo gli anni nel suo corso lieve.
85
1 duo che mostran disiosi affetti
Che la gloria di lei sempre risuone,
Gian lacobi ugualmente erano detti.
L'uno Calandra, e l'altro Bardelone.
Nel terzo e quarto loco ove per stretti
Rivi l'acqua esce fuor del padiglione,
Due donne son, che patria, stirpe, onore
Hanno di par, di par beltà e valore.
i 83. 1. occorre, si presenta.
I — 4. all'antiqua. Brachilogia invece di:
i alla bellezza e all'onestà dell'antiqua Lu-
I crezia moglie di Collatino. Su questi elogi
i cfr. e. xiii, 69, n. 3.
I — 7. Antonio Tebaldeo^ ferrarese (1456?-
1537) poeta allora assai celebre, scrisse pri-
I ma molte poesie italiane, poi si dette quasi
I interamente alla poesia latina.
1 — 8. Ere. Strozza. Ercole Strozzi, (morto
1508), coetaneo e amico dell'A.; fu coltissimo
poeta specialmente in latino. Venuta a Fer-
\ rara Lucrezia Borgia, egli fu il poeta della
; duchessa, che sapeva il latino; e fra i più
! notevoli carmi è quello, a lei intitolato e
; da lei ispirato, in morte di Cesare Borgia
fratello. — Lino e Orfeo son poeti de' tempi
' mitici della Cli-ecia, celebrati per la dol-
: cezza de' loro canti e de' loro suoni.
j 84. 3. Issabella. V. e. xiii, 59, n. 5.
— 5. quella, lei. Isabella.
I — 8. Volgendo gli anni ecc., col volger
degli anni. — nel suo corso 1. Intendo : vol-
gendo gli anni nel loro corso veloce: col
' veloce volgere degli anni,
i -So. 4. L'uno. Gian lacobo Calandra e Gian
lacobo Bardelloni furono due poeti man-
tovani.
— 8. di par; del par: con l'omissione
dell'articolo tante volte notata.
CANTO XLII
577
86
Elissabetta l'una, e Leonora
Nominata era l'altra: e ila, per quanto
Narrava il marmo sculto, d'esse ancora
Si gloriosa la terra di Manto,
Che di Vergilio che tanto l' onora,
Più che di queste, non si darà vanto.
Avea la prima a pie del sacro lembo
lacobo Sadoletto e Pietro Bembo.
87
Uno elegante Castiglione, e un culto
Muzio àrelio de l'altra erau sostegni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto,
Ignoti allora, or si famosi e degni.
Veggon poi quella a cui dal cielo indulto
Tanta virtù sarà, quanta ne regni
0 mai regnata in alcun tempo sia,
Versata da fortuna or buona or ria.
88
Lo scritto d'oro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglia; e fra le lode
I Pone di lei, che '1 Duca di Ferrara
D'esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e chiara
Voce un Camil che '1 Reno e Felsina ode
Con tanta ^attenzYon, tanto stupore,
j Con quanta Anfriso udi già il suo pastore;
89
I Et un per cui la terra, ove l'Isauro
{ Le sue dolci acque insalain maggior vase,
: Nominata sarà dall'Indo al Mauro,
E da l'Austrine all'Iperboree caset
Via pili che per pesare il Romano auro.
Di che perpetuo nome ne rimase;
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci, e quindi Febo dona.
90
L'altra che segue in ordine, è Diana.
Non guardar (dice il marmo scritto)ch'elIa
Sia altiera in vista; che nel core umana
8C. 1. Elissabetta... Leonora. ElisabettaGon-
zaga, sorella del marchese Francesco, ma-
ritata a Guidobaldo I di Montefeltro duca
d'Urbino. Fu celebrata specialmente dal
Bembo e dal Sadoleto, sebbene di lei par-
lino con lode molti altri scrittori del tempo.
-- Leonora, nipote della precedente, perché
figlia del Marchese Francesco Gonzaga;
maritata a Francesco Maria della Rovere.
La celebrarono nei loro versi Baldassarre
Castiglione, autore del Cortegiano e Gio-
vanni Muzzarelli (che latinizzò il suo nome
in Muzio Arelio) mantovano, « che fé' molti
componimenti volgari e latini... Fu poscia
da alcuni nemici suoi indegnamente ferito »
(Fornari). Un'opera inedita su la sua donna
è dedicata alla Dia Helisabeth Gomaga
da Feltro Duchessa d'Urbino.
— 7. sacro; che si concilia venerazione,
venei-ando. Giusto de' Conti, B. M. 18: « Mi-
rate omai, per dio, l'aspetto sagro (della
sua donna) ».
87. 4. Ignoti allora, al tempo di Rinaldo.
— 5. indulto, data benignamente. V. e.
VI, 1, n. 6. Per la sconcordanza del partic.
cfr. e. V, 21, n. 6.
— S. Versata; sia che venga voltata, ag-
girata, da buona o da cattiva fortuna, «che
sempre la sua ruota in giro versa » (canto
XLv, 4, 8); e che seco trascina gli uomini,
tenendo in cima alla ruota quelli che fa-
vorisce, al fondo quelli che perseguita.
Versare è latinismo citato col solo esempio
dell'A.
SS. 2. Lucrezia Bent., figlia naturale d'Er-
cole I e di una Condulmero, si maritò (1487)
ad Annibale Bentivoglio signore di Bolo-
gna, e mutò spesso fortuna secondo le varie
vicende, che ebbe in quel tempo la fami-
Ariosto — Papini
glia dei Bentivoglio, specialmente nella lotta
con Giulio ir. Vedi quanto si dice di questo
nel e. xxxni, 37. — lode, lodi. V. e. xm,
73, n. 7.
— 6. Camil. Cammino Paleotti Bologne-
se, addetto alla corte del cardinal Bibbiena.
Dice l'A., con iperbole, che il Reno, fiume
che scorre vicino a Bologna (Felsina: cfr.
e. XXXIII, 39, n. 5), lo ascolta con più stu-
pore che l'Anfriso, fiume della Tessagba,
non ascoltò Apollo fatto pastore di Admeto.
89. 1. Et un. Guido Silvestri, detto Po-
stumo, di Pesaro, il quale fu medico, sol-
dato e poeta. L'A. lo ricorda anche nella
Satira 2, 30, come medico che egli consul-
tava. — Isanro, oggi Foglia, che sbocca in
mare presso Pesaro.
— 2. insala, getta nel mare. Dante Purg.
2, 101. — in maggior vase. È espressione del
Petrarca, Tr. M. 16: «Ove Sorga e Du-
reuza in maggior vaso Giungon le chiare
lor terribili acque ».
— 3. Indo... Mauro, abitante dell'India e
della Mauritania.
— 4. Anstrine. V. e. iv, 30, n. 1. Son de-
scritti coi vv. 3, 4, i punti cardinali.
— 5. Via piti ecc. Quest' etimologia di
Pesaro (da -pesare Voro) è data da Servio
nei commenti a Virgilio, 6, 25: «Nam Pi-
saurum dicitur quod illic aurum pensatum
est » perché si credette che ivi i Romani
fondessero e pesassero 1' oro riscosso dai
tributi. Invece 1' etimologia più probabile è
da Isauriim.
— S. Pallade ecc. Pallade o Minerva, dea
della scienza, gli avea dato la corona comft
medico, Febo glie l'avea data come poeta.
90. I. Diana figlia di Sigismondo d'Este,
quindi cugina del duca Alfonso e di Ippo-
lito: sposò Uguccione Contrari. È ricordata
pur nel e. xlvi, 4.
37
578
ORLANDO FURIOSO
Non sarà però men ch'in viso bella.
Il dotto Celio Calcagnin lontana
Farà la gloria e '1 bel nome di quella
Nel regno di Mouese, in quel di luba,
In India e Spagna udir con chiara tuba:
91
Et un Marco Cavallo, che tal fonte
Farà di poesia nascer d'Ancona,
Qual fé' il cavallo alato uscir del monte,
Non so se di Parnasso o d'Elicona.
Beatrice appresso a questo alzala fronte,
Di cui lo scritto suo cosi ragiona:
Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
E lo lascia infelice alla sua morte;
■92
Anzi tutta l'Italia, che con lei
Fia triumfaute, e, senza lei, captiva.
Un Signor di Coreggio di costei
Con alto stil par che cantando scriva,
E Timoteo, 1' onor de' Bendedei:
Ambi faran tra 1' una e l'altra riva
Fermare al suon de' lor soavi plettri
— 5. e. Calcagnili. Fu veramente uomo
dottissimo, prof, nell' università di Ferrara,
e buon poeta latino (1479-1541). — lontana
farà, farà immortale. Dante, Inf. 2, 60: « E
durerà quanto il mondo lontana ».
— 7. Monese, fu re di Persia al tempo di
Crasso, che ne fu vinto. — luta, Giuba, fu
re di Mauritania al tempo di Cesare che lo
vinse. Anche in questi versi 7, 8 son desi-
gnati i quattro punti cardinali. Vuol dire
dunque che questa donna sarà celebre per
tutto il mondo.
91. 1. Marco Cav., di Ancona fu poeta la-
tino assai elegante (m. 1520). L'Ar. lo ri-
corda anche nella sat. vi, 127.
— 4. Non 80 se ecc. Dice la favola che il
cavallo alato Pegaso, percoteudo colla zam-
pa, fece scaturire il fonte Ippocrene, che i
pili mettono alle falde dell'Elicona, ma al-
cuni antichi anche fra le due vette del Par-
naso, confondendolo colla fonte Castalia.
L'A. accenna a questa incertezza.
— 5. Beatrice, figlia di Ercole I e moglie
di Lodovico il Moro. V. e. xiii, 62. Morta
lei, cominciarono, ma non per ciò, i gravi
guai del Moro e dell' Italia tutta.
92. 3. Un signor di C, Niccolò da Cor-
reggio, parente" di casa d'Este, fu prode
guerriero, letterato e protettore di lette-
rati. Visse qualche tempo alla corte di Lo-
dovico il -Moro (n. 1419, m. 1508).
— 5. Timoteo ecc. Fu soprannominato
FHomuso. Era un nobile ferrarese amico
del Poeta, che a lui indirizza il carme set-
timo. Fu ritenuto eccellente poeta, ma in-
vece fu per giudizio del Carducci (Poesie
latine di L. A. p. 149) scarso e freddo
verseggiatore.
Il fiume ove sudar gli antiqui elettri.
93
Tra questo loco, e quel de la colonna
Che fu sculpita in Borgia, com'è detto,
Formata in alabastro una gran donna
Era di tanto e si sublime aspetto,
Che sotto puro velo in nera gonna.
Senza oro e gemme, in un vestire schietto,
Tra le più adorne non parca men bella.
Che sia tra l'altre la Ciprigna stella.
94
Non si potea ben contemplando fiso.
Conoscer se più grazia o più beltade,
0 maggior maestà fosse nel viso,
0 più indizio d'ingegno o d'onestade.
Chi vorrà di costei (dicea l'inciso
Marmo) parlar, quanto parlar n'accade,
Ben torrà impresa più d'ognaltra degna;
Ma non però, ch'a fin mai se ne vegna,
95
Dolce quantunque e pien di grazia tanto
Fosse il suo bello e ben formato segno.
Parca sdegnarsi che con umil canto
Ardisse lei lodar si rozzo ingegno.
Com'era quel che sol, senz'altri a canto
(Non so perché), le fu fatto sostegno.
Di tutto '1 resto ch'ano i nomi sculti:
Sol questi duo l'artefice avea occulti.
— 8. Il fiume, il Po. Vedi per la favola
e. Ili, 34, n. 6. — sudar, trasudarono, ven-
nero fuori.
9%. 5. Che sotto ecc. In questa donna l'A.
volle certo raffigurare Alessandra Benucci,
da lui conosciuta da poco tempo e già for-
temente amata. La raffigura con quell'abito
nero, con che la vide a Firenze il giorno,
che se ne innamorò (24 giugno 1513). « Non
fu senza sue lodi il puro e schietto Serico
abito nero ». Canz. 1, 100-1. Ediz. Polidori
voi. I, 284. « Bella quell' ombra di mistero
nella quale s'avvolge cou lei il Poeta» (Ca-
sella).
— 8. Ciprigna st.; il pianeta Venere. Ci-
2ìrigna fu detta Venere da Cipro, dove era
specialmente venerata: l'A. di questa pa-
rola, che era un attributo di Venere, ha
fatto, con un certo ardimento, un attributo
della stella di questo nome. Più chiara-
mente il Bracciolini, Scherno d. D. 7, 47,
disse Ciiorignino sdegno.
94. 6. p. n' accade, occorre, è opportuno,
conviene parlarne. V. e. m, 62.
— S. eh' a fin, tale che a fin ecc.
9.J. 1. quantunque, posposto a qualche pa-
rola della proposizione P abbiamo anche
nel e. XVI, 4, 7 ; xxxi, 38, 6.
— 2. segno. V. sopra, st. 81, n. 1.
— 5. quel, l'Ariosto stesso.
— 8. occulti, occultati. Poliz. St. 1, 18:
« Ogni arbor da' suoi frutti quasi occulto ».
CANTO XLII
579
96
Fanno le statue in mezzo un luogo tondo
Che '1 pavimento asciutto ha di corallo,
Di freddo soavissimo giocondo,
Che rendea il puro e liquido cristallo.
Che di fuor cade in un canal fecondo,
Che '1 prato verde, azurro, bianco e giallo
Rigando, scorre per vari ruscelli,
Grato alle morbide erbe e agli arbuscelli.
97
Col cortese oste ragionando stava
Il Paladino a mensa; e spesso spesso,
Senza più differir, gli ricordava
Che gli attenesse quanto avea promesso:
E ad or ad or mirandolo, osservava
Ch'avea di grande affanno il core oppresso;
Che non può star momento che non abbia
Un cocente sospiro in su le labbia.
98
Spesso la voce dal disio cacciata
Viene a Rinaldo sin presso alla bocca
Per domandarlo; e quivi raffrenata
Da cortese modestia, fuor non scocca.
Ora essendo la cena terminata.
Ecco un donzello, a chi l'ufficio tocca,
Pon su la mensa un bel nappo d'or fino.
Di fuor di gemme, e dentro pien di vino.
99
Il signor de la casa allora alquanto
Sorridendo, a Rinaldo levò il viso;
Ma chi ben lo notava, più di pianto
Parca ch'avesse voglia che di riso.
Disse: Ora a quel che mi ricordi tanto.
Che tempo sia di sodisfar m'è avviso;
Mostrarti un paragon ch'esser de' grato
Di vedere a ciascun ch'ha moglie a lato.
100
Ciascun marito, a mio giudizio, deve
9G. 3. Di freddo ecc., giocondo per freddo
soaviss. che era prodotto dalla pura e lim-
pida acqua.
97. 1. oste, ospite. V. e. xvii, 71, n, 3.
— 3. Senza p. diff. Va messo dopo gli
attenesse. È una delle tante inversioni del
Furioso.
99. 7. paragon, prova. V. e. i, n. 4 e me-
glio XLiii, 65, n. 6. — L' infinito mostrarti
dipende dal precedente m' è avviso che
tempo -sia di.
Sempre spiar, se la sua donna l'ama;
Saper s'onore o biasmo ne riceve.
Se per lei bestia, o se pur uom si chiama.
L' incarco de le corna è lo più lieve
Ch'ai mondo sia, se ben l'uom tanto infa-
Lo vede quasi tutta l'altra gente; [ma:
E chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
101
Se tu sai che fedel la moglie sia,
Hai di più amarla e d'onorar ragione.
Che non ha quel che la conosce ria,
0 quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n'hanno a torto gelosia
1 lor mariti, che son caste e buone:
Molti di molte anco sicuri stanno,
Che con le corna in capo se ne vanno.
102
Se vuoi saper se la tua sia pudica
(Come io credo che credi, e creder dei;
Ch'altrimenti, far credere è fatica.
Se chiai'o già per prova non ne sei).
Tu per te stesso, senza ch'altri il dica.
Te n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
Che per altra cagion non è qui messo.
Che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
103
Se bei con questo, vedrai grande effetto ;
Che se porti il cimier di'Cornovaglia,
Il vin ti spargerai tutto sul petto,
Né gocciola sarà ch'in bocca saglia:
Ma shai moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia.
Cosi dicendo, per mirar tien gli occhi,
Ch'in seno il vin Rinaldo si trabocchi.
104
Quasi Rinaldo di cercar suaso
Quel che poi ritrovar non vorria forse,
Messa la mano inanzi, e preso il vaso,
Fu presso di volere in prova porse:
Poi, quanto fosse periglioso il caso
A porvi i labri, col pensier discorse.
Ma lasciate, Signor, ch'io mi ripose;
Poi dirò quel che 'I Paladin rispose.
luì. 4. chiaro; certo. V. e. ii, 60, n. I.
103. 6. ti travaglia, ti Studia.
104. 4. Fu presso di v. ; Fu presso a vo-
ler. Più raro il costrutto con di.
— 5. caso, fatto ; come al canto xxxr,
107, 4.
580
ORLANDO FURIOSO
CANTO XLIIT
0 esecrabile Avarizia, o ingorda
Fame d'avere, io non mi maraviglio
Ch'ad alma vile e d'altre macchie lorda,
Si facilmente dar possi di piglio;
Ma che meni legato in una corda,
E che tu impiaghi del medesmo artiglio
Alcun, che per altezza era d'ingegno.
Se te schivar potea,'d'ogni onor degno.
2
Alcun la terra e '1 mare e '1 ciel misura,
E render sa tutte le cause a pieno
D'ogni opra, d'ogni effetto di Natura,
E poggia si ch'a Dio riguarda in seno;
E non può aver più ferma e maggior cura,
Morso dal tuo mortifero veleno.
Ch'unir tesoro; e questo sol gli preme,
E ponvi ogni salute, ogni sua speme.
3
Rompe eserciti alcuno, e ne le porte
Si vede entrar di bellicose terre,
Et esser primo a porre il petto forte.
Ultimo a trarre, in perigliose guerre;
E non può riparar che sino a morte
1. 1. 0 esecr. Av. Virgil. En. 3, 56 : « au-
ri sacra fames ».
— 4. possi, tu possa. V. e. xv, 86, n. 5.
Bar di piglio ha qui il suo significato di
afferrare violentemente e stì-ettamente.
— 5. legato in n. corda, legato dentro una
stessa corda ; stretto in un solo fascio.
— 6. del m. a. col ni. artiglio.
2. 2. render... le cause, dir la ragioni.
Causa per ragione è frequente in italiano
come in latino. Fedro 3, 17: « causam dixit
luppiter». E l'Ariosto nel e. xliv, 45; Cin-
que C. I, 44 : render la causa.
— 4. a D. r. in seno ; Cosi fa, per es., la
teologia razionale, che ragiona sull'essenza
e sugli attributi di Dio.
— 5. ferma, costante.
— 8. p. ogni salute; pone in ciò ogni suo
benessere.
8. 5. E non può; eppure non p ; nondi-
meno non può. Petrarca, i, son. 03: « Era
ben forte la nemica mia K lei vidi io ferita
in mezzo al core ». — riparar, impedire. È
strano che i vocabolari non citino esempi
bene appropriati di questo significato. Il
Tommaseo cita il Forteouerri, Rice. 10,
17, che però ha un altro costruito : « né al-
cun glie lo ripara (glielo vieta) ». Gli altri
esempi, che si citano, contengono tutti l'idea
d'un riparo a qualche cosa, che si avanza.
Tu nel tuo cieco carcere noi serre.
Altri d'altre arti e d'altri studi industri,
Oscuri fai, che sarian chiari e illustri.
4
Che d'alcune dirò belle e gran donne
Ch'a bellezza, a virtù di fidi amanti,
A lunga serviti!, più che colonne,
Io veggo dure, immobili e constanti?
Veggo venir poi l'Avarizia, e ponne
Far si che par che subito le incanti:
In un di senza amor (chi fia che '1 creda?)
A un vecchio, a un brutto, a un mostro le
5 [dà in preda.
Non è senza cagion, s'io me ne doglio;
Intendami chi può, che m'intend'io.
Né però di proposito mi toglio.
Né la materia del mio canto oblio; [glio,
Ma non più a quel c'ho detto, adattar vo-
Ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a contar del Paladino
Ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.
6
Io vi dicea ch'alquanto pensar volle,
Prima ch'ai labri il vaso s'appressasse.
Pensò, e poi disse: Ben sarebbe folle
Chi quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia donna è donna, et ogni donnaò molle:
— 6. serre, serri.
— 7. d' altre arti. ... industri ; altri indu-
striosi, ingegnosi in altre arti ecc. Dunque
di altre a. è complemento di limitazione.
Nell'ediz. del '16 si leggeva appunto « Altri
in altre arti», che forse l'A. corresse per
evitare le troppe a in principio di parola.
4. 4. dure ; senza commoversi.
— 5. ponne, ne può.
5. %. Intendami ecc. Verso tolto di peso
dal Petrarca, i, canz. 9.
— 3. Né però ecc. ; Ho ragione di dolermi
dell'avarizia con questa digressione, ma
non per questo esco dall'argomento, perché
ciò che ho detto si lega con ciò che segue.
5. 5. Ma non pili ecc. Ma questo sfogo,
che ho fatto (il parlar mio) non voglio rife-
rirlo tanto a ciò che ho detto nel canto pre-
cedente, quanto piuttosto a ciò che seguirà.
Con questo viene ad avvertire il lettore che
sebbene l'Autore gli sembri uscito dall'ar-
gomento qualora riferisse Jo sfogo al canto
passato, gli sembrerà altrimenti quando
voglia riferirlo a ciò che segue.
C. 5. molle. È il contrario di rfure della
st. 4, 4.
à
CANTO XLIII
581
Lasciàn star mia credenza come stasse.
Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
Che poss'io megliorar per farne prova?
7
Potria poco giovare e nuocer molto;
Che '1 tentar qualche volta Idio disdegna.
Non so s'in questo io mi sia saggio 0 stolto;
Ma non vo' più saper, che mi convegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto:
Sete non n'ho, né vo' che me ne vegna;
Che tal certezza ha Dio più proibita,
Ch'ai primo padre l'arbor de la vita.
8
Che comeAdam, poiché gustòdelpomo
Che Dio con propria bocca gì' interdisse.
Da la letizia al pianto fece un tomo,
— 6. stasse, stassi, si sta.
— .8. per farne p.; per quanto ne faccia
prova?
7. 2. Che '1 tentar ecc., che il tentare Dio,
qualche volta lo disdegna, lo muove a sde-
gno. O anche: che il tentarlo, qualche volta
muove a sdegno Dio. La prima interpretaz.
che è più semplice, suppone un'inversione
un po' dura, ma non delle più ardite del
Furioso. Per il concetto cfr. Evangelo
5. Litca, 4, 12: «Non teutabis dominum
deum tuuni » — disdegna, per muove a sde-
gno, « è maniera di raro uso » nota la Cru-
sca, riportando solo questo e un altro esem-
pio del Barberino.
— 4. pili ... che mi e. ; più di quello che
mi convenga, che mi sia necessario. E poi-
ché di questo posso farne a meno, non vo-
glio saperlo.
— 7. Che tal cert. ecc. ; poiché questa
certezza Dio l'ha proibita più dello stesso
albero della scienza. In quel più che, anzi-
ché un esatto confronto è da vedere un'
espressione semplicemente iperbolica; co-
me quando diciamo : « è più difficile che
volare ».
— 8. l'arbor de la vita. La Genesi nel te-
sto della volgata dice; « e il Signore Iddio
fece germogliar dalla terra ogni sorta d'al-
beri piacevoli a riguardare e buoni a man-
giare: e l'albero della vita in mezzo del
giardino e l' albero della conoscenza del
bene e del male ». « E il signore Dio co-
mandò all'uomo dicendo.... Ma non mangiar
dell'albero della conoscenza del bene e del
male». Il Calmet, Commento in Gen. 2, 8,
dice che non si può con certezza determi-
nare se due alberi fossero o uno solo, poi-
ché il testo ebraico poteva significarne due
diversi o anche uno solo indicato con due
diversi nomi. Donde si comprende come per
alcuni l'albero della vita fosse lo stesso che
r albero della scienza.
8. 3. un tomo (gr. ptoma, caduta), un i
salto in giù. Boccaccio, Nov. 13: « per ve^
Onde in miseria poi sempre s'afflisse;
Cosi, se de la moglie sua vuol l'uomo
Tutto saper quanto ella fece e disse'.
Cade de l'allegrezze in pianti e in guai,
Onde non può più rilevarsi mai.
9
Cosi dicendo il buon Rinaldo e in tanto
Respingendo da sé l'odiato vase,
Vide abondare un gran rivo di pianto
Dagli occhi del signor di quelle case
Che disse, poi che racchetossi alquanto :
Sia maledetto chi mi persuase.
Ch'io facesse la prova, oimè! di sorte,
Che mi levò la dolce mia consorte.
10
Perché non ti conobbi già dieci anni,
Si che io mi fossi consigliato teco.
Prima che cominciassero gli affanni,
E '1 lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo' levarti da la scena i panni;
Che '1 mio mal vegghi, e te ne dogli meco ;
E ti dirò il principio e l'argumento
Del mio non comparabile tormento.
11
Qua su lasciasti una città vicina,
A cui fa intorno un chiaro fiume laco,
Che poi si stende, e in questo Po declina,
E l'origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la città, quando a mina
Le mura andar de l'Agenoreo draco.
der fare il tomo a quei maccheroni (che pre-
cipitavano giù dalla cima per i fianchi d'un
monte di formaggio) ». V. e. xlv, 1.
9. 7. facesse, facessi. V. e. xxxi, 12, n. 7.
— di sorte che, di maniera che. V. e. vi,
39, n. 6.
10. 1. già dieci a. ; già da dieci a. V. e. i,
38, n. 6.
— 5. levarti d. 1. s. i. p.; levar le cortine,
le tende ; mostrarti le cose come stanno,
mostrarti il dramma della mia vita. È im-
magine tolta dal teatro e dal sipario. V.
e. xxxii, SO, n. 1.
— 6. vegghi, dogli; vegga, dolga. V. e. xv,
86, n. 5.
— 7. l'argumento, la causa, il motivo:
Dante, Par. 4, 68 : « Parere ingiusta la no-
stra giustizia Negli occhi de' mortali, è »?•-
[lomento Di fede non d' eretica nequizia ».
11. 5. Fu fattala e. « Intende di Mantova,
intorno alla quale il Mincio, ch'esce dal lago
di Garda (lat. Benacus) si aggii-a e stagna.
Finsero i poeti, che distrutta dagli Epigoni
la città di Tebe in Beozia, fuggisse di là in
Italia una figliuola di Tiresia l'ebano, chia-
mata Manto, della quale discese Ocno, che
fabbricò Mantova, nominandola dalla ma-
dre (Barotti) ».
— 6. Le mura ecc. «Espresse l'Ar. la città
di Tebe col nome di mura dell' Agen. draco.
582
ORLANDO FURIOSO
Quivi nacque io di stirpe assai gentile,
Ma in pover tetto, e in facultade umile.
12
Se Fortuna di me non ebbe cura
Si che mi desse al nascer mio ricchezza,
Al difetto di lei suppli Natura,
Che sopra ogni mio ugual mi diébellezza.
Donne e donzelle già di mia figura
Arder più d'una vidi in giovanezza;
Ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
Ben che stia mal che l'nom sé stesso lodi.
13
Ne la nostra cittadeera un uom saggio,
Di tutte l'arti oltre ogni creder dotto.
Che quando chiuse gli occhiai Febeo rag-
[gio,
Contava gli anni suoi cento e vent'otto.
Visse tutta sua età solo e selvaggio,
Se non l'estrema; che d'Amor condotto,
Con premio ottenne una matrona bella,
E n'ebbe di nascosto una > ittella.
14
E per vietar che simil la figliuola
Alla madre non sia, che per mercede
Vendè sua castità che valea sola
Più che quanto oro al mondo si possiede,
Fuor del commercio popular la invola;
Et ove più solingo il luogo vede,
Questo ampio e bel palagio e ricco tanto
Fece fare a demonii per incanto.
perché fu fondata da Cadmo, figliuolo d'Age-
nore, con l'aiuto d'alcuni compagni nati dai
denti seminati del drago, che fu vinto e uc-
ciso da Cadmo (Barotti) ».
— 7. nacque, nacqui. V. e. li, 41, n. 5 —
gentile, nobile. Dante, Inf. 26, 60: «Onde
usci de' Romani il gentil seme >, Petrarca,
Canz. « Italia mia », 71: « Latin sangue gen-
tile ».
12. 7. Io ci seppi a. ; Io seppi ad essa
accopp.
13. 2. Di tutte ecc. ; in tutte l'arti. È com-
pi, di limitazione : cfr. e. vii, 10, n. 6.
— 4. Contava ecc. È variazione del modo
più comune: contava (aveva) cento e ven-
totto anni. È strano che neppure la N. Cru-
sca registri quest'uso cosi comune del verbo
contare. Nel n. 4 registra usi aflìni e non
questo, che è il più frequente.
— 6. Se non 1' es. ; fuorché 1' estr. Cosi
nel e. xxviii, 42, I ; e xviii, 81, 7, dove tro-
verai la nota — d'Amor, da amor ; e. v, 10,
n. 5.
— 7. Con premio ott. ; con danaro cor-
ruppe, sedusse.
— 8. cittella, bambina. V. e. xv, 72.
14. 1-2. vietar... che non. Per il costrutto
cfr. e. XIII, 10, n. 1.
— 5. commercio p. ; compagnia del po-
polo, consorzio umano: e. xv, 49, n. 4,
15
A vecchie donne e caste fé' nutrire
La figlia qui ch'in gran beltà poi venne;
Né che potesse altr'uom veder, né udire
Pur ragionarne in quella età sostenne.
E perch'avesse esempio da seguire,
Ogni pudica donna che mai tenne
Centra illicito amor chiuse le sbarre.
Ci fé' d'intaglio o di color ritrarre:
16
Non quelle sol che di virtude amiche
Hanno si il mondo all'età prisca adorno;
Di quai la fama per l'istorie antiche
Non è per veder mai l'ultimo giorno:
Ma nel futuro ancora altre pudiche
Che faran bella Italia d'ogn'intoruo.
Ci fé' ritrarre in lor fattezze conte.
Come otto che ne vedi a questa fonte.
17
Poi che la figlia al vecchio par matura
Si, che ne possa l'uom cogliere i frutti ;
0 fosse mia disgrazia, o mia avventura,
Eletto fui degno di lei fra tutti.
1 lati campi, oltre alle belle mura,
Non meno i pescarecci, che gli asciutti.
Che ci son d'ogn'intoruo a venti miglia.
Mi consegnò per dote de la figlia.
18
Ella era bella e costumata tanto.
Che più desiderar non si potea.
Di bei trapunti e di riccami, quanto
Mai ne sapesse Pallade, sapea.
Vedila andare, odine il suono e '1 canto,
16. 2. SI, cosi, come si legge.
— 3. Di qnai, delle quali. Esempio note-
vole, che mostra come anche in quei luo-
ghi, dove si potrebbe supporre la mancanza
dell' apostrofo {a quali e simili), si abbia
una vera e propria omissione d'articolo:
cfr. e. II, 15, n. 8, e specialmente l'altro es.
simile del e. xxvn, 51, 5.
— 5-6. Ma ecc. Io costruirei cosi : ma
ci fece ritrarre altre pudiche, che nel futum
ancora faran bella ecc. Mi par più duro
intendere : ma ci f. r. altre, pudiche nel tempo
futuro ancora. Per l'inversione cfr. e. vi, 31,
6; XIII 77, 5; XXIX, 23, 5; xxxiii, 9, 6; ecc.
— .7. conte; Puoi intendere note; cioè
le fattezze, che a quel tempo saranno note,
famose; o meglio belle come al e. xxxii,
83, 3. Cfr. e. XX, 136, n. 2.
17. 3. disgrazia... avventura. Ora la giudica
disgrazia, allora la giudicò avventura; quasi
dica: allora la credetti un'avventura, ma
poi fu veramente una disgrazia.
— 5. le b. mura, il castello fatto per in-
canto.
18. 3. riccami, V. e. xxxix, 17, n. 8.
— 4. Pallade. V. e xi, 75, n. 6.
— 5-6. Vedila.... parea. Nota il passaggio
CANTO XLIII
583
Celeste e non mortai cosa parea;
E in modo all'arti liberali attese,
Che, quanto il padre, o poco meu n'intese.
19
Con grande ingegno, e non minor bellez-
Che fatta l'avria amabil fin ai sassi, [za
Era giunto un amore, una dolcezza,
Che par ch'a rimembrarne il cor mi passi.
Non avea più piacer né più vaghezza,
Che d'esser meco o v'io mi stessi o andassi.
Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:
L'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo.
20
Morto il suocero mio dopo cinque anni
Ch'io sottoposi il collo al giugal nodo.
Non stèro molto a cominciar gli affanni
Ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi richiudea tutto coi vanni
L'Amor di questa mia che si ti lodo.
Una femina nobil del paese.
Quanto accender si può, di me s'accese.
21
Ella sapea d'incauti e di malie
Quel che saper ne possa alcuna Maga:
Rendea la notte chiara, oscuro il die.
Fermava il sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie.
Che le sanassin l'amorosa piaga
Col rimedio che dar non le potria
Senza alta ingiuria de la donna mia.
22
Non perché fosse assai gentile e bella,
Né perché sapess'io, che si me amassi,
Né per gran don, né per promesse ch'ella
Mi fesse molte, e di continuo instassi.
Ottener potè mai, ch'una fiammella.
Per darla a lei, del primo amor levassi;
Ch'a dietro ne traea tutte mie voglie
Il conoscermi fida la mia moglie.
23
La speme, la credenza, la certezza
ardito, ma bello: regolarmente: a vederla....
a udirne.... parea.
19. 3. Era giunto, era congiunto.
— 8. da sezzo. V. e. XI, 11, n. .3.
20. 2. giugal nodo. V. e. XLii, 71 n. 3.
— 8. Quanto acc. si può. Credo si debba
intendere: si accese di me quanto accender
si potea. C è quel passaggio brusco dal pas-
sato al presente, che abbiamo notato tante
volte, specialmente per il verbo potere nella
forma ì:)ote : cfr. e. viii, 53, n. 4 ; e sotto, alle
st. 22 e 24.
21. 4. t. vaga, vagante (lat. vagus): cfr.
e. VII, 43, n. 5.
— 6. Che, cosi che.
22. 4. e di o. instassi; e di continuo in-
stasse, insistesse. È andamento popolare
del periodo : regolarmente : né pei'ché di
contin. inst.
Che de la fede di mia moglie avea,
M'avria fatto sprezzar quanta bellezza
Avesse mai la giovane Ledea,
O quanto offerto mai senno e ricchezza
Fu al gran pastor de la montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto.
Che potessou levarmela da canto.
24
Un di che mi trovò fuor del palagio
La Maga, che nomata era Melissa,
E mi potè parlare a suo grande agio
Modo trovò da por mia pace in rissa,
E con lo spron di gelosia malvagio
Cacciar del cor la fé che v'era fissa.
Comincia a commendar la iutenzion mia.
Ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.
25
Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,
Prima che di sua fé prova non vedi.
S'ella non falle, e che potria fallire.
Che sia fedel, che sia pudica credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire.
Se mai vedere altr'uom non le concedi,
Onde hai questa baldanza, che tu dica
E mi vogli affermar che sia pudica?
26
Scostati un poco, scostati da casa;
Fa che le cittadi odano e i villaggi.
Che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa;
Agli amanti dà commodo e ai messaggi.
S'a prieghi, a doni non fia persuasa
Di fare al letto maritale oltraggi,
E che, facendol, creda che si cele,
Allora dir potrai che sia fedele.
23. 4. la g. Ledea «Elena figlia di Leda,
famosa per la fatai sua bellezza » (Barotti).
— 5. 0 quanto ecc. « Allude alle offerte,
che fecero Pallade di prudenza, e Giunone
di ricchezze a Paride (nutrito da pastori
nel monte Ida) per ottenere il premio della
discordia » (Barotti).
24. 3. potè. L'ediz. del 1516 ha piiote.
— 6. la fé, la fedeltà.
25. 2. Prima che n. vedi. Vedi o è indica-
tivo come nel e. v, 26, 7, dove troverai op-
portuni raffronti; o è congiuntivo, come il
vogli del v. 8 e lo svelli del e. xv, 86, 5.
— 3. falle; foi'ma regolare da fallire,
come parte da. partire; fallisce, commette
fallo. Più comune in questo senso falla da
fallare. V. e. xlii, 27, 3. — e che, e se : cioè :
se si trovasse nel caso di commettere fallo
e se non lo commettesse. V. e. iv, 60, n. 5.
26. 7. E che facendol ecc. E ne non si la-
scerà persuadere cosi da credere che, fa-
cendo oltraggi al letto m., potrà celarsi.
Dunque unisci : n. fla persuasa che creda
che si cele : ossia : non fia persuasa a cre-
dere di celarsi facendolo (cfr. st. 38). Ma non
è molto chiaro.
584
ORLANDO FURIOSO
27
Con tal parole e simili non cessa
L'incantatrice, fin che mi dispone
Che de la donna mia la fede espressa
Veder voglia e provare a paragone.
Ora poguiamo (le soggiungo) ch'essa
Sia qual non posso averne opinione:
Come potrò di lei farmi poi certo
Che sia di punizion degna o di merto?
28
Disse Melissa: Io ti darò un vasello
Fatto da ber, di virtù rara e strana;
Qual già, per fare accorto il suo fratello
Del fallo di fJenevra fé' Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bee con quello:
Ma non vi può già ber chi l'ha puttana;
Che '1 vin, quando lo crede in bocca porre,
Tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.
29
Prima che parti, ne farai la prova,
E per lo creder mio tu berai netto;
Che credo ch'ancor netta si ritrova
La moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.
Ma s'al ritorno esperienza nuova
Poi ne farai, non t'assicuro il petto:
Che se tu non lo immolli, e netto bei,
D'ogni marito il più felice sei.
27. 3. espressa, chiara. V. e. xi, 81, n. 7.
— 8. merto, premio. V. e. il, 16, u. 3.
28. 2. T. fatto da b. Il da quando indica
attitudine si unisce comunemente al sostan-
tivo senz'altro: vasello da bere: con fatto
diremmo fatto per bere. Sembra quindi che
abbiamo qui uu altro esempio di fusione di
due costrutti: cfr. ii, 6, 3; iii, 15, 5; xxvi,
46, 2 ecc.. e più che altro e. xxix, 50, 5 :
« atta da narrar ».
— 4. Morgana ecc. Si accenna a un epi-
sodio del Bret, dove si dice di uu corno
inviato da Morgana al fratello Artù, perché
vedesse l' infedeltà della moglie, la regina
Ginevra. Ma questo corno non arrivò alla
corte di Artù, perché quei, che lo porta-
vano, furono obbligati da due cavalieri,
incontrati per via, a portarlo alla corte di
re Marco di Cornovaglia. E là per esso fu
dimostrata la infedeltà d' Isotta. Però que-
sto corno bagnava la donna infedele, non
il marito ingannato. — Questa modificazione
l'Ar. r ha desunta forse dal Perceval, dove
la favola del corno è riprodotta. Siamo alla
corte del re Artù, e vi è corte bandita :
arriva un cavaliere, con un corno prezioso,
che bagna i mariti ingannati: Artù vuol
bervi e s'infradicia.
29. 1. parti, tu parta. V. sopra, st. 25, n. 2.
— 3. credo... si ritrova. Per l' indicativo
dipendente cfr. e. v, 42, n. 3.
— 4. l'effetto, la prova. V. e. v, 17, n. 5;
86. 6.
30
L'offerta accetto: il vaso ella mi dona:
Ne fo la prova e mi succede a punto;
Che, com'era il disio, pudica e buona
La cara moglie mia trovo a quel punto.
Dice Melissa: Un poco l'abbandona;
Per un mese o per duo stanne disgiunto:
Poi torna; poi di nuovo il vaso tolli;
Prova se bevi, o pur se '1 petto immolli.
31
A me duro parca pur di partire;
Non perché di sua fé si dubitassi.
Come ch'io non potea duo di patire.
Né un' ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa: Io ti farò venire
A conoscere il ver con altri passi.
Vo' che muti il parlare e i vestimenti,
E sotto viso altrui te le appresenti.
32
Signor, qui presso una città difende
Il Po fra minacciose e fiere corna;
La cui iuridizion di qui si stende
Fin dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede d'antiquità, ma ben contende
Con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliquie Troiane la fondare.
Che dal flagello d'Attila campare.
33
Astringe e lenta a questa terra il morso
Uu cavallier giovene, ricco e bello.
80. 4. a quel punto; in quel tempo; prima
di partire.
31. 1. pur; Uniscilo a duro: mi parea
pur duro; molto duro davvero.
— 2. Non... si; non cosi. Tali distacchi
abbiamo visto nei e. v, 75, 5; vi, 4,7; xvii,
108, 2, ecc.
— 3. Come che ; come perché. Cosi ab-
biamo nel e. Ili, 50, 1, quanto che, quanto
perché. Tutto il luogo dunque è da inten-
dere: non cosi (non tanto) perché dubitassi
della sua fede, come quanto perché io non
potea ecc. Male intende la Crusca; non
jjerc/ié ecc., ma perché (sotto come, n. 16),
non avvertendo o non comprendendo il si.
— 4. Né... pur. Su questa tmesi cfr. i luo-
ghi citati nella nota 2 della st. 31.
32. 2. fra min. e f. e. V. per questa topo-
grafia di Ferrara e. xxxv, 6.
— 5. Cede d'antiq.; cede per antichità a
Bologna, a V'erona, a Mantova, a Brescia
ecc., che le sono vicine.
— 7. Le reliquie Tr. « Ferrara, secondo
l'opinione volgare, fu fondata da Padovani
fuggiti dalle mani di Attila, dopo la distru-
zione della loro città, la quale da Antenore
Troiano era stata fabbricata e popolata »
(Barotti). V. e. xxxv, 6, n. 2.
33. 1. Astringe e 1. ; tira e allenta. Si cita
questo solo es. dell'Ar.
CANTO XLIII
585
Che dietro un giorno a un suo falcone iscor-
Essendo capitato entro il mio ostello, [so,
Vide la donna, e si nel primo occorso
Gli piacque, che nel cor portò il suggello;
Né cessò molte pratice far poi,
Per inchinarla ai desiderii suoi>
Ella gli fece dar tante repulse,
Che più tentarla al fine egli non volse;
Ma la beltà di lei, ch'amor vi sculse,
Di memoria però non se gli tolse.
Tanto Melissa allosingorami e mulse,
Ch'a tór la forma di colui mi volse;
E mi mutò (ne so ben dirti come)
Di faccia, di parlar, d'occhi e dì chiome.
35
Già con mia moglie avendo simulato
D'esser partito e gitone in Levante,
Nel giovene amator cosi mutato
L'andar, la voce, l'abito e '1 sembiante,
Me ne ritorno, et ho Melissa a lato.
Che s'era trasformata, e parca un fante;
E le pili ricche gemme avea con lei.
Che mai mandassin gl'Indi o gli Eritrei.
36
Io che l'uso sapea del mio palagio.
Entro sicuro, e vien Melissa meco;
— 3. iscorso; andato troppo avanti, la-
sciatosi trasportare. I vocabolari dicono che
si usa in mal senso e citano esempi confa-
cienti, come scorrere a malfare, in parole
ingiuriose, nel peccato ecc., La N. Crusca
avrà presente questo esempio, dove mal
senso non è.
— 5. occorso, incontro. É il latino primo
occursK. Petrarca, son. i, 62: « Si, nel mio
primo occorso onesta e bella ».
— 7. pratice, pratiche. V. e. i, 41, n. 1.
34. 5. allosingommi, lusingommi. V. e. i,
62, 2; XVI, 28, n. 2. — mnlse (lat. mulsit).
Di questo verbo mólcere comunem. si usa
il solo presente e imperf. Qui mulse vale
quasi lo stesso che lusingò, come nel Tasso,
Ger. 15, 65 : « E solo i sensi molce ». Ma
potrebbe anche avere, come in latino, il
senso di spinse: Lucrezio, 4, 138 : « Nù-
bes... aera mulceutes motu (impellentes) ♦.
35. 4. V andar ecc. O è usato assoluta-
mente, secondo la costruzione cosi detta
alla greca (mutato l'andar, la voce = nell'an-
dar, nella voce ecc.) (Fornaciari, Sint.
p. 349, nota ) : o vi è la fusione di due co-
strutti, in modo che il mutato prima si ri-
ferisca a lui (mutato nel giovane am.), poi
si riferisca ai sostantivi seguenti (mutato
i' andare ecc.). Ambedue le spiegazioni si
confauno alla maniera dell'Ariosto.
— 7. con lei, con sé. V. e. iv, 6, n. 3;
V, 45, 2 ecc.
E madonna ritrovo a si grande agio,
Che non ha né scudier né donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
Stimulo inanzi del mal far le arreco:
I rubini, i diamanti e gli smeraldi.
Che mosso arebbon tutti i cor più saldi.
37
E le dico che poco è questo dono
Verso quel che sperar da me dovea.
De la commodità poi le ragiono.
Che, non v'essendo il suo marito, avea:
E le ricordo che gran tempo sono
Stato suo amante, com'ella sapea;
E che l'amar mio lei con tanta fede
Deguo era avere al fin qualche mercede.
38
Turbossi nel principio ella non poco,
Sivenne rossa, et ascoltar non volle;
a il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
Le belle gemme, il duro cor fé' molle:
E con parlar rispose breve e fioco.
Quel che la vita a rimembrar mi tolle;
Che mi compiacerla, quando credesse
Ch'altra persona mai noi risapesse.
39
Fu tal risposta un venenato telo
Di che me ne senti'l'alma traflìssa:
Per l'ossa andom mi e perleveneungielo;
Ne le fauci restò la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il velo,
Ne la mia forma mi tornò Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi,
Ch'in tanto error da me vide trovarsi.
40
Divenimmo ambi di color di morte,
Muti ambi, ambi restiàn con gli occhi bas-
Potei la lingua a pena aver si forte, [si.
E tanta voce a pena, ch'io gridassi:
Me tradiresti dunque tu, consorte,
36. 3. a 81 gr. agio; « cosi opportunamen-
te, comodamente , in buon punto » (Barotti).
Dunque il grande agio fu del cavaliere non
di madonna. Il cavaliere ebbe tutto quel-
r agio, che poteva desiderare, perché ri-
trovò la donna sola.
37. 2. Verso, a confronto. Dante, Pury.
28, 29 : « Tutte 1' acque... Parriano aver in
sé mistura alcuna Verso di quella ».
— 7. r amar mio lei ; il mio amar lei.
— 8. Degno... avere ; Degno iV avere.
39. 2. ne. È pleonastico — trafflssa. V.
e. V, 63, 6.
— 4. fissa; confitta (lat. flxus). Dopo
l'Ar. il Giusti disse {Una levata di cappello
invol.) : « Tener potrebbe in capo con un
chiodo Fisso il cappello ».
— 8. Ch' in t. Puoi intendere Che, poi-
ché; o anche meglio chi, colei che. L'eli-
sione dell' i di chi è frequente nell'Ar. xix,
47, 6; XXIII, 10, 8, XXXIII, 127, 4. ecc.
586
ORLANDO FURIOSO
Quando ta avessi chi '1 mio onor compras-
Altra risposta darmi ella non puote, [si?
Che di rigar di lacrime le gote.
41 [gno
Ben la vergogna è assai, ma più lo sde-
Ch'ella ha, da me veder farsi quella onta;
E multiplica si senza ritegno,
Ch'in ira al fine e in crudele odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno;
E ne l'ora che '1 sol del carro smonta,
Al fiume corse, e in una sua barchetta
Si fa calar tutta la notte in fretta:
42
E la mattina s'appresenta avante
Al cavallier che Vi.fen, un tempo amata.
Sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
Fu contro l'onor mio da me tentata.
A lui che n'era stato et era amante.
Creder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fé' dir, ch'io non sperassi.
Che mai più fosse mia, né più m'amassi.
43
Ah lasso! da quel di con lui dimora
In gran piacere, e di me prende giuoco;
Et io del mal che procacciammi allora,
■11. 2. Ch' olla ha, da me veder ; eh' ella ha
a 0 eli veder farsi da me. Sebbene l'A. omet-
ta spesso la preposiz. agli infiniti dipendenti
(I, 4, 1), pure in questo luogo tale omissione
è ardita e dura. Forse su tal costrutto ha
agito la prima preposizione, quasi si dica:
è vergogna veder ecc.
— 8. Si fa calar, condurre in giù, a se-
conda, verso Ferrara. È simile a quel di
Dante, Paì\ 10, SO: «Se non coni' acqua
che al mar non si cala ». In lutto questo
racconto, tolta la sovrapposizione del nap-
po, della quale abbiamo vista la fonte, si ha
un rifacimento della favola di Cefalo e Pro-
cri. Cefalo, marito di Procri, è amato dal-
l'Aurora, che, respinta da lui, gì' insinua
neir animo il sospetto dell' infedeltà della
moglie e lo incita a tentarla con doni, pre-
sentandosi a lei con figura cambiata. Cefalo
riesce cosi a sedurla, e, ripreso il suo vero
aspetto, fa che Procri fugga, indignata, lon-
tana da lui. La seconda parte del mito, che
Ovidio (Met. 7, 651 segg.) appena accenna,
ed è svolta e variata da Igino {Fabulae
n. 189) e da Antonino Liberale {Trasformat.
cap. 41) si vede rifatta nell' altro racconto
di Adonio. La favola di Cefalo era stata ri-
dotta in foi'ma drammatica da Niccolò da
Corx-eggio (I486); l'Ar. trasse da quel lavoro
diversi particolari.
42. 4. centra l'on. mio; Io la tentavo per
disonorare me stesso: il finto amante fa-
ceva un torto al vero marito.
43. 3. procacciammi, procacciaimi. Cosi
Dante, Par. 15, 88: «compiacemmi (com-
piaceimì, mi compiacqui) ».
Ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne
E resta omai da consumarci poco [muora;
Ben credo che '1 primo anno sarei morto.
Se non mi dava aiuto un sol conforto.
44
Il conforto ch'io prendo, è che di quanti
Per dieci auni mai fur sotto al mio tetto
(Ch'a tutti questo vaso ho messo inanti).
Non ne trovo un che non s'immolli il petto.
Aver nel caso mio compagni tanti
Mi dà fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra infiniti sol sei stato saggio.
Che far negasti il periglioso saggio.
45
Il mio voler cercare oltre alla meta
Che de la donna sua cercar si deve.
Fa che mai più trovare ora quieta
Non può la vita mia, sia lunga o breve.
Di ciò Melissa fu a principio lieta:
Ma cessò tosto la sua gioia lieve;
Ch'essendo causa del mio mal stata ella,
Io l'odiai si, che non potea vedella.
46
Ella d'esser odiata impaziente
Da me che dicea amar più che sua vita.
— 6. E resta... da consumarci; e ci resta,
e resta in me ormai poco da consumare.
Di tali spostamenti di particelle abbiamo
frequentissimi esempi nel Furioso.
44. 2. mai, alcuna volta.
— 8. f. negasti; dicesti di non fare. V.
e. X, 38, n. 8.
45. 1-2. oltre a. m. che. Si può intendere :
Il mio voler cercai-e troppo avanti (oltre la
meta stabilita dalla discretezza) ciò, che
solo fino a un certo punto si deve cercare
della nostra donna. Che col valore complesso
di dimostrativo e di relativo vedilo nel e. viii,
89, 8; XX, 129, 6. Ma si può anche riferire
a mèta e intendere : oltre quella meta, fino
alla quale si deve cercare ecc. Cosi il po-
polo toscano direbbe anche oggi : guar-
diamo di non andare oltre quella casa, che
si è detto di fermarci (alla quale si è detto
di ferm.). E l'Ar. usò in questo modo popo-
lare il che nel e. viii, 48, 2; xiii, 37, 5; e
altrove. — - sua. Comunemente le forme im-
personali riflessive (si deve) si riferiscono
alla prima persona plurale : per ciò do-
vremmo per regola avere della donna no-
stra (FORNACiARi, Sint. p.212); ma ancora
neir uso popolare si dice: si può esprimere
il suo parere: si può prender la sua par-
te : si deve pensare ai casi suoi ecc. ; sot-
tintendendo da ciascuno, invece che da
noi.
— 6. lieve, che aveva leggeri e futili mo-
tivi.
— 8. vedella, vederla. V. e. ii, 3, n. 4.
CANTO XLITI
587
Ove donna restarne immantinente
Creduto avea, che l'altra ne fosse ita;
Per non aver sua doglia si presente,
Non tardò molto a far di qui partita;
E in modo abbandonò questo paese,
Che dopo mai per me non se n'intese.
47 ^■
Cosi narrava il mesto cavalliero:
E quando fìue alla sua storia pose,
Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,
Da pietà vinto, e poi cosi rispose:
Mal consiglio ti die Melissa in vero
Che d'attizzar le vespe ti propose;
E tu fusti a cercar poco avveduto
Quel che tu avresti non trovar voluto.
48
Se d'avarizia la tua donna vinta
A voler fede romperti fu indutta.
Non t'ammirar; né prima ella né quinta
Fu de le donne prese in si gran lutta;
E mente via pili salda ancora è spinta
Per minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini odi tu, che già per oro
Han traditi padroni e amici loro?
49
Non dovevi assalir con si fiere armi,
Se bramavi veder farle difesa.
Non sai tu, contra l'oro, che né i marmi
Né '1 durissimo acciar sta alla contesa?
Che pid fallasti tu a tentarla parmi,
Di lei che cosi tosto restò presa.
Se te altretanto avesse ella tentato,
Non so se tu più saldo fossi stato.
50
Qui Rinaldo fé' fine, e da la mensa
Levossi a un tempo, e domandò dormire;
Che riposare un poco, e poi si pensa
Inanzi al di d'un'ora o due partire.
Ha poco tempo, e '1 poco c'ha, dispensa
Con gran misura, e in van non lascia gire.
Il Signor di là dentro, a suo piacere.
Disse, che si potea porre a giacere;
46. 3-4. Ove ecc. ; mentre avea creduto
restar di me padrona, immantinente che
r altra se ne fosse andata.
— 8. per me, da me. — non se n' intese ;
non se ne seppe. All'una e all'altra espres-
sione, che sono comuni, si sottint. nulla.
47. 6. attizzar le vespe. È il latino irritare
crabrones.
48. 1. d'avarizia, da avarizia. V. e. v, 10,
n. 5.
— 3. Non t'ammirar ; non ti maravigliar.
Dante, Par. 2, 17: «Non s'ammiraron come
voi farete».
49. 2. veder farle, vederle fare dif.
50. 1. fé' fine; lat. finem fecit.
— 6. non lascia gire; non lo lascia pas-
sare.
51
Ch'apparecchiata era la stanza e '1 letto:
Ma che se volea far per suo consiglio.
Tutta notte dormir potria a diletto,
E dormendo avanzarsi qualche miglio.
Acconciar ti farò (disse) un legnetto
Con che volando e senz'alcun periglio
Tutta notte dormendo vo' che vada,
E una giornata avanzi de la strada.
52
LaprofertaaRinaldo accettar piacque,
E molto ringraziò l'oste cortese:
Poi senza indugio là, dove ne l'acque
Da' naviganti era aspettato, scese.
Quivi a grande agio riposato giacque.
Mentre il corso del fiume il legno prese.
Che da sei remi spinto, lieve e snello
Pel fiume andò, come per l'aria augello,
53
Cosi tosto come ebbe il capo chino.
Il cavallier di Francia addormentosse;
Imposto avendo già, come vicino
Giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lito mancino;
Nel lito deatro Sermide restosse:
Figarolo e Stellata il legno passa,
Ove le corna il Po iracondo abbassa.
54 [stro,
De le due corna il nocchier prese il de-
E lasciò andar verso Vinegia il manco :
51. 2. far per suo e. ; fare secondo il s.
consiglio. In questa espressione il per è
d'uso costante. Boccaccio, Nov. 15: «Ai
quali parve per consiglio dell'oste loro,
che ecc. ».
— 8. E una giorn. ecc. ; e tu guadagni
una giornata del cammino che devi fare.
Cosi intenderei il della strada : e strada
per cammino abbiamo nelle maniere co-
muni: fare strada; strada facendo ecc.
52. 2. oste, ospite. V. e. xvii, 71, n. 3.
53. 5. Melara e Figarolo ; sono due borgate
sulla sponda sinistra del Po; Sermide e
Stellata sulla destra, nel territorio manto-
] vano.
— 8. Ove ecc. « Finge il Poeta che il
, corso del Po com'era ai suoi giorni, lo fosse
' al tempo della sua favola. Per altro è te-
i nuto per vero da quanti hanno scritto, che
! quattro e più secoli dopo Carlo Magno tar-
dasse il Po a rompere alla sinistra poco
sopra alla Stellata e formasse quel ramo,
che si dice Po di Venezia, il quale poi per
r inteiTamento dell'antico alveo, che andava
a Ferrara, riscosse e ritiene ancora tutte
le acque di quel fiume. Si veda la dichiara-
zione alla st. 63, 5 » (Barotti). « Il fiume cosi
diviso in due, non scorreva più cosi gonfio
come innanzi ; per ciò dice che abbassa le
corna » (Casella).
58S
ORLANDO FURIOSO
Passò il Bondeno; e già il color cilestro
Si vedea in Oriente venir manco;
Che votando di fior tutto il canestro,
L'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
Quando, lontan scoprendo di Tealdo
Ambe le rócche, il capo alzò Rinaldo.
55
0 città bene avventurosa (disse).
Di cui già Malagigi, il mìo cugino,
Contemplando le stelle erranti e fìsse,
E coustrìngendo alcun spirto indovino.
Nei secoli futuri mi predisse
(Già ch'io tacca con lui questo camino)
Ch'ancor la gloria tua salirà tanto,
Ch'avrai di tutta Italia il pregio e'I vanto.
56
Cosi dicendo, e pur tutta via in fretta
Su quel battei che parea aver le penne,
Scorrenda il Re de' fiumi, all'isoletta
Ch'alia cittade è pili propinqua, venne:
E ben che fosse allora erma e negletta,
Pur s'allegrò di rivederla, e fenne
Non poca festa; che sapea quanto ella,
Volgendo gli anni, saria ornata e bella.
54. 3. il Bondeno; terra sull'i mboccatura
del Panaro nel Po.
— 5. Che. Invece di riferirlo a colarci-
lestro lo intenderei per poiché. Si vedeva
venir meno in cielo il color cilestro, poiché
l'Aurora faceva in cielo (produceva, faceva
apparire) il vermiglio e il bianco.
— 7-8. di Tealdo le ròcche. « Fu castello
neir estrema parte della città di Ferrara,
a ponente, sulla sinistra del Po, fabbricato
da Tebaldo d' Este intorno all'anno 970.
{Pigna l. 1). Ai tempi di Paolo V fu in quel
sito edificata la fortezza, che dura ancora
di presente» (Barotti). Si avverta l'anacro-
nismo. Nel 1660 questa fortezza fu smantel-
lata e ridotta a piazza d'armi com'è anche
al presente.
55. 5. Nei secoli futuri ; mi predisse che
la tua gloria salirà tanto nei secoli futuri.
— 6. Già che; già quando; un tempo che,
quando.
— 8. Ch'avrai ecc. Vuol dire : avrai il pre-
gio e il vanto d'essere la più betta città
di tutta Italia. Tutto ciò è detto in modo
cosi breve, che, se ne soffre la struttura
sintattica, ne acquista il pensiero, che si
presenta subito chiaro e spedito.
56. Le quattro stanze 56-59 furono ag-
giunte per r ediz del 15^2.
— 3, all'isoletta; «Isoletta chiamata Bel-
vedere, che ai tempi del Poeta era delizio-
sissima per le sontuose fabbriche e giardini
e per gli animali terrestri e volatili di molta
rarità, che Alfonso I vi raccoglieva e con-
servava. Non è indegno d'esser letto un
poemetto latino di scipion Balbi del Finale
57
Altra fiata che fé' questa via,
Udì da Malagigi, il qual seco era.
Che settecento volte che si sia
Girata col monton la quarta sfera,
Questa la più gioconda isola fìa
Di quante cinga mar, stagno o riviera,
Si che, veduta lei, non sarà ch'oda
Dar pili alla patria di Nausicaa loda.
58
Udi che di bei tetti posta inante
di Modena, intitolato: Pulcher visus Illu-
striss. Ducis Ferrariae » (Barotti). Oggi
non è più un' isola, e quell'area, parte è in-
dotta a campagna (e si chiama pur Belve-
dere), parte è occupata dalla stazione ferro-
viaria.
57. 1. Altra fiata ecc. Questa è un'inven-
zione dell'Ar.
— 4. Girata ecc. « L' anno astronomico
comincia dall' ingresso del sole nel segno
dell'Ariete » (Barotti). Il sole sta nell'Ariete
dal 20 marzo al 20 aprile. Qui vuol dire:
quando saran passati 700 anni, dal tempo
di Carlomagno: cosi arriviamo ai tempi del
Poeta. — la quarta sfera; la sfera del sole,
che è la quarta, secondo 1' ordine del vec-
chio sistema astronomico, seguito anche da
Dante.
— 7. non sarà eh' oda. Si può intendere
in vari modi. Il Fornari intende oda per
osi dal latino aiideat. Già lacopoue da Todi,
Land. 6, 23, usò auda; e aude Fr. da Bar-
berino, Dog. d'Am. 41, 1 ; 129, 11. Non sa-
rebbe strano supporre eh l'Ar. appassio-
nato amatore di anticaglie in fatto di lin-
gua, avesse voluto rimettere a nuovo questa
forma. E il senso correrebbe benissimo. I
più intendono oda per ascolti. Ma in tal
caso bisogna intendere il veduta lei per da
chi abbia veduto lei: non vi sarà più chi
senta dar lode alla p. di Nausic. da quanti
abbian veduto queir isola. Il veduta lei non
si può riferir* al chi oda, come la sintassi
regolare vorrebbe, perché ne soffrirebbe il
senso: infatti chi avesse veduto quell'isola
poteva pur sempre sentir lodare altre terre
da chi non l'aveva ancora veduta. — Si po-
trebbe anche, ma forse meno bene, dare a
oda il significato potenziale possa udire,
si rassegni a udire dar lode ecc. — eh' per
chi vedilo nei luoghi citati alla st. 39, n. 8.
— 8. patria di Nans. è l'isola di Corcira
(Corfù), dove regnava sui Feaci Alcinoo pa-
dre di questa fanciulla (Odiss. lib. Vfl, 150
segg.) Omero descrive in quel luogo i deli-
ziosi giardini di quel re.
58. l. di bei tetti, quanto a bei tetti,
belle case. È complem. di limitazione : e. vii,
10, n. 6.
CANTO xmi
589
Sarebbe a quella si a Tiberio cara;
Che cederian l'Esperide alle piante
Ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
Che tante spezie d'animali, quante [la;
Vi fien, né in mandra Circe ebbe né in ba-
Che v'avria con le grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro o in
59 [Gnido:
E che sarebbe tal per studio e cura
Di chi al sapere et al potere unita
La voglia avendo, d'argini e di mura
Avria si ancor la sua città munita.
Che centra tutto il mondo star sicura
Potria, senza chiamar di fuori aita;
E che d'Ercol figliuol,d'Ercol sarebbe [be.
Padre il Signor che questo e quel far deb-
60
Cosi venia Rinaldo ricordando
Quel che già il suo cugin detto gli avea,
De le future cose divinando,
Che spesso conferir seco solea,
E tutta via l'umil città mirando,
Come esser può ch'ancor (seco dicea)
— 2. quella ecc. Capri, nel golfo di Na-
poli, « dove Tiberio imperatore si ritirò e
visse per 15 anni, ornandola di superbi edi-
fizi, de' quali rimangono ancor le ruine,
per contrassegno di quello che furono ^
(Barotti) e infamandola con ogni genere di
turpitudini.
— 3. l'Esperide. Per la favola delle Espe-
ridi cfr. e. XXXVII, 6, u. 1. Forse é agget-
tivo: le piante Esperide, delle Esperidi ; ma
può essere anche sostantivo: le Esperidi coi
loro orti cederebbero alle piante ecc.
— 6. Circe, figlia del Sole e maga cele-
bre, che trasformava in bestie quegli uo-
mini, che a lei capitavano (Omero, Odiss.
1. 10) — bara, porcile. È un crudo latinismo.
69. 3. d'argini e di m. Accenna alle fortifi-
cazioni fatte fai-e da Alfonso I d'Este intorno
alla città di Ferrara. Egli era figlio di Er-
cole I, e fu padre di F;rcole II.
60. 3. De le f. e. divinando; divinando in
torno a quelle cose future. Delle fut. cose
è dunque come l'argomento della divina-
zione. Cosi non abbiamo bisogno di sup-
porre un costrutto nuovo del verbo divi-
nare (divinare di) e il senso è più completo:
Rinaldo veniva ricordando questi partico-
lari, che gli aveva detto Malagigi divinando
intorno a quelle cose future, intorno alle
quali soleva spesso conferir seco (di molte
altre, non solo di queste).
— 4. Che. È relativo, come si rileva an-
che dalla lezione dell' ediz. 1516. «Di che
con lui spesso parlar solea ». Conferire
colcomplem. diretto anche nel e. xliv, 36,2;
XLVi, 32, 2, e non di rado in altri scrittori.
— 6. ancor. Deve unirsi a studi: debban
fiorire anche di tutti i i. e d. st.
Debban cosi fiorir queste paludi
Di tutti i liberali e degni studi?
61
E crescer abbia di si piccol borgo
Ampia cittade e di si gran bellezza?
E ciò ch'intorno è tutto stagno e gorgo,
'"^ien lieti e pieni campi di ricchezza?
Città, sin ora a riverire assorgo
L'amor, la cortesia, la gentilezza
De' tuoi Signori, e gli onorati pregi
Dei cavallier, dei cittadini egregi.
G-2
L'ineffabil bontà del Redentore,
De' tuoi Principi il senno e la giustizia,
Sempre con pace, sempre con amore
Ti tenga in abondanzia et in letizia;
E ti difenda centra ogni furore
De' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
Del tuo contento ogni vicino arrabbi
Pili tosto, che tu invidia ad alcuno abbi.
63
Mentre Rinaldo cosi parla, fende
Con tanta fretta il suttil legno l'onde,
Che con maggiore a logoro non scende
Falcon ch'ai grido del padrou risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
CI. 1. di SI piccol b. .Mettiamo anolie l'.vr.
sapesse che già fin dal 593 Ferrara era
stata fatta circondar di mura dall' impera-
tor Maurizio, e nel 65S era vescovado; pure,
a confronto della futura grandezza, avrebbe
allora potuto ben dirsi un piccol borgo.
— 5. assorgo; mi alzo, sorgo. È imma-
gine ed espressione tolta dagli usi delle
convenienze: quando entra persona rag-
guardevole, si sorge in piedi per riverirla:
sarebbe dunque il modo elevato corrispon-
dente al popolare: mi levo il cappello. Que-
sto e non altro, credo, è qui da intendere.
Gli. 3. a logoro ; « strumento a guisa di
due ale d'uccello insieme accoppiate, del
quale si servivano gli uccellatori a richia-
mare il falcone, che s'ingannava in vederlo
da lontano, credendolo uu pollo o un co-
lombo offertogli per sua pastura » (Barotti).
Dall'aut. med. ted. liioder (francese leurre)
dello stesso significato.
— 5. Del destro e. « Ai tempi del Poeta,
ma non più ai nostri, il Po si partiva in
due i-ami alla Stellata, come si è detto alla
st. 53, 8. Il sinistro andava verso Venezia
e il destro verso Ferrara, a cui bagnava le
mura, ed ivi si partiva ancor esso come fa
tuttavia, ma non con acque del Po, nel Vo-
lano a sinistra e nel Primaro alla destra.
Su questo in distanza di sei miglia d;illa
città s'incontravano due torri, l' una alla
manca, chiamata di Gaibana (che per lungo
tempo fu ad uso di campanile, e il 7 d'a-
prile di quest' anuo 1765, ad ore 22, improv-
690
ORLANDO FURIOSO
Quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde
San Georgio a dietro, a dietro s'allontana
La torre e de la Fossa e di Gaibana.
64
Rinaldo, come accade ch'un pensiero
Un altro dietro, e quello un altro mena,
Si venne a ricordar del cavalliero
Nel cui palagio fu la sera a cena;
Che per questa cittade, a dire il vero,
Avea giusta cagion di stare in pena:
E ricordossi del vaso da bere,
Che mostra altrui l'error de la mogliere;
65
E ricordossi insieme de la prova
Che d'aver fatta il cavallier narrolli;
Che di quanti avea esperti, uomo non trova
Che bea nel vaso, e '1 petto non s'immolli.
Or si pente, or tra sé dice: E' mi giova
Ch'a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
Non riuscendo, a che partito era io?
66
Gli è questo creder mio, com'io l'avessi
Ben certo, e poco accre.scer lo potrei:
Si che, s'al paragon mi succedessi,
visamente rovinò; l'altra a diritta, da cui
quel luogo si dice Torre della Fossa » (Ba-
rotti). (Oggi esiste sempre la borgata di que-
sto nome, ma non più la torre). Avverti
r anacronismo: il Po ruppe cosi in due
rami alla Stellata quattro secoli circa dopo
Carlo Magno: avanti c'era il solo ramo di
Ferrara, non quello di Venezia.
— 6. e mura e t. as.; e m. e t. perde di
vista Cosi cela nel e. ix, 59, 4. Asconde è
virgiliano, En. 3, 291: « Protiuus aèrias
Phaeacum abscondimus arces ».
— 7. S. Georgio fu ed è, non isola né ca-
stello, come alcuni commentatori dicono,
ma una borgata eoa chiesa parrocchiale,
posta di fronte alla città, nella punta for-
mata dai rami del Po detti di Volano e di
Primaro, ora ridotti a canali di scolo. —
s'allontana. 11 soggetto è S. Giorgio e La
torre ecc.
fi.5. 3. Che. Credo che sia congiunzione
dichiarativa di prova: ricordussi della pro-
va; che cioè di quanti, ecc. Meno bene l'in-
tenderesti come pronome da riferirsi a ca-
vallier, alla quale interpretazione contra-
stano assai i presenti, che seguono (trova,
bea, s'immolli). — esperti, provati: e. xiii,
27, n. 8.
— 5. si pente, di non aver provato,
— G. paragon, prova. Cosi nel e. i, 61,
4; (ne fa paragone). Paragone ^ev prova
si usò anche in prosa. Dino Compagni 3, 66:
« Molte volte i tempi son paragone degli
uomini ».
CO. 3. mi succedessi, mi succedesse; mi
Poco il meglio saria ch'io ne trarrei;
Ma non già poco il mal, quando vedessi
Quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco;
Che perder si può molto e acquistar poco.
67
Stando in questo pensoso il cavalliero
Di Chiaramonte, e non alzando il viso.
Con molta attenzion fu da un nocchiero
Che gli era incontra, riguardato fiso:
E perché di veder tutto il pensiero
Che l'occupava tanto, gli fu avviso,
Comeuom che ben parlava et avea ardire,
A seco ragionar lo fece uscire.
68
La somma fu del lor ragionamento,
Che colui malaccorto era ben stato.
Che ne la moglie sua l'esperimento
Maggior che può far donna, avea tentato ;
Che quella che da l'oro e da l'argento
Difende il cor di pudicizia armato.
Tra mille spade via più facilmente
Difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
69
Il nocchier suggiungea: Ben gli dicesti.
Che non dovea offerirle si gran doni;
Che contrastare a questi assalti e a questi
Colpi non sono tutti i petti buoni.
Non so se d'una giovane intendesti
(Ch'esser può che tra voi se ne ragioni)
Che nel medesmo error vide il consorte,
Di ch'esso avea lei condannata a morte.
70
Dovea in memoria avere il Signor mio,
Che l'oro e '1 premio ogni durezza inchina :-
Ma, quando bisognò, l'ebbe in oblio.
Et ei si procacciò la sua mina.
Cosi sapea lo esempio egli, com'io,
riuscisse bene. Cosi nel e. ii, 22, 6; x, 57; :
6 ecc.
— 7. Mettere... a giuoco, mettere ..r al
giuoco, mettere su, puntare, nel giuoco.
Vi è dunque la solita omissione dell' arti-
colo.
— 8. Che, nel qual giuoco. È dunque un
relativo usato con la libertà popolare. Al-
cuni intendono perché, ma non dà buon
senso.
67. 3. da un nocch. Sebbene si dica e si
trovi sempre il nocchiero, pure i nocchieri
erano, e dovevano essere più d' uno per po-
tersi dare il cambio. Quando si dice dun-
que il nocch. s' intende quello in servizio.
— 8. uscire, venire: lo fece venire, lo
indusse a rag. Mi pare che questa locuzione
non sia registrata dai vocabolari.
C9. 3. contrastare, a contrastare. V. e. i,
4, n. 1.
70. 1. il Signor mio; il padrone, che lo
aveva mandato ad accompagnare Rinaldo
CANTO XLIII
591
Che fu in questa città di qui vicina,
Sua patria e mia, clie '1 lago e la palude
Del rifrenato Menzo intorno chiude:
71
D'Adonio voglio dir, che '1 ricco dono
Fé' alla moglie del Giudice, d'un cane.
Di questo (disse il Paladino) il suono
Non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
Perché né in Francia, né dove ito sono,
Parlar n'udi' ne le contrade estrane:
Si che di' pur, se non t'incresce il dire;
Che volentieri io mi t'acconcio a udire.
72
Il nocchier cominciò: Già fu di questa
Terra un Anselmo di famiglia degna.
Che la sua gioventù con lunga vesta
Spese in saper ciò ch'Ulpiano insegna;
E di nobil progenie, bella e onesta
Moglie cercò, ch'ai grado suo convegna;
E d'una terra quindi non lontana
N'ebbe una di bellezza sopraumana;
73
E di bei modi e tanto graziosi.
Che parca tutto amore e leggiadria;
E di molto più forse, ch'ai riposi,
Ch'alio stato di lui non couvenia.
Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi
Al mondo fur, passò di gelosia:
Non già ch'altra cagion gli ne desse ella.
Che d'esser troppo accorta e troppo bella.
74
Ne la città medesnia un cavalliero
Era d'antiqua e d'onorata gente,
Che disceudea da quel linguaggio altiero
Ch'usci d'una mascella di serpente;
Onde già Manto, e chi con essa fero
La patria mia, disceser similmente.
Il cavallier, ch'Adonio nominosse,
Di questa bella donna inamorosse.
75
E per venire a fin di questo amore,
A spender cominciò senza ritegno
In vestire, in conviti, in farsi onore.
Quanto può farsi un cavallier più degno
Il tesor di Tiberio Imperatore
Non saria stato a tante spese al segno.
Io credo ben che non passar duo verni,
Ch'egli usci fuor di tutti i ben paterni.
76
La casa ch'era dianzi frequentata
i Matina e sera tanto dagli amici,
j Sola restò, tosto che fu privata
j Di starne, di fagian, di coturnici.
Egli che capo fu de la brigata,
I Rimase dietro, e quasi fra mendici:
Pensò, poi eh' in miseria era venuto,
I D'andare ove non fosse conosciuto.
77
Con questa intenzione una matina.
Senza far motto altrui, la patria lascia;
— 8. rifrenato, raffrenato, che ivi si sof-
ferma, raffrena il suo corso e s' impaluda.
— Menzo, Mincio. V. e. xin, 57, n. 7.
72. 3. con 1. vesta; con la toga dottorale.
— 4. in saper, -per saper. Cosi nel canto
XXXI, 32, 4. — TJlpiano famoso legista ai
tempi d'Alessandro Severo (m. 228 d. C).
73. 2. p. tutto amore; essa pareva tutto
amore, cioè composta di solo amore. Non
crederlo dunque una sconcordanza come
se dovesse riferirsi alla donna, né come
il tutto del e. XXXVII, 59, 8.
— 3. ai riposi. Intenderei : ed era piena
d'amore e di leggiadria molto più (cfr. e.
IX, 61, n. 2) che non convenia alla tranquil-
lità, alla pace di questo povero geloso. Ri-
posi dunque per riposo, quiete.
— 8. accorta, leggiadra. Vedi la nota 3
del e. XXXVII, 48.
74. 4. Cli'usci ecc. Era mantovano, ossia
discendente di Ocno. Dai denti d' un ser-
pente seminati da Cadmo, nacquero gli
Sparti, alcuni dei quali lo aiutarono a edi-
ficar Tebe. Da un figlio di questi Sparti
nacque Tiresia padre di Manto, profetessa
famosa. Figlio di Manto fu Ocno, fondatore
di Mantova. Ma generalmente i mitologi
ritengono che la poetessa Tebana Manto e
la Manto Italica, madre di Ocno, siano due
differenti persone. Alcuni però le confon-
dono, e a questi si attiene l'Ariosto.
— 5. chi, quelli che. V. e. xxvi, 82, n. 3.
75. 5. Il tesor dì T. « Intendono i più (tra
questi ilBarotti) che questo sia Tiberio impe-
ratore di Costantinopoli e successore di Giu-
stino, ricchissimo per i tesori che gli pro-
cacciarono le vittorie sui Goti, e quelle so-
pra i Persiani. Crederei che sia piuttosto
il successore d'Augusto, che era della fami-
glia dei Neroni, e il tesoro di Nerone è pro-
verbiale nei racconti fantastici popolari »
(Casella). Vedi in questa parte della novella
un ricordo della novella Boccaccesca di Fe-
derigo degli Alberighi, giorn. V, nov. 9.
— 6. Non 8. st... al segno; non sarebbe
stato per tante spese sufficiente. È locu-
zione nuova, che risponde all' immagine di
un segno, alla cui altezza deve arrivare una
data cosa per esser sufficiente. Vedi tale
immagine e simile espressione al e. xvii,
5, 8; XXI, 14, 8; xlvi, 55, 6.
— 8. asci fuor. Intendono consumò. Ma
piuttosto che un significato speciale è da
vedervi un' immagine : usci del possesso di
tutti i beni paterni, nel cui possesso entra-
rono altri. Il Barotti lo dice modo volgare,
degno di un marinaro; ma, a dir vero, non
mi pare.
76. 4. coturnici e cotornioi, quaglie (lat.
cotu7^nix)-
592
ORLANDO FURIOSO
E con sospiri e lacrime camina
Lungo lo stagno che le mura fascia.
La donna che del cor gli era regina,
Già non oblia per la seconda ambascia.
Ecco un'alta avventura che lo viene
Di sommo male a porre in sommo bene.
78
Vede un villan che con un gran bastone
Intorno alcuni sterpi s'affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
Di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan ,che dentro a quel macchio-
Veduto avea una serpe molto antica, [ne
Di che pili lunga e grossa a' giorni suoi
Non vide, né creder mai veder poi:
79
E che non si voleva indi partire,
Che non l'avesse ritrovata e morta.
Come Adonio lo sente cosi dire.
Con poca pazienzia lo sopporta.
Sempre solca le serpi favorire ;
Che per insegnaci sangue suo le porta
In memoria ch'usci sua prima, gente
De' denti seminati di serpente.
80
E disse e fece col villano in guisa.
Che, suo mal grado, abbandonò l'impresa;
Si che da lui non fu la serpe uccisa:
Né più cercata, né altrimenti offesa.
Adonio ne va poi dove s' avvisa
Che sua condizion sia meno intesa;
E dura con disagio e con affanno
Fuor de lapatria appresso abeettimo anno.
81
Né mai per lontananza, né strettezza
Del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
Cessa Amor che si gli ha la mano avvezza,
77. 4. lo stagno, il lago di Mantova.
— 6. la seconda amb. ; il dolore della mi-
seria.
80. 6. intesa, conosciuta. Simile ma di-
verso quel del Tasso: » In uovi mostri e
non più intfsi o visti».
— 7. dura, rimane. Barberino, Regg.
donn. 260: « e là durava all'ora del man-
giare », e là rimaneva fino all' ora d. m.
— 8. appresso al s. a. ; intorno al sett.
a.; fino circa a sette anni. Vedi lo stesso
costrutto nell'esempio recato qui sopra n. 7.
81. 2. non 1. ir vaghi; non lascia vagare;
la miseria non permette che il pensiero si
distragga e vada qua e là, ma lo incatena
a pensare ai suoi guai.
— 3. che 81 gli ha 1. m. a.; che ha la
mano cosi avvezza contro di lui, ad ope-
rare contro di lui. È un uso assai notevole
del pronome gli che puoi confrontare col
simile del e. xlii, 48, 4. Il Casella intende:
ha avvezzato la mano a star sopra Adonio,
ossia a reggerlo e dominarlo. Ma il v. 4 dà
più ragione al contro, che al sopra.
Ch'ognor non li arda il core.ognor impìa-
È forza al fin che torni alla bellezza [ghi.
Che son di riveder si gli occhi vaghi.
Barbuto, afflitto, e assai male in arnese.
Là donde era venuto, il camin prese.
82
In questo tempo alla mia patria accade
Mandare uno oratore al Padre santo;
Che resti appresso alla sua Santitade
Per alcun tempo, e non fu detto quanto.
Gettan la sorte, e nel Giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fé' scuse, pregò assai, diede e promesse
Per non partirsi; e al fin sforzato cesse.
83
Non gli parea crudele e duro manco
A dover sopportar tanto dolore,
Che se veduto aprir s'avesse il fianco,
E vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
Per la sua donna, mentre starla fuore,
Lei con quei modi che giovar si crede,
Supplice priega a non mancar di fede:
84
Dicendole ch'a donna né bellezza,
Né nobiltà, né gran fortuna basta,
Si che di vero onor monti in altezza,
Se per nome e per opre non è casta;
E che quella virtù via più si prezza
Che di sopra riman quando contrasta,
E ch'or gran campo avria per questa ab-
Di far di pudicizia esperienza. [senza,
85
Con tai le cerca et altre assai parole
Persuader, ch'ella gli sia fedele.
De la dura partita ella si duole,
Con che lacrime, oh Dio! con che querele!
E giura che più tosio oscuro il sole
Vedrassi, che gli sia mai si crudele,
Che rompa fede; e che vorria morire
Più tosto ch'aver mai questo desire.
86 [giuri
Ancor ch'a sue promesse e a suoi scon-
Desse credenza e si acchetasse alquanto,
— 3-4. Cessa... che non li arda, cessa si
che non gli ar., di ardergli.
82. I. accade, occorre, bisogna. È signi-
ficato assai comune e vivo ancora.
— 8. cesse; cedette. V. e. vii, 28, n. 5.
83. 2. A dover sopp. Per il costrutto cfr.
e. IV, 14, n. 1.
— 4. E vedutosi. Rileva dal precedente
s'avesse un semplice avesse.
84. 6. quando contrasta; quando combatte.
È vivo anche oggi in alcune locuzioni : con-
trastar con la miseria, con la morte, e
simili. — rimaner di sopra è anch' essa locu-
zione viva e frequente per restar vincitore.
85. 6. gli, al marito.
CANTO XLin
693
Non resta che più iuteiider non procuri,
E che materia non procacci al pianto.
Avea uno amico suo, che dei futuri
Casi predir teneva il pregio e '1 vanto;
E d'ogni sortilegio e magica arte,
O il tutto, 0 ne sapea la maggior parte.
87
Diegli, pregando, di vedere assunto,
Se la sua moglie, nominata Argia,
Nel tempo che da lei starà disgiunto.
Fedele e casta, o pel contrario fìa.
Colui da prieghi vinto, tolle il punto;
Il ciel figura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno
A lui per la risposta fa ritorno.
88
L'astrologo tenea le labra chiuse,
Per non dire al Dottor cosa che doglia,
E cerca di tacer con molte scuse.
Quando pur del suo mal vede e' ha voglia.
Che gli romperà fede gli concluse,
Tosto ch'egli abbia il pie fuor de la soglia.
Non da bellezza né da prieghi indotta.
Ma da guadagno e da prezzo corrotta.
89
Giunte al timore, al dubbio ch'avea pri-
Queste minacele dei superni moti, [ma,
Come gli stesse il cor, tu stesso stima.
Se d'amor gli accidenti ti son noti.
se. 3. Non resta che... n. pr. ; nou resta si
che non proc. ; non cessa di procurare di
saperne di più anche da altri.
— 5-6. dei fnt. casi pr. ; di predir i fu-
turi casi. Avverti la stranissima inversione,
forse la più ardita di tutte le altre del Fu-
rioso. Il di del verbo è trasportato al so-
stantivo e unito all'articolo. Cfr. e. xxxiii,
9, 6; XXXVII, 95, S.
S«. 4. pel contr. fla; sarà per il contrario,
al contrario, all' opposto. È locuzione non
registrata dai vocabolari.
— 5. tolle il punto; toglie il momento
opportuno e disegna in una tavoletta, o in
terra, il cielo, ossia la disposizione degli
astri e dei pianeti come appare in quel mo-
mento. È noto che gli astrologi osservavano
la disposizione degli astri deduceudoue pro-
nostici. E dice toglie il putito, perché gli
astrologi avevan fissato un numero deter-
minato di combinazioni: si trattava quindi
di cogliere il momento opportuno di una
di queste combinazioni per fare il prono-
stico.
— 6. come par che st. ; come apparisce a
noi disposto.
88. 4. Quando pur; pure, puruondimeno
quando ecc.
89. 2. d. 8up. moti, dei movimenti celesti.
L' astratto per il concreto: corpi celesti che
si muovono.
• Ariosto — Papiri
E sopra ogni mestizia che l'opprima,
E che l'afflitta mente aggiri e arruoti,
E '1 saper, come vinta d'avarizia
Per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
90
Or per far quanti potea far ripari
Da non lasciarla in quell'error cadere
(Perché il bisogno a dispogliar gli altari
Tra' l'uora talvolta, che se '1 trova avere).
Ciò che tenea di gioie e di danari
(Che n'avea somma) pose in suo potere:
Rendite e frutti d'ogni possessione,
E ciò e' ha al mondo, in man tutto le pone:
91
Con facultade (disse) che ne' tuoi
Non sol bisogni te li goda e spenda.
Ma che ne possi far ciò che ne vuoi,
Li consumi, li getti, e doni e venda.
Altro conto saper non ne vo' poi.
Pur che, qual ti lascio or, tu mi ti renda:
Pur che, come or tu sei, mi sie riraasa,
Fa eh' io non trovi né poder né casa.
92
La prega che non faccia, se non sente
Ch'egli ci sia, ne la città dimora;
Ma ne la villa, ove più agiatamente
Viver potrà d'ogni commercio fuora.
Questo dicea, però che l'umil gente
Che nel gregge o ne' camp] gli lavora,
Non gli era avviso che le caste voglie
Contaminar potessero alla moglie.
93
Tenendo tuttavia le belle braccia
Al timido marito al collo Argia,
E di lacrime empiendogli la faccia,
Ch'un tìumicel dagli occhi le n'uscia:
S'attrista che colpevole la faccia,
Come di fé mancata già gli sia;
Che questa sua sospizion procede,
Perché non ha ne la sua fede fede.
— 5. mestizia. Per metonimia: causa di
mestizia.
— 7. d'avarizia; da avarizia.
90. 4. Tra; trae. V. e. xi, 12, n. 5.
— 6. somma, buona somma. In questo
senso manca nei vocabolari.
— 7. Rendite... frutti. <- Rendita è il frutto
che si trae ogni anno dai poderi, censi, li-
velli ecc.. frutto è assai più generico: in
fatti si dice, frutto d'ingegno, frutto di
sudori » (Tommaseo).
92. 1. se non sente; se non sente dire che
egli ci sia per aver fatto ritorno.
93. 2. timido; pieno di timore. Cosi nel
e. XXX, 31, 8. Si usò generalmente pev pau-
roso; qui invece vale dubitoso, che teme
una sventura. Significato non citato dai
vocabolari.
— 7-8. procede perché. Puoi intenderlo
avviene perché. E in questo senso l'usarono
38
594
ORLANDO FURIOSO
94
Troppo sarà, s'io voglio ir rimembrando
Ciò ch'ai partir da tramendua fu detto.
Il mio ouor (dice al fin) ti raccomando:
Piglia licenzia, e partesi in effetto;
E ben si sente veramente, quando
Volge il cavallo, uscire il cor del petto.
Ella lo segue, quanto seguir puote,
Con gli occhi che le rigano le gote.
95
Adonio intanto misero e tapino,
E, come io dissi, pallido e barbuto,
Verso la patria avea preso il camino,
Sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alla città vicino
Là, dove avea dato alla biscia aiuto.
Ch'era assediata entro la macchia forte
Da quel villan che por la volea a morte.
96
Quivi arrivando in su l'aprir del giorno,
Ch'ancor splendea nel cielo alcuna stella,
Si vede in peregrino abito adorno
Venir pel lito incontra una donzella
In signoril sembiante, ancor ch'intorno
Non l'apparisse né scudier né ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
E poi la lingua a tai parole sciolse:
97
Se ben non mi conosci, o cavalliero,
Son tua parente, e grande obligo faggio:
Parente son, perché da Cadmo fiero
Scende d'amenduo noi l'alto lignaggio.
Io son la fata Manto, che '1 primiero
Sasso messi a fondar questo villaggio;
E dal mio nome (come ben forse hai
Contare udito) Mantua la nomai.
98
De le Fate io son una; et il fatale
Stato per farti anco saper eh' importe,
Nascemo a un punto, che d'ognaltro male
talvolta gli antichi. Volgar. di alcune ora-
zioni di S. Giov. Grisost., 101: «Procede
di loro come dell' oro ». 0 anche puoi sot-
tintendere: da questa causa: procede da
questa causa, perché ecc.
94. 2. tramendna, ambedue: e. xviif, 187,
8, tramendui.
97. 5-0. che '1 primiero Sasso. Veramente
è città fondata dagli Etruschi, e anticliis-
sima, perciò la favola vi ha lavorato sopra.
95. 1. fatale, di fata. Cosi nel e. il, 55, 2,
cavalier celeste; e st. 64, e. ni fé mina sjjir-
tal,e st. 67, scudo mortai, e fatale per fa-
tata nel e. VI, 52, 2. È una estensione bella
e nuova di sigiiihcato.
— 3. N. a un punto; Sottintendi: ti dirò
che nasciamo in tal condizione. Nascemo
è forma popolare ancor viva nel volgo, in
qualche luogo della Toscana. — punto per
condizione l'abbiamo in varie locuzioni:
Siamo capaci, fuor che de la morte.
Ma giunto è con questo essere immortale
Condizion non men del morir forte;
Ch'ogni settimo giorno ogniuna è certa
Che la sua forma in biscia si converta.
99
Il vedersi coprir del brutto scoglio,
E gir serpendo, è cosa tanto schiva.
Che non è pare al mondo altro cordoglio;
Tal che bestemmia ogniuna d'esser viva.
E l'obligo eh' io t'ho (perché ti voglio
Insiememente dire onde deriva)
Tu saprai, che quel di, per esser tali,
Siamo a periglio d' infiniti mali.
100
Non è si odiato altro animale in terra.
Come la serpe; e noi, che n'abbiàn faccia,
Patimo da ciascuno oltraggio e guerra;
Che chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se non troviamo ove tornar sotterra.
Sentiamo quanto pesa altrui le braccia.
Meglio saria poter morir, che rotte
E storpiate restar sotto le botte.
101 [volta
L'obbligo eh' io t' ho grande, è ch'una
Che tu passavi per quest'ombre amene.
Per te di mano fui d'un villan tolta.
Che gran travagli m'avea dati e pene.
Se tu non eri, io non andava asciolta,
Boccaccio, Nov. 30: « a che punto le cose
fossero volle sapere ». Cosi ridursi a mal
punto e simili; ma il modo Ariostesco mi
pare nuovo e notevole.
— 7. Ch'ogni sett. g. ; poiché ogni sett.
g. Quest'idea è forse stata suggerita al-
l' Ariosto dal Gue.rin Meschino, dove si
dice che la Sibilla di Norcia, divenuta una
fata, si cambia in serpe una volta la setti-
mana insieme con le sue compagne.
99. 1. scoglio, scaglia. V. e. v, 17, n. II.
— 5. E l'obligo ecc.; E tu saprai, com-
prenderai r obbligo ch'io t' Ilo, perché quel
giorno siamo a periglio d'inf. m. Seppure
non è da intenderlo usato assolutamente,
come complemento di limitazione: e quanto
all'obbligo eh' io t' ho, tu saprai, sai certa-
mente che ecc. Più agevole sarebbe sup-
porre che le parentesi fossero state messe
per errore nella prima e nelle altre stam-
ine: cosi potremmo più semplicemente in- j-^
tendere: e perché ti voglio dire onde de- M
riva l'obbligo ch'io t'ho, tu devi sapere
che ecc.
100. 3. patimo, patiamo. Terminazione
popolare ancor viva in alcune parti della
Toscana.
— 4. Che, poiché.
— 6. quanto pesa. Per questa sconcor-
danza cfr. e. xiv, 10, n. 6.
101. 5-6. Bsciolta che, libera cosi, che. Il
CANTO XLIII
595
Gli' io non portassi rotto e capo e schene,
E che sciancata non restassi e storta,
Se ben non vi potea rimaner morta:
102
Perché quei giorni che per terra il petto
Traemo avvolto in serpentile scorza,
Il ciel eh' in altri tempi è a noi suggetto,
Niega ubbidirci, e prive siàn di forza.
In altri tempi ad uu sol nostro detto
Il sol si ferma, e la sua luce ammorza,
L'immobil terra gira, e muta loco, [co.
S'infiamma il ghiaccio, e si ongela il fiio-
103
Ora io son qui per renderti mercede
Del benefìcio che mi festi allora.
Nessuna grazia indarno or mi si chiede
Ch' io son del manto viperino fuora.
Tre volte più che di tuo padre erede
Non rimanesti, io ti fo ricco or ora:
Né vo' che mai più povero diventi,
Ma quanto spendi più, chepiùaugumenti.
104
E perché so che ne l'antiquo nodo.
In che già Amor t'avvinse, anco ti trovi;
Voglioti dimostrar l'ordine e 'I modo
Ch' a disbramar tuoi desiderii giovi.
10 voglio, or che lontano il marito odo.
Che senza indugio il mio consiglio provi;
Vadi a trovar la donna che dimora
Fuori alla villa, e sarò teco io ancora.
105
E seguitò narrandogli in che guisa
Alla sua donna vuol che s'appresenti;
Dico come vestir, come precisa-
Mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;
E che forma essa vuol pigliar, devisa;
Che, fuor che '1 giorno ch'erra tra serpen-
In tutti gli altri si può far, secondo [ti,
Che più le pare, in quante forme ha il
106 [mondo.
Messe in abito lui di peregrino,
11 qual per Dio di porta in porta accatti;
Mutosse ella in uu cane, il più piccino
Di quanti mai n'abbia Natura fatti,
Di pel lungo, più bianco ch'arniellino.
Di grato aspetto e di mirabili atti.
Cosi trasfigurato, entraro in via
Verso la casa de la bella Argia:
significato di AscioUa e il costrutto sono
rari pur negli antichi scrittori.
102. 2. Traemo, Terminazione popolare,
ancor viva in qualche luogo di Toscana. —
Serpentile. Si cita questo solo esempio del-
l'Ariosto.
103. 5-6. Tre volte ecc. Costruisci: io
ti farò tre volte più ricco che non rima-
nesti come erede di tuo padre.
105. 5. devisa. V. e. XXXVII, 62, n. 8.
100. 7. trasfigurato ; É la medesima scon-
cordanza di cui al e. IX, 32, n. 1; ma qui
107
E dei lavoratori alle capanne,
Prima ch'altrove il giovene ferinosse;
E cominciò a sonar certe sue canne,
Al cui suono danzando il can rizzosse.
La voce e '1 grido alla padrona vanne,
E fece si, che per veder si mosse.
Fece il romèo chiamar ne la sua corte,
Si come del Dottor traea la sorte.
108
E quivi Adonio a comandare al cane
Incominciò, et il cane a ubbidir lui,
E far danze nostral, farne d'estrane,
Con passi e continenze e modi sui,
E finalmente con maniere umane
Far ciò che comandar sapea colui.
Con tanta attenzion, che chi lo mira,
Non batte gli occhi, e a pena il fiato spira.
109
Gran mara\ iglia, et indi gran desire
Venne alla donna di quel can gentile;
E ne fa per fa balia proferire
Al cauto peregrin prezzo non vile.
S'avessi più tesor, che mai sitire
Potesse cupidigia feniinile
(Colui rispose), non saria mercede
Di comprar degna del mio cane un piede.
110
E per mostrar che veri i detti foro,
Con la balia in un canto si ritrasse,
E disse al cane, ch'una marca d'oro
A quella donna in cortesia donasse.
Scossesi il cane, e videsi il tesoro.
riesce più dura e difficile, perché manca
il soggetto espresso.
107. 5. La Toce e '1 gr. ; la notizia e la
fama.
— 7. romeo. Era in abito di pellegrino.
— 8. traea; portava, voleva. Fors'anche
la traea : la cattiva sorte del Dottore trae-
va la donna a far ciò.
108. 4. continenze; più comunem. coufe-
neme, portamenti. Boccaccio, nov. 99 : « Io
intendo di veder che contenenza sia quella
di mia inogliere in queste nozze »; ma non
è frequente. — sui, suoi propri; tutti suoi
propri.
— 8. il f. spira ; respira. È locuzione che
par che manchi nei vocabolari. La Nuova
Crusca lo registrerà forse alla voce spirare.
109. 3. la balia; la nutrice. V. per questa
parola il e. xiv, 51, n. 5.
— 5. sitire (latino sitire, aver sete di)
desiderare ardentemente. In senso proprio
Dante, Purg. 15: « Sangue sitisti ed io di
sangue t' empio ».
110. 3. marca d'oro; sorta di moneta an-
tica: vi erano anche le marche d'argento.
— 5. il tesoro, la moneta. In questo senso
restrittivo- manca nei vocabolari.
596
ORLANDO FURIOSO
Disse Adonio alla balia, che pigliasse,
Soggiungendo: Ti par che prezzo sia.
Per cui si bello et util cane io dia?
Ili
Cosa, qual vogli sia, non gli domando,
Di ch'io ne torni mai con le man vote; [do
E quando perle, e quando annella,e quan-
Leggiadra veste e di gran prezzo scuote.
Pur di' a madonna, che fia al suo comando,
Per oro no; ch'oro pagar noi puote:
Ma se vuol ch'una notte seco io giaccia.
Abbiasi il cane, e '1 suo voler ne faccia.
112
Cosi dice; e una gemma allora nata
Le dà, ch'alia padrona l'appresenti.
Pare alla balia averne più derrata,
Che di pagar dieci ducati o venti.
Torna alla donna, e le fa l' imbasciata;
E la conforta poi, che si contenti
D'acquistare il bel cane; ch'acquistarlo
Per prezzo può, che non si p^rde a darlo.
113
La bella Argia sta ritrosetta in prima;
Parte, che la sua fé romper non vuole;
Parte, ch'esser possibile non stima
Tutto ciò che ne suonan le pai'ole.
La balia le ricorda, e rode e lima.
Che tanto ben di rado avvenir suole;
E fé' che l'agio un altro di si tolse,
— 7. prezzo sia, vi sia prezzo.
111. 1. qnal vogli eia, sia qual tu voglia.
— 6. Per oro no. Vedi come il costrutto
è agilmente interrotto: dovrebbe regolar-
mente dire: non per oro; ma per una
notte ecc.
112. 1. allora nata, prodotta allora al-
lora dal cane.
— 3-1. Pare ecc. Mi sembra un luogo non
chiaro. Intenderei : Dopo aver sentito il
patto del pellegrino e aver visto le ric-
chezze che questo cane poteva produrre,
pare alla balia che la padrona, accettando
la proposta, ne avesse maggior vantaggio
(derrata) che non sarebbe stato quello di
pagare pur la tenue somma di dieci o venti
ducati. Concedere una notte le parve ben
poca mercede; assai meno che pagare die-
ci ecc.
— 0. si contenti, voglia, acconsenta. Nel
e. IX, 13: «siate contento» acconsentite. È
locuzione elegante e gentile molto amata
dai nostri scrittori.
113. 2-3. Parte clie. V. c. XI, 53, n. 2.
— 5. e rode e lima. Sono fuori del co-
strutto principale : le ricorda {e mentre
ciò ricorda si rode e si lima) che tanto
bene ecc. — rode, lima, invece del riflessivo.
Per rodere si cita un solo es. del Fiore
d'Italia; limare in questo senso non è ci-
tato nei vocabolari.
— 7-8. E fé' ecc. Il senso porterebbe a
Che '1 can veder senza tanti occhi volse.
114
Quest'altro comparir ch'Adonio fece,
Fu la mina e del Dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece,
Filze di perle, e gemme d'ogni sorte:
Si che il superbo cuor mansuefece,
Che tanto meno a contrastar fu forte.
Quanto poi seppe che costui eh' inante
Gli fa partito, è '1 cavallier suo amante.
115
De la puttana sua balia i conforti,
I prieghi de l'amante e la presenzia,
II veder che guadagno se l'apporti,
Del misero Dottor la lunga absenzia,
Lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti.
Fero ai casti pensier tal violenzia,
Ch'ella accettò il bel cane, e per mercede
In braccio e in preda al suo amator si die-
116 [de.
Adonio lungamente frutto colse
De la sua bella Donna, a cui la Fata
Grande amor pose, e tanto le ne volse.
Che sempre star con lei si fu ubligata.
Per tutti i segni il sol prima si volse.
Ch'ai Giudice licenzia fosse data:
Al fin tornò, ma pien di gran sospetto,
Per quel che già l'astrologo avea detto.
117
Fa, giunto ne la patria, il primo volo
A casa de l'astrologo, e gli chiede,
intendere: e fece si che la donna prese un
altro giorno di tempo per vedere il cane
un po' meglio, senza tanti testimoni. Ma mi
sembra che dalle parole ciò non possa ri-
levarsi. Per ciò intendo: e fece in modo che
la donna prese il suo piacere un altro
giorno che volle rivedere il cane senza
tanti testimoni. Agio per piacere è già in
Dantk, Purg. 14, 109: « gli afifanui e gli agi
Che ne invogliava amore e cortesia ».
114. 2. Fu ecc. Puoi intendere: fu la mi-
na di tutto e la morte, e il colpo mortale
per il Dott. ; o anche : fu la mina e la morte
del Dott.
— 3. doble, e dobble e doppie. Antica
moneta d'oro, che nei vari tempi e luoghi
ebbe vario valore. Il Boccaccio: dobbra.
— 7. Quanto; in quanto che. È signifi-
cato non registrato dai vocabolari; ma
piuttosto che un nuovo uso, è forse da ve-
dervi l'azione del tanto precedente.
— 8. Gli fa partito, le fa la vendita. Gli
per le anche nel e. xi, 37, 5. Potresti anche,
ma meno bene, riferirlo a cuore. Far par-
tito usò pure il Caro, il Cellini, Vita, 2,
281 : « Mostrò gran sicurtà nel poter far
partito di questa gioia ».
116. 2. la Fata; sempre sotto le spoglie
del cane.
CANTO XLln
597
Se la sna donna fatto inganno e dolo,
O pur servato gli abbia anioi'e e fede.
Il sito figurò colui del polo,
Et a tutti i pianeti il luogo diede:
Poi rispose che quel ch'avea temuto,
Come predetto fu, gli era avvenuto ;
118
Che da doni grandissimi corrotta,
Data ad altri s'avea la donna in preda.
Questa al Dottor nel cor fu si gran botta,
Ohe lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne più certo, ne va allotta
(Ben che pur troppo allo indivino creda)
Ov'è la balia, e la tira da parte,
E per saperne il certo usa grande arte.
119
Con larghi giri circondando prova
Or qua or là di ritrovar la traccia ;
E da principio nulla ne ritrova,
Con ogni diligenzia che ne faccia;
Ch'ella, che non avea tal cosa nuova,
Stava negando con iramobil faccia;
E come bene instrutta, più d'un mese
Tra il dubbio e '1 certo il suo patron so-
120 [spese.
Quanto dovea parergli il dubbio buono,
Se pensava il dolor ch'avria del certo?
Poi eh' indarno provò con priego e dono,
Che da la balia il ver gli fosse aperto,
Né toccò tasto ove sentisse suono
Altro che falso; come uom ben esperto.
Aspettò che discordia vi venisse;
Ch'ove temine son, son liti e risse.
121
E come egli aspettò, cosi gli avvenne;
Ch'ai primo sdegno che tra loro nacque,
Senza suo ricercar, la balia venne
Il tutto a ricontargli, e nulla tacque.
Lungo a dir fora ciò che '1 cor sostenne,
Come la mente consternata giacque
Del Giudice meschin, che fu si oppresso,
Che stette per uscir fuor di sé stesso:
122
E si dispose al fin da l' ira vinto
Morir, ma prima uccider la sua moglie;
117. 5. figurò ecc., su la tavoletta, dispo-
nendo i pianeti come apparivano nel cielo,
ciascuno al suo luogo.
118. 6. indìTino. È forma rara anche negli
antichi.
119. 1. circondando. Intenderei: girando
con larghi giri di parole. Cosi usò circon-
dare nel e. xiv, 106, 1, ma in senso mate-
riale.
— 4. ne face. Il ne sembra pleonastico.
— 5. che non av. t. e. n. ; che non era
nuova nell'arte di negare il vero, lo nega-
va con immobil faccia; sicché ben' istruita
com' era in quest' arte, diminuiva nel giu-
dice la certezza prodotta dalle parole del-
l' indovino.
E che d'amendue ì sangui un ferro tinto
Levassi lei di biasmo, e sé di doglie.
Ne la città se ne ritorna, spinto
Da cosi furibonde e cieche voglie;
Indi alla villa un suo fidato manda,
E quanto esequir debba, gli comanda.
123
Comanda al servo, ch'alia moglie Argia
Torni alla villa, e in nome suo le dica
Ch'egli è da febbre oppresso cosi ria,
Che di trovarlo vivo avrà fatica;
Si che, senza aspettar più compagnia.
Venir debba con lui, s'ella gli è amica
(Verrà: sa ben, che non farà parola);
E che tra via le seghi egli la gola.
121
A chiamar la patrona andò il famiglio,
Per far di lei quanto il signor commesse.
Dato prima al suo cane ella di piglio.
Montò a cavallo et a camin si messe.
L'avea il cane avvisata del periglio.
Ma che d'andar per questo ella non stesse;
Ch'avea ben disegnato e proveduto
Onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.
125
Levato il servo del camino s'era;
E per diverse e solitarie strade
A studio capitò su una riviera
Che d'Apeunino in questo fiume cade;
Ov'era bosco e selva oscura e nera,
Lungi da villa e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
Per l'effetto crudel che gli fu imposto.
126
Trasse la spada, e alla padrona disse
Quanto commesso il suo signor gli avea;
Si che chiedesse, prima che morisse.
Perdono a Dio d'ogni sua colpa rea.
Non ti so dir cora'ella si coprisse:
Quando il servo ferirla si credea,
Più non la vide, e molto d'ognintorno
L'andò cercando, e al fin restò con scorno.
122. 7. Indi alla villa ecc. Questa parte
della novella ha dei riscontri con la no-
vella 19 del Boccaccio, in cui Bernabò da
Genova manda alla sua donna un famiglio
con lettere, che la invitano a lui. La mo-
glie accojto festosamente il servo, parte
con esso e, giunta in un vallone, sa che deve
morire, come aveva ordinato il marito. Il
sei'vo le dice prima di raccomandare l'ani-
ma a Dio.
124. 4. a camin si messe. È bel modo molto
amato dagli antichi. G. Villani, 1, 88: « Con
piccola compagnia si mise a cammino ».
125. 3. una riviera. Forse il fiume Sec-
chia.
126. 5. com'ella si coprisse; come facesse
a nascondersi, a sparire.
598
ORLANDO FURIOSO
127 [onta,
Torna al patron con gran vergogna et
Tutto attonito in faccia e sbigottito;
E l'insolito caso gli racconta,
Ch'egli non sa come si sia seguito.
Ch'a suoi servigi abbia la moglie pronta
La fata Manto, non sapea il marito;
Che la balia, onde il resto avea saputo.
Questo, non so perché, gli avea taciuto.
128
Non sa che far; che né l'oltraggio grave
Vendicato ha, né le sue pene ha sceme.
Quel ch'era una festuca, ora è una trave;
Tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
L'error che sapean pochi, or si aperto have,
Che senza indugio si palesi, teme.
Potea il primo celarsi; ma il secondo,
Publico in breve fia per tutto il mondo.
129
Conosce ben che, poi che '1 cor fellone
Avea scoperto il misero centra essa,
Ch'ella, per non tornargli iu snggezione,
D'alcun potente in man si sarà messa;
Il qual se la terrà con irrisione
Et ignominia del marito espressa;
E forse anco verrà d'alcuno in mano.
Che ne fia insieme adultero e ruffiano.
130
Si che, per rimediarvi, in fretta manda
Intorno messi e lettere a cercarne.
Ch' in quel loco, ch'in questo ne domanda
Per Lombardia, senza città lasciarne.
Poi va in persona, e non si lascia banda
Ove 0 non vada o mandivi a spiarne:
127. 4. si sia seguito. La forma riflessiva,
in questo senso di avvenire, è citata dal
Gherardini con un solo esempio del Pal-
ladio.
128. 4. al e. gli preme. V. e. xi, 14, n. 4.
— 7. il primo... il secondo; l'errore che
sapean pochi; e quello che ha cosi aper-
tamente manifestato. È veramente lo stesso
errore diversamente noto.
120. 1-3. che... che. Per questa ripeti-
zione cfr. e. V, 27, n. 6.
— 6. espressa, chiara, palese. V. e. xi,
81, n. 7.
130. 3. Ch'... eh'; chi chi. V. e. xix, 17,
n. 6.
— 1. lasciarne, lasciare città della Lom-
bardia (ne).
— 5. si lascia. Piuttosto che supporvi un
uso speciale del riflessivo intenderei : si la-
scia da lui. Come Dante, Inf. 14, 120:
« Qual sia quello stagno Tu il vedrai, però
qui non si conta ».
— 6. spiarne; ricercarne diligentemente.
Petrarca, I, canz. 15, 6: « Tu sai in me il
tutto, Amor, s'ella ne spia (ne ricerca) Dinne
quel che dir dei ». E il Carducci nota: « Qui
Né mai può ritrovar capo né via
Di venire a notizia, che ne sia.
131 [posta
Ai fin chiama quel servo, a chi fu ira-
L'opra crudel che poi non ebbe effetto,
E fa che lo conduce ove nascosta
Se gli era Argia, si come gli avea detto;
Che forse in qualche macchiai! di reposta,
La notte si ripara ad alcun tetto.
Lo guida il servo ove trovar si crede
La folta selva, e un gran palagio vede.
132
Fatto avea farsi alla sua Fata intanto
La bella Argia con subito lavoro
D'alabastri un palagio per incanto.
Dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.
Né lingua dir, né cor pensar può quanto
Avea beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel che iersera si ti parve bello,
Del mio Signor, saria un tugurio a quello.
133
E di panni di razza, e di cortine
Tessute riccamente e a varie foggie.
Ornate eran le stalle e le cantine.
Non sale pur, non pur camere e loggie.
Vasi d'oro e d'argento senza fine,
Gemme cavate, azurre e verdi e roggie,
E formate in gran piatti e in coppe e in
E senza fin d'oro e di seta drappi, [nappi,
134
Il Giudici.', si come io vi dicea,
Venne a questo palagio a dar di petto;
Quando né una capanna si credea
Di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per l'alta maraviglia che n'avea,
Esser si credea uscito d' intelletto:
Non sapea se fosse ebbro, o se sognassi,
s'ella ne spia vale se ella, ne Chiede, o me-
glio: se ne ricerca diligentemente ■•>. E cita
il Varchi, Ercol. 72: *■ .spiare si piglia al-
cuna volta in buona parte, dove far la
spia si piglia sempre in cattiva ».
— 8. che ne sia; che cosa sia, sia avve-
nuto di lei.
132. 8. a qnello: in confronto a quello.
V. e. XIII, 70, 11. 1; e appresso, st. HI, 8.
13IJ. 1. panni di razza; arazzi. Nell'ediz.
del 1516: «Di tapeti e di razzi». Il Bur-
chiello disse, 1, 27: « panni d'arazza ». Que-
sta forma A riostesca manca nei vocabolari
e al Barotti sembra stranissima. Perché?
13:ì. 6. Gemme cavate, gemme incavate,
scavate a forma di piatti ecc.
134. 2. dar di petto; imbattersi. Cosi il
Varchi, Storie, 2, 251: « Si dà di petto nel
castello di Pontadera ».
— 3. Quando. Ha valore avversativo :
mentre, laddove, come spesso nella nostra
lingua. — né, neppure. V. e. n, 41, u. 4.
CANTO XLIU
599
0 pur se '1 cervel scemo a volo andassi.
135
Vede inanzi alla porta uno Etiòpo
Con naso e labri grossi; e ben gli è avviso
Che non vedesse mai, prima né dopo,
Un cosi sozzo e dispiacevol viso;
Poi di fattezze, qual sì pinge Esopo,
D'attristar, se vi fosse, il Paradiso;
Bisunto e sporco, e d'abito mendico;
Né a mezzo ancor di sua bruttezzaio dico.
136
Anselmo che non vede altro da cui
Possa saper di chi la casa sia,
A lui s'accosta, e ne domanda a lui;
Et ei risponde: Questa casa è mia.
Il Giudice è ben certo che colui
Lo beffi, e che gli dica la bugia:
Ma con scongiuri il Negro ad affermare
Che sua è la casa, e eh' altri non v' ha a
137 [fare ;
E gli offerisce, se la vuol vedere,
Che dentro vada, e cerchi come voglia;
E se v' ha cosa che gli sia in piacere
O per sé o per gli amici, se la teglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e messe il pie dentro alla soglia;
E per sale e per camere condutto.
Da basso e d'alto andò mirando il tutto.
138
La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
Va contemplando, e l'ornamento regio;
E spesso dice : Non potria quant'oro
E sotto il sol pagare il loco egregio.
A questo gli risponde il brutto Moro,
E dice: E questo ancor trovali suo pregio:
Se non d'oro o d'argento, non di meno
Pagar lo può quel che vi costa meno.
139
E gli fa la medesima richiesta
Ch'avea già Adonio alla sua moglie fatta.
De la brutta domanda e disonesta
— 8. a volo and., andasse a volo, andasse
in aria, per aria. È metafora venuta forse,
nella nostra lingua, dall'idea di leg'gerezza.
Una cosa leggera facilmente va in aria.
13.J. 1. nno Etiopo, un moro.
— 3. Che non vedesse, di non aver visto.
V. e. I, 38, n. 6.
— 6. D'attristar, da attristare il Paradiso,
se questo moro fosse lassù.
133. 7. ad affermare. È iufinito storico.
— 8. non v' ha a f. , non v' ha che fare ;
non vi ha diritto alcuno.
i;i7. 8. Da basso e d'alto; da basso e da
alto, in alto e in basso. É comune il modo
da basso per in basso ; non cosi da alto,
che è foggiato, per analogia, sull'altro.
138. 6. pregio, prezzo.
139. 3. De la b. d ; per la b. d. (V. e. xili,
33, n. 3) il giudice lo stimò persona b. e
matta.
Persona lo stimò bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta ;
E tanti modi a persuaderlo adatta,
Sempre offerendo in merito il palagio,
Che fé' inchinarlo al suo voler malvagio.
140 [scesa,
La moglie Argia che stava appresso a-
Poi che Io vide nel suo error caduto.
Saltò fuora gridando: Ah degna cosa
Ch' io veggo di Dottor saggio tenuto!
Ti-ovato in si mal'opra e viziosa.
Pensa se rosso far si deve e muto.
0 terra, acciò ti si gittassi dentro,
Perché allor non t'apristi insino al centro?
141
La donna in suo discarco, et in vergogna
D'Anselmo, il capo gì' intronò di gridi,
Dicendo: Come te punir bisogna
Di quel che far con si vii uom ti vidi,
Se per seguir quel che natura agogna,
Me, vinta a' prieghi del mio amante, ucci-
Ch'era bello e gentile; e un dono tale [di?
Mi fé', ch'a quel nulla il palagio vale.
142
S' io ti parvi esser degna d'una morte.
Conosci che ne sei degno di cento:
E ben eh' in questo loco io sia si forte,
Ch' io possa di te fare il mio talento;
Pure io non vo' pigliar di peggior sorte
Altra vendetta del tuo fallimento.
Di par l'avere e '1 dar, marito, poni ;
Fa, com' io a te, che tu a me ancor perdoni.
143
E sia la pace e sia l'accordo fatto.
Ch'ogni passato error vada in oblio;
— 6. adatta, adopra. In questo senso,
che qui sembra il vero, manca nei vocabol.
— 7. in merito, in premio. Cosi nel e. ii,
16, 3; XI, 54, 8.
140. 3-4. degna cosa... di D. Puoi intendere:
Ah ! cosa degna di Dottor eh' io veggo : è
cosa degna di Dottor s. tenuto quello che
io veggo. Oppure : Ah degna cosa, bella
cosa, bella azione eh' io veggo di un dot-
tor. Insomma di un Doti, può dipendere
anche da cosa invece che da degna.
142. 5. di peggior sorte. Puoi intendere ;
non voglio prendere altra vendetta di peg-
gior sorte, di peggior modo, che non sia
questa d' averti scoperto, trovato in fallo.
Ma non sarebbe alieno dal fare dell'Ariosto
intendere: del tuo fallimento di peggior
sorte. Tali strane inversioni hai già trovato
nel e. xxxni,9, 6; xxxvii, 95, 8 e in questo
canto st. 86, 5.
— 6. fallimento, fallo. Questa forma, in
questo senso, fu molto usata dagli antichi,
oggi è di raro uso.
143. 2-3. Ch' ogni ecc. Cosi che Ogni ecc.
e che né in parole ecc.
600
ORLANDO FURIOSO
Né ch'in parole io possa mai né in atto
Ricordarti il tuo error, né a me tu il mio.
Il marito ne parve aver buon patto,
Né dimostrossi al perdonar restio.
Cosi a pace e concordia ritornaro,
E sempre poi fu l'uno all'altro caro.
144
Cosi disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo al fin de la sua istoria un poco;
E diventar gli fece a un tratto il viso,
Per l'onta del Dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia molto lodò, ch'avviso
Ebbe d'alzare a quello augello un gioco
Ch'alia medesma rete fé' cascallo,
In che cadde ella ma con minor fallo.
145
Poi che più in alto il sole il camin prese
Fé' il Paladino apparecchiar la mensa,
Ch'avea la notte il Mantuan cortese
Provista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese.
Et a man destra la palude immensa:
Viene e fuggesi Argenta e '1 suo girone
Col lito ove Santerno il capo pone.
m. 6. alzare... un gioco, alz. uno zim-
bello; quindi, fuoi" di metafora, tendere un
tranello. Per piiiooo vedi il e. ix, 67, n. 4.
Questa seconda favola, detta dal N'occhiero,
deriva in parte dal racconto di Cefalo e
Procri sopra esposto, e in parte dalla sua
continuazione fatta dagli scrittori sopra ci-
tati alla st. 41, is. Ovidio aveva detto che
Diana aveva accordato a Procri la sua pro-
tezione e donatole un veltro e un dardo
fatato. Gli altri due mitografl continuano
dicendo che Cefalo, imbattutosi in Procri,
che, fuggitiva, andava a caccia vestita da
uomo, s'invaghì del cane e del dardo;
Procri si profferse di darglieli se avesse
consentito al suo amore. Cefalo acconsen-
te, e Procri svela chi sia. In tal modo av-
viene il reciproco perdono e la riconcilia-
zione.
1-l.j. 5. il bel paese. Il Pomari nota: « Alla
sinistra banda del Po infìno a Santo Alberto
per 20 miglia lungo la riva si veggono molte
ville e contrade amenissime, cosa molto
vaga et dilettevole a risguardare. E di que-
sto bel paese l'Ar. intende ».
— 6. la palude immensa. < Intende della
palude padusa chiamata ... Questa essen-
dosi oggidì per la gran parte riseccata è
rimasta con poca acqua » (Fornari).
— 7-8. Argenta sulla destra del Po di
Primaro. — girone; la cerchia delle mura
del castello. V. e. xxxvili, 20, n. 8. — San-
terno, piccolo fiume, che anticamente sl)OC-
cava nel Po di Primaro, e oggi, dopoché
la parte inferiore di esso Po è stata invasa
dal Reno, in questo si getta.
146
Allora la Bastia, credo, non v'era.
Di che non troppo si vantar Spagnuoli
D'avervi su tenuta la bandiera;
Ma pili da pianger n'hannoi Romagniuoli.
E quindi a Filo alla dritta riviera
Cacciano il legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi per una fossa morta,
Ch'a mezzodì presso a Ravenna il porta
147
Ben che Rinaldo con pochi danari
Fosse sovente, pur n'avea si allora,
Che cortesia ne fece a' marinari.
Prima che li lasciasse alla buon'ora.
Quindi mutando bestie e cavallari,
Arimino passò la sera ancora;
Né in Montefiore aspetta il matutino,
146. 1. la Bastia, era un forte presso il
canale Zaniolo. V. e. iii, 54, 1. E là pure
troverai il fatto, a cui qui si allude. E cfr.
anche il e. xlii, 3-5.
— 2. Spagnuoli, gli Spagnuoli. V. e. il,
15, n. 8.
— 4. Ma più da p. ecc. Per la disgrazia
toccata al duca Alfonso, che, percosso da
una pietra, vi restò tramortito. — Koma-
gninoli è detto per Ferraresi in ispecie e in
genere per tutti i sudditi di Alfonso.
— 5. a Pilo: « Villetta del Ferrarese sulla
sinistra del Po di Primaro, da sette miglia
sotto ad Argenta » (Barotti). Esiste anche
oggi. — alla dritta riv. ; per la dritta riv. ;
per il fiume, che, dalla foce del Santerno
a Filo, correva diritto. È notevole che l'Ar.
nella prima edizione aveva scritto « Quindi
a filo diritta la riviera Caccia il legnet-
to ecc.»; e in quella del 1521: «E quindi
a filo alla dritta riviera». Aspettò dunque
tanto l'Ar. a sapere o a ricordare che esi-
steva una villa di questo nome? Non sa-
rebbe possibile che la maiuscola fosse una
correzione arbitraria degli stampatori e
che l'Ar. non pensasse affatto a Filo; ma
volesse intendere, come nelle prime edizio-
ni, riviera dritta a /Ilo''; Vedi tale espres-
sione nel e. xxxiii, 101, 6; Cinque C. i, 105.
— 7. fossa morta: « Chiamasi /'OA'sa rnor-
ta un ramo del Po fino a Ravenna per 12
miglia » (iMolini). Oggi è interamente pro-
sciugata.
147. 1. con pochi danari. Rinaldo nelle an-
tiche canzoni è sempre un signorotto ri-
belle, che si trova corto a danari e per ciò
si dà a predare, non solo i territori del-
l'impero, ma anche i passeggeri, i merca-
tanti. V. Innam. I, xxvi, 59; xxvii, 15.
— 6. Arimlno ecc. passò Rimini ìs. stessa
sera: ancora in questo senso vedilo nel
e. XX, 101, 7, XXV, 46, 4, dove troverai la
nota.
— 7. Né in Mont. ecc. Né si ferma in
CANTO XLin
601
E quasi a par col sol giunge in Urbino.
148
Quivi non era Federico allora,
Né rissabetta, né '1 buon Guido v'era,
Né Francesco Maria, né Leonora,
Che con cortese forza e non altiera
Avesse astretto a far seco dimora
Si famoso guerrier più d'una sera;
Come fèr già molti anni, et oggi fanno
A donne e a cavallier che di là vanno.
149
Poiché quivi allabrigliaalcunnolpren-
Smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta, [de,
Pel monte che'lMetamo o ilGauno fende,
Montefiore (oggi Monteflorito, provincia di
Forlì a circa 18 kl. a sud di Rimiui), a pas-
sar la notte, aspettando il mattino.
148. 1. Quivi ecc. Forse l'Ar. fa fare a
Rinaldo questo giro per Urbino, lasciando
la strada, se non più breve, certo più co-
moda e più comune, per avere occasione
di parlare dei principi d' Urbino. La via più
comoda sarebbe stata tutta la Flaminia da
Rimini in avanti : « La corte d' Urbino fu
splendida per cultura e per gentilezza, mas-
sime ai tempi del duca Guidobaldo e di Eli-
sabetta Gonzaga sua moglie, e quindi di
Francesco Maria della Rovere e di Leonora
Gonzaga, che successero nel ducato. Fede-
rigo, padre di Guidobaldo, avea edificato il
magnifico palazzo, che era degna sede di
quei generosi principi » (Casella).
— 7. già molt' anni, già da molt'anni. V.
e. I, 26, 8; XXV, 57, 2 ecc.
149. 1. alla briglia ecc.; per invitai'lo cor-
tesemente a discendere.
— 2. Smonta ecc. Intendo : Rinaldo di-
scende dai ynonti a Cagli per la via dritta,
cioè per la Flaminia, che va dritta a Roma.
Ed è detta dritta per rispetto alla traversa,
che da Urbino conduce alla Flaminia. Smon-
tare per discendere da un'altura l'abbia-
mo nel e. XIX, 41 : « Ne lo smontar giù da'
montani dorsi ». Alla via nel senso di per
la via vedilo confermato dall'esempio della
st. 146, 5: «alla dritta riviera» e dal e. i,
23, 5 : « mettersi alla via ». Né parrà certo
ardita l'espressione via dritta per via prin-
cipale 0 maestra a chi abbia osservato nella
precedente st. 125, 1 e nella st. 188, 7, usato
camino in questo senso preciso, e in oppo-
sizione a strade traverse e secondarie. Né
si può intendere Smonta per discende da
cavallo, perché se R. non si era riposato
neppure la notte, come si sarebbe ora fer-
mato a Caghi I cavalieri dei romanzi non
si fermano che per determinate ragioni, cui
il romanziere avverte e spiega (cfr. e. xxvii,
12). Inoltre che cosa vorrebbe dire smonta
da cavallo alla via dritta ? La via dritta
Rinaldo l'aveva trovata assai pi'ima di Ca-
gli: 0 a Calmazzo, dove lasciò la via tra-
versa e imboccò la Haminia; o verso l'Ac-
qualagna, dove la Flaminia cessa i ser-
peggiamenti, che fa nelle gole del Furio, e
diventa non meno di-itta, che da Cagli in
avanti. Finalmente se smonta a Cagli si-
gnificasse si ferma a Cagli non si capi-
rebbe come il poeta ritorni indietro con
la sua descrizione, riportandoci da Cagli al
Furio nel v. seguente. Dunque sembra ne-
cessario intendere questo luogo nel modo
sopra esposto.
— 3. Pel monte ecc. È il monte di Pietra
Pertusa, dove si trova, a un certo punto
della via Flaminia, una galleria scavata nel
monte al tempo dell'imperatore Vespasiano
per rendere più agevole il passo, e detta
il Furio (lat. forulum). Ma questo monte
non lo fende il Metauro né il Gauno, lo
fende il Candigliano ; a cui il Metauro, che
viene da nord-ovest, si unisce al di là del
Furio, cioè a Calmazzo. — Come dunque
tanta confusione ? L'Ar. fece sicuramente
in qualche suo viaggio da Ferrara a Roma
questo itinerario, ma si comprende benis-
simo come fra le noie di un viaggio mala-
gevole, fra monti e gole e burroni, non ab-
bia avuto l'agio di ricercare precisamente
e cose e nomi. Ecco la storia verisimile di
questa confusione. L'Ar. aveva letto in Clau-
diano (autore a lui familiarissimo) questi
versi, che fan parte della descrizione del
viaggio d'Onorio a Roma: « Despiciturque
vagus praerupta valle Metaurus, Qua mons
arte patens vivo se perforat arcu », dove
Claudiano evidentemente confonde il Me-
tauro col Candigliano. Confusione prodotta
in lui forse dalla vicinanza dei due fiumi
e dalla fuggevole osservazione dei partico-
lari topografici. Cosi l'Ariosto potè scrivere
nella prima ediz., e mantenne nella secon-
da : « E dalla foce che 'I Metauro feude ecc. ».
E nel capitolo I (anno 1514 o 15), parlando
d'una sua malattia che lo colse in viaggio
da Urbino a Roma, forse a Pesaro : « qui
rest'io dove Appennino D'alta percossa a-
perto mostra il fianco (il Furio), Che per
agevolar l'aspro cammino Flavio gli diede
in ripa l'onda (il Metauro) ch'ebbe Mal for-
tunata un capitan Barchino (Asdrubale Bar-
ca) ». Più tardi gli capitò fra mano il libro
del Cardinale Adriano Dei modi di ben par-
lare latino, in fondo al quale è aggiunto
l'itinerario di Giulio II; e vi lesse: « Hinc
(da Cagli) ad Aquas Lanias perreximus,
unde Metaurus confusus Gauno Fornii
spectacula praebet ». Qui pure la leggera
osservazione o l'espressione poco precisa
avevano avvicinato tanto l' Acqualagna (che
602
ORLANDO FURIOSO
Passa Apennino, e più non l'ha a man ritta;
Passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma
[scende;
Da Roma ad Ostia; e quindi si tragitta
Per mare alla cittade, a cui commise
Il pietoso figliuol l'ossa d'Anchise.
150
Muta ivi legno, e verso l' isoletta
Di Lipadusa fa ratto levarsi;
Quella che fu dai combattenti eletta,
è di qua dal Furio), il Furio stesso, e il
confluente del Metauro e del Candigliano,
da produrre nel lettore una vera confusio-
ne. E l'Ar. di fatto sembra che si confon-
desse : — dunque non era il Metauro che
fendeva il Furio; ma il Metauro confusus
Gauno : — e corresse « il Metauro o il Gau-
no », lasciando trasparire in queir o tutta la
sua incertezza. — Ma che cos' è questo Gau-
no? Non si legge tal nome che nel libro del-
l'Adriano e nel Furioso. Dunque è chiaro
che la fonte dell'errore Ariostesco è stata
quell'itinerario. E là forse fu scritto Gauno,
perché l'autore, in qualche descrizione di
quei luoghi, trovò Candigliano abbreviato
in Canaio e, come avviene spesso nella let-
tura dei nomi non chiaramente scritti, lesse
Gauno e cosi scrisse.
— 4. Passa Ap. Pel monte del Furio, che
è uno spi'oue dell'Appennino, non si passa
l'Appennino ; il quale, varcato il Furio, ri-
mane per ciò sempre a destra. Credo che
l'Ar. pensasse veramente che l'App. si pas-
sasse al Furio, perché il colle della Scheg-
gia, dove è il vero passo, è cosi dolce e
pianeggiante che non dà l'impressione di
passar l'Appennino. Potrebbe nascer l'idea
di far punto a fende e intendere: smonta
a Cagli pel monte, che ecc. ; ma a ciò si
oppone la punteggiatura dell' ediz. del 1532,
che è confermata dalle altre edizioni, le
quali leggevano : « E da la foce che '1 Me-
tauro fende Passa App. ». Né credo possi-
bile intendei'e : passa il monte del Furio e
quindi l'App. ; perché le due lezioni « pel
monte... passa App. » «E dalla foce... passa
App. » dicono chiaro che, per il Poeta, il
passo dell' App. è pel monte o dalla foce
del Furio.
— 5. Ombri, Umbri. — scende. Non inten-
dere che scenda da cavallo, ma che dalla
parte più alta dell' Italia passa a Roma, che
rimane più giù dell'Umbria e dell'Etruria.
— 7. allB cittade ecc. Trapani in Sicilia,
dove mori Anchise e dove dal figlio Enea
fu sepolto. En. lib. 3 in fine.
150. 1-2. verso Pia. ecc. Si fa levare da
Trapani per andare verso l'isol. È una
brachilogia come quelle dei e. iii, 16, 2;
18, 5; XVII, 115, 2 ecc.
Et ove già stati erano a trovarsi.
Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
Ch'a vela e a remi fan ciò che può farsi;
Ma i venti avversi, e per lui mal gagliardi,
Lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151
Giunse ch'a punto il Principe d'Anglan-
Fatta avea l'utile opra e gloriosa: [te
Avea Gradasso ucciso, et Agramante,
Ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n'era il figliuol di Monodantc; ,
E di grave percossa e perigliosa
Stava Olivier languendo in su l'arena,
E del pie guasto avea martire e pena.
152
Tener non potè il Conte asciutto il viso.
Quando abbracciò Rinaldo, e che narrolli
Che gli era stato Brandimarte ucciso,
Che tanta fede e tanto amor portoUi.
Né men Rinaldo, quando si diviso
Vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:
Poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier che sedea col piede rotto.
153
La consolazion che seppe, tutta
Die lor, benché per sé tór non la possa;
Che giunto si vedea quivi alle frutta,
Anzi poi che la mensa era rimossa.
Andaro i servi alla città distrutta,
E di Gradasso e d' Agramante l'ossa
Ne le mine ascoser di Biserta,
E quivi divulgar la cosa certa.
154
De la vittoria ch'avea avuto Orlando,
S'allegrò Astolfo e Sansonetto molto;
Non si però, come avrian fatto, quando
Non fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui morto il gaudio va scemando
Si, che non ponno asserenare il volto.
Or chi sarà di lor, ch'annunzio voglia
A Fiordiligi dar di si gran doglia?
155
La notte che precesse a questo giorno,
Fiordiligi sognò che quella vesta
— 4. trovarsi, scontrarsi in combattimen-
to. Cosi nel e. XLVi, 115, 6. È dunque un
modo un po' lungo per dire : ove si erano
già azzuffati.
I — 7. mal g. ; in suo danno gag. Come
[ Dante, Jnf. 27, 75 : « l'umor che mal conver-
:te».
i 153. 2. e che ; e quando. V. e. iv, 60, n. 5.
— 7. quindi, di qui andò dov'era Oliv.
' 153. 3. alle frutta; «a cosa già termi-
nata. Metafora molto nota ed usata» (Bar.).
j 154. 8. doglia, cosa dolorosa. Nessun vo-
cabolario registra questo significato, che è
sfuggito anche alla N. Crusca.
' 155. 1. precesse; precedette (lat. praeces-
i sit). Questa terminaz., clie si trova anche
CANTO XLTII
603
Che, per mandarne Brandiraarte adorno,
Avea trapunta e di sua man contesta,
Vedea per mezzo sparsa e d'ogn'intorno
Di goccie rosse, a guisa di tempesta:
Parca che dì sua man cosi l'avesse
Kiccamata ella, e poi se ne dogliesse.
15G
E parea dir: Pur hammi il Signor mio
Commesso eh' io la faccia tutta nera:
Or perché dunque riccamata holl' io
Contra sua voglia in si strana maniera?
Di questo sogno te' giudicio rio;
Poi la novella giunse quella sera:
Ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
Ch'a lei con Sansonetto se ne venne.
157
Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso
Vide di gaudio in tal vittoria privo;
Senz'altro annunzio sa, senz'altro avviso,
Che Brandimarte suo non è più vivo.
Di ciò le resta il cor cosi conquiso,
E cosi gli occhi hanno la luce a schivo,
E cosi ogn'altro senso se le serra.
Che come morta andar si lascia in terra.
158
Al tornar de lo spirto, ella alle chiome
Caccia le mani; et alle belle gote,
Indarno ripetendo il caro nome.
Fa danno et onta più che far lor pnote.
Straccia i capelli e sparge; e grida, come
Donna talor, che '1 demon rio percuote,
nel e. xiv, 68, 1, e nel semplice alla st. S2
di questo cauto, è più usata nei composti
succedere e concedere.
— 4. contesta. Qui credo signilichi fatta.
Sebbene l'Ar. nel e. xxii, 62, 4, l'usi per
ricamata; qui tale idea ral)l)iamo troppo
chiara e troppo vicina in traiìunta. Po-
trebbe anche significare tessuta o messa
insieme nelle sue 2mrti. Scelga il let-
tore.
— 6. a guisa di tempesta, a guisa di chic-
chi di grandine. Tempesta per grandine
• dicono eh' è voce dei dialetti Lombardi ; ma
intanto l'usò anche il Vasari, Fì^é', 42, 98:
« La tempesta gli avea tolto il vino e le
frutte ». Si potrebbe anche interpretare per
pioggia tempestosa, intendendo quella piog-
gia rossa che qualche volta cade nei grandi
temporali. Nel primo modo la comparazione
si riferirebbe alla forma delle gocce, nel
secondo alla forma e al coloi'e. Ma consi-
derando che il fenomeno della pioggia rossa
è cosi raro, che r.\r. avrebbe dovuto du-
bitare d'esser facilmente franteso, propendo
per la prima interpretaz.
— 8. Riccamata. V. e. xxxix, 17, n. 8.
lòfi. 7-8. tanto... che; fintanto che: e.
XXXIV, 4, n. 3.
15S. 6. che '1 d. r. percuote; una donna
indemoniata.
0 come s'ode che già a snon di corao
Mènade corse, et aggirossi intorno.
159
Orquestocrquel pregando va, che porti
Le sia un colte!, si che nel cor si fera;
Or correr vuol là dove il legno in porto
Dei duo Signor defunti arrivato era,
E de l'uno e de l'altro cosi morto
Far crudo strazio e vendetta aera e fiera:
Or vuol passare il mare, e cercar tanto
Che possa al suo Signor morire a canto.
160
Deh, perché, Brandimarte, ti lasciai
Senza me andare a tanta impresa? (disse)
Vedendoti partir, non fu più mai
Che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei giovato, s' io veniva, assai,
Ch'avrei tenute in te le luci fìsse;
E se Gradasso avessi dietro avuto,
Con un sol grido io t'avrei dato ainto;
161
O forse esser potrei stata si presta,
Ch'entrando in mezzo, il colpo t'avrei tol-
Fatto scudo t'avrei con la mia testa; [to ;
Che, morendo io, non era il danno molto.
Ogni modo io morrò; né tìa di questa
Dolente morte alcun profitto colto;
— S. Menade, la Men.; le Menadi. È nome
che davasi alle Baccanti dal loro infuriare
(gr. mainomai; infurio) nelle orgie, dove
facevano grande strepito non solo con corni,
ma con diverse specie d'istrumeuti, tim-
pani, cetre, tibie: Ovid. Metam. xi, 16-17.
Pare, giustamente, al Raina, che questa pit-
tura, un po' grossolana e convenzionale,
stuoni con la squisita finezza del resto.
IdO. 3. non fu pili mai, non accadde mai
altra volta. Dante, Piirg. 14, 15 : « Quanto
vuol cosa, che non fu più mai ».
— 7. E se Gradasso ecc. Fiordiligi seppe
della morte di Agramante e Gradasso, per-
ché i servi « quivi divulgar la cosa certa »
(st. 153) ; non potè pensare che ciò fosse
costato la vita a Brandimarte, eh' essa cre-
deva troppo forte; ma quando seppe che
era stato ucciso, dove pensare a Gradasso,
che era, dopo Rodomonte, il più forte Sa-
racino, certo il più forte dei tre campioni,
e, secondo lei, il solo capace di resistere
e d'affrontar Brandimarte, non di vincerlo :
e se lo vinse dovette coglierlo alle spalle
(dietro), alla sprovvista. Cosi, benissimo,
spiega il Barotti e dà ragione di quelle ap-
parenti difficoltà, che il Lavezuola, e altri
dopo lui, vedevano in questo luogo.
ICl. 5. Ogni modo ; in ogni m. Cosi nel
e- XLiv, 73 e XLV, 89. È il lat. omni modo.
Io morrò in ogni modo senza dar vantag-
gio a nessuno; meglio era morire, dando
salvezza a te. Di questa maniera avverbale
604
ORLANDO FURIOSO
Che, quando io fossi morta in tua difesa,
Non potrei meglio aver la vita spesa.
162
Se pur ad aiutarti i duri fati
Avessi avuti e tutto il cielo avverso,
Gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
Almen t'avrei di pianto il viso asperso;
E prima che con gli Angeli beati
Fossi lo spirto al suo fattor converso, [ta;
Detto gli avrei: Va' in pace, e là m'aspet-
Ch'ovunque sei, son per seguirti in fretta.
163
E questo, Brandimarte, è questo il re-
Di che pigliar lo scettro ora dovevi? [guo
Or cosi teco a Dammogire io vegno?
Cosi nel real seggio mi ricevi?
Ah Fortuna criidel, quanto disegno
Mi rompi! oh che speranze oggi mi levi!
Deh, che cesso io, poi c'ho perduto questo
Tanto mio ben, eh' io non perdo anco il
164 [resto ?
Questo et altro dicendo, in lei risorse
Il furor con tanto impeto e la rabbia,
Ch'a stracciare il bel crin di nuovo corse,
Come il bel crin tutta la colpa n'abbia.
Le mani insieme si percosse e morse;
Nel sen si cacciò l'ugne e ne le labbia.
Ma torno a Orlando et a' compagni, in tanto
Ch'ella si strugge e si consuma in pianto.
165
Orlando, col cognato che non poco
Bisogno avea di medico e di cura, -'
Et altretanto, perché in degno loco
Avesse Brandimarte sepultura.
Verso il monte ne va che fa col fuoco
Chiara la notte, e il di di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano
Non è quel lito lor molto lontano.
non si citano che questi tre esempi dell'A-
riosto.
— 7. che. Ha spiccatissimo significato av-
versativo: ma, mentre. E non credo che si
citi per tal significato, esempio cosi chiaro
come sarebbe stato questo.
16-2. 6. fossi, fosse. V. e. x, 31, n. 6.
16.3. 3. Dammogire. La capitale del regno
di Monodante. V. e. xxxix, 62.
— 7. che cesso, che tardo. È il lat. cesso,
indugio. Nel e. xlv, 91, si usa con l'infin.
dipendente : cesso di volgere. Si cita sola-
mente l'Ar.
165. 1. col cognato, Oliviero fratello di
Alda.
— 3. altretanto, anche, inoltre, di più. È
simile, ma non eguale a quello del e. xm,
80, 4. E la N. Crusca a torto li confonde :
qui vale inoltre, anche; là vale nello stesso
modo. Non si cita che l'Ar.
— 5. il monte ecc., l'Etna. Vuol dire:
verso la Sicilia,
166
Con fresco vento ch'in favor veniva,
Sciolser la fune al declinar del giorno,
Mostrando lor la taciturna Diva
La dritta via col luminoso corno;
E sorser l'altro di sopra la riva
Ch'amena giace ad Agringento intorno.
Quivi Orlando ordinò per l'altra sera
Ciò ch'a funeral pompa bisogno era.
167
Poi che l'ordine suo vide esequito,
Essendo omai del sole il lume spento,
Fra molta nobiltà ch'era allo 'nvito
De' luoghi intorno corsa in Agringento,
D'accesi torchi tutto ardendo '1 lito,
E di grida sonando e di lamento,
Tornò Orlando ove il corpo fu lasciato,
Che vivo e morto avea con fede amato.
168
Quivi Bardin di soma d'anni grave
Stava piangendo alla bara funebre,
Che pel gran pianto ch'avea fatto in nave,
Dovria gli occhi aver pianti e le palpebre.
166. 5. sorser, gettarou l'ancore presso
la riva di Ag. (Girgenti). V. e. iv, 51, n. 5.
168. 1. Quivi Bardin ecc. In tutta questa
descrizione dei funerali di Brandim. vi sono
ricordi frequenti dei funerali di Fallante
fatti da Enea. Bardino che piange e si
strappa le chiome e si graffia il volto è si-
mile ad Acete, il vecchio servo e compagno
di Fallante, « Fectora nunc foedans pugnis,
nuuc unguibus ora » ; il popolo che piange
alla venuta d'Orlando ricorda il luogo di
Virgilio « Ut vero Aeneas foribus sese in-
tulit altis Ingentera gemitum tunsis ad si-
dera tollunt Pectoribus maestoque immugit
regia luctu ». Enea pensa al gi'an dolore
del padre Evandro, come Orlando al dolore
di Fiordiligi; dinanzi al feretro di Fallante
si portano i cavalli e le armi « quibus spo-
liaverat hostem » e sotto ciascun trofeo è,
come qui, il nome dei nemici vinti. Il For-
nari dice che l'Ar. volle ritrarre in questa
descrizione i funerali del Cardinale Ippolito
d'Este ; ma quando il Foeta li descriveva
il cardinale era ancora vivente. Il Casella
crede che il Fornari volesse invece parlare
dei funerali di Ercole I; e forse alcuni par-
ticolari (i cento paggi, la descrizione della
coltrice ecc.) l'Ar. li avrà tolti da quello e
da altri solenni funerali, che avrà vera-
mente osservato.
— 3. Che. È relativo di Bardin.
— 4. gli occhi av. p. ; Pianger gli occhi,
lavorar le braccia, sono espressioni enfa-
tiche, ancor vive, che valgono : piangere
lino ad averne consunti gli occhi, lavorare
fino ad averne finite le bi*accia.
CANTO XLIII
605
Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,
Raggia come un leon ch'abbia la febre.
Le mani erano in tanto empie e ribelle
Ai crin canuti e alla rugosa pelle.
169
Levossi, al ritornar del Paladino,
Maggiore il grido,eraddoppios8iilpianto.
Orlando, fatto al corpo più vicino,
Senza parlar stette a mirarlo alquanto.
Pallido, come colto al matutino
È da sera il ligustro o il molle acanto;
E dopo un gran sospir, tenendo fisse
Sempre le luci in lui, cosi gli disse :
170
0 forte, 0 caro, o mio fedel compagno,
Che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
E d'una vita v' hai fatto guadagno,
Che non ti può mai tòr caldo né gielo;
Perdonami, se ben vedi eh' io piagno;
Perché d'esser rimase mi querelo,
E ch'a tanta letizia io non son teco;
Non già perché qua giù tu non sia meco.
171
Solo senza te son; né cosa in terra
Senza te posso aver più, che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra.
Perché non anco in ozio et in bonaccia?
Ben grande è '1 mio fallir, poi che mi serra
Di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui, perch'ora
Non sono a parte del guadagno ancora?
172
Tu guadagnato e perdita ho fatto io:
Sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe fatto è del dolor mio
— 5. le stelle : che si credeva agissero
sui destini umani.
— 7. ribelle, ribelli. V. e. ix, 84, n. 1.
169. 6. da sera, a sera. Da matt. e da
sera sono le due espressioni di tempo, che
sono ancora vive nell' uso. Non cosi altre
usate dall' Ar. : da primavera, da mezza-
notte ecc.
170. 4. Che non ti p. ecc. ; che non posso-
no toglierti le vicende di questa vita. Come
altrove il P. ha descritto la terra come il
luogo « dove può il caldo e il gielo » (ni,
51), cosi qui descrive con questi due estre-
mi, che si avvicendano, le varie vicende
della vita terrena.
— 5-6. se ben vedi ecc. ; perdonami seb-
bene io pianga (e quindi commetta un' in-
giustizia contro di te, che morendo hai tro-
vato la vita); perdonami; perché io mi la-
mento non già... ma perché son rimaso.
171. 5-6. Mi serra... uscir; il mio fallire
mi serra l'uscir, l'uscita del fango di que-
sta vita, dietro la tua traccia.
172. 3. fatto è. Per la sconcordanza cfr.
e. V, 58, n. 5.
L' Italia, il regno Franco e l' Alemanno.
Oh quanto, quanto il mio Signore e Zio,
Oh quanto i Paladin da doler s' hanno!
Quanto l'Imperio e la Cristiana Chiesa,
Che perduto han la sua maggior difesa!
173
Oh quanto si terrà per la tua morte
Di terrore a nimici e di spavento!
Oh quanto Pagania sarà più forte!
Quanto animo n'avrà, quanto ardimento!
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto, e '1 grido sento.
So che m'accusa, e forse odio mi porta,
Che per me teco ogni sua speme è morta:
174
Ma, Fiordiligi, al raen resti un conforto
A noi che siàn di Brandimarte privi;
Ch' invidiar lui con tanta gloria morto
Denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Decii, e quel nel Roman foro absorto,
Quel si lodato Cedro da gli Argivi,
Non con più altrui profitto e più suo onore
A morte si donar, del tuo Signore.
17.')
Queste parole et altre dicea Orlando.
In tanto i bigi, i bianchi, 1 neri frati,
E tutti gli altri chierci seguitando
Andavan con lungo ordine accoppiati,
173. 2. a nimici, ai nemici. V. e. ir, 15,
n. 8.
174. 3. Che. È congiunz. dichiarativa di
conforto.
— 5. Quei Decii. « Tre consoli di questo
nome si sacrilicarono per la patria: il pa-
dre nella battaglia coi Latini presso il Ve-
suvio (340 a. C); il figlio presso Sentino
nella guerra con gli Etruschi (295), il ni-
pote presso Ascoli Satinano nella guerra
con Pirro (297) . (Romizi). — quel nel R. f.
abs. M. Curzio, che armato e a cavallo si
precipitò nella voragine, che si era aperta
nel Foro, per placare gli Dei irati contro
Roma (356 a. C). — absorto, assorbito. V.
e. XIV, 6, n. 5.
— 6. Cedro, ultimo re d'Atene, cercò di
farsi uccidere dai nemici Spartani, perché
l'oracolo Delfico avea predetta la vittoria
a quel popolo, il cui capo fosse stato uc-
ciso.
175. 3-4. seguitando andavan. Veramente
parrebbe significasse andavano sfilando.
Di questo significato però non trovo esem-
pio. Quindi o deve ritenersi un uso spe-
ciale deirAriosto; o forse meglio inten-
derai: mentre Orlando diceva queste pa-
role, i frati e tutti gli altri chierci an-
davano a disporsi in fila lunga e doppia
gli uni di seguito agli altri — Petrarca,
Canz. « Spirto gentil » v. 60: « E i neri fra-
ticelli e i bigi e i bianchi ».
606
ORLANDO FURIOSO
Per l'alma del defunto Dio piegaudo,
Che gli donasse requie tra' beati.
Lumi inanzi e per mezzo e d'ognintorno,
Mutata aver parean la notte in giorno.
176
Levan la bara, et a portarla foro
Messi a vicenda Conti e Cavallieri.
Purpurea seta la copria, che d'oro
E di gran perle avea compassi altieri:
Di non men bello e signoril lavoro
Avean gemmati e splendidi origlieri;
E giacca quivi il cavallier con vesta
Di color pare, e d'un Javor contesta.
177
Trecento agli altri eran passati inanti,
De' più poveri tolti de la terra,
Parimente vestiti tutti quanti
Di panni negri e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altretanti
Grossi cavalli e tutti buoni a guerra;
E i cavalli coi paggi ivano il suolo
Radendo col lor abito di duolo.
178
Molte bandiere inanzi e molte dietro,
Che di diverse insegne eran dipinte.
Spiegate accompagnavano il feretro;
Le quai già tolte a mille schiere vinte,
E guadagnate a Cesare et a Pietro
Avean le forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
Guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
— 7. inanzi e p. m. e d'o. int. ; sulla fronte
del corteo funebre, nel mezzo e ai lati d'o-
gni intorno.
176. 2. a vicenda. Xon intendere che l'av-
vicendamento fosse tra conti e cavalieri,
ma che conti e cavalieri insieme si doves-
sero dare il cambio, per alleggerirsi la fa-
tica.
— i. compassi. Propriamente è uno stru-
mento noto da prender misure e far circoli.
Quindi si dissero compassi in arcliitettura
certi spazi tondi, come occhi o altro per
dar luce o per porvi ornamenti: questo si-
gnificato fu poi trasferito anclie nell' arte
del ricamo. Boccaccio, Nov. 99: «E fecevi
por sopra una coltre lavorata a certi com-
passi di perle grossissime... e due guanciali
quali a cosi fatto letto si richiedeano ». —
altieri, splendidi, di gran bellezza. Cosi nel
e. xn, 8, 2 « palazzo altiero »; vedi la nota.
— 0. Avean; vi^erano. Cosi arere, senza
la particella vi, nel e. xl, 41, 2; e e. xlv,
4J, 3, dove troverai la nota.
— 8. pare, pari. — d'un lavor, d'uno stes-
so lavoro ricamata.
178. 8. aveano i segni; avevano le inse-
gne. C. XXIV, 18: «che ne lo scudo il se-
gno antico vide dipinto di sua stirpe al-
tiera ». Come si trovavano qui le molte e
179
Venian cento e cent'altri a diversi usi
De l'esequie ordinati; et avean questi,
Come anco il resto, accesi torchi; e chiusi,
Pili che vestiti, eran di nere vesti.
Poi seguia Orlando, e ad or ad or suffusi
Di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti;
Né pili lieto di lui Rinaldo venne:
Il pie Olivier, che rotto avea, ritenne.
180
Lungo sarà s' io vi vo' dire in versi
Le cerimonie, e raccontarvi tutti
I dispensati manti oscuri e persi.
Gli accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi alla chiesa cattedral conversi,
Dovunque andar, non lasciaro occhi a-
(sciutti :
Si bel, si buon, si giovene a pietade
Mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
181
Fu posto in chiesa; epoichedaledoune
Di lacrime e di pianti inutil opra,
E che dai sacerdoti ebbe eleisonne
molte bandiere e l'armi tolte da Brandi-
marte a mille schiere nemiche? Nei ro-
manzi cavallereschi non possiamo chieder
conto di simili particolari: i cavalieri cam-
minano notte e giorno senza mangiare e
senza dormire; hanno i danari a loro vo-
lontà, cavalli, armi e servi quanti al mo-
mento occorrono. Siamo insomma in un
mondo fantastico, dove il verosimile si ac-
compagna sempre al maraviglioso.
180. 3. persi. V. e. xi, 11, u. 1.
— 7. SI bel ecc. Sottintendi: nomo, guer-
riero o simile.
181. 1-2. da le donne. Il parlare di questa
inutil opra di sole donne dopo aver detto
nella st. precedente, che tutti piangevano ;
e l'unire quest' oi^ra alle altre cerimonie
rituali dà la certezza che qui si tratta di
donne prezzolate. E vengono in conferma
di questa opinione i costumi del tempo. U
Muratori (Anticìtitàltal. dissert. 23) e il Du
Gange sotto cantatrices dimostrano l'uso
di queste donne nei funerali cristiani du-
rante tutto il Medio evo. Erano dette can-
tatrices, lameìitatrices, computatrices, ed
erano uno strascico delle antiche prefiche.
Il Muratori cita a conferma gli statuti di
Modena, Reggio, Ferrara, Milano, che nel
secolo XIII proibivano questo costume. 11
quale dura anch'oggi in alcuni luoghi, spe-
cialmente della bassa Italia. E l'Ariosto
molto opportunamente in questa descrizio-
ne si riferisce a tale usanza.
— 3. eleisonne (gr. eléeson, abbi miseri-
cordia) ; è espressione, che entra spesso
nelle preghiere della chiesa cattolica, e an-
che nell'esequie dei morti.
CANTO XLni
607
E gli altri santi detti avuto aopra,
In una arca il serbar su due colonne:
E quella vuole Orlando che si cuopra
Di ricco drappo d'or, sin che reposto
In un sepulcro sia di maggior costo.
182
Orlando di Sicilia non si parte,
Che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
Inarrar con gran premio i miglior mastri.
Fé' le lastre, venendo in questa parte.
Poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
Che quivi (essendo Orlando già partito)
Si fé' portar da l'Africano lito.
183
E vedendo le lacrime indefesse,
Et ostinati a uscir sempre i sospiri;
Né per far sempre dire uffici e messe.
Mai satisfar potendo a' suoi disiri;
Di non partirsi quindi in cor si messe,
Fin che del corpo l'anima non spiri:
E nel sepolcro fé' fare una cella,
E vi si chiuse e fé' sua vita in quella.
184
Oltre che messi e lettere le mande,
Vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pension ben gran-
Compagna vuol di Galerana farla: [de
Quando tornare al padre anco domande.
Sin alla Lizza vuole accompagnarla:
Edificar le vuole un monastero.
Quando servire a Dio faccia pensiero.
185
Stava ella nel sepulcro, e quivi attrita
Da penitenzia, orando giorno e notte,
— 4. E gli altri ecc.; ebbe avuto sopra
(sono preghiere che si fanno presente il
cadavere e proprio sopra di esso) eleisonne
e gli altri detti (preghiere) santi.
— 6-7. si cnopra di r. d. d'or. Coprire le
tombe di ricchi drappi nei funerali di uo-
mini insigni era usanza comune nel medio
evo, come appare dalle Antichità Hai. del
Muratori, Diss. 23.
183. 2. Che; fin che. V. e. xiii, 7, n. 4.
— 4. Inarrar. Propriamente accaiìarra-
re, impegnare con arra; ma come si usa
comunemente accapat^rare nel senso d'im-
pegnare, cosi avviene qui, con estensione
di significato, per inarrare. Dunque : im-
pegna con gran premio i migliori maestri
di quell'arte.
184. 4. Galerana, moglie di Carlomagno,
figlia di Galafro re di Spagna, convertitasi
per amore, al cristianesimo.
— 6. alla Lizza. Fiordiligi era figlia di
Dolistone re della Lizza (l'antica Laodicea
nella Siria). V. e. viii, 88.
185. 1. attrita (lat. attrita, consumata).
Nella st. 193 vale compunto.
Non durò lunga età, che dì sua vita
Da la Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avea da l' isola partita.
Ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
I tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
Che '1 quarto lor compagno a dietro resti.
186
Non volean senza medico levarsi,
Che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
La qual, perché a principio mal pigliarsi
Potè, fatt'era faticosa e dura:
E quello udiano in modo lamentarsi,
Che del suo caso avean tutti paura.
Tralordi ciò parlando, al nocchier nacque
Un pensiero, e lo disse, e a tutti piacque.
187
Disse ch'era di là poco lontano
In un solingo scoglio uno Eremita,
A cui ricorso mai non s'era invano,
0 fosse per consiglio o per aita;
E facea alcuno effetto sopr'umano.
Dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,
Fermai'e il vento ad un segno di croce,
E far tranquillo il mar quando è pili atro-
188 [ce ;
E che non denno dubitare, andando
A ritrovar quell'uomo a Dio si caro.
Che lor non renda Olivier sano, quando
Fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio si piacque ad Orlando,
Che verso il santo loco si drizzare;
Né mai piegando dal camin la prora,
Vider lo scoglio al sorger de l'aurora.
189
Scorgendo il legno uomini in acqua dot-
Sicuramente s'accostaro a quello. [ti,
Quivi aiutando servi e galeotti.
Declinano il Marchese nel battello:
E per le spumose onde fur condotti
Nel duro scoglio, et indi al santo ostello;
— 3. Non dorò ecc. Nota il Raina che an-
che la figlia di Norhombellande non vuole
abbandonare la sepoltura di Febus, e muore
li presso.
— 5. avea, aveano. V. e. ix, 82, n. 8. Ei'ano
partiti dall'isola dei Ciclopi, dalla Sicilia.
186. 6. del suo caso, del suo pericolo :
aveano paui'a che egli fosse in pericolo
della vita.
187. 6. Dar lume. È dichiarativo di effet-
to. Più chiaramente ci dovrebbe essere un
come.
188. 3. quando, poiché.
— 7. camin ; via diritta per quel luogo.
V. st. 125, 1.
189. 1. Scorgendo, guidando. Dante, Pur^r.
21, 21 : « Chi v'ha per la sua scala tanto scor-
te?»
— 4. Declinano, calano. Cosi nel e. xxxix,
37, 3.
608
ORLANDO FURIOSO
Al santo ostello, a quel vecchio vnedesmo,
Per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
190
Il servo del Signor del Paradiso
Raccolse Orlando et i compagni suoi,
E benedilli con giocondo viso,
E de' lor casi diraandoUi poi;
Ben che di lor venuta avuto avviso
Avesse prima dai celesti Eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
Per ritrovar al suo Oliviero aiuto;
191
Ch'era pugnando per la fé di Cristo,
A periglioso termine ridutto.
Levògli il Santo ogni sospetto tristo,
E gli promise di sanarlo in tutto.
Né d'unguento trovandosi provisto,
Né d'altra umana medicina instrutto,
Andò alla chiesa, et orò al Salvatore;
Et indi usci con gran baldanza fuore;
192
E in nome de le eterne tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
Ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtù che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò dal cavalllero ogni passione,
E ritornèlli a sanitade il piede.
Più fermo e più espedito che mai fosse;
E presente Sobrino a ciò trovosse.
193
Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,
Che star peggio ogni giorno se ne sente,
Tosto che vede del monaco santo
Il miracolo grande et evidente.
Si dispon di lasciar Macon da canto,
E Cristo confessar vivo e potente:
E domanda con cor di fede attrito,
D' iniciarsi al nostro sacro rito.
190. 2. Raccolse, accolse. V. e. vii, 9, n. 3.
191. 5. proTisto. Cosi leggono l'ediz. del
1516 e '21; la '32 per errore prevvisto; né
comprendo la ragione, per cui il Panizzi
lia voluto ritenere questa lezione.
— 6. instrutto ; (lat. instructu-s), fornito.
In questo senso si cita solamente l'Ariosto.
La N. Crusca non lo registra.
— 7. orò al S. Il costrutto con a fu già
usato da Dante, Purg. 15, 112: «Orando
all' alto Sire ».
192. 5. passione; dolore, o anche infer-
mità. Nell'uno e nell'altro senso l'usarono
spesso gli antichi.
193. 8. iniciarsi, iniziarsi, essere avviato
(ai misteri della religione). Il Tommaseo ci-
tando questo luogo con la forma iniziarsi,
lo intende, a torto, batteszarsi. Sebbene
alcuni scrittori latini cristiani usassero iìii-
tiari in questo senso; qui è chiaro l'altro
significato comune, specialmente per il com-
194
Cosi l'aom giusto lo battezza, et anco
Gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavallier non manco
Di tal conversion letizia fero.
Che di veder che liberato e franco
Del periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;
E molto in fede e in devozione accrebbe.
195
Era Ruggier dal di che giunse a nuoto
Su questo scoglio, poi statovi ogniora.
Fra quei guerrieri il Vecchiarel devoto
Sta dolcemente, e li conforta et óra
A voler, schivi di pantano e loto.
Mondi passar per questa morta gora
C ha nome vita, che si piace a' sciocchi;
Et alle vie del ciel sempre aver gli occhi.
196 [ne
Orlando un suo mandò sul legno,etrar-
Fece pane e buon vin, cacio e persutti;
E all'uom di Dio, ch'ogni sapor di starne
Pose in oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,
Per carità mangiar fecero carne,
E ber del vino, e far quel che fèr tutti.
Poi ch'alia mensa consolati foro,
Di molte cose ragionar tra loro.
197
E come accade nel parlar sovente,
Ch'una cosa vien l'altra dimostrando;
Ruggier riconosciuto finalmente
Fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando
Per quel Ruggiero in arme si eccellente.
Il cui valor s'accorda ognun lodando :
Né Rinaldo l'avea raffigurato
Per quel che provò già ne lo steccato.
198
Ben l'avea il Re Sobrin riconosciuto.
Tosto che '1 vide col Vecchio apparire;
Ma volse inanzi star tacito e muto,
Che porsi in avventura di fallire.
Poi ch'a notizia agli altri fu venuto
Che questo era Ruggier, di cui l'ardire.
La cortesia, e '1 valore alto e profondo
Si facea nominar per tutto il mondo;
plemento al nostro s. rito. È forma non
registrata dai vocabolari.
194. 8. accrebbe, crebbe. Sacchetti, nov.
2: «vivono e accrescono».
190. 2. persutti. Nella ediz. del 1516: pre-
Slitti. La prima specialmente credo sia la
forma emiliana, che ancora si usa.
— 3. 0. s. di starne. Qui vale : ogni sa-
pore delicato.
— 5. Per carità; « per amor loro » (Bolza).
È modo che forse l'Ar. ha derivato dalla
espressione far carità, che tra persone
spirituali significò mangiare insieme come
per segno di carità fraterna.
CANTO XLIII
609
E sapendosi già ch'era Cristiano,
Tutti con lieta e con serena faccia
Tengono a lui: chi gli tocca la mano,
E chi lo bacia, echi lo stringe eabbraceia.
Sopra gli altri il Signor di Montalbano
D'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso più degli altri, io'i serboadire
Ne l'altro Canto, se '1 vorrete udire.
199. 6. d'accarezzarlo, d' usargli cortesie
V. e. XXXI, 110, n. 3.
CANTO XLIV
Spesso in poveri alberghi e in picciol
Ne le calamitadi e nei disagi, [tetti.
Meglio s'aggiungon d'amicizia i petti,
Che fra ricchezze invidiose et agi
De le piene d'insidie e di sospetti
Corti regali e splendidi palagi.
Ove la caritade è in tutto estinta,
Né si vede amicizia, se non fìnta.
2
Quindi avvien che tra Principi e Signori
Patti e convenzion sono si frali.
Fan lega oggi Ke, Papi e Imperatori,
Doraan saran nimici capitali:
Perché, qual l'apparenze esteriori,
Non hanno i cor, non han gli animi tali;
Che, non mirando al torto più ch'ai dritto,
Attendon solamente al lor profitto.
3
Questi, quantunque d'amicizia poco
Sieno capaci, perché non sta quella
Ove per cose gravi, ove per giuoco
Mai senza finzion non si favella;
Pur, se taior gli ha tratti in umil loco
Insieme una fortuna acerba e fella,
In poco tempo vengono a notizia
(Quel che in molto non fèr) de l'amicizia.
1. 3. s'agg. d'amie; si giungono, si con-
giuiigono con aiuicizia. Aella st. -1, 2-3, si
ha l'espress. : giungere ad amor — Agaiun'
gere per congiungere nel e. iii, 27, 2. Di per
con e. XXV 53, 5, e altrove.
— 4. invidiose, che destano invidia. Si-
mile è quel del Petrarca, Tr. F. 3, 87 :
« Credendo as-erne invidiosi patti (vantaggi
da doversi invidiare) ». Vedi però la diffe-
renza fra i due significati. Proprio come
l'Ar. l'usò anche il Guicciardini, Op. ined.
10, 216: « io avessi tanta felicità, che fussi
quasi invidioso agli amici ». Ed è uso ve-
nutoci dal latino: Cicer. Agr. 2, 26: « pos-
sessiones invidiosas ».
2. 2. frali, non resistenti. Senso figurato,
per cui si cita solamente quest'es. dell'.^r.
— 7. non mirando, non avendo riguardo.
V. e. XXXVI, 51, n. 6.
3. 7. a notizia, a conoscenza. V. e. vi, 9,
u. 1 : conoscono che cosa sia l'amicizia^
Il santo Vccchiarel ne la sua stanza
Giunger gli ospiti suoi con nodo forte
Ad amor vero meglio ebbe possanza.
Ch'altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza.
Che non si sciolse mai fin alla morte.
Il Vecchio li trovò tutti benigni.
Candidi più nel cor, che di fuor cigni.
5
Trovolli tutti amabili e cortesi.
Non de la iniquità eh' io v' ho dipinta
Di quei che mai non escono palesi.
Ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s'eran per a dietro offesi
Ogni memoria fu tra loro estinta;
E se d'un ventre fossero e d'un seme.
Non si potriano amar più tutti insieme.
6
Sopra gli altri il Signor di Montalbano
Accarezzava e riveria Ruggiero;
Si perché già l'avea con l'arme in mano
Provato, quanto era animoso e fiero;
Si per trovarlo aft'abile et umano
Più che mai fosse al mondo cavalliero:
Ma molto più, che da diverse bande
Si conoscea d'avergli obligo grande.
7
Sapea che di gravissimo periglio
Egli avea liberato Ricciardetto,
4. 2-3. Giunger g. o .. ad amor. Avvertila
novità dell' immagine. Comunemente: con-
giungere gli ospiti... in amor; qui invece
si dicono congiunti ad amor. Nota pure la
solita omissione della prepos. : di giungere.
— 8. Candidi; schietti, aperti, leali. Que-
sto siguificato è reso certo da quello che
segue nell'altra stanza.
5. 2. Non de la iniq. ; non li trovò di quella
iniquità ecc.
— 3. non escono palesi; appariscono, si
mostrano palesi, aperti, leali. Caro. En. 6,
296: «il color d'oro. Che diverso dal verde
liscia raggiando ».
C. 8. Si conosca d'av. La forma riflessiva,
con siguificato un po' differente, l'abbiamo
anche nel e xxiii, 87, 7; i vocabolari non
la citano.
ÀEIOSTO — Papin
39
610
ORLANDO FURIOSO
Quando il Re Ispano gli fé' dar di piglio,
E con la figlia prendere nel letto;
E ch'avea tratto l'uno e l'altro figlio
Del duca Buovo (com' io v' ho già detto)
Di man dei Saraciui e dei malvagi
Ch'eran col Maganzese Bertolagi.
8
Questo debito a lui parca di sorte,
Ch'ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
E gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
Che prima non avea potuto farlo.
Quando era l'un ne l'Africana corte,
E l'altro a gli servigi era di Carlo:
Or che fatto Cristian quivi lo trova,
Quel che non fece prima, or far gli giova.
9
Proferte senza fine, onore e festa
Fece a Ruggiero il Paladin cortese.
Il prudente Eremita, come questa
Benivolenzia vide, adito prese.
Entrò dicendo: A fare altro non resta
(E lo spero ottener senza contese),
Che come l'amicizia è tra voi fatta.
Tra voi sia ancora affinità contratta;
10
Acciò che de le due progenie illustri
Che non han par di nobiltade al mondo.
Nasca un lignaggio che più chiaro lustri,
Che '1 chiaro sol, per quanto gira a tondo;
E come audran più inanzi et anni e lustri,
Sarà più bello, e durerà (secondo
Che Dio m'inspira, acciò ch'a voi noi celi)
Fin che terran l'usato corso i cieli.
11
E seguitando il suo parlar più inante.
Fa il sauto Vecchio si, che persuade
Che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante;
Benché pregar né l'un né l'altro accade.
Loda Olivier col Principe d'Anglante,
8. 2. lo stringeano. È una costruzione a
senso. Intendi: queste cose, che ha detto
nelU) st. precedente, a lui parevano un de-
bito di tal maniera che lo stringevano ecc.
— ». gli giova, gli piace, vuole. ÈTiuvat
dei Latini.
9. 4. adito prese; prese l'opportunità. Ma
e' è in questo modo 1' immagine della via
aperta, onde entrare a dire.
— 6. lo spero ott.; spero ottenerlo. V. e.
I, 47, n. 6.
10. 1. le due prog. ili.; della progenie di
Ruggero e di Bradamante. Qui per meto-
nimia dice le progenie per dire i due pro-
genitori, i quali, sia per la loro comune ori-
gine dai Troiani, sia per le loro gesta insi-
gni, non avevano pari al mondo per nobiltà.
11. 4. accade, occorre, è necessario.
— 5-6. Loda... che f. si debba. Vi è uno
dei soliti scorci, tante volte avvertiti : loda
questa afiSnità e dice che far si debba.
Che far si debba questa afiìuitade;
Il che speran ch'approvi Amone e Carlo,
E debba tutta Francia commendarlo.
12
Cosi dicean; ma non sapean ch'Araone,
Con voluntà del figlio di Pipino,
N'avea dato in quei giorni intenzione
Air Imperator Greco Costantino,
Che glie le domandava per Leone
Suo figlio e successor nel gran domino.
Se n'era, pel valor che n'avea inteso,
Senza vederla, il giovinetto acceso.
13
Risposto gli avea Amon, che da sé solo
Non era per concludere altramente,
Né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da la corte allora assente;
Il qual credea che vi verrebbe a volo,
E che di grazia avria si gran parente:
Pur, per molto rispetto che gli avea,
Risolver senza lui non si volea.
14
Or Rinaldo lontan dal padre, quella
Pratica imperiai tutta ignorando.
Quivi a Ruggier promette la sorella
Di suo parere, e di parer d'Orlando
E degli altri ch'avea seco alla cella,
Ma sopra tutti l'Eremita instando:
E crede veramente che piacere
Debba ad Amon quel parentado avere.
15
Quel di e la notte, e del seguente giorno
Steron gran parte col monaco saggio,
Quasi obliando al legno far ritorno,
Benché il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri a cui tanto soggiorno
Increscea omai, mandar più d'un messag-
Che si li stimolar de la partita, [gio,
Ch'a forza li spiccar da 1' Eremita.
12. 3. intenzione, promessa. Cosi nel e.
vir, 78, 5.
— 5. glie le; glie la. V. st. 17, 7 e e. xnt,
50, n. 4. Questa e le due st, segg. sono ag-
giunte per l'ediz. del 1532.
13. 2. altramente, affatto. Cosi nel e. x,
19, 4: vedi la nota.
— 5. vi verrebbe a volo. È modo non chia-
ro. Il Casella intende « consentirebbe di gran
cuore », cioè verrebbe subito senza difficol-
tà, o, come si dice popolarmente, verrebbe
di volo a questo assentimento. Non mi pare
che da tutto T insieme se ne possa trarre
altra interpretazione.
15. 4. al 1. viaggio. È un complemento di
comodo: spirasse in favore del loro viaggio.
Confronta altre locuzioni « Lavorare, ado-
prarsi alla felicità di uno » « Faceva ciò a
mia disperazione ecc. ».
— 7. Che si li st. della partita; i quali
CANTO XLIV
611
IG
Euggier che stato era in esilio tanto,
Né da Io scoglio avea mai mosso il piede,
Tolse licenzia da quel Mastro santo
Ch' insegnata gli avea la vera Fede.
La spada Orlando gli rimesse a canto,
L'arme d' Ettorre, e il buon Frontin gli
[diede;
Si per mostrar del suo amor segno espres-
si per saper che dianzi erano d'esso, [so
17
E quantunque miglior ne l' incantata
Spada ragione avesse il Paladino,
Che con pena e travaglio già levata
L'avea dal formidabile giardino.
Che non avea Ruggiero a cui donata
Dal ladro fu, che gli die ancor Frontino ;
Pur voleutier glie le donò col resto
De l'arme, tosto che ne fu richiesto.
18
Fur benedetti dal Vecchio devoto,
E sul navilio al fin si ritornare.
I remi all'acqua, e dier le vele al Noto;
*E fu lor si sereno il tempo e chiaro,
Che non vi bisognò priego né voto.
Fin che nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, eh' io conduca
Insieme Astolfo, il glorioso Duca.
19
Poi che de la vittoria Astolfo intese.
Che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
Vedendo che sicura da l'offese
D'Africa oggimai Francia esser potrebbe,
Pensò che '1 Re de' Nubi in suo paese
messaggi si li st. quanto alla partenza. È
complemento di limitazione.
16. 7-S. per-per. Nota il diverso valore
dei due per; uno è finale l'altro è causale.
17. 1. E quantunque ecc. Per questi fatti
a cui si accenna intorno alla stoi-ia di Ba-
lisarda cfr. e. xxvii, 70-72 e la nota 1-8,
st. 72,
— 7. glie le; glie la; come nella st. 12, 5.
Che si debba riferire a Balisarda si rileva
sicuramente dalla prima edizione: «non
men volentier che l'altro arnese .'V.Ua prima
domanda gli la rese ». — Ruggero, secondo
il costume del buon cavaliere, dovette, ap-
pena vide le sue armi e il suo cavallo, ri-
chiederli: e se non gli fossero state rese
avrebbe dovuto combattere.
18. 3. al Noto. Non credo, come credono
alcuni, che qui stia per vento in generale.
Per venire da queste regioni meridionali a
Marsiglia occorreva proprio il vento di mez-
zogiorno. Per la slessa ragione Virgilio
disse, En. 3, 268: « Tendunt vela Noti».
19. 2. s'ebbe; si ebbe dai Cristiani: poco
lieta per la morte di Braudimarte.
— 5-6. Pensò cbe ... rimanderebbe; pensò
di rimandare. V. e. i, 38, n. 6.
Con l'esercito suo rimanderebbe
Per la strada medesima che tenne
Quando contra Biserta se ne venne.
20
L'armata che i Pagan roppe ne l'onde.
Già rimandata avea il figliuol d'Uggiero;
Di cui, nuovo miracolo, le sponde
(Tosto che ne fu uscito il popol Nero)
E le poppe e le prore mutò in fronde,
E ritoruolle al suo stato primiero:
Poi venne il vento, e come cosa lieve
Levolle in aria, e fé sparire in breve.
21
Chi a piedi e chi in arcion tutte partita
D'Africa fèr le Nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
Grazia al Senàpo et immortale avere;
Che gli venne in persona a dare aita
Con ogni sforzo et ogni suo potere.
Astolfo lor ne l'uterino claustro
A portar diede il fiero e turbido Austro.
22
Negli utri, dico, il vento die lor chiuso,
Ch'uscir di mezzodi suol con tal rabbia.
Che muove a guisa d'onde, e leva in suso,
E ruota fin in ciel l'arrida sabbia;
Acciò se lo portassero a lor uso,
Che per camino a far danno non abbia;
E che poi, giunti ne la lor rcj^ione,
Avessero a lassar fuor di prigione.
20. 1. L'armata ecc. V. e. xxxi.K, 78.
— 6. suo, loro.
21. 3-J. si chiamò... avere, dichiarò d'ave-
re. Vedi per questo modo il e. xviii, 66,
n. 3.
— 7. uterino. Aggettivo, che l'Ar. ha for-
mato da utre. Si cita questo solo esempio.
— claustro; chiuso, recipiente. E uso simile,
ma un po' diverso da quello del e. xix,78, 3.
22. 1. Negli ntri. Perché nel e. xxxviti il
singolare e qui il plurale? Là forse dominò
nella mente del Poeta il ricordo d'Omero,
che d'un solo otre parla, qui il ricordo di
OVIDIO, Amor. 3, 12, 29, che riferendo la
favola omerica dice: « Aeolios inclusimus
utribus Euros ».
— 4. arrida. L'Ar. amò spesso questa for-
ma, che forse è dialettale: e. xxvi, 103, 1;
XXIX, 58.
— 5. a lor uso, a loro vantaggio, a loro
comodo. Cosi diciamo: Lezioni di storia
ad uso delle classi ginnasiali. È il modo
latino ad usum, in vantaggio.
— 6. Che, in modo che.
— 7. E che. È coordinato ad acciò del v,
5 e lo compie. L'Ar. usa spesse volte acciò
invece di acciò che, uso che a torto i gram-
matici riprovano, non curando esempi del
Boccaccio, del Villani, dell'Ariosto, del Lippi
612
ORLANDO FURIOSO
23
Scrive Turpiuo, come furo ai passi
De l'alto Atlante, che i cavfilli loro
Tutti in un tempo diventaron sassi;
Si che, come venir, se ne tornerò.
Ma tempo è ornai ch'Astolfo in Francia
E cosi, poi che del paese Moro [passi;
Ebbe provisto ai luoghi principali,
All' Ippogrifo suo fé' spiegar l'ali.
24
Volò in Sardigna in un batter di penne,
E di Sardigna andò nel lito Corso;
E quindi sopra il mar la strada tenne.
Torcendo alquanto a man sinistra il mor-
Ne le maremme all'ultimo ritenne [so.
De la ricca Provenza il leggier corso,
Dove segui de l'Ippogrifo, quanto
Gli disse già l'Evangelista santo.
25
Hagli commesso il santo Evangelista,
Che più, giunto in Provenza, non lo spro-
E ch'air impeto fìer più non resista [ni :
Con sella e fren, ma libertà gli doni.
Già avea il più basso ciel che sempre ac-
(quista
Del perder nostro, al corno tolti i suoni ;
Che muto era restato, non che roco,
Tosto ch'entrò '1 Guerrier nel divin loco.
e di altri. Or bene qui abbiamo nel v. 5 il
solo acciò, nel v. 6 acciò che.
23. 1. Scrive T.; V. e. xiii, 40, n. 2.
— 4. venir, vanirò. V. e. vi, SI, n. 3. —
tornerò, tornarono. È terminaz. non rara
negli antichi, fatta dalla 3' sing. tornò. V.
e, xviii, 162, n. 3.
24. 7. segni, esegui. Cosi il Caro, En. 2,
292 : « A ciò seguire (a eseguire quanto tutti
volevano) immantinente accinti»; e il Boc-
caccio, nov. SO: « II quale, piacendo il fatto,
si mise in avventura di volerlo seguire ».
L'ediz. del 1516 aveva eseguire. 11 Panizzi
dunque a torto dice il segui inintelligibile,
e a torto lo seguono il Camerini, il Casella,
il Romizi e altri.
23. 5. il più basso ciel; il ciel della Luna,
che acquista ciò che si perde quaggiù, avea
reso non solo rauco, ma muto il corno in-
cantato, dato ad Astolfo da Logistilla. Il di-
vin loco, non è dunque, come intendono
alcuni, il paradiso terrestre, ma il cielo
della Luna.
— S. il Guerrier. L'ediz. del 1532 ha Rug-
ger, ma è evidente errore di stampa già
corretto dal Barotti e dal Morali; perché
non Ruggero, ma Astolfo entrò nel divin 1.
La prima ediz. legge diversamente : « Tosto
che si trovò nel divin loco ». Il cambiamen-
to fu fatto per l'ed. del 1521 e sembra strano
che in 11 anni l'Ar. non si accorgesse del-
l'errore. E pur non se ne accorse.
26
Venne Astolfo aMarsilia,evenneapun-
II di che v'era Orlando et Oliviero (to
E quel da Montalbano insieme giunto
Col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
Vietò che i Paladini non poterò
Insieme cosi a punto rallegrarsi,
Come in tanta vittoria dovea farsi.
^ 27
Carlo avea di Sicilia avuto avviso
Dei duo Re morti, e di Sobrino preso,
E ch'era stato Brandimarte ucciso:
Poi di Ruggiero avea non meno inteso;
E ne stava col cor lieto e col viso
D'aver gittato intollerabil peso,
Che gli fu sopra gli omeri si greve.
Che starà un pezzo pria che si rileve.
28
Per onorar costor ch'eran sostegno
Del santo Imperio, e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
Ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli usci poi col suo drappel più degno
Di Re e di Duci, e con la propria Donna,
Fuor de le mura, in compagnia di belle
E ben ornate e nobili donzelle.
29
L'Imperator con chiara e lieta fronte,
I Paladini e gli amici e i parenti.
La nobiltà, la plebe fanno al Conte
Et agli altri d'amor segni evidenti:
Gridar s'ode Mongraua e Chiaramonte.
Si tosto non finir gli abbracciamenti,
2G. 5. sozio, socio, compagno: Brandi-
marte.
— 6. vietò che... non. V. e. v, 53, n, 1.
27. 8. si rileve, si rialzi; rialzi comple-
tamente le spalle. Anche oggi diciamo di
uno che ha avuto grave disgrazia: «starà
un pezzo a rialzar la testa ».
2S. 6. Duci, Duchi. V. e. xxxiv, 8, n. 3. —
1. pr. Donna, Galerana.
29. 5. Mongrana e Chiar. I commentatori
sbagliano dicendo che sono i nomi delle
famiglie di Rinaldo e di Orlando. Orlando e
Rinaldo eran figli di fratelli (Milone e Amo-
ne), che discendevano ambedue da Bernardo
di Chiaramonte. Dunque l' Ar. volle con
questi due nomi rilevare tutti i principali
guerrieri francesi, che erano acclamati dal
popolo, e appartenevano tutti a queste due
case; specialmente Rinaldo e Orlando di
Chiaramonte, e Oliviero di Mongrana. Vedi
le due ampie genealogie nei Reali di Fran-
cia, libro 5, cap. 9.
— G. Si tosto ecc.; Gli abbracc. non fini-
rono cosi presto. Nell'ediz. del 1516: «gli
abbracciamenti non finir si presto ». Mi
pare quindi che si debba staccare questo
CANTO XLIV
613
Rinaldo e Orlando insieme et Oliviero
Al Signor loro appresentàr Ruggiero;
30
E gli narrar che dì Ruggier di Risa
Era figliuol, di virtii uguale al padre.
Se sia animoso e forte, et a che guisa
Sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamaute in questo vien Marfisa,
Le due compagne nobili e leggiadre.
Ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
Con pili rispetto sta la l'altra donzella.
31
L' imperator Ruggier fa risalire.
Ch'era per riverenzia sceso a piede,
E lo fa a par a par seco venire,
E di ciò ch'a onorarlo si richiede,
Un punto sol non lassa preterire:
Ben sapea che tornato era alla Fede ;
Che tosto che i guerrier furo all'asciutto,
Certificato avean Carlo del tutto.
32
Con pompa trionfai, con festa grande
Tornaro insieme dentro alla cittade.
Che di frondi verdeggia e di ghirlande;
Coperte a panni son tutte le strade:
Nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
E sopra e intorno ai vincitori cade.
Che da verroni e da finestre amene
Donne e donzelle gittano a man piene.
verso con una punteggiatura più forte della
semplice virgola, che gli editori mettono.
Forse lian creduto di potere interpretare ;
Tosto che fluirono gli abb., Rinaldo e Or-
lando ecc. E il senso correrebbe certo più
spedito. In questo caso bisogua dare al si
tosto ... non il significato speciale di tosto
che 0 di non si tosto ... che.
— 8. appresentàr, presentar. V. e. xvi,
28, n. 3.
30. 4. le nostre sq., le squadre cristiane,
che il P. dice giustamente nostre.
— 5. in questo, in questa; fra tanto.
31. 5. preterire; passare seuza profittarne
(lat. praeterire). Con diverso significato nel
e. XXXV, 39. — Un punto. È detto per una
cosa piccolissima, come si dice, nello stesso
senso, una virgola, un apice, un ette.
— 6. tornato. V. e. XXXVi, 60.
32. 4. Coperte a panni, coperte con panni:
a per con vedilo nel e. xvi,48, 8; xxxi, 72,
4. É d'uso ancor vivo in molte locuzioni.
Si tratta di tendoni tirati in alto sulle strade
a guisa di baldacchino. Chi avesse il dub-
bio che si trattasse di tappeti, veda gli stessi
particolari meglio dichiarati nel e. xvii, 20 ;
dove alla strada coperta di panni si contrap-
pone la terra sparsa di erbe e di fiori.
— 7. verroni. Vedi questa forma, che forse
è dialettale, anche nel e. iv, 58; v, 47. —
finestre amene, donde si godeva un'amena
33
Al volgersi dei canti in varii lochi
Trovano archi e trofei subito fatti,
Che di Biserta le ruine e i fochi
Mostran dipinti, et altri degni fatti:
Altrove palchi con diversi giuochi,
E spettacoli e mimmi e scenici atti;
Et è per tutti i canti il titol vero
Scritto: Ai liberatori de l' Impero.
34
Fra il suon d'argute trombe, e di canore
Pifare, e d'ogni musica armonia,
Fra riso e plauso, giubilo e favore
Del popolo ch'a pena vi capia,
Smontò al palazzo il Magno Imperatore,
Ove pili giorni quella compagnia
Con torniamenti, personaggi e farse,
Danze e conviti attese a dilettarse.
vista. Potrai anche riferirlo, ma credo meno
bene, a donne: leggiadre, amabili.
Sì. 1. Al volg. dei canti; allo svoltare delle
cantonate.
— 2. subito fatti; fatti in un momento,
improvvisati.
— 6. spettacoli. Erano rappresentazioni
mute di cose mitologiche, o storiche, con
macchine e grande apparato. — mimmi.
Forse è forma dialettale. I mimi erano com-
ponimenti scenici greci e romani, che do-
vettero avere uno strascico anche nel medio
evo. Vi si rappresentavano, specialmente
per mezzo della mimica, scene e persone
della vita reale col principale intendimento
di far ridere. Si dissero cosi anche gli attori
stessi; ma qui forse si intendono quelle tali
composizioni drammatiche. — scenici atti,
azioni sceniche, drammi. Segni, Vers. poet.
di Arist. 279: « Alcuni... tali spezie di poesie
chiamano atti, che in greco son detti dra-
mata ».
— 7. il titol vero. Per tutte le cantonate
è scritto il titolo verace, che ad essi com-
pete, cioè di liberatori dell' Impero.
34. 2, Pifare, pifferi. È forma non regi-
strata.
— 7. personaggi, una specie di commedia
imperfetta, dove gli attori, all'usanza anti-
ca, portavan la maschera (lat. persona,
maschera) Pulci, Mory. 25, 23: « Per Sira-
gozza si facevau balli E giuochi e personag-
gi e fuochi e tresche ». Il Du Cange a Per-
sonayium illustra: « actio scenica, quae
per personas exprimitur » e dai documenti
medievali, che riferisce, appare che rappre-
sentavano i misteri della religione o anche
altri fatti varii. — farse ; piccole azioni
drammatiche molto in uso nel Cinquecento
e che dovevano essere molto antiche negli
usi popolari.
614
ORLANDO FURIOSO
35
Rinaldo un giorno al padre fé' sapere
Che la sorella a Ruggrier dar volea;
Ch'in presenzia d'Orlando per mogliere,
E d'Olivier, promessa glie l'avea;
Li quali erano seco d'un parere,
Che parentado far non si potea
Per nobiltà di sangue e per valore.
Che fosse a questo par, non che migliore.
36
Ode Amone il figliuol con qualche sde-
Che, senza conferirlo seco, gli osa [gno,
La figlia maritar, ch'esso ha disegno
Che del figliuol di Costantin sia sposa,
Non di Ruggier, il qual non ch'abbi regno
Ma non può al mondo dir: Questa è mia
Né sa che nobiltà poco si prezza, [cosa;
E men virtù, se non v'è ancor ricchezza.
37
Ma più d'Amon la moglie Beatrice
Biasma il figliuolo, e chiamalo arrogante;
E in segreto e in palese et atradice,
Che di Ruggier sia moglie Bradamante:
A tutta sua possanza Imperatrice
Ha disegnato farla di Levante.
8ta Rinaldo ostinato, che non vuole
Che manchi un iota de le sue parole.
38
La madre, ch'aver crede alle sue voglie
La magnanima figlia, la conforta
Che dica che più tosto ch'esser moglie
D'un pover cavallier, vuole esser morta;
36. 2. conferirlo Beco; Senza conferire di
ciò con lui. Per il costrutto cfr. e. xliii,
38, 2. — gli osa ecc., osa maritargli. Il yli è
una specie di complemento d' interesse, che
serve a rilevare appunto l' interessamento
della persona all'azione: si dice comune-
mente: che mi fail per il più semplice che
fati e simili. V. Fornaciari, Sint. p. 310.
Di qui (st. 36) sino alla fine del canto è giunta
per l'ediz. del 1532.
— 5. non ch'abbi r. ; non che abbia regno.
Per questo modo cfr. e. vn, 62, n. 1.
— 7. Né sa. Il soggetto è Rinaldo: che
gli osa ecc., né sa ecc.
87. 3. contradice, si oppone, nega. Cosi
nel e. v, 33; e cosi altri scrittori — Beatrice
rassomiglia ad Amata, che nell' Eneide si
oppone al matrimonio di Lavinia con Enea,
ma è tipo in gran parte studiato e ritratto
dal vero.
— 8. nn iota; non vuole che un solo iota
(lettera greca. Noi comunem: manchi una
òiilaba) delle sue parole manchi di essere
mantenuto.
38. 1. avere alle sne voglie; av. obbediente
alle s. V. Confronta gli altri modi simili :
avere al suo comando, ai suoi comandi;
ai suoi ordini ecc.
Ne mai più per figliuola la raccoglie,
Se questa ingiuria dal fratel sopporta:
Nieghi pur con audacia, e tenga saldo:
Che per sforzar non la sarà Rinaldo.
39
Sta Bradamante tacita, né al detto
De la madre s'arrisca a contradire;
Che l'ha in tal riverenzia e in tal rispetto,
Che non potria pensar non l'ubbidire.
Da l'altra parte terria gran difetto.
Se quel che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perché non può ; che '1 poco e '1
[molto
Poter di sé disporre Amor le ha tolto.
40
Né negar, né mostrarsene contenta
S'ardisce; e sol sospira, e non risponde:
Poi quando è in luogo ch'altri nonlasenta,
Versan lacrime gli occhi a guisa d'onde;
E parte del dolor che la tormenta,
Sentir fa al petto et alle chiome bionde;
Che l'un percuote, e l'altro straccia e fran-
E cosi parla, e cosi seco piange: [gè;
41
Ahimé! vorrò quel che non vuol chi deve
Poter del voler mio più che poss' io?
Il voler di mia madre avrò in si lieve
Stima, eh' io lo posponga al voler mio?
Deh! qual peccato puote esser si grieve
A una donzella, qual biasmo si rio.
Come questo sarà, se, non volendo
Chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?
42
Avrà, misera me! dunque possanza
La materna pietà, eh' io t'abandoni,
0 mio Ruggiero? e ch'a nuova speranza,
A desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
— 5. la raccoglie; la riconosce. È un'e-
stensione di significato, che manca nei vo-
cabolari. È chiaro che significa qualcosa
più che il semplice accoglie, accetta.
— 8. non la sarà; non sarà per sforzarla.
Solito spostamento della particella prono-
minale.
39. 2. s'arrisca. V. e. XXXViii, 51, n. 3.
— 4. pensar non l'ub.; pensar di non Tu.
— 8. Poter. È infinito usato sostantiva-
mente o sostantivo? Nel secondo <^aso con-
viene supplire un di: il potere di disporre
di sé : cfr. e. ii, 72, n. 3.
40. 2. S'ardisce. V. C. xvi, 5, n. 3.
— 7. l'nn... l'altro. Per il riferimento a
genere diverso cfr. e. xxxiv, 54, n. 4; e e.
XXVII, 116, 8.
41. 1-2. Come spesso negli sfoghi amorosi,
anche qui l'Ar. cade in sottigliezze e bistic-
ci. V. e. I, 41, n. 1; XXX, 79 ecc. Qui vuol
dire: vorrò quello che non vuole mia madre,
la quale deve aver possanza sulla mia vo-
lontà più di me stessa?
CANTO XLIV
615
0 pur la riverenzia e l'osservanza
Ch'ai buoni padri denno i figli buoni,
Porrò da parte? e solo avrò rispetto
Al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto?
43
So quanto, ahi lassa! debbo far; so quan-
Di buona figlia al debito conviensi: [to
10 '1 so; ma che mi vai, se non può tanto
La ragion, che non possino più i sensi?
S'Amor la caccia e la fa star da canto,
Né lassa ch'io disponga, né ch'io pensi
Di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
E sol, quanto egli detti, io dica e faccia?
44
Figlia d'Amone e di Beatrice sono,
E son, misera me! serva d'Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
Spero e pietà, s'io cadere in errore:
Ma s'io offenderò Amor, chi sarà buono
A schivarmi con prieghi il suo furore,
Che sol voglia una di mie scuse udire,
E non mi faccia subito morire?
45
Ohimè! con lunga et ostinata prova
Ho cercato Ruggier trarre alla Fede;
Et hoUo tratto al fin: ma che mi giova,
Se '1 mio ben fare in util d'altri cede ?
Cosi, ma non per sé, l'ape rinova
11 mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero,
Ch' io pigli altro marito, che Ruggiero.
46
S'io non sarò al mio padre ubbidiente.
Né alla mia madre, io sarò al mio fratello.
Che molto e molto è più di lor prudente.
Né gli ha la troppa età tolto il cervello. I
E a questo che Rinaldo vuol, consente |
Orlando ancora ; e per me ho questo e |
[quello: j
Li quali duo più onora il mondo e teme, '•
Che l'altra nostra gente tutta insieme. 1
47 I
Se questi il fior, se questi ogn'uno stima j
La gloria e lo splendor di Chiaramonte;
Se sopra gli altri ogn' un gli alza e subli-
Più che non è del piede alta la fronte; [ma
43. 4. possino. V. e. Ili, 15, n. 2.
— 8. E sol ecc. Rileva dal contesto un
vuole: e vuole che faccia solo ecc.
44. 6. schivarini ecc. Per la locuzione cfr.
e. IX, 49, n. 8.
— 7. Che, così che.
45. 4. cede, va, riesce. È modo latino :
Senec, Hipp. 181 : « cedit in vanum labor ».
— 5. Cosi ma ecc. « Rammenta il verso
d'un epigramma virgiliano, riferito in
un'antica vita di Virgilio attribuita a Do-
nato Sia vos non vobis melliftcatis apes »
(Romizi).
47. 3. BubHma. 0 abbiamo qui il fatto no-
Perché debbo voler che di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e '1 Conte?
Voler noi debbo, tanto men, che messa
In dubbio al Greco, e a Ruggier fui pro-
48 [messa.
Se la Donna s'affligge e si tormenta.
Né di Ruggier la mente è più quieta;
Ch'ancor che di ciò nuova non si senta
Per la città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta.
La qual fruir tanto suo ben gli vieta.
Poi che ricchezze non gli ha date e regni,
Di che è stata si larga a mille indegni.
49
Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acqui-
Aver tanta e tal parte egli si vede, [sta,
Qual e quanta altri avennai s'abbia vista;
Ch'a sua bellezza ogni bellezza cede;
Ch'a sua possanza è raro chi resista;
Di magnanimità, di splendor regio
A nessun, più ch'a lui, si debbe il pregio.
50
Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli cuo-
che, come pare a lui, li leva e dona [ri,
(Né dal nome del volgo voglio fuori,
Eccetto l'uom prudente, trar persona;
Che né Papi né Re né Imperatori
Non ne tra' scettro, mitra né corona;
Ma la prudenzia, ma il giudizio buono,
Grazie che dal ciel date a pochi sono);
51
Questo volgo (per dir quel ch'io vo'dìre)
Ch'altro non riverisce che ricchezza,
Né vede cosa al mondo, che più ammire,
tato nel e. vir, 38, 8, o bisogna dare a su-
blima un significato speciale superlativo di
alzare sopra ogni altro; significato che
non vedo negli esempì citati dai vocabolari.
— 5-6. prima... che; piuttosto... che. È si-
gnificato ancor vivo. Boccaccio, Vita Dan.t.
«■ Prima elesse di stare in esilio anziché per
cotal via tornare a casa sua ».
— 7. tanto men ecc. Regolarmente avreb-
be dovuto dire tanto più; ma c'è una spe-
cie di sillessi, e il pensiero procede cosi; e
tanto meno lo debbo perché al Greco fui,
come sposa, messa in dubbio: cfr. st. 12, 13.
48. 2. Né; neppure. V. e. li, 41, n. 4.
— 6. fruir t. 8. ben. Per il costrutto vedi
e. xiii, 11, n. 8.
49. 5. ch'a s. b.; poiché a s. b.
50. 6. Non ne tra' s.; né scettro, né mitra,
né cor. trae fuori del volgo imperat., papi, re.
51. 3. Né ved» ecc. Questo luogo, eh' io
sappia, non è stato iuterpretato-a dovere
da nessuno. Il Galilei seguito dal Barotti e
dal Bolza, crede che sia superfluo il che del
verso secondo. E fa maraviglia vedei'e il
Barotti sostenere la possibilità di questa ri-
616
ORLANDO FURIOSO
E senza, nulla cura e nulla apprezza,
Sia quanto voglia la beltà, l'ardire.
La possanza del corpo, la destrezza,
La virtù, il senno, la bontà; e pili in que-
Di ch'ora vi ragiono, che nel resto, [sto
52
Dicea Ruggier: Se pur è Amon disposto
Che la figliuola Imperatrice sia,
Con Leon non concluda cosi tosto:
Al raen termine un anno anco mi dia;
Ch'io spero in tanto, che da me deposto
Leon col padre de l'Imperio fia;
E poi che tolto avrò lor Je corone.
Genero indegno non sarò d'Amone.
53
Ma se fa senza indugio, come ha detto,
dondanza con esempi, dove si tratta della
congiunz. che nelle proposiz. oggettive ;
esempi (v, 27, 8; vii, 47, 5) che qui noi^hau
niente che vedere. Il Pomari poi seguito
dal Molini, dal Panizzi, dal Casella, crede
che si debba far verbo la e del verso 7 e
intendere « Questo volgo ecc. è più, cioè ve-
ramente volgo errante e sciocco, in questo,
di che ora vi ragiono, che nel resto; inten- I
dendo che, avvenga che il volgo erri in tutte !
le sue opinioni, pur maggiormente erra '
dintorno i fatti dei matrimoni. Perciocché
mai non va spiando della virtù e del valore, '
ma di chi possieda più ampie eredità e ric-
chezze ». Ma intanto prima di supporvi
errori di lezione o sviste di sintassi dovi'e- j
mo cercare se, cosi coni' è, il testo dia un \
buon senso. E lo dà veramente perfetto. — {
La proposizione principale è appunto nel
v. 3-1, che intenderai cosi: questo volgo non
vede cosa al mondo che ammiri più della |
ricchezza, e senza ricchezza non cura e non i
apprezza niente. — Le due proposiz. sono j
messe in correlazione con né-e: questo vol-
go... né vede ecc. e senza ecc. Questo modo
di correlazione ebbero già i Latini : Cicer.
Fam. 10, 1 : « Furnium nostrum tanti a te
fieri nec miror et gaudeo »; e i nostri fre-
quentemente: Bembo, Asol. 1: « Il che quan-
to esser debba lor caro né io ora dirò, ed
essi meglio potranno... giudicare». Potrem-
mo dimostrare estesamente quanto questa
interpretazione risponda meglio, anche al
concetto generale, che non quella del Galilei;
e come quella del Fornari, oltre ad essere
incompleta, mal si adatti al contesto; ma,
per non combatter con le ombre, lascere-
mo al lettore questo esame particolare.
— 7. e pili in questo; e più che nelle altre
cose, neir affare dei matrimoni non vede,
non riverisce, non apprezza nulla fuor che
la ricchezza.
52. 1. disposto, risoluto. Cosi nel e. xviii,
170, 7.
Suocero de la figlia Costantino;
S'alia promessa non avrà rispetto
Di Rinaldo e d'Orlando suo cugino,
Fattami inanzi al Vecchio benedetto.
Al Marchese Oliviero, al Re Sobrino;
Che farò? vo' patir si grave torto?
0, prima che patirlo, esser pur morto ?
54
Deh che farò? farò dunque vendetta
Contra il padre di lei di questo oltraggio?
Non miro eh' io non son per farlo in fretta,
0 s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio :
Ma voglio presupor ch'a morte io metta
L'iniquo vecchio, e tutto il suo lignaggio:
Questo non mi farà però contento ;
Anzi in tutto sarà contra al mio intento.
55 [m'ami
E fu sempre il mio intento, et è, che
La bella Donna, e non che mi sia odiosa:
Ma, quando Amon l'uccida, o faccia o tra-
[rai
Cosa al fratello o agli altri suoi dannosa;
Non le do giusta causa che mi chiami
Nimico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio: più tosto io vo' morire.
5(5
Anzi non vo' morir; ma vo' che muoia
Con più ragion questo Leone Augusto,
Venuto a disturbar tanta mia gioia;
Io vo' che muoia egli e '1 suo padre ingiu-
Elena bella all'amator di Troia [sto.
Non costò si, né a tempo più vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio [glio.
Ch'ai padre e al figlio costi il mio cordo-
57
Può esser, vita mia, che non ti doglia
Lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà tuo padre far che tu lo teglia.
Ancor ch'avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, ch'abbi più tosto voglia
D'esser d'accordo con Amon, che meco;
E che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, ch'un privato nom, marito.
53. 8. esser pur m. ; essere anche ucciso,
perfino ucciso.
54. 3. Non miro ecc.; non considero, non
starò a cousiderare che ecc. ; lascio da parte
che ecc. È significato simile, ma alquanto
diverso da quello notato nel e. xxx, 50, 2.
55. 2. odiosa, mi abbia in odio. Cosi nel
e. XXXVIII, 69, 7, dove troverai la nota.
— 3. l'uccida, le uccida. V. e. iv, 16, n. 8.
— 7. debbol patire; debbo sopportare que-
sto, cioè che mi chiani nimico e non vo-
glia ecc.
— 8. non, no. V. e. X, 49, n. 8.
66. 7. Proserpina a P. Piritoo, sceso all'in-
ferno per rapire Proserpina, vi fu divorato
da Cerbero.
CANTO XLIV
617
58
Sarà possibil mai, che nome regio,
Titolo imperiai, grandezza e pompa,
Di Bradamante mia l'animo egregio,
Il gran valor, l'alta virtù corrompa?
Si ch'abbia da tenere in minor pregio
La data fede, e le promesse rompa?
Né più tosto d'Amon farsi nimica.
Che quel che detto m'ha, sempre non dica?
59
Diceva queste et altre cose molte,
Ragionando fra sé, Ruggiero, e spesso
Le dicea in guisa ch'erano raccolte
Da chi talor se gli trovava appresso:
Si che il tormento suo più di due volte
Era a colei per cui pativa, espresso,
A cui non dolca meno il sentir lui
Cosi doler, che i proprii affanni sui.
60
Ma più d'ogni altro duci chele sia detto,
Che tormenti Ruggier, di questo ha doglia.
Ch'intende che s'atìBigge per sospetto
Ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, acciò si conforti, e che del petto
Questa credenza e questo error si teglia,
Per una di sue fide cameriere
Gli fé' queste parole un di sapere:
61 [glio
Ruggier, qual sempre fui, tal esser vo-
Fin alla morte, e più, se più si puote.
0 siami Amor benigno, o m'usi orgoglio,
O me Fortuna in alto o in basso ruote,
IramobiI son di vera fede scoglio [cuote:
Che d'ogn' intorno il vento e il mar per-
Né giamai per bonaccia né per verno
Luogo mutai, né muterò in eterno.
58. 7. Né pili tosto ecc. È coordinata a si
ch'abbia da tenere ecc. : e non abbia a farsi
nimica d'Anione più tosto clie non dire quel
che sempre mi ha detto, non mantenere
quel che sempre mi ha promesso.
59. 5. più di due v. È espressione foggiata
su la più comune più d'una volta.
— 6. Era.... espresso; giungeva a notizia,
giungeva alle orecchie. É signillcato assai
simile a quello del e. xxvi, 57, 7; ed è ma-
niera dei'ivata dal significato di chiaro, che
ha frequentemente espresso.
60. 5. Onde; per la qual cosa.
61. 3-8. 0 m'usi orgoglio; o usi con me
orgoglio, sia orgoglioso con me. In questo
discorso di Bradamante l'Ar. ha rimaneg-
giato la elegia 8', scritta in nome di una
donna. È molto probabile che l'elegia fosse
precedente, poiché questa giunta è fatta
verso il 1531, o in ogni modo assai tardi.
Forse vi si contiene una avventura reale,
di cui l'Ar. fu spettatore o attore. «Qual
son, qual sempre fui tal esser voglio. Alto
o basso fortuna che mi rote O siami Amor
benigno o m'usi orgoglio. Io son di vera
62
Scarpello sì vedrà di piombo o lima
Formare in varie imagini diamante.
Prima che colpo di Fortuna, o prima
Ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante;
E si vedrà tornar verso la cima
De l'alpe il fiume turbido e sonante,
Che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
Faccino altro viaggio i pensier miei.
63
A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
Di me, che forse è più ch'altri non crede.
So ben eh' a nuovo principe giurato
Non fu di questa mai la maggior fede.
So che né al mondo il più sicuro stato
Di questo, Re né Imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa né torre.
Per dubbio ch'altri a voi lo venga a torre ;
64
Che, senza ch'assoldiate altra persona.
Non verrà assalto a cui non si resista.
fede immobil cote Che '1 vento indarno, in-
darno il flusso alterno Del pelago d'Amor
sempre percuote. Né giammai per bonaccia
né per verno Di là dove il destin mi fermò
prima, Luogo mutai né muterò in eterno ».
— verno, tempesta. V. e. xviii, 141, n. 6.
62. 1-8. Scarpello ecc. Costruisci: Si vedrà
scalpello 0 lima di piombo. Eleg. 8, 10:
« Vedrò prima salir verso la cima Dell'alpi
i fiumi e s'aprirà il diamante Con legno o
piombo e non con altra lima ecc. ».
— 7. Che. Dipende da un prima sottin-
teso nella protasi e che deve rilevarsi dalle
proposiz. precedenti.
— 8. Faccino, facciano. Forma popolare
ancor viva, e già molto usata dagli scrit-
tori antichi.
63. 1-8. A voi ecc. Eleg. 8, 16: « A voi di
me tutto il dominio ho dato: So ben che
della mia non fu mai fede Miglior giurata
in alcun nuovo stato. E forse avete più
ch'altri non crede; Quando nel mondo il più
sicuro regno Di questo, re né imperator
possiede. Quel ch'io v' ho. dato anco difeso
tegno: Per questo voi né d'assoldar per-
sona. Né di riparo avete a far disegno ».
— 2. che forse è pili ecc. ; il qual dominio
è forse cosa di maggior pregio che altri
non creda; poiché gli altri domini sono in-
certi e mal sicuri.
— 3. giurato. Per la sconcordanza cfr. e.
v, 58, n. 5.
— 4. la magg. f. Per l'articolo cfr. e. vi,
20, n. 8.
— 5. né. Credo debba unirsi a re del v.
seg. : so che né Re né Imperat. poss. al m.
uno stato più sicuro di q. Di tali inversioni
ne ha già viste molte fin qui l'attento let-
tore; xxxvn, 95, S; xml, 86, 6 ecc.
618
ORLANDO FURIOSO
Non è ricchezza ad espugnarmi buona;
Né si vii prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltà, né altezza di corona,
Ch'ai sciocco volgo abbagliar suol la vista,
Non beltà, ch'in lieve animo può assai,
Vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65
Non avete a temer eh' in forma nuova
Intagliare il mio cor mai più si possa:
Si r imagine vostra si ritrova
Sculpita in lui, ch'esser non può rimossa.
Che 'I cor non ho di cera, è fatto prova;
Che gli die cento, non ch'una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
Quando all'iraagin vostra lo ritrasse.
66
Avorio e gemma et ogni pietra dura
Che meglio da l'intaglio si difende,
Romper si può; ma non ch'altra figura
Prenda, che quella ch'una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
Del marmo o d'altro ch'ai ferro contende.
C4. 3-8. Non è r. Eleg. S», 28: «Oro non
già che i vili animi acrniijta. Mi acquisterà;
né scettro né grandezza. Che al volgo sciocco
abbagliar suoi la vista; Né cosa clje muova
animo a vaghezza la me potrà mai più far
quella pruova Che ci fé il valor vostro e la
bellezza ».
65, 1-8. EU 8, 3-1: « Si Ogni vostra manie-
ra si ritrova Scolpita nel mio cor eh' indi
rimossa Esser non può per altra forma
nuova. Di cera essa non è che se ne possa
Formar quand'uno e quand'altro suggello
Né cede ad ogni minima percossa. Amor lo
sa che all' intagliar di quello Neil' idol vo-
stro non ne levò scaglia Se non con cento
colpi di martello ».
— 2. Intagliare ecc. È rifacimento dell'im-
magine più comune: avere uno scolpito nel
cuore.
— 5. è fatto prova; è fatta prova; la pro-
va è stata fatta. V, e. v, 58, n. 5. Vuol dire
che Ruggero non la innamorò cosi facil-
mente di sé; ma dovette dare lunga prova.
— 8. Quando ecc. Quando ritrasse, formò
il core a vostra immagine; o anche: lo ri-
dusse alla vostra immagine, a rappresen-
tare la vostra immagme.
66. 1-8. Eleg. 8, 43: «D'avorio e marmo
e d'altro che s' intaglia Diffìcilmente, fatta
una figura. Arte non è che tramutar più
vaglia. Il mio cor di materia anco più dura
Può temer chi l'uccida o lo disfaccia ; Ma
non può già temer che sia scultura D'amor
che in altra immagine lo faccia ».
— 5. diverso alla. Per il costrutto cfr.
canto XXX, 24. 2.
— 6. contende, contrasta, resiste. Sebbe-
ne sia per il costrutto e per il senso, simile
a quello notato nel e. i, 73, 2, è alquanto
Prima esser può che tutto Amerio spezze
Che lo possa sculpir d'altre bellezze.
67
Soggiunse a queste altre parole molte.
Piene d'amor, di fede e di conforto,
Da ritornarlo in vita mille volte,
Se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più de la tempesta tolte
Queste speranze esser credeano in porto,
Da un nuovo turbo impetuoso e scuro
Rispinte in mar, lungi dal lito, furo:
68
Però che Bradamante ch'eseguire
Vorria molto più ancor, che non ha detto,
Rivocando nel cor l'usato ardire,
E lasciando ir da parte ogni rispetto,
S'appresenta un di a Carlo, e dice: Sire,
S'a vostra Maestade alcun effetto
10 feci mai, che le paresse buono.
Contenta sia di non negarmi un dono.
69
E prima che più espresso io le lo chieg-
Su la real sua fede mi prometta [già,
Farmene grazia; e vorrò poi, che veggia
Che sarà giusta la domanda e retta.
Merta la tua virtù che dar ti deggia
Ciò che domandi, o Giovane diletta
(Rispose Carlo); e giuro, se ben parte
Chiedi del regno mio, di contentarte.
70
, Il don eh' io bramo da l'Altezza vostra,
È che non lasci mai marito darme
(Disse la Damigella), se non mostra
Che più di me sia valoroso in arme, [stra
Con qualunque mi vuol, prima o con gio-
O con la spada in mano ho da provarme.
11 primo che mi vinca, mi guadagni:
Chi vinto sia, con altra s'accompagni.
differente e forse la Crusca avrebbe dovuto
notarlo.
67. 5. de la tempesta, di mezzo alla tem-
pesta.
68. 6. effetto, benefìcio. Cosi nel e. v, 72,
l, dove troverai opportuni raffronti.
70. 5-6. 0 con giostra... o con la sp. « La
giostra è quando l'uno cavaliere corre con-
tra l'altro con l'asta... dove non si cerca
vittoria se non dello scavalcare » ( Burr,
Comm. Inf. 22). — Quest' idea di non spo-
sare uomo che non sia, per arme, provato
dalla donna degno di sé, è già in un poe-
metto antico: « Historia di Brandiamante so-
rella di Rinaldo da Montalbano » e si trova
anche nel poema cavalleresco inedito « Gui-
don Selvaggio » (Raina). «Nei viaggi di Mar-
co Polo al cap. 176 si legge che una giovane
figlia del re dei Turchi fortissima in guerra
proponeva ai suoi pretendenti la stessa con-
dizione » (Casella).
CANTO XLIV
619
71
Disse rimperator con viso lieto,
Che la domanda era di lei ben degna:
E che stesse con l'animo quieto,
Che farà appunto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
Si, ch'a notizia altrui tosto non vegna;
E quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e alvecchio Amoncorreall'orec-
72 [chia.
Li quali parimente arser di grande
Sdegno contra alla figlia, e di grand' ira;
Che vider ben con queste sue domande.
Ch'ella a Ruggier, più ch'a Leone aspira:
E presti per vietar che non si manda
Questo ad effetto, a ch'ella intende e mira.
La levaro con fraude de la corte,
E la menaron seco a Rocca Forte.
73
Quest'era una fortezza ch'ad Amone
Donato Carlo avea pochi di inante.
Tra Pirpignano assisa e Carcassone,
In loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione.
Con pensier di mandarla un di in Levante,
Si ch'ogni modo, voglia ella o non voglia,
Lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
74
La valorosa Donna, che non meno
Era modesta, ch'animosa e forte;
Ancor che posto guardia non l'avieno,
E potea entrare e uscir fuor de le porte;
Pur stava ubbidiente sotto il freno
Del padre; ma patir prigione e morte,
Ogni martire e crudeltà più tosto
Che mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
75
Rinaldo, che si vide la sorella
Per astuzia d'Amon tolta di mano,
E che dispor non potrà più di quella,
E ch'a Ruggier l'avrà promessa in vano ;
Si duol del padre, e contra a lui favella,
Posto il rispetto filial lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
E di sua figlia a modo ^uo far vuole.
72. 5. vietar che non. V. per il costrutto
e. V, 53, n. 1.
— 6. a ch'ella; a che ella. Il che è rela-
tivo di questo.
— 8. Rocca Forte, Rochefort. Ora città
marittima della Francia, anticamente un
castello.
73. 3. Pirpignano, Perpignan, città della
Fi-ancia (Pirenei orient.). — Carcassone, Car-
casson, città del dipart. Aude. — assisa, po-
sta. V. c.xxxvii, 56, n. 6.
— 4. a ripa il mar, in riva al mar. V. e.
XIII, 42, n. 7.
— 7. ogni modo, V. e. XLiii, 161, n. 5.
74. 3. l'avieno, le aveano.
76
Ruggier, che questo sente, et ha timore
Di rimaner de la sua Donna privo,
E che l'abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
Senza parlarne altrui si mette in core
Di far che muoia, e sia, d'Augusto, Divo ;
E tòr, se non l'inganna la sua speme.
Al padre e a lui la vita e '1 regno insieme.
77
L'arme che fur già del Troiano Ettòrre,
E poi di Mandricardo, si riveste,
E fa la sella al buon Frontino porre,
E cimier muta, scudo e sopraveste.
A questa impresa non gli piacque tórre
L'aquila bianca nel color celeste.
Ma un candido liocorno, come giglio,
Vuol ne lo scudo, e '1 campo abbia vermi-
78 [glio.
Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
E quel vuole e non altri in compagnia;
E gli fa commission, che non rivele
In alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e 'I Reno, e passa de le
Contrade d'Ostericche, in Ungheria;
E lungo r Istro per la destra riva
Tanto cavalca, ch'a Belgrado arriva.
79
Ove la Sava nel Danubio scende,
76. 6. sia, d'Ang., Divo. « Alluse al costume
dei Romani, i quali alloro Augusti dopo la
morte consacravano tempii, e dirizzavano
altari, e li collocavano fra gli dei. Laonde
Vespasiano volendo dire d'esser vicino alla
morte, festevolmente disse: iain deus fio ».
(Fornari). Anche nelle parole di Ruggero
v' è il tono di scherzo amaro.
77. 6. L'aq. b. ecc.; l'aquila bianca la cam-
po azzurro, che era la sua abituale insegna.
— 7. Ma nn e. liocorno; ma un lioc. can-
dido come un giglio. Per quest'animale cfr.
e. VI, 69, n. 1. « Se questa impresa non fu
di Foresto d' Este, come fu scritto dal Pigna
nella sua storia 1. 1, fu però da' principi
Estensi anticamente usata, e assai prima che
altri la facesse sua. E in più luoghi anche
pubblici di Ferrara si vede scolpita in mar-
mo nei capitelli e ne' basamenti di colonne
e di pilastri d'antico lavoro » (Barotli). Que-
sta è la ragione, per cui l'Ar. fece prendere
a Ruggero questa seconda insegna, come
per prima gli aveva data 1' aquila bianca
in campo azzurro, che era l'arme più mo-
derna e comune degli Estensi.
78. 3. gli fa commission, gli fa comanda-
mento. Si cita dai vocabolari questo solo es.
dell'A.
— 6. Ostericche, Austria. V. e. xxxvii,
90, 2.
— 7. latro (lat. Ister), Danubio.
620
ORLANDO FURIOSO
E verso il mar maggior con lui dà volta,
Vede gran gente in padiglioni e tende
Sotto l'insegne imperiai raccolta;
Che Costantino ricovrare intende
Quella città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v'è in persona, e '1 figliuol seco
Con quanto può tutto l'Imperio Greco.
80 [monte,
Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il
E giù fin dove il fiume il pie gli lava.
L'esercito dei Bulgari gli è a fronte;
E l'uno e l'altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco per gittare il ponte.
Il Bulgar per vietarlo armato stava.
Quando Ruggier vi giunse; e zutfagrande
Attaccata trovò fra le due bande.
81
I Greci son quattro contr'uno et hanno
Navi coi ponti da gittar ne l'onda;
E di voler fiero sembiante fanno
Passar per forza alla sinistra sponda.
79. 2. mar maggior. « Il Ponto Bussino è
oggidì Mar maggiore chiamato » (Fornari).
Marco Polo nel proemio al Milione : « E fi-
nalmente (Niccolò Polo e M. MafRo Polo)
deliberarono di andare nel Mar Maggiore...
e, partendosi di Costantinopoli, navigarono
per il detto Mar Maggiore ». Secondo il Pau-
tliier, nella sua edizione dei. viaggi di M.
Polo, il Ponto chiamavasi mar maggiore
per opposizione alla assai più piccola Pro-
pontide (Mare di Marmara), che ne è come
il vestibolo. A questa opinione diceva di
attenersi il prof. L. Hugues, che mi forniva
questa notizia.
— 5. Che; poiché. V. e. iii, 6, n. 6. — ri-
covrare, ricuperare — Probabilmente l'Ar.
in tutto questo luogo ha avuto presente la
storia di Costantino IV, Copronimo, impe-
ratore di Costantinopoli dal 711 al 775, e di
suo figlio Leone IV detto il Cazaro (775-7S0).
Costantino ebbe veramente guerra coi Bul-
gari e subi pure sconfitte: quantunque in
fine li vincesse. Sappiamo inoltre che Leo-
ne IV voleva imparentarsi con la corte di
Carlomagno facendo sposare a suo figlio
Costantino la principessa Franca Rotrude;
ma il matrimonio poi non avvenne (Cantù,
St. Un. IV, pag. 513-515). Forse da tutti
questi slementi trasse materia l'Ar.
— 8. Con quanto può. Invece di dire: coìi
tutta la forza dell' Imp. Gr. ; cioè con tutti
i soldati; ha detto: con quanto può, con
quanta potenza ha, T imp. Gr.
SO. 1. il monte. Belgrado, che si trova al
confluente della Sava e del Danubio, è co-
strutta sopra un colle scosceso, la cui som-
mità è occupata dalla fortezza. Belgrado fu
nel medio evo appellata anche Alba Bul-
(jaroruni.
81. 4. alla sinistra sponda. Intendi: stando
Leone intanto, con occulto inganno
Dal fiume discostandosi, circonda
Molto paese, e poi vi torna, e getta
Ne l'altra ripa i ponti, e passa in fretta:
82 [piede,
E con gran gente, chi in arcion, chi a
(Che non n'avea di ventimila un manco)
Cavalcò lungo la riviera, e diede
Con fiero assalto a gl'inimici al fianco.
L'Imperator, tosto che '1 figlio vede
Sul fiume comparirsi al lato manco.
Ponte aggiungendo a ponte e nave a nave,
Passa di là con quanto esercito have.
83
Il capo, il Re de' Bulgari Vatrano,
Animoso e prudente e prò guerriero,
Di qua e di là s'affaticava in vano
Per riparare a un impeto si fiero;
Quando cingendol con robusta mano
Leon, gli fé' cader sotto il destriero;
E poi che dar prigion mai non si volse,
Con mille spade la vita gli tolse.
84
I Bulgari sin qui fatto avean testa;
Ma quando il lor Signor si vider tolto,
E crescer d'ogn' intorno la tempesta,
Voltar le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e que-
Scoufitta vede, senza pensar molto, [sta
su la sinistra sponda della Sava, fanno sem-
biante di voler passare il fiume. Belgrado
infatti è sulla destra, ed essi erano su la
sinistra del fiume.
— 6. circonda, gira. V. e. x, 113, 2.
82. 3-4. diede... a. g. in. al fianco, investi i
nemici al fianco, sul fianco. Per questo si-
gnific di dare cfr. e. xxv, 12, n. 4.
8;ì. 2. prò, prode. Gli antichi usarono que-
sta forma anche in prosa. Boccaccio, Nov.
78: « Al Duca d'Atene, giovane e bello e prò
della persona ».
— 5. cingendo!, colpendolo. Cosi pure nel
e. XIV, 85, 6; xxv, 11, 5. — con robusta mano.
Intendono: con un drappello di valorosi
(lat. manus, schiera); ma si fa cadere il
cavallo sotto un cavaliere con una schiera?
0 non piuttosto con un colpo, assestato da
braccio robusto? Cosi dunque devi inten-
dere.
84. 5. misto fra i Greci. Accortamente il
Poeta ha posto Ruggero fra i Greci, che,
vittoriosi, iuseguouo; anziché fra i Bulgari,
che, inseguiti, fuggono : poiché se lo avesse
fin da principio messo fra i Bulgari, o avrei»-
be doviito far fuggire anclie lui, il che era
indegno d'un eroe, o non avrebbe potuto
far risaltare la sconfitta dei Bulgari, che si
cambia in vittoria sol per Ruggero, poiché
quand'egli avesse preso parte aUa pugna, "
Bulgari non avrebbero perduto.
CANTO XLIV
G21
I Bulgari soccorrer si dispone,
Perch'odia Costautino e più Leone.
85
Sprona Frontin che sembra al corso un
E inanzi a tutti i corridori passa; [vento,
E tra la gente vien, che per spavento
Al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
Contra i nemici, e poi la lancia abbassa;
E con si tìer sembiante il destrier muove.
Che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
86
Dinanzi agli altri un cavalliero adoc-
Che riccaraato nel vestir vermiglio [chia,
Avea d'oro e di seta una pannocchia
Con tutto il gambo, che parca di miglio;
Nipote a Costantin per la sirocchia.
Ma che non gli era men caro, che figlio:
Gli spezza scudo e osbergo, come vetro;
E fa la lancia un palmo apparir dietro.
87
Lascia quel morto, e Balisarda stringe
Verso uno stuol che più si vede appresso;
E contra a questo e contra a quel si spinge.
Et a chi tronco et a chi il capo ha fesso ;
A chi nel petto, a chi nel fianco tinge
II brando, e a chi l'ha ne la gola messo:
Taglia busti, anche, braccia, mani e spalle,
E il sangue, come un rio, corre alla valle.
88
Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
Contrasto più; cosi n'è ogniun smarrito ;
Si che si cangia subito la faccia
De la battaglia; che tornando ardito
— 7. soccorrer, a soccorrer.
85. 1. Sprona ecc.; Ruggero traversa cor-
rendo le schiere dei Greci, entra fra i Bul-
gari fuggenti ecc.
— 5. e fa; Sottintendi: loro: fa loro vol-
tare ecc.
SO. 2. riccamato; ricamata. V. e. v, 58,
n. 5. Per la doppia e cfr. e. xxxix, 17, n. 8.
— 3. d'oro e di s., con oro e con seta. V.
e. XXV, 53, n. B.
— 4. che parea di m. ; la quale parea una
pannocchia di miglio. Quantunque ija>i«oc-
chia si dica oggi per lo più quella del gran-
turco e della saggina, pure si dice ancora,
come si disse in antico, anche quella del
miglio e del panico. Pannocchia viene dal
lat. panus (panucula), tumore : Plinio chia-
ma cosi la spiga del miglio.
— 5. per la sir., per parte della sorella.
Non mi sembra che questo significato di per
sia citato dai vocabolari.
87. 1-2. stringe verso; stringe, andando
verso ecc. Brachilogia simile a quella del e.
Ili, 16, 2.
— 4. tronco; e a chi ha troncato il capo,
a chi ecc.
Il petto volge, e ai Greci dà la caccia
Il Bulgaro che dianzi era fuggito:
In un momento ogni ordine disciolto
Si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
89
Leone Augusto s'un poggio eminente.
Vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
E sbigottito e mesto ponea mente
(Perch'era in loco che scopriva il tutto)
Al cavallier ch'uccidea tanta gente,
Che per lui sol quel campo era distrutto;
E non può far, se ben n'è olì'eso tanto,
Che non lo lodi, e gli dia in arme il vanto.
90
Ben comprende all'insegne e sopravesti,
All'arme luminose e ricche d'oro,
Che, quantunque il guerrier dia aiuto a
Nimici suoi, non sia però di loro, [questi
Stupido mira i soprumani gesti,
E talor pensa che dal sommo coro
Sia per punire i Greci un Agnol sceso.
Che tante e tante volte hanno Dio oft'eso.
91
E come uom d'alto e di sublime core,
Ove l'avrian molt'altri in odio avuto.
Egli s'innamorò del suo valore.
Né veder fargli oltraggio avria voluto:
Gli sarebbe per un de' suoi che muore, ■
Vederne morir sei manco spiaciuto,
E perder anco parte del suo regno.
Che veder morto un cavallier si degno.
92
Come bambin, se ben la cara madre
Iraconda lo batte, e da sé caccia.
Non ha ricorso alla sorella o al padre.
Ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia.
Cosi Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l'altre gli minaccia,
Non lo può odiar, perch'all'amor più tira
L'alto valor, che quella offesa all'ira.
89. 4. in loco che. Si può intendere : in
luogo tale che egli scopriva il t.; e anche:
in luogo dal quale egli scopriva (e. xxxviii,
60, 6); e anche: in luogo che lasciava ve-
dere. Cosi nel e. xvii, 120, 3. È preferibile
quest'ultima interpretazione.
— 6. che. È correlativo di tanta gente.
— 7. E non può far ecc. Il Romizi cita
molto opportunamente un pensiero di Ci-
cerone; Or. in Pisonem, 22: « Habet hoc
virtus ut viros fortes, species eius et pul-
chritudo, etiam in hoste posita, delectet ».
90. 3-4. Che... non sia. Vedi, per il con-
giuntivo, e. V, 67, n. 8.
92. 2. Iraconda, adirata : e. xxvii, 70. Per
questo significato si citano soltanto questi
due es. dell'Ar.
— 4. abbraccia, ^abbraccia.
^ 7. più tira, più lo tira. V. e. i, 21, n. 7.
622
ORLANDO FURIOSO
93
Ma se Leon Ruggiero ammira et ama,
Mi par che duro cambio ne riporte;
Che Ruggiero odia lui, né cosa brama
Più che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, et alcun chia-
Che glie le mostri ; ma labuona sorte, [ma,
E la prudenza de l'esperto Greco
Non lasciò mai che s'afifrontasse seco.
94
Leone, acciò che la sua gente affatto
Non fosse uccisa, fé' sonar raccolta;
Et all'Imperatore un messo ratto
A pregarlo mandò, che desse volta
E ripassasse il fiume; e che buon patto
N'avrebbe, se la via non gli era tolta:
Et esso con non molti che raccolse,
Al ponte ond'era entrato, i passi volse.
95
Molti in poter de' Bulgari restaro
Per tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
E vi restavan tutti, se '1 riparo
Non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cader dai ponti, e s'affogaro;
E molti, senza mai volgere i visi.
Quindi lontano irò a trovar il guado;
E molti fur prigion tratti in Belgrado.
96 -
Finita la battaglia di quel giorno.
Ne la qual, poi che il lor Signor fu estinto.
Danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
Se per lor non avesse il Guerrier vinto,
Il buon guerrier che '1 candido liocorno
Ne lo scudo vermiglio avea dipinto;
A lui si trasson tutti, da cui questa
93. 6. glie le; glie lo. V. e. Xlii, 50, n. 4.
— 7. esperto, che aveva fatto esperienza
della forza di Ruggero nelle sue misere
squadre. Intendendo cosi non v' è bisogno
di dare a esperto un significato speciale di
accorto, astuto, come alcuni fanno,
94. 2. fé sonar r. Si disse ugualmente:
sonare a raccolta, sonar la raccolta e
sonar raccolta.
— 3. ratto. È avverbio: prestamente.
95. 1-2. Molti ecc. Molti, che non fecero
a tempo a fuggire, perché tagliali fuori dal
rimanente esercito, rimasero in potere dei
Bulgari, che li uccisero dove li trovarono,
sparsi per tutto il monte i usino al fiume.
— 4. rio, il fiume Sava, che i Greci ave-
vano già ripassato.
— 5, cader, cadéro. Le forme cadel, cade,
caderono, usate in verso e in prosa assai
frequentemente dagli antichi, non sono in-
teramente morte nell'uso popolare e nel
letterario: e. xxxii, 79.
— 7. irò, andarono. È forma poetica assai
rara. L'usò anche il Tasso, Ger., 19, 2; 20,
111.
Vittoria conoscean, con gioia e festa.
97
Uno il saluta, un altro se gì' inchina,
Altri la mano, altri gli bacia il piede:
Ogn'un, quanto più |)uò, se gli avvicina,
E beato si tien chi appresso il vede,
E più eh' il tocca; che toccar divina
E sopra naturai cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
Che sia lor Re, lor capitan, lor guida.
98
Ruggier rispose lor, che capitano
E Re sarà, quel che fia lor più a grado ;
Ma né a baston né a scettro ha dapor mano,
Né per quel giorno entrar vuole in Bel-
[grado :
Che, prima che si faccia più lontano
Leone Augusto, e che ripassi il guado.
Lo vuol seguir, né tòrsi da la traccia.
Fin che noi giunga, e che morir noi faccia;
99
Che mille miglia e più, per questo solo
Era venuto, e non per altro effetto.
Cosi senza indugiar lascia lo stuolo,
E si volge al camin che gli vien detto,
Che verso il ponte fa Leone a volo.
Forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l'orma in tanta fretta.
Che '1 suo scudier non chiama e non a-
100 [spetta.
Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(Fuggir si può ben dir, più che ritrarse),
Che trova aperto e libero il passaggio;
Poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio
96. 8. conoscean, riconoscevano. Cosi nel
e. XXVII, 83, 8, e il Petrarca, I. ball. 5:
« Da lor conosco l'esser ove io sono ».
97. 5. che toccar. Il che può esser relativo
del precedente chi il tocca; e anche con-
giunzione: poiché. V. e. Ili, 6, n. 6.
98. 3. baston, un bastone, per lo più d'a-
vorio o d'oro (e. XIV, 21, 7), era l'insegna
del comando militare, come la corona e lo
scettro, dell'autorità regia.
— 4. per quel giorno. Uniscilo al primo
ma : ma per quel giorno né ha da por mano
ecc., né entrar v. ecc.
— 5. Che. Può esser congiunzione dichia-
rativa dipendente da dice, e anche \}er per-
ché. Lo stesso dicasi del che del v. 1. st.
seguente. È meglio intenderlo nel primo
modo.
99. 5. Che. È congiunzione dichiarativa
dipendente da gli vien detto : al cammino, il
quale gli vien detto che fa Leone verso il
ponte in tutta fretta.
100. 1. ha t. vantaggio, è tanto avanti; è
avanti di tanta strada.
— 5. Non T'arriva... ch'ascoso ecc. Rugge.
CANTO XLIV
623
Era del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca inanzi, che Iucca la luna,
Né mai trova Castel né villa alcuna.
101
Perché non sa dove si por, camina
Tutta la notte, né d'arcion mai scende.
Ne lo spuntar del nuovo sol vicina
A man sinistra una città comprende;
Ove di star tutto quel di destina.
Acciò l'ingiuria al suo Frontino emende,
A cui, senza posarlo o trargli briglia,
La notte fatto avea far tante miglia.
102
Ungiardo era signor di quella terra.
ro non v'era ancora arrivato che (quando) il
raggio del «ole era ascoso. Questa espres-
sione si usa per indicare il succedersi im-
mediato d'uu'azione.o d'un fatto ad un altro.
Nel e. XXVII, 57, 5: « Gradasso non udì tutto
il tenore, Che disse », Grad. non aveva an-
cora udito tutto il t. quando disse; cioè:
appena appena aveva udito, quando disse.
— In questo luogo avverti il presente invece
del più comune trapassato prossimo.
— 7. che Iacea, poiché lucea.
101. 4. comprende, scorge. Cosi nel e. xv,
4-1, 5; XXII, 37, 3. — una città: vede su la
sua sinistra la città di Novigrad: cfr. e. xlv,
st. 10, 2.
— 7. posarlo, riposarlo, farlo riposare.
V. e. xxvni, 86, 7.
102. 1. terra, città. V. e. X, 75, n. 2.
Suddito e caro a Costantino molto.
Ove avea per cagion di quella guerra
Da cavallo e da pie buon numer tolto:
Quivi, ove altrui l'entrata non si serra,
Entra Ruggiero, e v'è si ben raccolto.
Che non gli accade di passar più avante
Per aver miglior loco e più abondaute.
103
Nel medesimo albergo in su la sera
Un cavallier di Romania alloggiosse.
Che si trovò ne la battaglia fiera.
Quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
Et a pena di man fuggito gli era.
Ma spaventato più ch'altri mai fosse;
Si ch'ancor triema, e pargli ancora intor-
Avere il cavallier dal liocorno. [no
104
Conosce, tosto che lo scudo vede.
Che '1 cavallier che quella insegna porta,
È quel che la sconfitta ai Greci diede,
Per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo, et udienza chiede.
Per dire a quel Signor cosa eh' importa;
E subito intromesso, dice quanto
Io mi riserbo a dir ne l'altro Canto.
— 3. Ove. Il distacco forzato del relativo
è stato più volte notato: e, iv, 51, 4; xxvi,
62, 2 ecc.
— 4. Da cavallo e da p. ; atti ad andare a
cavallo e a piedi ; cavalieri e pedoni.
— 6. raccolto, accolto.
— 7. gli accade, gli occorre.
CANTO XLV
Quanto più su l'instabil ruota vedi
Di Fortuna ire in alto il miser uomo.
Tanto più tosto hai da vedergli i piedi
Ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policràte, e il Re di
* Tutto questo cauto fu aggiunto per l'ed.
del 1532.
1. 2. ire in alto. Per questa immagine
vedi e. XIX, 1, n. 2, dove l'esempio del Sac-
chetti spiega egregiamente questo luogo. La
Fortuna tiene in alto presso di sé quei che
favorisce, travolge sotto la ruota e fa ca-
polevare quelli che perseguita. Il concetto
qui esposto dall'Ar. è nella coscienza popo-
lare, e dagli scrittori in diverse forme mille
volte espresso,
— 4. tomo, la caduta. V. e. xliii, 8, n. 3.
— 5-6. Policràte, (537-522 a. 0.) potente ti-
ranno di Samo. Erodoto racconta di lui, che
Lidia, e Dionigi, et altri ch'io non nomo,
Che minati son da la suprema
Gloria in un di ne la miseria estrema.
2
Cosi all'incontro, quanto più depresso,
essendo felicissimo, per istornare da sé l'in-
vidia degli dei, gettò in mare un anello di
rara bellezza (L' anello di P.), che pochi
giorni dopo fu rinvenuto nel ventre d' un
pesce regalato a P. da un pescatore (sto-
riella cantata da Schiller). Adescato dal sa-
trapo persiano Oroete, P. si recò a Magne-
sia, dov'ebbe una morte straziante, e il capo
fu fatto appendere a una croce — il Ee di
Lidia, Creso (512 a. C.) ricchissimo e poten-
tissimo, fu poi vinto da Ciro e ridotto a vita
privata. — Dionigi, tiranno di Siracusa (367-
343 a. C.) dal suo prospero stato passò a
condizione di dover fare il maestro di scuola
per guadagnarsi da vivere.
624
ORLANDO FURIOSO
Quauto è pili l'uoni di questa ruota al fondo,
Tanto a quel punto più si trova appresso,
C ha da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
Che l'altro giorno ha dato legge al mondo.
SeiTio e Mario e Ventidio l'hanno mostro
Al tempo antico, e il Re Luigi al nostro:
3
Il Re Luigi, suocero del figlio
Del Duca mio; che rotto a Santo Albino,
E giunto al suo nimico ne l'artiglio,
A restar senza capo fu vicino.
Scórse di questo anco maggior periglio
Non molto inanzi il gran Mattia Corvino.
Poi l'un, de' Franchi, passato quel punto.
L'altro al regno degli Ungari fu assunto,
4
Si vede per gli esempi di che piene
Sono l'antiche e le moderne istorie,
Che '1 ben va dietro al male, e '1 male al
[bene,
E fin son l'un de l'altro e biasmi e glorie;
2. 3. a quel punto, nìValto della ruota del
secondo verso della st. 1; oppure al punto
della suprema gloria dei vv. 7-8,
— 4. Ch'ha da 8.: Intendi: poiché, se deve
girarsi in tondo, come vuole la ruota di
Fort., ha da salire, conviene che salga. Que-
sto e non altro mi pare il senso dei vv. 3-1.
— 7. ServioTullio, secondo alcuni nacque
da una schiava latina, secondo altri da gran-
de famiglia Etrusca. L'Ar. si attenne alla
prima versione — Mario fu umile soldato
d'Arpino e divenne console sette volte e uno
dei più grandi capitani di Roma — Ventidio
tiglio di un patrizio piceno d'Ascoli era stato
fatto prigioniero nella guerra sociale. A
Roma si mise a fare l'appaltatore di muli
per l'esercito. Per il suo valore si fece no-
tare nelle guerre civili, quindi vinse i Parti
ed ebbe per ciò un meritato trionfo (38 a. C).
— 8. il re Luigi, di Francia, che dette la
figlia Renata in moglie a Ercole II d'Este,
era slato, prima di salire al trono, vinto e
fatto prigioniero da Carlo Vili a S. Aubin
■ (S. Albino) e avea corso pericolo d'esser de-
capitato.
3. 5. Scorse, corse. Scorrere un pericolo
è modo non registrato dai vocabolari, e as-
sai notevole.
— 6. Mattia C, uomo di grande valore,
prima di diventare re d'Ungheria (1458) fu
per esser messo a morte dal suo predeces-
sore vladislao, perché gli aveva ucciso un
parente. Questo avvenne circa trent' anni
prima di quanto è stato detto di Luigi XII.
4. 3. Ta dietro. Più comunemente vien
dietro, succede.
— 4. E fin ecc. ; la gloria finisce in bia-
simo, il biasimo in gloria. Petrarca i,
E che fidarsi a l'uom non si conviene
In suo tesor, suo regno e sue vittorie,
Né disperarsi per Fortuna avversa,
Che sempre la sua ruota in giro versa.
5
Ruggier per la vittoria ch'avea avuto
Di Leone e del padre Imperatore,
In tanta confidenzia era venuto
Di sua fortuna e di suo gran valore,
Che senza compagnia, senz'altro aiuto.
Di poter egli sol gli dava il core fdre
Fra cento a pie e a cavallo armate squa-
Uccider di sua mano il figlio e il padre,
6
Ma quella, che non vuol che si prometta
Alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni.
Come tosto alzi, e tosto al bf^so metta,
E tosto avversa, e tosto amica torni.
Lo fé' conoscer quivi da chi in fretta
A procacciargli andò disagi e scorni.
Dal cavallier che ne la pugna fiera
Di man fuggito a gran fatica gli era,
7
Costui fece ad Ungiardo saper, come
Quivi il guerrier ch'avea le genti rotte
Di Costantino e per molt'anni dome.
Stato era il giorno, e vi staria la notte;
E che Fortuna presa per le chiome.
Senza che più travagli o che più lotte.
Darà al suo Re, se fa costui prigione;
Ch'a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8
Ungiardo da la gente che, fuggita
De la battaglia, a lui s'era ridutta
(Ch'a parte a parte v'arrivò infinita.
Perch'ai ponte passar non potea tutta)
Sapea come la strage era seguita.
Che la metà de' Greci avea distrutta;
E come un cavallier solo era stato,
Ch'un campo rotto, e l'altro avea salvato:
9
E che sia da sé stesso senza caccia
Venuto a dar del capo ne la rete,
Si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
canz. 6: « Però, lasso, conviensi Che l'estre-
mct del riso assaglia il pianto ».
— 8, versa (lat. versai), volge. Per que-
sto significato si cita dai vocabolari il solo
esempio dell' Ar.
6. 1. si prometta, si riprometta, speri al-
cunché da lei. I vocabolari citano solo esem
pi col complemento diretto. Galilei, M. Sist
21 : « Non si prometteva del suo ingegno..
più di quello, che si conviene ». Senza coni
pleniento non si citano esempi.
7. 8. pone; porrà. V. e. i, 81, n. 3.
8. 4. Perch'ai ponte ecc. Dà ragione di a
parte a parte del v. superiore.
— 6. Che. É relativo di strage.
9. 3. mostra ohe gli p. ; mostra averne
CANTO XLV
625
Con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
Poi manda le sue gente chete chete,
E fa il buon cavallier, ch'alcun sospetto
Di questo non avea, prender nel letto.
10
Accusato Ruggier dal pi-oprio scudo,
Ne la città di Noveugrado resta [crudo,
Prigion d'Ungiardo, il più d'ogni altro
Che fa di ciò maravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poi che gli è nudo,
Et è legato già, quando si desta? [ta
Ungiardo un suo corrier spaccia a staflfet-
A dar la nuova a Costantino in fretta.
11
Avea levato Costantin la notte
Da le ripe di Sava ogni sua schiera ;
E seco a Beleticche avea ridotte,
Che città del cognato Androfìlo era,
Padre di quello a cui forate e rotte
(Come se state fossino di cera)
Al primo incontro l'arme aveail gagliardo
Cavallier, or prigion del fiero Ungiardo.
12
Quivi fortificar facea le mura
L'Imperatore, e riparar le porte;
Che de' Bulgari ben non s'assicura.
Che con la guida d'un guerrier si forte
Non gli faccino peggio che paura,
E '1 resto ponghin di sua gente a morte.
Or che l'ode prigion, né quelli teme.
Né se con lor sia il mondo tutto insieme.
piacere. V. e. i, 38, n. 6, e anche e. v, G7,
n. 8.
10. 2. Novengrado «Novi, piccola città della
Bosnia sulla Sava: lat. Novigradum» (Bol-
za) ,' ma questa Novi non è su la Sava ed è a
troppa distanza da Belgrado : è al confluente
della Sauna e della Uuna. Il Casella nota
« Neugrad in Ungheria ». Più precisamente
Novigrad su la sinistra della Sava nel ter-
ritorio di Brod, quasi di fronte a Novosele
in Bosnia. E a questa certamente alludeva
l'Ariosto.
11. 3. Beleticche. « Antico nome d' una
città di Bulgaria » (Bolza). Ma io non ho
trovato né in carte né in dizionari niente,
che valga a sodisfare. Sulla Sava e nella
Bosnia e' è Bertschka, ma la differenza dei
due nomi pare troppo forte. — avea ridotte,
le avea rid.
— 5. Padre di quello ecc. V. e. XLIV, st. 86.
12. 3. non s'assicura, non si tiene sicuro.
Cosi Petrarca, iv, canz. 2: «Per cui la
gente ben non s'assicura», ma, come si vede,
con diverso costrutto.
— 5. faccino, facciano. Terminazione pò-
p 1 re ancor viva nel volgo,
— 8. Né ecc. Costruisci : né il mondo
tutto insieme se sia con loro, se fosse con
loro.
13
L'Imperator nuota in un mar di latte,
Né per letizia sa quel che si faccia.
Ben son le genti Bulgare disfatte,
Dice con lieta e con sicura faccia.
Come de la vittoria, chi combatte.
Se troncasse al nimico ambe le braccia,
Certo saria, cosi n'è certo, e gode
L'Imperator, poi che'lguerrierpreso ode.
14
Non ha minor cagion di rallegrarsi
Del patre il figlio; ch'oltre che si spera
Di racquistar Belgrado, e soggiugarsi
Ogni contrada che de' Bulgari era;
Disegua anco il Guerriero amico farsi
Con benefici, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né Orlando a Carlo Magno
Ha da invidiar, se gli è costui compagno
15
Da questa voglia è ben diversa quella
Di Teodora, a chi '1 figliuolo uccise
Ruggier con l'asta che da la mammella
Passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin del quale era sorella.
Costei si gittò a' piedi, e gli conquise
E intenerigli il cor d'alta pietade
Con largo pianto, che nel sen le cade.
16
Io non mi leverò da questi piedi,
Diss'ella, Signor mio, se del fellone
Ch'uccise il mio figliuol, non mi concedi
Di vendicare, or che l'abbiàn prigione.
Oltre che stato t'è nipote, vedi
Quanto t'amò, vedi quant'opre buone
Ha per te fatto, e vedi s'avrai torto
Di non lo vendicar di chi l'ha morto.
17
Vedi che per pietà del nostro duolo
Ha Dio fatto levar da la campagna
Questo crudele, e come augello, a volo
A dar ce l'ha condotto ne la ragna.
Acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
13. 1. nuota in a. m. d. 1. Maniera prover-
biale ancora vivissima, che significa è in
grande allegrezza.
14. 2. si spera. Per la forma rifless. cfr.
e. v, 20, n. 3.
16. 4. vendicare, vendicarmi. La forma
semplice per la riflessiva l'abbiamo anche
nel e. xxxiix, 42, 8. Puoi raffrontare destar
per destarsi e. xxv, 43; apparecchiar xl,
43. Gli antichi usarono spesso la forma sem-
plice di questo verbo per la riflessiva.
17. 2. levar da 1. e; toglier via dal campo
(di battaglia): con riguardo però al seguente
paragone dell' augello.
— 3. a volo, con non sperata velocità.
— 5. in ripa di St. ; sulla riva dello St. ;
ossia neir inferno, nell' altro mondo, fra i
morti — Ripa per riva vedilo nel e. xiii,
Ariosto — Papini
40
626
ORLANDO FURIOSO
Molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, Signore, e sii contento
Clr io disacerbi il mio col sito tormento.
18
Cosi ben piange, e cosi ben si duole,
E cosi bene et efficace parla;
(Né dai piedi levar mai se gli vuole
■Benché tre volte e quattro per levarla
Usasse Costantino atti e parole),
Ch'egli è forzato al fin di contentarla:
E cosi comandò che si facesse
Colui condurre, e in man di lei si desse.
19
E per non fare in ciò lunga dimora,
Condotto hanno il gaerrier del liocorno,
E dato in mano alla crudel Teodora,
Che non vi fu intervallo più d'un giorno.
11 far che sia squartato-vivo, e muora
Publicamente con obbrobrio e scorno,
Poca pena le pare, e studia e pensa
Altra trovarne inusitata e immensa.
20
La femina crudel lo fece porre
Incatenato e mani e piedi e collo
Nel tenebroso fondo d'una torre,
Ove mai non entrò raggio d'Apollo.
Fuor ch'un poco di pan muffato, tórre
Gli fé' ogni cibo, e senza ancor lassollo
Duo di talora; e lo die in guardia a tale,
Ch'era di lei più pronto a fargli male.
21
Oh! se d'Amon la valorosa e bella
Figlia, oh se la magnanima Martisa
Avesse avuto di Ruggier novella.
42, n. 7. « Ebbe per creduto la stolta antica
gente che lo spirito di qualunque ucciso
patisse nello Inferno alcun disagio, rima-
nendo invendicato, e cosi all'incontro si ri-
posasse quando della sua morte si pren-
desse vendetta. Il perché Pirro uccise la
bella Polissena alla sepoltura del padre
Achille e Enea mandò ad Evandro molti
captivi da uccidere per acquetar r ombra
del morto Pallante » (Fornari).
18. 3-5. Né dai piedi ecc. Gli editori, se-
guendo l'ediz. del 1532, chiudono fra paren-
tesi solamente i versi 4 e 5 ; ma chi ben
consideri vedrà che questi sono stretta-
mente legati per la sintassi col precedente,
e che, se parentesi devono mettersi, esse
devono racchiudere anche il verso 3.
— 6. Ch'egli. È correlativo dei primi due
versi della stanza.
19. 4. Che, in modo che; con tal prestezza
che. L' idea di prestezza si deve rilevare
dal primo verso: per non far lunga dimora,
per non indugiar troppo in ciò, in questa
consegna, hanno condotto Ruggero in modo,
con tal sollecitudine che ecc.
Ch'in prigion tormentasse a questa guisa;
Per liberarlo saria questa e quella
Postasi al rischio di restarne uccisa;
Né Bradamante avria, per dargli aiuto,
A Beatrice o Amon rispetto avuto.
22
Re Carlo intanto avendo la promessa
A costei fatta in mente, che consorte
Dar non le lascierà, che sia men d'essa
Al paragoa de l'arme ardito e forte;
Questa sua voluntà con trombe espressa
Non solamente te' ne la sua corte,
Ma in ogni terra al suo Imperio soggetta;
Onde la fama andò pel mondo in fretta.
23
Questa condizion contiene il bando:
Chi la figlia d'Amon per moglie vuole.
Star con lei debba a paragon del brando
Da l'apparire al tramontar del sole;
E fin a questo termine durando,
E non sia vinto, senz'altre parole
La Donna da lui vinta esser s'intenda;
Né possa ella negar che non lo prenda;
24
E che l'eletta ella de l'arme dona,
21. 4. Che... tormentasse; soffrisse. Feo
Belcari, Vita B. Col. 220: «permise venir-
gli grande male di fianco, intanto che di e
notte tormentava ».
— - 5-6. saria... postasi, si saria posta. V.
e. I, 47, n. 6.
2-2. 1-2. avendo... ia mente; ricordandosi
la promessa a lei fatta che consorte ecc.
23. 4. Da 1' apparire ecp. Era fra gli usi
del duello antico, che si fissasse per il com-
battimento un'intera e sola giornata. Questo
patto era messo per lo più nelle patenti di
campo franco e nei capitoli, che si facevano
per fissare le condizioni del duello.
— 6. E non sia vinto. Veramente dovreb-
be dire : E se non sia vinto ; ma essendo
questa proposizione, coordinata alla prece-
dente gerundiva, che equivale appunto a
una condizionale, (durando = se duri) vien
naturale di sottintendervi il se. Ciò si fa
non di rado anche modernamente.
— 7. La Donna ecc.; s'intenda la Donna
esser da lui vinta, che la Donna sia da lui
V. ; senza bisogno di altri patti (senz'altre
parole).
— 8. negar che non. Per il costrutto cfr.
e V, 53, n. 1 ; e I, 38, n. 6.
24. 1. l'eletta, la scelta dell' ar. L'eletta
dell'arme spettava a colui che era sfidato :
ora colui che si fosse presentato a chiedere
la prova con Bradamante poteva conside-
rarsi come sfidante. In quei tempi 1' eletta
dell'arme dava luogo spesso a lunghe que-
stioni fra i duellanti e i padrini. L'Ar. av-
verte opportunamente che Brad., per non
CANTO XLV
627
Senza mirar chi sia di lor, che chiede.
E lo potea ben far, perch'era buona
Con tutte Tarme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la Corona
Non può né vuole, al fin sforzato cede ;
E ritornare a Corte si consiglia,
Dopo molti discorsi, egli e la figlia.
25
Ancor che sdegno e colera la madre
Contra la figlia avea, pur per suo onore
Vesti le fece far ricche e leggiadre
A varie foggie, e di più d'un colore,
Bradamante alla Corte andò col padre;
E quando quivi non trovò il suo amore.
Più non le parve quella Corte, quella
Che le solca parer già cosi bella.
26 [gio,
Come chi visto abbia, l'aprile o il mag-
Giardin di frondi e di bei fiori adorno,
E lo rivegga poi che '1 sol il raggio [no,
All'Austro inchina, e lascia breve il gior-
Lo trova deserto, orrido e selvaggio;
Cosi pare alla donna al suo ritorno.
Che da Ruggier la Corte abandonata
Quella non sia, ch'avea al partir lasciata.
27
Domandar non ardisce che ne sia.
Acciò di sé non dia maggior sospetto:
Ma pon l'orecchia, e cerca tuttavia,*
Che senza domandar le ne sia detto.
Si sa ch'egli è partito, ma che via
Pres'abbia, non fa alcun vero concetto;
far tali questioni e concluder presto la cosa,
dava senz'altro la scelta all' avversario.
— 2. mirar, considerare. V. e. xliv, 54,
n. 3. — chiede, richiede, sfida. Era parola
propria dei duelli.
— 5. con la Corona, con l' Imperatore.
25. 1-2. Ancor che... avea. V. e. v, 11, n. 6.
— per suo onore. L'abito dimesso della figlia
avrebbe procurato biasimo alla madre.
— 7. non le parve q. C. È modo comune
vivissimo, a cui si sottintende di prima:
Non le parve più quella corte di prima. S;
usa anche senza la ripetizione del sostan-
tivo: non le parve pia quella. Questo luogo
si potrebbe intendere anche cosi : quella
corte non le parve più quella, che le solea
parere già cosi bella. Ma io preferirei l'al-
tra interpretazione, per cui l'ultimo verso
è una passionata ripetizione : non vi trovò
più quella corte di prima; quella, che le
solea parere ecc.
26. 4. All'Austro inch. « Nell'inverno pare
che il sole faccia il suo giro più presso alla
parte di mezzogiorno » (Casella).
27. 3. pon l'orecchia, sta attenta a quei che
parlano. Più comunemente porgere l'orec-
chio, stare in orecchio- Belcari, Vit. Col. 7:
« Essi a parole... non ponevano orecchie ».
— C. non fa a. t. c. ; nessuno può con
Perché partendo ad altri non fé' motto,
Ch'alio scudier che seco avea condotto.
28
Oh come ella sospira! oh come teme,
Sentendo che se n'è come fuggito!
Oh come sopra ogni timor le preme,
Che per porla in oblio se ne sia gito!
Che vistosi Amon contra, et ogni speme
Perduta mai più d'esserle marito,
Si sia fatto da lei lontano, forse .
Cosi sperando dal suo amor disciorse:
29
E che fatt'abbia ancor qualche disegno,
Per più tosto levarsela dal core.
D'andar cercando d'uno in altro regno
Donna per cui si scordi il primo amore.
Come si dice che si suol d'uu legno
Talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier eh' a questo poi succede,
Le dipinge Ruggier pieno di fede;
30
E lei, che dato orecchie abbia, riprende,
A tanta iniqua suspizione e stolta:
E cosi l'un pensier Ruggier difende.
L'altro l'accusa: et ella araenduo ascolta,
E quando a questo e quando a quel s'ap-
[prende,
Né risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all'opinion più tosto corre,
Che più le giova, e la contraria aborre.
31
Etalorancochele torna amente 'detto.
Quel che più volte il suo Ruggier le ha
Come di grave error, si duole e pente,
Ch'avuto n'abbia gelosia e sospetto;
E come fosse al suo Ruggier presente.
Chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
Ho fatto error (dice ella), e me n'av veggi o;
Ma chi n'è causa, è causa ancor di peggio.
verità argomentare : fan solamente delle
congetture. Cosi il Rucellai Oii. Dial.fd.:
« Esaminiamo... se noi possiamo far con-
cetto che si ritrovi in esse l'esistenza di
questi innumerabili mondi ».
28. 3. le preme, l'addolora: col complem.
al cor nel e. xi, 14, 4; xvii, 106, 3. Intendi:
sopra og. t. le preme il timor che ecc.
— 5. Che. Dipende da le preme timor.
— 6. mai pili d'esserle ; d'esserle mai più
marito.
29. 6. Talor chiodo ecc. Questo proverbio
ricorre anche nel e. xviii, 98, 8, dove trove-
rai la nota.
30. 1. riprende. Soggetto è il pensiero.
— 2. A tanta in. Per l' attrazione cfr.
e. V, 18, n. 7. — suspizione (lat. suspicio-
nem), sospetto.
31. 1. talor... che; talora... quando.
— 8. Ma chi ecc. Ma Amore, che è causa
di questi ingiusti sospetti, è causa anche di
628
ORLANDO FURIOSO
32 [presso
Amor n' è causa, che nel cor m' ha ira-
La forma tua cosi leggiadra e bella;
E posto ci ha l'ardir, l'ingegno appresso,
E la virtù di che ciascun favella;
Ch'impossibil mi par, ch'ove concesso
Ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
Non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
Di sciorti dal mio amore e al suo legarte.
33
Deh avesse Amor cosi ne i pensier miei
Il tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
10 son ben certa che lo troverei
Palese tal, qual io lo stimo occulto;
E che si fuor di gelosia'sarei,
Ch'ad or ad or non mi farebbe insulto;
E dove a pena or è da me respinta,
Rimarria morta, non che rotta e vinta.
34
Son simile all'avar e' ha il cor sì intento
Al suo tesoro, e si ve l' ha sepolto,
Che non ne può lontan viver contento,
Né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, eh' io non ti veggo e
[sento,
In me, più de la speme, il timor molto,
11 qual benché bugiardo e vano io creda,
Non posso far di non mi dargli in preda.
35
Ma non apparirà il lume si tosto
Agli occhi miei del tuo viso giocondo,
Contra ogni mia credenza a me nascosto,
Non so in qual parte, o Ruggier mio, del
Come il falso timor sarà deposto [mondo.
Da la vera speranza, e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
La speme che '1 timor quasi m'ha morta!
36
Come al partir del sol si fa maggiore
L'ombra, onde nasce poi vana paura;
E come all'apparir del suo splendore
Yieu meno l'ombra, e '1 timido assicura:
peggio, cioè di tutti i toi'menti, coi quali mi
agita il cuore.
32. 3. E posto ecc. ; E appresso alla bella
forma, ha posto, ha impresso il tuo ar-
dir ecc.
— 5. Ch'imposs. m. p.; Cosi che mi pare
imp.
— 6. ch'ogni ecc. Qui abbiamo le ripeti-
zioni del che, di cui nella n. 6, e. v, 27.
34. 4. Né non sempre t. ; né può non temer
sempre.
— 8. Hon posso ecc. ; Non posso fare in
modo di non darmigli in pr.
35. 1-5 non... si tosto... come. Più comu-
nemente: non si tosto che, come abbiamo
nella st. 37, 5-6.
— 8; m'ha morta, m'ha uccisa, ha ucciso
per me, in me la speranza.
Sft. 4. assicura. Il soggetto è il suo splen-
Cosi senza Ruggier sento timore;
Se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
Che '1 timor la speranza in tutto opprima!
37
Come la notte ogni fiammella è viva,
E riman spenta subito ch'aggiorna;
Cosi, quando il mio sol di sé mi priva.
Mi leva incontra il rio timor le corna:
Ma non si tosto all'orizonte arriva.
Che '1 timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
E scaccia il rio timor che mi consume!
38
Se '1 sol si scosta, ejascia i giorni brevi.
Quanto di bello avea la terra asconde;
Fremono i venti, e portan ghiacci e nievi;
Non canta augel, né fior si vede o fronde:
Cosi, qualora avvien che da me levi,
O mio bel sol, le tue luci gioconde,
Mille timori, e tutti iniqui, fanno
Un aspro verno in me più volte l'anno.
39
Deh torna a me, mio sol, torna, e rime-
La desiata dolce primavera! [na
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
La mente mia si nubilosa e nera.
Qual Progne si lamenta o Filomena
Ch'a cercar esca ai figliolini ita era,
E trova il nido voto; o qual si lagna
Turture e' ha perduto la compagna:
dorè da rilevarsi dal verso precedente. La
sintassi procede quindi un po' irregolar-
mente,
37. 1. ogni fiammella. Intendono: ogni
stella. Mi sembra che si possa intendere in
generale ogni lume. Cosi il paragone acqui-
sta un po' più d'eflfìcacia. Come la notte ogni
più piccolo lume produce il suo effetto, cosi,
quando è lontano Ruggero, ogni più piccolo
timore prende forza. Questa è una delle
comparazioui meno felici del Furioso.
— 8. consume, consuma. V. e. xxxv, 15,
n. 4.
38. 4. fronde, fronda. V. e. xii, 72, n. 4. —
Questo indugiarsi a lungo nel medesimo pen-
siero e nelle stesse immagini, rivolgendole
e presentandole da più parti, è una bizzaria
dovuta al petrarchismo dominante in quel
tempo.
89. 5. Progne ecc. V. e. x, 113, n. 6;
XXXIX, 31, n. 8. Si nota giustamente che in
questa stanza l'Ar. ha ripensato al sonetto
del Petrarca « Zefiro torna e il bel tempo
rimena », dal quale ha preso anche tre rime
— 8. Torture ecc. Questa comparaziom
piacque molto ai poeti : 1' ha il Polizian
il Castiglione, Luca Pulci e altri. L'Ariosto
l'ha pure nell' egloga, vv. 229-231.
le. j
CANTO XLV
629
40
Tal Bradamante si dolea, che tolto
Le fosse stato il suo Ruggier temea,
Di lacrime bagnando spesso il volto,
Ma più celatamente che potea.
Oh quanto quanto si dorria più molto,
S'ella sapesse quel che non sapea, [te
Che con pena e con strazio il suo consor-
Era in prigion, dannato a crudel morte!
41
La crudeltà ch'usa l'iniqua vecchia
Centra il buon cavallier che preso tiene,
E che di dargli morte s'apparecchia
Con nuovi strazi! e non usate pene,
La superna Bontà fa eh' all'orecchia
Del cortese figliuol di Cesar viene;
E che gli mette in cor, come l'aiute,
E non lasci perir tanta virtute.
42
Il cortese Leon che Ruggiero ama
(Non che sappi però che Ruggier sia).
Mosso da quel valor ch'unico chiama,
E che gli par che soprumano sia.
Molto fra sé discorre, ordisce e trama,
E di salvarlo al tìu trova la via,
In guisa che da lui la Zia crudele
Offesa non si tenga e si querele.
43
Parlò in secreto a chi tenea la chiave
De la prigione; e che volea, gli disse,
Vedere il cavallier pria che si grave
Sentenzia, centra lui data, seguisse.
40. 1. che. È relativo di Bradamante.
— 5. quanto... più molto. Abbiamo qui
l'esempio forse più spiccato della fusione
di due costrutti : uno esclamativo, 1' altro
affermativo : quanto più si dorrebbe — certo
si dorrebbe molto più. Cfr. e. xxvi, 46, n. 2;
V, 80, 6.
41. 1-8. La crudeltà ecc. È una stanza in-
tralciata e non facile, su cui i commenta-
tori non dicono nulla. Si può intendere in
due modi : La superna bontà fa che la cru-
deltà, che usa contro il buon cavaliere l'ini-
qua vecchia, la quale lo tiene preso (cfr.
e. I, 21, n. 7 e IV, 51, n. 4) e la quale s'ap-
parecchia di dargli morte con n. str. e n.
US. p., viene all'orecchia del cort. f. di Ces.
e questa stessa Bontà fa si che gli mette in
cor come l'aiuti ecc. Oppure: La superna
Bontà fa che viene all' orecchia del fig. di
Cesare la crudeltà che l'in. v. usa contro il
b. e, cui tiene preso; e fa che gli vien pure
all'orecchia che essa si apparecchia di dar-
gli morte ecc. e fa si che gli mette in cuoi'e
ecc. L'una e l'altra interpretaz. sono egual-
mente possibili: meglio la prima.
42. 2. sappi, sappia. V. e. xv, 86, n. 5.
— 7. da lui, da Leone.
43. 4. seguisse, avesse effetto. Questo si-
gnificato sarebbe veramente diverso da tutti
Giunta la notte, un suo fedel seco have
Audace e forte, et atto a zuffe e a risse;
E fa che '1 castellan, senz'altrui dire
Ch'egli fosse Leon, gli viene aprire.
44
Il castellan, senza ch'alcun de' sui
Seco abbia, occultamente Leon mena
Col compagno alla torre, ove ha colui
Che si serba all'estrema d'ogni pena.
Giunti là dentro, gettano amendui
Al castellan che volge lor la schena
Per aprir lo sportello, al collo un laccio,
E subito gli dau l'ultimo spaccio.
45
Apron la cataratta, onde sospeso
Al canape, ivi a tal bisogno posto, [ceso,
Leon si cala, e in mano ha un torchio ac-
Là dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s'una grata steso [sto.
Lo trova, all'acqua un palmo e men disco-
gli altri, che i vocabolari registrano. Se ciò
non ti piace intendi : prima che il castellano
eseguisse le sentenza. Seguire per eseguire
è frequente. Boccaccio, Nov. SO: «Al quale,
piacendo il fatto, si mise in avventura di
volerlo sei/uire ».
— 7. senz'altrui dire: Leone fece si che
il castellano venne ad aprirgli segretamente
senza dire a nessuno che sarebbe giunto il
figlio dell'imperatore.
— 8. viene aprire, viene ad apr. V. e. I,
4, n. 1.
44. 3. OTO ha col. Puoi intendere; ove egli
ha, tiene colui ecc. Ma meglio intenderai
ha per è: V. e. xl, 44. «Il verbo avere hi
italiano, come in altre lingue romanze, spe-
cialmente in provenzale, si usò per essere
impersonalmente, ora con vi o ci ; per es.
ci ha, v'ha, vi aveva, ora anche solo come
qui. Il nome, che con esso s' accompagna,
può considerarsi come un oggetto o un ac-
cusativo del verbo stesso... Il Gherardini
(Appendice alle Grammat. italiana, p. 113),
mostra che in italiano è lecito tanto l'usar
questo verbo impersonalmente quanto per-
sonalmente, accordandolo in numero col
nome, contro l'opinione d'alcuni gramma-
tici, che avevano condannato il secondo uso
(es. come che poche ve >?,' abbiano) » Forna-
ciARi, yov. Scelte pag. 152).
— 8. l'u. spaccio. Spacciare è spedire;
per ciò fu usato anche nel senso di spedire
all' altro mondo.
45. 1. la cataratta. Propriamente è una
chiusura scorrente dall'alto al basso in ap-
posite scanalature, ma qui significa badala,
cioè una ribalta di legno , che chiude un'aper-
tura nel pavimento; come nel Boccaccio,
Coìnm. Commed. e. 5. Ruggero dunque era
stato calato in una prigione sotterranea.
— 5. grata, graticola, perché non toc-
630
ORLANDO FURIOSO
L'avria, in un mese e in termine più corto,
Per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
46
Leon Ruggier con gran pietade ab-
E dice: Cavallier, la tua virtute [braccia
Indissolubilmente a te m'allaccia
Di voluntaria eterna servitute; [piaccia
E vuol che più il tuo ben, che '1 mio, mi
Né curi per la tua la mia salute,
E che la tua amicizia al padre e a quanti
Parenti io m' abbia al mondo, io metta
47 [i nauti.
Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
Di Costantin, che vengo a darti aiuto,
Come vedi, in persona, con periglio
(Se mai dal padre mio sarà saputo)
D'esser cacciato, o con turbato ciglio
Perpetuamente esser da lui veduto ;
Che per la gente la qual rotta e morta
Da te gli fu a Belgrado, odio ti porta.
48
E seguitò, più cose altre elicendo
Da farlo ritornar da morte a vita;
E lo vien tutta volta disciogliendo.
Ruggier gli dice: Io v'ho grazia infinita;
E questa vita ch'or mi date, intendo
Che sempre mai vi sia restituita.
Che la vogliate riavere, et ogni
Volta che per voi spenderla bisogni.
49
Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
E in vece sua morto il guardian rimase;
Né conosciuto egli né gli altri furo.
Leon menò Ruggiero alle sue case.
Ove a star seco tacito e sicuro
Per quattro o per sei di gli persuase;
Che riaver l'arme e '1 destrier gagliardo
Gli faria intanto, che gli tolse Ungiardo.
casse l' acqua. Avverte il Panizzi che nel
romanzo La conqueste de Charlemagne vi
è una storia simile a questa. La giovine
Florippe desiderando di vedere Oliviero e
altri paladini che erano imprigionati, uccide
il carceriere, che voleva impedirglielo, e
pone i prigionieri in libertà.
47. 1. acciò tu intenda ; afnnclié tu intenda
bene le mie parole e le comprenda, sappi
che sono Leone.
4S. 6-7. sempre mai ... che ; sempre che,
ogni volta che.
49. 2. in vece sua; e in quel luogo rimase
il guaidinno morto invece di Ruggero. Si
capisce dunque che per ritardare la sco-
perta dell'omicidio, gettarono il corpo del
guardiano nel sotterraneo.
— 5-6. a star... gli persuase. Questo co-
strutto, che sembra strano, non è che la
fusione dei due costrutti del verbo persua-
dere: persuadere a uno di fare-persuadere
uno a fare. V. st. 40, n. 5.
— 7. Che ; poiché.
50 fzato
Ruggier fuggito, il suo guardian stroz-
Si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato;
Ne parla ognun, né però alcun s'appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
Più tosto si saria, che di Leone ;
Che pare a molti, ch'avria causa avuto
Di farne strazio, e non di dargli aiuto.
51
Riman di tanta cortesia Ruggiei'O
Confuso si, si pien di maraviglia,
E tramutato si da quel pensiero
Che quivi tratto l'avea tante miglia.
Che mettendo il secondo col primiero.
Né a questo quel, né questo a quel simi-
li primo tnttoeraodiOjira e veneno; [glia.
Di pietade è il secondo e d'amor pieno.
52
Molto la notte, e molto il giorno pensa.
D'altro non cura, et altro non disia.
Che da l'obligazion che gli avea immensa,
Sciòrsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
In lui servire, o breve o lunga sia,
E se s'espone a mille morti certe.
Non gli può tanto far, che più non nierte.
53
Venuta quivi intanto era la nuova
Del bando ch'avea fatto il Re di Francia,
Che chi vuol Bradamante, abbia a far
[prova
Con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon si poco giova,
Che se gli vede iinpallidir la guancia;
Perché, come uom che le sue forze ha note.
Sa ch'a lei pare in arme esser non puote.
54
Fra sé discorre, e vede che supplire
Può con l'ingegno, ove il vigor sia manco.
Facendo con sue insegne comparire
Questo guerrier di cui non sa il nome anco;
Che di possanza giudica e d'ardire
Poter star contra a qual si voglia Franco:
.50. 7. causa, ragione. Cosi nel e. xi-iv,
55; e cosi spesso anche neh' uso comune.
.51. 3. tramutato, rimosso, allontanato. Di
tal significato non si cita esempio nei voca-
bolari.
— 1. tante miglia, per tante miglia. È
complemento di spazio.
62. 5-8. Gli par... non gli può; gli pare che
non gli possa. L'omissione del che è fre-
quente e comune; non cosi l'indicativo di-
pendente da 2)cirere. Si può anche intendere
mi pare come fra parentesi. — dispensa,
impiega. V. e. xv, 78, n. 3.
5S. 5. giova, piace. È Viuvat dei Latini.
— 8. pare, pari. Gli antichi usarono tal-
volta questa forma anche in prosa.
CANTO XLV
631
E crede ben, s'a luì ne dà l'impresa.
Che ne fia vinta Bradaraante e presa.
55
Ma due cose ha da far; l'una, disporre
Il cavallier, che questa impresa accetti;
L'altra, nel campo in vece sua lui porre
In modo che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama, e '1 caso gii discorre,
E pregai poi con efficaci detti,
Ch'egli sia quel ch'a questa pugna vegna
Col nome altrui, sotto mentita insegna.
56
L'eloquenzia del Greco assai potea,
Ma più de l'eloquenzia potea molto
L'obligo grande che Ruggier gli avea,
Da mai non ne dovere essere isciolto:
Si che quantuque duro gli parca,
E non possibil qua*i: pur con volto.
Più che con cor giocondo, gli rispose,
Ch'era per far per lui tutte le cose.
57
Benché da fier dolor, tosto che questa
Parola ha detta, il cor ferir si senta,
Che giorno e notte e sempre lo molesta,
Sempre l'affligge, e sempre lo tormenta,
E vegga la sua morte manifesta;
53. 5. gli discorre, gli espone. Guicciar-
dini, St. Jt., 4, 153 « Discorrendo al Luogo-
tenente del Pontefice.... lo stato delle cose ».
56. 4. Da mai; tale da non dover mai es-
serne sciolto. V. e. vili, 16, 2, dove abbiamo
simile espressione, ma con la preposizione
(li per da.
— 5. quantunque gli parea. Più comune-
niente col congiuntivo. — Il Tasso (Del poe-
ma eroico lib. 2) confrontando la cortesia
di questi cavalieri dice : « La virtù di Leone
nel Furioso supera tutti gli altri esempi
ch'io abbia letti. Laonde mi pare che scioc-
camente si dubiti qual sia maggiore corte-
sia, quella di Leone o quella di Ruggero,
perché non è cortesia quella che è fatta
contro l'onesto e contro il diritto; ma non
ei'a onesto che Ruggero ingannasse Brada-
mànte, non fu dunque cortesia quella di
Ruggero; pei"ò non doverla contendere con
quella del Principe greco ». Ma il Panizzi
giustamente osserva : « lo non posso ammi-
rare questo principe, che vedo uccidere il
carceriere di Ruggero. Tutte le sue buone
qualità sono dimenticate quando viene in
mente quel delitto. Ruggero pecca in ec-
cesso di generosità e di gratitudine, il che
rende il suo carattere molto più nobile di
prima ». Noi però in questi due giudizi dob-
biamo vedere l' indice dei tempi. Quando
l'Ariosto scriveva questi canti, il Machia-
velli aveva scritto il Principe, che scanda-
lizza noi, ma non scandalizzò gli uomini
del Rinascimento.
Pur non è mai per dir che se ne penta;
Che prima ch'a Leon non ubbidire,
Mille volte, non ch'una, è per morire.
58
Ben certo è di morir; perché, se lascia
La donna, ha da lasciar la vita ancora:
0 che l'accorerà il duolo e l'ambascia;
0 se '1 duolo e l'ambascia non l'accora,
Con le man proprie squarcierà la fascia
Che cinge l'alma, e ne la trarrà fuora;
Ch'ogni altra cosa più facil gli fia.
Che poter lei veder, che sua non sia.
59
Gli è di morir disposto; ma che sorte
Di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi raen forte,
E porger nudo alla Donzella i) fianco;
Che non fu mai la più beata morte.
Che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
Sia di Leon, che l'obligo non scioglie;
60
Perché ha promesso centra Bradamante
Entrare in campo a singular battaglia;
Non simulare, e farne sol sembiante.
Si che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque starà nel detto suo constante;
E benché or questo or quel pensier l'as-
[saglia,
Tutti gli scaccia, e solo a questo cede.
Il qual l'esorta a non mancar di fede.
61
Avea già fatto apparecchiar Leone,
Con licenza del patre Costantino,
Arme e cavalli e un numer di persone,
Qual gli convenne, e entrato era in camino:
E seco avea Ruggiero a cui le buone
58. 3. 0 che; o. V. e. iv, 35 n. 5.
— 4. accora, uccide di dolore. Questo si-
gnificato, che ormai non è più nell'uso mo-
derno, non è I-aro negli antichi: si disse
propriamente e in qualche luogo di Toscana
dicesi ancora, dell'ammazzare i maiali fe-
rendoli al cuore; poi fìguratam. uccidere
con ferita al cuore, con dolore. Boccaccio.
Rim. 17: «Panni... sentii-e... un duol, il
qual par che m' accori ».
— 5. la fascia, il corpo. È immagine dan-
tesca; Pure/. 16, 37-38; « quella fascia, Che
la morte dissolve.
59. 1. Gli è; egli è — disposto, risoluto.
È significato ancor vivo nella lingua. Cosi
nel e. xviir, 170.
— 5. Che non fu ecc.. Poiché non vi fu
mai una (vi, 20, n. 4) morte più beata che
la sua, se ecc.
— 7. per lui resta, da lui dipende. Ve. XL,
81, n. 5.
61. 4. Q. gli convenne; conveniente al suo
grado: cfr. e. xxxvii, 68, n. 3.
632
ORLANDO FURIOSO
Arme avea fatto rendere e Frontino :
E tanto un giorno e un altro e un altro
[andaro,
Ch' in Francia et a Parigi si trovaro.
62
Non volse entrar Leon ne la cittate,
E i padiglioni alla campagna tese;
E fé' il medesmo di per imbasciate
Che di sua giunta il Ke di Francia intese.
L'ebbe il Re caro; e gli fu più fiate,
Donando e visitandolo, cortese.
De la venuta sua la cagioa disse
Leone, e lo pregò che l'espedisse:
63
Ch'entrar facesse in campo la Donzella
Che marito non vuol di lei men forte;
Quando venuto era per fare o ch'ella
Moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l'assunto, e fece quella
Comparir l'altro di fuor de le porte,
Ne lo steccato che la notte sotto
All'alte mura fu fatto di botto.
64
La notte ch'andò inanzi al terminato
Giorno de la battaglia, Ruggiero ebbe
Simile a quella che suole il dannato
Aver, che la mattina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
Perch'esser conosciuto non vorrebbe;
Né lancia né destriero adoprar volse;
Né, fuor che '1 brando, arme d'offesa tolse.
62. 3. fé, fece in modo che per mezzo
d'imbasciate il re di Fr. seppe della sua ve-
nuta.
— 8. 1' eapedisse, lo sbrigasse.
C3. 3. Quando, poiché. V. e. i, 18, n. 3.
— 8. di botto, subilo. Cosi nel e. xvii,
103, 3. Veramente questo modo vale di colpo;
quindi accenna ad azione istantanea come
un colpo. Per estensione di significato vale
anche subito, senza por tempo in mezzo.
64. 1. terminato, determinato, stabilito.
V. e. XIII, 13, n. 2 e xxxvm, 76, 3.
— 2. ebbe. Ila per complemento la notte
del V. 1.
— 3. dannato, condannato. Cosi nel e.
XXII, 42, 3, e cosi spesso.
— 5. Eletto... combatter; el. di combatter.
V. e. I, 4, n. 1. — tutto armato; Di presen-
tarsi cioè al combattimento, tutto armato,
tutto chiuso nell'armatura. Abbiamo visto
che nelle sfide regolari spesso i cavalieri si
armavano nel padiglione eretto nella lizza
(e. xxvii, 49); e se venivano armati, si pre-
sentavano col viso scoperto per compiere
certe cerimonie preliminari (e. xxxvm, 79).
Quando però si bandiva da un cavaliere una
sfida per chiunque volesse accettarla, pote-
vano i combattenti, che non volevano esser
conosciuti, presentarsi tutti armati con elmo
e visiera calata {e. v, 77).
65
Lancia non tolse; non perché temesse
Di quella d'or; che fu de l'Argalia,
E poi d'Astolfo a cui costei successe.
Che far gli arcion votar sempre solia;
Perché nessun, ch'ella tal forza avesse,
0 fosse fatta per negromanzia,
Avea saputo, eccetto quel Re solo
Che far la fece e la donò al figliuolo.
66
Anzi Astolfo e la Donna, che portata
L'aveano poi, credean che, non l'incanto,
Ma la propria possanza fosse stata.
Che dato loro in giostra avesse il vanto;
E che con ogni altra asta ch'incontrata
Fosse da lor, farebbono altretanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra;
E per non far del snoT'rontino mostra:
67
Che lo potria la Donna facilmente
Conoscer, se da lei fosse veduto;
Però che cavalcato e lungamente
In Montalban l'avea seco tenuto.
Ruggier che solo studia e solo ha mente
Come da lei non sia riconosciuto,
65. 4. Che. È relativo di lancia. Tutto il
luogo dunque suona cosi: Di quella d'or, che
fu dell'Ar. e poi d'Ast., al quale successe
nel possesso Bradamante ; la quale lancia
soleva ecc. Il distacco forzato del relativo
fu più volte notato da noi nel Furioso : e. iv,
51, 4; XXVI, 62, 2; xxxiii, 56, 5; ecc. Chi
volesse riferire il costei alla lancia dovreb-
be intendere successe per passò come nel
e. XLVi, 83, 3: «lo padiglione Che poi suc-
cesse in man de'Tolomei»; ma avremmo
la diflìcoltà della successione incompleta:
mancherebbe cioè l'accenno a Bradamante.
Per ciò r altra interpret. è preferibile.
— 7. quel Re solo, Galafrone re del Calai,
padre di Angelica e deli'Argalia, al quale il
padre l'avea data quando lo mandò in Fran-
cia. Cfr. e. I, 5, n. 1.
66. 5. incontrata, presa, trovata a caso.
— 7. La cagion... che; la cag. perché —
non giostra. La giostra si faceva a cavallo
con sola lancia allo scopo di scavalcare il
nemico. V. e. xxvi, 20, n. 8.
— 8. per non far ecc. « Non poteva pro-
cacciare un altro cavallo atto al bisogno,
come cercò d'un'altra spada? » (Casella). Se
Ruggero non volle usar Balisarda per non
nuocere a Bradamante, non volle neppure
usare altro cavallo comune, che, in una
giostra, lo avrebbe reso troppo inferiore a
Bradamante, da cui non voleva esser vinto
per non essere sleale con Leone.
67. 3. cavalcato ecc. V. e. iv, 46, segg,
— 5. ha mente, attende, pone attenzioni
V. e. xii, 53, n. 7.
1
CANTO XLV
633
Né vnol Frontin, né vuol cos'altra avere,
Che di far di sé indizio abbia potere.
6S
A questa impresa un'altra spada volle,
Che ben sapea che centra a Balisarda
Saria ogn'osbergo, come pasta, molle;
Ch'alcuna tempra quel furor non tarda:
E tutto '1 taglio anco a quest'altra toUe
Con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme Ruggiero al primo lampo
Ch'apparve all'orizonte, entrò nel campo.
69
E per parer Leon, le sopraveste
Che dianzi ebbe Leon, s'hamesseindosso;
E l'aquila de l'or con le due teste
Porta dipinta ne lo scudo rosso.
E facilmente si potean far queste [so
Finzion; ch'era ugualmente grande e gros-
L'un come l'altro. Appresentossi l'uno;
L'altro non si lasciò veder d'alcuno.
70
Era la voluntà de la Donzella
Da quest'altra diversa di gran lunga;
Che, se Ruggier su la spada martella
Per rintuzzarla, che non tagli o punga.
La sua la Donna aguzza, e brama ch'ella
Entri nel ferro, e sempre al vivo giunga.
Anzi ogni colpo si ben tagli e fóre,
Che vada sempre a ritrovargli il core.
71
Qual su le mosse il barbaro si vede,
— 8. far... indizio, indicarlo, farlo cono-
scere. Cosi nel e. xvii, 133, ecc. L'Ar. amò
assai questa locuzione.
68. 4. non tarda; non rende vano. È un'
estensione di significato notevole, e non ci-
tata dai vocabolari.
— 7. lampo, luce, arbore. Di questo si-
gnificato speciale non si citano altri esempì.
69. 3. l'aquila de l'or, Per la preposiz. ar-
ticolata cfr. e. XLi, 101, n. 4. L'aquila d'oro
con due teste fu antica arme dell' impero.
Il Lipsio opinò che l'avesse adottata Costan-
tino per indicare 1' unione dei due imperi
d'oriente e d'occidente. Ma pare piuttosto
che quando l' impero germanico venne a
Enrico VII di Luxemburg, all'aquila di esso
egli unisse quella improntata sullo stemma
di sua famiglia ; e cosi composta passò ai
successivi imperatori (Cantù, St. Univers.
V, pag. 429).
— 8. d'alcuno, da alcuno. V. e. v, 10, n. 5.
70. 4. che, cosi che.
— 7. ogni colpo. È soggetto : anzi brama
che ogni colpo ecc.
71. 1. barbaro. Più comunemente barbe-
ro, il cavallo che corre, sciolto, a gara. (De-
riva da Berberia o Barbarla, regione del-
l'Affrica, donde prima vennero quei cavalli
più atti alla corsa).
Che '1 cenno del partir focoso attende.
Né qua né là poter fermare il piede.
Gonfiar le nare, e che l'orecchie tende:
Tal l'animosa Donna che non crede
Che questo sia Ruggier con chi contende.
Aspettando la tromba, par che fuoco
Ne le vene abbia, e non ritrovi loco.
72
^ Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
Subito segue, che sozzopra volve
L'ondoso mare, e leva in un momento
Da terra fin al ciel l'oscura polve;
Fuggon le fiere, e col pastor l'armento.
L'aria in grandine e in pioggia si risolve:
Udito il segno la Donzella, tale
Stringe la spada, e '1 suo Ruggiero assale.
73
Ma non più quercia antica, o grosso mu-
Di ben fondata torre a Borea cede, [ro
Né più all'irato mar lo scoglio duro,
Che d'ogni intorno il di e la notte il fiede;
Che sotto l'arme il buon Ruggier sicuro.
Che già al Troiano Ettòr Vulcano diede.
Ceda all'odio e al furor che lo tempesta
Or ne' fianchi, or nel petto, or ne la testa.
74
Quando di taglio la Donzella, quando
Mena di punta, e tutta intenta mira
Ove cacciar tra ferro e ferro il brando.
Si che si sfoghi e disacerbi l'ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentan-
Quando di qua, quando di là s'aggira; [do;
E si rode e si duol che non le avvegna
Mai fatta alcuna cosa che disegna.
75
Come chi assedia una città che forte
— 2-4. Che 'I cenno ecc. Avverti il cam-
biamento di costrutto: prima la proposi-
zione relativa, poi due infinitive, in ultimo
j di nuovo una relativa. Il periodo non ne
I guadagna in chiarezza. L'Ar. ama questi
I cambiamenti: cfr. e. x, 18, 5; 46, 3.
— 7. la tromba, dell'araldo, che nei duelli
I dava il segnale dell'attacco.
72. 1-6. Qnal ecc. Citano a confi-onto la
comparazione di Virgilio, En. 2, 416; ma
questa dell'Ar. è ben diversa nei particolari,
più piena e più elRcace.
73. 6. Che. È relativo di arme. Si ricordi
che Ruggero aveva l'arme di Mandricardo,
che erano quelle di Ettore. V. e. xiv, 31, n. l.
— 7. tempesta, travaglia, tormenta.
74. 3. tra ferro e ferro; nelle giunture del-
l' armatura.
— 7. avvegna... fatta; venga fatta. Que-
sto senso di avvenire non si trova nella
N. Crusca. Avventuroso CicUiano 2: «Av-
venne alla regina voglia >. Cosi troviamo
avvenne sete, avvenne luia visione.
75. 1-6. Come ecc. Virgilio descrivendo la
634
ORLA.NDO FURIOSO
Sia di buon fianchi, e di muraglia grossa,
Spesso l'assalta, or vuol batter le porte.
Or l'alte torri, or atturar la fossa;
E pone indarno le sue genti a morte,
Né via sa ritrovar ch'entrar vi possa:
Cosi molto s'affanna e si travaglia,
Né può la Donna aprir piastra né maglia.
76 [elmetto,
Quando allo scudo e quando al buono
Quando all'osbergo fa gittar scintille
Con colpi ch'alle braccia, al capo, al petto
Mena dritti e riversi, e mille e mille,
E spessi più, che sul sonante tetto
La grandine far soglia de le ville.
Ruggier sta su l'avviso, e si difende
Con gran destrezza, e lei mai non offende.
77
Or si ferma, or volteggia, or si ritira,
E con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, et or la spada gira
Ove girar la man nimica vede.
0 lei non fere, o, se la fere, mira
Ferirla in parte ove raen nuocer crede.
La Donna, prima che quel di s'inchino,
Brama di dare alla battaglia fine.
78
Si ricordò del bando, e si ravvide
Del suo periglio, se non era presta;
lotta fra Entello ed Aceste, En. 5, 439 dice
di quello : « Ille, velut celsam oppugnai mo-
libus urbem Aut montana sedet circum ca-
stella sub armis, Xunc hos nunc illos aditus
omnemque pererrat Arte locum ».
— 4. attarar, turar. V. e. xvi, 28, n. 3;
XXXIII, 121. È forma usata anche da altri e
non morta nel popolo toscano.
— 5. pone... a morte, espone alla morte,
spinge a morte le proprie genti. Come si
direbbe uccide le sue g. per le esjwne ad
essere uccise, cosi pone a m. per espone
alla m.
— 6. via... che; via tale... che.
70. 4. riversi, rovesci.
— 5-6. piti che s. s. tetto ecc. Viro. En.
5, 458: « Quam multa grandine nimbi Cul-
niinibus crepitant, sic multis ictibus heros
ecc. ». Rileva le differenze.
77. 2. E con la man ecc. ; E spesso mentre
fa un movimento col piede è costretto a
farne uno pur con le braccia, ora porgendo
lo scudo, ora girando la spada ecc., per ri-
parare i colpi.
— 5. fere, ferisce , colpisce : e. xxvi, 73,
n. 7.
— 7. s'inchlne, decline. Guido delle Co-
lonne, G. di T. 278 r usa nello stesso si-
gnificato.
78. 1. si ravvide, si avvide, si accorse.
V. e. xxxii, 4J, n. 4.
— 2. Del ano p. ecc., del pericolo che
avrebbe corso se non era presta. È una bra-
che, se in un di non prende o non uccide
11 suo domandator, presa ella resta.
Era già presso ai termini d'Alcide
Per attuffar nel mar Febo la testa.
Quando ella cominciò di sua possanza
A diffidarsi, e perder la speranza.
79
Quanto mancò più la speranza, crebbe
Tanto più l'ira, e radoppiò le botte;
Che pur quell'arme rompere vorrebbe.
Ch'in tutto un di non avea ancora rotte '•
Come colui ch'ai lavorio che debbe,
Sia stato lento, e già vegga esser notte.
S'affretta indarno, si travaglia e stanca.
Fin che la forza a un tempo e il di gli
80 [manca.
O misera Donzella, se costui
Tu conoscessi, a cui dar morte brami;
Se lo sapessi esser Ruggier, da cui
De la tua vita pendono gli stami;
So ben ch'uccider te, prima che lui.
Vorresti; che di te so che più l'ami:
E quando lui Ruggiero esser saprai,
Di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
81
Carlo e molt'altri seco, che Leone
Esser costui credeansi, e non Ruggiero,
Veduto come in arme, al paragone
Di Biadamante, forte era e leggiero;
E, senza offender lei, con che ragione
Difender si sapea, mutan pensiero,
E dicon: Ben convengono amendui;
Ch'egli è di lei ben degno, ella di lui.
chilogia, frequentissima nel linguaggio po-
polare.
— 3. Che. Può essere invece di poiché (e. i,
27, 8), e anche congiunzione dichiarativa di
bando.
— 4. Il suo domandator. È termine tecnico
dei duelli. Si diceva anche richiedente: co-
lui che sfidava.
— 5. ai term. d'Alcide ; alle colonne d'Er-
cole (XV, 22, n. 5). Qui vuol dire in generale
al tramonto, poiché le colonne d'Ere, sono
a ponente.
— 8. diffidarsi di una cosa, è cosi fre-
quente come la semplice forma neutra dif-
fidare.
79. 5. lavorio, lavoro, opera. È frequente
negli antichi. Boccaccio, Nov. 6: « Per an-
dare a lavorare o a trovar lavorio » — debbe,
deve, perché si è assunto l'obbligo di farlo.
80. 3. Se lo sap. esser R.; se sapessi lui
esser R.
— 6. che di te ; poiché di te.
81. 5. con che ragione, con che abilità. Di-
pende da veduto- Quanto al significato di
ragione, cfr. e. xvni, 48, n. a.
— 7. convengono, son conformi, l'uno sta
bene all'altro, Più comunemente si conven-
gono. V. e. XVI, 6, n. 3, Dante, Conv. 168 :
CANTO XLV
òóò
82
Poi che Febo nel mar tutt'è nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
Giudica che la Donna per suo sposo
Prenda Leon, né ricusar lo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo.
Senz'elmo trarsi, o alleggerirsi maglia,
Sopra un picciolrouziu torna ingraufret-
Ai padiglioni ove Leon l'aspetta. [ta
83
Gittò Leone al cavallier le braccia
Due vo'-p e più fraternamente al collo;
E poi, trattogli l'elmo da la faccia,
Di qua e di là con grande amor baciollo.
Vo' (disse) che di me sempre tu faccia
Come ti par; che mai trovar satollo
Non mi potrai, che me e lo stato mio
Spender tu possa ad ogni tuo disio.
84
Né veggo ricompensa che mai questa
Obligazion ch'io t'ho, possi disciorre;
E non s'ancora io mi levi di testa
La mia corona, e a te la venghi a porre.
Ruggier, di cui la mente auge e molesta
Alto dolore, e che la vita aborre,
Poco risponde, e l'insegne gli rende.
Che n'avea avute, e '1 suo liocorno prende:
85
E stanco dimostrandosi e svogliato.
Più tosto che potè, da lui levosse;
Et al suo alloggiamento ritornato,
Poi che fu mezza notte, tutto armosse;
E sellato il destrier, senza commiato,
E senza che d'alcun sentito fosse.
Sopra vi salse, e si drizzò al camino
Che più piacer gli parve al suo Frontino.
« per l'ordine e numero in che paiono con-
venire ».
82. 4. né ricusar lo vaglia; né valga il ri-
cusarlo; né abbia valore il suo rifiuto.
— 6. alleggerirsi maglia, togliersi le armi
pesanti, che i cavalieri quando non erano
in battaglia o in avventura facevan portare
agli scudieri, rimanendo con le armature
più leggere, che tenevano di sotto.
83. 6-8. tr. satollo... che... spender t. p. ;
non mi potrai mai trovar sazio, stanco di
permettere che tu spenda me e il mio re-
gno per ogni tuo desiderio. È una brachi-
logia, che non mi sembra né chiara né ele-
gante.
84. 2. possi, possa. Vedi, per questa for-
ma, e per il segueute venghi, e. xv, 86,
n. 5.
— 3. E non se ancora ecc.; E non la vedo,
anche se ecc.
85. 6. d'alcun, da alcun. V. e. v, 10, n. 5.
— 7. vi salse, vi sali. V. e. vi, 41, n. 4.
— 8. C. p. p. gli parve al s. P. ; che gli
parve piacesse meglio al suo Frontino. Si
86 [ta,
Frontino or per vìa dritta or pervia tor-
Qnando per selve e quando per campagna
Il suo Signor tutta la notte porta.
Che non cessa un momento che non piagna:
Chiama la morte, e in quella si conforta,
Che l'ostinata doglia sola fragna;
Né vede, altro che morte, chi finire
Possa r insopportabil suo martire.
87
Di chi mi debbo, oimè! (dicea) dolere.
Che cosi m'abbia a un punto ogni ben tol-
Deh, s'io non vo' l'ingiuria sostenere fto?
Senza vendetta, incontro a cui mi volto?
Fuor che me stesso, altri non so vedere,
Che m'abbia offeso et in miseria volto.
Io m' ho dunque di me contra ame stesso
Da vendicar, c'ho tutto il mal commesso.
88
Pur, quando io avessi fatto solamente
A me l'ingiuria, a me forse potrei
Donar perdon, se ben difficilmente;
Anzi vo' dir che far non lo vorrei:
Or quanto, poi che Bradamante sente
Meco l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando beue a me ancora io perdonassi,
Lei non convien che invendicata lassi.
89
Per vendicar lei dunque debbo e voglio
drizzò per quella via, die a lui parve fosse
la preferita dal cavallo. Ma puoi anohe inten-
dere : si drizzò per quella via, clie parve
piacer più al suo Fr. Cosi avremmo il com-
plemento raddoppiato per mezzo della anti-
cipazione dellaparticella prono linale.come
fa spessissimo il popolo : es. Lo vedi stasera
Francesco? — Se gli piace al babbo, piace
anche a me. — Ti pare a tei Nel furioso
hai un es. nel e. xxiv, 83, 5: «Io vel co-
mando Che fin che piaccia a Dio restiate
viva ».
86. 4, non cessa... che non p. ; non cessa
di piangere. V. e. i, SS, n. 6.
— 5-0. Chiama ecc. Qui abbiamo rinno-
vato un vezzo frequente nell'Ar., d'interrom-
pere il costrutto con una proposiz. incidente
coordinata : Chiama la morte, che, sola,
fragna, tronchi 1' ostinato dolore ; e nella
morte (nel pensier della morte) si conforta.
Cfr. e. IX, 92, n. 4; xl, 59, 3.
— 7. altro che, fuor che. Cosi avverbial-
mente l'usò già il Petrarca, i, son. 118:
« parola Ch' altro che da me stesso fosse
intesa ». Costruisci: Né vede chi, fuorché
morte, possa finire, ecc.
87. 6. in miseria volto, in m. messo, fatto
diventar misero. Volgere in miseria è lo-
cuzione fatta forse sullo stampo dell' altre
simili: volgere in ridicolo, in burla ecc.
Nessun vocabolario la cita.
636
ORLANDO FURIOSO
Ogni modo morir, né ciò mi pesa;
Ch'altra cosa non so ch'ai mio cordoglio,
Fuor che la morte, far possa difesa.
Ma sol, ch'allora io non mori', mi doglio,
Che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice, s' io moriva allora,
Ch'era prigion de la crudel Teodora!
90
Se ben m'avesse ucciso, tormentato
Prima ad arbitrio di sua crudeltade.
Da Bradamante almeno avrei sperato
Di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprà ch'avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
Io me ne sia, perch'egli l'abbia, privo;
Avrà ragion d'odiarmi e morto e vivo.
91
Questo dicendo e molte altre parole
Che sospiri accompagnano e singulti,
Si trova all'apparir del nuovo sole
Fra scuri boschi, in luoghi strani e Inculti;
E perché è disperato, e morir vuole,
E, più che può, che '1 suo morir s'occulti;
Questo luogo gli par molto nascosto,
Et atto a far quant'ha di sé disposto.
92
Entra nel folto bosco, ove più spesse
L'ombrose frasche e più intricate vede;
Ma Frontin prima al tutto sciolto messe
Da sé lontano, e libertà gli diede.
O mio Frontin (gli disse), s'a me stesse
Di dare a' merti tuoi degna mercede,
Avresti a quel destrier da invidiar poco.
Che volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
93
Cillaro, so, non fu, non fu Arione
Di te miglior, né meritò più lode;
89. 2. Ogni modo; V. e. xlhi, IGl, n. 5.
— 6. Che. È correlativo di allora: allora
quando.
90. 1. tormentato. Intendi: Se bene mi
avesse ucciso, tormentandomi prima, dopo
avermi prima tormentato ad arbitrio del
suo animo crudele.
— 7. Io me ne sia. Per il congiunt. cfr.
e. v, 67, n. 8. Qui la cosa è enunciata come
un pensiero di Bradam., quasi dica: saprà
che me ne son privato (cfr. e. i, 48, n. 4) di
mia volontà, e penserà che me ne son pri-
vato, perché l'abbia lui.
92. 3-4. messe da sé lontano. Intendo tutto
il luogo cosi : Rugg. entrò nel più fitto del
bosco, ma prima di entrarvi aveva messo
Frontino in luogo lontano da quello, dove
poi R. s' inoltrò : e datagli la libertà, cosi
gli parlò.
— 7. qnel destrier, Pegaso, che fu mu-
tato in costellazione.
03. 1. Cillaro, un cavallo di Castore —
Arione, cavallo d'Adrasto re d'Argo. Notano
Né alcun altro destrier di cui menzione
Fatta da' Greci o da' Latini s'ode.
Se ti fur par ne l'altre parti buone.
Di questa so ch'alcun di lor non gode,
Di potersi vantar ch'avuto mai
Abbia il pregio e l'onor che tu avuto hai:
94
Poi ch'alia più che mai sia stata o sia
Donna gentile e valorosa e bella
Si caro stato sei, che ti nutria,
E di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alla mia donna: ah perché mia
La dirò più, se mia non è più quella?
S'io l'ho donata ad al tri? Oimè! che cesso
Di volger questa spada ora in me stesso?
95
Se Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
E le fere e gli augelli a pietà muove
(Ch'altri non è che questi gridi senta
Né vegga il pianto che nel sen gli piove),
Non dovete pensar che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
Poi che scusa non ha che la difenda,
0 più l'indugi, che Leon non prenda.
96
Ella, prima ch'avere altro consorte
Che '1 suo Ruggier, vuol far ciò che può
[farsi;
Mancar del detto suo; Carlo e la Corte,
1 parenti e gli amici inimicarsi;
E quando altro non possa, al fin la morte
0 col veneno o con la spada darsi;
Che le par meglio assai non esser viva,
Che, vivendo, restar di Ruggier priva.
97
Deh, Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote esser che tu sia tanto discosto,
Che tu non abbi questo bando udito,
A nessun altro, fuor ch'a te, nascosto?
Se tu '1 sapesse, io so che comparito
Nessun altro saria di te più tosto.
Misera me! ch'altro pensar mi deggio.
Se non quel che pensar si possa peggio ?
giustamente che questa erudizione è fuor
di luogo e viziosa.
94. 1-2. alla piri ecc. Costruisci: alla Donna
più gentile e valorosa e bella che sia mai
stata. Non è questa certo la più ardita in-
versione del Furioso.
— 7. cesso, indugio. V. e. xltii, 163, n. 7.
95. 8. l'indugi, la trattenga, cosi che non
prenda Leone. Tasso, Ger. 4, 16 : « Ma per-
ché più v'indugio'? »
96. 3. Mancar del d. 8. ; mancar di parola,
mancar della sua parola.
97. 5. sapesde, sapessi. Vedi, per questa
terminaz., e. xxxi, 12, n. 7. Cosi tu fosse
e. XLVi, 41, 2. Pecorone, G. 4, n. l : « Se tu
mi desse più ducati che non vale questa
città».
CANTO XLV
637
98
Come è, Ruggier, poasibil che tu solo
Non abbi quel che tutto il mondo ha inte-
se inteso l'hai, né sei venuto a volo, [so?
Come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
Di Costantin t'avrà alcun laccio teso;
11 traditor t'avrà chiusa la via,
Acciò prima di lui tu qui non sia.
99
Da Carlo impetrai grazia, ch'a nessuno
Man di me forte avessi ad esser data,
Con credenza che tu fossi quell'uno
A cui star contra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno:
Ma de l'audacia mia m' ha Dio pagata;
Poi che costui, che mai pili non fe'impresa
D'onore in vita sua, cosi m'ha presa:
100
Se però presa son, per non avere
Uccider lui né prenderlo potuto;
Il che non mi par giusto; né al parere
Mai son per star, eh' in questo ha Carlo
[avuto.
So eh' inconstante io mi farò tenere,
Se da quel e' ho già detto, ora mi muto;
Ma né la prima son né la sezzaia,
La qual paruta sia inconstante, e paia.
101
Basti che nel servar fede al mio amante,
D'ogni scoglio pili salda mi ritrovi,
E passi in questo di gran lunga quante
Mai furo ai tempi antichi, osieno ai nuovi.
Che nel resto mi dichino incostante,
Non curo, pur che l'iucostanzia giovi:
Purch' io non sia di costui tórre astretta,
Volubil più che foglia anco sia detta.
98. 5. Ma chi sap. il ver; ma se uno sa-
pesse il vero, saprebbe certamente questo.
Il chi col congiuntivo vale spesso iiell' uso
elegante della nostra lingua una proposi-
zione condizionale. V. Fornaciari, Sint.,
p. 121.
— 8. non sia. Veramente non fossi. Ma
Brad, si trasporta con la fantasia al mo-
mento, in cui Leone gli fa impedimento.
L'espressione cosi è più drammatica.
99. 3. quell'uno, quel solo.
100. 1-2. Se però ecc. Intendi: Se però
si può dire che sou presa per non aver po-
tuto uccider lui né prenderlo, il che non
mi pare conforme a giustizia.
— 5. So eh' inconst.-inte ecc. So che mi
farò ritenere per incostante, se mi muto,
rimovendomi da quello, ecc.
— 7. sezzaia, ultima. Si disse anche sez-
zo : Pulci, More/. 2, 7 : « E tanto il primo
quanto il sezzo vale ». Da sezzo (V. e. xi, 13,
3) derivò sezzaio.
101. 5. duliiuo, dicano. Terminaz. popo-
lare ancora in uso nel voliro.
102
Queste parole et altre, eh' interrotte
Da sospiri e da pianti erano spesso,
Segui dicendo tutta quella notte
Ch'all'infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle Cimmerie grotte
Con l'ombre sue Notturno fu rimesso.
Il Ciel, ch'eternamente avea voluto
Farla di Ruggier moglie, le die aiuto,
103
Fé' la matina la Donzella altiera
Marfisa inanzi a Carlo comparire.
Dicendo ch'ai fratel suo Ruggier era
Fatto gran torto, e noi volea patire,
Che gli fosse levata la mosliera,
Né pure una parola glie ne dire:
E contra chi si vuol di provar toglie.
Che Bradamante di Ruggiero è moglie;
104
E inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
Quando pur di negarlo fosse ardita,
Ch' in sua presenzia ella ha quelle parole*
102. 5. Cimmerie gr. « Cimmerii furono
popoli dell' .•^sia vicini al Bosforo sulla pa-
lude Meotide (Mar d'Azow), i quali per l'aria
crassa e per le dense esalazioni nuvolose,
rare volte veggono il sole : per la qual cosa
favoleggiarono i poeti, che tra essi facesse
la notte dimora quando per noi è giorno »
(Barotti).
— 6, Notturno, il dio della notte. Plauto,
.anfitrione, ì, 1, 116: «Credo ego, hac noctu,
Nocturnum obdormisse ebrium», dice Sosia
poiché non si faceva mai giorno.
— 7. eternamente, nei suoi eterni decreti.
In Dio, non essendovi tempo né successione,
ogni atto volitivo è eterno.
10;5. 4-5. Fatto ecc., era stato fatto gran
torto, e non voleva sopportare questo torto,
cioè che gli fosse ecc.
— 6. Né... glie ne dire. Né dirgliene, e
non gli se ne dica. Quest' infinito assoluto
è frequentissimo nello stile popolare: cosi
diremmo: Non sarà mai che io faccia que-
sto e non dirlo a mio padre (senza dirlo, e
non lo dica).
— 7. chi si vuol. È bel modo ancora vi-
vissimo nel popolo toscano, che 1' usa nel
senso di ogni persona: es.: scommetto con
chi si vuole. E credo debba illustrarsi cosi:
scommetto con chi si voglia che io scom-
metta, con qualunque persona con cui altri
voglia che io scommetta. — di provar t. ;
con le armi. Cosi provavano i cavalieri an-
tichi le loro asserzioni.
101. 2. Quando pur, se pur, posto che.
Come si usò quando per se, cosi abbiamo
qui quando pur per se pur.
— 3. Ch' in s. p. Il die può esser relativo
a lei e anche i)or poich-J,
638
ORLANDO FURIOSO
Dette a Rnggier, che fa chi si marita;
E con la cerimonia che si suole,
Già si tra lor la cosa è stabilita,
Che pili (li sé non possono disporre,
Né l'im l'altro lasciar, per altri tórre.
105
Martìsa, o '1 vero '1 falso che dicesse,
Pur lo dicea, ben credo con pensiero,
Perché Leon più tosto interrompesse
A dritto e a torto, che per dire il vero ;
E che di volontade lo facesse
Di Bradaraaute, ch'a riaver Ruggiero,
Et escluder Leon, né la più onesta
Né la più breve via vedea di questa.
106
Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente;
E quanto di provar Marflsa ha tolto.
Le fa sapere, et ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
E confusa non niega né consente.
In guisa che comprender di leggiero
>Si può che Marfisa abbia detto il vero.
107 [glante
Piace a Rinaldo, e piace a quel d' An-
Tal cosa udir, ch'esser potrà cagione
Che '1 parentado non andrà più inante,
Che già conchiuso aver credea Leone;
E pur Ruggier la bella Bradamante
Malgrado avrà de l'ostinato Amone;
E potran senza lite, e senza trarla [la.
Di man per forza al padre, a Ruggier dar-
108
Che se tra lor queste parole stanno.
La cosa è ferma, e non andrà per terra.
Cosi atterràn quel che promesso gli hanno,
— 4. fa, dice. V. e. xv, 52, u. 7.
— 5. che si snoie, con cui (e. xiii, 37,
n. 5), si suole stabilire queste cose.
105. 2. con pensiero, col pensiero, con que-
sto pensiero ; perché cioè interrompesse
Leone, nei suoi propositi, piuttosto che per
dire il vero. Apparisce da queste parole che
Marflsa non diceva il vero; ma la parte da
lei aggiuntasi riferisce solo. all'avere essa
udito tali parole : che le parole di reciproca
promessa furono veramente dette fra loro.
Vedi e. xLvi, 37, u. 7.
— 5. E che. Dipende dal ct^edo del v. 2 —
di volontade; per volontà. Su di causale vedi
e, XIII, 33, n. 3.
107. 1. q. d'Anglante; Orlando.
— 5. E pur; E potrà esser ^Jitre cagione
che Rugg. avrà ecc.
108. 1. Che se ecc. Se esistono fra loro
queste parole di cui alla st. 101, 3. Se cioè
essi si son veramente data la fede matrimo-
niale come dice Marlisa.
— 2. non andrà p. terra, non cadrà. È
immagine prodotta dal precedente è ferma.
— 3. gli, a Ruggero.
Più onestamente, e senza nuova guerra.
Questo è (diceva Amon), questo è un in-
[ganno
Centra me ordito; ma '1 pensier vostro
[erra;
Ch'ancor che fosse ver quanto voi finto
Tra voi v'avete, io non son però vinto.
109
Che prosu posto (che né ancor confesso.
Né vo' credere ancor) ch'abbia costei
Scioccamente a Ruggier cosi promesso,
Come voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
Quando e dove fu questo? che più espres-
Più chiaro e piano intenderlo vorrei, [so,
Stato so che non è, se non è stato
Prima che Ruggier fosse battezzato.
no
Ma s'egli è stato inanzi che Cristiano
Fosse Ruggier, non vo' che me ne caglia;
Ch'essendo ella Fedele, egli Pagano,
Non crederò che '1 matrimonio vaglia.
Non si debbe per questo essere in vano
Posto al risco Leon de la battaglia;
Né il nostro Imperator credo vegli anco
Venir del detto suo per questo manco.
Ili
Quel ch'or mi dite, era J.i dirmi quando
Era intera la cosa, né ancor fatto
A prieghi di costei Carlo avea il bando
Che qui Leone alla battaglia ha tratto.
Cosi centra Rinaldo e centra Orlando
Amon dicea, per rompere il contratto
Fra quei duo amanti; e Carlo stava a udi-
Né per l'uu né per l'altro volea dire, [re,
112
Come si senton, s' Austro o Borea spira.
Per l'alte selve murmurar le fronde;
0 come soglion, s'Eolo s'adira
Centra Nettuno, al lito fremer l'onde :
lOD. 1. che né anc. conf. I manoscritti ori-
ginali, che hanno questa parte, leggono il
che. Ma noi abbiamo nei e. xxiv, 31, 5;
XXVIII, 37, 7 ; XXXIV, 26, 5 altri esempi di
che in questo senso. Cosi, per ciò, possiamo
intendere senza far violenza al testo del 1532.
— 5. espresso, chiaro, piano, dicono pres-
so che la stessa idea, e in questo luogo non
fanno che mostrare l' insistenza d'Amone
sopra un pensiero, che a lui molto preme.
110. 6. risco. Cosi nel e. vi, 81, 8.
— 7. vogli, voglia. V. e. XV, 86, n. 5. —
Né... anco, e neppure. V. e. xvi, 36, n. 8.
— 8. del detto suo. È un complemento di
limitazione: venir meno quanto alla sua
parola; mancare alla s. parola. V. e. xxxvii,
22, n. 2.
111. 2. Era intera. È il latino re adhuc
integra: quando la cosa era ancor fresca,
non trattata, non pregiudicata (Romizi).
— A prieghi, ai prieghi.
I
CANTO XLV
639
Cosi un rumor che corre e che s'aggira,
E che per tutta Francia si diffonde,
Di questo dà da dire e da udir tanto.
Ch'ogni altra cosa è muta in ogni canto.
113
Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
Ma la più parte è con Ruggiero in lega:
Son dieci e piti per un che n'abbia Amone.
L' Imperator né qua né là si piega;
Ma la causa rimette alla ragione,
Et al suo parlamento la delega.
Or vien Marfisa, poi eh' è differito
Lo sponsalizio, e pon nuovo partito;
114
E dice: Con ciò sia ch'esser non possa
D'altri costei, fin che '1 fratel mio vive;
Se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
Adopri si, che lui di vita prive:
E chi manda di lor l'altro alla fossa,
Senza rivale al suo contento arrive.
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
Come anco intender gli avea fatto il resto.
115
Leon che, quando seco il cavalliero
Del liocorno sia, si tieu sicuro
Di riportar vittoria di Ruggiero,
Né gli abbia alcun assunto a parer duro;
113. 2. è In lega; è d'accordo, è favore-
vole.
Ila. 4. Né gli abbia, e si tien sicuro che
non abbia a parer duro a quel cavaliere
Non sappiendo che l'abbia il dolor fiero
Tratto nel bosco solitario e oscuro.
Ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
Sia andato a spasso, il mal partito piglia.
116
Ben se ne pente in breve: che colui
Del qual pili del dover si promettea.
Non comparve quel di, né gli altri dui
Che lo seguir, né nuova se n'avea;
E tòr questa battaglia senza lui
Contra Ruggier, sicur non gli parca:
Mandò, per schivar dunque danno e scor-
Per trovar il guerrier dal liocorno, [no,
117
Per cittadi mandò, ville e castella,
D'appresso e da lontan, per ritrovarlo;
Né contento di questo, montò in sella
Egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n'avrebbe avuto già novella.
Né l'avria avuta uomo di quei di Carlo,
Se non era Melissa che fé' quanto
Mi serbo a farvi udir ne l'altro Canto.
nessun assunto. Questo mi sembra qui il
senso migliore.
— 7. Ma che. Bisogna rilevare dal con-
testo un credemlo : ma credendo che ecc.
117. 2. D' appresso e da 1. ; manda vicino e
lontano. Da lontano come termine di moto
non è citato dai vocabolari. Ma forse su
questa espressiona ha agito 1' altra (V ap-
presso.
CANTO XLVI
Or, se mi mostra la mia carta il vero,
Non è lontano a discoprirsi il porto;
Si che nel lite i voti scioglier spero
A chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
1. 1. la mia carta. Metaforicam. la mia
carta nautica. Fuori di figura il poema,
che lo scrittore ha dinanzi. Molti hanno
figurato la composizione d' un' opera come
una navigazione. Virgil., Georc/. 2, 41 ;
Dante, Purg. 1, 1-2.
— 4. A chi ecc. « I voti fatti nei pericoli
delle tempeste si solevano dagli antichi na-
viganti scioglier sul lido a Glauco, Panope,
Ino e Melicerta» (Romizi), che si chiama-
vano Bei littovali. A questo costume allude
l'Ariosto. Ma a chi precisamente accenna?
11 Foruari intende « questi signori e donne,
che subito egli nomina ». Ma non pare che
possa dirsi che essi l'hanno scorto per il
mare. Il Romizi intende Alessandra Benucci
« che non solo gli ha concesso di mante-
Ove, 0 di non tornar col legno intero.
nere la promessa fatta nella protasi del
poema, ma lo ha anche sorretto nel lungo
e diffìcile lavoro ». Ma il Poeta non fa che
lamentarsi della crudeltà della sua donna
e dei tormenti d'amore, che gli limano l'in-
gegno e minacciano di farlo diventar pazzo
come Orlando (e. i, 2, 5; xxxv, 1): e questo
non mi sembra un guidare nelle difficoltà.
Io non sarei alieno dal credere che il Poeta
facesse questo vago accenno, perché Ippo-
lito d'Este, potesse riferirlo a sé stesso. Il
Poema infatti è dedicato a lui, è fatto con
r apparente fine di inalzare un monumento
di gloria alla casa Estense, si chiude con
l'episodio più strettamente connesso con le
origini supposte di quella casa: perché non
dovrebbe nell'ultimo canto rilevare in Ip-
polito il merito d'avere con la sua gran-
dezza, con la luce della sua gloria (e. ni,
57) scorto, guidato, il Poeta nella lunga fa-
tica? Se ciò sembra esagerato si pensi che
640
ORLANDO FURIOSO
O d'errar sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
Veggo la terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir per allegrezza un tuono
Che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde:
Odo di squille, odo di trombe un suono
Che l'alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
Questi ch'empion del porto ambe le spon-
Par che tutti s'allegrino eh' io sia [de
Venuto a fin di cosi lunga via.
3
Oh di che belle e saggie donne veggio,
Oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio
Per la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio
Veggo del molo in su l'estremo corno:
Veronica da Gambara è con loro.
Si grata a Febo^e al santo Aonio coro.
non è meno esagerato ciò che di lui dice
nei e. VII, 62; xxxv, 4; xxxvi, 2 ecc.
— 6. ebbi... il viso smorto, ebbi... paura. Av-
verti r ardimento sintattico, per il quale
quest' espressione vieu costruita con l'infi-
nito di non tornar ecc., come se fosse
ebbi paura.
— 8. il lito aperto, veggo apertamente,
chiarameiUe il lido. È dunque l'agg. usato
avverbialm.
2. 1. nn tuono, un rombo di voci e suoni
fatti per l'allegrezza del mio ritorno. Qui
l'Ar. accenna al favore che incontrerà il
suo poema.
— 4. confonde, rende smorto, opprime
sicché io ben non lo distinguo.
8. 3. a chi... deggio. a cui debbo, son de-
bitore. Per quest' uso cfr. e. xxxr, 42, n. 6.
— 5. Mamma. Era un soprannome dato
a Beatrice figlia di Niccolò da Correggio e
moglie di Nicola Quirico Sanvitale. — Gi-
nevra. Due sono le Ginevre di cui si può
qui parlare: Ginevra figliuola di Giberto da
Correggio e di Veronica Gambara, moglie
a Paolo Fregoso: Ginevra figlia di Giovanni
Bentivoglio e moglie a Guido da Correggio
(t 1528).
— 7. Veronica da Gamb. È detta anche
da Correggio perché moglie di Giberto, e
perché dimorò a lungo a Correggio. È
la celebre poetessa. Nella prima ediz. si
leggeva: «Quella, che scende con Ginevra
al mare Veronica da Gambara mi pare»;
poi avendola conosciuta anche di persona,
per più onorarla mutò come si vede.
— 8. Aonio coro, le Muse, delle quali si
metteva la sede nei monti della Beozia (Eli-
cona), detta anche Aonia.
Veggo un'altra Ginevra, pur uscita
Del medesimo sangue, e Giulia seco;
Veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella Trivulzia al sacro speco:
Veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
Ch'Angela Borgia e Graziosa hai teco;
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e l'altre lor sorelle.
5
Ecco la bella, ma più saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna è Laura.
4. 1-2. Ginevra... Gialia. Di queste, che
paiono della casa da Correggio, non si trova
chiara notizia.
— 3. Ippolita Sforza, figlia di Carlo Sforza
e di Bianca Simonetta, fu moglie di Ales-
sandro Bentivoglio, ebbe fama di grande
dottrina e fu una delle più celebri rifor-
matrici del suo tempo. Di lei parla anche
il Bandello. Non ne resta alcuno scritto.
— 4. D. Trivulzia. Damigella o Domitilla
figlia di Giovanni Trivulzio di Milano : « i
suoi genitori l'avevano fin da bambina con-
sacrata alle Muse e confidata loro perché
la educassero » (Iacopo da Bergamo), — al
8. speco, all'antro dell' Oracolo di Delfi « La
dove Apollo diventò profeta» (Petrarca,
I, son. 133).
— 5. Emilia Pia. Emilia dei Pio, Signori
di Carpi, moglie d'Antonio da Montefeltro.
Meritò per le sue virtù e per l'alto ingegno
le lodi del Castiglione nel Cortegiano. —
Margherita ; È quella Margherita Gonzaga,
della corte d' Urbino, che interloquisce nel
Cortegiano.
— 6. Angela Borgia, parente e damigella
di Lucrezia Borgia, di cui parla il Bembo
nella dedica degli Asolani. — Graziosa ,
Graziosa Pia, di cui si ha qualche lettera
nelle scritte al Bembo da vari, e pubblicate
dal Sansovino.
— 7. Ricciarda da E. È poco nota. Non
può essere, nota il Casella, Ricciarda di
Saluzzo, moglie di Niccolò III, come dicono i
più, perché essa mori quando l'Ar. nasceva.
— 8. Bianca e Diana, figlie di Sigismondo
d'Este, fratello del duca Ercole: Bianca,
marit. a Ugo Sanseverino; Diana a Uguc-
cione Contrari. V.c. XLii, 90, 1. Dellealtre so-
relle non trovo nei genealogisti che Lucrezia,
5. 2. Barbara Torca. « Credono molti che
sia la figlia d' un duca di Brandeburgo ma-
ritata a Lodovico Gonzaga, soprannominato
il Turco. DeV essere invece qualche donna
della famiglia Turchi, illustre fra le Fer-
raresi » (Casella). — Laura. « È probabil-
mente Laura o Eustochia Dianti, favorita e
poi moglie del duca Alfonso I, dalla quale
venne il ramo spurio degli Estensi, che poi
CANTO XLVI
641
Non vede il sol di più bontà di questa
Coppia da l'Indo all'estrema onda Maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
Casa col suo valor si ingemma e inaura,
Che mai palagi imperiali o regi
Non ebbon più onorati e degni fregi.
6
S'a quella etade ella in Arimino era,
Quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio, s'oltre alla riviera
Dovea passando inimicarsi Roma;
Crederò che piegata ogni bandiera,
E scarca di trofei la ricca soma,
Tolto avria leggi e patti a voglia d'essa,
Né forse mai la libertade oppressa.
7
Del mio Signor di Bozolo la moglie,
La madre, le sirocchie e le cugine,
E le Torcile con le Bcntivoglie,
signoreggiò in Modena» (Casella). Le stanze
5, 6, sono aggiunte per 1' ediz. del 1532.
— 3. Non vede... di p. bontà ecc. Costrui-
sci: Non vede il sol coppia, due persone
di più, di maggior bontà di questa.
— 4. all'es. 0. Manra; al mare che bagna
l'estremità dell'Atlante : qui, al solito, l' Indo
è preso per 1' Oriente, l'Atlante per 1' Occi-
dente. Mauro per ]\Iauritatio anciie nel
e. VI, 76; xur, 89.
— 5. Genevra. Il Fornari, seguito dal
Bolza e da altri, suppone che sia la sorella
del duca Ercole, maritata a Sigismondo Ma-
latesta di Rimini, ma questa mori nel 1410
avvelenata. Sembra piuttosto quella Ginevra
Malatesta, moglie d'un Obizzi di Ferrara,
che Bernardo Tasso amò e celebrò tanto
nelle sue rime.
C. 3. s'oltre alla riv., oltre il Rubicone,
antico confine dell' Italia Romana. — fu in
dubbio. Cesare nei Commentari non dice
nulla di ciò, ma racconta seccamente il fatto.
I retori posteriori accennano a questo dub-
bio. SvETONio: «ad Rubiconeni llumen . . .
paulum constitit, ac reputans quantum mo-
liretur, conversus ad proximos: et etiam
nunc, inquit, regredì possumus ; quod sipon-
ticulum transierimus, omnia armis agenda
erunt ».
— 5. Crederò. Non vale il semplice credo,
ma sono per credere, son tentato di cre-
dere. V. la nota del e. xxxi, 16, 4.
— C. Scarca, scaricata la soma ricca di
trofei; cioè deposti ai suoi piedi i trofei.
Questa forma di participio scorciato è si-
mile a quelle notate nei e. i, 48, 4; xxvi,
51, 4.
7. 1. la moglie ecc. la moglie di Federigo
Gonzaga signore di Bozzolo castello su la
sinistra dell' OgUo. La moglie era Giovanna
di Lodovico Orsini e la madre Antonia del
E le Visconte e le Palavigine:
Ecco chi a quante oggi ne sono, t oglie,
E a quante o Greche o Barbere o Latine
Ne furon mai, di quai la fama s'oda,
Di grazia e di beltà la prima loda,
8
Giulia Gonzaga, che dovunque il piede
'Volge, e dovunque i sereni occhi gira,
Non pur ogn' altra di beltà le cede,
Ma, come scesa dal ciel Dea, l'ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
Non mosse mai, perché l'avesse in ira
Fortuna che le te' lungo contrasto:
Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
Di castità, di fede e d'amor tempio.
La sorella è con lei, ch'ove ne irraggia
L'alta beltà, ne paté ogn'altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
Balzo. Per la sintassi sottintendi ecco la
moglie ecc.
— 4. Palavigine, Pallavicine.
— 5. toglie. Ha per complemento l'ultimo
verso della stanza.
— 6. Barbere, barbare; straniere, né Gre-
che né Latine. I Latini chiamavano barbaro
tutto ciò che non era latino; l'Ar., pieno
della cultura del Rinascimento, potè dire
barbare le donne non Greche e Latine.
— 7. di quai ; delle quali, Esempio notevole,
per dimostrare come l' Ar. amasse di usare
le proposiz. semplici invece delle articolate.
V. e. II, 15, n. 8.
— 8. .loda, lode. V. e. xv, 2, n. 1.
S. 1. Giulia Gonzaga, moglie di Vespasiano
Colonna, il giovane, reputata la più bella
donna del suo tempo.
— 5. La cognata. Isabella Colonna figlia
di Vespasiano Colonna, il vecchio, e moglie
di Luigi Gonzaga detto Rodomonte. V. e.
xxxvii, 8, n. 5.
— 6. Non mosse. Puoi intendere ìion si
mosse 0 anche: cui fortuna non mosse.
— perché, sebbene. V. e. XLi, 75, n. 6. Le
st. 8, 9, sono aggiunte per l'ed. del 1532.
— 8. Anna d'Arag. ; Anna d'Aragone (d'A-
ragona), figlia di Ferdinando d'Aragona e
moglie d'Alfonso d'Avalos signore del Vasto.
V. e. xxxiii, 27-30.
9. 3. La sorella, Giovanna d'Aragona, mo-
glie di Ascanio Colonna. « Il filosofo Nifo
nel trattato De Pulchro la pone a tipo della
donna bella » (Casella). — ne irragg. ; il ne
è pleonastico.
— 4. ne paté... scempio; ogn'altra vede
dalla beltà di lei fare scempio della propria:
cioè la beltà di lei fa scomparire la beltà
delle altre.
— 5. Ecco chi ecc. Vittoria Colonna, mo-
Ariosto — Papini
41
642
ORLANDO FURIOSO
Di Stige, e fa con non più visto esempio,
Mal grado de le Parche e de la Morte,
Splender nel ciel l'invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
De la corte d'Urbino; e riconosco
Quelle di Mantua, e quante donne belle
Ila Lombardia, quante il paese Tosco.
11 cavallier che tra lor viene, e ch'elle
Onoran si, s'io non ho l'occhio losco.
Da la luce offuscato de' bei volti,
È '1 gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11
Benedetto, il nipote, ecco là veggio, [to,
C ha purpureo il cappel, purpureo il man-
Col Cardinal di Mantua e col Campeggio,
Gloria e splendor del Consistorio santo:
E ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
Al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
Del mio ritorno, che non facil parmi
Ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
E Paulo Pausa e '1 Dresino e Latino
Giuvenal parrai, e i Capilupi miei,
E '1 Sasso e '1 Molza e Florian Montino ;
glie del marchese di Pescara. Qui si ripe-
tono i concetti e le immagini espresse nel
e. xxxvii, 18-20,
10. 1. Le Ferrarese. Per la terminazione
cfr. e. IX, 84, n. 1.
— 8. r Dn. Accolti, Bernardo Accolti are-
tino, soprannominato 1' Unico per la gran
fama che acquistò come improvvisatore.
Frequentò la corte d'Urbino, innamorato
della duche.ssa Elisabetta; ed è interlocu-
tore nel Cortegiano.
11. 1-3. Benedetto ecc. Ben. Accolti ni-
pote dell' Unico, detto il Cardinale di Ra-
venna, Segretario di Clemente VII. — Il
Cardinal di Mantua, Ercole Gonzaga, figlio
di Francesco e d' Isabella Estense. — il
Campeggio, è Lorenzo Campeggio, giurecon-
sulto Bolognese, poi Cardinale. Le st. 11,
12 sono aggiunte per 1' ed. del 1532.
12. 1-8, Lattanzio e Claudio Tel., furono
due letterati Senesi : il secondo tentò di in-
trodurre la metrica classica nella nostra
poesia. — Paulo Pausa, genovese, latinista
i poeta. — Il Dresino, Gian Giorgio Trissino
di Vicenza autore del poema classico « L'I-
talia liberata dai Goti ». — Latino Ginvenale
della famiglia Manetti di Parma letterato e
archeologo — i Capilupi, furono cinque fra-
telli Mantovani: buoni scrittori di poesia
Lelio, Ippolito e Camillo. — E '1 Sasso, Pan-
filo Sassi Modenese, improvvisatore in la-
tino e in italiano. Fu celebre un suo poema
latino in onore di Brescia. — e 'l Molza Fran-
cesco Maria, buon poeta Modenese. — Florian
E quel che per guidarci ai rivi Ascrei
Mostra piano e pili breve altro camino,
Giulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Ber-
13 [na.
Ecco Alessandro, il mio Signor, Farne-
Oh dotta compagnia che seco mena! [se:
Fedro, Capella, Porzio, il Bolognese
Filippo, il Volterrano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese
D'alta facondia inessiccabil vena,
E Lascari e Musuro e Navagero,
E Andrea Marone e '1 monaco Severo.
Montino, « Forse è quel Floriano Floriani
di Montagnana, che visse alla corte di Ca-
terina Cornare e per le nozze del quale il
Bembo suppose essersi tenuti i dialoghi, di
cui egli fece gli Asolani » (Panizzi). — Giu-
lio Camillo Delminio, friulano « uomo d' in-
gegno, ma un che di mezzo fra l'allucinato
e r impostore » (Casella). Avea ideato una
macchina, che alcuno disse avere egli fab-
bricata in legno, per insegnare la dottrina
e r eloquenza in brevissimo tempo. I rivi
Ascrei è il fonte Ippocrene ai piedi del-
l'Elicona, presso Ascra, città della Beozia:
quel fonte era sacro alle Muse. — M. A.
Flaminio, il più elegante e delicato poeta
latino del Cinquecento. — il Sanga, G; Bat-
tista Sanga Romano, buon poeta latino,
amico del Berni, e segretario di Clemen-
te VII. — il Berna, Francesco Berni (1497-1536)
padre della poesia giocosa, rifece l'OWando
Innamorato del Boiai-do.
13. 1-8. Alessandro Farnese, cardinale, che
divenne poi Paolo III, letterato e protettore
insigne di letterati. — Fedro, Tommaso In-
ghirami di Volterra, che fu detto Fedro
per aver sostenuto con plauso la parte di
Fedra nell' Ippolito di Seneca. Fu prefetto
della Vaticana e cosi elegante latinista da
esser chiamato il Cicerone del suo secolo.
— Capella Bernardino; latinista e poeta va-
lente. — Porzio Camillo o dei Porcari, buon
poeta romano, da non confondersi con lo
storico omonimo, che è posteriore (1526-
1518). — Filippo Beroaldo, il giovane, nobile
Bolognese, familiare di Leone X. Scrisse
poesie latine elegantissime, che allora eb-
bero grande successo. — il Volterrano, Ma-
rio Maffei di Volterra, insigne scrittore la-
tino. — il Madalena, Evangelista Paolo Mad-
daleni. Romano, poeta latino stimato assai
ai suoi tempi. — Blosio, Blosio Palladio, o
Biagio Pallai, poeta latino, segretario di
Clemente VII, e di Paolo III. In nome di
Clemente VII scrisse il privilegio dell' ediz.
del Furioso del 1532 il 1 gennaio di quel-
l'anno. È ricordato pure nella satira vi con
altri letterati Romani. — Pierio, Giovanni
CANTO XLVI
643
1-1 [pello,
Ecco altri duo Alessandri iu quel drap-
Dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino.
Ecco Mario d'Olvito, ecco il flagello
De' Principi, il divin Pietro Aretino.
Duo lerouimi veggo, l'uno è quello
Di Veritade, e l'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceuo,
Il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
Pietro Valeriano Bolzani Bellunese, fu mae-
stro dei nipoti di Clemente VII, Ippolito e
Alessandro de' Medici, poi loro segretario;
scrittore elegante e critico acuto. Fu dei
primi a scrivere sui geroglifici Egiziani. —
il Vida, Marco Girolamo cremonese (1490-
1566) autore del poema la Cristiade e di
altri sul baco da seta, sul giuoco degli scac-
chi, sull'arte poetica. — Lascari, Giovanni
Lascaris, Costantinopolitano, dotto umani-
sta da non confondere col più celebre Co-
stantino L. d' età precedente. — Musnro
Marco, Cretense, dotto umanista, accetto a
Leone X, che lo creò vescovo e cardinale.
L'Ar. lo ricorda anche nella satira vii. —
Andrea Marone, improvvisatore famoso di
versi latini. Si rammenta anche nel e. iii,
56; e sat. ii, 115. — Severo. « Per il monaco
Sevei'o intende il Foi-nari don Severo da
Firenzuola di Lombardia, monaco di Ci-
stello, che consapevole della congiura con-
tra Leone X, fuggi in Lamagna e qui venne
a morte. Ma io sono informato che non di
questo, ma di Don Severo da Volterra, mo-
naco Camaldolese e professo del monastero
degli Angioli di Fiorenza, ha voluto inten-
dere; perciocché egli fu amico dell' Ar. ed
ebbe dolce e delicata vena di poesia, per
la quale non solo da questo poeta fu som-
mamente amato, ma riusci caro e in pregio
presso tutti i dotti e belli ingegni del suo
tempo » (Porcacchi).
14. I-S. duo Alessandri, Alessandro dagli
Orologi, Padovano, e Alessandro Guarini,
figlio del celebre Guarino Veronese; buoni
poeti e letterati del tempo. — Mario d'Ol-
vito, Mario Equicola detto da Olvito negli
antichi Equicoli (Terra di Lavoro), patria
sua. Scrisse la storia di Mantova e alti'e
opere. — Pietro Aretino (1492-1556). Fu assai
temuto per le sue satire, che gli valsero il
nome di flagello dei princìpi, e oro e doni.
Di lui scrisse l'Alfieri: «Dei principi il fla-
gello Intitolò sé stesso un Aretino. Vi fu
aggiunto il divino. Scambiando, a mio pa-
rer, con il monello ». — Duo leronimi Giro-
lamo Verità e Girolamo Cittadini, l'uno Ve-
ronese, verseggiatore italiano, l' altro Lom-
bardo e poeta latino. — il Mainardo, Gio-
vanni Manardi (cosi e non Mainardi è detto
sempre da altri che parlarono di lui. Qui
forse abbiamo nient' altro che un errore di
15
Là Bernardo Capei, là veggo Pietro
Bembo, che '1 puro e dolce idioma nostro,
Levato fuor del volgare uso tetro, [stro.
Quale esser dee, ci ha col suo esempio mo-
Gnasparro Obizi è quel che gli vien dietro.
Ch'ammira e osserva il si bea speso in-
[chiostro,
10 veggo il Fracastorio, il Bevazzano,
TrifonjGtabriele, e il Tasso piti lontano.
16
Veggo Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso ch'a vedermi appresso
Al lito mostra gaudio e maraviglia.
11 mio Valerio è quel che là s'è messo
Fuor de le donne; e forse si consiglia
Col Barignan c'ha seco, come offeso
Sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
stampa); celebre medico Ferrarese. — Il
Leoniceno, Niccolò Leoniceno dotto medico
e letterato. — Il Pannizzato, Niccolò Maria
Panizzato letterato e poeta latino, che al-
cuni dissero anche maestro dell'Ariosto. —
Celio Calcagnini, scrittore di molte opere
latine. — Teocreno. Cosi chiamò sé stesso
Benedetto Tagliacarne, letterato Sarzanese,
che fu maestro dei figliuoli di Francesco
I di Francia.
13. 1-8. Bernardo Capei. Come nella st.
precedente abbiamo avuto il gruppo Fer-
rarese, qui abbiamo il gruppo Veneto. Bern.
Cap. è poeta Veneziano ricordato anche
nel e. xxxvii, st. 8. — P. Bembo, al quale
vien dato qui il pregio, che più degnamente
gli spetta, di prmio restauratore e legisla-
tore della nostra lingua. Di lui anche nel
e. xxxvii, 42. Qui si accenna alla teorica
dal Bembo sostenuta nelle Prose, (libr. I)
che cioè gli scrittori non debbono attenersi
alla lingua parlata dal volgo, ma a quella
usata dagli eccellenti scrittori antichi. —
Guasp. Obizzi, padovano, amico del Bembo
e ammiratore degli scritti di lui (del si len
speso inchiostro). — Fracastorio, Girolamo
Fracastoro, grande scienziato e poeta la-
tino. — Bevazzano Agostino, scrittore di ver-
si latini assai buoni. — Tifon Gabriele, let-
terato veneziano, di eccellenti costumi e
di finissimo giudizio critico. — il Tasso,
Bernardo T. padre di Torquato, autore Ael-
V Amadigi. « Lo dice più lontano forse per-
ché non ebbe occasione di praticar molto
con esso o perché di Bergamo, all'estremità
del dominio Veneto » (Casella). Questa st. è
agg. per l'ed. del 1532.
16. 1-8. N. Tiepoli, patrizio Veneto, rifor-
matore dello Studio di Padova. — Nicolò A-
manio, Cremasco, fu, a giudizio del Ban-
dello, soavissimo poeta. — Antonio Fulgoso
0 Fregoso, Genovese trasferito da tempo a
Qii
ORLANDO FURIOSO
17
Vegrgo subii 'tii e sopninianì ingegni
Di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da' più degni
Ha tanto onor, mai più non conobbi io;
Ma, se me ne fur dati veri segni,
È l'uom che di veder tanto desio,
lacobo Sanazar, ch'alle Camene
Lasciar fa i monti et abitar l'arene.
18
Ecco il dotto, il fedele, il diligente
Secretario Pistofìlo, eh' insieme
Cogli Acciainoli e con l'Angiar mio sente
Piacer, che più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente,
Milano. Fu ben accetto a Lodovico il Moro.
Dopo r invasione Francese si ritirò a vita
privata; e per questo suo amore alla soli-
tudine fu detto fileremo. Scrisse visioni,
imitazioni allegoriche dell'Alighieri. Dal suo
cap. 7 lo Zappi imitò il suo Museo (T Amore
(Antologia, 1822, voi. iv). — Valerio V. e.
xxviT, )37, n. 7. Intendi: si consiglia come,
offeso sempre dalle donne, possa imparare
il modo di non esserne sempre acceso. Dalla
novella del e. xxvii e xxvni, intenderai il
significato di queste parole. — Barignan,
Pietro Harignano, poeta Bresciano (secon-
do il Fornari, Pesarese) di molta fama ai
suoi tempi. Fu alla corte Romana.
i;. 2. 11 Pico e il Pio, Gian Francesco Pico
della Mirandola, noto uomo dottissimo, e
Alberto Pio signore di Carpi, al quale son
pure indirizzate dall' Ar. alcune poesie la-
tine. Essi erano cugini.
— 4. mai pin, mai altra volta. V. canto
XLiii, .00, n. 3.
— 5. r. segni, veri contrassegni : Io non
lo conosco di persona, ma se sono veri i
contrasse';'ni datimi, egli è I. Sann.
— 7. J. Sanazar, Napoletano, fu valente
poeta latino e italiano e buon prosatore. —
Camene (da Carmen, carmenae, eamoe-
nae, dee dei carmi) le Muse. Dice che il S.
fa lasciare alle Muse i monti di Elicona e
del Pindo per abitare con lui sulla spiaggia
del mare Napoletano.
18. 2. Pistofllo Bonaventura, segretario
del duca Alfonso. A lui diresse 1' Ar. 1' ul-
tima satira e lettere quand' era governa-
tore della Garfagnaua.
— 3. Cogli Acciainoli. Erano Pietro An-
tonio, il figlio Iacopo e il nipote Archelao
impiegati della corte di Ferrara. Di loro
come poeti parla L. Gregorio Giraldi nel
dialogo De poètis suorum temporum. —
L'Angiar, Pietro Martire d'Anghiari, poeta
e viaggiatore celebre ; secondo altri l'uma-
nista Gerolamo Angeriano autore dell'^ro-
topaegnion.
— 5. Annibal Malaguazo. Reggiano, cugino
Veggo con l'Adoardo, che gran speme
Mi dà, ch'ancor del mio nativo nido
Udir farà da Calpe a gli Indi il grido.
19
Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
Di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
Mia ritornata ognun parer contento.
Dunque a finir la breve via che resta,
Non sia più indugio, or e' ho propizio il
[vento;
E torniamo a Melissa, e con che aita
Salvò, diciamo, al buon Ruggier la vita.
20
Questa Melissa, come so che detto
V'ho molte volte, avea sommo desire
Che Bradamante con Ruggier di stretto
Nodo s'avesse in matrimonio a unire;
E d'ambi il bene e il male avea si a petto.
Che d'ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
dell'Ar. A lui l'Ar. indirizzò la satira ni
e IV.
— 6. l'Adoardo; «Fu di Reggio ancli'esso
come il Malaguzzi, ma non mantenne quel
che faceva sperare di sé all'Ariosto » (Ca-
sella).
— 8. da Calpe; uno dei monti che for-
mano lo stretto di Gibilterra. Qui come
spesso, vuol dire da ponente a oriente. Spe-
rava dunque l'Ar. che costui anche a Reg-
gio procurasse quella fama immortale che
altri ad altre città. Questa st. è aggiunta per
r ediz. del 1532.
19. 1. Vittor Fausto « uomo Greco, e del
suo tempo raro, leggeva le cose greche in
Vinegia con previsione di 500 scudi, e di
200 altri per sovrastare alle cose dell'arse-
nale. Fece la quinquereme, oggidì detta la
Barza, ed il Galeone, macchina come famosis-
sima,cosidi grandezza incomparabile» (For-
nari). — Tancredi Angiolo, professore all'uni-
versità di Padova. — A proposito di questa
lunga rassegna, il Machiavelli, scrivendo
nel 1517 a Luigi Alamanni, diceva: «Io ho
letto a questi di Orlando Furioso dell'Ario-
sto e veramente il poema è bello tutto e in
dimolti luoghi mirabile. Se si trova costi
(a Roma) raccomandatemi a lui e ditegli
che io mi dolgo solo che avendo ricordato
tanti poeti, che m' abbia lasciato indietro
come un,... e che egli ha fatto a me in detto
suo Orlando che io non farò a lui in sul
mio Asino ». Il Machiavelli aveva ragione
di lagnarsi.
— 7. con che aita, con quale aiuto.
20. 6. sentire, aver notizie. Dante, Pur-
gatorio, 1(3, 14: « Par che del buon Gherardo
nulla senta ».
CANTO XLVI
645
Che, quando andava l'nn l'altro venia.
21
In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
Il qiial di non gustar d'alcuna sorte
Mai più vivanda fermo era e disposto,
E col digiun si volea dar la morte:
Ma fu l'aiuto di Melissa tosto;
Che, del suo albergo uscita, la via tenne
Ove in Leone ad incontrar si venne:
22 [so,
Il qual mandato, l'uno a l'altro appres-
Sua gente avea per tutti i luoghi intorno;
E poscia era in persona andato anch'esso
Per trovar il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice, la qual messo
Freno e sella a uno spirto avea quel gior-
E l'avea sotto in forma di ronzino, [no,
Trovò questo tigliuol di Costantino.
23
Se de l'animo è tal la nobiltate,
Qual fuor. Signor (diss'ella), il viso mo-
Se la cortesia dentro e la bontate Istra;
Ben corrisponde alla presenzia vostra,
Qualche conforto, qualche aiuto date
Al miglior cavallier de l'età nostra;
Che s'aiuto non ha tosto e conforto,
Non è molto lontano a restar morto.
24
Il miglior cavallier, che spada a lato
E scudo in braccio mai portassi o porti;
Il più bello e gentil ch'ai mondo stato
Mai sia di quanti ne son vivi o morti.
Sol per un'alta cortesia e' ha usato.
Sta per morir, se non ha ch'il conforti.
Per Dio, Signor, venite, e fate prova
S'alio suo scampo alcun consiglio giova.
25
Ne l'animo a Leon subito cade
Che '1 cavallier di chi costei ragiona,
Sia quel che per trovar fa le contrade
Cercar intorno, e cerca egli in persona;
Si ch'a lei dietro, che gli persuade
Si pietosa opra, in molta fretta sprona:
La qual lo trasse (e non fèr gran camino)
Ove alla morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovar che senza cibo stato
Era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
Ch'in pie a fatica si saria levato,
— 8. Che. Si può intendere per poiché :
ed è dichiarativo di sempre per via. Le
st. 20-66 sono aggiunte per 1' ed. del 1532.
21. 2. tra le scure om. V. e. XLV, 91, 92.
— 7. che; Relativo a Melissa.
24. 2. portassi, portasse. V. e. il, 40, n. 8.
25. 1. Nell'animo... cade. La frase cadere in
animo è viva ancora nel linguaggio lette-
rario.
— 3. che per trovar, per trovare il quale.
Per ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea disteso in terra tutto armato,
Con l'elmo in testa, e de la spada cinto;
E guancial de lo scudo s'avea fatto,
In che '1 bianco liocorno era ritratto.
27 [bia
Quivi pensando quanta ingiuria egli ab-
Fatto alla donna,e quanto ingrato equan-
Isconoscente le sia stato, arrabbia, [to
Non pur si duole; e se n'affligge tanto,
Che si morde le man, morde le labbia.
Sparge le guancie di continuo pianto;
E per la fantasia che v' ha si fissa,
Né Leon venir sente ne Melissa;
28 [to
Né per questo interrompe il suo lamen-
Né cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udir intento;
Poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
Conosce ben, ma la persona espressa
Non gli è, per cui sostien tanto martire;
Ch'anco Euggiei'.non glie l'ha fatto udire.
29
Più inanzi,e poi più inanzi i passi muta.
Tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
E con fraterno affetto lo saluta,
E se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so quanto ben questa venuta
Di Leone improvisa a Ruggier piaccia;
Che teme che lo turbi e gli dia noia,
E se gli voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le più dolci e più soavi
Parole che sa dir, con quel più amore
Che può mostrar, gli dice: Non ti gravi
D'aprirmi la cagion del tuo dolore;
Che pochi mali al mondo son si pravi,
Che l'uomo trar non se ne possa fuore.
Se la cagion si sa; né debbe privo
Di speranza esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol che celar t'abbi voluto
26. 4. Per ricader, ma per ricader.
27. 3. arrabbia: non solo si lamenta per
dolore, ma freme di rabbia.
— 7. v' ha; ha in questo; in questa idea.
2S. 6. espressa, chiara, manifesta: xr, 81,
n. 7. Leone non sa la donna, per cui Rug-
gero pena.
29. 1. i passi muta, cammina. Vedi la nota
7 e. II, 39.
— 4. abbraccia, lo abbr. V. e. I, 21, n. 7.
— 5. Io non so q. ben: Costruisci : Io non
so bene quanto ecc. Di queste inversioni
abbiamo yisto molli esempì nel Furioso.
30. 2. e. q. pili amore, con quel maggior
amore.
31. 1-2. celar... da me. Più spesso celarsi
a uno.
646
ORLANDO FURIOSO
Da me, che sai s' io ti son vero amico,
Non sol di poi ch'io ti son si tenuto.
Che mai dal nodo tuo non mi districo,
Ma fin allora ch'avrei causa avuto
D'esserti sempre capital nimico;
E dei sperar eh' io sia per darti aita
Con l'aver, con gli amici e con la vita.
32
Di meco conferir non ti rincresca
Il tuo dolore, e lasciami far prova,
Se forza, se lusinga, acciò tu n'esca.
Se gran tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi, quando l'opra mia non ti riesca,
La morte sia ch'ai fin te ne rimuova:
Ma non voler venir prima a quest'atto,
Che ciò che si può far, non abbi fatto.
33
E seguitò con si efficaci prieghi,
E con parlar si umano e si benigno, [ghi;
Che non può far Ruggier che non si pie-
Che né di ferro ha il cor ni'> di macigno,
E vede, quando la risposte nieghi,
Che farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s'incocca
Prima il parlar, ch'uscir voglia di bocca.
34
Signor mio (disse al fin), quando saprai
Colui ch'io son (che son per dirtel ora),
Mi rendo certo che di me sarai
Non men contento, e forse pili, ch'io muora.
Sappi ch'io son colui che si in odio hai:
Io son Ruggier ch'ebbi te in odio ancora;
E che con intenziou di porti a morte.
Già son pili giorni, usci' di questa Corte;
35
Acciò per te non mi vedessi tolta
Bradaraante, sentendo esser d'Araone
La voluutade a tuo favor rivolta.
— 4. dal nodo tuo; dal nodo delia ami-
cizia con te ; o anche dal vincolo della gra-
titudine che a te mi lega.
— 5. fin allora, fin d'allora. I vocabolari
non citano questo modo, che è notevole; ci-
tano solo fin ora per fin d'ora.
32. 1. m. conferir, di darne a me notizia.
V. e. XLiv, 36, n. 2 e simile nel e. xxxvii,
105, 2.
— 5. non ti riesca ; non riesca, non ab-
bia effetto per te; non riesca a far per te
quello che mi propongo.
33. 7. s' incocca, s' impiglia nella bocca.
Come si disse che il jiarlare o le parole
scoccatìo dalla bocca, cosi l'Ar. potè dire
che Uisar^ar s'incocca cioè resta fermo sulle
labbra come freccia, che resta colla cocca
impigliata su la corda dell' arcp.
34. 1-2. saprai colui ch'io son. Come si dice;
quando saprai l'uomo che sono; cosi qui,
con costruzione simile, invece del più comu-
ne ; q. saprai chi sono.
iMa perché ordina l'uomo, e Dio dispone
Venne il bisogno ove mi fé' la molta
Tua cortesia mutar d'opinione;
E non pur l'odio ch'io t'avea, deposi.
Ma fé' ch'esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi pregasti, non sapendo eh' io
Fossi Ruggier, eh' io ti facessi avere
La Donna; ch'altrettanto saria il mio
Cor fuor del corpo, o l'anima volere.
Se sodisfar più tosto al tuo desio.
Ch'ai mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta è Bradamante; abbila in pace :
Molto più che '1 mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te ancora, se privo di lei
Mi son, eh' insieme io sia di vita privo;
Che più tosto senz'anima potrei.
Che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
Mai legitimamente, finch' io vivo;
Che tra noi sponsalizio è già contratto.
Né duo mariti ella può avere a un tratto.
35, 5. Venne il b. ove. Poti'emo intendere
in più modi: venne il bisogno, nel quale
la tua m. cortesia mi fece m. d'opin. Ove
in questo senso lo abbiamo, negli esempi
citati dai vocabolari, variamente usato, ma
sempre in espressioni, nelle quali l'idea di
luogo è più spiccata che qui. Potremo anche
intendere : Il bisogno giunse là dove (a tal
punto che) la tua cortesia mi fece ecc. Fi-
nalmente : Il bisogno venne là (a Belgrado
o anche in carcere), dove la tua molta cor-
tesia ecc.
— 8. esser... mi disposi, mi disposi ad
esser.
3C. 3. ch'altrettanto saria, il che sarebbe
altrettanto, sarebbe lo stesso come volere ec.
Che per il che vedilo nei luoghi citati al
e. xxxiv, 26, n. 5. Ma qui è notevole l' o-
missione del secondo termine del confronto
coinè, quanto. Se cosi non ti piace potrai
intendere il che per di ohe, della qual cosa,
e sarebbe un uso popolare del che come nel
e. XIII, 37, 5; XIV, 4, 6; xvi, 88, 4, ecc. Cosi
intenderai: Della qual cosa sarebbe lo stesso
il volere ecc.; alla qual cosa si eguaglie-
rebbe il volere il core ecc. Nota poi il sa-
ria, che Ruggero dice, riportandosi al mo-
mento in cui Leone gli chiese il favore.
37. 5. Appresso, inoltre. Boccaccio, FUoc.
2, 141: «Ella (torre) è da sé forte e ap-
presso è ben guardala ». Cosi nella strofa
103, 6.
— 7. Che tra noi ecc. È ciò che dice Mar-
fisa nel e. XLv, 104, e ciò che dicesi nel e.
xxxviii, 72, 7-8. Ma lo sponsalizio non è
altro che l'atto formale di promessa avve-
nuto fra loro ; e a questa promessa, che se
CANTO XLVI
647
38
Rimai! Leon si pien di maraviglia,
Quando Ruggiero esser costai gli è noto,
Che senza muover bocca o batter ciglia
O mutar piò, come una statua, è immoto:
A statua, pili ch'ad uomo, s'assimiglia,
Che ne le chiese alcun metta per voto.
Ben si gran cortesia questa gli pare.
Che non ha avuto e non avi'à mai pare.
39
E conosciuto! per Ruggier, non solo
Non scema il ben che gli voleva pria ;
Ma si l'accresce, che non men del duolo
Di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
D'Imperator meritamente sia.
Non vuol, se ben nel resto a Ruggier cede.
Ch'in cortesia gli metta iuanzi il piede.
40
E dice: Se quel di, Ruggier, ch'offeso
Fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
Ancor eh' io t'avea in odio, avessi inteso
Che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
Cosi la tua virtù m'avrebbe preso,
Come fece anco allor, non lo sapendo;
E cosi spinto dal cor l'odio, e tosto
Questo amor ch'io ti porto, v'avria posto.
41
Che prima il nome di Ruggiero odiassi.
Ch'io sapessi che tu fosse Ruggiero,
Non negherò; ma ch'or pili inanzi passi
non ha valore legale ha certo un gran va-
lore dinanzi alla natura e all'onestà, Rug-
gero dà tanto maggiore importanza in
quanto che è stata fatta fra cavalieri, pei
quali ogni promessa era inviolabile. Che di
vero matrimonio non si trattasse, ma di
semplice promessa, oltreché dalle parole
del e. XLV, si può rilevare da molti altri
luoghi XLiv, 47, 8; 58; xxx, 84, 6, xxxviii,
72, dove si dice poco più vale, non già
nulla vale. — Che poi nel verso 8 si parli
di mariti non fa maraviglia a chi pensi,
che sempre, nel Furioso, agli amori fra
cavalieri e dame si applica il linguaggio
proprio della vera parentela; cfr. e. xvi,
14, n. 7.
38. 6. Che nelle chiese ecc. Questo partico-
lare vuol dipingere lo stupore insieme e la
devozione che apparisce nell'atteggiamento
di Leone.
— 7. Ben, certo.
39. 5-6. per mostrarsi... che sia. V è fu-
sione di due costrutti: per mostrare che
sia, d'essere meritam. figliuolo ecc. — per
mostrarsi degno figliuolo ecc.
40. 7. spinto, cacciato.
41. 2. tu fosse, tu fossi. V. e. xxxvm, 49,
n. 2. Cosi nel e. xlv, 97, 5 tu sapesse. Vedi
anche la nota 7, e. xxxi, 12.
L'odio ch'io t'ebbi, t'esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi,
N'avesse, come or n'ho, saputo il vero;
Il medesimo avrei fatto anco allora,
Ch'a benefizio tuo son per far ora.
42
^ E s'allor volentier fatto l'avrei,
Ch'io non t'era, come or sono, obligato;
Quant'or pili farlo debbo, che sarei.
Non Io facendo, il più d'ogn'altro ingrato?
Poi che, negando il tuo voler, ti sei
Privo d'ogni tuo bene, e a me l' hai dato.
Ma te lo rendo, e più contento sono
Renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
43
Molto più a te, ch'a me, costei conviensi,
La qual, bench'io per li suoi raerit'ami.
Non è però, s'altri l'avrà, ch'io pensi.
Come tu, al viver mio romper li starai.
Non vo' che la tua morte mi dispensi.
Che possi, sciolto ch'ella avrà i legami
Che son del matrimonio ora fra voi,
Per legitiina moglie averla io poi.
44
Non che di lei, ma restar privo voglio
— 6. M'avesse. V. la nota precedente.
42. 1. Se... fatto l'avrei. Se col condizionale
si usa : 1° quando equivale al latino num
o an, nelle interrogazioni indirette o dubi-
tative: es. Non so se io avrei avuto quella
pazienza. — 2° Quando è, come qui, ripeti-
zione d'una asserzione precedente: es, :
Avrei fatto il medesi no anche allora ; E se
allor volentier fatto l'avrei. E vuol dire: E
se è vei'o, se è certo che l' avrei fatto. —
3° Quando si condensa in una sola propo-
sizione la protasi e l'apodo si: Galilei,
Consìderaz. al Tasso; 14, 64: « E se in un
altro sarian degne di lode, in questo au-
tore son degne di stupore » che vuol dire:
E mentre se le avesse fatte (tre stanze) un
altro, sarebbero degne di lode, in questo
autore ecc.
— 4. il p. d'o. a. ingr. ; il più ingrato di
ogni altro.
— 5. negando il tuo voler, rinnegando il
tuo desiderio, facendo abnegazione della
tua volontà.
— 7-8. contento renderlo , contento di,
renderlo.
43. 5. mi dispensi ; mi tolga l' impedi-
mento, cosicché io possa (che possi: e. xv,
86, n. 5), sciolto che ella avrà (nel caso che
tu muoia) i legami del matrimonio, che ora
sono fra voi, io possa, dico, averla per le-
gitt. m. — Dispensare in questo significato
speciale è forse usato dal solo Ariosto; e
male la N. Crusca cita questo esempio con
altri, in cui dispensare significa liberare
da un determinato impegno.
648
ORLANDO FURIOSO
Di ciò e' ho al mondo, e de la vita appres-
[so,
Prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio
Per mia cagion tal cavalllero oppresso.
De la tua diffidenzia ben mi doglio;
Che tu che puoi non meu, che di te stesso,
Di me dispor, più tosto abbi voluto
Morir di duol, che da me avere aiuto.
45
Queste parole et altre soggiungendo,
Che tutte saria lungo riferire,
E sempre le ragion redarguendo,
Ch'in contrario Ruggier gli potea dire;
Fé' tanto, ch'ai fin disse: Io mi ti rendo,
E contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò l'obligo mai;
Che due volte la vita dato m'hai?
46
Cibo soave, e precioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto;
E confortò Ruggier, ch'era vicino,
Non s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
Cavalli quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar da li scudieri suoi
Lo fé' e sellare, et a Ruggier dar poi;
47
Il qual con gran fatica, ancor ch'aiuto
Avesse da Leon, sopra vi salse:
Cosi quel vigor manco era venuto,
Che pochi giorni inanzi in modo valse,
Che vincer tutto un campo avea potuto,
E far quel che fé' poi con l'arme false.
Quindi partiti, giuuser, che pili via
Non fèr di mezza lega, a una Badia:
44. 6. Che. È congiunz. dichiarativa di
mi doglio.
45. 3. redarguendo, ribattendo. È il latino
ì'edarguo.
— 5. mi ti rendo, mi arrendo. È forma
molto frequente negli antichi; ed è viva
ancora nella lingua letteraria.
— 7-8. l'obligo... che; l' obligo Perché;
l'obbligo, che io ti ho, perché tu mi hai
dato ecc. Che in questo senso vedilo nei
canti V, 16, 5; 18, 4; xiii, 37, 5 e in molti
altri luoghi.
46. 4. disfatto, morto. Dante, Inf. 6, 12:
o. Tu fosti prima eh' io disfatto fatto ».
47. 2. salse, sali. « Vive negli scrittori e
morto non è; ma più comune è sali » (Tom-
ìnaseo).
— 6. l'arme false, con l'arme non sue,
e con le insegne di Leone. V. e. xlv, 68-81.
— 7. che pili via non fèr; che più via non
avevano fatto; quando non avevano fatto
più via di mezza lega. Che per quando
al e. XXIII, 70, n. 8. Il passato remoto per
il trapassato prossimo è frequente in tali
espressioni: cfr. e. xxviii, 23, 8; xix, 87, 2.
48
Ove posaro il resto di quel giorno,
E l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
Tanto che '1 cavallier dal liocorno
Tornato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
Alla città real fece Ruggiero,
E vi trovò che la passata sera
L'Imbasciaria de' Bulgari giuut'era.
49
Che quella nazìon, la qual s'avea
Ruggiero eletto Re, quivi a chiamarlo
Mandava questi suoi, che si credea
D'averlo in Francia appresso al Magno
Perché giurargli fedeltà volea, [Carlo:
E dar di sé dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
Con questa gente, ha di lui dato nuova.
50
De la battaglia ha detto, ch'in favore
De' Bulgari a Belgrado egli avea fatta;
Ove Leon col padre Imperatore
Vinto, e sua gente avea morta e disfatta:
E per questo l'avean fatto Signore,
Messo da parte ogni uomo di sua schiatta;
E come a Novengrado era poi stato
Preso da Ungiardo e a Teodora dato:
51
E che venuta era la nuova certa,
Che '1 suo guardian s'era trovato ucciso,
E lui fuggito, e la prigione aperta:
Che poi ne fosse, non v'era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
Ne la città, né fu veduto in viso.
La seguente matina egli e '1 compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
49. 3. che si or.; poiché si cr.
— 4. D'averlo, che egli si trovasse. Mi
pare significato simile a quello dei modi
comuni: « Dove avete vostro jjadre ? — In
quel tempo avevamo nostro fratello in
America»; in cui avere si risolve in un tro-
varsi, ma di una persona che ci appartie-
ne. Quella nazione dunque credea d'avere
il suo R. in Francia.
— 7. Lo scudier di R. Questo scudiero è
qui introdotto per ispiegare come i Bul-
gari poteron pensare che R. fosse in corte
di Carlo Magno, e per aver modo di far
conoscere a questa corte le avventure di
lui in Bulgaria. — Questo scudiero forse,
quando R. fu preso a tradimento nel letto,
sarà stato trascurato da Ungiardo e sarà
andato presso i Bulgari a narrare ogni
cosa, e quindi mandato come guida degli
Ambasciatori.
60. 6. di sua, di loro.
61. 4. avviso, notizia. Villani, 4, -12: «1
soldati... che dentro V erano, non aveano...
avviso alcuno ».
CANTO XLVI
649
S'appresentò Ruggier conl'augel d'oro,
Che nel campo vermiglio avea due teste,
E, come disegnato era fra loro.
Con le medesme insegne e sopraveste
Che, come dianzi ne la pugna foro,
Eran tagliate ancor, forate e peste;
Si che tosto per quel fu conosciuto,
Ch'avea con Bradamante combattuto,
53
Con ricche vesti, e regalmente ornato
Leon senz'arme a par con lui venia;
E dinanzi e di dietro e d'ogni lato
Avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s'inchinò, che già levato
Se gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per man, nel qual intente e fisse
Ogn'uno avea le luci, cosi disse:
54
Questo è il buon cavalliero, il qual difeso
S'è dal nascer del giorno al giorno estinto;
E poi che Bradamente o morto o preso
O fuor non V ha de Io steccato spinto,
Magnanimo Signor, se bene inteso
Ha il vostro bando, è certo d'aver vinto,
E d'aver lei per moglie guadagnata;
E cosi viene, acciò che gli sia data.
55
Oltre che di ragion, per lo tenore
Del bando, non v'ha altr'uora da far dise-
Se s'ha da meritarla per valore, [gno;
Qual cavallier più di costui n'è degno?
S'aver la dee chi più le porta amore.
Non è chi 'I passi o ch'arrivi al suo segno;
Et è qui presto contra a chi s'oppone,
Per difender con l'arme sua ragione.
56
Carlo e tutta la corte stupefatta,
Questo udendo, restò; ch'avea creduto
Che Leon la battaglia avesse fatta,
Non questo cavallier non conosciuto.
Marfisa, che cogli altri quivi tratta
S'era ad udire, e ch'appena potuto
Avea tacer, fin che Leon finisse
Il suo parlar, si fece inanzi e disse :
57
Poi che non e' è Ruggier, che la contesa
De la raoglier fra sé e costui discioglia;
Acciò per mancamento di difesa
52. 1. con l'augel d'oro; V. e. XLV, 69, 3.
ò6. 1-2. Oltre ecc. Oltre che gli deve es-
ser dai? di ragione, per diritto, in forza del
bando; non vi è altro uomo da farvi sopra
diseguo, su cui si possa far disegno come
degno marito di tal donna: infatti se s' ha
da maritarla ecc. O anche: non vi è al-
tr' uomo che possa farvi (su lei) disegno per
diritti che possa mettere avanti.
— 6. ch'arrivi, chi arrivi. Per tale eli-
sione cfr. e. XIX, 47, 6; xxxiii, 127, 4 ecc.
Cosi senza rumor non se gli toglia,
Io che gli son sorella, questa impresa
Piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
Che dica aver ragione in Bradamante,
0 di merto a Ruggiero andare inante.
58
E con tant'ira e tanto sdegno espresse
Questo parlar, che molti ebber sospetto,
Che senza attender Carlo che le desse
Campo, ella avesse a far quivi l'effetto.
Or non parve a Leon che più dovesse
Ruggier celarsi, e gli cavò l'elmetto;
E rivolto a Marfisa: Ecco luì pronto
A rendervi di sé (disse) buon conto.
' 59
Quale il canuto Egeo rimase, quando
Si fu alla mensa scelerata accorto
Che quello era il suo figlio, al quale, in-
[stando
L'iniqua moglie, avea il veneno porto;
E poco più che fosse ito indugiando
Di conoscer la spada, l'avria morto;
Tal fu Marfisa, quando il cavalliero
Ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
C)
E corse senza indugio ad abbracciarlo.
Né dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo
Di qua e di là con grand'amor bacioUo.
Né Dudou né Olivier d'accarezzarlo.
Né '1 Re Sobrin si può veder satollo.
Dei Paladini e dei Baron nessuno
Di far festa a Ruggier restò digiuno.
61
Leone, il qual sapea molto ben dire,
Finiti che si fur gli abbracciamenti.
Cominciò inanzi a Carlo a riferire.
Udendo tutti quei ch'eran presenti.
Come la gagliardia, come l'ardire
(Ancor che con gran danno di sue genti)
57. 4. senza rumor, senza resistenza. V.
e. xxiii, 66, n. 6.
— 7. aver rag. in Br. Per il costrutto cfr.
e. XXVII, 84, n. 1.
58. 3-4. le desse campo, senza aspettare '
regolar permesso di Carlo Magno. L'espres-
sione è tolta dagli usi del duello. Quando
avveniva una sfida le parti chiedevano a
qualche Signore, che avesse dominio, il cam-
po franco, dove cioè potessero combattere
sotto la sua tutela e difesi dalla sua auto-
rità contro violenze, soprusi, punizioni ecc.
59. 1. Quale ecc. « Egeo re d'Atene a isti-
gazione della moglie Medea era per dare
una tazza avvelenata a Teseo, che egli aveva
avuto da Etra figlia del re di Trachine,
quando lo riconobbe a una spada conse-
gnatagli dalla madre « (Casella).
— 5-6. indugiando di conos. Più comune
indugiare a: V altro è costrutto assai raro.
650
ORLANDO FURIOSO
Di Ruggier ch'a Belgrado avea veduto,
Più d'ogni offesa avea di sé potuto;
62
Si ch'essendo di poi preso e condutto
A colei ch'ogni strazio n'avria fatto,
Di prigione egli, malgrado di tutto
Il parentado suo, l'aveva tratto;
E come il buon Ruggier,per render frutto
E mercede a Leon del suo riscatto.
Fé' l'a'ta cortesia che sempre a quante
Ne fuio 0 sarau mai, passarà inante.
63
E seguendo narrò di punto in punto
Ciò che per lui fatto Ruggiero avea;
E come poi da gran dolor compunto,
Che di lasciar la moglie gli premea,
S'era disposto di morire; e giunto
V'era vicin, se non si soceorrea;
E con si dolci affetti il tutto espresse,
Che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
64
Rivolse poi con si efficaci prieghi
Le sue parole all'ostinato Amone,
Che non sol che lo muova, che lo pieghi.
Che lo faccia mutar d'opinione;
Ma fa ch'egli in persona andar non nieghi
A supplicar Ruggier che gli perdone,
E per padre e per suocero l'accette;
E cosi Bradamante gli promette;
65
A cui là dove, de la vita in forse,
Piangea i suoi casi in camera segreta.
Con lieti gridi in molta fretta corse
Per più d'un messo la novella lieta:
Onde il sangue ch'ai cor, quando lo morse
Prima il dolor, fu tratto da la pietà,
A questo annunzio il lasciò solo in guisa.
Che quasi il gaudio ha la Donzella uccisa.
61. 8. aTea di sé potuto. Per il costrutto
cfr. 0. XXVI, 30, n. 7.
62. 5. render frutto, render compenso. Cosi
pure nel e. xxxiv, 21. Ma è significato raro
pur negli antichi.
— 8. passarà. Cfr. C. IV, 2, n. 6.
63. 4. Che d. 1. 1. m. e- premea, poiché gh
dispiaceva (cfr. e. xvii, 106, n. 3) di lasciar
la moglie (infinito soggettivo con la prep.
di: FoRNACiARi, Sint. p. 362, nota). — Ma
potresti anche intendere: da gran dolore
di lasciar la moglie che (il qual dolore) gli
premea, l' opprimeva.
— 5. s' e. disposto ecc. ; s' era risoluto a
morire. V. e. xviii, 170, 7.
C4. 3. non sol che; non solo fa si che.
65. 5-6. Onde il sangue ecc. « Descrive fi-
sicamente due effetti contrari del dolore e
dell'allegrezza, l'uno cagione che '1 sangue
si ritiri verso il cuore e l'altro lo spanda
e lo diffonda, lasciando privo di sé il fonte
della vita, che è esso core » (Lavezuola).
66
Ella riman d'ogni vigor si vota.
Che di tenersi in pie non ha balia;
Ben che di quella forza ch'esser nota
Vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, alacelo, a ruo-
Sia condannato o ad altra morte ria, [ta
E che già agli occhi abbia la bendanegra.
Gridar sentendo grazia, si rallegra.
67
Si rallegra Mongrana e Chiaramonte,
Di nuovo nodo i dui raggiunti rami:
Altretanto si duol Gano col Conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami;
Ma pur coprendo sotto un'altra fronte
Van lor pensieri invidiosi e grami ;
E occasione attendon di vendetta.
Come la volpe al varco, il lepre aspetta.
68
Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso
Molti in più volte avean di quei malvagi;
Benché l'ingiurie fur con saggio avviso
Dal Re acchetate, et i commun disagi;
68. 2, balia, forza. Giamboni, Trattati
nior. 258: «Io mi sento si poca balia che
non posso vedere com' io potessi far questa
pugna ».
— 5. a ceppo, per avervi mozza la testa,
a laccio per essere impiccato ; a ruota :
era una ruota girante, a cui legavano il
condannato, dopo avergli rotto braccia ,
gambe e reni.
— 7. la benda, con la quale si bendavano
quelli, che dovevano esser giustiziati.
67. 1-2. Di nuovo nodo ecc. i due rami,
che sono congiunti con questo nuovo nodo,
con questa nuova parentela. Raggiunti, con-
giunti. Poliziano, St. 1, 40: «Tal che rag-
giunge r una air altra cocca (dell' arco) > .
L'Ar. modificando la genealogia, che trovia-
mo nel Boiardo (III, v, 18 segg.) e che abbia-
mo riassunta nel e. xxxvi, 70, n. 1, ritiene
che Ruggero appartenga alla casa di Mon-
grana, come Bradamante apparteneva a
quella di Chiaramonte. Invece secondo il
Boiardo, Buovo è il ceppo comune di Rug-
gero, di Chiaramonte, e di Mongrana, poi-
ché dei suoi figli uno rimase in Antona e
da essa discesero quelle due case illustri,
l'altro passò a Risa e da esso discese Rug-
gero. Ma in fatto di genealogie favolose gii
scrittori lavoravano spesso di fantasia.
— 3. Gano ecc. Sono i principali della
casa di Magauza in continua lotta e ini-
micizia con la casa di Chiaramonte e ni
Mongrana.
— 5. fronte, figura, aspetto. Cosi nel e.
xxxix, 4, 3.
— 6. grami (dall' ant. ted. c'ram, cruc-
ciato) cattivi, tristi.
68. 4. i e. disagi. Alcuni intendono diSio-
CANTO XLVI
651
Avea di nuovo lor levato il riso
L'ucciso Pinabello e Bertolagi:
Ma pur la fellonia tenean coperta,
Dissimulando aver la cosa certa.
69
Gli ambasciatori Bulgari che in Corte
Di Carlo eran venuti, come ho detto,
Con speme di trovare il guerrier forte
Del liocorno, al regno loro eletto;
Sentendol quivi, chiamar buona sorte
La lor, che dato avea alla speme effetto;
E riverenti ai pie se gli gittaro,
E che tornassi in Bulgheria il pregare;
70
Ove in Adrianopoli servato
Gli era lo scettro e la real corona:
Ma venga egli a difendersi lo stato;
Ch'a danni lor di nuovo si ragiona
Che più numer di gente apparecchiato
Ha Costantino, e torna anco in persona:
Et essi, se '1 suo Re ponno aver seco,
Speran di torre a lui l'Imperio Greco.
71
Ruggiero accettò il regno, e non contese
Ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
Di ritrovarsi dopo il terzo mese.
Quando Fortuna altro di lui non fesse.
Leone Augusto che la cosa intese.
Disse a Ruggier, ch'alia sua fede stesse,
Che, poich'egli de' Bulgari ha il domino,
La pace è tra lor fatta e Costantino:
pori, altri danni : certo vi è l' idea del tro-
varsi a disagio gli uni presso agli altri;
quindi meglio intendere dissapori. I voca-
bolari non dicono nulla.
— 6. Pinabello... Bertol. V. e. xxn, 96;
XXVI, 13.
— S. Dissimnl. ec. Non è chiaro. Il Romizi :
« Affettando d'ignorare la cosa, di non co-
noscere con certezza gli autori delie ucci-
sioni ». Si potrebbe opporre che, se poteva-
no sospettare ma non affermare, che Pina-
bello fosse stato ucciso da uno di Chiara-
monte, dovevano bene esser certi che Ber-
tolagi era stato messo a morte da Aldigieri
e Ricciardetto: ma la confusione e la mi-
schia avvenuta fra Saracini e Maganzesi
(xxvi, 15) potè forse lasciare nei superstiti
l'incertezza sugli uccisori. Potremmo però
anche intendere: dissimulando la certezza,
che avevano di vendicarsi appena se ne
presentasse V occasione.
69. 8. tornassi. V. e. II, 40, n. 8.
70. 1. Adrianopolì, città della Bulgaria.
— 4. a danni, ai danni. V. e. ii, 15, n.
8. Le st. 69-72 sono aggiunte per l'ed. 1532.
71. 1. non contese, non si oppose. Pe-
trarca, II, son. 218: » al mio desir con-
tese».
— 4. fesse, facesse.
72
Né da partir di Francia s'avrà in fretta,
Per esser capitan de le sue squadre;
Che d'ogni terra ch'abbiano suggetta,
Far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù che di Ruggier sia detta,
Ch'a mover si l'ambiziosa madre
Di Bradamante, e far che '1 genero ami,
Vaglia, come ora udir, che Re si chiami.
73
Fansi le nozze splendide e reali,
Convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
Farebbe, maritando una sua figlia.
I raerti de la Donna erano tali.
Oltre a quelli di tutta sua famiglia, [gno,
Ch'a quel Signor non parria uscir del se-
Se spendesse per lei mezzo il suo regno.
74
Libera Corte fa bandire intorno,
Ove sicuro ogn'un possa venire;
E campo franco sin al nono giorno
Concede a chi contese ha da partire.
Fé' alla campagna l'apparato adorno
Di rami intesti e di bei fiori ordire.
D'oro e di seta poi, tanto giocondo.
Che '1 più bel luogo mai non fu nel mondo.
75
Dentro a Parigi non sariano state
L'innuraerabil genti peregrine.
7i. 3. ch'abbiano suggetta, ch'abbiano as-
soggettata. È il participio scorciato del vei'-
bo soggettare, molto usato dagli antichi.
Cosi pure nel e. xv, 32, S.
73. 7. uscir del segno, del segno stabilito
da giustizia, esagerare.
74. 1. Libera Corte; corte bandita. Era
un' usanza delle antiche corti per circo-
stanze solennissime. Quando con bandi si
dava avviso di corte libera o bandita, ognu-
no di qualunque paese, o religione, o grado,
0 condizione, poteva sicuramente andare ai
pranzi, cene, feste, giuochi, che apposita-
mente per un dato tempo si davano.
— 3. campo franco. Generalmente si dava
volta per volta ai cavalieri, che ne facevan
domanda, ma in circostanze solenni si dava
a chiunque ne volesse approfittare. V. st.
58, 3-4.
— 4. partire, sciogliere. Come si disse
partire una zuffa con l' idea d' intromet-
tersi fra i contendenti; cosi con estensione
di significato l'Ar. disse partire contese,
dirimerle.
— 5-6. l'apparato... ordire, fare l'appara-
to, apparecchiare 1' occorrente per mangia-
re, per riposare, per divertirsi. L' orditura
poi, ossia l'ossatura, era fatta di rami in-
tessuti e di fiori, poi coperta e ornata di
stoffe di seta e di fregi dorati.
652
ORLANDO FURIOSO
Povere e ricche e d'ogni qualitate,
Che v'eran, Greche, Barbare e Latine.
Tanti Signori, e Imbascierie mandate
Di tutto '1 mondo, non aveano fine:
Erano in padiglion, tende e frascati
Con gran comniodità tutti alloggiati.
76
Con eccellente e singolare ornato
La notte inanzi avea Melissa maga
Il maritale albergo apparecchiato.
Di ch'era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo inanzi desiato
Questa copula avea quella presaga:
De l'avvenir presaga, sapea quanta
Boutade uscir dovea da la lor pianta.
77
Posto avea il genial letto fecondo
In mezzo un padiglione ampio e capace.
Il più ricco, il più ornato, il più giocondo
Che già mai fosse o per guerra o per pace,
0 prima o dopo, teso in tutto '1 mondo;
E tolto ella l'avea dal lito Trace:
L'avea di sopra a Costantin levato,
Ch'a diporto sul mar s'era attendato.
78
Melissa di consenso di Leone,
0 più tosto per dargli maraviglia,
E mostrargli de l'arte paragone,
Ch'ai gran vermoinfernalmettelabriglia,
E che di lui, come a lei par, dispone,
E de la a Dio nimica empia famiglia;
Fé' da Costantinopoli a Parigi
Portare il padiglion dai messi Stigi.
79
Di sopra a Costantin ch'avea l'Impero
Di Grecia, lo levò da mezzo giorno.
Con le corde e col fusto, e con l'intero
Guernimento ch'avea dentro e d'intorno:
Lo fé' portar per l'aria, e di RHg<?iero
Quivi lo fece alloggiamento adorno;
Poi, finite le nozze, anco tornello
Miraculosamente onde levollo.
75. 4. Barbare. V. st. 7, u. 6.
16. 4. DI che ecc. Della qual cosa, cioè di
apparecchiare ecc., era stata desiderosa
gran tempo, avea desiderato di vederli con-
giunti.
77. 1. genial letto. V. e. v, 2, n. 6.
— 2. In mezzo un. V. e. Vi, 23, n. 8.
78. 3. paragone, prova. V. e. i, 61, n. 4.
— 4. Termo inf. ; demonio. Ricorda « Cer-
bero il gran vermo » e Lucifero « verme
reo che il mondo fora » di Dante, Questa
stanza fu aggiunta per r ed. del 1532.
79. 2. da m. giorno, a mezzo g. V. e. xi,
65, n. 2.
— 7. anco, ancor, di nuovo. Questo pa-
diglione è una derivazione e una imitazione
di quello disteso da Brandimarte nella pra-
teria sotto Biserta {innam. II, xxvii, 50-
80
Eran degli anni appresso che duo railia
Che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella de la terra d'Illa,
Ch'avea il furor profetico congiunto.
Con studio di gran tempo e con vigilia
Lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, et al fratello
Inclito Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più cortese cavallier che mai
Dovea del ceppo uscir del suo germano
(Ben che sapea, da la radice assai
Che quel per molti rami era lontano)
Ritratto avea ne i bei ricami gai
D'oro e di varia seta, di sua mano, [gio
L'ebbe, mentre che visse, Ettòrre in pre-
Per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch'a tradimento ebbe la mor
E fu '1 popol Troian da' Greci afflitto;
Che Sinon falso aperse lor le porte,
E peggio seguitò, che non è scritto;
e,
61), lavorato dalla Sibilla Cumana di sua
propria mano e istoriato con dodici Alfon-
si, l'ultimo dei quali è appunto Alfonso I
d'Este. Questi padiglioni storiati erano abi-
tuali ai nostri autori di romanzi cavaliere-»
schi. Forse in questa invenzione ha la sua
parte auche un padiglione che, fatto in
forma d' una casa con sala, camera ed altro
dentro, il Duca Ercole I, nel 1494, aveva re-
galato a Carlo Vili, (Cappelli, Lettere di
L. Ar., Hoepli, 1S90, pag. 11, n. 3).
80. 1. Eran degli anni ecc. Per il costrutto
cfr. e. xviii, 86, n. 5.
— 3. d' Illa, d' Ilio, di Troia. Terra cVIUo,
come si direbbe città d'Ilio.
— 4. Ch'avea ecc. ; Che aveva unito, nel
fare questo padiglione, a tutto il resto (che
si dice in seguito) anche il furore profe-
tico, lo fece con lo studio di lungo tempo
e con vigilie, con veglie. Essa è Cassandra
figlia di Priamo che aveva avuto da Apollo
il dono della profezia, ma col tormento di
non essere da nessuno creduta.
81. 3. da la radice. Unisci: lontano assai
da la r. Questo cavaliere ivi ritratto è Ip-
polito d' Este.
82. 1. Ma poiché ecc. «Qui l'Ar. non se-
gue Omero, ma si attiene al racconto di
Ditti Cretese, secondo il quale Ettore fu
ucciso da Achille in un agguato (De Bello
Tr. lib. 3) » (Casella).
— 3. Sinon falso. Sinone fingendosi per-
seguitato dai Greci li persuase a metter
dentro le mura il fatale cavallo; cosi fece
da' Troiani aprir le porte ai Greci.
— 4. E peggio ecc. E i Troiani ebbero
guai anche peggiori di quelli, che sono
CANTO XLVI
G53
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
Col quale a capitar venne in Egitto,
Ove al Re Proteo lo lasciò, se volse
La moglie aver, che quel tiran gli tolse.
83
Elena nominata era colei
Per cui lo padiglione a Proteo diede;
Che poi successe in man de' Tolomei,
Tanto che Cleopatra ne fu erede.
Da le genti d'Agrippa tolto a lei
Nel mar Leucadio fu con altre prede :
In man d'Augusto e di Tiberio venne,
E in Roma sin a Costantin si tenne;
84
Quel Costantin di cui doler si debbe
La bella Italia, fin che giri il cielo.
Costantin, poi che '1 Tevero gl'increbbe,
Portò in Bizanzio il prezioso velo :
Da un altro Costantin Melissa l'ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
Tutto trapunto con figure belle.
Più che mai con pennel facesse Apelle.
scritti negli antichi poemi, perché la pa-
rola non può descrivere adeguatamente i
mali d' una città vinta e distrutta.
— 7-8. OTe ecc. « Il Poeta segui qui Ero-
doto il quale (aeW Euterpe) racconta che
Paride, navigando con Elena l'Egeo, assa-
lito da fiera tempesta e da quella spinto in
Egitto, venne condotto innanzi al re di quel
paese. Proteo, e da lui gravemente ripreso
d'aver violato l'ospizio, togliendo a Mene-
lao la moglie: la quale Proteo fece che la-
sciasse presso di sé, con tutte le cose che
recate avea, e lui partire. Finita la guerra
di Troia, durante la quale Elena restò in
Egitto, Menelao andò colà a prender la
moglie, in ricambio della quale finge il no-
stro poeta che desse al re questo padiglio-
ne » (Bolza).
83. 3. successe, passò per successione.
Sacchetti, Nov. 15. «Non avea alcun erede,
a cui legittimamente succedesse il suo ».
— - 5. Da 1. g. d'Agr. Presso a Leucade
(mar Leucadio) oggi Santa Maura, avvenne
la battaglia d'Azio, dove M. Antonio e Cleo-
patra furon rotti da .\grippa capitano d'Au-
gusto.
S4. 1. di cui d. si debbe. Il Casella intende
cheritaliasi debba doleredi Costantino, per-
ché, essendo egli passato in Oriente, essa
divenne preda dei barbari. Questa certo fu
la prima ragione, che fece scrivere all'Ar.
tali parole, ma forse vi andò unita anche
l'altra del dominio temporale dei papi, che
il poeta credeva avere avuto principio da
Costantino. Vedi ciò che si dice su questo
nel e. XXXI, 80, 8.
— 6. Oro ecc. Anche nei padiglioni prece-
denti non si trascurano le corde e lo stelo,
che spesso è d'avorio.
85
Quivi le Grazie in abito giocondo
Una Regina aiutavano al parto:
Si bello infante n'apparia, che '1 mondo
Non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Giove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l'aveano sparto
A man piene e spargean d'eterei fiori,
Di dolce ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito diceva una scrittura
Sopra le fasce in lettere minute.
In età poi piti ferma l'Avventura
L'avea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nuove genti la pittura
Con veste e chiome lunghe, che venute
A domandar da parte di Corvino
Erano al padre il tenero bambino.
87
Da Ercole partirsi riverente
Si vede, e da la madre Leonora;
E venir sul Danubio, ove la gente
Corre a vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi il Re degli Ungari prudente.
Che '1 maturo sapere ammira e onora
In non matura età tenera e molle,
E sopra tutti i suoi Baron l'estolle.
88
V è che ne gì' infantili e teneri anni
85. 2. Una Regina, Eleonora d'Aragona mo-
glie d'Ercole I e madre del cardinale Ippo-
lito d'Este. È detta regina anche nel e. xiii,
68, 2, dove troverai la nota.
— - 4. dal secol p. al q. ; dalla prima alla
quarta età. Sono le quattro età dell'oro, del-
l'argento, del rame, e del ferro ; che si di-
cono anche secol d'oro, ecc.
— 5-6. Giove ecc. «In queste divinità si
esprimono le doti, di cui il Poeta fa adorno
il suo Cardinale, come la maestà, l'eloquen-
za, la bellezza, il valore » (Casella).
— 6. l'aveano sparto, l'aveano cosperso.
Come si dice spargere la via di fiori.
cosi qui spargere uno di fiori, invece del
più comune : sparg. f. su di uno.
8G. 3. l'Avventura, la Fortuna.
— 7. Corvino, « Mattia Corvino re d'Un-
gheria, marito di Beatrice, sorella della ma-
dre d'Ippolito, che portò il nipote di 10 anni
non ancor compiti (non ancora compiti gli
otto, come appare dal Muratori, a. E. li,
p. 254) all'arcivescovado di Strigonia. Si
veda il Bonfinio, Rer. Ungar. Dee. 1, 1. 1 ;
e Dee. 4, 1. 8; dove un superbo elogio com-
pose al giovine Ippolito; e Mario Equicola
nel dialogo De opporlunitate, dove un più
ampio e minuto gliene lavorò, tutte le cose
toccando, che qui si accennano dall'Ario-
sto ■» (Barotti).
88. 1. V è che ; nel padiglione è, si vede,
che il re gli pone in mano ecc.
654
ORLANDO FURIOSO
Lo scettro di Strigonia in man gli pone:
Sempre il fanciullo se gli vede a' panni,
Sia nel palagio, sia nel padiglione:
0 contra Turchi, o coutra gli Alemanni
Quel Re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
A' magnanimi gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si vede, come il fior dispensi
De' suoi primi anni in disciplina et arte.
Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi
Chiari gli espone de l'antiche carte.
Questo schivar, questo seguir convieusi,
Se immortai brami e glorioso farte.
Par che gli dica: cosi avea ben finti
1 gesti lor chi già gli avea dipinti.
90
Poi Cardinale appar, ma giovinetto,
Sedere in Vaticano a consisterò,
E con facondia aprir l'alto intelletto,
E far di sé stupir tutto quel coro.
Qual fia dunque costui d'età perfetto?
Pareau con meraviglia dir tra loro.
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto
Che fortunata età! che secol santo!
91
In altra parte i liberali spassi
Erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta su gli alpini sassi,
Ora i cingiali in valle ima e palustre:
Or s'un gianetto par che '1 vento passi.
Seguendo o caprio o cerva multilustre,
— 3. a' panni, allato, appresso. Dante,
Inf. 15, 40 : « Però va' oltre : i' ti verrò a'
panni ».
— 5. Turchi, Alemanni, furono i due ne-
mici contro i quali M. Corvino principal-
mente e valorosamente combatté. Fu uomo
di gran mente e di grande energia.
89. 1. dispensi, impieghi. Cosi nei e. xvii,
69, 1 ; xi.ii, 10.
— 2. disciplina, esercitazioni militari. È
uso simile a quello del e. xxxviii, 32, 4. In
senso quasi eguale il Machiavelli, Art. G. 5:
« Il sito aspro non ti lascia distendere le tue
copie secondo la discipl. (secondo che ri-
chiedono le esercitazioni militari) ».
— 3. Fusco, Tommaso Fusco uomo repu-
tato dottissimo e ottimo, prima maestro,
poi segretario d' Ippolito.
90. 1. ma giovinetto. Non aveva compiuti
quindici anni.
91. 4. cingiali. Vedi, per la forma, e. i,
41, n. 1.
— 5. gianetto, o ginetto. V. e. xx v, 45, n. 5.
— 6. caprio, capriuolo. V. e. vi, 22, n.7.
— multilustre, di molti lustri, per ciò forte
nella corsa. Questa bella parola Arioslesca
piacque auche al Parini, Notte, 116 : « ironia
Cara alle belle multilustri ».
Che giunta par che bipartita cada
In parti uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi altrove e di poeti
Si vede in mezzo un'onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
Questi la terra, quello il ciel gli squadra:
Questi meste elegie, quel versi lieti.
Quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
I Musici ascolta, e varii suoni altrove;
I Né senza somma grazia un passo muove.
I 93
I In questa prima parte era dipinta
Del sublime garzon la puerizia.
Cassandra l'altra avea tutta distinta
Di gesti di prndenzia, di giustizia,
Di valor, di modestia, e de la quinta
Che tien con lor strettissima amicizia,
Dico de la virtù che dona e spende;
De le qual tutte illuminato splende.
94
In questa parte il giovene si vede
Col Duca sfortunato degl'Insubri,
Ch'ora in pace a consiglio con lui siede.
Or armato con lui spiega i colubri;
E sempre par d'una medesma fede,
O ne' felici tempi o nei lugubri :
Ne la fuga lo segue, lo conforta
Ne l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede altrove a gran pensieri intento
Per salute d'Alfonso e di Ferrara;
Che va cercando per strano arguraento,
92. 2. in mezzo un' on. ; in mezzo ad un'
on. sq.
— 4. gli squadra, gli descrive con preci-
sione. Non si cita che questo es. dell'Ar.
93. 5. de la quinta, la liberalità, che l'Ar.
aggiunge per conto suo alle quattro virtù
cardinali accennate avanti. Ma su questa
liberalità ebbe più tardi a mutar parere.
94. 1-2. In questa p. ecc. Qui si allude
alla, fedele amicizia e agli aiuti che gli Esten-
si e specialmente Ippolito prestarono a Lo-
dovico il Moro contro Luigi Xfl di Francia.
Il cardinale ebbe dal Moro il governo civile
di tutto lo stato milanese, e nel 1499 fu egli,
che lo accompagnò quando partiva alla
volta della Germania (Muratori, An. E. II,
p. 264 segg.).
— 4. spiega i colubri, il colubro, che è an-
tichissima arme dei Visconti. V. e. ut, 26,
n. 4. Da qualche antica testimonianza par-
rebbe che anche prima della potenza Viscon-
tea, quando fioriva la repubblica, si usasse
il vessillo comunale con la vipera, che dalla
città sarebbe stato dato in premio a Ottone
Visconti (NovATi, Indagini e postille Dan-
tesche. Collez. Passerini-Papa : ix, x).
95. 3. Che, poiché — p. strano argomento,
CANTO XLVI
655
E trova, e fa veder per cosa chiara
Al giustissimo frate il tradimento
Che gli usa la famiglia sua più cara;
E per questo si fa del nome erede,
Che Roma a Ciceron libera diede.
96
Vedesi altrove in arme relucente,
Ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
E con tumultuaria e poca gente
A un esercito instrutto si va opporre;
E solo il ritrovarsi egli presente
Tanto a gli Ecclesiastici soccorre, [ce;
Che '1 fuoco estingue pria ch'arder comin-
Si che può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi altrove da la patria riva
con strano mezzo. Cosi nel e. xli, 16. Ecco
il mezzo strano, col quale cercò e trovò le
fila della congiura : « Eravi fra gli altri al-
legri compagnoni che esso Duca ammetteva
alla sua familiar conversazione... un cerio
.Giano Guascone, pi-ete... Adocchiò un giorno
il Cardinale, che costui per ischerzo legò il
Duca nella sedia dove egli posava, e risa-
puto che più volte era successo cosi inde-
cente insulto, combinando insieme che Giano
era un furbo e nell'istesso tempo confidente
stesso di Giulio e di Don Ferrante, cominciò
a fare spiare con diligenza i loro andamenti,
né andò molto che entrò in cognizione del-
l'orrida congiura» (Muratori, Ah. E. II,
p. 281).
— 4. per cosa eh., come cosa eh,
— 5. il tradimento , del quale vedi la
nota 7, e. Ili, 60.
— 6. gli usa... tradim. Come si disse ttsar
fraude, usar peccati, cosi l'Ar. ha detto
usar tradimento, far tradimento, tradire.
— la famiglia s. ; la parte più cara della sua
famiglia, cioè i suoi stessi fratelli.
— 7. del nome ecc., di padre della pch
tria per aver salvato a Ferrara il suo prin-
cipe. Cosi Cicerone era stato chiamato per
aver salvata la repubblica dalla congiura
di Catilina.
96. 2. Ch'ad aiut. ecc. Credo che si accen-
ni all'impresa che nell'aprile e nel maggio
1507 il Card. Ippolito compi contro i Benti-
vogli. Volevano questi ricuperar Bologna
tolta loro dal papa, e radunate molte sol-
datesche, si avviavano per il Reggiano e
per il Modenese verso Bologna. Ma Ippo-
lito, avvisato dal Legato di Bologna, accor-
se con 500 cavalli da Ferrara a Modena,
quivi mise assieme un quattromila soldati
e avanzatosi contro il nemico lo pose in
piena rotta, salvando Bologna agli Ecclesia-
stici (MURAT., Ant. E. II, p. 283).
— 7. arder comince, cominci ad ardere.
— 8. viene ved. v. È il veni vidi vici di
Cesare, quando vinse Farnace re del Ponto.
Pugnar incontra la più forte armata,
Che contra Turchi e contra gente Argiva
Da' Veneziani mai fosse mandata:
La rompe e vince, et al frate! captiva
Con la gran preda l'ha tutta donata;
Né per sé vedi altro serbarsi lui.
Che l'onor sol, che non può dare altrui.
9S
Le donne e i cavallier mirano fisi,
Senza trarne construtto, le figure;
Perché non hanno appresso che gli avvi-
Che tutte quelle sien cose future. [si,
Prendon piacere a riguardare i visi
Belli e ben fatti, e legger le scritture:
iSol Bradamante da Melissa instrutta
Gode tra sé; che sa l'istoria tutta.
99
Ruggiero ancor ch'a par di Bradamante
Non ne sia dotto, pur gli torna a mente
Che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
Commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi a pieno dir le tante
Cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di varii giochi è sempre festa grande,
E la mensa ognor piena di vivande.
100 ,
Vedesi quivi chi è buon cavalliero;
Che vi son mille lancie il giorno rotte:
97. 3. gente Argiva. Accenna alla lotte di
Venezia contro l' impero greco : {Argivi si
dissero gli antichi Greci). — Qui si parla
un'altra volta della battaglia della Polesella,
di cui nei e. iii, 57, 5; xxxvi, 2, 5; xl, 4, 7.
Vedi a quei luoghi le note storiche.
98. 3. che gli avv. La Principe legge cfii
gli avv.; ma già l'ediz. del 1521 ha che; e
ciò conferma la sicurezza della presente le-
zione. Intendi: le figure non hanno appresso
cosa che gli avvisi ecc. cioè non hanno op-
portuna iscrizione o altro che gli avv. ecc.
È vero che vi erano scritture, ma queste
non dicevano che tutte quelle cose erano
future. — Avverti che esser future qui,
come il latino futura esse, significa fossero
per avvenire. Cosi forse la ragione del
cambiamento va proprio cercata in quel-
V/ianno, che di primo getto il P. riferi agli
spettatori, poi gli piacque meglio riferirlo
a figure; pensando che impropriamente era
detto non esservi chi potesse spiegar tutto
ciò, mentre più sotto si dice che Melissa e
Bradamante tutto sapevano.
99. 1-2. Rngger... gli t. a. m. Per il costrut-
to cfr. e. XII, 5, n. 6.
— 7. Di. V. giochi; con vari g. : si fa sem-
pre festa grande con vari giochi. Di per
con e. Ili, 65, 6; xxv, 53, 5.
100. 2. mille... il giorno ; mille al giorno,
ogni giorno. È modo ancora vivissimo nella
lingua.
656
ORLANDO FURIOSO
Fansi battaglie a piedi et a destriero,
Altre accoppiate, altre confuse iu frotte.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
Che vince sempre, e giostra il di e la notte,
E cosi in danza in lotta et in ogni opra
.Sempre con molto onor resta di sopra.
101
L'ultimo di, ne l'ora che '1 solenne
Convito era a gran festa incominciato;
Che Carlo a man sinistra Euggier tenne,
E Bradamante avea dal destro Iato;
Di verso la campagna in fretta venne
Contra le mense un cavalliero armato,
Tutto coperto egli e '1 destrier di nero.
Di gran persona, e di sembiante altiero.
102 [no
Quest'era il Re d'Algier,che per loscor-
Che gli fé' sopra il ponte la Donzella,
Giurato avea di non porsi arme intorno,
Né stringer spada, né montare in sella,
Fin che non fosse un anno, un mese e un
[giorno
Stato, come Eremita, entro una cella.
Cosi a quel tempo soleau per se stessi
Punirsi i cavallier di tali eccessi.
— 3. a destriero; a cavallo. Pulci, Morg.
18, 24: « E con Orlando montava a de-
strieri ».
— 4. Altre accoppiate. La Crusca nota:
Battaglia accoppiata si disse un combatti-
mento usato nei tornei, nei quali i cavalieri,
ordinati in piccole schiere dette propria-
mente quadrìglie, combattevano stando
sempre accoppiati senza confondersi in frot-
te ». — confuse in frotte. Non deve già inten-
dersi come se fossero mischie disordinate.
Talvolta nelle giostre si presentavano molti
cavalieri che combattevano fra loro, ma in
modo che un solo si trovasse sempre di
fronte a un solo, come, per es., nella gio-
stra di Damasco : e. xvii.
101. 1. L'ultimo di', dei nove giorni di fe-
sta (St. 74, 3).
— 2. a gr. festa, con gr. f.
— 3. Che, nel quale convito. Vedi per
quest'uso e. xiii, 37, u. 5.
— 6. Contra le m. Il contra dice la dire-
zione sicura e rattegfiiameuto minaccioso.
— 7. tutto coperto ecc.; nera la gualdrappa
del cavallo e ha sopravv. del cavaliere.
— 102. 1. lo scorno ecc. Era stato atter-
rato da Bradamante : e. xxxv, 48 segg.
— 5. un anno ecc. Questo limite di tempo
era di prammatica in certe circostanze so-
lenni. Nel Boccaccio messer Torello dice
alla sua donna di aspettarlo un anno un
mese e un giorno prima di rimaritarsi.
— 8. eccessi, errori eccessivi. È signifi-
cato ancor vivo nella lingua, ^{ale altri in-
tende scorni.
103
Se ben di Carlo iu questo mezzo intese
E del Re suo Signore ogni successo ;
Per non disdirsi, non più l'arme prese,
Che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto l'anno e tutto 'I mese
Vede finito, e tutto '1 giorno appresso,
Con nuove arme e cavallo e spada e lan-
AUaCorteorne vien quivi di Francia, [eia
101
Senza smontar, senza chinar la testa,
E senza segno alcun di riverenzia,
Mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
E di tanti Signor l'alta presenzia.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
Che si pigli costui tanta licenzia.
Lasciano i cibi e lascian le parole
Per ascoltar ciò che '1 guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a Carlo et a Ruggiero a fron-
Con alta voce et orgoglioso grido, [te
Son (disse) il Re di Sarza, Rodomonte,
Che te, Ruggiero, alla battaglia sfido;
E qui ti vo', prima che '1 sol tramonte,
Provar ch'ai tuo Signor sei stato infido;
E che non raerti, che sei traditore,
Fra questi cavallieri alcuno onore.
106
Benché tua fellonia si vegga aperta,
Perché essendo Cristian non poi negarla;
Pur per farla apparere anco' più certa.
In questo campo vengoti a provarla:
E se persona hai qui che faccia offerta
Di combatter per te, voglio accettarla, [to ;
Se non basta una, e quattro e sei n'accet-
E a tutte manterrò quel eh' io t'ho detto.
107
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
103. 1. Se ben... intese. Per l' indicativo
cfr. e. XVI, 2, n. 4.
— 2. og. successo, ogni cosa avvenuta,
ogni caso: cosi nel e. v, 4, 3. Questo senso
è frequente anche nei prosatori : Guicciar-
dini, St. It. 18 : « Ma inteso il successo si
ritirò a Otricoli ».
— 4. pertenesse; Dall' inusitato iJer^gne-
re (lat. pertinere), di cui troviamo presso
gli antichi diverse forme : Boccaccio, Nov.
i 50, ha pertengono e Nov, 53 pertinente.
V. e. XX, 18, 2.
— 6. appresso, inoltre. V. st. 37, n. 5.
104. 3. la sua gesta, i suoi Paladini. Cosi
l'usò Dante, Inr. 31, 17: «Carlo Magno perde
la santa gesta ». (Del Lungo : Dal secolo e
dal poema di Dante pag. 487).
— 5. maraviglioso, maravigliato. V. e. x,
90, n. 7.
lOG. 3. apparere. Questa forma usò già il
Petrarca: i, son. 112: «Da indi in qua mi
cominciò apparere » ed è il lat. apparere.
CANTO XLVI
C57
E con licenzia rispose di Carlo,
Che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
Che traditor volesse uominarlo;
Che sempre col suo Re cosi pertosse,
Che giustamente alcun non può biasmar-
E ch'era apparecchiato sostenere, [lo;
Che verso lui fé' sempre il suo dovere:
108
E ch'a difender la sua causa era atto,
Senza tórre in aiuto suo veruno;
E che sperava di mostrargli in fatto.
Ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
Quivi il Marchese, e '1 figlio bianco e '1
[bruuo,
Dudon, Marfisa, contra il Pagan fiero
S'eran per la difesa di Ruggiero;
109
Mostrando ch'essendo egli nuovo sposo,
Non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: State in riposo;
Che per me foran queste scuse sozze.
L'arme che tolse al Tartaro famoso.
Vennero, e fur tutte le lunghe mozze,
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier
[strinse,
E Carlo al fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e Marfisa la corazza
Posta gli aveano, e tutto l'altro arnese.
107. 3. mentiva ecc. mentire, sostenere
erano parole d'uso per lo sfidato, comeiJj'o-
vare e mantenere dello sfidante. Per le
mentite cfr. e. ii, 4, n. 1.
lOS. 5. tratto.., s' eran, tratti s'eran. Per
quest' uso cfr. e. v, 5S, u. 7. Questo è un
esempio notevole fra gli altri del Furioso,
perché mentre negU altri participi si ha
sempre la sconcordanza nel genera, vii, 60;
V, SI, xxvia, 48 ecc. (il solo verbo essere
presenta la sconcordanza del participio sta-
to anche in numero nel e. xxxvii, 6), que-
sto l'ha in numero.
— 6. il Marchese ecc. Oliviero e i suoi
figli « Grifone il bianco et Aquilante il ne-
ro »; e. XV, 67.
109. 5. L'arme ecc. l'arme tolte a Mandri-
cardo. V. e. xxx, &4, segg.
— 6. fnr t. 1. langhe mozze, fui* mozzi
tutti gl'indugi. Di questa locuzione 1 voca-
bolari citano questo solo esempio. Nei sup-
posili 1,2: « E non ci debbe esser gran
dubbio, dandomi il padre queste lunghe ?
(tirandomi in lungo cosl?i». Machiavelli,
Legaz. 4* alla Corte di Francia, lett. 3:
« Per dare più lunga (per mandare più in
lungo) alla risposta loro».
110. 2. l'altro arnese, il resto dell'arnese.
V. e. vii, 51, u. S. L'arnese era l'armatura
difensiva, che comprendeva specialmente
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
Tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Xamo et Olivier Marchese:
Cacciaro in fretta ognun de lo steccato
A tal bisogni sempre apparecchiato.
Ili
Donne e donzelle con pallida faccia
Timide a guisa di columbe stanno.
Che da' granosi paschi ai nidi caccia
Rabbia de' venti che fremendo vanno
Con tuoni e lampi, e '1 nero àer minaccia
Grandine e pioggia, e a' campi strage e
[danno :
Timide stanno per Ruggier; che male
A quel fiero Pagan lor parca ugnale.
112
Cosi a tutta la plebe, e alla più parte
Dei Cavallieri e dei Barou parea;
Che di memoria ancor lor non si parte
Quel ch'in Parigi il Pagan fatto avea;
Che, solo, a ferro e a fuoco uua gran parte
N'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
E rimarrà per molti giorni il segno:
Né maggior danno altronde ebbe quel re-
113 [gno.
Tremava, più ch'a tutti gli altri, il core
A Bradamante; non ch'ella credesse
Che '1 Saracin di forza, e del valore
; Che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
l'elmo, la corazza, il dorsiere, gli schinieri,
i bracciali. Per il significato d' arnese cfr.
e. XXVI I, 78, n. 5.
— 4. il f. del Danese, Dudone.
— 5. far... piazza: far largo.
— S A tal bisogni ecc. Presso i grandi
signori gli steccati erano sempre pronti
nelle principali città e piazze ; qui poi do-
veva esser pronto anche perché per nove
giorni si era bandito campo franco.
111. 2. a gaisa di colombe. Innam. II,
XX, 16; «Tutte le dame a guisa di colombe
Per r alto grido si smarriano in faccia ».
ViRGiL. £/i. 2, 515: « Hic Hecuba et natae...
Praecipites atra ceu tempestate columbae,
Condensae et divum amplexae simulacra
sedebant ».
— 3. granosi p. In questo senso citano sol-
tanto l'Ar. Generalmente vuol dire granito ;
qui fecondo di grano.
— 5. e '1 nero a. m. Avverti il passaggio
dalla proposizione relativa: «vènti, c/ie fre-
mendo vanno », alla coordinata: « e '1 nero
ecc.»; nella quale la e ha il significato di
mentre; e serve mirabilmente a compiere
il quadro.
— 7-S. male... ugnale, non uguale, dise-
guale. V. e. I, 57, n. 1.
113. 3. di forza... del t., per forza e per
quel vai. V. e vii, IO, n. 6.
Abiosto — PAPua
42
658
ORLANDO FUETOSO
Né che ragion, che spesso dà l'onore
A chi 1' ha seco, Rodomoute avesse:
Pur stare ella non può senza sospetto;
Che di temere, amando, ha degno effetto.
lU
Oh quanto voleiitier sopra sé tolta
L'impresa avria di quella pugna incerta,
Ancor che rimaner di vita sciolta
Per quella fosse stata pili che certa!
Avria eletto a morir più d'una volta.
Se può più d'una morte esser sofferta,
Più tosto che patir che '1 suo consorte
Si ponesse a pericol de la morte.
115
Ma non sa ritrovar priego che vaglia.
Perché Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
Con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il Pagan si scaglia,
E vengousi a trovar coi ferri bassi.
Le lancie all'incontrar parver di gielo,
I tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116 -
La lancia del Pagan, che venne a córre
Lo scudo a mezzo, fé' debole- effetto ;
Tanto l'acciar, che pel famoso Ettorre
Temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
Gli andò allo scudo, e glie le passò netto;
Tutto che fosse appresso un palmo grosso,
Dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'os-
117 [so.
E, se non che la lancia non sostenne
II grave scontro e mancò al primo assalto,
E rotta in scheggie e in tronchi aver le
Parve per l'aria (tanto volò in alto); [penne
L'osbergo apria (si furiosa venne).
Se fosse stato adamantino smalto,
E finia la battaglia; ma si roppe:
— S. Che ecc. La quale ha degna ragione
di temere perché ama. E imitaz. del Pe-
trarca. Tr. Am. I, 105 : « Ma quel del suo
temer ha degno effetto ».
11-}. 5. av. eletto a morir; avi*, eletto di
mor. Eleggere in questo "senso si costruisce
generalm. con di o col semplice infinito.
Con a neppur la N. Crusca lo cita.
115. 7, airincontrar, all'incontrarsi, incon-
irandosi. V. e. iv, 14, n. 1. Cosi sotto a
salir-
IIC. 6. glie le, glielo. V. e. xli, 27, n. 8.
— 7. appresso nn p.; circa un palmo.
117. 1. Se non che ecc. Per questo co-
strutto cfr. e. XXI, 42, n. 5; e avverti che
è modo derivato dal latino. Ovidio, Met. iv,
6ì~: " Nisi quod laevis aura capillos Move-
rat... marmoreum ratus esset opus ».
— 5. apria, avrebbe aperto. V. e. v, 40,
n. 8. Con se non che si usò nella apodosi
lanto l'indicativo che il cqngiuutivo.
Posero in terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e sproni i cavallieri instan-
Risalir feron subito i destrieri; [do,
E d'onde gittàr l'aste, preso il brando.
Si tornaro a ferir crudeli e fieri.
Di qua di là con maestria girando
Gli animosi cavalli atti e leggieri,
Con le pungenti spade incominciaro
A tentar dove il ferro era più raro.
119
Non si trovò lo scoglio del serpente,
Che fu si duro, al petto Rodomonte,
Né di Nembrotte la spada tagliente,
Né '1 solito elmo ebbe quel di alla fronte;
Che l'usate arme, quando fu perdente
Centra la donna di Dordona al ponte.
Lasciato avea sospese ai sacri marmi.
Come di sopra avervi detto parrai.
120
Egli avea un'altra assai buona armatu-
Non come era la prima già perfetta: [ra.
Ma né questa né quella né più dura
A Balisarda si sarebbe retta;
A cui non osta incanto né fattura.
Né finezza d'acciar né tempra eletta.
Ruggier di qua, di là si ben lavora.
Ch'ai Pagan l'arme in più d'un loco fora.
121
Quando si vide in tante parti rosse
Il Pagan l'arme, e non poter schivare
118. 2. Risalir, rizzarsi. V. e. xxxix, 53,
n. 2.
— 3. d'onde ecc. dallo stesso punto, dove
gettarono le lance tornarono con la spada
ecc. È detto per indicare la prontezza e il
vigore dei cavalieri, che non perdono un
solo istante.
— 6. atti e leggeri. V. e. vi, 61, u. 6,
dove abbiamo l'altra espressione, simile a
questa, agili et atti.
119. 5. l'usate arme ecc. Vedi per questi
particolari e. xxxv, 52, 3-4.
— 6. la Donna di Dord., Bradamante, V.
e. XII, 20, n. 3.
120. 4. A. B. si s. retta; si sarebbe retta,
avrebbe retto contro a Balis. che, fatta per
incanto, avea la proprietà di render nulli
gli incanti delle armi nemiche. Reggere a
Balisarda è locuzione fatta su la più co-
mune reggere ai colpi di B. — Reggerai a
per reggere contro a resistere, durare, non
è citato dai vocabolari.
— 5. fattura, malia. In questo senso è or-
mai fuori d'uso; ma dicesi ancora fattuc-
chiere, — era, uomo o donna, che usa
malie.
121. 2-t. schivare... che non. V. e. v, 53,
n. 1. Questa è costruzione simile a quella
Per r in finito rileva dal primo verso un
CANTO XLVI
659
Che la più parte di quelle percosse
Non gli andasse la carne a ritrovare;
A maggior rabbia, a più furor si mosse,
Cli'a mezzo il verno il tempestoso mare :
Getta lo scudo, e a tutto suo potere
Su l'elmo di Ruggiero a due man fere.
122
Con quella estrema forza che percuote
La machina eh' in Po sta su due navi,
E levata con uomini e con ruote
Cadérsi tescia su le aguzze travi;
Fere il Pagan Ruggier, quanto più puote,
Con ambe man sopra ogni peso gvavi:
Giova l'elmo incantato; che sensa esso,
Lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero andò due volte a capo chino,
E per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
Che quel non abbia tempo a riaverse:
Poi vien col terzo ancor; ma librando fino
Si lungo martellar più non sofferse;
Che volò in pezzi, et al crudel Pagano
Disarmata lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per questo non s'arresta,
Ma s'avventa a Ruggier che nulla sente ;
In tal modo intronata avea la testa,
In tal modo oft'useata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
Gli cinge il collo col braccio possente;
E con tal nodo e tanta forza afterra,
Che de l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in terra si tosto, che risorse.
Via più che d'ira, di vergogna pieno;
Però che a Bradamante gli occhi torse,
E turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
E fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell'onta,
Stringe la spada, e col Pagan s'affronta.
semplice vide, o pure intendi : si vide, vide
sé non poter schiv., vide cha non poteva
schiv.
— 5. A magg. r.; con magg. r. V. e. xvi,
48, n. 8.
Vii. 1. che percuote, con la quale percuote.
V. e. XIII, 37, n. 5.
— 2. La machina: Era detta castello, oggi,
in Toscana, chiamasi berta, che « probabil-
mente deriva dalla Berta della leggenda
Germanica, che col suo pestare spaventava
i bambini (?) » (Zambaldi, Vvc. Etim.).
— 5. Fere, percuote, e. xxvi, 73, n. 7.
123. 4. Che, perché.
1-24. 7. afferra, lo afferra. V. e. i, 21, n. 7.
125. 5. rimase in forse, rimase in grande
apprensione.
126
Quel gli urta il destriercontra,raaRug-
Lo causa accortamente, e si ritira, [giero
E nel passare, al fren piglia il destriero
Con la man manca, e intorno lo raggira;
E con la destra intanto al cavalliero
Ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
E di due punte fé' sentirgli angoscia,
L'una nel fianco, e l'altra ne la coscia.
127
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
Il pome e l'elsa de la spada rotta,
Ruggier su l'elmo in guisa percotea,
Che lo potea stordire all'altra botta.
Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea.
Gli prese il braccio, e tirò tanto allotta,
Aggiungendo alla destra l'altra mano.
Che fuor di sella al fin trasse il Pagano.
128
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
11 Pagan si, ch'a Ruggier resti al paro:
Vo' dir che cadde in pie; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il Pagan tenere a bada
Lungi da sé, né di accostarsi ha caro:
Per lui non fa lasciar venirsi addosso
Un corpo cosi grande e cosi grosso.
126. 3. E nel passare, che il destriero
fece per venire a urtarlo. Non è inoltu
chiaro.
— G. Ferir... mira; ferir studia. Questo
significato un po' diverso dai molti fin qui
notati nel Furioso (xn, 5, 6; xiv, 105,3;
XXXI, 51, 6) è confermato da un luogo dei
Cinque Canti i, 52, 3: « E giunger mira in
tempo ».
— 7. di due pnnte, con due puntate ; con
due colpi di punta.
127. 3. percotea, percosse. È imperfetto
storico. Il valore di questo imperf. si rileva
dal verso seguente, donde apparisce che fu
solo una botta, se con l'altra, con la se-
conda, poteva stordirlo.
— 5. a ragion, secondo ragione, come
voleva la ragione, boccaccio, A'ou. 65: «far
si che a ragione le fosse dato ».
12S. 1. sna forza, di Ruggero.
— 4. averne il meglio, aver vantaggio so-
pra Rod. Questa locuzione si cita dai voca-
bolari col solo significato di restar vitto-
rioso; e manca l'altro che qui è chiarissimo.
Il Tasso nel duello fra Tancredi e Ai'gante
fa dire ad Argante « Or dunque il meglio
aver ti vante », che anche qui significa ti
vanti di esser vincitore e non già, come
intendono alcuni, ti vanti di esser supe-
riore, d'aver vantaggio sopra di me,
— 7. Per lui non fa, non è vantaggioso,
opportuno. È modo vivissimo nella nostra
, lìngua.
660
ORLANDO FURIOSO
129 I
E insanguinarli pur tuttavia il fianco |
Vede e la coscia e l'altre sue ferite. i
Spera che venga a poco a poco manco, I
Si che al fin gli abbia a dar vinta la lite. |
L't'lsa e '1 pome avea in mano il Pagan :
E con tutte le forze insieme unite [anco,
Da sé scaglioni, e si Ruggier percosse, |
Che stordito ne fu più che mai fosse. i
130 I
Ne la guancia de l'elmo, e ne la spalla
Fu Ruggier còlto, e si quel colpo sente !
Che tutto ne vacilla e ne traballa,
E ritto sé sostieu difficilmente.
Il Pagan vuole entrar, ma il pie gli falla,
Che per la coscia offesa era impotente:
E '1 volersi affrettar più del potere,
Con un ginocchio in terra il fa cadere.
131 furto
Ruggier non perde il tempo, e di grande
Lo percuote nel petto e ne la faccia;
E sopra gli martella, e tien si curto.
Che con la mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il Pagan che gli è risurto;
Si stringe con Ruggier si, che l'abbraccia:
L'uno e l'altro s'aggira, e scuote e preme,
Arte aggiungendo alle sue forze estreme.
129. 1. insanguinargli, sanguinargli. V.
e. xxvii, 20, 11. 7.
1:ìO. 1. guancia dell'el., la parte dell'elmo
che copriva la guancia. Più comunemente
si chiamava guanciale,
— 4. sé sostien, si sost. V. e. XIX, 26, n. 3.
— 5. entrar. La Crusca : « Nel linguag-
gio degli schermitori : avanzarsi per col-
pir l'avversario ». E cita solamente que-
sto es.
— 6. Che; È relativo di pie.
131. 3. e tien si curto, e lo tien si e. Te-
ner corto significa non dar comodità di
muoversi. Si disse anche lepar corto; ed è
immagine presa da buoi, cavalli e simili.
.— 4. con la mano in terra. Rod. era in
terra con un ginocchio, Rugg. gli corre
addosso e lo percuote in modo che lo co-
stringe a puntar le mani a terra per non
essere completamente abbattuto.
— 5. gli è, egli è.
— 6. Si stringe con R. ; Si avvicina a
Rugg. Invece del costrutto conìune strin-
gersi a uno, l'Ar. ha usato striìigersi con
Rugg. per indicare che non è solo egli ad
avvicinarsi, ma che Ruggero pure fa lo stes-
so. — l'abbraccia. Non è eguale al lo cinse
della st. 134, 2, ma significa quell'atteggia-
mento, che prendono i lottatori quando si
attaccano; cioè si afferrano l'un l'altro per
il collo, per la vita, per le spalle o per le
braccia, ma sempre a una certa distanza
dei corpi e in condizioni uguali.
1.52
Di forza a Rodomonte una gran parte
La coscia e '1 fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande ar-
Era alla lotta esercitato molto : [te;
Sente il vantaggio suo, né se ne parte;
E d'onde il sangue uscir vede più sciolto,
E dove più ferito il Pagan vede, [de.
Puon braccia e petto, e l'uno e l'altro pie-
133
Rodomonte pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spaile prende:
Or lo tira, or lo spinge, or aopra il petto
Sollevato da terra lo sospende.
Quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
E per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto, e mette in opra
Senno e valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le prese andò mutando il franco
E buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
Calcògli il petto sul sinistro fianco,
E con tutta sua forza ivi lo strinse, [manco
La gamba destra a un tempo inanzi al
Ginocchio e all'altro attraversògli e spin-
E da la terra in alto sollevollo, [se;
E con la testa in giù steso tornoUo.
135
Del capo e de le schene Rodomonte
La terra impresse, e tal fu la percossa,
Vii. 5. né se ne parte, né si parte dal suo
vantaggio, cioè non cessa la lotta, in cui,
per la debolezza di Rodomonte ferito, sente
di esser superiore, d'aver vantaggio.
— 8. Puon, pone. L'Ar. ha fatto la dit-
tongazione di questa forma non regolar-
mente, perché l' e di ponere essendo lungo,
il derivato italiano non ha la dittongazione.
— Con questi particolari vuol dire che Rug-
gero lavora di braccia, di petto , di gambe,
specialmente in quella parte, dove Rod. è
ferito, perché ivi è più debole.
13.3. 8. rimaner di sopra, restar superiore.
134. 1. le prese. Presa è il luogo, la parte,
dove si vuol prender lottando. Dante, Inf.
16, 20 : «"Qual suolen i campion far nudi ed
unti Avvisando lor presa ».
— 3. Calcògli ecc. Si strinse col suo petto
al fianco debole di Rodom. perché da que-
sta parte non avrebbe potuto validamente
l'esistergli.
— 8. tornello. Dice tornollo, perché già
prima era caduto a terra, st. 13 1.
l:}5. 2. La t. impresse. La N. Crusca in-
tende : segnò la terra con l' impronta delle
schiene e della testa; ma è goffa e falsa
interpretazione. Intendi: percosse violente-
mente la terra col capo e con le schiene.
Cosi usò l'Alamanni imprimere : Avarch.
19, 61 : « Siccome avvien ove Nettuno (l'onda
CANTO XLVI
661
Che da le piaghe sue, come da fonte,
Lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, e' ha la Fortuna per la fronte,
Perché levarsi il Saracin non possa, [chi,
L'una man col pugnai gli ha sopra gli oc-
L'altra alla gola, al ventre gli ha i ginoc-
136 [chi.
Come talvolta, ove si cava l'oro
Là tra' Pannoni o ne le mine Ibere,
Se improvisa mina su coloro
Che vi condusse empia avarizia, fere.
Ne restano si oppressi, che può il loro
Spirto a pena, onde uscire, adito avere;
Cosi fu il Saracin non meno oppresso
Dal viucitor, tosto ch'in terra messo.
137
Alla vista de l'elmo gli appresenta
La punta del pugnai ch'avea già tratto;
E che si renda, minacciando, tenta,
E di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
Che di mostrar viltade a un minimo atto,
Si torce e scuote, e per por lui di sotto
Mette ogni suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastiu sotto il feroce alano
Che fissi i denti ne la gola gli abbia,
Molto s'affanna e si dibatte in vano
Con occhi ardenti e con spumose labbia,
E non può uscire al predator di mano,
del mare) imprima Speco aspro e cavo, che
al suo gir s' oppone ».
— 5. per la fronte, per i capelli, che ha
sulla fronte. Cosi ligui-avasi la fortuna da-
gli antich. V. e, xviii, 161, n. 5.
136. 2. Pannoni, l'Ungheria. V. e. xiii, 61,
n. 4. — mine Ib., miniere di Spagna, detta
anticamente Iberia.
— 4. fere, colpisce. Ferire in questo sen-
so si costruì con su o in.
— 8. in terra messo ; in terra fu messo.
Il fu deve rilevarsi dal verso precedente.
138. 1. Mastino è più piccolo e pili debole
del cane Alano.
— 2. fissi, confitti. Cosi nel e. xxvit, 102, 1.
K il lat. flxus-.
— 5. uscir... di mano, scappare, fuggire.
Che vince di vigor, non già di rabbia;
Cosi falla al Pagano ogni pensiero
D'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce e dibatte si, che viene
Ad espedirsi col braccio migliore,
E con la destra man che '1 pugnai tiene,
Che trasse anch'egliin quel contrasto fuo-
Tenta ferir Ruggier sotto le rene. [re,
Ma il giovene s'accorse de l'errore
In che potea cader, per differire
Di far quell'empio Saracin morire.
140
E due e tre volte ne l'orribil fronte.
Alzando, più ch'alzar si possa, il braccio,
Il ferro del pugnai a Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squallide ripe d'Acheronte,
Sciolta dal corpo più freddo che giaccio.
Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa.
Che fu si altiera al mondo e si orgogliosa.
Avverti l'estensione di significato data a
questa espressione.
— 7. falla,riesce invano. Tav. Rot. 1, 128:
« Ma sappiate che allo re molto fallava il
pensiero ».
139. 2. braccio migliore, braccio destro.
V. e. XLi, 89, 5.
— 5. sotto le rene. Non alle reni, perche'
vi era l'armatura del busto, il dorsiere;
ma sotto le reni, dove finiscono le reni, e
dove l'armatura ha le giunture che permet-
tono la flessione del busto e delle gambe e
dan quindi il passo al pugnale.
140. 6. giaccio. V. e. I, 41, n. 1.
— 7. l'alma sdegn. Questo particolare è
tolto dal duello di Turno con Enea, En. 12,
952: «tVitaque cuni gemitu fugit indignata
sub umbras ».
— 8. Che fu ecc. Dante, Inf. 8, 46 ; «Quei
fu al mondo persona orgogliosa ». Se ti
piace di confrontare il duello di Enea e
Turno, di Argante e Tancredi, con questo
dell'Ar. vedrai agevolmente quanto in finez-
za e maestria questo superi quelli
FINIS
ruo BONO MALuri •••
* Questo motto, col quale il Poeta chiuse il suo poema, sembra allusivo alla scarsa
ricompensa, che di tanto monumento gli dava il cardinale Ippolito, il quale, proprio
nel tempo che il Furioso riceveva 1' ultima mano, lesinava all' Ariosto le spese e le
provvisioni.
INDICE
DEI NOMI PKOPRI PIÙ IMPORTANTI
CONTENUTI
NELL' ORLANDO FUEIOSO
Achille, e. 29, 19, e. 33, 28, e. 37, 20, e. 42,
2. — Suoi Mirmidoni, e. 31, 56.
Adone, e. 7, 57,
Adonio, e. 43, 74.
Adria, e. 3, 40.
Africa, bugiarda, e. 29, 18.
Agapito, papa, e. 3, 27.
Agramante. Si prepara all'assedio di Tarigi,
e. 12, 70, e. 14, 67. — Fa la rassegna del
suo esercito, e. 13, 81, e. 14, 11. — Ha uu
esercito ìnnumerabile, e. 14, 99. — Dà l'as-
salto a Parigi, iri, 109. — Assale una porta
di Parigi, e si trova Carlo contro, e. 15, 6.
— Va contro gì' Inglesi, e. 16, 75, e 83. —
Vien abbattuto da Kiualdo, ivi, 84. — Com-
batte di nuovo cou Kiualdo, e. 18, 40. — È
rotto da' Cristiani, e si ritira, ivi, 158. —
Viene assediato nel campo, e. 24, 108, ecc.
— Resta liberato da Rodomonte e da altri
Saraciui sopraggiunti, e. 27, 15, ecc. — As-
sedia di nuovo Carlo in Parigi, ivi. — Cerca
di comporre le differenze insorte fra' suoi
campioni, ma invano, ivi, 44, 08, e 81, ecc.
e. 30, 19, ecc. — Permette che Marfisa si
vendichi di Brunello, e. 27, 94, ecc. — Ri-
ceve in dono Brigliadoro da Ruggiero, e. 30,
75. — Il suo esercito è maltrattato dalle
squadre di Rinaldo, e. 3), 51. — Si ritira
in Arli, ivi, 84. — Cerca riparare i danni
della sconfitta, e. 32, 4. — Tien consiglio per
deliberare circa al ritorno in Africa, e. 38,
37. — Rompe il patto, e. 39, 6. — Vien di-
sfatto da' Cristiani, e abbandonato dai suoi,
ivi, 9 e 66. — Naviga verso l'Africa, ivi, 73.
— Vien battuto in mare da Dudone, ivi, 81
e e. 40, 6. — Si rifugge nell' isola di Lipa-
4usa, ivi, 44. — Manda a disfidare Orlando
e i suoi compagni, ivi, 52, ecc. — Combatte
cou Oliviero, ecc. — Resta ucciso da Orlando,
e. 42, 8.
Agricalte. Co' suoi alla rassegna di Agra-
mante, e. 14, 22. — Battuto da Rinaldo, e.
IG, 81. — Fatto prìgion di Dudoue, e. 40,
71. — Liberato da Ruggiero, e. 41, 6. — Sua
morte, ivi, 23.
Alardo, e. 23, 22, e. 30, 94, e. 3!, 10.
Albertazzo I Estense, e. 3, 26.
Albertazzo li Estense, e. 3, 29.
Alceste, amante di Lidia, e. 34, 16.
Alcina. Sua isola incantata, e. 6, 19. — Sue
bellezze descritte, e. 7, 10, ecc. — Innamora
di sé Ruggiero, ivi, 16. — Sua bruttezza da
Ruggiero scoperta, ivi, 73. — Insegue Rug-
giero, e. 8, 12, e. 10, 48.
Alda Estense, e. 3, 27.
Aldigiero di Chiaramonle. Sue virtù, e. 25,
72 e segueuti, e. 2G, 38.
Aldobrandino Estense, e. 3, 35, ecc.
Aleria. Amante di Guidone, e. 20, 74, SO, 95,
e. 31, 8.
Alessandra. Suoi amori con Elbanio, e. 20,
39, ecc.
Alessandria. Sua origine, e. 20, 58.
Alessandro Magno, che sciolse il nodo
gordiano, e. 19, 74. — Sua fortuna, e. 26,
47. — Invidiò ad Achille la penna d'Omero,
e. 37, 20.
Alfèo. È ucciso da Cloridano, e. 18, 174.
Alfonso I, Duca di Ferrara, vincitor de' Ve-
neziani nel Po, e. 15, 2. — De' Papalini e
degli Spagnuoli, e. 3, 53, e. 14, 3. — Sue
lodi e sue imprese, e. 3, 51, e. 14, 2, e. 40,
41.
Almonio, ministro fedele di Zerbino nel ratto
d'Isabella, e. 13, 17, e. 24, 16.
Alzirdo, re di Tremisene, e. 12, 69, e. 14, 28,
fì64
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
America. Sua scoperta, e. 15, 22.
Amone. Avendo promessa Bradamante. Bua
figlia, a Leone, la nega a Ruggiero. <•. ■14,
36. Si pente, e chiede scusa '• il'jggiero,
pregandolo d'accettarla in ispo»». a 46, 61.
Analardo, e. U, 16.
Anassarete. Punita per la sua crudeltà in
amore, e. 31, 12.
Anchise. Luogo del suo sepolcro, e. 43, 149.
Androfilo, cognato di Costantino, e. 44, 86,
e, 45, 11.
Andronica, donna valorosa di Logistilla, e.
10, 52, e. 15, 11 e seg.
Andropono, sacerdote, e. 14, 124, e. 18, 177.
Anello incantato, e contro gì' incanti, e. 3, 69,
e. 10, 107, e. 11, 3, ecc.
Angelica. Ritornata con Orlando in Ponente,
gli vien tolta da Carlo, e. 1, 7, segg. —
Odio che ha verso Rinaldo, e. 2, 11. — Altre
sue vicende, e. 8, 29, segg., e. IO, 107, IH,
e. 11, 4. — Arriva al palazzo incantato
d'Atlante, e. 12, 25. — Superba per l'anello
riavuto, e. 19, 18. — Impietosita di Medoro,
gli medica la ferita, ivi, 20, ecc. — S' inva-
ghisce di lui, ivi, 26. — Lo sposa, ivi, 33.
— Parte con Medoro, ivi, 40. — Incontra
Orlando pazzo, e. 29, 58. — Ritorna final-
mente nell'India col suo Medoro, e. 30, 16.
Angelo Michele. D'ordine di Dio, cerca il
Silenzio tra' frati, e. 14, 78. — Riconduce
la Discordia al campo Saracino, e. 27, 37.
Anselmo d'Altaripa, e. 23, 4, ecc.
Aquilante. Combatte con Orrilo, e. 15, 67.
— Va in Gerusalemme con Astolfo e Gri-
fone, e. 15, 92. — Cerca Grifone, e. 18, 73.
— Trova Martano con Orrigille, ivi, 77. —
Trova Grifone, ivi, 87. — È abbattuto da
Astolfo, ivi, 118. — Si riconcilia con Mar-
fisa e riconosce Grifone, e. 18, 122. — Va
in Cipro, ivi, 136. — Vien battuto dalla tem-
pesta, ivi, 141, e e. 19, 43. — Approda coi
compagni ad Alessandria, ivi, 54, e. 20, 92.
— Naviga a Marsiglia, ivi, 101. — Va al
castello di Pinabello, ivi, 104 e e. 22, 52. —
Intende da Fiordiligi la pazzia di Orlando,
e. 31, 42.
Arbante. Pretendo Olimpia in isposa, e. 9,
25.
Archidante, e. 14, 16.
Ardenna, selva. Sua fonte, e. 1, 78 e e. 42, 35
e 60. Avventure di Rinaldo in essa, ivi, 45.
Aretusa. Sua fuga in Sicilia, e. 6, 19.
Argalia. Sua ombra apparsa a Ferrati nel
mezzo di un fiume, e. 1, 25.
Argali/a, bestia cavalcata da Berlinghiero, e.
18, 44.
Arganio, e. 14, 18.
Argéo, marito di Gabrina, e. 21, 14.
Argia, moglie di Anselmo giudice, e. 43, 73.
Arimano, duca di Sarmosedia. Alla rassegna
di Rinaldo, e. 10, 81. — È ricevuto in Pa-
rigi assediato, e. 16, 85. — Va contro Ro-
domonte, entrato in Parigi, e. 18, 10.
Ariodante, amante di Ginevra, e. 5, 16, ecc.
e. 8, 5. — Va con Rinaldo in Francia a di-
fesa di Carlo, e. 10, 75. — Sluove contro i
Saracini, e. 16, 55. Sue furie contro Dardi-
nello uccisore di Lurcanio, e. 18, 56.
Armeniaco, conte, e. 33, 22.
Arpie, infeste al Senàpo di Etiopia, e. 33, 107,
119, 125, e. 34, 4, 46.
Artemia, una delle più crudeli donne d'Ales-
sandria, e. 20, 50.
Astolfo. Ritrovato da Ruggiero nell' isola di
Alcina in forma di mirto, e. 6, 27. — Fu
amante di Alcina, ivi, 46, 51. — Ricupera
l'umana forma per opera di Melissa, e. 8,
16. — Si ritrova da Logistilla, e. 10, 64. —
Doni prodigiosi di un corno e di un libro
incantato che da lei ricevo nel partire, e.
15, 13. — Vince Caligorante e Orrilo, ivi, 38
segg. — Va con Sansonetto alla giostra in
Damasco, e. 18, 96, e. 19, 43. — Approda
coi compagni ad Alessandria, e. 19, 54. —
Riconosce in quella città il suo cugino Gui-
don Selvaggio, e. 20, 65. — Mette in fuga
col corno le donno di quella città, ivi, 87.
e. 22, 4. — Suoi viaggi a Londra e in Fran-
cip, ivi, 7, 10. — Giunge al palazzo incan-
tato di Atlante, ivi, 13. — Scioglie l'incanto
e acquista l' Ippogrifo, ivi, 23, ecc. — Con-
segna Rabicano e la lancia d'oro a Brada-
mante, e. 23, 11. — Va in Etiopia sull' Ip-
pogrifo, e. 33, 96. — Arriva alla capitale
della Nubia, ivi, 101, — Caccia col corno le
Arpie che infestano la mensa al Senàpo, ivi,
119, e. 34, 4. — Trova la porta dall' Inferno,
ivi, 4. — Sente dall'ombra di Lidia lo scia-
gure di lei, ivi, 7. — Chiude le Arpie in una
spelonca, ivi, 46. — Ascende nel Paradiso
terrestre, ivi, 48. — Va nella Luna, ivi, 68.
— Vede colà cose mirabili, e poi ne parie
col senno di Orlando in un'ampolla, e. 38,
23. — Restituisce la vista al Senàpo, ivi, 24.
— Imprigiona in un Otre il vento Noto, ivi,
29. — Cangia i sassi in cavalli, ivi, 33. —
Le frondi in navi, e. 39, 26. — Ritorna il
senno ad Orlando, ivi, 57. — Espugna Bi-
serta, e. 40, 14. — Rimanda i Nubi al loro
paese, e torna in Francia, e. 44, 23.
Astolfo, re do' Longobardi. Sua novella, e.
28, 4. — Domato da Carlo, e. 33, 16.
Atlante, incantatore. Ruba la donna di Pi-
nabello, e. 2, 38. Suo castello incantato de-
scritto, e. 2, 41, ecc., e. 3, 67, e. 4, 37, ecc.
— Combatte con Gradasso, e. 2, 48. — Suo
scudo incantato, ivi, 55. — Ruba tutte le
donne belle che ritrova, e, 4, 6. — Resta
vinto da Bradamante, ivi, 25. — Disfà il suo
castello, ivi, 38. — Fa capitar Ruggiero ad
Alcina, e. 7, 44. — Gli si fa vedere in sem-
bianza di Bradamante, e. 11, 19. — Si mo-
stra nell'aspetto di Angelica ad Orlando,
e lo conduce nel suo palazzo incantato, e.
12, 4, ecc. — Suo palazzo da Astolfo di-
strutto, e. 22, 23. — Morto, 8C0j)r6 dal suo
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
665
avello a Ruggiero e a Marfisa che sono fra-
telli, .e. 36, 59.
Azzo. Estensi di questo nome menzionati e
lodati, e. 3, 26, 29, 32, 39.
B
Baiardo, cavallo di Rinaldo. Fugge dal suo
padrone, e. 1, 12. — È ritrovato da esso e
fugge di nuovo, ivi, 32. — Ritrovato da An-
gelica, si lascia prendere da lei, ivi, 72 e
seg. — Viene in mano di Sacripante, ivi, 76.
— Torna in potere di Rinaldo, e. 2, 19. —
Combatte con un uccello mostruoso, e. 33,
8i e seg.
Balastro. Alla rassegna d'Agramante, e. 14,
22. — Va contro Rinaldo e Zerbino con
Agramante, e. 16, 83. — Resta ucciso da
Lurcauio, e. 18, 45. — Veduto da Ruggiero
fra i prigioni di Dudone, e. 40, 73. — Libe-
rato da Ruggiero, e. 41, 7. — Sua morte,
ivi, 22.
Balinfronte, e. 14, 23.
Balinverno, e. 14, 15.
Balisarda, spada di Ruggiero, e. 7, 76. — Sua
finezza, e. 26, 21, e. 41, 75, e. 46, 120. —
Capitata in mano di Orlando, e. 41, 26. —
È restituita a Ruggiero, e. 44, 16.
Baliverzo, alla rassegna d'Agramante, e. 14,
24. — Assale una porta di Parigi con Agra-
mante, e. 15, 6. — Va col medesimo contro
gP Inglesi, e. 16, 75.
Balugante, e. 14, 12. — Incoraggia i Sara-
Cini, e. 18, 42.
Bambirago. Va con Agramante contro gì' In-
glesi, e. 16, 75. Prigione di Dudone, e. 40,
71. — Liberato da Ruggero, e. 41, 6. — Sua
morte, ivi, 22.
Bardino, balio di Brandimavte, e. 39, 41. —
Suo pianto per la morte di Brandimarto, e.
43, 168.
Baricondo, alla rassegna d' Agramante, e.
14, 13. — Va contro gl'Inglesi sotto Parigi,
e. 16, 67.
Batoldo, cavallo di Brandimarte, e. 81, 67. '
Bavarte, e. I4, 16.
Beatrice, Estense, Beata, e. 13, 64.
Beatrice, Estense, moglie di Lodovico Moro,
e. 13, 62.
Beatrice, madre di Bradamaute, e. 44, 71..
— Sua ambizione, e. 46, 72.
Bendedei (Timoteo), e. 42, 92.
Bentivogli, entrati in Bologna, e. 33, 39.
Berengario. Sue imprese, e. 3, 26, e. 33, 19.
Berlinghiero. Va contro Rodomonte, e. 17,
16, e. 18, 8. — Abbattuto da Ferrali, e. 18,
44.
Bertolagi, maganzese. Tratta con Lanfusa
di comperar Malagigi e Viviano, e. 25, 74.
— Resta ucciso da Aldigiero e Ricciardetto,
e. 26, 13.
Bertoldo, Estense, e. 3, 29,
Bianca, fata. e. 15, 72. — Incanta l'armi a
Grifone, e. 17, 70.
Bianca, Estense, maritata a IT. Sanseverino,
e. 46, 4, 8.
Bireno, amante di Olimpia, e. 9, 23. — Li-
berato di prigione da Orlando, e restituito
ad Olimpia, ivi, 84. — Sua ingratitudine
verso di lei, e. 10, 4, ecc. — Perde lo Stato,
ed' è ucciso da Oberto, e. 11, 79.
Biserta, minacciata dai Nubi, e. 38, 35. — As-
salita e difesa, e. 40, 14, ecc. — Presa, ivi,
32.
Borbone (Carlo di). Sue imprese accennate,
e. 33, 44.
Borgia (Cesare). Sue imprese, e. 33, 87.
Borgia (Lucrezia), e. 13, 69.
Borso, Estense, e. 3, 45. — Suol tempi lieti,
e. 11, 120.
Bradamante. Combatte con Sacripante, e.
1, 60. — Ama e cerca Ruggiero, e. 2, 32.
— Incontra Pinabello, ivi, 34. — Vede le
ombre de' suoi discendenti, e. 3, 10, ecc. —
S'accompagna con Brunello, e. 4, 9, — Com-
batte con Atlante, ivi, 16. — Ritrova Rug-
giero nel castello di Atlante, e lo mette in
libertà, ivi, 49. — Lo perde di nuovo, e ri-
tion seco Frontino, ivi, 48. — Cerca Rug-
giero, e. 7, 34. — IjO cerca nel palazzo di
Atlante, e vi si perde, e. 13, 45, ecc. —
Fugge dal detto palazzo al suono del corno
di Astolfo, e. 22, 20. — Trova Ruggiero o
va seco verso Vallombrosa, ivi, 36. — Ode
il periglio di Ricciardetto, e risolve di soc-
correrlo, ivi, 38. — Trova Pinabello al suo
castello, e lo insegue, ivi, 73, ecc. — Lo
uccide, ivi, 96, e. 23, 4. — Perde Ruggiero,
e. 22, 98, — Riceve da Astolfo Rabicano e
la lancia incantata, e. 23, li, e. 32, 48. —
Si ritrova a caso a Montalbano, e. 23, 20.
— Rimanda Frontino a Ruggero, ivi, 26. —
È similissima a Ricciardetto suo fratello nel
sembiante, e. 25, 9 e 20. — Accende di sé
Fiordispina, ivi, 28. — Riceve da Ipjialca
novella del suo Ruggiero, e. 30, 76, ecc. —
Ila di lui gelosia per Marfisa, ivi, 87, e. 31,
6. — Lo attende con impazienza, e. 32, 10.
— Incontra i tre Re collo scudo d'oro, ivi,
50, ecc. — Va alla rócca di Tristano, ivi,
69. — Suo sogno e. 33, 60. — Atterra di
nuovo i tre Re, ivi, 69, e. 35, 31. — Va in
soccorso di Fiordiligi, ivi, 38. — Getta di
sella Rodomonte colla lancia incantata, ivi,
48. — Manda Frontino a Ruggiero, e lo sfida
per mezzo di Fiordiligi, ivi, 59. — Abbatte
colla lancia incantata Serpentino, Grando-
nio e Ferrali, ecc. ivi, 67. — Fa lo stesso
di Marfisa per tre volte, e. 36, 20. — Incon-
tra Ruggiero, e vuole ucciderlo, ma si trat-
tiene, ivi, 31. — Sfoga la sua collera contro
i Mori, ivi, 38. — Contende con Marfisa, ivi,
46. — Si rappacifica, ivi, 68. — Punisce
Marganorre, e. 37, 101. — Va con Marfisa
al campo di Carlo, e. 38, 8. — Vien prò-
666
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
messa dal padre a Beone, figlio dell' Impe-
rator greco, e. 44, 12. — Suol nuovi dubbi
sulla fede di Ruggiero, e. 45, 28, ecc. —
Combatte con Ruggiero, creduto Leone, e
resta vinta, ivi, 70. — Finalmente lo sposa
e. 4G, 73.
Brandimarte, grande amico d'Orlando, e.
8, 86. — Va in traccia di lui, ivi, 88. — Ama
Fiordiligi, ivi, 89. — Va al palazzo d'Atlan-
te, e. 12, 11. — Fugge da quello al suono
del corno d'Astolfo, e. 22, 20. ~ Ritrova la
sua Fiordiligi, e. 31, 60. — Capita con essa
al ponto di Rodomonte, e combatte con lui,
ivi, 65. — Rimane suo prigione, ivi, 75. —
È liberato da Astolfo in Africa, e. 39, 33.
— Ritrova nuovamente Fiordiligi, e. 39, 38.
— È il primo a salir sulle mura di Biserta
nell'assalto, e. 40, 23, ecc. — Combatte con
Agramante in Lipadusa, e. 41, 46 e 68. —
Vien ferito a morte da Gradasso, ivi, 100,
ecc. — Sua morte, e. 42, 12. — Funerali,
e. 43, 168 e seg.
Branzardo. Difende Biserta, e. 3G, 35, e. 39,
19. — Si uccide, e. 40, 35.
B igliadoro, cavallo dì Orlando, e. 8, 84. —
Non ha paragone, fuorché Bajardo, e. 9, 60.
Capita in mano di Mandricardo, e. 24, 115.
— Ruggiero lo dona ad Agramaute, e. 30,
75, ecc.
Bruna, fata. Conduce Grifone ed Aquilaute
centra Orrilo, e. 15, 72.
Brunello. Sua figura, e. 3, 72. — Vien legato
da Bradamante, che gli toglie l'anello, e, 4,
14. — Va alla rassegua di Agramante, e. 14,
19. — Suoi furti, e. 27, 72 e 84. — Ricono-
sciuto da Marfisa, ivi, 93. — Vien dalla me-
desima restituito ad Agramaute, e. 32, 7.
Vien fatto impiccare dal re Agramante ,
l'i'j, 8.
Bucifaro. Difende Biserta contro Astolfo, e.
38, 35, e. 39, 19. — Rimane suo prigioniero,
ivi, 21. — Viene cambiato con Dudone, ivi,
24. — È ucciso da Oliviero, e. 40, 35.
Bulgari. Eleggono Ruggiero in loro Re, e. 44,
97, e. 46, 48 e 69, ecc.
Buraldo, e. 14, 18.
C
Cairo. Sua grande popolazione, e. 15, 63.
Calamidoro da Barcellona, e. 16, 63.
Calcagnini (Celio), lodato, e. 42, 90.
Calidonia, selva, e. 4j 51.
Caligorante, gigante. Sue crudeltà, e. 15,
43, ecc. — Resta preso nella rote propria,
ii-i, 53. — Vien donato da Astolfo a Sanso-
netto in Gerusalemme, ivi, 97.
Cantelmo (Ercole), decapitato dagli Schiavo-
ni, e. 36, 7.
Carlo d'Angiò. Sue imprese accennate, e.
33, 20.
Carlo Magno. Manda Rinaldo in Inghilterra
a chiedere soccorso, e. 2, 25. — Suoi prov-
vedimenti per sostenere l'assalto di Parigi,
e. 14, 66 e 103, ecc. — Sua preghiera a Dio,
ivi, 69, ecc. — Va contro Rodomonte, e. 16,
89, ecc. e. 17, 6. — Lo costringe a ritirarsi,
ivi, 13, e. 18, 8, ecc. — Assale Marsilio, ivi,
41 e 155. — Assedia i Saracini e. 24, 108, ecc.
— Conviene con Agramante di rimettere la
somma della guerra in due combattenti,
e. 38, 65.
Carlo V Imperatore, e. 15, 23.
Cassandra. Padiglione da lei trapunto, e.
46, 77, ecc.
Cavallo (Marco) poeta, e. 42, 91.
Childiberto. Sua infelice discesa in Italia,
accennata, e. 33, 15.
Cigno, figlio di Stenelo, mutato in uccello
dello stesso suo nome, e. 3, 34. — Fu invul-
nerabile, e. 29, 19,
Cilandro, figlio di Marganorre. Sua cortesia,
e. 37, 46. — Condotto a morte dall'amore,
ivi, 48.
Cimosco. Chiede Olimpia per isposa di Ar-
bante suo figlio, e, 9, 25. — Suo sdegno per
la ripulsa avutane, ivi, 27. — Artiglierie da
lui usate, ivi, 28, 74, 88, ecc. — Il suo eser-
cito è disfatto da Orlando, ivi, 70. — Rima-
ne ucciso da Orlando, ivi, 80.
Cipro. Sua aria maligna presso a Famagosta,
e. 18^ 136.
Clodione. Sua donua, e. 32, 83. — Scortesia
da lui usata a Tristano, ivi, — Ne vien ca-
stigato dal medesimo, jdj, 86. — Legge im-
posta da Tristano alla sua rócca, ivi, 93.
Clodoveo. Sue imprese, e. 33, 14.
Cloridano. Suo amore verso Dardinello, e.
18, 165. — Sua amicizia con Medoro, ivi,
171, e. 19, 4. — Va di notte nel campo di
Carlo, e uccide Alféo e altri, e. 18, 175. —
Combatte solo co' soldati di Zerbino e resta
morto, e. 19, 15.
Colombo (Cristoforo). Sua scoperta dell'Ame-
rica, indicata, e. 15, 22.
Colonna (Fabrizio), Preso da Alfonso Duca
di Ferrara, e. 14, 4.
Colonna (Prospero). Sue imprese e sue lodi,
e. 15, 28, e. 33, 49.
Colonna (Vittoria). Sue lodi, e. 37, 16 e
seg.
Consalvo (Ferrante). Sue imprese, e. 33, 35.
Corebo di Bilbao, uno de' rapitori d'Isabella,
e. 13, 17. — La difende dagl'insulti di Odo-
rico. — Prende Odorico, e Io conduce a Zer-
bino, e. 24, 16.
Corno incantato, dato da Logistilla ad Astolfo,
e. 15, 14, e. 20, 87, e. 22, 20, e. 33, 119, e.
34, 4.
Cortese (Ernando), o. 15, 27,
Corvino (Mattia), e. 45, 3,
Costantino imperatore, e. 34, 80, — Accam-
pato sotto Belgrado, e. 41, 79. — Si ritira,
e. 45, 11.
Costanza, città di Cipro. Suo stagno e clima,
e. 18, 136.
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
667
I)
Dalinda. Liberata dalle maul de' sicari da
Rinaldo, e. 4, 69. — Suo amore verso Poli-
nesso, e. 5, 7 e 47. — Convertita si rende
monaca in Dazia, e. 6, 16.
Damasco, città descritta, e. 17, 18, ecc. — Feste
e giostre ivi fatte dal re Norandino, ivi, 20
e. 18, 95 e 132.
Dardìnello. Va alla rassegna d'Agraraaute
e, 14, 87. — Muove contro gli Scozzesi sotto
Parigi, e. 16, 54 e 83. Suo valore contro :
nemici, e. 18, 47. — Viene ucciso da Rinaldo
ivi, 152. — Suo cadavere, vedi Cloridano
Davalo (Alfonso), Marchese del Vasto, lodato
e. 15, 28, e. 33, 24 e 47.
Davalo (Francesco) di Pescara. Lodi di Vit
toria sua moglie, e. 37, 16.
Diana, Estense, maritata a U. Contrari, e.
42, 90, e. 46, 4, 8.
Dicilla. Mandata da Logistilla in soccorso di
Ruggiero, 10, 52.
Doralice, destinata sposa a Rodomonte, e.
14, 40. — Vien rapita da Mandricardo, ivi,
53. — Si trova presente alla zuffa di Man-
dricardo con Orlando, e. 23, 70 e seg. —
Andando con Mandricardo, scontra Gabrina
al cui cavallo levano la briglia, ecc. ivi
94. — Ad istanza d'Isabella induce Mandri
cardo a far la pace con Zerbino, e. 24, 72
— Ricompone Rodomonte con Mandricardo
ivi. 111. — Portata via da un cavallo inde
nioniato, e. 26, 128, e. 27, 5. — Si dona a
Mandricardo, e rifiuta Rodomonte, ivi, 107.
— Procura di pacificar Mandricardo con
Ruggiero, ma indarno, e. 30, 31.
Doria (Andrea), lodato, e. 15, 30.
Doriconte, e. 14, 16.
Dorifebo, e. 14, li.
Dorilone, e. 14, 22.
Drusilla. Tolta al suo sposo da Tauacro, e.
37, 55. — Avvelena Tanacro, ivi, 69. —
Muore di veleno, ivi, 75.
Dudone. Capitato con Rinaldo ed Astolfo nel
paese d'Alcina, e. 6, 34 e 41. — Fatto pri-
gioniero da Rodomonte, e. 39, 22, ecc. —
Cambiato da Astolfo con Bucifaro, ivi, 23,
ecc. — Incontra Agramante con la sua ar-
mata navale, ivi, 78. — Combatte con Rug-
giero, e. 40, 75. — Fa pace col medesimo,
e. 41, 6.
Durindana, spada d' Orlando, e. 9, 3. — Sua
finezza, ivi, 70, e. 12, 79. — Pretesa da Man-
dricardo, e. 14, 43, e. 23, 78, e. 24, 58. —
Gettata per la foresta da Orlando impazzito,
ivi, 50. — Raccolta da Zerbino, ivi, 57. —
Tolta da Mandricardo, ivi, 58. — Passa in
mano di Gradasso per la morte di Mandri-
cardo, e. 30, 74.
E
Ebuda, isola spopolata dai mostri marini, e sua
favola, e. 8, 51. — I suoi abitatori rapiscono
le donne altrui per darle a-divorare all'Orca,
e. 9, 12. — Detta Isola del pianto, e. 10, 93.
— Vana religione de' suoi abitatori, e. 11,
46, vedi Orca.
Ellbanìo. Capita nella Terra delle donne orni
cide, e. 20, 36.
Eleonora d'Aragona, moglie d'Ercole Duca
di Ferrara, e. 13, 68.
Elia. Trovato da Astolfo nel Paradiso terre-
stre, e. 34, 59.
Enoc. Trovato nel Paradiso terrestre da Astol
fo, e. 34, 59.
Enrico, Duca di Chiarenza. Si trova alla mo
stra che si fa sul Tamigi, e. 10, 68. — As-
sale i Mori, e. 16, 67.
Ercole I Estense, Duca di Ferrara, padre
d'Ippolito Cardinale, e. 1, 3. — Sue lodi,
e. 3, 46.
Ercole II Estense, Duca di Ferrara, lodato,
e. 13, 71.
Eremita descritto, e. 2, 12.
Eremita che persuade Astolfo a fuggir da Ca-
ligorante, e. 15, 42.
Eremita. Conforta Isabella, e. 24, 87. — La
conduce ad un monistero, ivi, 92, e. 28, 9G.
— Vien maltrattato ed ucciso da Rodomonte,
e. 29, 5.
Eremita che raccoglie Ruggiero naufrago so-
pra uno scoglio, e. 41, 52. — Prodigi da lui
operati, e. 43, 187, ecc. — Persuade Ri-
naldo a promettere Bradamante a Ruggiero,
e. 44, 9.
Erifila, gigantessa dell' isola d'Alcina e. 6,
78. — Combatte con Ruggiero, e resta vinta,
e. 7, 6, ecc.
Ermonide di Olanda. Si batto con Zerbino
per togliergli Gabrina, e. 21, 6. — Racconta
a Zerbino le scelleraggini di Gabrina, ivi,
12, ecc.
Este. Sua situazione, e. 41 , 63. — Sua etimo-
logia, ivi, 65.
Estense famiglia. Suo splendore, e. 3, 2, e. 44,
10. — Sua origine, e. 3, 16 e seg., e. 41, 63.
— Personaggi di essa mentovati e lodati,
e. 3, 24 e seg. — Donne di essa lodate, ivi,
27 e 29, e. 13, 66, ecc.
Ezzelino. Sconfitto da Azze I Estense, e. 3,
32. — Mandato da Dio a castigo degli uo-
mini, e. 17, 3.
Falanto, figlio di Clitennestra. Sua novella,
e. 20, 1.
Falsirone, e. 14, 12.
Famagosta. Suo clima, e. 18, 136.
Farufino (Alessandro). Sue imprese descritte,
e. 36, 6.
Farurante. Conduce i suoi alla rassegna dì
Agramante, e. 14, 21. — Va eontra gl'In-
glesi sotto Parigi, e. 16, 75. — È prigioniero
di Dudone, e. 40, 71. — Vien liberato da
Ruggiero, e. 41, 6. — Sua morte, ivi, 22.
668
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
Fate. Loro immortalità, e. 10, 56.
Ferrara. In potere d'Azzo Estense, e. 3, 34. —
Descritta e lodata, e. 35, 6, e. 43, 14 e 32.
Ferraù. Combatte con Rinaldo in difesa di
Angelica, e. 1, 15. — Cerca l'elmo cadutogli
nel fiume, ivi, 24. — SI perde nel palazzo
d'Atlante, e. 12, 11. — Si batte con Orlando,
ivi, 4C. — Va co' suoi alla rassegna d'Agra-
maute, e. 14, 15. — Dà l'assalto agl'Inglesi
sotto Parigi, e. 16, 71. — Incoraggia i Sa-
racini e. 18, 42. — Vien gettato di sella da
Bradamante, e. 35, 79.
Fieramente. Va alla rassegna presso Londra,
e. 10, 78. — Assale i Mori sotto Parigi, e fa
prigioniero FoUiooue, e. 16, 69.
Filandro, fratello di Ermonide. Sua origine,
e. 21, 13. — Sua amicizia con Argeo,c. 21,
14. — Schiva l'amor di Gabriua, moglie di
Argéo, e. 21, 16.
Finadurro. Comparisce alla rassegna d'Agra-
mante, e. 14, 22.. — È ucciso da Zerbino,
e. 13, 45.
Fiordiligi, amante di Brandimarte. Lo cerca
fuor di Parigi, e. 8, 89, e. 24, 54 e 74. —
Arriva al ponte di Rodomonte, ivi, 74, e. 29,
43. — Con Grifone ed Aquilante incontrasi
in Rinaldo ed altri, e. 31, 37, ecc. — Trova
Brandimarte in Africa, e. 39, 38. — Suoi
timori intorno all'esito della pugna in Li-
padusa, e. 41, 32. — Suo dolore, udita la
morte di Brandimarte, e. 43, 157. — Muore
accanto al medesimo, ivi, 183.
Fiordispina. Sua novella, e. 25, 28 e seg.
Follicene d'Almeria. Comparisce alla ras-
segna d'Agramante, e. 14, 16. — Va contro
gl'Inglesi sotto Parigi, e. 16, 67. — Rimane
prigioniero di Fieraraonte, ivi, 69.
Folvo. Fatto prigione nella presa di Biserta,
e. 40, 35.
Francesco I re di Francia. Sue lodi, e. 26,
35 e 43, e. 33, 42. — Sua {jrigionia accen-
nata, ivi, 53.
Francesi. Danni da essi sofferti nella guerra
contro i Saracini, e. 14, 1. — Loro guerre
in Italia dipinto nella sala della rócca di
Tristano, e. 33, 6, ecc.
Frenesia, donna di Logistilla, e. 10, 52.
Frontino, cavallo di Ruggiero, e. 4, 46. — Ri-
mane presso Bradamante, ivi, 48. — Resti-
tuito da Bradamante a Ruggiero, e. 23, 26.
— Suo primiero padrone, e. 27, 71. — Passato
in mano di Brandimarte, e. 41, 29. — .Sua de-
strezza e valore, ivi, 80. — Sue lodi, e. 45, 92.
Fulgoso (Federico). Sua obbiezione all'Ario-
sto, e. 42, 20.
Fuaherta, spada di Rinaldo, e. 2, 10. — Sua
finezza, e. 16, 49.
G
Gabrina. Trovata da Orlando nella spelonca
de' malandrini, e. 12, 92. — Fugge vedendo
i malandrini appesi, e. 13, 42. — Incontra
Marfisa, e. 20, 106. — Sue bruttezze, ti-«,
116 e 120, e. 23, 94. — Consegnata da Mar-
fisa a Zerbino, e. 20, 128. — Sue iniquità
raccontate da Ermonide d'Olanda, e. 21, 12
e seg. — Ruba alcune spoglie dal cadavero
di Pinabello, e. 23, 41. — Calunnia Zerbino
come uccisore di Pinabello, ivi, 48. — Fugge,
dopo liberato Zerbino e s' incontra in Man-
dricardo e Doralice, ivi, 92. — Le vien tolta
da essi la briglia al cavallo, ivi, 94. — Ri-
torna in potere di Zerbino, e. 84, 35. — Re-
sta impiccata per mano di Odorico, ivi, 45.
Galerana, e. 43, 184.
Gano e i suoi parenti nemici di Bradamante
e del suo parentado, e. 46, 67.
Ginevra. Sua novella, e. 4, 57, e. 5, 3, segg.,
e. 6, 15, ecc.
Giocondo. Sua novella, e. 28, 3-74.
Giovanni santo Evangelista. Accoglie Astolfo
nel terrestre Paradiso, e. 34, 54. — Lo con-
duce nel cerchio della Luna, ivi, 68. — Lo
istruisce di varie cose e lo licenzia, e. 38, 24.
Giove A.ninione, adorato dai Garamanti, e.
29, 59.
Giulio II pontefice. Suo esercito rotto dal
Duca Alfonso di Ferrara, e. 3, 53, e. 14, 3.
— Sua lega contro i Veneziani, e. 33, 38.
Gonzaga (Federico), duca di Mantova. Sue
imprese accennate, e. 33, 45.
Gonzaga (Isabella), moglie di Francesco duca
di Mantova. Sue lodi, e. 13, 59.
Gonzaga (Isabella), moglie di Luigi detto
Rodomonte, lodata, e. 37, 9.
Gonzaga (Luigi). Due di questo nome lodati,
e. 37, 8.
Gradasso. Si ritrova al castello di Atlante,
e. 2, 45, e. 4, 40. ^ Combatte con Atlante,
e. 48. — È veduto nel palazzo del medesimo,
e. 12, 11. — Libera Lucina dall'Orco, e. 17,
■ 62. — Fugge dal palazzo d'Atlante al suono
del corno di Astolfo, e. 22, 20. — Va con
Sacripante in soccorso di Agramante, e, 27,
14. — Muove lite a Mandricardo per aver
Durindana, ivi, 54. — Viene estratto a sorte
per difender le suo ragioni Ruggiero, e. 30,
24, ecc. — Ottiene Durindana per la vitto-
ria di Ruggiero sopra Mandricardo, ivi, 74.
— Combatte con Rinaldo per conservar Du-
rindana, ed ottener Baiardo, e. 31, 95, e. 33,
15. — Trova Baiardo a caso, e lo prende,
e. 33, 93. — Si trova in Lipaduaa con Agra-
mante, e. 40, 46. — Suo duello con Orlando,
e. 41, 46 e 68. — Uccide Brandimarte, ivi,
101. — Resta morto per mano di Orlando,
e. 42, 11, e. 43, 151.
Grandonio. Conduce gli Algarbi alla rasse-
gna di Agramante, e. 14, 12. — Incoraggia
i Saracini, e. 18, 42. — Gettato in terra da
Bradamante, e. 35, 71.
Gregorio V Papa, liberato da Ugo Estense,
e. 3, 27.
Grifone. Combatte con Orrilo, e. 15, 67. —
Intende male nuove di Orrigille , da lui
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
669
amata, ivi, 100. — La trova con Mattano,
e. 16, 6. — Crede alle finzioni di Orrigille,
ivi, 12, e. 17, 17. — Sue armi fatate, ivi, 70.
Va alla gioatra con Martano, ivi, 91. ^
Questi gli rubano l'armi, ivi, 110. — Viene
condotto ignomiuiosamente per la città, ivi,
131. — Sciolto, ripiglia 1' armi e fa strage
del popolo, ivi, 135, e. 18, 3 e 59. — È ri-
sarcito dal re Norandino con molti onori,
ivi, 64 e 95. — Approda in Alessandria,
battuto dalla tempesta, e 19, 54. — Fugge
di là al suono del corno d'Astolfo, e. 20, 92.
— Giunge al castello di Pinabello, ivi, 104,
e. 22, 52. — Rimane vinto dallo splendore
dello scudo di Ruggiero, ivi, 85.
Grotta di Merlino descritta, e. 2, 70, e. 3, 6.
Guelfo. Due soggetti di questo nome della
Casa Estense, e. 3, 32.
Gtiglielmo di Burnicb. Ucciso da Dardinello,
C. 18, 52.
Guicciardo. Parte da Montalbano con Ri-
naldo, e. 30, 94. — Vien battuto da Guidon
Selvaggio, e. 31, 11.
Guidon Selvaggio. Ritrovato fra le fem-
mine di Alessandria, e. 19, 78. — Racconta
i suoi casi, e. 20, 5. — Fugge da Alessan-
dria al suon del corno d'Astolfo, ivi, 92. —
Va al castello di Pinabello, ivi, 104, e. 22,
52. — Resta vinto dallo splendore dello scudo
dì Ruggiero, ivi, 83. — Getta a terra Rie
ciardetto ed altri, e. 31, 8. — Combatte con
Rinaldo, ivi, 13.
Iacopo della Marca, e. 33, 23.
Ippalca, confidente di Bradamante, e. 23, 28.
— Va in cerca di Ruggiero, ivi. Sì e 33. —
Trova Ruggiero alla fonte di Merlino, e. 26,
54. — Ritorna a Bradamante, ivi, 89. —
Consegna a Bradamante una lettera di Rug-
giero, e. 30, 78.
Jppogri/o. Usato da Atlante, e. 2, 37, ecc., e. 4,
4, ecc. 0. 18. — Preso da Ruggiero, ivi, 44,
e. 6, 16. — Per opera di Logistilla viene
usato al freno, e. 10, 66. — Ritorna con
Ruggiero in Ponente, ivi, 68. — Fugge dalle
mani di Ruggiero, e. 11, 13. — Trovato da
Astolfo nel palazzo di Atlante, e da luì ado.
perato, e. 22, 24. — Porta Astolfo in Etio-
pia, e. 33, 96. — Indi in Europa, e. 44, 23.
— Vien posto in libertà, ivi, 24.
Ippolito Estense Cardinale, nominato e lo-
dato, e. 1, 3, e. 3, 56, e. 7,, 62, e. 35, 4, e.
36, 2, e. 40, 1 e 4, e. 4G, 85.
IroldO. Trovato nel castello d' Atlante, e. 4,
40. — Fugge al suono del corno d'Astolfo,
e. 22, 20.
Isabella Estense, moglie di Francesco Gon-
zaga, dì Mantova, lodata, e. 13, 59.
Isabella. Trovata da Orlando nella grotta dei
malandrini, e. 12, 91. — Racconta al mede-
simo le sue sciagure, e. 13, 2. — Ritrova
Zerbino, e. 23, 67. — Incontra Odorico pro-
so e legato, e. 24, 16. — Induce Doralice
a trattar la pace tra Mandricardo e Zerbino,
e. 21, 72. — Vede morirsi Zerbino in braccio,
ivi, 85. — Capita in mano a Rodomonte, ivi,
93, e. 28, 95, e. 29, 3.
Isoliero, capitano de' Navarresi, e. 14, 11. —
Salva Brunello dalla forca, ivi, 20. — Muore
in battaglia, e. 16, 54.
Isotta, amata da Tristano, e. 32, 89.
Italia, travagliata dagli stranieri, e. 17, 76.
Lamirante, e. 14, 16.
Langhirano, e 14, 16.
Largalifa, e. 14, 16.
Latino (Fausto), confideale d'Astolfo re de'
Longobardi, e. 28, 6.
Leone, figlio dì Costantìuo. Promesso sposo
a Bradamante, e. 44, 12. — Assalta Belgra-
do, ivi, 79. — Usa cortesia a Ruggiero suo
nemico, ivi, 91, e. 45, 41. — Ottiene Bra-
damante in isposa per mezzo di Ruggiero,
ivi, 61. — La cede a Ruggiero, e. 46, 39.
Leone X Pontefice. Esortato dal Poeta a d'-
fendere l' Italia, e. 17, 79.
Leonello Estense, Marchese di Ferrara, lo-
dato, e. 3, 45.
Leonetto, Duca di Lincastro, e. 10, 77. —
Assale l'esercito dì Spagna sotto Parigi, e.
16, 66.
Libanio, e. u, 21.
Lidia. Sua ombra trovata da Astolfo alla por-
ta dell'Inferno, e. 34, 7 e segg.
Lipadusa, isola descrìtta, e. 40, 44 e 55, e. 42,
20.
Lodovico il Moro, e. 40, 41.
Lodovico XII Re di Francia. Sua presa di
Milano, ecc., e. 33, 34. — Assunto al trono,
e. 45, 2.
Logistilla, donna casta, sorella di Alcina,
e. 6, 43. — Suo regno, e. 8, 19. — Suoi pre-
gi, e. 10, 43. — Vìnce Alcina, e riacquista
lo Stato, ivi, 53. — Accoglie Ruggiero, e
gì' insegna a reggere l'Ippogrìfo, ivi, 67. —
Istruisce Astolfo nel partirsi da lei, e. 15, 10.
Lucina, sposa di Norandino, e. 17, 26 e segg.
Luigi di Borgogna. Sua discesa in Italia ac-
cennata, e. 33, 18.
Luna. Suoi paesi descritti, e. 31, 70.
Lurcanio. Accusa Ginevra al padre, e. 4, 58,
e. 5, 63. — Alla rassegna in Inghilterra, e.
10, 86. — Si unisce con Zerbino, e. 16, 64
e 78, e. 18, 45. — Viene ucciso da Dardi-
nello, ivi, 55.
M
Madarasso, e. 14, 12.
Malabuferso. Mena le sue squadre alla ras-
segna d'Agramante, e. 14, 22. — Assale una
portA di Parigi, e. 15, 7.
670
INDICE DEI NOMI PEOPRI PIÙ IMPORTANTI
Malagigi, prigioniero di Lanfusa, e. 25, 74.
— Liberato da Marfisa e dagli altri ch'erano
con lei, e. 26, 10. — Manda un demonio iu
corpo al ronzino di Doralice, ivi, 128, e. 27,
2. — Parte con Rinaldo da Montalbano, e
va verso Parigi, e. 30, 94. — Credesì che
soccorresae Carlo nella battaglia per via
d'incanti, e. 31, 86. — Racconta a Rinaldo
i casi di Angelica, e. 42, 30.
Malagur, e. U, 16.
Malgarino. In mostra co' suoi, e. 14, 15.
Malzarise, e. 14, 15.
Mandricardo. Va contro Orlando per ven-
dicare Alzirdo e Manilardo, e. 14, 32, ecc.
— Non porta spada per aver giurato di to-
gliere Durindana ad Orlando, ivi, 43, e. 23,
78. — Innamorato di Doralice, e. 14, 53. —
Con Gradasso libera Lucina dall'Orco, e. 17,
62. — Trova Orlando, e combatte seco, e.
23, 70. — Combatte con Zerbino, e lo uccide,
e. 24, 60, ecc. — Si batte con Rodomonte,
ivi, 98. — Combatte con Viviano, Malagigi,
Aldigioro, Ricciardetto e Marfisa, e. 26, 71,
ecc. — Sfida Ruggiero per levargli l'insegna,
ti-'i, 98. — Corre dietro a Doralice portata
dal cavallo indemoniato, ivi, 121. — Giunto
all'esercito di Agramante assediato, fa stra-
ge de' Cristiani, e. 27, 18. — Rinnova le sue
contese con Rodomonte e Ruggiero, ivi, 40.
— Combatte con Ruggiero, e. 30, 3t. — Re-
sta morto, ivi, 64.
Manilardo, Re di Norizia. Messo in rotta da
Orlando, e. 12, 69. — È atteso invano alla
rassegna di Agramante, e. 14, 28. — Vien
trovato prigione presso Dudoue, e. 40, 71.
— È liberato da Ruggiero, e. 41, 6. — Sua
morte, ivi, 22.
Marbalusto, gigante. Re d'Orano, e. 14. 17.
— È ucciso da Rinaldo, e. 16, 47.
Marfisa. Va alla giostra in Damasco, e. 18,
99. — Soffre una tempesta di mare, ivi, 141,
ecc., e. 19, 43. — Approda ad Alessandria,
ivi, 54. — Ascolta da Guidon Selvaggio le
sue vicende, e. 20, 5. — In compagnia di
altri libera Malagigi e Viviano, e. 26, 7 e 14.
— Si batte con Mandricardo, ivi, 81. — Va
con Mandricardo e Rodomonte in difesa di
Agramante, ivi, 87, e. 27, 15. — Fa strage
dei Cristiani, ivi, 23. — Va contro Brada-
mante, e. 36, 16. — Sente da Atlante che
Ruggiero è suo fratello, ivi, 59, e. 38, 14. —
Si ricompone con Ruggiero e Bradamante,
e. 36, 68. — Punisce Marganorre, e. 37, 100.
Va con Bradamante dinanzi a Carlo, e. 38,
8. — Si fa battezzare, ivi, 22. — Si oppone al-
le nozze di Bradamante con Leone, e. 45, 103.
Marganorre. Suo castello e sua tirannia, e.
37, 38 segg.
Marsilio. Sen va co' suoi in aiuto di Agra-
mante, e. 12, 71. — Viene assalito da Carlo,
e. 18, 41. — Consiglia Agramante a prose-
guire la guerra, e. 38, 41. — Torna nei suoi
Stati per difenderli, e. 30, 71.
Martano, amante di Orrigille, e. 15, 102. —
Andando con essa., scontra Grifone, o. 16,
6. — Va alla giostra in Damasco con Gri-
fone, e. 17, 71 e 86. — Viene scontrato da
Aquilante, fratello di Grifone, e. 18, 7.
Matalista, e. 14, J4. — Muove contro gli In-
glesi sotto Parigi, e. 16, 67. — Resta pri-
gione, tt»t, 69.
Matilde, Contessa, moglie d'Albertazzo II
Estense, lodata, e. 3, 29.
Medoro. Suo amore e fedeltà a Dardinello
suo padrone, e. 18, 165. — Resta ferito a
morte, e. 19, 13. — Vien medicato da An-
gelica, ivi, 22. — Amato da lei, ivi, 26. —
La sposa, ivi. 33. — S' incontrano con Or-
lando pazzo, dal quale viene ammazzato a
Medoro il cavallo, e. 29, 58 e 65. — Va con
Angelica nell' India, e. 30, IG.
Melissa, maga. Nella grotta di Merlino mo-
stra a Bradamante le immagini de' suoi di-
scendenti, e. 3, 8. — Va per liberare Rug-
giero dai lacci amorosi di Alcina, e. 7, 45.
— Guida Bradamante al palazzo d'Atlante,
e. 13, 47. — Predice a Bradamante le glorie
delle donne Estensi, ivi, 57. — Promette a
Bradamante d' impedire il duello fra Rug-
giero e Rinaldo, e. 38, 73. — Si finge Ro-
domonte, e induce Agramante a rompere il
patto con Carlo, e. 39, 4. — Sua scienza
magica, e. 43, 21. — Suoi amori giovanili,
ivi, 20. — Procura che seguano le nozze di
Ruggiero e Bradamante, e. 46, 20. — Padi-
glione maraviglioso da essa trasportato a
Parigi per dette nozze, ivi, 77.
Merlino. Sua grotta descritta, e. 2, 70. —
Parla dalla tomba a Bradamante, e. 3, 16.
— Sua fonte, e. 26, .SO. -r- Fa dipiugere in
una sala le guerre de' Francesi in Italia, e.
33, 4.
Milano, città acquistata da Ugo Estense, e, 3,
5. — Presa dai Francesi, e. 33, 44.
Modena, città datasi ad Obizzo Estense, e. 3,
39.
Morgana, fata, sorella d'Alcina, e. 6, 38.
Morgante, e. 14, 15.
Moschino. Vien gettato nella fossa di Parigi
da Rodomonte, e. 14, 124.
N
Namo. Va contro Rodomonte in Parigi, e. 17,
16, e. 18, 8.
Niccolò Estense, Marchese dì Ferrara, loda-
to, e. 3, 42.
Niccolò (Zoppo) Estense, Marchese di Fer-
rara, lodato, e. 3, 40.
Norandino, re di Damasco. Sue feste fatte
iu quella città, e. 17 , 20 e 69. — Rendo
giustizia a Grifone nella giostra , e. 18 ,
59.
Nahii, Popoli condotti da Astolfo alla presa di
Biserta, e. 38, 28.
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
671
0
Oberto, re d' Ibernia. Accoglie Orlando, e.
11, 59. — S' innamora d'Olimpia, ivi, 6G e
72.
Obìzzo Estense, e. 3, 39.
Oblio, ritrovato alla porta della casa del Sonno,
e. U, 94.
Odoardo d'Inghilterra, e. 10, 82. — Entra
in Parigi durante l'assedio, e. 16, 85. — ,Va
contro Rodomonte, e. 18, 10.
Odorico. Rapisce Isabella per Zerbino, e. 13,
12. — Incontra Zerbino ed Isabella, e. 24,
16 segg.
Oldrado, duca di Glocestra, e. 10, 78. — As-
sale i Mori sotto Parigi, e. 16, 67.
Olimpia. Racconta ad Orlando le sue avven-
ture, e. 9, 22. — Viene dal consorte Bireno
abbandonata sopra una spiaggia, e. 10, 20.
— Resta presa da' corsari, ed esposta al-
l' Orca marina, e. 11, 33,55 e 58. — Viene
liberata da Orlando, ivi, 59. I
Olimpio della Serra, e. 16, 71.
Olindro di Longavilla, e. 37, 51.
Oliviero. Va contro Rodomonte in Parigi, e. !
17, 16, e e. 18, 8. — Battuto da Rodomonte
sul ponte, vi lascia le armi, che poi vengono
trovate da Bradamante, e. 35, 53. — Frigio- I
niero di Rodomonte, e. 39, 30. — Liberato
da Astolfo ed altri, ivi, 33. — Uccide Buci-
faro ueir assalto di Biserta, e. 40, 35. —
Combatte con Agramante ed altri in Lipa-
dusa, e. 41, 46 e 68. — È moribondo per le !
ferite, e. 43, 151. — Vien sanato da un Kre- j
mita, ivi, 192. — Ritorna coi ccmpagni in !
Francia, e. 44, 26.
Ombruno, e. 17, 87.
Orca dell'Isola d' Ebuda, e. 8, 57, e. 9, 15. —
Descritta, e. 10, 100. — Vinta da Ruggiero
collo scudo incantato, ivi, 101. — Presa da
Orlando, ed uccisa, e. Il, 34.
Orco di Scria, e. 17, 29.
Orlando. Ritorna in Ponente con Angelica,
la quale gli vien tolta da Carlo, e. 1, 5 e 7.
— Suo elmo famoso, ivi, 28, e. 12, 31.
Addolorato per la perdita d'Angelica, e. 8,
71. — Sua grande amicizia con Brandimarte,
e. 8, 88. — Parte di notte da Parigi por cer-
care Angelica, ivi, 86. — Sdegna uccidere i
Saracini che dormono, e. 9, 4. — Cerca An-
gelica, ivi. — Xaviga all' isola di Ebuda, ivi,
15. — Combatte colle genti del re Cimosco,
ivi, 67. — Uccide Cimosco, e libera Bireno,
ivi, 80. — Prende 1' Orca con uno strata- j
gemma, e. 11, 36. — Incontra Oberto re
d' Ibernia, ivi, 59. — Lo lascia con Olimpia 1
e torna in Francia, ivi, 78. — Vede Ange-
lica rapita da un guerriero, e. 12, 4. — Viene '
all'armi con Ferrali, ivi, 46, ecc. — È fatato
ed invulnerabile per tutta la persona, fuor-
ché sotto le piante ivi, 49, e. 24, 10. Il
suo elmo famoso gli vien tolto da Angelica,
« capita in mano di Ferrali, e. 12, 52, —
Sbaraglia le squadre di Manilardo e d' Al-
zirdo, ivi, 75. — Trova Isabella, ivi, 91, e.
13, 37. — Salva Zerbino caduto in mnno di
Anselmo, e. 23, 53. - La sua spada Durin-
dana vien pretesa da Mandricardo, ivi, 78.
— Trova incisi negli alberi gli amori di
Angelica e Medoro, ivi, 102. — Impazzisce,
ivi, 132. — Giunge al ponte di Rodomonte,
e. 24, 14, e. 29, 39. - Sue pazzie, e. 21, 1,'
e. 27, 8, e. 29, 44, e. 30, 5. - Attraversa a
nuoto lo stretto di Gibilterra, e giunge sul
lito di Setta, ivi, 40 e seg. — Doni a lui
fatti da Dio, e. 34, 63. - Castigato da Dio
colla pazzia, e perché, ivi, 64. — Suo inge-
gno in un'ampolla, preso da Astolfo nel cer-
j chio della Luna, e. 38, 23. - Vien trovato
I in Africa, e. 39, 36. - Ricupera il senno,
I tvi, 57. — Dà l'assalto a Biserta coll'esercito
I cristiano, e. 40, 14. - Va in Lipadusa, e
combatte con Gradasso e con gli altri suoi
, compagni, e. 41, 46 e 68. — Uccide Agra-
mante, e. 42, 8, e. 43, 151. _ Uccido Gra-
dasso, e. 42, 11, e. 43, 151. _ Assiste ai fu-
nerali di Brandimarte, ivi, 166. — Torna
co' suoi compagni in Parigi, e. 44, 28.
Ormida, e. 14, 18.
Orontèa. Sua novella, e. 20, 24.
Orrigille, amata da Grifone. Lo tradisce, e.
15, 101. — Viene da lui incontrata in Da-
masco con Martano, e. 16, 6. — Unitamente
con Martano rapisce l'armatura a Grifone,
e. 17, 110. — È fermata con Martano da
Aquilante, fratello di Grifone, e. 18, 79.
Orrilo. Ladrone di Damiata, e. 15, 65, segg.
— Muore, ivi.
Ottone III imperatore, e. 4, 27
Paradiso terrestre, descritto, e. 34, 48.
Parche, trovate da Astolfo nella Luna e 31
88, ecc. ' " '
Pinabello. Trovato da Bradamante, e. 2, 34.
— Cade abbagliato dallo scudo di Atlante,
e. 2, 56. — Getta Bradamante nella grotta
di Merlino, ivi, 70. — Incontra Marfisa con
Gabrlna, e. 20, 110. - Legge da lui messa
al suo castello, e. 22, 47. — Resta ucciso,
ivi, 96, e. 23, 4.
Polinesso. Sua storia, e. 5, 6 e segg.
Prasildo. Si trova nel castello d'Atlante, e.
4, 40. — Fugge di là al suono del corno di
Astolfo, e. 22, 20.
Proteo, amante della figlia del re di Ebuda,
e. 8, 52. — Pug?e spaventato da Orlando
vincitore dell'Orca, e. 11, 44.
PrusJone, e. U, 27. — Assale una porta di
Parigi con Agramante, e. 15, 7. — Va col
medesimo contro gì' Inglesi, e. 16, 75, —
Viene ucciso da Rinaldo, ivi, 81.
Puliano. In mostra co' suoi, e. 14, 22. Ke«
sta ucciso da Rinaldo, e. 16, 44.
672
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
R
Rabicano, cavallo d'Astolfo, e. 7, 77. — Sue
qualità, e. 15, 40, e. 35, 49. — Vien rubato
ad Astolfo da Atlante, e. 22, 10. — Torna
iu sua mano, ivi, 22. — Da Astolfo è con-
segnato a Bradauiante, ivi, 28, e. 23, 11.
Re (tre), che accompaguano Ullania con lo scu-
do d'oro in Francia, ecc., e. 32, 50. — Vinti
da Bradamante la seconda volta, e. 33, 69.
— Capitati in mano di Marganorre, e libe-
rati da Marfisa, Ruggiero e Bradamante, e.
37, 112.
H,enata di Francia, e. 13, 72.
Riccardo, conte di Varvecia, e. 10, 78. —
Assale i Mori sotto Parigi, e. 16, 67.
Ricciarda di Saluzzo , moglie di Niccolò
Estense. Sue lodi, e. 13, 67.
Ricciardetto. Sue avventure con Fiordispi-
na, e. 22, 39, e. 25, 8 e 49. — Raccolto da
Aldigiero al suo castello, ivi. 73. — Unito
con altri, libera Malagigi e Viviano, e. 26,
10. — Altre sue avventure, ivi, 38, segg. —
Va a Montalbano, ivi, 136. — Parte di là e
segue Rinaldo, e. 30, 94. — Atterrato da
Guidon Selvaggio, e. 31, 10.
Ricciardo. Va contro Rodomonte in Parigi,
e. 18, 10. — Parte con Rinaldo da Montal-
bano, e. 30, 94.
Rimedonte, e. 14, 23. — Prigioniero di Du-
done, e. 40, 73. — Sua morte, e. 41, 22.
Rinaldo. Contende con Orlando, e. 1, 8. —
Incontra Angelica, ivi, 10. — Va contro Sa-
cripante, ivi, 77. — Spedito da Carlo in In-
ghilterra, e. 2, 26. — Entra nella selva Ca-
liconia, e. 4, 51. — Vede l'abbazia di quella
selva, ivi, 54. — Libera Dalinda dai sicari, <
ivi, 69. — Va per liberar Ginevra dall' in-
famia, e. 5, 78. — Tentò invano di liberare
Astolfo dalla balena d' Alcina, e. 6, 41. —
Ottiene dal Re di Scozia soccorso per Carlo,
e. 8, 22. — Passa in Inghilterra, ivi, 25. —
Ottien gente per soccorso di Carlo, ivi, 27.
— Vien condotto da San Michele e dal Si-
lenzio a Parigi e. 14, 96. — Soccorre Parigi,
e. 16, 28. — Fa 8tra2;e dei Saracini, e. 18^
45. — Va contro Dardiuello, ivi, 58 e 146.
— L'uccide, e. 18, 152. — Cerca Angelica,
e. 27, 8. — Conduce seco da Montalbano
alcuni guerrieri, e. 30, 93, e, 31, 7. — Com-
batte con Guidon Selvagi^io da lui non co-
nosciuto, ivi, 13. — Rompe la gente di Agra-
mante, ivi, 50. — Combatte con Gradasso
per salvar Baiardo, ed ottener Durindana,
e. 31, 94, e. 33, 79. — Eletto da Carlo a
combatter contro Ruggiero, e. 38, 88, ecc.
Suo amore per Angelica, e. 42, 28. — Assa-
lito dal mostro d'Amore, ivi, 53. — Beve
alla fonte che caccia l'Amore, ivi, 63. —
Viaggia per l'Italia, ivi, 69, e. 43, 53 e 145.
— Promette Bradamante a Ruggiero, e. 44,
14 e 35. — Sbarca a Marsiglia coi compagni,
ivi, 18. — Va con essi a Parigi, ivi, 28. |
Rinaldo Estense, Signor di Ferrara, lodato,
e. 3, 38.
Rodomonte. Comparisce co' suoi alla ras-
segna di Agramante, e. 14, 25. — Sue pro-
dezze, ivi, 114, segg. — Conduce le sue genii
a morte senza riguardo, e. 15, 3. — Fa stra-
ge dol popolo di Parigi, e. 16. 20. — Di-
strugge Parigi, ivi, 85, e. 17, 6. — Vien rag-
giunto da Carlo co' suoi campioni, ivi, 13,
e. 18, 8. — Esce di Parigi, ivi, 20. — Toglie
Frontino ad Ippalca, e. 23, 33. — Si batto
con Mandricardo, e. 24, 99. — Ritrova Mar-
fisa con altri guerrieri, e. 25, 4. — Ricusa la
battaglia con Ruggiero per andare in soc-
corso del suo Re, e. 26, 92. — Combatte con
Ruggiero per Frontino, ivi, 116. — Corre in
soccorso di Doralice, portata dal cavallo in-
demoniato, ivi, 131. — Fa strage dei cristiani,
e. 27, 15. — Rinnova le contese con Rug-
giero e Mandricardo per opera della Discor-
dia, ivi, 40. — Naviga verso l'Africa, e. 28,
86. — Si ferma presso a Mompelieri, tu», 93.
— Si accende d'Isabella, ivi, 91, e. 29, 3.
— Combatte con Brandimarte, e. 31, 67. —
È gittate di cavallo da Bradamante, e. 35,
48. — Viene alla corte di Carlo, e sfida Rug-
giero, e. 46, 102 e seg.
Ruggiero. Da lui discesero gli Estensi, e. 1,
4. — Amante di Bradamante, e. 2, 32. —
Va al castello incantato d'Atlante, ivi, 45.
— Sua origine raccontata da Atlante, e. 4,
30, e. 36, 70. — Trovato da Bradamante nel
castello d'Atlante, e. 4. 40. — Arriva all'iso-
la d' Alcina, e. 6, 19. — Ivi conforta Astolfo
cangiato in una pianta, e. o, 55. — Combatte
co' mostri di quell' isola, ivi, 65. — Combatte
e vince Erifila, e. 7, 5. — È amante di Al-
cina, ivi, 16. — Si ravvede del suo errore,
ivi, 65. — Odia Alcina, ivi, 70. — Lascia la
città di lei, ivi, 75, e. 8, 3. — Combatte
coll'augel grifagno, ivi, 7. — Andando a Lo-
gistilla, incontra tre donzelle, e. 10, 36. —
Vien perseguitato da Alcina, e. 8, 12, e. 10
48. — Torna in ponente, ivi, 67. — Vede
sul Tamigi le truppe destinate a! soccorso
di Carlo, ivi, 74. — Libera Angelica dal-
l'Orca marina, ivi, HI. — Perde Angelica,
e. 11, 7. Perde insieme l'anello e l'Ippogrifo,
ivi, 14. — Fargli vedere Bradamante rapita
da un gigante, ivi, 18. — La cerca invano
nel palazzo di Atlante, dal quale vien deluso
colla finta immagine di lei, e. 12, 18. —
Fugge di là al suono del corno di Astolfo,
e. 22, 20. — Ritrova Bradamante e va seco
a Vallombrosa, ivi, 31. — Va al castello di
Pinabello, e batte Sansonetto, ivi, 69. —
Getta lo scudo incantato in un pozzo, ivi,
91, e. 25, 4. — Va al castello di Aldigiero
con Ricciardetto, ivi, 71. — Scrive lettera a
Bradamante, ivi, 86. — Va con alcuni com-
pagni a liberare Malagigi e Viviano, e. 26,
8 e 16. — Sfidato da Mandricardo per l' in-
segna che porta, e. 26, 98. — i?i batte con
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
673
Rodomonte, ivi, 116. — Fa strage dei Cri-
stiani sotto Parigi, e. 27, 23. — Estratto a
sorte per combattere con Jrandricardo, e.
30, 2-1. — Dona Brigliadoro ad Agramante,
e riceve in dono Frontino da Bradamante,
da cui viene sfidato, e. 35, 63 e 76, e. 36, 11.
— Ode da Atlante che Marfisa gli è sorella,
ivi, 59. — Punisce Marganorre, e. 37, 101.
Viene scelto da Agramante a combattere
contro Rinaldo, e. 38, 64. — Combatte con
Dudone, e. 40, 75. — Patisce naufragio, e.
41, 19 e 47. — È battezzato da un Eremita
sopra uno scoglio, ivi, 59. — Vien accolto
da Carlo in Parigi, e. 44, 29. — Incontra
molti contrasti per le sue nozze con Brada-
mante, ivi, 36, ecc. — Vien fatto prigione a
tradimento da Ungiardo, e. 45, 9. — Resta
liberato da Leone, ivi, 42. — Combatte per
lui con Bradamante, e la vince, ivi, 64. —
Sua disperazione, ivi, 64, e. 46, 26. — Gli
vien ceduta Bradamante da Leone, ivi, 42.
^— Eletto da' Bulgari in loro Re, e. 44, 97,
e. 46, 48 e 69. — Sue nozze con Bradamante,
ifi, 73. — Combatte con Rodomonte, ivi,
115. — Lo uccide, ivi, 140.
s
Sacripante. Incontrasi con Angelica, e. 1,
38. — Combatte con Bradamante, e resta
vinto, ivi, 60. — Va contro Rinaldo, ivi, 77.
— Vien trovato nel castello di Atlante, e. 4,
40. — Va con Gradasso in soccorso d'Agra-
mante, e. 27, 14. — Muove lite a Rodomon-
te per Frontino, e si batte seco, ivi, 71, _
Vinto da Rodomonte al suo ponte, vi lascia
le armi, e. 35, 54. — Va dietro Angelica
verso r Oriente, ivi, 56.
Sansonetto. Trovato in Gerusalemme da
Astolfo, e. 15, 95. — Riceve da lui in dono
I il gigante e la rete, ivi, 97. — Va alla gio-
stra con lo stesso in Damasco, e. 18, 96.
— Va con molti compagni in Cipro, ivi, 136.
— È battuto dalla tempesta, ivi, 141, e. 19
43. — Approda coi compagni ad Alessandria,
ivi, 54. — Fugge di là al suono del corno
di Astolfo, e. 20, 92. — Naviga a Marsiglia
e capita al castello di Pinabello, ivi, 104, e.
22, 52. — Va con Rinaldo contro Agramante,
e. 31, 51. — Vinto da Rodomonte al ponte,
vi lascia le armi, ed è condotto in Africa
prigione, e. 35, 53. — È liberato da Astolfo,
e. 39, 33.
atsonia (Casa di), sostenuta da Folco Estense
e. 3, 28.
eozia. Legge contro le donne colà promulgata,
e. 4, 59.
cudo d'oro, mandato dalla Regina d'Islanda
a Carlo, e. 32, 50.
ludo incantato d'Atlante, e. 2, 55. -— Sua vir-
tù, e. 3, 67, e. 4, 23. — Resta a Ruggiero, i
0. 6, 67. — Il quale se ne vale per fuggire
Abiosto — Papini
da Alcina, e. 8, 11, e. 10, 60. — Con esso
vince l'Orca, ivi, 107. — Vince i cavalieri
di Pinabello, e. 22, 84. — È gettato in uu
pozzo da Ruggiero, ivi. Di.
Sdegno, in forma di guerriero. Libera Rinaldo
dal mostro d'Amore, e. 42, 53.
Senàpo, imperatore dell' Etiopia. Suoi riti,
e. 33, 102. — Cieco ed affamato a cagion
delle Arpie, ivi, 107. — Ricupera la vista
mercé d'un'erba appresentatagli da Astolfo
e. 38, 24 e 27.
Serpentino, e 14, 13. — Sue armi incantate,
e. 16, 82. — Vien gettato di solla da Rinaldo,
ivi. — Rincora i Saracinì, e. 18, 42. — Vien
gettato a terra da Bradamante, e. 35, 67.
Sforza. Personaggi di questa Casa nominati
e lodati, e. 33, 45, e. 40, 41.
Sigisberto, re di Francia. Rotto in Italia
dal Re de' Longobardi, e. 33, 13.
Sobrino. Va alla rassegna di Agramante co'
suoi, e. 14, 24. — Muove contro Zerbino, e.
16, 53 e 83. — Consiglia Agramante a ve-
nire a patti con Carlo, e. 38, 48. Sua zuffa
con Brandimarte ed altri, e. 41, 68. — Fe-
rito mortalmente, è fatto medicar da Orlan-
do, e. 42, 18. — Si fa battezzare, ed è gua-
. rito da un Eremita, e. 43, 193.
Sofrosina, donna casta di Logistilla, e. 10,
52. — Accompagna Astolfo verso Occidente,
e. 15, 11.
Soridano, e. 14, 22. — Va contro gl'Inglesi
sotto Parigi, e. 16, 75.
Stordilano, e 14, 13.
Superbia. Va colla Discordia al campo Saraci-
no, e lascia la Lussuria per sua vicaria, e.
18, 27. — Accende Rodomonte contro Man.
dricardo, ivi, 34. — Torna dove stava prima,
e. 26, 122.
Tanacro, figlio di Marganorre, e. 37, 46.
Acceso di Drusilla, ivi, 53. — Uccide Olin-
dro, e si prende Drusilla, e. 37, 55. — Ri-
ceve da lei il veleno, ivi, 69.
Tarento. Sua fondazione, e. 20, 21.
Teodora, moglie di Androfilo. Odia Ruggiero,
uccisore di suo figlio, e. 45, 15. — Ottiene
Ruggiero in mano da Costantino, ivi, 16, ecc.
Tesira. In mostra co' suoi alla rassegna di
Agramante, e. 14, 13.
Trasone. Va con gli Scozzesi sotto Parigi,
e. 16, 55.
Tristano. Sua ròcca, e legge ivi fatta osser-
vare, e. 32, 65. — Pitture misteriose della
sala di essa ròcca, e. 33, 5.
u
Ughetto. Va contro Rodomonte In Parigi, e.
18, 10.
Ugo Estense. Sue imprese accennate, e. 3, 26.
43
674
INDICE DEI NOMI PROPRI PIÙ IMPORTANTI
Ugo Estense II, lodato, e. 3, 27.
Ugo d'Arli. Sue fortune corse in Italia, e. 33,
19.
Ullania. Dall' Islanda si porta in Francia
collo scudo d'oro in compagnia dei tre Re,
e. 32, 50. — Vien posposta in bellezza a
Bradamante nella rócca di Tristano, ivi, 98.
— Resta nella ròcca per benefizio di Brar-
daraante, e. 32, 101. — Sue avventure nel
regno di Marganorre, e. 37, 28.
Ungiardo. Alberga in sua casa Ruggiero, e.
44, 102. — liO fa prigione a tradimento, ecc.,
e. 45, 9.
Valerio (Francesco). Disse mal delle donno,
e. 27, 137.
Valila (Principe di), e. 8, 27.
Vasto (Marchese del), vedi Davalo.
Vatrano, capo de' Bulgari, e. 44, 83.
Veneziani. Loro armata rotta nel Po, e. 3, 57.
Visconti (Galeazzo). Sue imprese accennate,
e. 33, 21.
Viviano. Col fratel Malagigi, prigion di Lan-
fusa, condotto a' Maganzesi, e. 25, 74. —
Liberato da Adigiero e da' suoi compagni,
e. 20, 26. — Ode da Malagigi la spiegazione
delle scolture della fonte di Merlino, ivi, 38.
— Gettato a terra da Mandricardo, fri, 74.
— Dà la sua spada a Ruggiero, ivi, 119. —
Va con Rinaldo a Parigi, e. 30, 94.
Zerbino, fratello di Ginevra. Lontano dalla.
Scozia, non può liberarla dall'infamia, e. 5,
69. — Va alla rassegna in Londra, e. 10, 8.';.
— Va alla giostra in Baiona, e. 13, 6. —
Innamorato d'Isabell^, ivi, 8. — Destinato
ad assalire i Mori sotto Parigi, e. 16, 40. —
Assale i Mori, ivi, 51, e. 18, 45. — Incontra
deridano e Medoro, ivi, 188, e. 19, 6. —
Deride Marflsa, perché ha seco Gabrina, e.
20, 119. — Intende da Gabrina oscure no-
velle d' Isabella, ivi, 134. — Sua fede, e. 21,[
3. — Incontra Ermonide, e. 20, 144, e. 21,
6. — Vede il cadavere di Pinabello, e. 23,
39. — Ha nelle mani Odorico, e. 24, 16. —
Lo castiga consegnandogli Gabrina, ivi, 40.
— Raccoglie l'armi d' Orlando, e ne fa un
trofeo, ivi, 57. — Combatte, con Mandri-
cardo per difender dette armi , e resta fé»
rito a morte, ivi, 60. — Suo sepolcro, e. 29.
32.
INDICE
DEI VOCABOLI E DEI MODI PIÙ NOTEVOLI
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
a premesso ad alcuni verbi, i, 62, 2. vili, 71.
4. X, 105, 8. siv, 75, 7. xvi, 80, 2. xvii, 5G,
e ; 95, 5. xviii, 31, 6 ; 58, 2. xxiii, 82, 5. —
con, xii, 48, 8, xvi, 48, 8; 54, 6 ; 87, 7. xsin,
31, 5. — da, xiii, 71, 2. — fino a (in espres-
sioni di tempo), XLiir, 80, 8. — in, xiv, 78,
7. XX, 98, 8. xxsi, 36, 3. — in confronto di,
XIII, 70, 3. xxxii, 34, 7. — in risguardo a,
xxxviii, 60, 3. — per, vui, 26, 3. xxxi, 20,
8. XXXII, 49, 3. XLiii, 146, 5 ; 149, 2. — pres-
so, XXIX, 33, 1. — quanto a, xxx, 82, 8. —
secondo, xm, 30, 2. — su, xvii, 94, G. xxxiii,
77, 2,
alile, capace a contenere, xv, 3, 8.
a bocca, u, 48, 5. vi, 62, 5. xxvi, 90, 3.
aborrevole, abominevole, x, 94, 4.
aborrire, aver paura, xxiv, 105, 1.
absorto, assorbito, xiv, 6, 5. xuii, 174, 5.
a buon effetto, a buon tìne, v, 49, 4.
accadere, bisognare, xi,iii, 82, 1. — cadere
a proposito, IH, 62, 6. xxii, 44, 3. xi.ii,
94, 6. — presentarsi, ii, 67, 7. xviii, 13, 3.
XIX, 41, 3. xxxvi, 82, 7. — venir per caso,
XXII, 29, 8. — detto di cose prevedute, xxiii,
1, 3.
accadere a fare una cosa, xx, 116, 8.
accader soggetto, iii, 73, 1.
accarezzare, usar cortesie; xxxi, 110, 3. xliii,
199, 6.
accarezzarsi, farsi complimenti, xxxi, 110, 3.
accasciarsi da, distogliersi da, v, 55, 5.
accennare, comandare, xxxi, 85, 4.
accennare, dar segno, xix, 92, 6.
accennare per, xvii, 94, 5.
acciaio, acciarino, xviii, 34, 1.
accinto di, xxx, 36, 6.
acciò, acciò che, xliv, 22, 7 : e cosi spesso.
accogliere, apprendere, xm, 31, 6.
accomodato, fornito, xtii, 119, 4.
acconcio, bello, xxxv, 74, 8. — comodo, xxxi,
88, 3.
accorare, uccidere di dolore, xi,v, 58, 4.
accordarsi, agguagliarsi, xvi, 56, 7.
accorte {maniere), iv, 72, 2. xxxvii, 48, 3.
accorte (parole) cortesi, xxv, 19, 4.
accorto, attento, viii, 59, 3. xviii, 5, 3.
accrescere, crescere, xliii, 194, 8.
accumulamouto d' aggettivi, vi, 56, 8. vii, 38,
8. XI, 9, 7. xLvi, 77, 2.
a cerco, xi, 7, 2.
a chiocca, a chiocca, x, 33, 8.
adagiare un cavallo, metterlo nella stalla xxvii,
130, 5.
adagio, comodamente, xvii, 22, 2. — con tutto
l'agio, vili, 18, 6.
ad alto, IV, 50, 1. xl, 43, 6.
ad ambe viaìii, xiv, 45, 2.
adattare, adopraro, xliii, 139, 6.
a destriero. XLVI, 100, 3.
a Dio, addio, viii, 26, 2.
a dirimpetto, v, 43, 1.
adizzare, aizzare, iv, 46, 4. xxiv, 106, 3.
adombrato, coperto, v, 47, 3.
adombrare, adocchiare, vi, 26, 4. — abbuiare.
XIX, 38, 5.
adorno, bello, vili, 4, 6. x, 60, 6. xxvii, 47, 4.
XL, 72, 4.
a dritto e a torto, vi, 10, 7. xxvii, 126, 7.
adunazione, xx, 14, 4,
adulterare, commettere adulterio, xxviii, 82, 4.
aere, aspetto, xxxvii, 32, 3.
o fatto, tutte quante, xxxvii, 80, 8.
affacciarsi, presentarsi, va, 56, 1.
affermare, fermare, vili, 71, 4.
afferrare, colpire, vii, 6, 6. xxxlx, 49, 4,
alìgere, xxxv, 16, 5.
affligere, xxvii, 64, 3. xxx, 1, 7.
afflitto, avariato, vii, 18, 2. — estenuato, xli,
52, 6.
affondare, metter sotto, xxvi, IH, 3.
676
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
affrappare, tagliare a frappe, xiv, 130, 5.
affrettare, affrettarsi, xxiil, 14, 8.
a fil della sinopia, iv, 13, 2.
a filo, dirittamente, xn, 83, 7. xxxiii, 101, 6.
agevole aura, placida a., x, 37, 7.
aggirare, circondare, xii, 13, 8. — girare, xxxiv,
52, 2. — muovere in giro, xii, 18, 14. xxiv,
106, 2. xxvll, 23, 5.
aggiornare, esser giorno, xxvil, 12, 5.
aggiungersi, giungere, ti, 59, 3.
aggiungersi d'amicizia, xliv, 1, 3.
aggiunta, giunta, xxx, 6, 5.
aggravare, gravare, dar molestia, xxxvi, 30, 4.
aggrevare, l, 26, 7. xxiv, 78, 3.
agio, piacere, XLiu, 113, 7.
agognare, bramare, vii, 2, 5.
a gran pezzo, a gran distanza, xxxn, 38, 3. —
per molto tempo, xli, 78, 2.
Agnusdei, l'ostia sacra, xxviii, 40, 8.
a guisa che, xxxvii, 88, 3.
ai tempi suoi, a tempo opportuno, xvii, 34, 7.
aiutante, gagliardo, Vir, 75, 6.
o tato a lato, molto vicino, xxxviii, 26, 5.
a lato una cosa, xxxvii, 119, 1.
alhergarsi, xv, 43, 3.
albitrio, xxiii, 36, 4.
Alchimia, vi, 59, 6.
alcione (femm. plur.), x, 20, 5.
alcuno, uno, ix, 28, 5. xxvii, 22, 7.
alcun', alcuni, vi, 61, 3. x, 99, 6. — senza apo-
strofo, XXIV, 4, 7. xxvn, 58, 3. xxvni, 58, 3.
al dritto, dirittamente, xv, 46, 8. xxxix, 77, 7.
al, fatto 'l, xxxvi, 81, 6.
alla frasca, a cielo aperto, xxxii, 90, 2.
alla posta, in pronto, xii, 83, 3.
allargarsi, prendere 11 largo, xiii, 17, 8.
alla scelta, secondo il gusto, xs, 8, 3.
alla sprovvista, improvvisamente, xxxvii, 76, 4.
alla sua vita, in vita sua, xix, 95, 1. sxvii, 88,
4. xxviii, 9, 2.
alla via, alla volta, ix, 91, 8.
alle frutta, a cose finite, xlui, 153, 3.
allegrezze, giorni d'allegrezza, xvii, 69, 8. xxi,
9, 6.
allevarsi, essere allevato, crescere, ix, 37, 5.
xiir, 24, 3.
all'incontro, a confronto, xv, 48, 1. — di con-
tro, XV, 61, 8. — incontro, xxxi, 9, 2.
alloggiarsi, xii, 9, 2.
allotta, II, 7, 6.
all'usanza, xxi, 26, 2. — o sua usanza, xui,
25, 3.
alma, lena, xxx, 13, 7.
al manco, al più lungo, xxviii, 13, 6.
al meglio, vi, 55, 1. xii, 3, 8.
almiraglio, xvii, 99, 4.
al rezzo, al buio, v, óO, 3.
al terreno, a terra, vili, 37, 6.
altiero, splendido, xii, 8, 2.
alto, alto maro, viii, 36, 4. x, 19, 8. xvili, 1*1, '•
alto, profondo, ili, 5, 2.
altrelanto, inoltro, XI. ni, 105, 3.
altrimenti, affano, x, 19, 4. xi.iv, 13, 2.
altri tanti, altrettanti, xviii, 20, 2.
altro, alcuno, xxiii, 68, 1. xxx, 50, 7. — ben
altro, xxx, 39, 8. xxxiv, 72, 1. — il rima-
nente, xvii, 65, 1. XLVi, 110. 2.
altro che, avverbialmente, xsu, 96, 2. xlv, 86, 7.
altro matin, mattino che succede alia notte,
XXIII, 52, 1.
altrui, nel soggetto, xxxi, 57, 6.
altrui che, ad altri fuorché, v, 67, 4.
a lunga prova, l, 50, 7.
al tutto, XIV, 53, 6.
alzare in alto, dire a gran voce, xxxi, 53, 4.
a macco, in abbondanza, xxx, 8, 6.
a mano a mano, di subito, vii, 80, 4. xi, 6, 5.
a man salva, sicuramente, xxvi, 134, 3.
amareggiare, divenire amaro, viu, 26, 5*
amare miseramente, ii, 11, 8.
ambascia, fatica travagliosa, iv, 12, 6.
amendua, xn, 35, 5.
amistanza, xxxviii, 7, 4.
ammirarsi, maravigliarsi, xiv, 81, 6. xliii, 48, 3.
ammonire uno a fare, xxvn, 76, 4.
amo, dell'ancora, xi, 38, 7.
a modo che, come, xxvili, 98, 7.
o violte miglia, alla distanza di m. m., IV, 68,
6. V, 76, 6. xxxn, 85, 4. XLii, 46, 1.
amorosa (agg.), amante, xxxvi, 78, 1.
anacoluto, xii, 5, 6. xvi, 29, 2. xyiv, 101, 1.
XXV, 9, 1. xxvii, 46, 1; 106, 3. xxxi, 102, 5.
xLii, 15, 8.
a naso, xvil, 42, 5.
anco, anzi, xxviii, 77, 8. — di nuovo, xii, 19, 8.
anco, ancora, in proposizione negativa significa
pure (né pure), xvi, 36, 8; 54, 2. xviii, 146,
2 ; 178, 7. XXIV, 38, 4. xxv, 41, 3. xxxi, 51,
8, xxxvn, 4, 8; 10, 3. xxxix. 70, B. XLI, 9, 2.
ancora, ciò non ostante, xi, 10, 8.
ancora per 11 pronome stesso, xiv, 115, 7. xviil,
76, 7. XX, 101, 7. XXII, 7, 8. xxv, 46, 4.
ancor che, con l'indicat., v, 11, 7. x, 42, 3,
XVII, 24, 1. XXVII, 79, 2.
àncore da rispetto, xviii, 143, 5.
andare addosso, assalir con parole, xviii, 91, 5
andar da canto, xn, 21, 5.
andar dietro, succedere, xLV, 4, 3.
andare in armata, x, 93, 6.
andar per fil di spade, xviii, 50, 3.
andar presso, assomigliarsi, xviii, 155, 4.
andare un bando, xxxvii, 81, 5.
angelo migliore, ang. custode, xiv, 73, 6.
ungersi, angustiarsi, xxxviii, 70, 1.
angonia, xxx, 31 , 8.
animanti, animali, vai, 79, 1.
animosità, coraggio, xli, 92, 5.
anitrire, xxxi, 87, 3. xxxvili, 34, 1.
07)716^0, anello, ni, 69, 1-
annoiare a uno, xx, 124, 8.
a7i7io/<a7c, ossor nolto, xsvil, 12, 5.
antartico (soatant.), in, 17, 0.
a' panni, aiipresso, xlvi, SS, 8.
a parte a parte, ixxi, H'J. 5-
aptrto, naDlItxf'.o, s:i, ?/?, ?•
I a poggia e adorta, \tyi,Ti, 6; liJ; >. iti, Ir, 2.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
677
appagare, couipeusare, x, 105, 8.
apparire, vi, 4, 6. ix, 23, 6. XL, 4, 4. xlvi,
106, 3.
apparecchiale, apparecchiarsi, xix, 41, 4. xl,
43, 7.
apparecchiarsi di, xxv;, 11, 3.
appendere in dubbio, xxsvii, 60, 4.
appertenere, ix, 89, 8.
apperlinenie, xviii, 48, 6. xli, 60, 7.
appetito, gusto, xxviii, 35, 8.
applaudire, mostrarsi favorevole, xiii, 4, 7.
appo, in confronto, sxxiii, 105, 4. xxxiv, 52, 5.
appostare, dirigere, i, Ti, 5. — prender di mi-
ra, XVII, 98, 3.
appresso, vicino, xvi, 41, 7. — da vicino, xxxiv,
71, 2. — inoltre, xlvi, 37, 5; 103, 6.
appresentarsi, figurarsi, xxvii, 25, 7.
appuntare, notare su earte geografiche i punti
del viaggio, xix, 44, 6.
aprico, di persona, xv, 30, 4.
aprire, scoprire, iv, 23, 7 ; 68, 2. — far mani-
festo, XIII, 48, 7.
aprire al gregge, xvii, 34, 7.
a punto, a proposito, i, 6, 7. — interamente,
XXIII, 75, 8.
a punto a punto come, xxxi, ItO, 3.
a quella volta, xvin, 109, 2. xxx, 57, 3.
a gucl punto, in quel momento, xxvi, 95, 5.
xxvn, 87, 6.
a quel tratto, quella volta, xxix, 66, 4.
a questa volta, xix, 95, 4. xxxiii, 118, 8.
arbitrio, volontà, xvi, 4, 6.
arcivesco, xxxviii, 23, 2.
ardire ad una cosa, xx, 71, 2; 99, 7.
ardirsi, xvi, 5, 3. xxxix, 79, 6.
ardore, fulgore, xviii, 141, 7.
argento, mercurio, xv, 70, 5.
argumento, strumento, xvi, 31, 5. — mezzo,
XLI, 16, 6. XLVI, 95, 3. — causa, xliii, 10,
7. — prova, xvii, 41, 1.
arguto, armonioso, vili, 29, 2.
aria, aspetto, xxviii, 29, 5. xxx, 79, 3.
a ripa il mar, XLIV, 73, 4.
armata, esercito, xxxiii, 11, 2.
arnese, xvii, 101, 7. xxiii, 13, 2. — tutta l'ar-
matura, XXIV, 64, 8. XXVII, 78, 5.
arnesi, attrezzi della nave, xiii, 18, 4.
arrandellare, scagliare a guisa di un randello,
XVIII, 6, 5.
arrestare, por sulla resta, ii, 50, 5. xii, 82, 8.
XV, 51, 4. XXVI, 14, 3; 77, 2.
arrido, xxvi, 103, 1. xxvii. 111, 4.
arriscarsi, xxxviii, 51, 3.
arrivare al segno, xv, 1, 6.
arrogere, xxvii, 31, 7. xxxiii, 67, I.
arrossir le gote, per pudore, xxviii, 83, 5.
arrostarsi, vi, 65, 8.
artegliaria, x, 51, 5.
articolo omesso, ii, 14, 8. ni, 32, 3. vii, 10, 4.
vili, 4, 3. X, 28, 7; 54, 7; 82, 2. xiv, 121,
8; 131, 4. XV. II, 7. xvi, 34, 2. xvii, 4, 5.
xvin, 9, 1 ; 140, 3 ; 162, 3 ; 174, 4. xix, 57,
3; 84, 8. XX, 60, 3; 140, 8. xxii, 21, 1. xxiv,
7, 5. XXVII, 51, 5. XLI, 32, 3, e in moltissi-
mi altri luoghi. — nel superlativo relativo,
VII, 69, 5. vili, 67, 4. xix, 34, 2. xxxiv, 67, 4.
articolo determinativo, per l'indetermin. xvii
87, 7. XXVI, 43, 1,
articolo al complemento di materia, xii, 87, 1.
XLI, 101, 4.
articolo in alcune locuzioni superlative, vi, 55,
1. IX, 42, 3.
a salvamento, a man salva, xvil, 128, 6.
ascendere, montare a cavallo, vi, 57, 3.
asciolto, xr, 7-3, 3. xmr, 101, 5.
ascolta, scolta, xxxi, 51, 5. xxxii, 91, 4.
ascondere, perder di vista, xliii, 63, 6.
aspe, aspide, xviii, 33, 6. xx, 37, 4.
aspetta aspetta, esclamazione, xxn, 59, 3.
asseguire, conseguire, xxvii, 44, 6.
assestarsi con, xx, 122, 5.
assicurarsi, tenersi sicuro, xlv, 12, 3.
assiso, situato, xxxiii, 3, 8. xxxvii, 56, 6. xliv,
73, 3.
assolto. Ubero, xxxiv, 23, 5. — messo in libertà,
XX, 55, 8.
assonnare, esser tardo, i, 49, 3 lil, 75, 6. xx,
114, 0. XXI, 34, 3.
assorgere, alzarsi, xliii, 61, 5.
assunto, impresa, xxxvm, 61, 8.
astretto, messo alle strette, xii, 44, 2.
astringere, stringere, xvi, 28, 3. — astringere
il morso, XLIII, 33, 1.
a suo appetito, a sua voglia, xix, 58, 8.
a tempo, nel tempo, xvil, 118, 7.
a tempo e a luogo, xxv, 79, 6.
a terra a terra, viil, 61, 1.
a torno, al tornio, xi, 69, 4.
atro, tetro, xxvi, 37, 4.
attastare, assaggiare, sentire, xxx, 61, 5.
attenere una cosa, xli, 87, 2.
attendere per fare una cosa, attendere a f. u.
e., XXI, 10, 2.
attenere, stare a cuore, 3;viii, 116, 3.
attenuato, estenuato, li, 13, l.xvii, 131, 8. xxxiii,
120, 3.
attingere, toccare, xxii, 10, 4. xli, 13, 4.
atti scenici, xliv, 33, 6.
attizzar le vespe, xliii, 47, 6.
atto, agile, vi, 61, 6. xxvii, 71, 2. — destro,
vi, 61, 6. XLVI, 118, 6.
atto di, XIX, 58, 5.
attonito, XI, 18, 6.
attrazione, xi, 27, 6. xrv, 108, 6. xxiil, 46, 7.
XXXI, 99, 6. XXXVII, 114, 3.
attrazione del complemento, iii, 60, 6. v, 92, 8.
attrazione del participio, vi, 34, 5. xviii, 123,
5. XXXVI, 27, 2. xxxvm, 56, 5.
attristirsi, cong. attrista, xxvi, 70, 7.
attrita, consumata, xlui, 185, 1. — compunto,
XLIII, 193, 7.
o tuo costo, a tue spese, xix, 90, 7.
audienza, v, 84, 8.
a un tratto, nello stesso tempo, xi, 36, 4. xix,
68, 6.
ausa, ardita, xxvi, 19, 5.
678
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
ausiliare avere per essere, xxiii, 26, 5. xxxvii,
40, 6.
a tiso, a comodo, xliv, 22, 5.
austrino, iv, 30, 1. xxxviir, 29, 5. xlii, 89, 4.
avaecio, xvi, 53. 5. xxvi, 74, 6.
o valle, al basso, xviii, 53, 1.
avanzarsi terreno, guadagnar t., xvi, 70, 5.
o venire, avvenire, xxvi, 2, 8.
a ventura, a caso, xvil, 82, 3.
avere, potere, xvi, 18, 6. xvii, 38, 5. xvili,76,
1. XXXVI, 47, 4.
avere (forme irregolari) — aihi, abbia, v, 87,
2. XIII, 19, 4. XX, 45, 2. — con l'apostrofo,
XVII, 4, 2. XVIII, 192, 6. — avia, xxi, 6, 4.
— avémo, xiv, 70, 6. — avesse per aveste,
XVIII, 129, 3.
avere, essere, xl, 44, 2. xliii, 176, 6. xlv, 44, 3.
avere a o da, con l'infinito, in senso futuro,
XV, 35, 2. XVI, 35, 8. xxvi, 108, 6. xxvii,
46, 7. XXX, 28, 2. xxxi, 79, 1. xxxui, 12, 2.
avere, ritrarre, xli, 87, 6. — sapere, XLi, 54, 2.
avere adito, entrare, xviii, 56, 5.
avere a fare (non), non aver diritto alcuno,
xLiii, 136, 8.
avere alle sue voglie, XLIV, 38, 1.
aver buon merlo, esser riconoscente, v, 14, 5.
XXXI, 66, 8.
aver caro, desiderare d'avere, xxvi, 65, 3.
aver conto d'una cosa, far conto d'u. e, xxi,
3. 3.
avere espedito (un linguaggio) parlar spedita-
mente, IX, 5, 7.
aver fisso il chiodo, essere ostinato, xxxiv, 28, 8.
avere il meglio, aver vantaggio, xlvi, 128, 4.
aver guardia, aver cura, xxiii, 11, 3.
avere il capo basso, essere sdraiato per dor-
mire, xvir, 109, 1.
avere il core di fare una e, avere il desiderio
di f. u. e, XXVI, 136, 5.
avere il pregio di uno, averne vittoria, xxxvi,
16, 8.
avere impresa, xvil, 104, 1. xxxi, 25, 1.
avere in fantasia, xiii, 7, 6.
avere in favore, favorire, xxxiv, 64, 3.
avere in pronto, aver presente, xx, 5, 4.
avere uno in un luogo, XLVI, 49, 4.
aver la gola a una cosa, esserne ghiotto, x,
10, 5.
aver mente a una cosa, xn, 53, 7. xxxvi, 47, 3.
avere ordine, stabilire, xxxix, 65, 1.
aver pietà a uno, xxxix, 76, 5.
aver qualcosa coìi uno, averci qualche relazione
amorosa, v, 31, 5.
aver ragione in una cosa, xxvii, 84, 1. xlvi,
57, 7.
aver rivolto a sé il dominio, averlo nelle sue
mani, x, 31, 4.
aver seco il core, esser padrone de' suoi senti-
menti, xxvii, 131, 6.
aver sicuro, ritener sicuro, xix, 60, 4.
aversi in urta, xxxi, 41, 1.
aver trista pelle, esser di poco valore, xxxviii,
45, 7.
avvallarsi, entrar nelle valli, xv, 64, 5.
avvampare, accendere, xvm, 163, 4.
avvantaggiato, migliore, xxiii, 93, 6.
avvenga che con l'indicat., xvm, 129, 5.
avvenire, provenire, derivare, iv, 61, 5. vili,
9, 8. XX, 45, 3.
avvenire la sorte, u, 76, l.
avvenir fatto, venir fatto, XLV, 74, 7.
avvenirsi a fare una cosa, accader di fare u.
e, XXXII, 45, 5.
avvenne che, avvegna che, xii, 31, 5.
avventura, la fortuna, xlvi, 86, 3.
avventuroso, che offre molte avventure, xlii,
46, 2.
avverbi accordati con sostantivi o agg., v, 18,
7; 54, 5. viii, 67, 1. x, 112, 6. xlii, 4, 5.
avverbi usati come aggettivi, v, 18, 7. xli, 80,
8; 89, 8.
avvertire, avvertisce, xxxv, 39, 6.
avvezzo in, xxiii, 83, 5.
avvisarsi, figurarsi, ii, 66, 7. xvm, 72, 3. xxvi,
70, 3.
avviso, avvedutezza, xi, 53, 4. xx, 119, 6. —
notizia, XLVI, 51, 4.
azione di un costrutto sopra un altro, in, 73,
1. vili, 16, 2. X, 61, 2. XXI, 15, 7.
B
badare, aspettare, xii, 37, 5. xv, 54, 1. xvili,
148, 6. xxiv, 58, 7.
balia, forza, XLVi, 66, 2.
hallador, xix, 44, 1.
banda, della nave, xli, 14, 1. — del raoudo,
XI, 24, 1.
barbaro, barbero, XLV, 71, 1.
barone, uomo di gran qualità, ii, 21, 5. xxxl,
27, 2.
battaglia ordinata, ordine di battaglia, xvm
60, 3.
battere il fianco, ansare, xxii, 87, 4.
battersi la guancia, i, 6, 2.
batter l'ali, andar veloce, xxxviii, 36, 2.
batter le penne, tremolare, o venire, xii, 86 6.
battezzar, battezzarsi, xli, 47, 6.
ben, ma, xxvi, 7, 5.
benché coli' indicat., xvi, 54, 5. xvm, 109, 1.
berzaglio, XL, 25, 4.
biasimevole, che da biasimo, vm, 87, 6.
bica, XXX vi, 76, 1.
birra, custode, xxxvil, 94, 2.
bizzarro, iracondo, xvici, 3, 7.
braccio migliore, il destro, xli, 89, 5. xlvi
139, 2. '
brachilogie, iii, 16, 2; 18, 5. v, 8, 4, 25, 1;
57, 4; 78, 7. xii, 4, 4; 33, 5. xiv, 29. 5. xv/',
17, 1; 73, 7. XVII, 40, 6; 115, 2. xix, 11, 8;
98, 6. XXI, 29, 5. xxiii, 30. xxvii, 104, i.
XXIX, 62, 4. XXX, 12, 8. xxxviii, 3, 1. xxxix,
54, 5. XL, 3, 2. XLI, 28, 1. xlii, 81, 6; 83^
4. XLIV, 87, 1. XLV, 28, 3; 83, 6.
brando per brando, xxxi, 91, 5.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
679
bravo (animale), x, 33, 4.
hreve, piccola lista di carta, xxvii, 45, 1.
huccia, boccio, x, 11, 4.
buffare, xxxix, 56, 6.
buono, forte, xv, 15, 3. xx, 36, 3. xxvii, 14, 1.
xxxn, 84, 5. — propizio, xix, 41, 3.
bussare, xxvii, 29, 1.
busto, tutta la persona, xv, 97, 4. — cadave-
re, XIV, 101, 3.
c
cacciare, andare in cerca, xii, 7, 5. — cavar
fuori, vili, 9, 1.
cacciare una punta, menare un colpo di punta,
XXXVI, 57, 7. — e. uno scontro, xviii, 9, 2.
cacciato, rimoto, xiv, 94, 4.
cadere, accadere, xxxviii, 13, 8. — capitare per
disgrazia, xxxvii, 83, 2. — derivare, xxix,
29, 5. XXXV, 7, 2. — ìpcendere, xxix, 5t, 4.
— venire per avventura, xxiii, 1, 5.
cadere, cadére, xix, 94, 7. xxxii, 79, 5. xliv,
95. 5.
cader della ragione, perdere la propria r., xxx,
64, 4.
cadere in sentimento, cad. in mente, xvii, 109, 8.
cagione, colpa, xxxviii, 87, 5.
calamo, strale, xix, 9, 2.
calare, approdare, xxxix, 31, 4; 35, 4. xlii,
23, 3. — avvicinarsi al porto, xl, 60, 7. —
condurre a seconda, per acqua, xliii, 41, 8.
eaJcare,. deprimere, xxiii, 35, 5.
calce, calcio, (della lancia), xix, 94, 3.
calciar, calzar, xix, 71, 5.
calcitar, XLii, 51, 4.
caldo, bramoso, xxvi, 8, 8.
coWo e gelo, le vicende di questa terra, XLlli,
170, 4.
ealende, mese, xxxiii, 27, 6. — calende e idi,
(mesi interi), xvii, 68, 3.
calumare, xix, 53, 3.
Camaglio, xlt, 83, 2.
cambiamenti di costrutto, xlv, 71, 2.
carni», caramin dritto, xliii, 125, 1 ; 188, 7.
campo franco, xlvt, 58, 3.
campi, terra smossa dei campi, xxxix, 14, 7.
cono, canuta, xxxir, 88, 4.
candidi, schietti, xliv, 4, 8.
canna, zampogna, xiv, 61, 7.
tapace a, ni, 48, 6. xii, 79, 6.
zapace a una cosa, che comprende una cosa,
XII, 79, 6.
capire, comprendere, contenere, lii, 21, 3. ix,
68, 7. XXXIX, 26, 2.
•.apitale (nemico), xvii, 85, 7.
•,apo, persona, xi, 53, 8. — vita, xx, 35, 4,
•.apra, capra selvatica, xxxix, 69, 3.
laprio, VI, 22, 7. xxiv, 13, 4.
•.aracca, xviii, 135, 1.
'.arme, squillo, xxxvi, 29, 5.
:ormi, ni, 15, 3. — iscrizione, xxiv, 57, 5, xxxvi,
42, 3,
carole, canzoni, xl, 65, 5.
caso, supposizione, xxxviir, 60, 5. — avveni-
mento, fatto, XXXI, 107, 4. XLit, f , 2. — pe-
ricolo, xxxvi, 76, 4.
casso, privo, xir, 90, 5. xxxi, 47, 4. — senz'ef-
fetto, XXI, 10, 5.
cataratta, bodola, xlv, 45, 1.
causa, ragione, xliv, 55, 5. xlv, 50, 7.
cava, fossa, xiv, 131, 2.
cavalcare un luogo, percorrerlo a cavallo, x,
35, 4.
cavamenti, fosse, u, 25, 4.
cavo, profondo, xxn, 93, 1.
ceco di voler, ceco di voglia, v, 62, 5.
cedere, pass, cesse, vii, 28, 5. — participio pass.
cesso, xxvii, 111, 2. — passare, xxxiii, 19,
8. — andare, xliv, 45, 4.
celare, perder di vista, ix, 59, 4. xliii, 63, G.
celarsi da, xi, 6, 7. — XLVi, 31, 1.
celebrar balli, xvil, 21, 1.
celeste, che va per il cielo, ii, 5', 2.
Celle, Celti, xli, 2, 3.
cennare, accennare, xiv, 94, 8.
cenni, minacce, xxii, 6), 6. xxvi, 104, 5.
cenno, dimostrazione, xxxviii, 13, 6.
cerchi, macchine da guerra, xiv, 112, 5.
cerchio, spazio, xxiv, 101, 8.
certa a morir, xiii, 27, 1.
certesza, prova certa, v, 37, 5.
cessare, indugiare, xliu, 163, 7. xlv, 94, 7.
che, affiucu., xxiu, 87, 2. — chi, ni, 32, 5; 54,
7. XXVI, 5L'. 6. — cosa che, xlvi, 98, 3. —
cosi che, UT. 74, 3. iv, 49, 2. v, 16, 4. vii,
I, 3. vili, 62, 5. XII, 10, 7. XVI, 14, 6; 20,
6; 29, 7; 49, 8. xvii, 8, 3. xviii, 37, 6. xxiv,
102, 3; 109, 5. xxviii, 18, 7. — fintanto che,
II, 24, 6. XI, 9, 6. XIII, 7, 4. xxnr, 132, 6.
XXV, 2, 4. xxvn, 6, 7. xxxvi, 68, 5. xxxvii,
118, t. — il che, xvn, 82, 8. xix, 72, 4. xxiv,
31, 5. xxviii, 37, 7. XXXIV, 26, 5. xlv, 109,
1. — ma, XLIII, 161, 7. — perché, i, 66, 5.
Ili, 50, 1. IV, 1, 6. V, 16, 5. VI, 11, 3. vii,
10, 3. vili, 89, 6. IX, 19, 5. XI, 38, 5; 53, 6.
XIV, 85, 3. xvr, 64, 4. xvii, 130, 2. xxi, 65,
2. XXIV, 18, 5. xxviii, 23, 4; 31, 3. — poi-
ché, X, 36, 8. xii, 12, 6. xviii, 3, 6; 6, 4 ;
54, 7. xxviii, 51, 4. — quale (interposta
qualche parola fra il che e il sostantivo),
vili, 43, 8. XIII, 3, 7. XXXI, 1,1. — quando,
VI, 58, 8. vu, 2, 7. XV, 63, '3. xvu, 48, 3;
108, 4; 115, 5. xx, 30, 7. xxni, 70, 8. xxvii,
57, 5. XLI, 82, 8. — quando, se (in propo-
sizione coordinata a una temporale o con-
dizionale), IV, 60, 5. V, 4, 5. IX, 31, 5 ; .55,
3. XI, 71, 5. XVII, 5, 7. XIX, 82, 2. xxiii, 74,
5. XXIV, 31, 2; 43, 3. xxx, 1, 3; 89, 3. —
quanto, xxvii, 31, 5. — quanti, xl, 2, 5. —
quale (interrogat.), xxxvii, 74, 7. — quello
che, vili, 89, 8. xx, 129, 6. xxi, 62, 4. xlvi,
98, 3. — questo che, xxxil, 33, 5. — subito
che, XX, 139, 3. xxn, 83, 4. — senza che,
xvni, 25, 4. XXI, 35, 1. — che, deprecativo,
XLi, 6, 6. — relativo finale, xv, 13, 8. —
680
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
col congìunt. nelle proposlz. oggettive, i,
38, 6. H, 12, 4. V, 67, 8. xsix, 17, 7. xxxvii,
22, 2. — ripetuto nelle conclusioni, v, 27,
6. VII, 47, ó. XVI, 29, 3. xxxr, 100, 1. —
dopo propos. negativa, xv, 51, 6. — che,
senza accento, i, 7, 1. m, 6, 6. — senza
prep. nei complementi, vn, 48, 2. xiir, 37,
5. XVI, 88, 4. xviii, 111, 7. xs, 58, 5 ; 63, 7.
XMV, 75, 1. xxvii, 135, 1. — usato alla ma-
niera popolare, i, 65, 5. xx, 63, 7. xxiv, 5,
7; 75, 1.
chtrere, chiedere, iv, 33, 7. xxv, 77, 6.
cheto, di nascosto, v, 42, 5.
cheto, tranquillo nell'animo, ii, 66, '2.
chi riferito a cosa, vii, 60, 2. x, 97, 8. xxviil,
32, 8. xxxii, 38, 8. xxxviii, 13, 8. — che,
XXXV, 80, 2. — che cosa, xix, 56, 7. — co-
loro che, XXVI, 82, 3. xliu, 74, 5; — cosa
che, xxviii, 32, 8. xxxvin, 13, 8; 16, 5. —
cui, II, 20, 8. xnr, 44, 6. — qual (aggett.),
vili, 75, 5. — quella che, xxxvn, 5, 2. —
chi, apostrof. in eh', xvii, 134, 8. xix, 47,
6. xxui, 10, 8; 53, 2. xxxiii, 127, 4. xxxvii,
10, 3. XLv, 98, 5. — riferito a plurale, vi,
61, 8,
chiamar mercede, xxni, 4, 8.
chiamarsi contento da uno, xiv, 62, 5.
chiamarsi, dichiarare, xvni, 66, 3.
chiaro (esser), esser certo, ii, 60, 1.
chiedere, sfidare, xxvi, 71, 8. xlv, 24, 2.
chiesa, con estensione di significato, iii, 21, 1.
chino in una cosa, xix, 44, 5.
chiostro, luogo chiuso, xvii, f7, 5.
chi si vuole, ogni persona, xi/v, 103, 7.
ci o vi, ne, vii, 2, 1. xi, 7, 4. xiii, 21, 4. xvin,
67, 5. — ci, pleonastico, xii, 80, 7. xvin,
67, 5. — complemento di causa, xxvll, 57,
8. — ci, fra noi, xxv, 23, 8.
cimare, tagliar la testa, xvm, 52, 6.
cimitero, tomba, in, 12, 1. xxxv, 44, 3. xxxvii,
84, 3.
cingere, colpire, xix, 85, 6. xxiv, 11, 5.
ciprigna, aggettivo, xlii, 93, 8.
circondare, girare, x, 113, 2. xil, 14, 1. xiv,
106, 1. — far giri di parole, xuu, 119, 1.
citare, chiamare, xx, 83, 3.
citatorie, xiv, 84, 1.
citelli, fanciulli, ix, 37, 6. xv, 72, 7.
clade, XXVI, 15, 7.
claudere, vii, 60, 5.
claustro, luogo chiuso, piazza d'armi, xix, 78,
3. — vaso chiuso, xnv, 21, 7.
co, con, XXVI, 67, 6.
cocchina, xix, 50, 7.
cogliere a uno, xv, 83, 1.
cognome, nomignolo, xxiii, 104, 4.
calcarsi, xi, 42, 4. xxx, 74, 2.
colonnato, ornato di colonne, xxxili, 104, 3.
coltra, coltrice, xxiii, 90, 5.
colubri, arme do' Visconti e di Milano, X[,vi,
94, 4.
combattere, contrastare una cosa con le armi,
xxxx. 106 8,
combattere una cosa contro uno, xxvii, 62, 4 •
74, 8.
combattere una querela, xxvir, 43, 6. ^
come, come se, xxvi, 71, 5. — comunque, xxvi, '
130, 5. — poiché, xxxni, 12], 7. — nel senso-
del lat. quippe, v, 21, 7. vi, 5, 6. ix, 20,;
7. xxxvn, 100, 4. xxxix, 45, 7.
come che, con l'indicat., xviii, 12, 4. xi,i, 92, 7.;
come più, quante pili, viii, 53, 5.
come prima, appeena che, xxxi, 60, 5.
cernere, polire, xxix, 27, 4.
commercio, compagnia, xv, 49, 4. xx, 50, 2.
communemente, in comune, xxxi, 104, 2.
commiinicar, comunicarsi, xiv, 68, 7.
comodo, agg. riferito a persona, xiii, 34, 2.
compagna, compagnia, iv, 39, 6. xviii, 39, 4.
XIX, 88, 6.
comparare, xxxv, 43, 6.
comparativo con l'articolo determinativo, v,
13, 8. VI, 20, 1, 4. X, 49, 2; 58, I.
comparire, far buona mostra, xxxii, 39, 1.
far comparsa, xvii, 30, 1.
comparire, pass. rem. comparse, xvm, 42, 5.
compassi, xi/m, 176, 4.
complemento ripetuto, xvm, 120, 6. xsiii, 104,
8. XXIV, 41, 8; 83, 5. xlv, 85, 8. — compi,
diretto, anteposto all'indiretto, iv, 43, 2. —
compi, dì spazio, xlv, 51, 4.
complessi, abbracciamenti, xxiir, 24, 7. xxxr.
32, 6.
comporre, inventare, v, 30, 3. xrv, 57, 3. —
concordare, xxxvn, 100, 1.
comportare (non) permettere, xxxili, 38, 5.
comportarsi, contenersi, xv, 5), 5.
comprare, procacciarsi con sacrifizio, xxvi, 95, 2.
comprendere, scorgere, xv, 44, 5. xxil, 37, 3.
xxvm, 60, 3.
compreso, appariscente, xv, 74, 4.
conca, urna, in, 22, 5. vn, 37, 3.
concedersi, sottomettersi, xiv, 53, 1.
I concepire, generare, xxxv, 49, 6. xxxvi, 60, 1.
— stabilire, xxxi, 77, 1.
concia, aggiustato, xiv, 72, 6.
concordanza, usi speciali, xii, 10, 4. xiv, 10,
6. xxxv, 24, 3.
concorrer d'' una cosa, accordarsi con uno iu
essa, xvin, 147, 4.
condizione, indole, 3, 77, 4.
condotto (mal), ridotto, xl, 32, 4.
condurre, assoldare, xx, 17, 2.
condurre alla paga, ecc., assoldare, in, 66, C.
condurre che, coud. al punto che, xxxi, 5, 8.
condarsi, andare a combattere, xli, 28, 2.
«o?i esso, con, xxi, 49, 1. xi,, 35, 2.
coìi/etto, confolJurc, x, 37, 4.
conferir, confi'laro, 37, 10.5, 2.
conferir una cose con u'ìo, roiiforir di una cosa
con uno, daritlit-ne notiiia, xliv, 30, 2. xi.vi,
32, 1. — trattare ili ima cosa, XMll, 60, 4.
confidarsi, assicurarsi, xxrii. 89, 3.
confidarsi in se. xxvii, 64, 7.
confine, confini, xix, 86, 2. xxxv, 62, 5. xxxvn,
81, 7. XLI, 51. 7.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
681
confusa (fede), offuscata, xxi, 68, 5.
congiunto, congiunta, marito, moglie, xni, 6?, G.
conoscere, riconoscere, xxvn, 83, 8. XLn, 6G, 7.
XLiF, 96, 8. — conoscersi, xliv, G, 8.
conoscersi una cosa, accorgersene, xxill, 87, 7.
consigliare, consigliarsi, deliberare, xxxi, 49, 5.
consiglio, accorgimento, xxxni, 47, 6. — rime-
dio, XXXI, 64, 6.
consumei-e, consume, xxxv, 15, t. xl, 6. 5. xlv,
37, 8.
contare (di anni), avere, xliii, 13, 4.
conte, leggiadre, xxxn, 83, 3.
contendere, resistere, contrastare, xr.ix, 66, 6.
contesta (veste), fatta, cucita, xliii, 155, 4.
continenze, portamenti, xliii, 108, 4,
conto, insigne, xxxvin, 20, 6.
conto, racconto, xxxvn, 44, 4.
contendere, opporsi, xlvi, 71, 1.
contradire, negare, opporsi, v, 33, 5. xxvn, 26,
8. — impedire, xxvii, 97, 7. xliv, 37, 3.
cantra il giorno, verso levante, xxiii, 8, 8.
contrastare, contrastette, xxxii, 29, 3.
contrastare, opporsi, xvm, 57, 2. xxxvii, 115,
6. — combattere, XLin, 84, 6.
convenire a uno, esser degno di uno, xxxv, 29,
3. — avere conformità, xlv, 81, 7.
convenirsi, concordare, xxv, 74, 5,
consegnare, attaccare, xii, 57, 6.
consistorio, il consesso dei beati, xiv, 100 7.
consonare, parer verosimile, vra, 75, 3.
constringere in un luogo, fare entrare per forza
in un 1., XXVI, 128, 7.
contaminare, subornare, xxi, 40, 7.
conte, conosciute, o anche belle, xn, 74, 5 xx
136, 2. 1)1-;
contendere (non), far difficoltà, xxvi, 28, 8.
coperto, luogo coperto, vin, 81, 7. xv, 45, 2.
copia, opportunità, iv, 13, 4.
coprirsi, nascondersi, sparire, xiju, 126, 5.
coraggio, core, xvin, 32, 4 ; 93, 6. xxvn, 99, 6.
xxxm, 68, 6. xxxvm, 19, 6.
corcarsi, giacere, vm, 51 , 4.
conio dei messaggeri per avvertire i castellani
o altri della loro venuta, i, 68, 2.
corrente (il), la corrente, xxxi, 72, 5,
corrente (strada), frequentata, battuta, xvi, 5, 6.
correr, fare scorrere, xxi, 36, 4.
correre in volta, girare al largo, xv, 52, 3.
correr la lancia, iv, 17, 5. — e. l'asta, iv, 22,
4. XXII, 29, 2. XXVI, 5, 2. - e. l'antenna!
xvin, 87, 6.
corso, corsa, xxiii 60, f,
corte, tribunale, xxvui, 82, 6.
cortese, largo di soccorso, iii, 64, 4.
cosi, molto, X, 7, 2. xxxvn, 37, 4.
costoro, coloro, xxvn, SO, 5.
costrutti popolari, xxi, 28, 1 ; 31, 1.
costrutto cambiato, x, 46, 3. '
costrutto interrotto con una proposiz. incidente
coordinata, ix, 92, 4. xl, 59, 3. xlv, 86 5
costuma, xix, 66, 6. xx, 105, 8. xxn 76 4
xxxvii, 42, 6; 99, 8. ' i •
costumi, buoni costumi, vm, 89, 3. xx 37 2.
Ariosto — Papini
cotta d'armi, xxvir, 52, 5.
coturnici, xliii, 76, 4.
crebro, sposso, xxni, 46, 3. xlh, 47, 3.
credere, affidare, xur, 27, 8. xv, 29,' 5.
credere, coli' indicativo dipendente,' v, 42 b
vili, 64, 4. '
credersi in uno, affidarsi a uno, xiii, 20, 7.
croccare, crocchiare, ni, 8, 5.
crocciare, u, S'J, 4.
crocodih\ xl, 1, 6.
crudo, crudele, x, 107, 2.
cucco, cuculo, xxv, 31, 6.
culto, abitato, xvin, 192, 4.
cura, attenzione, xvui, 122, 5.
curioso, che ha cura di cercare, xxvn, 10 6-
70, 7. ' 1 >
D
da apostrofato in d', v, 10, 5; 54, 3. viu 2 4
IX, 62, 6. XVI, 81, 1. XVII, 114, 6. xxil W
2. xxin, 121, 7. XXIV, 81. 2. xxvn, 75 4-
92, 4. XXVIII, 50, 4; 70, 1. xxx, 21, 2; 52,'
5. — in, VI, 34, 2. — coi numerali, xin, 32,
7. xxxii, 68, 8. — dopo, XXXIX, 58, 1. — iu
espressioni di tempo, vm, 86, 1. xi, 65, 2.
XIX, 78, 1, XXXVII, 28, 4; 87, 7.
da basso e d'alto, al basso e in alto, XLni
137, 8. '
da canto, in disparte, xn, 30, 4. xxv, 79, 3. —
da una parte, xv, 100, 8. xxx, 30, 6.
da cavallo, atto ad andare a cavallo, xliv
102, 4. '
d'adosso, da dosso, i, 66, 6.
da indi in qua che, xxix, 59, S.
da la lunga, xv, 42, 4.
da lontano, termine di moto, xlv 117 2.
d'alto, dall'alto, xv, 70, 5.
damigella, donna maritata, xxii, 50 8.
dannare, danneggiare, xxtv, 65, 4. ' '
dare, pass. rem. de, xx, 105, i.'—'dénno, xvn,
63, 5. xxxiv, 84, 6. xxxvn, 36, 1; 119 8
dare, investire, xxv, 12, 4. xliv, 82, 3. '
dar campo, dare regolar permesso, XLVi, 58. 3.
dar capo, dar principio, xxsvin, 76. 3.
dar chiarezza, dar prova, xv, 96 6.
dar di petto, imbattersi, xliii, 134, 2.
dar di piglio, pigliar le sue carabattole, xvui,
U.&, 3. — predare, xx, 13, 5.
dar disciplina, insegnare, ricordare, x, 32 6
dar d'urto, xvi, 62, 3. xix, 83, 1. xli. 88,' 1.
dare impresa, dare incarico, xxiv, 39, 7.
dare intenzione, dar promessa, vn, 78, 5. xli
dar le vele alle navi, xxxix, 73 7.
dar luogo, dare agio, xxvni, 56, 8.
dar mancia d'una cosa, regalarla, xxn, 29, 6.
dar negozio, dare incarico, xxvn, 15 1.
dare nell'arbitrio, xxvi, 97, 5.
dar nel mezzo, investire, xxv, 12, 4.
dar nel mondo, dare al mondo, xxxvi 61 5.
dare opra, dar materia, xx, 3, 3.
U
682
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
dar rotto, far rompere, far vincere, xvi, 38, 5.
dare spirto, dar fiato, xvil, 54, 7.
darsi dentro, XL, 25, 6. — d. nel mare, xli,
51, 1.
dar vento a trombe e simili, xxxi, 53, 3.
dar volta, tornare indietro, xxv, 91, 6.
da seszo, xi, 13, 3. xvi, 68, 8. xxni, 96, 3. xxvii,
6, 4.
da tempo, nel tempo, xvn, 39, 1. xvui, 17, 4.
Dazia, Danimarca, vi, 16, 5.
dea, di donna mortale, xii, 6, 3; 23, 4. — diva,
XII, 29, 4. XXIV, 83, 2.
debito, dovere, iv, 56, 8. xxxvm, 5, 1.
debito, opportuno, xxvi, 107, 7.
declinare, porre calando, xxxix, 37, 3. XLUi,
189, 4. — piegare, xxxi, 94, 3.
decoro, aggett., xi, 75, 5.
d'effetto, di fatto, xxv, 89, 5. xxviii, 39, 4.
degno col costrutto latino, m, 27, 1. viii, 24,
4. xm, 65, 4. xxvin, 98, 5. xxxv, 7, 4. —
insigne, xxxv, 14, 4.
degno che, col futuro iudicat., xxxiv, 31, 3.
del per di nel compi, di materia, xxv, 37, 3.
XXVI, 93, 8. xxi, 101, 4. XLV, 69, 3. — uso
speciale, xxi, 29, 5.
deliberarsi, iv, 49, 1. xviii, 96, 7.
demonio, in buon senso, xi.ii, G6, 5.
denigrare, render nero, xviii, 3, 4.
dentro da, xxi, 22, 6. xl, 15, 7.
depèndere, si, 40, 8.
deposto, depòsito, vu, 71, 4.
desèrere, deserto, vili, 11, f. XL, 36, 1. — de-
vastare, xxxviu, 39, 8.
despitto, XXX, 79, 4.
destinare, risolvere, xxiii, 91, 5.
destinarsi, destinare, xiil, 10, 4. xxix, 33, 4.
destro, acconcio, xiil, 40, 7. XLH, 21, 5.
devisare, mostrare, xxxvi, 83, 5. xxxvii, 6?, 8.
XLlii, lOn, 5.
di voto, onorato devotamente, xviii, 70, 7.
di, a, xxxvii, 104, 1. — causale, v, 40, 2. x,
39, 6. XII, 46, 5. XIII, 33, 3. xxii, 50, 2. xxiii,
107, 5. xxv, 15, 1. XXVI, 42, 5. xxvii, 85, 5;
94, 6. — da, I, 51, 6. vi, 20, 2. vii, 65, 6.
vili, 16, 2. XI, 23, 1. xviil, 23, 6. xxi, 66, 3.
— di mezzo, xxii, 44, 5. — con, iii, 65, 6.
XXII, 60, 6. xxv, 53, 5 ; 108, 8. xxxi, 67, 2.
— fra, XIX, 77, 6. — in, xxn, 51, 3. — li-
mitativo, VII, 10, 6; 15, 3. X, 68, 1. xxxi,
67, 5. XLI, 71, 2. — per, xiii, 70, 7. xxin,
7, 5,
d'i per di, IH, 66, 1.
dianzi che, d. quando, xxx, 65, 8.
di banda in banda, parte por parto, x, 91, 7.
di botto, subito, XVII, 103, 3. xlv, 63, 8.
di buon cuore, volentieri, x, 64, 6.
di buon osso, robusto, xviii, 100, 4.
dicare, xxviii, 96, 8.
di che, per la qual cosa, xviii, 116, 1. xxi, 35, 3.
dicidere, dire distintamente, viii, 90, 6.
di cor profondo, xxiii, 7, 1.
di corto, poco dopo, i, 63, 3. XI, 77, 1. xxx,
80, 8. XL, 40, 3. — fra breve, xxxviii, 53, 6.
diece, dieci, xi, 51, 3.
dietro, lungo, viii, 35, 2. x, 42, 8. xxiii, 76, 4.
dietro (menarsi), seco, IV, 37, 5.
di fatto, subito, xxvn, 19, 6.
difendere, allontanare, n, 31, 6. xii, 79, 7, —
impedire, n, 34, 6. xiv, 7, 3. xxxi, 63, 2.
— vietare, xxvii, 14, 77, 5, S.
differire a, indugiare a, xi, 83, 7.
diffidarsi d'una cosa, xlv, 78, 8.
di gran tondo, a larghe ruote, vi, 20, 5.
dilettare a uno, xxxvi, 53, 5.
di lunga, xiii, 61, 6.
dimane, mattina, u, 24, 5. vili, 43, 5. xxiv,
104, 6.
dimestici, parenti, xx, 18, 6.
diminuto, scemo, xl, 48, 5.
di molto, molto, ix, 61, 2. xiv, 131, 4. xxviii,
4, 8. XXIX, 19, 7.
dimostrare, mettere in mostra, xv, 50, 2.
dimostrare eff'etto, far prova, xviii, 143, 1.
d'intorno intorno, xviii, 13, 2.
di nuovo, poco fa, xxii, 8, 3.
di par, alla pari, ii, 21, 5. — del pari, xii, 21,
4. XXIV, 42, 5.
di parte in parte, xxvii, 84, 3.
di patto, XII, 43, 8.
di piatto, di nascosto, ix, 73, 5. xxvil, 106, 5.
xxx, 86, 6. XXXVI, 55, 4.
di piatto (aggettivam. ), nascosto, xxx, 86, 6.
xxxn, 79, 4. xxxvi, 55, 4. xxxix, 33, 2.
dipinto, colorato, xiii, 70, 4.
di prima, prima, xxi, 30, 2.
dire, parlare, i, 2, 1. xxvii, 8, 1.
dire a uno, nominarlo, xx, 14, 6.
dire a uno un nome, chiamarlo con quel n.,
xxx, 10, 4.
dir la sua causa, xvii, 129, 6. xviil, 2, 4.
diritti, indirizzati, xm, 83, 6.
disagio, penuria, xxili. 4, 4.
disagi, dissapori o danni, XLVI, 68, 4.
discader, ricadere, tornare, vi, 15, 7.
disciolto, spezzato, ix, 8, 7.
disciplina, pena, vi, 49, 4. xvin, 93, 6. — eser-
citazioni militari, xlvi, 89, 2.
disconcio, positura sconcia, xxix, 65, 2.
discorrere, correre qua e là, xviii, 143, 3, —
esporre, xlv, 55, 5.
discorso, corso, xx, 26, 3. — intelletto, vii, 2,
4. — riflessione, vi, 9, 7. xxvii, 1, 6.
discrescere, decrescere, xviii, 17, 4.
discretamente, accuratamente, xlii, 19, 2.
discreto, assennato, xxiii, 116, 2. xxxv, 22, 5.
disdegnare, muovere a sdegno, xliii, 7, 2.
disdegnarsi, disdegnare, VIU, 7, 8.
disegnare, prender di mira, xxxix, 2, 7. — si-
gnificare, XLII, 81, 5. — descrivere, xi^ii,
76, 5. — mostrar con colori, xvii, 72, 8. —
designare, xviii, 92, 7. xxxix, 2, 7. — fare
assegnamento, xix, 73, 5.
disfatto, morto, XLVi, 46, 4. — violato, xl, 62,
5. — rovinato, xxx, 9, 4.
di sorte, di maniera, Vili, 75, 4. xxvi, 130, 1,
xxxix, 5, 7.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
683
ditpsnsate, fare, xv, 28, 5. xxxii, 60, 2. xxxviii,
88, 6. — impiegare, xv, 78, 3. xvn, 69, 1.
xxviii, 85, 6. XLVi, 89, 1. — toglier l'impe-
dimento, xlvi, 43, 5.
dispergere, divulgare, xx, 3, 4.
di splendor, splendido, xxii, 93, 5.
displicensa, xxxviii, 1, 5.
disposto, risoluto, xviii, 170, 7. xxxi, 18, 5.
XLiv, 52, 1. XLV, 59, 1.
disposto di mal core, v, 86, 3.
disputa, ru, 92, 4.
disserrare, vibrare, iv, 20, 5. xvin, 44, 7.
disserrarsi, scagliarsi, xv, 54, 7. xli, 72, 3.
XLil, 49, 4.
distemprare, guastare, xv, 103, 4.
distinguere, notare distintamente, x, 76, 8.
distinto, fregiato, vii, 3, 2. xxiii, 100, 8.
distrarre, consumare, ix, 48, 6.
distretto, dintorni, ix, 6, 4.
distrett» {in), in prigione, ii, 59, 5. xxii, 40, 6.
dito minuto, d. mignolo, vn, 65, 3.
diverso, strano, ix, 5, 1.
diverso a, xl, 7, 8.
dive, eccellonti, xxxii, 38, 5.
divi, santi, xxxis, 45, 3. — i pianeti, xxiii, 6, 6.
divìdere, render diverso, xii, 14, 8.
divider la pugna, interromperla, xix, 105, 3.
divino, indovino, xl, 9, 3.
divisare, esporre, xix, 59, 5.
diviso, lontano, xvi, 57, 7.
dobla, XLin, 114, 3.
doccia, ruscello, xxiv, 51, 3.
doglia, cosa dolorosa, xi.iii, 154, 8.
dogliuta, xvn, 51 , 4.
doloroso, dolente, xiv, 55, 1.
domanda, la cosa domandata, xxxiv, 27, 2.
domandare alla battaglia, sfidare a b., xxvii,
41, 7.
domestici, i suoi di casa, xxviii, 88, 6.
domestico, consueto, xlii, 25, 2.
donde, riferito a persona, xvi, 7, 5. — per lo
che, XII, 34, 7. ■
dono, dote, qualità, xxxvii, 1, 1.
doppia negazione, xi, 73, 2.
dopo la morte, fino alla morte, xix, 1, 8. xxviii,
16, 8.
dotta, paura, xviii, 159, 3.
dormirsi, xxviii, 17, 5.
dove, laddove, mentre, xiv, 117, 7.
dovere, pres. debbe, vii, 68, 4. — dovérne, xiv,
72, 3.
dovere, (assolut.), esser debitore, xxxi, 42, 6.
XLVI, 3, 3. — credere, xxxui, 5, 3. xxxviii,
60, 8.
dovere, merito, xxix, 2, 2.
drappel, branco, mucchio, xiii, 38, 7.
dritta misura, giusta m. xix, 86, 1.
dritto, mandritto, xvii, 9^, 6.
drizzare a camino, xli, 8, 4.
dna, dui, due, i, 16, 2. in, 60, 7. ix, 69, 7. v,
71, 8. XII, 69, 1. XIII, 75, 6. xxx, 66, 6.
dubbio, dubbioso, temendo, xi, 6, 3.
dubbio, pericolo, xii, 48, 7. xxiii, 53, 4.
duci, duchi, in, 45,1. xiii, 62, 6. xiv, 102, 2.
XVI, 33, 7. XXXIV, 8, 3.
duchea, ducato, vi, 15, 5.
due bòtti (di campana), due tocchi, xxn, 58, 8.
d'un' ora prima, un'ora pr., vili, 18, 8.
duo tante, xl, 7, 7.
duolo, grido di dolore, xi, 83, 4.
durar, contenersi, iv, 8, 7. — rimanere, xliii,
80, 7.
e, anche, xli, 6, 5. — eppure, xlhi, 3, 5. —
ma, xvin, 92, 8. — poiché, xxxiv, 81, 6.
ebìre, xvill, 178, 7.
eccessi, errori eccessivi, XLVi, 102, 8.
ecco, eco, x, 49, 6. xxvii, 117, 3.
effetti, benefici, y, 72, 1. xxxviii, 5, 7. XLlv,
68, 6. — usi, X, 67, 5.
e forse ben, e forse anche, vi, 67, 7.
effetto, efficacia, xix, 22, 4. — fatto, vi, 31, 5.
XXIX, 13, 2. — prova, v, 17, 5; 86, 6. vi,
7, 5. XVIII, 49, 6. xsxvi, 67, 7. — ragione,
XLVI, 113, 8.
egroto, xxi, 25, 3.
el, egli, II, 15, 4. xvn, 126, 8. xs, 135, 1. xxn,
72, 3. xxvn, 7, 1.
eleggere a fare una e. xlvi, 114, 5.
elemeuti, la terra, xvni, 34, 8.
eletta dell'arme, xix, 92, 3.
elisione insolita, xvn, 87, 1.
ella, nei complementi, i, 75, 5. vn, 64, 7. xxiv,
87, 8. XXIX, 31, 4.
empio, molesto, v, 60, 7. — spietato, xiv, 51,
2. XXXV, 15, 7; 22, 4.
emungere, togliere, in, 27, 6. xix, 87, 6. xxiv,
33, 5.
enallage, xxvn, 42, 1.
endiadi, xiv, 36, 5. xvi, 50, 1, xxv, 7, 7. xxxvn,
91, 3.
entrare, usato transit., vni, 85, 1. xiii, 79, 1.
— cacciarsi sotto, xxxix, 48, 4. — termine
di scherma, xlvi, 130, 5.
entrare inanzi, allontanarsi, xxxii, 59, 7. —
e. in ballo, x, 39, 5.
errore, inganno, xxvn, 14, 3.
erto, difficile, xxxix, 77, 6.
esagerazioni e sottigliezze del linguaggio amo-
roso, I, 40, 7 ; 41, 1.
esangue (vita), XLir, 18, 8.
esempio, modello, xi, 22, 3. xxxvn, 119, 5.
esente, perdonato, vi, 16, 2.
eseguire, xxvn, 35, 6.
espedire, preparare, xl, 2i^, 7.
esperire, mostrare a prova, xiv, 58, 7.
esperto, sperimentato, vni, li, 3. xiii, 27, 3.
xviii, 158, 4. XXXVI, 13, 5.
esplicare, esplico, xxxvn, 24, 5.
espressamente, manifestamente, vi, 12, 1. xxiv,
29, 4.
o, chiaro, v, 5, 2. xi, 81, 7. xx, 67, 8.
684
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
xxii, 12, 6. XXV, 16, G. — manifesto, xsvi,
57, 7.
essequie, xxm, 47, 2.
essere — erano, xvm, 157, 2. — èramo, v, 59,
I. xm, 15, 1. — fora per fosse, v, 70, 6. —
fossi per fosse, xxvii, 118, 4. xxxn, IB, 3.
XLin, 162, 6. — fosse per foste, xii, 42, 3.
— seranno, xxvi, 134, 3. — sie per sii, xm,
52, 2. xvn, 42, 7. xxxi, 96, 5. — fussino,
xm, 55, 5. — suto, v, 58, 8. ix, 17, 5. xxiv,
36, 6. XXVI, 123, 8.
essere per avere, xxiv, 40, 4. — consistere, m,
66, 1.
essere altiero a fare una cosa, rifiutarsi di farla,
xxxviii, 77, 8.
essere appresso di fare u. e, esser sul punto
dì f., XXXV, 35, 5.
esser bisogno o a bisogno, xxxvn, 14, 8.
etsf-r caminaio, aver cammin., xxi, 66, 2.
esser capitale, esser delitto capitale, xxxvm,
80, 8.
esser comodo, offrire comodità, vn, 21, 5.
esser condotto, esser pervenuto, vu, 45, 8.
esser confesso, essersi confessato, xiv, 68, 5.
esser contento, volere, xxvii, 76, 3.
esser di momento, IV, 20, 3.
esser diviso da sé stesso, esser fuori di sé, V,
26, 1. xxvn, 131, 5.
essere esperto a una cosa, averne fatto esperi-
mento, xsx, 72, 5.
essere espresso a uno, giungergli a notizia, xliv,
59, 6.
esser forza a fare, xxxi, 14, 2. xxxii, 36, 8.
esser futuro, esser per avvenire, xlvi, 98, 4.
esser grande con uno, essergli caro, v, 30, 4.
essere impresso, aver l'impronta, xvu, 12, 7.
essere in aiuto, venire in a., xl, 63, 6.
essere in detrimento, xxxix, 6, 2.
essere ingordo a una e, xxvi, 113, 5.
essere in infinito, xi, 62, 6.
esser la cosa intera, esser non trattata, xlv,
111, 2.
esser lecito a fare una e, xxm, 21, 4.
esser meglio di fare ujia cosa, xi, 47, 1. xxvir,
75, 8.
esser mistero, esser mestieri, xxm, 25, 5.
essere ordine, essere stabilito, v, 42, 4. xi'i, 11,
3. XXII, 55, 1.
essere oso a, xxvii, 75, 5.
essere pel contrario, xlitt, 87, 4.
essere per uno, essere adatto per uno, xxm, ! far fracasso, fracassare, xxii, 23, 6.
^
estollere, alzare, xsii, f2, 5.
estremo usato alla latina, l, 24, 6. ix, 69, 1.
XXI, 4, 6.
estreme parole, addio, ii, 57, S.
estro, stimolo, xxxm, 79, 4.
età, secolo, xv, 24, 3. — tempo che passa, xxm,
47, 4. — vita, XXXV, 5, 3.
faccia, aspetto delle cose, xxxv, 18, 4.
facile, compiacente, vii, 43, 1.
Falarica, XL, 16, 3.
falda, XXX, 62, 6. — difesa, xxix, 4, 5.
fallare, fallire, vm, 8, 4.
fallare da, uscire, allontanarsi, xxvi, 116, 4.
xxxiv, 50, 6.
fallimento, fallo, xliii, 142, 5.
fallire, falle, xix, 3, 5. XLU, 27, 3. XLlll, 25, 3.
fallire di aver fatto una cosa, f. per aver fatto
u. e, XXX, 77, 4.
fallo, torto, XXXI, 97, 8.
falsare, rompere, xxvi, 124, 5.
famiglia, servitù, xm, 14, 3. xxxiv, 22, 7. xxxv,
68, 2.
fante, servo, xxm, 120, 4.-xxvra, 56, 1.
fare, dire, xx, 42, 6. — lavorare, xxix, 40, 1.
produrre, vm, 27, 5. — raccogliere, ix, 11,
6. — stimare, xxxil, 40, 3. xxxm, 46, 2. —
per altri verbi, xv, 52, 7. xix, 83, 8, xxm,
23, 4. XXIV, 106, 7. xxxiv, 3, 8.
far cavalli, vm, 25, 2.
far chiarezza, da.v prova, xxm, 68, 6.
far commissione, dar comandamento, XLiv, 78,
3. ' — /. concetto, xlv, 27, fi. — copia, ix,
13, 2. XXXVII, 22, 6. — disegno in, xl, 42,
4. _ fine, XLiii, 50, 1. — il pianto, xxxix,
47, 4. — indizio, xvil, 133, 2. xlv, 67, 8
paragone, xl, 79, 7. — partito, xml 114
8. — un colpo, XLii, 56, 8.
far con tino, provarsi con u., xxvi, 5, 1.
far di bisogno, xxni, 14, 8.
far dimora, indugiare, xxvi, 98, 4.
far disegno in, ix, 50, 6. xxv, 37, 1. xxvii, 77, 4.
far dì tutto il resto, IX, 34, 2.
far di uno come piace, xviir, 86, 8.
fare effetto, far cosa commessaci da altri, ix.
13, 8. — raggian;,'ere il fine, v, 53, 4. xxxiv,
34, 6. — far l'effetto, xxxv, 51, 7.
34, 4.
essere poca dimora a, esser poco indugio a,
XXX, 46, 8.
esser presso di fare una cosa, XLn, 104, 4.
essere spogliata (una veste), xxxv, 54, 2.
essere sul vantaggio, aver vantaggio, xxxvm,
64, 4.
esser su uno, dargli la responsabilità, xxxix,
6, 3.
esser tratto, esser finito, xxi, 44, 7,
esso, sé, XXIV, 46, 8.
estenderii^ arrivare, xvin, 35, 5. -
far fretta, fare affrettare, xxx, 54, 7.
fare gli alloggiamenti, alloggiare, vi, 39, 4.
farla a uno, xlii, 56, 4.
far la pubblica ignominia, xvii, 123, 3.
fare l'intenzione, conseguire l'intento, v, 74, 4.
far minore, fare inferiore, xit, 27, 7.
far motto, far cenno, xxii, 70, 8. — far m. che,
dire che, xvii, 103, 5.
far mossa, muoversi, xxxiv, 7, 5.
fare o non fare per uno, essere vantaggioso o
no, XLVT, 128, 7.
far periglio, far prova, xix, 70, 3. xxxix, 5, 5,
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
685
— /. paragone, xxvui, 27, 4. —/.prolesto,
protestare, ix, 31, 6. — /. provvisione, ssvni,
31, 3.
far pigliare uno, far pigliare a uno, ix, 64, 5.
far reo, accusare, vi, 7, 7. — dichiarare col-
pevole, IX, 46, 4.
far ristoro in una cosa, prender riposo nel far-
la, XXXIV, 91, 6.
far ritorno (il sole), riflettere i suoi raggi, x,
35, 5.
fare scala, pigliar porto, ix, 93, 1.
far sentire novella di sé, xia, 1, 5.
far sermone, far parola, xii, 53, 5.
far sospetto, dar sosp., xxxii, 36, 3.
fare stima, far disegno, xvii, 44, 4.
farsi restio di, xxxiv, 27, 5.
farsi taglia, farsi il riscatto, riscattarsi, xxxix,
71, 8.
far trama, far pratiche, xxi, 31, 7.
farvi inimicizia, suscitare inimicizia fra alcune
persone, v, 22, 3.
fare uscire, produrre, xxiv, 2, 2.
fascia dell'alma, corpo, xlv, 58, 5.
fastidio, disprezzo, xx, 110, 7.
fatale, fatata, vi, 52, 2. xv, 79, 4. xvin, 122,
4. XXVI, 83, 6. — proprio di fata, xuii, 98, 1.
fatica, travaglio d'animo, xii, 16, 3.
fattura, malia, xlvi, 120, 5.
fecondo, fecondatore, xvui, 139, 2.
felice, salutifero, xxxviii, 24, 3.
fendere, pass. rem. fesse, xxi, 49, 1.
ferire, colpire, xxvi, 73, 7; 118, 8. — menar
colpi, xvii, 16, 7. — percuotere, u, 76, 3.
sxiv, 67, 7. xxvn, 17, 4. xxxvi, 47, 3.
ferire all'orsa, spirare all' o., xxii, 9, 1.
ferir percosse, xxxni, 81, 5.
fermare, drizzare con la mira, xxii, 67, 3. —
erigere, xxxviu, 76, 8.
fermare il chiodo, fermarsi, xxi, 34, 7. — la \
battaglia, xvi, 74, 6. 1
fermarsi, far proposito, xiii, 27, t ; 53, 5. —
stabilire, li, 65, 5. 1
feroce, fiero, xii, 93, 4. xvi, 30, 4. xviii, 75, 6.
ferri, ancore, xvii, 36, 8. xxxix, 80, 6.
fitere, xvii, 53, 8.
fido, fidente, xxiii, 58, 4.
fièdere, feggia, xlii, 6, 6.
fiero, folto, XXIV, 23, 2.
figere (lat.) trafiggere, xxvi, 35, 7. —fisse, xxvi,
90, 5. XXXV, 1, 4.
figgere, determinare, iii, 12, 8. xxviix, 12, 1.
filza, matassa, xxxiv, 89, 3.
fino a, V, sino a.
\fin allora, fin d'allora, xlvi, 31, 5.
fin ora, fin da ora, xxxvi, 78, 5.
fino l'altro ieri, fino all' a. i., xvii, 66, 5,
fin quel di, xil, 62, 7.
fio, tributo penale, xvii, 41, 5. xxii, 59, 4. xsvii,
27, 2. — tributo feudale, xxxiv, 36, 6. —
tormento, xxvu, 119, 3.
Piordaligi {la), x, 77, 2.
fisso, prefisso, prestabilito, xsvii, 26, 8. — con-
fitto, xLiij,39,4. —trafitto, v,89, 1. xsv, 29, 4.
flagellarsi, darsi pena, n, 2, 5.
flesso, piegato, xxxvin, 41, 6.
flusso, passeggero, xxiv, 89, 3.
foce, imboccatura d'un porto, x, 53, 1.
foco, fiaccola, in, 7, 7.
folta, folla, XVI, 49, 3.
fondere, effondere, xi, 43, 1. — versare, xxv,
80, 1.
formidato, sxsi, 54, 4.
forte, avverso, xxxvii, 94, 6.
fortuito, XXXV, 7, 2.
fortuna, disgrazia, xvii, 25, 6.
fosso, tomba, xxiv, 24, 6.
fra, dopo; riferito al passato, i, 27, 4. x, 64,
7. XI, 19, 1. XX, 38, 1. — sopra, xiii, 6, 5.
fracasso (menare a), i, 72, 7.
' fraccassar, xxxix, 83, 3.
frale, non resistente, xliv, 2, 2.
francesco, francese, ix, 5, 6.
franchezza, libertà, iv, 39, 8.
fregio, onore, xxviii, 1, 5.
fronte, aspetto, xxxix, 4, 3. xlvi, 67, 5. — ar-
dire, XXXV, 55, 6. — figura, xxxix, 4, 3. —
sfrontatezza, xvii, 122, 2.
frascati, coperte di frasche, xvii, 3G, 4.
fraschetta^ xvni, 143, 3.
frettoso, frettoloso, vi, 76, 8.
fromba, xi, 48, 1.
fruire, col complem. diretto, xiii, 14, 8. xxx,
18, 3. XXXIV, 29, 3.
fugace (fiera), xxxix, 10, 1.
fuggire, fuggia, xxiv, 63, 7.
fuggire fare una e, rifuggire da fare u. e,
XXVIII, 81, 5.
fulminando, con la rapidità del fulmiue, vni,
84, 5.
fumi, onori, xxxiv, 78, 6.
fune, maschile, xxi, 1, 1.
funesto, funestato, xxix, 30, 8.
fuoco, (da guerra), xiv, 103, 5. xxxix, 81, 6.
fuori il, fuori del, vi, 17, 6.
fiirere, xvni, 36, 1.
furiare, infuriare, xxvi, 131, 3.
furor, estro, in, 1 , 5.
fusione di più costrutti, iii, 15, 5. v, 80, 6.
xni, 68, 3. XIV, 30, 8. xv, 78, 3. xvm, 25,
3; 47, 1. XX, 54, 2. xxi, 12, 6. xxvi, 11, 3.
xxviii, 44, 1. xxxvii, 43, 5 ; 113, 5. xlv, 40,
1. XLVI, 39, 5.
G
Oade (le), xxsiii, 98, 1.
galeotto, marinaro, viii, 61, 5. x, 44, 7.
gara, inimicizia, xxvin, 2, 4.
gatti (arnesi da guerra), xl, 18, 4.
gavazzare, xxvii, 100, 5.
gelo, grandine, xvin, 142, 5.
genio, xiv, 73, 6.
gente da diletto, xxx, 10, 6.
gente del o di battesmo, cristiani, xxxi, 44, 4.
gentile, generoso, xvui, 22, 3; 66, 8.
686
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
gerundio, corrispondente all'ablativo assoluto
latino, sn, 76, 3. xvil, 133, 8. xix, 16, 6.
sxxv, 68, 6. — gerundio assoluto, xxiii, 5.
8. — ger. per il participio presente, iv, 1,
4. xxiii, 122, 3. xxviii, 15, 6.
gesmini, x, 62, 4.
gesta, i paladini, xlvi, 104, 3.
gesto, atteggiamento, l, 75, 2. — opera, xxxii,
103, B.
gettar sorte, far sortilegi, vii, 39, 6,
getto, lavoro di getto, XLii, 77, 5.
ghirlandarsi, xiv, 38, 4.
glia, certo, xxxvii, 95, 7. xxxvili, 62, 2. — ma,
XXXIX, 33, 1.
già che, già quando, XLlii, 55, 6. — g. fu, xn,
41, 7. xxxvil. 111, 1. — g. gran pezzo, xvu,
116, 2. — g. gran tempo, i, 26, 8. xx, 107,
7. xxii, 8, 2; 48, 6. xxiii, 78, 8. xxv, 57, 2.
xxxiii, 3, 2. — già mai, alcuna volta, xx,
58, 5. — già molti anni, v, 69, 3. xiv, 101,
4. XVI, 10, 5.
giacere, trovarsi, xxxi, 71, 8.
giave, xix, 49, 3.
gielo, frescura, xxiii, 130, 5-
giornata (di cammino), xvit, 18, 4.
giorno, un sol giorno, xxviir, 37, G.
giovare, piacere, xxxvii, 7, 1. XLlv, 8, 8.
giovare a uno di una cosa, essergli vantaggio-
sa, IV, 8, 1.
girare all'orza, xi, 29, 8.
girare, estendersi intorno, xiv, 105, 1.
gir con la corona in testa, xir, 38, 6.
gittar, gittare a terra, xviii, 9, 8.
giugal nodo, xi.ii, 71, 3. xliii, 20, 2.
giumenta, cavalla, xi, 10, 3. xxix, 64, 1.
giungere, colpire, x, 104, 7. xiv, 122, 2. xxiii,
82, 5. xxvni, 53, 3. — spingere, xlii, 37, 1.
giungere alla stretta, IV, 27, 6. — all' occaso,
xxn, U6, 6.
giungere ad amor, congiungere in amor, xi-iv,
4, 2.
giunta, arrivo, xviu, 60, 4.
giuoco, IX, 67, 4. — g. delle cacce, xix, 84, 3.
— di sonaglio, iv, 82, 3.
gli, egli, vu, 75. 7. xviii, 12, 2. xli, 4, 8. —
per glie, xv, 10, 5. xviii, 29, 8; 65, 7 ; 120,
4. XIX, 40, 5. — riferito a femminile, xi,
37, 5. xviii, 110, 7. xxxviu, 43, 1. — contro
di lui, XLII, 48, 4. xLin, 81, 3.
gli è, egli è, avviene, x, lOC, 5. xxi, 8, 2.
gliele, indeclinabile, xi.i, 27, 8. xLii, 50, 3.
godersi, compiacersi, xxxvui, 66, 2.
gonna, veste, xvii, 49, 7.
gorgiera, gola, xxvi, 35, 6.
gorgo, acqua stagnante profonda, xxxv, 6, 4.
governo, timone, xvm, 144, 4.
gradi, condizioni, vii, 62, 8.
grado, congiuntura, v, 28, 8.
gramo, dolente, xxx, 3, 7. — sterile, vi, 54, 3.
— mesto, XII, 6, 4.
granoso, fecondo di grano, xlvi, IH, 3.
grata, benevola, xvm, 1, 7.
grato, benevolo, ix, 21, 7. xiv, 59, 8. xxxiv, 92, 8.
gravare, danneggiare, xxxiu, 81, 8.
gravi (passi), lenti, xiii, 4?, 6.
gremio, fianco, xxiii, 49, 5.
gregge, femminile, xxxii, 64, 4.
gridare a tino, garrirlo, 23, 94, 8.
gridi, narrazione, xvii, 68, 5.
groppo, insidia, vi, 56, 6.
groppo di vento, xvi, 43, 5.
grosso, mal destro, vii, 75, 7.
guancia, dell'elmo, xlvi, 130, 1,
guardare al segno, g. all'effetti, xwii, $5,
— al volto, xxv, 9, 6.
guatare, vedere guardando, iv, 72, 1.
guazzo, l'acque onde uno è molle, vie, iì,
guidardone, v, 72, 5.
H
3 1
i
■
b, omessa in alcune parole, r, 41, 1. vii, 5., 5.
IX, 4, 3; 73, 8. x, 19, 2. xi, 31, 5. xir, n,
2. XIV, 4, 3. XV, 19, 4. xsiri, 87, 6; 114, 7.
ixiv, 12, 5. xxx, 26, 8.
hara, porcila, xliii, 58, 6.
idaspe, aggettivo (idaspee), iii, 36, 3.
idonia, xvii, 130, 1.
Ilia, Ilio, XLVI, 80, 3.
il capo, il principio, ix, 7, 1.
illustre, splendente, ii, lì, 3.
t7 più che, più the, v, 25, 2.
immagini, vili, 14, 7.
immergersi sino agli oinhi in una. cosa, xvm
172, 8.
impacciarsi in o di. iv, 33, 5.
impallidirsi, xxxii, 101, 1.
impedimenti, bagagli, xvi, SI, 1.
impennare, guarnir dì penne, xxxiv, 32, 6.
imperfetto coug. per il coudizionale, xi, 70, 4.;
XV, 101, 8.
impeso, appeso, xvu, 126, 6.
impietà, X, 5, 1.
importanzia, ciò che importa, xxii, 56, 1.
importare, avere importanza, xxxvii, 65, 1. —
apportare, xxx, 34, 7. — portar seco, xxxix,
5. 8.
importuno, di cattivo augurio, xiv, 27, 4. —
sfavorevole, xxxvi, 5, 7.
imposto, apposto, xxi, 45, 6.
imprimere, percuotere, XLVIi 135, 2. — prome-
re, III, 56, 1.
improierarsi, i, 29, 7. x, 32, 6. xxll, 90, 3. XXXI,
95, 5.
improviso, improvvisamente, i, 53, 8. su, 93,
2. XXVII, I, 2.
improviso, sprovveduto, vi, 53, 3.
ili, come, IV, 49, 2. ix, 47, 7. — fra, xix, 81,
6. XXXVI, 35, 8. — per, xxi, 18, 2. xxix, 67,
7. XXXI, 32, 4. XXXIX, 49, 4. xi.ni, 72, 4. —
su, xviii, 4, 4. — verso, v, 12, 5. xLi, 7, 4.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
687
inaccorto, mal accorto, xvi, 61, 5.
inami, iv, 23, 4.
inarrare, implorare, xvii, 61, 5. xxiv, tlO, 5.
impegnar con preghiere, xliii, 182, -t.
inasperare, rendere aspro, xviu, 63, 4.
inasprare, xii, 50, 1.
in bene, in vantaggio, x, 108, 6.
in cambio, in iabaglio, xxv, 30, 2.
in capo, in cima, xiii, 41, 5.
in capo un, in capo a un, xviir, 61, 3.
incarcare, ingiuriare, x, 43, 1. — incarco, xxvii,
11, 8.
incasto, impuro, xxxiv, 64, 5. xxxvi, 73, 8.
inchiesta, ix, 7, 6. xii, 67, 7. xxu, 94, 3.
inchinar l'animo, xi, 17, 7.
incoccarsi (il parlai'), impigliarsi nella bocca,
XLVI, 33, 7.
in collo, al collo, xvii, 35, 8.
incomposta (voce), xxxvii, 70, 7.
incònto, xxviii, 97, 2.
incontrare, fare incontrare, xxi, 9, 8.
incontro di più consonanti, iv, 15, 8.
incontro, scontro, xix, 81, 2.
incudi (maschile), i, 17, 4. xvii, 101, 4. xxu,
67, 1.
indegno, sproporzionato, xxxvii, 93, 6.
indi vicino, xv, 76, 2.
indicativo (usi speciali), in, 23, 1.
indifferente, non differ., xxiii, 111, 8.
in disparte, in altre parti, xxvi, 11, 6. — in
lontananza, xvu, 36, 7.
in dispetto, a dispetto, ix, 42, 2.
indivino, xliii, 118, 6.
indòtto, non informato, v, 56, 5.
indugia, xii, 40, 4. xxu, 64, 6. xxxii, 74, 3.
indugiare di, indugiare a, xlvi, 59, 5. — ind.
uno, trattenei-lo, xi^v, 95, 8.
indugie, xxxvu, 67, 8.
indulgere, concedere benignamente, vi, 1, 6.
XLH, 87, 5.
indur, addur, xvm, 2, 2. — vestire, xxvii,
69, 7.
indur che, xxi, 36, 7. XL, 42, 8.
indurre neW animo, persuadersi, xi, 61, 6.
indursi in amore, XLli, 22, 6.
indulto, propagato, xl, 33, 5.
in effetto, di fatto, xxviii, 17, 7.
in estremo, sommamente, xxi, 13, 4.
infando, xxi, 16, 8.
infante d^onore, si, 62, 1.
infece da inficere, xxxiv, 47, 3.
inferir, significare, xxxvi, 36, 2.
infermare, rendere infermo, xxx, 95, 3.
infermo, debole, xvm, 178, 4. xsxix, 20, 3.
infinito, V. modi.
in frotta, in gran quantità, xxvi, 22, 3.
ingegno, inganno, vi, 38, 7. — senno, xxix, 47,
1. XXXV, 1, 2.
ingegno di fare una cosa, xvil, 1, 6.
inghiozzare, xii, 94, 6.
in grosso, all'ingrosso, molto, xxxviu, 56, 2.
inimicarsi a uno, divenirgli nemico, v, 19, 8.
iniqui, eccessivi, i, 22, 3.
in lito al mare, xvii, 33, 2. xx, 22., 4.
in mezzo un luogo, vi, 23, 8. va, 8, 2 ; 54, 2.
XII, 37, t ; 91, 1. XIV, 50, 1. xvil, 87, 4. xvm,
24, 1. xxvii, 89, 2. — per mezzo un l., xxvi,
13, 6. xxvii, 4, 5.
in modo, tanto, xxvii, 71, 8. xxx vi, 58, 4.
innamorarsi Ì7i u7io, xxxvii, 48, 5.
inondar, scorrere in copia, xxiii, 46, 6.
in piede, fra le unghie, xxix, 10, 4.
in perfezione, a perf., si, 71, 5.
in profondo, ix, 91 , 6.
in quella che, xvm, 6, 1. •
in questo, in questa, xxvi, 126, 1.
in questo mezzo, intanto, xvm, 68, 5.
in ripa un fiume, xiit, 42, 7. xx, 21, 7. xl,
59, 4.
insalare, gettar nel mare, xlii, 89, 2.
insanguinare, sanguinare, xxvn, 20, 7. xlvi,
129, 1.
insanguinarsi di uno, tingersi del sangue di u.,
IV, 14, 1. — Ì7is. in tino, xxxvi, 77, 1.
insembre, insieme, ix, 7, 5.
in servigio, per favore, xii, 41, 2.
insieme, nello stesso modo, xl, 12, 3.
in sino a, xix, 85, 4. V. sino a.
in somma, brevemente, xxxii, 85, 6. xxxvii, 98,
1. — in conclusione, xix, 74, 2. xxiv, 1, 3.
instare, transitivo, xxxi, 70, 2.
instrutto, apparecchiato, xix, 65, 8. xx, 83, 8.
xxxvm, 77, 1. — fornito, xliii, 191, 6. —
ordinato, vi, 44, 6.
instrutto in arme, apparecchiat* a battaglia,
XL, 10, 2.
in su, sopra, vi, 62, 1.
in sua ragione, xm, 35, 4.
il» sua stagion, a suo tempo, xxiv, 80, 5.
insultare a uno, xxi, 30, 8.
insulto, assalto improvviso d'un esercito, xvi,
88, 5. — sommossa, xxvn, 19, 3.
intascare, mettere nello zaino, xvii, 65, 6.
intendere, sentir dire, xiv, 41, 5. xvi, 80, 5.
— volger la mente, xxxvm, 32, 8. — int.
di una cosa, xiv, 85, 6.
intenso, rivolto, xxxvii, 65, 7.
intento, attento, xvm, 94, 7 ; 124, 8. — int.
di, I, 31, 5. XVI, 16, 1.
intercetto, diminuito, xxx, 65, 5.
interdetto, impedito, xx, 117, 8. xxxvi, 4, 5.
intermettere, interrompere, xxv, 1, 7.
intervallo, indugio, xxii, 62, 4.
in terzo, in tre, xxvn, 66, 7.
inteso, conosciuto, xliii, 80, 6. — saputo, xm,
76, 6.
intestina, xvii, 54, 2.
in toga e armati, in pace e in guerra, xm,
71, 6.
intorno cui, vii, 12, 4. — int. il, xiv, 65, 5.
in tutto, assolutamente, xxx, 13, 6.
invasare, mettere in vaso, xxix, 72, 5. xxxvii,
66, 6.
inversioni forzate, ir, 48, 3, 5 ; 55, 5. xii, 65, 6.
XIII, 77, 5. xiv, 26, 1; 51, 4. xv, 29, 6. xvn,
93, 8; 52, 6. xxii, 52, 6. xxm, 10, 1 ; 58, 1.
688
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
XXTI, 70, 3. ssix, 23, 5. xxxni, 9, 5. xxxvni,
10, 6. XLI, 56, 6. XLU, 67, 3. xuv, 63, 5.
invidendo, v, '7, 5.
invidioso, che desta invidia, xliv, 1, 4.
in vista, a vedersi, xxxi, 20, 2.
inviti, offerte, vu, 23, 2.
invito, sfida, xxiii, 85, 2.
in voce, a voce, xvi, 1, 6.
in volta, in giro, xviii, 181, 2.
involto a, I, 12, 8.
involvere, imbrogliare, xiii, 20, 3.
iperhato, xsxvi, 55, 5.
iracondo, adirato, xxvii, 70, 4. xliv, 92, 2.
ire, irò, xliv, 95, 7.
ire, andare in rovina, in perdizione, v, 53, 8.
ire all' occaso, morire, ix, 31, 4.
irondine, xxx, 11, 6.
iscorso, lasciatosi trasportare, xliii, 33, 1.
ismosso, slogato, XLii, 16, 7.
iterata prece, xsxvui, 0, 4.
tvt, indi, XVI, 63, 6.
'l, elio, egli, xni, 3, 8.
V altro, il resto, vii, 51, 8.
labbia (le), volto, xxvin, 25, 5.
la le per glie la, xxxii, 48, 4.
lama, bassura paludosa, vi, 78, 1.
la medesima ora, nello stesso tempo, xx, 102, 5.
lampadi, xxiv, 100, 8.
lampo (maggiore) il sole, xxxi, 50, 7. — luce,
XLV, 68, 7.
lampo di forza, xxvii, 7, 6.
lancia per lancia, xxxvil, 49, 8.
lanfa (acqua), xvii, 19, 6.
larva, xvu, 46, 5. xxxix, 7, 7.
lasciare che, lasciare dopo aver detto che, vui,
29, 7.
lascio, guinzaglio, xxxix, 69, 2.
lassa, guinzaglio, xli, 30, 6.
lassar, aprirsi, xxvi. 111, 7.
lassarsi, sconnettersi, xxvi, IH, 7. xu, 14, 7.
latte tenero, giuncata, xxv, 15, 6.
lavorio, lavoro, xlv, 79, 5.
le per glie, iv, 2, 8. xi, 5, 5.
l' per le, a lei, vii, 35, 8. vin, 39, 5. xni, 54,
4. sx, 4, 2; 108, 2; 128, 8. xxin, 29, 4.
XXVI, 64, 2.
le, suoi usi speciali, xxvn, 99, 8. xxix, 71, 7.
leardo, xix, 77, 1.
leèna, xxxvi, 62, 6.
legge, religione, xii, 59, 6. xiv, 71, 3.
legne, legni, xvii, 10, 6.
Untare, allentare, xliii, 33, 1.
lento, pieghevole, xxix, 54, 5.
letto geniale, v, 2, 6. xlvi, 77, 1,
levare, sollevare, xxiii, 118, 4.
levare assalti, xvii, 81, 4. — il conto, impedire
di fare il conto, xxxi, 79, 7. — le some,
xvni, 97, 5. — l'offese, xix, 70, 5.
levarsi dal lato, tirarsi da parte, vi, 70, 3.
levarsi intorno, levarsi d'intorno, xxv, 58, 1.
li per gli, xiv, 47, 5.
librare, vibrare, XLir, 56, 6.
licenziosa (fiamma), xxvn, 21, 3.
limare, limarsi, XLin, 113, 5.
liquido, limpido, l, 37, 3. xu, 57, 7.
livore, lividore, x, 98, 3.
Uzza, XX vu, 48, 1.
loco, castello, xxn, 52, 2.
lodare di uno, lodarsi di uno, xxviii, 78, i.
loda, XV, 2, 1. SVI, 18, 3. xva, 112, 7.
lode, imprese gloriose, xvi, 55, 4. xxxvii, 2, 2.
logoro, XLHi, 63, 3.
lombi, delle serpi, xin, 38, 6.
longinque, xxxi, 87, 6.
Inci, il lume del sole, xxui, 51, 3. — giorno,
xxxviii, 31, 2.
lue, peste, vu, 4, 6.
lui, a lui, is, 10, 5. sxxiv, 38, 4. — riferito a
cose, xxx, 34, 3. — sé, iv, 6, 3. v, 45, 2.
xvm, 33, 4; 153, 7. xl, 9, 1. xLn, 51, 2.
luminaria, il sole e la luna, xix, 105, 6.
lunghe, indugio, xlvi, 109, 6.
lungo sarà, m, 31, 5.
lungo tratto, per 1. tratto, xvii, 120, 3.
l'un, alcun, xx, 35, 7.
l'un... l'altro con riferimento inverso, i, 28, 5.
— riferito a diversi generi e numeri, xvi,
6, 5. xxxiv, 54, 4.
l'uno... quel, quell'uno, xxvn, 104, 4.
luogo, ufficio, impiego, v, 7, 4.
lustrare, osservare, ni, 2, 3. xxx, 21, 6.
lutto, dolore, xxii, 34, 3.
M
macchinare a uno, contro uno, xxi, 69 5.
mago, magico, xv, 13, 6. xxxi, 5, 5.
mai, sempre, xx, 62, 5. xxxiii, 105, 4. xxxviii,
80, 7. — in senso negativo, xxxi, 109, 6.
Maia, per Mercurio, xxxvil, 17, 3.
mainare, svili, 143, 6.
mai più, mai altra volta, xx, 134, 6. XLin, 160,
3. XLVI, 17, 4. — altra volta (in frase affer-
mativa), XXVI, 45, 4.
mal, non, i, 57, 1. xi, 38, 6. xxiii, 89, 3. xxvn,
25, 3. XXXIX, 2, 6. — in suo danno, xliii,
150, 7. — diflìcilmente, xxvn, 1, 5. — por
nostra sventura, xxxiv, 78, 2.
mal, malo, xxxl, 70, 8.
mal acconcio, malconcio, xxxi, 10, 7.
mal condutlo, mal ridotto, ii, 24, 7.
mal dir, dir villania, xxxvii, 106, 2.
male, malo, iv, 35, 4. xii, 21, 5. xxxvi, 64, 5.
xxxviii, 43, 8.
male, non, v, 19, 3.
malgrado di, a dispetto, o in danno di, xviii, 40,
2. XXVII, 17, 7. xxxiv, 35, 5. xxxvii, 93, 3. —
mal grado, suo malgrado, i, 59, 4. xiii, 16, 3.
malignità, maligno, xxvii, 4, 5.
malvagio, molesto, xxxii, 71, 4. — cielo mal-
vagio, XX XIII, 60, 8.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
689
mancare da uno, dipender da lui che una cosa
avvenga, xxvii, 43, 5. — m. del detto, xlv,
96, 3. — m. del dovere, xvili, 43, 4. — m.
poco di, XLii, 32, 7.
manco, nemmanco, xxxiv, G5, 4.
manco, manchevole, xix, 79, 6. — sinistro, di
cattivo augurio, xiv, 27, 4.
mandar di sella, buttar giù di s., xx, 126, 8.
— m. in terra, xviir. 111, 2.
mangiar per carità, mang. per compiacere amo-
revolmente altrui, xml, 196, 5.
maniere, belle maniere, xx, 37, 2.
maniero (falcone), ii, 50, 3.
manigoldo, carnefice, xxxii, 9, 1.
maraviglioso, maravigliato, x, 90, 7. xxvii, 22,
6. xsxvi, 26, 8. XXXIX, 38, 4.
marca d'oro, xliii, 110, 3.
Marca, paese, xxvir, 129, 6.
marea, parte del mare vicina alla spiaggia, ix,
90, 1.
maremma, spiaggia del mare, xvii, 21, 7.
margine, lido del mare, vi, 23, 7.
Mar maggiore, Ponto Eussino, XLIV, 79, 2.
marziale, atto a guerra, vili, 28, 6.
mascalzone, iv, 69, 7. xiii, 35, 2.
mastro, falconiere, iv, 46, 8. — m. di camera,
XIV, 54, 5.
matina, xvii, 61, 1.
maturamente, prontamente, vili, 25, 4.
matutino, mattino, iv, 10, 6. xvil, 23, 5. xxv,
51, 8. XXXVI, 14, 0.
mazzafrusto, grosso bastone, xxx, 11, 8.
me\ meglio, xxiv, 82, 2.
meditori, XLi, 2, 1.
meglio, più, xxxi, 7G, 3.
mèlo, mela, xi, 22, 6.
menare, cacciarsi avanti, xxxix, 21, 3. — trat-
tare, XXXI, 93, 8.
menare a cerco, raen. in giro, xvi, 24, C. — a
distruzione, xvi, 59, 4. — a straccio, xii,
50, 6, — in volta, aggirare, xxxii, 62, 4. —
a strazio, xviii, 178, 3. — a fracasso, i, 72,
7. — menare i passi, xi, 20, 7.
mente, animo, xiv, 35, 5. — indole, xxiii, 2,4.
— intenzione, xxii, 1, 4.
mentire e mentita, ii, 4, 1. iv, 58, 8. xviii, 85,
4. xxvii, 91, 8.
mentre, finché, vi, 64, 5. xvr, 48, 5. — poiché,
xxx, 13, 5.
Memo, Mincio, xiii, 59, 7.
mercare, acquistare xxm. 80, 8.
mercé e sua costruzione, vii, 35, 7.
meriggie, mezzogiorno, xxix, 57, 1.
Merlino, in, 9, 4. xxvi, 39, 5.
merlo, premio, ii, 16, 3. x, 2, 6. xi, 54, 8. xii, !
63, 7. xvii, 96, 8. — gastigo, xxxii, 92, 3.
— ricompensa, v, 14, 5. xxxiv, 64, 2.
messo d'oro, xii, 8, 3.
mesto, che induce mestizia, xxix, 60, 3.
metalli, trombe, xxxi, 87, 1.
metro, misura, xxix, 68, 3.
mettere, puntare al giuoco, xliii, 66, 7.
mettere a campo, mettere avanti, xxvii, 42, 5.
Ariosto — Papini
[ — m. al fondo, metter da parte, xxviii, 98
2. — in prova d'armi, xxx, 29, 6. — m. in
fracasso, xxiv, 48, 8. — m. per fil di spade,
. xvili, 162, 6. — m. in mare, gettarsi in ma-
1 re, VI, 5, 5. — m. una bòtta, xvi, 63, 6. —
m. un colpo, xviu, 54, 7.
metter forza a un colpo, xvi, 62, 7.
mettersi a camino, xliii, 124, 4. — 71». a una
via, i, 23, 5. — m. per morto, xvii, 10, 4.
— m. a morire, xxxvil, 60, ó.
I mezzi, mezzani, xxii, 34, 7.
mezzo, intervallo, xxxi, 104, 4.
mezzo, mezzano, ix, 49, 1.
I migliore, più buono, xiv, 62, 2.
! miglior braccio, il destro, XLI, 89, 5.
mimmi, XLiv, 33, 6.
mila, migliaia, xxxviii, 57, 1.
minacciare a, xii, 6, 7. xLi, 47, 3.
mine, miniere, xi, 38, 3. XLVi, 136. 2.
mio, favorevole a me, ix, 37, 7. — familiare,
IX, 46, 2.
mirabilmente, miracolosamente, xxxiv, 73, 5.
miracoloso, mirabile, xxvi, 2, 8.
mirando, ammirando, xxxii, 52, 3.
mirUre, considerare, xlv, 24, 2. — scorgere,
xxxvii, 65, 1. — stare a considerare, xliv,
54, 3. — studiare, xlvi, 126, 6. — ammi-
rare, XXVI, 23, 7. — esser preso di mara-
viglia, xxv, 47, 1. — vedere, xii, 8, 8. xiv,
81, 2. — aver riguardo, xxxvi, 22, 1 ; 51,
6. XLiv, 2, 7. — pensare, xxxiii, 114, 7.
mirare assalire, pensare d'assalire, xiv, 105, 3.
mise, mandò, xiii, 83, 3.
misurar con mano, xiv, 36, 6.
modi e loro usi notevoli, i, 4, 6. — indicativo
imperf., per il condizionale, v, 40, 8. xxm,
90, 3. — condizionale per il congiunt., xx,
31, 5. xxxvii, 21, 8. — uso speciale, ui, 63,
8. — congiuntivo, e suoi usi speciali, i, 45,
6. XV, 53, 2. XVI, 1, 7. xix, 12, 2. xxm, 74,
8. XXVII, 98, 3. xxviii, 28, 2. — cong. per
r indicai., 111, 27, 6; 32, 3. iv, 13, 6. v, 67,
8. vili, 84, 1. XVII, 33, 4. — cong. poten-
ziale, XIV, 78, 5. XV, 79, 8. xvi, 10, 7. —
congiunt. alla latina, xxin, 25, 4. — cong.
per l'infinito, i, 38, 6. 11, 12, 4. x, 106, 8.
XII, 14, 7. xui, 54, 2. XIV, 124, 1. xv, 102,
8. XVII, 106, 3. xxm, 93, 8. xxv, 54, 6. —
influito assoluto, xlv, 103, 6. — inf. sto-
rico, XVI, 70 1. XLiu, 136, 7. — inf. per il
congiuntivo, xvii, 46, 1. xxvii, 66, 7. — inf.
usato sostantivam., vi, 19, 5. xii, 65, 5. xxii,
68, 8. — inf. con a per il gerundio, 11, 17,
5. IV, 14, 1. xvm, 36, 6. xxiv, 11, 3.
mogliere, xvili, 53, 7. XXVil, 134, 4. xsviii, 10,
2. xxxviil, 70, 3.
mólcere, carezzare, o incitare, XLin, 34, 5.
molino, aspo, xxxv, 3, 3.
molle (liquore), delicato, che facilmente svani-
sce, xxxiv, 83, 1.
molle, liscio, xi, 68, 2. — agevole, xxvi, 66, 8.
molli (regni) dove è mollezza, xxii, 82, 3.
mollire, io mollo, xxi, 31, 6.
45
690
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
molto, bene, zxiv, 104, 5.
nonacJii, iv, 55, 1.
inondo, gente, iv, 88, 8. xvii, 9, 7. xl, 65, 1
viortaU, che fa tramortire, iir, 67, 5.
morto, ucciso, v, 61, 5.
mossa, rimossa, xvi, 58, 1.
mosso, slogato, i, 66, 2.
mostrare esperienza di sé, dar prova, XL, 24,
4. — 771. segno, dar seguo, xviii, 89, 7.
mota, mossa, xxxviii, 39, 6.
moli superni, le stagioni, x, 63, 6.
mulacchia, xxxv. 13, 3.
milita, pena, xxxvir, 82, 5.
multilustre, xlvi, 91, 6.
muovere, muoversi, ili, 14, 2. vii, 12, 3. xxvi,
75, 8. xxvii, 7, 3. xi,VT, 8, 6.
muover ragioni, xxix, 4, 2.
murato, cinto di mura, vili, 55, 1. — costruito,
III, 67, 1.
muri, mura di una città, xiv, 101, 8. xl, 14,
2. XVII, 120, 1.
murmure, xxxi, 5, 3.
musa, composizione poetica, xx, 1, 2.
inalare i passi, ii, 39, 7. xxxiii, 81, 1. xxxiv,
45, 1. — m. il piede, XLir, 17, 5.
mutar sella, mut. cavalcatura, xi,ii, 70, 4.
N
Naranci, xviii, 138, 3.
naseiuto, xxxii, 13, 7.
nativo, naturale, xxii, 65, 7.
naulo, xLi, 53. 5.
nauta, xv, 68, 8.
navilio, nave, x, 44, 5. xiii, 13, 1. xsiv, 19, 8.
nazione, nascita, xsviii, 21, 8.
ne, pleonastico, xiv, 5, 5. xxiv, 71, 4. xxvii,
10, 1. XXX, 62, 4. XXXI, 83, 8.
ne proclitica collocata irregolarmente, xxviii,
7^>, 7. — ne per vi, xsii, 46, 7.
né, per non, xii, 31, 5. — neppure, ii, 41, 4.
IX, 52, 3. XIX, 97, 2. xxiii, 101, 3. xxvii, 60,
3. xxviii, 41, 7, xxxiii, 29, 5. xlii, 22, 8. —
né anco, né pure, xxvn, 99, 5.
né ben, né pur, xxv, 23, 1.
né... e, nella proposizione principale, xliv,
51, 3.
necessità, morte, vii, 37, 6.
negare, dire di non, xvii. 62, 3. xxvii, 43, 2.
XLV, 23, 8.
negare, vietare, xxv, 7, 6. xlii, 43, 0.
negletto, vilipeso, xxviii, 76, 3.
ne la prima fronte, xii, 88, 5.
né più né meno, nella stessa maniera, iv, 43, 5.
no, non, x, 49, 8. xxii, 9, 6. xxiv, 98, 5. xxx,
38, 2.
nocenle, colpevole, xvii, 60, 4.
nodo corrente, xxxix, 54, 2.
nomade, della Numidia, xviii, 22, 1.
nomi di parentela e loro uso speciale, xvi, 14, 7.
nona, vili, 19, 6.
non... anco, ncppur, xv, 71, 6.
non che, vii, 62, 1. x, 54, 3. xx, 88, 8. xxvi,
132, 6. — non che non, xi, 55, 7.
non è in cui, x, 84, 7.
non essere in una cosa l'onore di uno, xxxviii,
61, 1.
non lasciar di non, xii, 9, 3.
non pur, neppur, xv, 40, 5.
non vedere di, non veder modo di, xxvill, 88, 3.
nota, biasimo, xi., 22, 3.
noli, conoscenti, xl, 12, 3.
notizia, conoscenza, vi, 9, 1. xxiv, 18, 2. xxv,
49, 1. XXXI, 42, 3.
novellamente, poco fa, vii, 18, 1. xxvii, 76, 2.
nulla, per nulla, xi, 54, 1. xxiv, 71, 3.
numi, santi del paradiso, xxxili, 115, 4.
nummi, danari, xxii, 2, 5.
nuotare, essere aflfondato, xxii, 94, 6.
nuotare in un mar di latte, xlv, 13, 1.
nutrice antica, Teti, il mare, xvii, 129, 2. xxxi,
50, 4. XXXII, 4, 4.
0
0, oh, xxv, 81, 7.
obliqarsi, restare obbligato, iii, 71, 2.
occorrenzie, ciò che abbiamo perduto, xxxiv,
81, 6.
occorrere, imbattersi, vili, 3, 8. xxv, 92, 7. —
presentarsi, xv, 94, 6. xxxi, 90, 6. xxxiv,
54, 2. — venire in mente, xri, 44, 5. xxvir,
44, 7.
occulto, occultato, xlii, 95, 8.
o che, Q, IV, 35, 5. v, 1, 2. xxix, 57, 4. xxiv,
81, 6. XXVI, 114, 5.
oda, osi, (osare), xml, 57, 7.
odiosa, che odia, xxxviii, 69, 7, xliv, 5'', 2.
ogni modo, xLiii, 161, 5. xliv, 73, 7. xlv, 89, 2.
ogni poco più, vili, 10, 1. xxx, 14, 7.
ogni tempo, xx, 15, 5.
I olocausto, sacrifizio, vili, 59, 4.
I oltre che col cong., iii, 67, 1. vi, 79, 1. vii, 8,
3. IX, 28, 1. XIV, 127, 2. XXXI, 68, 8.
ombrella, ombra, vi, 21, 6.
I omicidiale, xxi, 27, 3.
oncia, XIV, 72, 2. xvil, 92, 7. xxiv, 101, 7.
onde, in che modo, xviii, 79, 5.
onesto, onorato, xxxvi, 62, 1. — rispettoso,
I XXXVII, 80, 6.
j opimo, insigne, in, 30, 6. xiii, 64, 4.
I opporre, contrapporre, xxxiv, 54, 4.
! opprimere, gelare, xvill, 151, 1.
I oprare, fare, xxix, 16, 3.
i orare a, XLIII, 191, 7.
I ordine, grado, xvi, 25, 8. — patto, ^ku, 79, 3. —
posto militare, xvi, 70, 4. — schiera, xiv,
67, 6.
ordire, cominciare, xxxv, 3, 4. xxxvii, 27, 6.
orezzo, xxiii, 101, 1.
or questo e quando quel, IX, 4, 3.
oscura (morte) ignobile, ix, 47, 3.
oscuro, malinconico, xix, 79, 8. — orribile, xvi,
20, 6.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
691
o aia, o, xxviil, 88, 1.
o sia... o sia, ora... ora, xxvui, 90, 3.
ossa e polpe, la vita, sxvii, 27, 2.
ossedione, xxv, 91, 4.
osservare a uno, mautenergli la promessa, xxr,
43, 1.
osservar cosi, osservar questa cosa, xxii, 54, 4.
oste, ospite, xvii, 71, 3. xxviii, 58, 6. xxxiii,
59, 4. xLii, 97, 1. — esercito in generale,
XL, 21, 6.
ostello, abitazione, vi, 6, 3. — luogo dì riunio-
ne, xxxr, 28, 3.
ottenersi un partito, xx, 5t, 8. xxxviii, 6.i, 2.
ove, quando, xviii, 188, 6. xlt, Gli, 8. — men-
tre, XXXV, 46, 8. XXXVIII, 57, 1. — riferito
a persona, vni, 11,4.
paladini, vii, 20, G.
palafreno, i, 13, 1. xviii, 80, 2.
palchi, piani, xv, 63, 5.
palco, soffitto, xxxni, 104, 6.
patini di razza, arazzi, xLin, 133, 1.
panziera, vi, G6, 4.
paragone, modello, iv, 62, 8. xxiv, 60, 6. xxix,
20, 4. — prova, i, GÌ, 4. xvi, 59, G. xxvi,
20, 3. XLiii, 65, G.
pare, pari, xv, 101, 8. xlv, 53, 8.
parere, parerò opportuno, xxii, 42, 7. xxvir, 75,
4. — parer possibile, xxvii, 75, 4. — appa-
rire, XIV, 98, 2. xxxiii, 21, 1. — costruito
personalmente alla latina, x, 61, 2.
parere un' ora un anno di fare, xxx, 92, 7. —
p. di strano, xiv, 82, 7.
parere che con l'indicat., xxxvi, 14, 3; 42, 5.
XLV, 52, 5,
Pari, Paladini, xxxviii, 79, 5.
parlare, transitivo, xxix, 2, 2. xl, 1, 7.
parte che, xi, 53, 2.
parteciparsi, esser condiviso, xxv, 88, 6.
particelle pronominali omesse, i, 21, 7; 73, 2.
li, 1, 6; 14, G; 52, 3. m, 49, 2; 77, 2. iv,
35, 1. vili, 52, 8. IX, b3, 5. x, 7, 7. xii, 14,
7; 15, 8. xiir, 7, 3; 26, 8. xiv, 26, 7; 37,
4. XV, 55, 6. XVI, 55, 4. xvui, 30, 4; G7, 3 ;
69, 7 ; 162, 8. xxi, 59, 7. xxii, 44, 6. xxiii,
19, 7; G8, 2; 105, 6. xxiv, 2 , 2. xxvi, 64,
6, ecc. ecc. — part. pron. usate irregolar-
mente, XXXV, 42, 8.
particelle pronominali spostate, i, 4, 1 ; 47, 6.
IV, 33, 2; 36, 3. v, 19, 6; 43, 4. vii, 44, 7.
vili, 74, 4. XI, 49, 5. xvi, 61, 6. xvii, 59, 1.
XVIII, 69, 2. sxi, 31, 5. xxm, 3, 3. xxv, 18,
2. xxvii, 41, 4; 76, 3. xxviii, 22, 3. xxix,
41, 6. XXXVI, 47, 5.
particelle pronominali usate irregolarmente,
XXXV, 42, 8.
particelle pleonastiche, ii, 4, 1, 7 ; 25, 8. v, 32,
4.. XVI, 1, 2. XLi, 5, 2; 44, 1. xLni, 119, 4.
XLVi, 8, 6.
participio assol., vii, 64, 6. ix, 32, 1. xvii, 57, 5.
participio usato impersonalmente, v, 58, 5.ix.
32, 1. X, 15, 5. XI, 33, 6; 44, 7; 79, 2. xxiv,
14, 5. XL, 36, 4.
participi scorciati, i, 48, 4. xii, 9, 6. xiv, 36,
4. XVI, 47, 7. xviii, 176, 3. xxiv, 103, 5.
xxv, 26, 8. XXVI, 51, 4. xxviii, 2, 7.
partire, distribuire, xxxviii, 32, 5.
partir contese, XLVi, 74, 4.
passare, andare, n, 19, 1. vii, 25, 4. ix, 40,6.
XXIV, 42, 4.
passe, sparse, vii, 50, 4.
passione, dolore, infermità, xliii, 192, 5.
patimenti, xxiv, 77, 7.
patente, aperto, ix, 81, 5.
paterno, patrio, xxxv, 2, 8.
pausa, riposo, xxvi, 19, 3.
paventoso, che mette paura, ix, 75, 4.
pellegrin (falcone), xix 52, 6.
penna dello scudo, xn, 83, 1. xxii, 84, 1. xvir,
94, 3.
pennati, uccelli, xxni, 12, 5.
pentacolo, iii, 21, G.
pentir, pentirsi, xxxvtii, 72, 8.
per con l'inf. in aiguificato concessivo, v, 72, 7.
XV, 69, 6. xvm, 17, 3. xxvi, 59, 7. xxvii,
26, 7. XXXI, 57, 6. xxxvn, 79, 1. — causale,
X, 35, 2.
I per, come, xxix, 31, 5. — da, xxvi, 41, 5. xxvii,
10), 5. — con, xxiii, 89, 5; 98, 2. — fra,
VI, 62, 1. XII, 7, 3. XIII, 55, 8. xxxix, 76, 1.
— in, xxvii, 37, 6. — per parte, xliv, 86, 5.
per a dietro, xx, 43, 1.
perché, benché, xviii, 150, 1. xxix, 67, 4. xw,
75, 6. XLVI, 8, 6. — che, xxiv, 78, 4. -- per
il quale, vii, GG, 4.
per conto, appuntino, xxvn, 138, 2.
percuotere, percuotere in terra, xxxi, 14, 5.
perder l'impresa d'una cosa, perder la batta-
glia intrapresa per u. e, xxxvii, 113, 8.
perdonanze, indulgenze, xv, 100, 2.
perdonare, far perdonalo, xxxv, 26, 4.
per eccellenza, eccellentemente, xxx, 22, 4
perfetto, fatto, xvm, 31, 4.
per forza e per amore, xxxil, 4, 3.
pergiuro, ix, 52, 5. xxxv, 39, 8. xxxix, 13, 16,
7. XL,u, 25, 6.
perigliarsi, mettersi a pericolo, xx, 89, 1.
periuro, spergiuro, xi, 73, 4.
per lo giusto e per lo dritto, per filo e per se-
gno, V, 33, 1.
però, peranco, xxx, 35, G.
per ogni punto, continuamente, x, 43, 2
perso, XI, 11, 5.
personaggi, specie di rappresentazione, xliv,
34, 7.
persuadere a uno a fare una e, xxviii, 11,4.
XLV, 49, 5.
persuadersi, risolversi, xvii, 134, 6
persutto, xLni, 196, 2.
perienere, XLVi, 103, 4.
per vero, da senno (usato con valore di aggett.),
XXVI, 87, G.
pesta, traccia, xxxv, 56, 7.
692
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
pestare, battere, x, lU, 2. xxxvi, 56, 4.
petto, animo, xlii, 2, 3.
piatirei- gli occhi, XLiii, 168, 1.
piagnersi, lameutarsi, xxxi, 5f, 8.
pianamente, chiaramente, xxvni, 12, 7.
piano, semplicemente, xsvn, 77, 3.
piatanza, xiv, 79, 7.
piatto, nascosto, xi, ;^6, 6. xvn, 57, 6. xix, 27, 2.
piastra e maglia, i, 17, 3. vi, 80, 5.
piazza, luogo per i duelli, xi, 16, 4. — luogo i
in generale, xxxi, 81, 6.
picchi, picconi, ii, 70, 7.
picchiate, xiv, 4^), 7.
piede, (.iiisura), xiv, 130, 1.
pietà, dolore prodf.tto da pietà, xli, 4, 8.
pifara, xliv, 34, 2.
pigliar da gioco, xli, 93, 2.
pigliar del piano, pigliar campo, xxi, 9, 3.
pigliare in, invece di pigliare per, xviii, 161, 4.
più alcuno, alcun altro, xvn, 25, 4. xx, 122, 3.
XXIV, 113, 1. xxvjl, 9, 3; 107, 7, xxxi, 9, !•
^tii, maggiore, vii, 10, 4. viii, 43, 8. xiii, 3, 7.
xxiii, 133, 2. xi>, 37, 1. XLVI, 30, 2.
più, ancor, altra volta, xxxiii, 68, 4. XLUi, 160,
3. — di più, inoltre, xxxiv, 15, 3. xxxvi,
36, 2.
più di due volte, XLiv, 59, 5.
più... e più che, xi, 54, 6.
poco, non, xxx, 65, 3.
poggiare e suoi costrutti, xx, 144, 3.
podestà, xxiii, 66, 1.
polita (guancia) fresca, xxv, 49, 4.
poltra, xxiii, 90, 1.
pondo, importanza, vii, 62, 2.
poppe, poppa, IX, 9, 6. xix, 45, 1.
populari, popolazzo, xxvi, 40, 8.
porgere il foglio bianco, ix, 82, 5.
por meta, por termine, vii, 26, 2.
porre, puon, xxiv, 88, 7. xlvi, 132, 8.
porre, consumare, xix, 91, 4. — dare, xxxi,
23, 6. — deporre, xx, 115, 7. — sbarcare,
xxxix, 74, 5.
porre a sacco (una persona), xxx, 8, 8. — p.
a giacere, xxiv, 13, 6. — p. V orecchia, por-
ger l'or., XLV, 27, 3. — p. mira, p. atten-
zione, xxill, 7, 5. — p. ordine, stabilire, xm,
II, 3. — p. scala, prender porto, xvni, 137,
5. — porre per ragione, xxxii, 28, 5.
porsi cura, darsi pensiero, xxxvni, 73, 8.
porsi o mettersi in avventura, p. o m. al ci-
mento, XXIII, 40, 7. XXVI. 74, 5.
portamenti, abiti, xi. 11, 4. — trattamenti,
XXXVI 74, 4.
portar dubbio, correr pericolo, xxii, 58, 6. —
p. periglio, vii, 46, 3. — p. riverenza, xviii,
123, 2.
por volontà, xx, 46, 5.
posare, riposare, far ripos., xxxi, 50, 2. xliv,
101, 7.
potere — forme irregolari : poi, puoi, xxxvni,
52, 6. XLVI, 106, 2. — panne, ne può, XLiii,
4, 5. — potè, puòte, vni, .52, 4. xvi, 42, 4;
63, 7. XVII, 48, 5 ; 95, 3. xxii, 63, 5; 74, 4.
xxm, 112, 7. XXIV, 26, 5. xxvi, 125, 3. xxxv,
50, 7. — piton, possono, x, 61, 2. xi, 38, I.
xiii, 1, 6. xxxvr. 49, 4. — pon, possono,
XXVI, 102, 6. — potiamo, iv, 7, 5. — poterò,
XIX, 75, 3. — possino, xiv, 66, 6. — possi,
possa, XX, 41, 6. — possendo, ii, 20, 4. v,
24, 3. XIV, 54, 7.
potere, riuscire, xv, 8, 8. xvii, 16, 6.
potere di una persona, xxiil, 30,7. xxiv, ll.i, 2.
pravo, sfavorevole, xl, 19, 5.
precedere, precesse, xiv, 68, 1. XLiii, 155, 1.
precesso, precedente, xxxix, 42, 7.
predire di una cosa, parlarne innanzi, xv, 58, 4.
pregi, lodi, xiii, 57, 6.
pregio, premio, xviii, 77, 8 ; 132, 8. xxx, 67, 4.
premere al cor, xi, 14, 4. xxi, 4, 2. xxiii, 42, 6,
premere a uno, recargli dolore, xxviii, 68, 4.
XLV, 28, 3. — opprimerlo, xvii, 106, 3. xxii,
42, 1. xxv, 66, 5.
prendere, colpire, xxiii, 59, 5. — intraprende-
re, IV, 57, 4. VI, 10, 8. xxvn, 68, 8.
prender nel freno, iv, 43, 1. — nel crine, xxili,
91, 3.
prendere una lite, muovere una 1., xxvi, 107,
7. — p. un bacio, darlo, xxv, 29, 8. — p. un
salto, xviii, 7, 2.
prendere adito, xliv, 9, 4. — compagnia con
uno, XXVII, 76, 2. — conclusione, xxxvii, 93,
4. — la via a un luogo, xxx, 91, 8.
preposizioni omesse dinanzi agli infiniti dipen-
denti, I, 4, 1. Ili, 37, 5; 40, 8; 50, 8; 65,7.
IV, 36, 3; 58, 4. vili, 88, 4. ix, 52, 4. xi, 54,
5. XII, 4, 1 ; 43, 3; 61, 3. xili, 3, 5; 75, 8.
xviii, 125, 5 ; 133, 8; 165, 4. xx, 32, 7. xxii,
28, 1. xxv, 51, 8. XXVII, 6, 6. xxix, 7, 5.
xxx, 50, 2. XXXI, 10, 12. xli, 99, 5 ecc. ecc.
preposizioni omesse per evitare ripetizioni, ii,
73, 3. IV, 53, 8. VI, 31, 6. xvn, 9, 5. xxxi,
38, 7. XXXVII, 65, 6. — omissione della par-
ticella pronominale, xxxvi, 63, 2.
presa, termine di lotta, xlvi, 134, 1.
presente, riferito a tempo futuro o passato, xv,
21, 4.
prestarsi l'opra, lodarsi Bcambiovolmente,
xxxvii, 3, 1.
preterire, passare in silenzio, xxxv, 39, 4. —
passare senza profittare d'una cosa, xliv,
31, 5.
preterire il patto, oltrepassare il termine pat-
tuito, xxx, 86, 4.
prevalersi, avvantaggiarsi, xxii, 15, 4.
prezzo, premio, xvn, 82, 1.
prima, un tempo, x, 95, 4.
prima che, coll'indicat., v, 26, 7. ix, 41, 3. xii,
85, 1. XIX, 42, 1. XXII, 53, 4. xxiii, 96, 6.
XXVI, 14, 4; 91, 3. xxxi, 75, 5.
prima che, più tosto che, xliv, 47, 5. — fuor-
ché, xvui, 32, G.
prima che non, prima che, xix, 8, 3.
Principe d'Anglante, XL, 56, 3.
prò, prode, xliv, 83, 2.
procacciar di u. e, xxviii, 49, 6. xxxii, 99, 5.
procedere, avvenire, xlui, 93, 7-8.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
093
proehì, proci, xxvii, 107, 2.
proclitiche e loro uso, ii, 49, 1.
proda, prua, xv, 31, 8. xviii, 144, 6. — bordo
della nave, x, 49, 4.
produrre, mettere iu mostra, xxvU; 126, 5. —
protrarre, xxix, 21, 1.
profano, empio, xxiv, 84, 6.
progenerare, essere progenitore, xli, 3, 5>
progressi, atti, xxxii, 102, 4.
prolungare, differire, xxvi, 97, 4.
promettere peregrino, xix, 48, 1.
promettersi, ripromettersi, xi.v, 6, 1.
pronome relativo e sua collocazione, iv, 51, 4.
vn, 53, 7.
pronomi pleonastici, i, 65, 3, xiv, 67, 4 ; 74, 3 ,
94, 7.
proposizione incidente coordinata inserita nella
principale, xliii, 113, 5.
proposizione principale inserita nella dipen-
dente, XI, 27, 5. xni, 18, 6. xxxi, 99, 7.
proposizioni relative invece delle finali, xxxviii,
68, 4.
proprio, stesso, xli, 62, 3.
protervo, superbo e ostinato, xvi, 3, 3.
prova, fama di prodezza, xvn, 105, 7. xx, 7, 6.
XL, 54, 2.
provare ciance, non avere in prova che ciance,
v, 38, 6.
proveder d'una cosa, provvedersi d' una cosa,
XXX, 73, 3.
provisto, avvisato, ni, 76, 5. x, 43, 7.
provocarsi, provocare contro di sé, xxiv, 97, 7.
provvedere a uno di una cosa, v, 91, 3. xiv,
8, 1. XXVI, 71, 1. XXXIV, 60, 3.
prudenza, perizia di guerra, xxvi, 47, 3.
punta, puntata, rx, 70, 3. xi, 39, 4. xii, 76, 6.
xvin, 152, 4.
puntellare, pungere, xii, 37, 6.
punto, alcun poco, xxii, 56, 3.
punto, una cosa da nulla, XLiv, 31, 5. — con-
dizione, xLlii, 98, 3.
pur, anche, xviii, 63, 8. — nondimeno, xvi, 82,
4. XXVI, 19, 5. — finalmente, xvn, 88, 6. —
rinforzativo, xxvu, 66, 5.
pure dopo non, neppure, xxviii, 101, 8.
pur finalmente, xxi, 51, 7.
<i
juadro, recinto quadrato, xlii, 74, 7.
qual, qualunque, xviii, 60, 8.
guai volta, qualunque volta, v, 9, 8 ; 24, 5. xvn,
24, 3. xvm, 130, 4. xxxvi, 5, 4.
guando, poiché, i, 18, 3. 67, 8. vii, 70, 3. ix,
9, 3. XI, 50, 5. xn, 29, 5. xni, 50, 3. xix,99,
5. XX, 41, 1. xxiii, 73, 5. XXIV, 111, 6. xxvi,
43, 5. xxvn, 103, 5; 132, 3. xxvin, 83, 6.
xxxu, 3, 5. — sebbene, iv, 31, 7. xvin, 16, 5.
quando pur, se pur, xlv, 104, 2. — quand'an-
che, XXIV, 59, 7. — quando prima, xix, 62, 1.
juantOj aggett. usato avverbialmente, xli, 9,
8; 26, 1.
quanto, per quanto, n, 4, 4, xii, 91, 4. xsi, 72,
4. XXV, 61, 7. — in quanto che, xliii, 114, 7.
quanto, quanto grande, xv, 64, 6.
quanto... che, quanto perché, ni, 50, 1. v, 16, 5,
quantunque, posposto, n, 13, 7. xvi, 4, 7. xxxi.
38, 6. xLn, 95, 1.
quantunque, con l'iudicat., xlv, 56, 5.
quartiero, xxvii, 54, 6.
quasi che, quasi, xxxix, 20, 4.
quattro volte e sei, xn, 13, 1 ; 19, I.
quello, questo, con riferimento inverso, xxvi
26, 4. XXIX, 24, 8.
quel punto, allora, xxxi, 96, 2.
querela, xxvi, 86, 7.
questo, questi, xxiii, 68, 8. xxxi, 90, 2.
j questo quello con riferimento inverso, xxxi, 7, 5.
' qui, riferito a cosa, xxi, 43, 5. — quivi, xxxvn,
60, 6.
1 quietare, lasciare in quiete, xxvi, 133, 3.
quindi, quivi, xxvin, 33, 5.
I quindice, XL, 4, 7.
B
raccogliere, accogliere, vn, 9, 3. xv, 75, 8, xvi,
85, 7. xxn, 53, 2. xxxi, 41, 7. xxxvn, 46, 2.
— comprendere, xxin, 32, 3. — trattenere,
xxvin, 26, 6.
raccogliere all' ordine, riunire in schiera, xvni,
38, 3,
raccogliere il morso, xv, 36, 6.
raccogliere per figliuolo, riconoscere p. f., xliv,
38, 5.
raccordare, ricordare, xxn, 72, 3. xxvi, 17, 1.
XXX, 28, 1. xxxviii, 27, 3. xlii, 14, 1.
ragazzo, servo, xxvin, 55, 5.
raggiunto, congiunto, xlvi, 67, 2.
ragguagliarsi, esser concorde, xxix, 6, 6.
raggiare, essere acceso, xx, 99, 6.
raggiungere, ricongiungere, xix, 87, 4.
ragionare, dire, xv, 63, 2.
ragione, abilità, perizia, xviir, 48, 5. xxxm,
82, 1 ; 87, 1. XLV, 81, 5. — mezzo, xxxni,
87, 1. — conteggio, xiv, 72, 6.
rammentare, essere in mente, xxx, 39, 1.
rampolli, rivi, xxvi. 111, 8.
rdpere, xvn, 46, 6,
rassegnare, riconsegnare, xxvir, 5, 7.
rassettar, assettare, xxm, 18, 3. — porre ad
agio, xxvui, 86, 7.
rassettarsi, accomodarsi (a sedere o simili),
XXXI V, 69, 3.
rassignare, rassegnare, restituire, ix, 91, 5.
xxvn, 5, 7.
rassumere, raccogliere, viil, 71, 3.
rassummare, sommare, xxxvin, 53, 3.
ravvedersi, avvedersi, xxxii, 44, 4. xlv, 78, 1.
redarguire, ribattere, xlvi, 45, 3.
redire, xxxviu, 52, 4.
reggere a uno, resistere contro uno, xlvi, 120, 4.
regio, nobile, xiu, 71, 3. XL, 28, 6, — insigne,
XXXV, 6, 7.
694
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
registrare, porre, Xlìi, 36, 6.
regni, domini, xiv, 6, 7.
relazion di grazie, xxv, 20, 5.
relinquere, xil, 19, 3.
reliquie, armi e vesti lasciate, xxiv, 52, S.
remettere, perdonare, xxxii, 8, 1.
remisBo, xl,i, 7, 5.
rendere, consegnare, xxxv, 63, 5.
render buon conio, far fede, xi,64, 6. — r. frutto,
xsxiv, 21, 7. XLVi, 62, 5. — le cause, v, 4,
5. XLiil, 2, 2. — ragioni, vii, 35, 2.
rendersi a uno, arrendersi, xlvi, 45, 5.
reo, di cattiva qualità, xxxi, 56, 4.
reposto, nascosto, iv, 25, 3.
restare, lasciare, xxxiii, 97, 3. — cessare, xliii,
8(5, 3. — mancare, xxxvi, 56, 6. xl, 81, 5.
— restare di, indugiare a, xxvi, 10, 7.
restare in danno, patir perdita, xviii, 156, 5.
— stare in d., xx, 132, 7.
restare per uno che, Xi.v, 59, 7.
restar poco, mancar poco, xnr, 125, 1. sx,
130, 7.
restauro, ristoro, xl, 12, 5.
restio d'unai cosa, xxxiv, 27, 5. xxsvii, 61, 4.
resto di virtù, restanti virtù, xxvi, 43, 6.
retroguardo, xviir, 41 , 2.
revisto, xn, 19, 1.
rezzo, buio, v, 53, 3. xxxi, 22, 3.
ribelle di, v, 3, 2. ix, 13, 6. xxiii, 103, 6. xxvii,
103, 6. XXXVI, 37, 6.
ribrezzo ultimo, il freddo della morte, xxxi,
104, 6.
ribuffare, xxxix, 3, 4.
riccamar, xli, 30, 3.
riccamo, xxxix, 17, 8.
richiamarsi, lagnarsi, xxxvii, 3), 7.
richiudere, chiuderò, xv, 49, 3.
richiuso, rinchiuso, xvi, 34, 7.
ricogliere, xv, 82, 5.
ricontare, ix, 85, 6. x, 42, 8. xviii, 8, 2. xix,
42, 8.
ricordarsi una cosa, xxii, 20, 5.
ricordo, avvertimento, xxvi, 113, 3. xxvil, 44,
1; 103, 3.
ricovrare, ricuperare, n, 43, 8. viii, 17, 4. xiv,
27, 7. xvii, 94, 2. xxvil, 113, 4.
ridersi, ridere, xxvil, 100, 1 .
ridurre in odio, mettere in odio, sxr, 24, 5.
ridursi che, r. al punto che, xxiii, 120, 5. xxiv,
89, 5, 7. xxv, 31, 7.
riferire grazia, vi, 81, 1. xi, 56, 6.
riferir grazie, xv, 15, 7. xvi, 48, 7.
rifiutare, combattere, xxv, 30, 5.
rifrenato, raffrenato, xliii, 70, 8.
rifrescare, xi, li, 1. xxxii, 26, 5.
riguardare, aver riguardo, xv, 45, 3. — aspet-
tare, xxiii, 96, 2.
rilevarsi, riaversi da una disfatta, xliv, 27, 8.
rimanere, cessare, ii, 24, 1. xiii, 78, 7. xxix,
72, 1. — usato assolutamente, xxxi, 23, 8.
— tardare, xx, 15, 7.
rimanere in forse, rimanere in grande appren-
sione, XLVI, 125, 5.
rimanere stimato, essere st., vii, 1, 4.
rime con monosillabo, i, 43, 6.
rimesso, dimesso, iv, 37, 4.
rimettersi, distogliersi, v, 21, 5.
rio, fiume, xxviii, 20, 5. xxxvii, 19, 6.
rio, dannoso, xvii, 99, 7. xviii, 44, 5. — ritro-
so, xxsiv, 27, 3.
ripa, riva, xiii, 42, 7.
riparare, rimediare, vii, 68, 5.
ripetizioni enfatiche, i, 47, 1. xviir, 48, 3.
ripigliarsi, azzuffarsi di nuovo, xxvi, 113, 6.
risalir, rizzarsi, xlvi, 118, 2. — tornare l' un
contro l'altro, xxvi, 112, 8.
risco, VI, 81, 8. XXIII, 15, 4. xxxi, 23, 4.
riscuotere, liberare, xxiii, 55, 2. xxv, 82, 4.
riserbare, risparmiare, xxxvii, 79, 4.
risforzare, xxxix, 55, 4. xl, 27, 1. xli, 70, 5.
risforzo, xxxix, 55, 4.
risolversi d'uìia cosa, xii, 26, 8.
risonare, ripetere, xxix, 29, 8.
risorgere, farsi avanti di nuovo, xxvii, 109, 1.
rispetto, motivo, vili, 24, 1. xxxiii, 85, 5.
rispiarmare, xxxvil, 10, 6.
ristringersi, raccogliersi a. colloquio, xxxix,
04, 3.
ritegno, riparo, xxi, 26, 3.
rite7iere uno di fare, o di non fare, xxxix, 11,3,
ritenersi, fermarsi, xxv, 7, 6. xxxiv, 4, 3.
rito, religione, xliii, 193, 8. — usanza, xix,
59, 2.
ritornar per anco, rit. per prenderne ancora,
xxxiv, 91, 8.
ritrarre a sanità, sanare, xix, 27, 6.
ritroso da, v, 33, 6.
ritrovare, afferrare, xxxui, 125, 4.
ritrovar sesto, xxili, 85, 1.
riuscir lunge, riuscir lungi dall' intento, xx'\
83, 5.
riva, ripa, xxxvii, 56, t.
rivedere, far la rivista militare, xviii, 103, 7.
rivf.rso, rovescio, xlv, 76, 4.
rodere, rodersi, XLm, 113, 5.
rombi, vili, 14, 7.
romor, rivolta, xxili, 66, 6.
rompere, pass. rem. roppe, xxii, 85, 1, xli, 72, 7,
rotare, trascinar con la ruota, x, 15, 5.
roverso, riverso, xviii, 172, 7.
rubo, rovo, xxix, 54, 6.
rugine, xxxix, 56, 4.
rubare, derubare, xv, 58, 8. xvii, 36, 5. xxxviii,
45, 5,
rumor, resistenza, opposizione, xxiii, 66, 6.
XLVI, 57, 4.
ruote, giravolte, xxili, 122, 5.
llusci, Russi, XI, 49, 2.
s
saccomanno (dare a), xxx, 9, 4. xi-, 11, 8.
sacramento, giuramento, xiv, 43,4. xxiii, 78, 1.
sacro con estensione di significato, ii, 42, 6. ni,
22, 2 ; 74, 8. XII, 80, 7. xxxi:i, 4, 7. — con-
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
695
sacrato cou riti magici, xii, 57, 3. xxii, 94,
6. — che si concilia venerazione, xl,ii, 86, 7.
saga, xxxi, 5, 3.
saggio, consapevole, xxi, 70, 6.
sanguigna (sete), di sangue, xvii', 11, G.
salire^ pass, salse, vi, 41, 4. xi, 80, 7. xv, 83,
6. XXXIII, 90, G. XI.VI, 47, 2.
salive, saltare, viii, G, 3 ; 81, 5. xiii, 3i, 1. xx\ ii,
60, 7. xxxvin, 80, 7. — sollevarsi, xix, óG, 2.
salir di terra, alzarsi, xxxix, 53, 3. — s. in
piedi, XXVI. 61, 1.
salma, carico, x, 25, 4. xv, 80, G. xxx, 14, 1.
salme, corpo, xxxviii, 82, 6.
saltare, levarsi improvvisamente, xm, 15, 5.
xvn, 27, 3.
saltare a piedi, scender da cavallo, xxiv, 19, 1.
salva tua grazia, xxxvi, 76, 7.
sanguigno, insanguinato, xxiv, 86, 1.
santo, XXXVII, 93, 5. — di sacerdote pagano,
XL, 13, 1.
sama, xviii, 27, 5.
sapere, aver senno, xxv, 79, 2. — conoscere,
XXIII, 31, 7. — potere, xxxii, 65, 2.
sapere di una cosa, averne I' odore, xvil, 46, 2.
saper meglio, aver miglior sapore, xvii, 35, 1.
sarpare il ferro, levar l'ancora, xvii, 36, 8.
xvm, 140, 7.
sbarra, riparo in genere, vui, 3, 6. xvii, Gì, 1.
XXIV, 110, 3. XXIX, 41, 2. — steccato, xxvii,
58, 8.
sharragliare, xxvi, 116, 3.
«cario, avaro, xv, 3^, 4. — niauchevolo, xix,
3, 4. — non corrivo, x, 6, 6.
scevro da uno, separato da uno, v, 26, 1.
schena, schiena, x, 57, G. xi, 10, 2.
sehena della spada, xr^, 8?, 2. — ». del mar,
XXII, 9, 7.
schernire, io scherno, xx, 138, 2.
schiera, esercito, xxv, 2, 5.
schietto, liscio, xxxiv, 53, 3.
schiva, ritrosa, xvi, 2, 3.
schivare, difendere, guardare, iii, 68, 1. vi, 30,
8. — resistere, xxii, 66, 6.
schivare a uno, rimuovere da uno, iv, 35, 5.
XVI, 48, 8. xxni. Ilo, 5. — risparmiare, ix, 49,
8. XI, .^6, 6. XII, 34, 5. XVI, 48, xx, 8. 68, 4.
schivare che non, xv, 13, 5.
schivo, schifo, XV, 47, 2. xvil, 52, 8.
sciamilo, xxxi, 38, 3.
sciogliere, salpare, ix, 88, 4. x, 44, 1. xv, 18,
8. XX, 101, 5. xxx, 10, 5. XLI, 7, 8. — scio-
gliersi, salpare, xix, 41, 4. xxxiii, 57, 1.
sciolto, separato, xxvii, 21, 1.
sciugare, xii, 82, 4.
scoccare, fare scoccare, v, 42, 5.
scoglio, scaglia, x, 101, 8. xvii, 11, ó. xxvii,
49, 3.
sconciare, uccider malameuto, xviir, 17G, 8.
sconcordanza dell' agg. predicativo col soggetto,
XXXI, 12, 6. XLii, 82, 3.
sconcordanza del participio, v, 58, 5 ; 80, 6.
VII, 60, 6. XV, 69, 7. xviii, 87, 7. xxi, 44, 7.
XXVI, 34, 8. xxvm, 48, 5. xxix, 32, 3. xxxii,
27, 2; 77, 2; 93, 1. xxxrii, 45, 3. xxxvii, 6,
2. XLii, 87, 5.
sconcordanza del participio colla particella pro-
nominale premessa, xxii, 10, 5 : 66, 2.
scongiuri, giuramenti, v, 32, 5. xxi, 5f>, 2. xxix,
19, 1.
scontare, fare scontare, xxiii, 110, 8.
scontro, colpo scambievole, xvm, 9, 1.
scopare, percuotere con scope, xvm, 92, 8.
scoppio, schioppo, XI, 24, 7. xxii, 21, 4.
scoprire, usato assolutamente, xxiv, 14, 6.
scoprire, scoprirsi, apparire, x, 48, 1. xix, 41,
5 ; 62, 2. — lasciar vedere, xvir, 120, 3.
XKXII, 14, 7.
scorda {non ti), vii, 68, 3.
scordarsi a tino una cosà, xxvii, 137, 8.
scorgere, guidare, XLin, 189, 1.
scorrere, discorrerò, xiv, 79, 1. xxxiv, 62, 1.
— andare avanti, xxix, 25, 5.
scorrere un pericolo, xv, 50, 2. XLV, 3, 5.
scorta, sentinella, viii, 91, 4. xiv, 94, 5.
scorti, reputati, xn, 36, 6.
scorsa, corpo, iv, 34, 4. — apparenza, xxxvii,
59, 5.
scrivere, coscrivere, xm, 83, 4. xxxii, 4, 1.
scudiero, vi, 13, 5.
se col condizionale, xlvi, 42, 1. — deprecativo,
VI, 30, 8. XXXIV, 9, 6. — per vedere se, xii,
87, 6. XVII, 28, 7. — poiché, xvii, 79, 4. —
sebbene, xvi, 2, 4.
se, lui, XII, 66, 6. xvn, 121, 5. xxviii, 40, 5.
— da sé stesso, xxvm, 33, 7. — enclitico
per si, II, 49, 1. xxi, 69, 2. — proclitico per
si, XIX, 26, 3. XL, 61, 4. XLi, 8, 2.
se bene, cou l' indicai., xvi, 2, 3. xvm, 67, 1.
seco, come lui, xvi, 13, 6.
secondare la via, seguitare a andare, xxxiii,
88, 4.
secondo, fatta ragione, tenuto conto di, xli,
60, 1.
secolo, tempo, xxvi, 39, 4.
secure, scure, xxili, 121, 1.
se forse, se mai, ni, 68, 1. xx, 117, 3. xxxiii,
73, 7.
segnar, mirare, xvi, 4'i, 1. xxi, 10, 1. xxiv,
104, 8. XXVI, 73, 5. xxx, 07, 2.
segnato, determinato, xi, 15, 6. xii, 1, 6.
segni o caratteri, ni, 15, 3. — bandiere, xv,
23, 1. XXXV, 2, 6. — insegne, xliii, 178, 8.
— contrassegni, xlvi, 17, 5.
seguo, insegna, xv, 23, 1. xvill, 157, 1. — pro-
va, V, 31, 2. XII, 68, 8. — portamento, xli,
52, 7. — statua, xi,u, 81, 1 ; 95, 2. — veu
detta, XLii. 25, 7. — punto ove si mira,
XXIV, 101, 1.
seguire, continuare, xvm, 8, 3. — inseguire,
xvm, 191, 6. — mettersi in cammino, ir,
24, 1. XIX, 4, 2. xxiii, 74, 1. — avere ef-
fetto, XLV, 43, 4. — eseguire, XLiv, 24, 7.
seguire a uno, continuare a dirijll, li, 76, 8.
XXXI, 79, 3.
seguirsi, avvenire, xliii, 127, 4.
seguitare, sfilare, xlui, 175, 3.
696
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
seguitar la vittoria, xxsiv, 36, 1.
Selandia, Seeland, ix, 23, 1.
selwiggio, crudele, xsii, 34, 6.
selve, paesi selvoai, xvili, 21, 1.
templice, innocente, xxx, 24, 1.
$empre, quando uno vuole, x, 50, s.
sempre che, purché; o anche: ogni vulta che,
XXVI, 96, 3.
sempre che... più, xxiv, 32, 1.
sempre mai che, xlv, 48, 6.
se non, fuorché, xviii, 84, 7. xxviil, 42, 1. XLin,
13, 6. — se no, x, 49, 8. xxii, 9, 6.
se non, se non che, xxx, 44, 1.
se non che, se non fosse stato che, xxi, 42, 5.
XXIV, 6, 8; 65, 1. xlvi, 117, 1.
sentieri, viaggi, cammino, xii, 11, 6.
sentiero, viaggio, iv, 5, 4. xii, 11, 6. xiv, 91,
6. XV, 16, 8. xxvni, 74, 5. — venuta, i,
60, 6.
sentir, aver notizie, vi, 10, 2. xxv, 46, 7. xlvi,
20, 6. — accorgersi, xx, 18, 8. — conoscere,
XXXVI, 61, 3.
sentire a fare, xsiv, 49, 6.
senza, sen^a bisogno di, xxx, 50, 7.
senza, seguito dall'infinito per senza che e il
cong., >, 19, 7. XXI, 37, 8.
senza nome, ignobile, xvi, 75, 5.
sequestrare, far prigioniero, xvi, 69, 5.
seguitare, xxi, 66, 1.
serbare, avure avuto, xli, 93, 1.
serbar fuori, eccettuare, xxviii, 78, 5.
serbare a fare lina cosa, aspettare, xxxii, 19, 4.
aergente, xiv, 54, 5. xxvil, 110, 7.
serrare un yugno, assestarlo, xxx, 7, 7.
serrarsi, lìuire (Io stipendio militare), xx, 17, 3.
se sai, quanlo è possibile, iv, 34, 6.
setta, roligioue, m, 76, 7. xxsviii, 81, 3. — se-
guaci, xvii, 115, 4. XI,, 64, 4.
sezzaio, xlv, 100, 7.
sfogare il caie di, vuotarlo, xxviii, 47, 3.
sgombrare, fu;gire, xvii, 58, 3.
sgrignnto, gobbo, xxviii, 35, 5.
si, avverbio; suoi usi speciali, i, 50, 8. x, 7,
2. XVI, 43, 4. xxviii, 23, 2. xxxviii, 61, 5.
XXXIX, 11, 2. — davvero, xxviii, 23, 2.
si,, per sé, per comodo suo, x, 60, 4. — seco,
XI, 61, 3. — gli, XV, 38, 6. — uso speciale,
I, 50, 8.
sia, in espressioni speciali, vi, 11, 1.
signozzi, xil, 94, 2.
sillessi, IV, 18, 7. vii, 41, 8. xiii, 79, 3. xx, 15,
8. XXI, 15, 4. xxiii, 107, 8. XXVII, 15, 3. xxviir,
33, 5. XXXIV, 3, 5. XLI, 29, 8. xliv, 8, 2;
47, 7.
silopo, XXI, 59, 4.
ti meno, xxxix, 60, 4.
sincera, tutta buona, xxv, 87, 8.
sino a. II, 28, 8. ix, 6, 6. xiii, 28, 6. xvii, 43,
8. xxvil, 19, 8. xxx, 83, 2. xxxvii, 111, 5.
XLi, 41, 8.
si... quanto, invece di si... come, iii, 49, 7.
si tosto appena, xvii, 135, 1.
sitire, xml, 109, 5.
slungarsi, dilungarsi, allontanarsi, xi, 15, 3»
XXII, 21, 7.
smagliare il core, xxxv, 80, 6.
smallare, coprire, xxxi, 72, 6.
smerlo (uccello), xii, 84, 6.
smontare, discendere dai monti, xir, 41, 6.
XLiii, 149, 2.
soccorrere, venire in mente, xxm, 123, 1.
soccorso sia, impersonalmente, xxvi, 68, 2.
soffollo, sorretto, xxxv, 9, 5.
soffrire, osare, xxxiv, 64, 6.
soggiornare, indugiare, xxvi, 66, 1 ; 120, 3.
xxxii, 10, 6.
soggiorno, indugio, vili, 88, 2. xxv, 81, 3.
soggiungere, seguito da un gerundio, continua-
re, XXIV, 33, 1.
sola di tutte, vii, 10, 7.
solco, riga rilevata di polvere, xxvii, 24, 2.
sole, giorno, x, 62, 5.
sollazzare, sollazzarsi, xxx, 10, 6.
soma, (misura), xxxviii, 83, 5.
sommergersi, cadere in oblio, 20, 3, 6.
soave (passo) pari, xix, 81, 1. xxxi, 88, 4,
somma, buona quantità, xliii, 90, 6.
sonar raccolta, xvui, 158, 8. xliv, 94, 2.
sontuoso, magnifico, xxxviii, 77, 7.
sopjyressi, sommessi, xviii, 164, 4.
sopra, con valore d'aggettivo, x, 93, 5.
sopra, oltre, xxvir, 87, 8. xxxvill, 28, 3. xlii,
78, 1. — più, XXXI, 5, 7.
soprapetto, xix, 82, 3.
sopraveste, vi, 13, 3.
sorgere, gettar l'ancore, iv, 51, 5. x, 16, 7. xi,
30, 5. xviii, 75, 3; 137, 5. xix, 51, 2. xx,
101, 1. XL, 10, 7,
sorbire, assorbire, XL, 8, 7.
snro, xxx, 41, 5.
sorte, condizione, iv, 59, 2. xvii, 33, 8. — ma-
niera, VII, 4, 7. vili, 75, 4. X, 41, 4. xxxi,
94, 6. XXXVII, 41', 4. — qualità, xx, 44, 5.
— valore, v, 17, 6. — specie, vi, 39, 6.
sortire, toccare in sorte, xiv, 70, 5.
sortire una cosa, destinarla, xiv, 23. 3.
sortita, sorteggiata, xix, 74, 1. xxx, 21, 3.
sospingere, spingere a basso, xli, 50, 4.
sospirar V offese, piangerne, xxviil, 85, 5.
sottigliezze amorose, l, 41, 1. xxx, 79. xliv,
41, 1.
sottrarre il conto, fare il e, xxiii, 62, 1.
sovrano, che sta sopra, xxvii, 79, 6.
sovrastare, indugiare, xviii, 57, 4.
souuenire, richiamare a mente, xxix, 59, 1.
sozio, xxvii, 15, 3. XLIV, 26, 5.
sozzopra, xiv, 128, 8. xviil, 182, 8. xxvu, 19,
2. XXXIX, 9, 3.
spacciarli, affrettare, xxiii, 61, 5.
spalmata (galea), xiii, 14, 1. xxxiii, 95, 6.
spandere, spandersi, xxxiv, 71, 6.
spander preghi, xLii, 33, 5.
spargere uno di fiori, XLVI, 85, 6.
spargere un luogo di, xxv, 93, 6.
spargersi in fuga, xxv, 12, 5.
I sparrare, xxx, 35, 8.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
697
spazio, tempo, xxxvi, 39, 1.
spaziosa in quadro, quadrata, xiii, 37, 2.
specchiarsi, guardare, xxi, 7, 1.
specchio, esempio, xvi, 18, 8.
speglio, esempio, xiv. 9, 3.
spendere uno, giovarsi di lui, xi, 8, 6.
sperare, temere, xui, 3, 3.
sperarsi, v, 20, 3. xiii, 28, 2. xxiv, 68, 8. xxvi,
108, 7. XXIX, 55, 3. xxxii, 16, 3. xxxiv, 23, 0.
spere (termine marinaresco), xix, 53, 2.
spettacoli, in significato speciale, xliv, 33, S.
spia, indizio, vii, 34, 8. vili, S8, 7. ix, 14, 8.
xu, 25, 2. xvm, 71, 4; 96, 6. xsiii, 100, 4.
spiare, ricercare diligentemente, xliii, 130, 6.
spiegare il foglio, dichiarare le cose, xxxi, 16, 8.
spingere, cacciare, xxiv, 32, 8. xxvu, 126, 1.
XLil, 23, 7. — allontanare, xxx, 17, 4.
spinto, cacciato, xlii, 23, 7.
spiraglio, apertura, xxxiv, 4, 5.
spirare, respirare, xxvi, 30, 7.
spirare il fiato, xliii, 108, 8.
spiriate, che conversa con gli spiriti, iil, 61, 8.
spoglio, spoglia, xvii, 57, 1.
sporto, xxxn, 107, t.
sprezzarsi, trascurarsi nella persona, xxxix,
45, 7.
squadrare, descrivere con precisione, xlvi,
92, 4.
stahilire, comporre stabilmente, xxix, 32, 5.
staccare, interrompere, xviu, 161, 8.
staffeggiare, xvn, 100, 8.
stagione, tempo in cui una cosa è alla sua per-
fezione, XI, 68, 7. XXIV, 80, 5.
stagion novella, ix, 7, 8.
stampare, fare in un momento, xvili, 163, S. —
produrre, xvi, 57, 4.
stanza, abitazione, xiii, 51, 2. — un luogo qua-
lunque, xxx, 26, 6. — regno, xviii, 131, 4.
— stanze, alloggiamenti, xill, 80, 4.
stare, istea, ix, 90, 5.
slare alla bilancia, stare alla pari, xxxi, 67, 6.
— si. al segno, vili, 63, 6. xxvi, 103, 5. xliii,
75, 6. — st, sull'ale, esser sul punto, xxvi,
4, 2.
stare di fare una e, restare di f. u. e, xxxiv,
6, 8.
star sorto, star sull'ancore, xxxvii, 54, 6.
starsi per uno di fare una e, lasciarsi di farla
per causa sua, xxvi, 114, 3.
stato, dominio, vi, 3, 1.
statuire (un altare), inalzarlo, xxxviii, 82, 1.
stelo, albero, vili, 20, 7. xi, 65, 6.
stemprare, guastare, xil!, 20, 3.
ttilo, stile, modo di fare, x, 5G, 2. xxxvii, 45, 2.
stimare, comprendere, xxxv, 73, 1. xlii, 65, 5.
— curare, xv, 46, 5. xvii, 10, 5. — indovi-
nare, xxxv, 73, 1. XLII, 65, 5.
stimare in duhbio, dubitare, xxxi, 103, 4.
stimarsi, stimare, xxviii, 25, 1.
stimuloso, XL, 67, 2.
stizzone, xin, 35, 6.
«tocco, spada, xvm, 46, 180. xli, 72, 8.
stolto, stordito, xix, 95, 6.
Abiosto — Papini
strada, cammino, xliii, 51, 8.
strana (cosa), cosa non da amici, xxvi, 91, 6.
stretto, sforzato, xxviii, 86, 5.
stringersi a, accingersi a, xxxiv, 18, 6.
stupendo, che produce un pauroso stupore,
XXXI, 63, 6.
sua, sue, xix, 98, 6.
suadere, forma e costrutto lat., m, 10, 7; 61, 3
subitano (veleno), che opera subito, xxxvn
66, 5.
sublimare, elevare, iv, 12, 3. xli, 3, 7. — cu
lebrare, xxxii, 56, 6. xxxviu, 27, 8. — al
zare sopra ogni altro, xliv, 47, 3.
succedere, passare, XLV, 65, 4. xlvi, 83, 3. —
riuscire a bene, ii, 22, 6. x, 57, 6. xil, 44,
8. XX, 74, 1. XXV, 10, 3; 50, 5. xxxix, 53,
8. — derivare, xvm, 3, i. — scaturire, xiv,
50, 5. XX, 58, 4.
successo, caso, v, 58, 4. — séguito, xxvi, 6S,
5. — cose avvenute, v, 4, 3. xlvi, 103, 2.
sudar, trasudare, venir fuori, xlii, 92, 8.
suffoUo, sorretto, xiv, 50, 3.
suffumigi, lu, 15, 3.
suggelli, vili, 14, 7.
suo, loro, XIII, 40, 3. xx, 27, 4. xxvi, 79, 7.
XXXVI, 24, 6.
superlativo relativo senza articolo, vìi, 69, 5.
vili, 67, 4.
superbo, aspro, xix, 94, 4. xxvl, 82, 2.
superno, il più alto, ii, 70, 1.
supino, rivolto in su, xiv, 61, 5. xxvu, 28, 3.
supplicare a, xvui, 127, 3. xxiv, 71, 7.
supplire, bastare, xxvu, 32, 2,
«urgere, scaturire, vi, 21, 1.
tagliar colpi, xxiil, 58, 3.
taglio, colpo di taglio, xvii, 84, 4.
tal, alcuno, xix, 2, 2.
talpe, talpa, xxxiii, 18, 7.
tamburini, x, 71, 3.
tanl' altri, altrettanti, xxii, 52, 6.
tanto, tanto grande, xvii, 102, 2.
tanto, altrettanto, xxxviii, 4, 2 ; 51 , 7. — al-
trettante volte, xxxvni, 59, 2.
tanto, aggettivo usato avverbialmente, xli,
26, 1.
tanto che, finché, xxxiv, 4, 3. xxxvi, 81, 3.
XLVI, 48, 3.
tardare, con l'ausiliare essere, xxxi, 41, 6.
tardare, trattenere, xui, 49, 7. xvm, 25, 6. —
render vano, xlv, 68, 4.
tardi, tardo (agg.), xvm, 116, 2. xxxiil, 61, ^.
tardi o per tempo, xxiii, 1,5. — tardi o più
tosto, xxxvn, 115, 2.
Tarracone, Tarragonese, xxix, 51, 4.
Tarro, Taro, xvii, 4, 8.
tasca, per riporvi i plichi, gli avvisi ecc. I.;i
portavano i messaggeri, i, 68, 2.
teeo, presso di te, i, 52, 6.
tèlo, archibugio, xi, 22, 2.
46
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
tèma, esempio, xxxvii, 5-J, 1.
temerai, u, 71, 7. xxu, 46, 8.
tempesta, grandine, xliii, 155, 6.
tempestare, tormentare, xlv, 73, 7.
tempi: passaggio da un tempo a un altro, i,
81, 3. IV, 28, 4. vili, 52, 4. si, 74, 1. xii,
45, 1. XXIV, 68, 3 ecc. — imperf. ind. per
il trap. press., iv, 20, 8. xiv, 1, 8. — im-
perf. cong. per il pass., xx, 102, 3. — im-
perf. indie, per il condiz. pass., v, 40, 8.
— inip. cong. per il condiz., xv, 101, 8. —
presente per il fut. anter., iii, 74, 1. xiii,
51, 1. — pres. per il fut., xvi, 36, 3. —
passato rem. per il trapass, rem., xiii, 74,
1. xviii, 95, 5. — trap. rem. per il pass,
rem., in, 14, 2. iv, 5, 5. xxu, 16, 6. xxiil,
85, 6. — futuro che indica un certo riserbo,
XXXI, 16, 4. XLVi, 6, 5. — perfetto storico,
xxvii, 52, 2.
tempo, occasione, xviii, 75, 4. xxxviii, 47, 1.
temprare, regolare, xiv, 91, 5.
tempre, congegno, xxii, 25, 8. — maniere, xui,
20, 5. — sfere, m, 44, 8.
tèndere, stare attendato, x.\x, 15, 7.
tenere, ritenere, xxiii, 65, 3. xxv, 82, 5.
tenere a ciancia, tenere a bada, xli, 49, 5. —
ten, corto, xlvi, 131, 3. — ten. lungo o in
lunga, xx, 45, 4. xxxi, 18, 1. — ten. il par-
lare, XVIII, 174, 1. — ten. in bando di sé,
XII, 20, 4. — tener modo, fare in modo, xviu,
83, 1. XX, 54, 7.
tenere che uno non fa una cosa, trattenerlo del
farla, xx, 70, 5.
tenere di, trattenere da, xx, 113, 4. xxxii, 35, 4.
tenersi d'una cosa, xxxvii, 103, 4.
tenitoro, territorio, iv, 55, 6. xx, 9, 2.
tenore, notizia, xxxi, 105, 5. xlii, 35, 5.
terminato, determinato, xiii, 13, 2. xxxviii, 76,
3. XLV, 61, 1.
terminazione in no invece che in mo della 1*
per*, plur. dei verbi, i, 19, 8. v, 40, 2. ix,
43, 8. xni, 16, 3. xvii, .55, 2. xviii, 83, 8.
XIX, 101, 7 ecc. — imo ed emo, per forno
nella 1' pers. plur. pres. indie. 2' e 3' con.,
VI, 37, 7. XIII, 19, 5. xvu, 27, 7. xxviu, 76,
6. XLUi, 98, 3 ; 100, 3. — e per i 1* pers.
pass. rem. indie, u, 41, 5. xl, 3, 1. — éno
per ono, 3' pers. plur. pres. della 2* e 3'
couiug., xxxvi, 40, 3. xxxvn, 97, 1. xxxix,
8, 1. — éno o iéno, 3' pers. plur. imp. in-
die. 2' con., X, 22, 8. xvi, 58, 8. — ono per
ano 8' pers. plur. imperf. indie. 1' coniug ,
xviii, 157, 2. — eno per ero, 3' pers. plur.
pass. rem. indie. 2' con., xxiii, 82, 7. xxiv,
18, 2. XXXI, 50, 6. XXXV, 80, 6. xxxvii, 119,
2. — òro e òrìio per arano, 3' pers. plur.
pass. rem. indie. 1' couiug., xviii, 162, 5.
xxvii, 47, 6. XL, 12, 6. — e per i, sing.
pres. cong. 1' coniug., xiii, 10, 3. xvii, 49,
6. — t per o pres. cong. sing,, 2' e 3* co-
niug.. Ili, 17, 4. IV, 56, 5. x, 48, 6. xi, 8, 7.
XIII, 48, 6. XV, 86, 5. XIX, 102, 3. xxxvi, 32,
6. XXXVIII, 40, 4. XLV, 42, 2 ; 84, 2. — e per
i, 2* pers. sing. pres. cong. 1* con., xdvi,
96, 7. — e per i, l'è 2* pers. sing. imperf.
cong., XXXI, 12, 7. xxxiii, 94, 6. xxxvili, 49,
2. XLVI, 41, 2. — i per e 3' pers. sing. im-
perf. cong., n, 40, 8. v, 71, 3. ix, 23, 7. x,
60, 8. xviii, 177, 4. xxv, 95, 8. xxxil, 12, 6
occ. — ino per ano, 3' pers. plur. pres.
cong. 2" coniug., iii, 15, 2. xii, 22, 6. xxx,
29, 8. XLV, 101, 5. — ino per ero, 3* pers.
plur. imperf. cong., vii, 63, 8. xiii, 55, 5.
XXIV, 51, 1. — arò per ero, 1* pers. sing
futuro 1' coniug., m, 2, 6. v, 4, 2. xi, 73,
5. xxvii, 62, 1. xxx, 3, 3. — e per t 2* pers.
imperat. 2" coniug., iii, 19, 4. x, 4, 7; 83,
6. XXI, 23, 4. xxvii, 140, 6. xxviii, 59, 5.
terminazione in e del plur. dei nomi della 3'
deci., IX, 84, 1. X, 1, 1; 98, 7. xi, 59, 2.
XII, 25, 3. XIV, 67, 3. xvm, 16, 4. xx, 54, 7.
XXI, 57, 6. xxin, 37, 3. xxv, 65, 6. xxvi, 21,
7. xxx, 13, 1. XXXIII, 64, 1.
termine, condizioni, xxxi, 100, 5. — espressio-
ne, VII, 69, 5. — tempo, xni, 47, 2. xxi, 54,
4. xxv, 39, 3; 91, 1. xxviii, 14, 2. xxix, 16,
3. XXXII, 10, 3.
termuoto, xv, 15, 5.
terra, città, x, 75, 2. xxil, 30, 4.
terrazzano, xviir, 6, 7.
tesoro, una moneta, xliii, HO, 5.
testa per testa, i, 61, 8.
testimonio, xii, 51, 8. xxxix, 13, 2.
testuggini, xl, 18, 4.
tetro, che rende oscuri, xxxviil, 50, 6.
tetti, edifici, xvi, 26, 3.
ti (veggo), (veggo) per te, xxvii, 7, 2.
timido, pieno di timore, xxx, 31, 8. xliii, 93, 2.
timpani, tamburi, xvi, 56, 2.
titolo, vanto, nome, x, 3, 4. xiii, 1, 8.
tmesi, v, 75, 5. vi, 4, 7. xiii, 6, 6. xv, 82, 7.
xvir, 108, 2. XX, 34, 1. xxxi, 37, 1. xxxix,
16, 5. XLi, 71, 4.
toccare, colpire, ili, 68, 4. xvi, 82, 2. xvm,
113, 5. xxvii, 7, 5. XXXVI, 10, 6.
toccare il punto, giungere alla perfezione, xiii,
62, 4.
togliere il punto, t. il momento opportuno, xliii,
87, 5. — t. in fallo, xxv, 53, 1. — t. l'eletta,
XXXV, 74, 7. — t. che non, xxviii, 45„ 1.
XXXVI, 44, 7.
tornare, divenire, xv, 60, 2. — cambiare, xxxv,
30, 8. — t. il passo, XXVII, 66, 6.
tot, togli, xvm, 150, 3.
tòmo, caduta, xliii, 8, 3. xlv, 1, 4.
tomare, xix, 47, 6.
tor battaglia, far battaglia, v, 40, 2. — t. la
multa, xxiii, .'J, 4.
tormeritare, soffrire, xlv, 21, 4.
tormento, archibugio, ix, 88, 7. xvi, 56, 4.
tornare, transitivo, xxii, 45, 3.
tornare il piede, il passo, xxvii, 66, 6. xxxix,
9, 4.
tòrsi uno nimico, xi, 46, 5.
tosto, tosto che, xliv, 29, 6. — t. come, XLV,
35, 1.
ILLUSTRATI NEL COMMENTO
699
trarre, tra, xi, 12, 5. xil, 54, 7. xiv, 44, 5. xvi,
43, 6. XXV, 77, 4. — fratino, xix, 70, 8; 80, 7.
tra, dentro, xxvir, 10, 5. — per, xix, US, 6.
trabacche, vii, 35, 4.
traboccarsi, volgerai a precipizio, xxiil, 88, 6.
traccia, indizi, xiv, 32, 4. xxii, 14, 5.
traere, xxr, 34, 4.
traffisse da trafiggere, xxxix, 4G, 1. — traffmso,
XVI, 11, 8.
tralignare a, xviii, 150, 6.
trombi, XL, 58, 4.
tramendui, xviii, 187, 8. — tramendua, xi.ni,
94, 2.
trarre, allettare, xviii, 1,5. — distogliere, xxx,
86, 3. — t. in pericolo, xvii, 13, 7.
trascorso, traviato, xx, 19, 6.
trailo, opportunità, x, 105, 8.
travagliarsi, studiarsi, XLir, 103, G.
tra via, vi, 78, 1. xvi, 15, 2. xvir, 7, 1. xxil,
47, 4. xsiv, d-A, 7. XXVI, 55, 7. — tra cam-
pagna, XVI, 40, 6 ; GG, 1 . — fra camp., xxxiii,
97, 7. — tra camino, xxxii, 2, 4.
Iremente, xxxf, 68, C.
trepido, tremolante, ix, 7, 4. xii, 72, 1.
tribunale, luogo elevato, xvii, 133, 5.
tristizia, insufficienza, xxxv, 77, 6.
tristo, di cattiva qualità, xxxir, i, 2.
tritare il sentiero, batterlo, xii, 56, 4. xxiv, 15,
3. — la terra, xx, 12, 6.
trito (passo), xix, 81, l. — (cammino), xis, 41, 8.
troncamenti insoliti, xix, 51, 8; 71, 8. xxxvu,
43, 2.
trovare, prendere, iv, 53, 5. xxxv, 60, 7. —
colpire, xxx, 59, 2. xli, 69, 1. — tr. luogo,
tr. agio, xxviii, 60, 7. — tr. l'orma, xvii,
116, 5. — tr. la vena, ferire a sangue, xviii,
152, 2. — tr. piazza, vi, 6G, 6.
trovarsi, battersi, xliii, 150, 4. xlvi, 115, 6.
trovarsi benigno, trovar benigno a sé, vii, 16,
4. — tr. di fare lina cosa, xix, 99, 6.
turbarsi, disturbarsi, xxxix, 8, 1.
turbato, disturbato da fare una e, xxiv, 11, 3.
turbini, vili, 14, 7.
Turpino, xiil, 40, 2.
tutta volta, XXI, 6, 5.
tutte altre, tutte le altre, x, 54, 7. xxix, 53, 4.
tutto, interamente, xxxvii, 59, 8.
tutto in un tratto, ne\lo stesso tempo, xvi, 69, 1.
u
ubino, XIV, 53, 7,
udienza, uditori, xxviii, 3, 5.
udita, udito, x, 3, 6.
uguale, ugualmente, xxxix, 72, 3.
ugualmente, dappertutto, xxvii, 90, 2.
umanamente, cortesemente, xxvii, C8, 6. xxxviii,
19, 5.
umile, basso, xii, 87, 1.
«n colpo, per un colpo, xxvi, 7, 1.
unica Fenice, xv, 39, 3.
unicamente, sommamente, v, 90, 8.
unicorno, liocorno, x, 84, 1.
unire, mettere insieme (tesoro), xxv, 63, 1.
unire al soldo, xii, 71, 5.
unquanco, xviil, 158, 4.
unque, mai, xxiv, 90, 1. xxxvii, U, 8.
un tempo, per qualche tempo, xsvii, 71, 7.
un tiro di mano, xxxvii, 87, 5.
unto (legno), spalmato, iv, 50, 5.
usare, abituare, xxv, 66, 7. — us. la ragione,
xviii, 2, 6. — US. tradimento, xlvi, 95, 6.
ìisala, usanza, xvii, 24, 6.
uscire, apparire, xliv, 5, 3. — riuscire a bene,
XV, 36, 7. XXIV, 11, 6. XXVI, 59, 5. xxvii, 1,
2. xxx, 77, 5. — uscir bene o male, xxxii,
105, 3. — US. a ragionare, xliii, 67, 8. —
uscir Vanno, finir l'anno, xxxvii, 117, 5. —
US. sopra, xvit, 120, 1. — use. fuora, uscire
a battaglia, xxv, 76, 5.
uso, esercitato, xvi, 54, 4. xx, 1, 6.
uso, vantaggio, xvii, 34, 8.
usurpare, prendere, xx, 130, 1.
uterino, di otre, xliv, 21, 7,
vago, vagaute, xiv, 48, 5. xv, 37, 6. xxii, 93, 6.
valcare, xv, 40, 3.
valere il pregio, valer la pena, xxxv, 70, 7.
valletto, XV, 61, 2.
vaneggiar, riuscir vano, xviii, 183, 3.
l'ano (capo), sfrenato, xxii, 27, 6.
varare, trarre in acqua una barca già tirata
alla riva, xxvni, 87, 1.
varcare, passare, xl, 8, 3.
vedere, accorgimento, xxx, 82, 8. xxxvni, 47, 5.
vedere — vedesse per vedeste, xii, 42, 3. xvili,
129, 3. XIX, 32, 8.
vedere, guardare, xi, 49, 5.' xii, 9, 4. — v. in
fallo, IV, 20, 4. — V. poco, xxx, 82, 8. —
rispondere sopra un luogo, xLii, 78, 7.
vedersi, sentirsi, xxxvi, 19, 3.
vedersi lontano, veder lontano da sé, vi, 59, 1.
veduta, vista, xxill, 82, 6.
veleno, ira, xviii, 117, 2.
veletta, vedetta, x, 51, 1. xxix, 35, 5, xxxix,
■ 79, 7,
vello, batùffolo da filare, xxxiv, 88, 1.
veìidicar, riconquistar, xvni, 116, 8. — vendi-
carsi, XLV, 16, 4.
vendicato... ulto, xli, 62, 5.
venire, pass, veniro, vi, 81, 3. xxvu, 24, 7.
XXVIII, 54, 8. XLll, 73, 3. — si fu venuto,
XXXI, 32, 6.
venire, divenire, i, 2, 3. — avvenire, xvi, 64,
3. xviii, 126, 5. XXXII, 46, 1. — procedere,
V, 60, 8. — V. a contesa, xvii, 104, 5. — v.
a sesta, xxii, 26, 6. — v. a manco, xx, 50,
8. — V. in favore, xxxi, 81. 5. — v. in ec-
cellenza, XX, 2, 1. — V. in prova, iv, 68, 7.
V, 75, 7. xxx, 42, 1. — V. in sorte, xxill,
80, 5. — V. la mensa, essere imbandita,
XXVII, 130, 5. — V- a volo, xliv, 13, 5.
700
INDICE DEI VOCABOLI E DEI MODI
verbo al singolare per il plur., xix, 96, 3. xx,
51, 4. XXVI, 73, 5. XXXV, 25, 6. xli, 34, 1.
verbi usati impersonalmente, ix, 82, 8. xviii,
105, 5. XXII, 79, 1.
verno, tempesta, xviii, 144, 6. xix, 44, 3. xli,
15, 2.
verrone, iv, 58, 4. v, 47, 7. XLIV, 32, 7,
versare, volgere, xlv, 4, 8. — agitare, xxx,
23, 8. — vers. parole, xx, 137, 2.
versarti, rovesciarsi, xxxi, 9, 5 ; 53, 6 ; 69, 7.
— consistere, xxxviii, 38, 6.
versato, aggirato, xlii, 87, 8.
verso, contro, xxix, 54, 1. — a confronto, xmii,
37, 2.
vestigie, via, xxvil, 15, 3.
Vesulo, Viso (monte), xxxvii, 92, 1.
veziosa, leziosa, xx, 113, 1.
vi per ne, vii, 2, 1. xui, 21, 4. xvl, 28, 5. xvii,
127, 4. XLI, 16, 6, — in questa cosa, xxxiv,
91, 6. — (pleonastico), lu, 22, 1. xx, 40, 5.
via, vie, V, 75, 7.
viaggio, via, i, 38, 6.
vietare, togliere, xxvii, 62, 7. — vietare che
non, V, 53, 1. xin, 10, 1. xxii, 86, 6. xxiv,
57, 3. xxx, 79, 7. — v. a uno una e, ri-
muoverla da Ini, IV, 35, S.
vigilia, ora di notte, xxxi, 49, 7.
vilipendere, non curare, v, 62, 7,
villa, città, XV, 16, 3.
vilipesa, vana, xxii, 18, 3.
vinto, legato, xxxiv, 17, 2.
visèra, visiera, xvii, 102, 1.
viso, sguardo, xxvi, 79, 1.
vista, visiera, xxx, 49, 8. xli, 86, 5.
vivace, vivente, vi, 30, 4. — che vivrà, xxxvii,
10, 2.
vocale, parlante, vii, 38, 3.
volere, forme irregolari, i, 7, 7. v, Ì5, 2. —
(usato senza necessità), ii, 65, 2.
volere, potere, xxx, 73, 2.
volerla con uno, volersi misurare con lui, xxvi,
109, 8.
volgere, volgersi, xviii, 58, 5.
volgere in miseria, xlv, 87, 6.
volgersi a dietro a una cosa, xxvil, 24, 4.
volonteroso, avventato, vi, 40, 8.
volse o non volse, xviii, 80, 4.
voltare un luogo, girarlo, xx, tOO, 7.
volteggiare, girare, xxi, 38, 2.
vòlti, avvolgimenti, xii, 80, 6.
vòlto, xLii, 74, 2.
voto, giuramento, xii, 42, 6.
vuluntaroso, x, 38, 6. xii, 52, 6.
zelo, affetto, xir, 28, 4.
zeugma, ii, 39, 4. xix, 15, 6. xxxii, 20, 8.
zona roggia, zona torrida, xxxiii, 126, 6.
VARIANTI FRA L'EDIZIONE DEL 1532
E L'EDIZIONE DEL MORALI DA NOI SEGUITA
LEZIONI PEL TESTO
camarier, xxv, 86, 1.
ascondili, xxvlii, 27, l.
che gli, XXVIII, 35, 3. xxx, (11, 5. xxxi, 3'), fi,
che mi cuopra, x, 28, 5.
chi per lei, v, 68, 5.
chi questa, xxxvlii, 1", 5.
commune, xxvi, 133, 7.
con gl'Acciaioli, xi-vi, 18, 3.
con pili breve porta, vui, st. iilt. C.
da l'ambra, xxxiii, 13, 6.
de mio frate, xxi, 66, 2.
de Lamagna, ], ó, 7.
doppo, XVI, 10, 1. xxii, 85, 8.
dormano, ix, 3, 7.
due amanti, vii, 29, 3.
tìa, XXXIII, 104, 2.
figliola, vili, 22, 2.
figlioli, XXXVIII, 84, 3.
fiordeligi, viii, 88, 7.
fugoso, XLV, 71, 2.
Giaradada, xxxiii, 38, ■^.
glunseno, iv, H, 2.
gli, XXII, 53, 2. XXIX, 48, 1.
gli dui, xxli, 40, 2.
grembio, xvii, 32, 6.
haria, xxx, 82, 1.
haute, XLV, 84, 8.
hautto, XV, 65, 7.
i feci, XXXVI, 67. 6.
il dia, XIV, 10, 8.
ingiottirlo, XI, 37, 3.
Inghelterra, ix, 93, 1. xxvi, 31, 7.
Ingleterra, ix, 16, 4.
liberassi, xxvii, 2, 4.
matre, xxiii, 20, 8.
missero, xjui, 94, 3. >
mutamo, xxix, 1, 3.
onde, XXIX, 79, 6.
perseverare, xx, 133, 6.
VARIANTI DEL MORALI
camerier
ascondali
eh egli
chi mi copra
che per lei
che questa
comune
cogli Acciaiuoli
che pili breve porta
dal Lambro
del mio frate
di Lamagua
dopo
dormono
du' amanti
sia
figliuola
figliuoli
fordiligi
focoso
Giaradadda
giunsero
li
li dui
grembo
avria
avute
avuto
lo feci
dia
inghiottirlo
Inghilterra
Inghilterra
liberasse
madre
misero (verbo)
mutiamo
ove
preservare
702
VARIANTI
LEZIONI DEL TESTO
poi, xr.vi, 106, 2.
poi clie gli è, XXXVI, 8, 3.
portoci, XVII, 33, 1.
posto, XIX, 86, 5.
povare, xLvi, 76, 3.
preciosa, x, 3, 8.
prevista, iii, 7G, 5.
previsto, xLii, 191, .ó.
prigionera, ii, 65, 8.
provassi, XXV, 41, 8.
qua, mai, vii, 54, 8.
quanto, xxiv, 103, 5.
rendeno, xvi, 56, 7. xxxv, 32, 2.
ribomba, ix, 75, 4.
ritorsf, XLiii, 164, 1.
sanza, xxiii, 90, 2; 120, 1. xxv, 11, 1.
se, affìsso improprio cioè preposto al verbo, iv,
57, 5; 71, 3. ix, 64, 4. x, 76, 2. xiv, 79, 2.
XXI, 55, 4. xxvi, 9?, 7. xxviii, 27, 1.
se gli, XLV, 110, 1.
sgombiglia, xxxiii, 39, G.
sia detto, xliii, 94, 2.
siate, xxvii, 137, 1.
sua poppe, xix, 62, 7.
svegliando, xsxvi, 29, 8.
tener erbe, i, 38, 1 .
tolse, XLiii, 178, 4.
tra lor, xxv, 24, 5.
Transimeno, xxvi, 47, 4.
transmutosse, vii, 51, 1.
Traprobane, xv, 17, 5.
tuo braccia, xxviii, 59, 5.
tutti, XIV, 68, 7.
uccidergli, xxxv, 20, 7.
Uu^'liiardo, xlv, 11, 8.
vogli or, IX, 32, 7.
VARIANTI DEL MORALI
puoi
poi eli' egli è
portoeci
poste
povere
preziosa
provista
provisto
prigioniera
provasse
qual mai
quando
rendono
rimbomba
risorse
senza
s'egli
scompiglia
fiì detto
siete
sue poppe
svegliano
tenere erbe
tolte
tra noi
Trasimeno
trasmutosse
Taprobane
tue braccia
tutte
ucciderli
IJugiardo
voglia or
INDICE
Prefazione Pag. v
Sommario dei quarantasei Canti dell'Orlando Furioso xvii
Canto
I
II
lU
IV
V
VI
VII
vili
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
Paff.
1 Canto XXIV
14
24
38
48
59
70
80
91
103
118
129
142
154
173
189
200
XVin 219
XIX 244
XX 259
XXI 275 j
XXn 283 I
XXIII 295
313
XXV 327
XXVI ^ 339
XXVII 360
XXVIII 379
XXIX 390
XXX 399
XXXI 412
XXXII 426
XXXIII 440
XXXIV 460
XXXV 472
XXXVI 483
XXXVII 496
XXXVIII 514
XXXIX 528
XL 541
XLI 552»
XLII 565
XLIII 580
XLIV 609
XLV 623
XLVI 639
Indice dei principali personaggi e delle cose notabili 663
Indice dei vocaboli e dei modi più notevoli illustrati nel com-
mento 675
Varianti fra l'edizione del 1532 e l'edizione del Morali da noi
seguita 701
r
PQ Ariosto, Lodovico
^567 Orlando furioso
^2 ^« integra, Nouva ristampa
1916 riveduta e corretta
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY